Un rabbino di Giaffa: ‘secondo la legge ebraica tutti gli abitanti di Gaza devono essere uccisi’

Redazione di Middle East Monitor

9 marzo 2024 – Middle East Monitor

Il capo della yeshiva [scuola religiosa ebraica in cui si studia principalmente il Talmud e la Torah, ndt.] Shirat Moshe Hesder di Giaffa, il rabbino Eliyahu Mali, ha incitato i suoi studenti, che vengono arruolati nell’esercito israeliano dopo essersi diplomati alla yeshiva a commettere massacri contro gli abitanti di Gaza. Ha affermato che secondo la legge ebraica, tutti gli abitanti di Gaza devono essere uccisi. Quando gli è stato chiesto se sono inclusi gli anziani e i minori, ha risposto: “Lo stesso vale anche per loro”.

Secondo i resoconti di venerdì di Ynet News [sito di notizie israeliano legato al quotidiano Yedioth Aharanot, ndt.], le affermazioni del rabbino sono state fatte durante una conferenza tenutasi ieri nella scuola ebraica e dedicata alla gestione della popolazione civile durante la guerra.

Mali ha descritto la guerra scatenata dallo Stato di Israele contro Gaza come una “guerra di religione”. Egli ha affermato: “La legge fondamentale in una guerra di religione, e questo è il caso a Gaza, è che non devi lasciare vivo niente che respiri (Deuteronomio), e se non li uccidi tu, loro uccidono te. I sabotatori di oggi sono i bambini lasciati vivi nelle precedenti operazioni militari e le donne sono quelle che generano i sabotatori.”

Ha aggiunto: “O tu o loro. Nessun’anima può vivere sulla base di ‘se qualcuno viene per ucciderti, sollevati e uccidilo per primo’ (Talmud Babilonese). Questo si applica non solo agli adolescenti di 14 o 16 anni o agli uomini di 20 o 30 anni che ti puntano una pistola contro, ma anche alla generazione futura. Questo si applica anche a coloro che generano la generazione futura, perché in realtà non c’è differenza.”

In risposta alla domanda sull’uccisione di persone anziane a Gaza, Mali ha dichiarato: “C’è differenza tra la popolazione civile di qualunque altra parte e la popolazione civile a Gaza. Lì, secondo le stime, il 95-98% vuole sterminarci.”

Quando gli hanno chiesto, “Anche i bambini?”, il rabbino ha replicato: “E’ la stessa cosa. Non puoi abbellire la Torah. Oggi è un bambino, domani è un combattente. Non ci sono dubbi in proposito. I terroristi di oggi erano i bambini di 8 anni nelle precedenti operazioni militari. Per cui non ti puoi fermare là. Perciò le regole che riguardano Gaza sono differenti.”

Il rabbino ha puntualizzato: “Dato che questa è una questione sensibile e mi hanno informato che [il discorso] verrà pubblicato su Internet, voglio farla breve e dire in conclusione che dovrebbero essere eseguiti solamente gli ordini dell’esercito israeliano.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




La storia riconoscerà che Israele ha commesso un olocausto

Susan Abulhawa

6 marzo 2024 – The Electronic Intifada

In questo momento a Gaza e in Palestina sono le 20:00: è la fine del mio quarto giorno a Rafah e il primo momento in cui ho potuto sedermi in un posto tranquillo per riflettere.

Ho provato a prendere appunti, foto, immagini mentali, ma questo è un momento troppo grande per un taccuino o per la mia memoria in difficoltà. Niente mi aveva preparato a ciò a cui avrei assistito.

Prima di attraversare il confine tra Rafah e l’Egitto ho letto tutte le notizie provenienti da Gaza o su Gaza. Non ho distolto lo sguardo da nessun video o immagine inviata dal territorio, per quanto fosse raccapricciante, scioccante o traumatizzante.

Sono rimasta in contatto con amici che hanno riferito della loro situazione nel nord, nel centro e nel sud di Gaza – ciascuna area soffre in modi diversi. Sono rimasta aggiornata sulle ultime statistiche, sulle ultime mosse politiche, militari ed economiche di Israele, degli Stati Uniti e del resto del mondo.

Pensavo di aver capito la situazione sul campo. Ma non è così.

Niente può veramente prepararti a questa distopia. Ciò che raggiunge il resto del mondo è una frazione di ciò che ho visto finora, che è solo una frazione della totalità di questo orrore.

Gaza è un inferno. È un inferno brulicante di innocenti che boccheggiano in cerca di aria.

Ma qui anche l’aria è bruciata. Ogni respiro irrita la gola e i polmoni e vi si attacca.

Ciò che una volta era vibrante, colorato, pieno di bellezza, possibilità e speranza contro ogni aspettativa, è avvolto da un grigiore di sofferenza e sporcizia.

Quasi nessun albero

Giornalisti e politici la chiamano guerra. Gli informati e gli onesti lo chiamano genocidio.

Quello che io vedo è un olocausto, lincomprensibile culmine di 75 anni di impunità israeliana per i ripetuti crimini di guerra.

Rafah è la parte più meridionale di Gaza, dove Israele ha stipato 1,4 milioni di persone in uno spazio grande quanto laeroporto di Heathrow a Londra.

Scarseggiano acqua, cibo, elettricità, carburante e provviste. I bambini sono privati della scuola: le loro aule sono state trasformate in rifugi di fortuna per decine di migliaia di famiglie.

Quasi ogni centimetro dello spazio precedentemente vuoto è ora occupato da una fragile tenda che ospita una famiglia.

Non è rimasto quasi nessun albero poiché le persone sono state costrette ad abbatterli per produrre legna da ardere.

Non ho notato lassenza di verde finché non mi sono imbattuta in una bouganville rossa. I suoi fiori erano polverosi e soli in un mondo deflorato, ma ancora vivi.

La discrepanza mi ha colpito e ho fermato l’auto per fotografarla.

la bouganvillea sopravissuta a Gaza (Susan Abulhawa)

Ora cerco il verde e fiori ovunque vada, finora nelle zone meridionali e centrali (anche se nel centro è diventato sempre più difficile entrare). Ma ci sono solo piccole macchie derba qua e là e qualche albero occasionale che aspetta di essere bruciato per cuocere il pane per una famiglia che sopravvive con le razioni ONU di fagioli in scatola, carne in scatola e formaggio in scatola.

Un popolo orgoglioso con ricche tradizioni e consuetudini culinarie a base di alimenti freschi è stato ridotto e abituato a una manciata di impasti e poltiglie rimaste sugli scaffali per così tanto tempo che può essere avvertito solo il sapore metallico e rancido delle lattine.

Al nord è peggio.

Il mio amico Ahmad (non è il suo vero nome) è una delle poche persone che hanno Internet. Il segnale è sporadico e debole, ma possiamo ancora scambiarci messaggi.

Mi ha inviato una sua foto in cui sembrava l’ombra del giovane che conoscevo. Ha perso più di 25 kg.

Inizialmente le persone si sono ridotte a nutrirsi di mangime per cavalli e asini, ma è finito. Ora stanno mangiando gli asini e i cavalli.

Alcuni mangiano cani e gatti randagi che a loro volta stanno morendo di fame e talvolta si nutrono dei resti umani che ricoprono le strade, dove i cecchini israeliani hanno preso di mira le persone che hanno osato avventurarsi nel campo visivo dei loro mirini. I vecchi e i più deboli sono già morti di fame e di sete.

La farina è scarsa e più preziosa delloro.

Ho sentito la storia di un uomo nel nord che di recente è riuscito a mettere le mani su un sacco di farina (che normalmente costava 7 euro) e gli sono stati offerti gioielli, dispositivi elettronici e contanti per un valore di 2.300 euro. Ha rifiutato.

Sentirsi piccoli

A Rafah le persone si sentono privilegiate nel ricevere farina e riso. Te lo diranno e ti sentirai umiliato perché si offrono di condividere quel poco che hanno.

E ti vergognerai perché sai che puoi lasciare Gaza e mangiare quello che vuoi. Ti sentirai piccolo qui perché non sei in grado di fare davvero nulla per placare il bisogno e la perdita catastrofici e perché capirai che loro sono migliori di te, poiché in qualche modo sono rimasti generosi e ospitali in un mondo che è stato tanto e per così tanto tempo ingeneroso e inospitale nei loro confronti.

Ho portato tutto quello che potevo, pagando il bagaglio extra e il peso di sei bagagli e aggiungendone altri 12 in Egitto. Per me ho portato quello che stava nello zaino.

Ho avuto la lungimiranza di portare cinque grandi sacchi di caffè, che si è rivelato essere il regalo più apprezzato dai miei amici qui. Preparare e servire il caffè ai colleghi di lavoro del luogo in cui mi trovo è la cosa che preferisco fare, per la gioia assoluta che ogni sorso sembra portare.

Ma anche quello presto finirà.

Difficile respirare

Ho assunto un autista per trasferire sette pesanti valigie di rifornimenti a Nuseirat [campo profughi al centro della Striscia, ndt.], e lui le ha trasportate giù per alcune rampe di scale. Mi ha detto che portare quelle borse lo faceva sentire di nuovo umano perché era la prima volta in quattro mesi che andava su e giù per le scale.

Gli ha ricordato di quando viveva in una casa invece che nella tenda dove ora abita.

È difficile respirare qui, letteralmente e metaforicamente. Una foschia immobile di polvere, degrado e disperazione intride l’aria.

La distruzione è così massiccia e persistente che le particelle sottili della vita polverizzata non hanno il tempo di depositarsi. La mancanza di benzina ha portato le persone a riempire le loro auto di stearato, olio esausto che ha una combustione sporca.

Emette un odore particolarmente sgradevole e una pellicola che si attacca all’aria, ai capelli, ai vestiti, alla gola e ai polmoni. Mi ci è voluto un po’ per capire la fonte di quell’odore pervasivo, ma è facile riconoscere gli altri.

La scarsità di acqua corrente o pulita compromette l’igiene di chiunque di noi. Tutti fanno del loro meglio nella cura di sé stessi e dei propri figli, ma a un certo punto smetti di farci caso.

Ad un certo punto lumiliazione della sporcizia è inevitabile. Ad un certo punto aspetti semplicemente la morte, proprio come aspetti anche un cessate il fuoco.

Ma la gente non sa cosa farà dopo il cessate il fuoco.

Hanno visto le foto dei loro quartieri. Quando vengono pubblicate nuove immagini provenienti dall’area settentrionale le persone si ritrovano insieme per cercare di capire di quale quartiere si tratti, o da chi fosse la casa ridotta in quel cumulo di macerie. Spesso questi video provengono da soldati israeliani che occupano o fanno saltare in aria le loro case.

Cancellazione

Ho parlato con molti sopravvissuti estratti dalle macerie delle loro case. Raccontano quello che è successo con espressione impassibile, come se non fosse capitato a loro; come se sia stata sepolta viva la famiglia di qualcun altro; come se i loro corpi straziati appartenessero ad altri.

Gli psicologi dicono che si tratta di un meccanismo di difesa, una sorta di intorpidimento della mente finalizzato alla sopravvivenza. La resa dei conti arriverà più tardi, se sopravvivranno.

Ma come si può affrontare la perdita dell’intera famiglia, mentre si osservano i corpi disintegrarsi tra le macerie e si avverte l’odore, mentre si attende il salvataggio o la morte? Come si fa a considerare la cancellazione totale della propria esistenza nel mondo: la casa, la famiglia, gli amici, la salute, l’intero quartiere e il paese?

Nessuna foto della tua famiglia, del tuo matrimonio, dei tuoi figli, dei tuoi genitori; anche le tombe dei tuoi cari e dei tuoi antenati sono state rase al suolo. Tutto questo mentre le forze e le voci più potenti ti diffamano e ti incolpano per il tuo miserabile destino.

Il genocidio non è solo un omicidio di massa. È una cancellazione intenzionale.

Di storie. Di ricordi, libri e cultura.

Cancellazione delle risorse di una terra. Cancellazione della speranza in e per un luogo.

Cancellazione come impulso alla distruzione di case, scuole, luoghi di culto, ospedali, biblioteche, centri culturali, centri ricreativi e università.

Il genocidio è la demolizione intenzionale dellumanità di un altro. È la riduzione di unantica società orgogliosa, istruita e ben funzionante a oggetti di carità privi di mezzi, costretti a mangiare lindicibile per sopravvivere; vivere nella sporcizia e nella malattia senza nulla in cui sperare se non la fine delle bombe e dei proiettili che piovono sui loro corpi, sulle loro vite, sulle loro storie e sul loro futuro.

Nessuno può pensare o sperare in ciò che potrebbe accadere dopo un cessate il fuoco. Il massimo possibile delle loro speranze in questo momento è che i bombardamenti cessino.

È il minimo che si può chiedere. Un minimo riconoscimento dellumanità dei palestinesi.

Nonostante Israele abbia tagliato l’energia e Internet i palestinesi sono riusciti a trasmettere in streaming limmagine del loro stesso genocidio a un mondo che permette che questo vada avanti.

Ma la storia non mentirà. Ricorderà che nel 21° secolo Israele ha perpetrato un olocausto.

Susan Abulhawa è una scrittrice e attivista. Questo pezzo è stato scritto durante la sua visita a Gaza a febbraio e all’inizio di marzo.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele ha ucciso altri 124 palestinesi in 24 ore

Redazione di Middle East Monitor

5 marzo 2024 – Middle East Monitor

Ieri il ministero palestinese della Sanità ha affermato che nelle ultime 24 ore, fino a lunedì mattina, l’esercito israeliano ha commesso 13 nuovi massacri contro famiglie nella Striscia di Gaza, uccidendo 124 persone e ferendone altre 210.

Gli aerei da guerra israeliani hanno colpito in tutta la Striscia di Gaza mentre la guerra all’enclave assediata è entrata nel 150esimo giorno. Nel frattempo al Cairo sono continuati i colloqui tra una delegazione di Hamas e mediatori provenienti da Qatar, Egitto e Stati Uniti per raggiungere un accordo per il cessate il fuoco nel territorio occupato.

Gli attacchi aerei contro Rafah, nella parte meridionale della striscia di Gaza, sono stati intensificati, uccidendo decine di persone nel campo profughi d Nuseirat. L’artiglieria israeliana ha bombardato aree residenziali e rifugi nei campi di Jabalia, Khan Yunis, Deir Al-Balah e Tal Al-Zaatar.

Finora dal 7 ottobre Israele ha ucciso almeno 30.534 palestinesi a Gaza ne ha feriti altri 71.920. Attualmente è accusato di genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Il New York Times ha un orribile pregiudizio anti-palestinese

BEN BURGIS

29 febbraio 2024 – Jacobin

Il fatto che il New York Times abbia affidato la sua inchiesta sulle denunce di aggressioni sessuali del 7 ottobre ad Anat Schwartz, una giornalista non professionista con convinzioni antipalestinesi e rapporti con l’esercito israeliano, è un esempio estremo della indefettibile tendenziosità del giornale a favore di Israele.

Il New York Times forse è il quotidiano più prestigioso del mondo anglofono. I suoi articoli hanno ottenuto 132 premi Pulitzer, a cominciare da quello che il giornale ricevette nel 1918 per i suoi servizi sulla Prima Guerra Mondiale. Ne ha aggiunti altri tre solo l’anno scorso.

In un’epoca in cui è diventato sempre più comune per i lettori vantarsi non di leggere o vedere reportage oggettivi ma piuttosto di consultare fonti “delle due parti”, il Times può essere percepito come la reliquia di un tempo passato, quando vigeva ancora l’ideale della neutralità. Il giornale è stato storicamente soprannominato “La Vecchia Signora”, sia per la sua tradizione di stamparlo solo in bianco e nero – non ha iniziato a includere immagini a colori fino agli anni ’90 – e per una certa etica di prudenza e accuratezza giornalistiche.

Tuttavia, come ha evidenziato Mona Chalabi, una delle giornaliste che ha aggiunto un Pulitzer al giornale lo scorso anno, una delle aree in cui questa reputazione è più difficile da conciliare con la realtà è l’informazione del Times su Israele/Palestina. Poco prima di presentarsi alla cerimonia del Pulitzer a novembre Chalabi ha postato sulla sua pagina Instagram un grafico che fa un bilancio devastante.

Persino mentre il numero di morti palestinesi rende minimo quello degli israeliani – le stime attuali del numero di civili israeliani uccisi il 7 ottobre è di centinaia, mentre decine di migliaia di civili palestinesi sono stati uccisi durante i molti mesi di brutale rappresaglia israeliana – il Times ha destinato molta più attenzione ai morti israeliani. Di fatto, come mostra la tabella, la disconnessione dalla realtà è effettivamente aumentata nello stesso momento in cui i morti palestinesi stavano aumentando in modo esponenziale.

Più di recente la polemica sulla giornalista freeelance del Times Anat Schwartz ha rivelato l’orribile profondità della tendenziosità. Nonostante non abbia esperienza giornalistica, ha fatto parte del piccolo gruppo di reporter designati a coprire una delle vicende più delicate e importanti di cui il Times si è occupato da quando è iniziata la guerra di Israele contro Gaza: le accuse secondo cui Hamas avrebbe sistematicamente utilizzato aggressioni sessuali come arma di guerra durante l’attacco del 7 ottobre. Da allora dettagli fondamentali di questa vicenda si sono dimostrati discutibili, e Schwartz ha evidenziato di essere quanto più lontana si possa immaginare da una giornalista neutrale.

Prima di diventare regista – e, improvvisamente lo scorso anno, giornalista freelance del New York Times — Schwartz ha fatto parte del reparto di intelligence dell’aviazione militare israeliana. E le sue opinioni sul conflitto israelo-palestinese, che sono di dominio pubblico, tendono a un razzismo genocida.

Anat Schwartz e il New York Times

La firma di Schwartz è comparsa, insieme a quelle di suo nipote Adam Sella e dell’esperto giornalista Jeffrey Gettleman, in un articolo intitolato “Urla senza parole: come Hamas ha utilizzato sistematicamente la violenza sessuale il 7 ottobre”. L’articolo è stato scelto per una lode speciale dal direttore esecutivo del Times, Joe Kahn, che in una mail alla redazione ha affermato: “Il gruppo” di Gettleman, Schwartz e Sella ha trattato una vicenda “molto politicizzata e delicata” in “modo sensibile e dettagliato”.

Da allora l’articolo è stato messo sotto accusa per evidenti imprecisioni. In particolare, circa un terzo dell’articolo è stato dedicato fondamentalmente a un solo incidente: il presunto stupro di Gal Adbush, uccisa il 7 ottobre, diventata nota come “la donna vestita di nero” per la sua apparizione in un video che la mostra a terra morta con il corpo in parte denudato. Il video non mostra un’aggressione sessuale, anche se alcuni osservatori l’hanno interpretato come una prova che avrebbe potuto avvenire in precedenza.

Un successivo reportage della pubblicazione progressista ebraica Mondoweiss ha messo in dubbio praticamente ogni elemento di questo articolo:

“Al momento non c’è alcuna traccia del video su internet, nonostante le affermazioni del Times secondo cui “è diventato virale”. Oltretutto la stampa israeliana, benché abbia raccontato centinaia di vicende sulle vittime del 7 ottobre, non ha mai citato “la donna vestita di nero” neppure una volta prima dell’articolo del 28 dicembre. Non sembra che il video di fatto sia diventato il simbolo ampiamente diffuso che il Times sostiene sia. Ma comunque dopo un giorno dalla pubblicazione del reportage sono emersi fatti che smentiscono l’articolo del Times.

In particolare i genitori e i fratelli di Adbush hanno strenuamente smentito l’idea che ci sia una qualche prova del fatto che Gal sia stata stuprata ed hanno manifestato disgusto nei confronti del comportamento dei giornalisti del Times. Non hanno interpretato il video nello stesso modo e dicono che non avrebbero collaborato con l’articolo se avessero saputo che sarebbe stato centrato su queste accuse.

Per essere chiari, niente di quanto detto intende affermare che nessuna donna o ragazza israeliana sia stata violentata il 7 ottobre. Anche se Adbush non è stata una di loro, sarebbe sorprendente se il 7 ottobre fosse la prima volta nella storia dell’umanità che migliaia di soldati infuriati ed esaltati siano stati mandati in territorio nemico per una missione che include l’uccisione e il rapimento a caso di civili senza che nessuno di questi soldati abbia commesso alcuna aggressione sessuale.

Ma la specifica accusa fatta da Schwartz e dai suoi co-autori in “Urla senza parole” è che “le aggressioni contro le donne non sono state eventi isolati ma parte di un modello di comportamento più generale.” È un’accusa estremamente grave e la posta in gioco è molto alta. Un organo informativo con valori etici se ne sarebbe occupato con cautela e avrebbe controllato rigorosamente ogni dettaglio.

La posta in gioco è alta perché la narrazione dello Stato di Israele sugli avvenimenti del 7 ottobre, che ha incluso una pesante insistenza sulle aggressioni sessuali, è stata utilizzata per giustificare atrocità su grande scala. Nel momento in cui scrivo 1,9 milioni dei 2.3 milioni di abitanti di Gaza sono stati espulsi dalle loro case e la fame sta dilagando. Le Forze di Difesa Israeliane [l’esercito israeliano, ndt.] (IDF) sono state così metodiche nel loro obiettivo di distruggere le infrastrutture civili del territorio che l’ultima università rimasta a Gaza è stata distrutta con una esplosione controllata. Decine di migliaia di civili, tra cui oltre dodicimila bambini, sono stati uccisi. E, con un colpo di scena deprimente ma prevedibile, ci sono prove credibili che le atrocità israeliane abbiano incluso violenze sessuali, il che non sarebbe una novità.

Proprio a causa della gravità dei crimini sessuali e della giustificazione che essi spesso conferiscono ai nemici di chi li ha commessi, è estremamente importante avere una chiara e concreta attendibilità delle prove. Quanto ci vorrà – quanto ci vorrebbe – perché un giornale come il New York Times dichiari che aggressioni sessuali da parte di membri delle IDF sono “non incidenti isolati ma parte di un modello di comportamento più generale?”

È possibile immaginare che il Times assegni un articolo che faccia una simile accusa a un gruppo di tre giornalisti, uno dei quali membro di Hamas senza esperienze giornalistiche che non abbia mai preso le distanze dal suo passato e un altro che sia nipote dell’ex membro di Hamas? Se ciò per qualche ragione avvenisse, potete immaginare che l’articolo poi venga gestito senza verificare accuse cruciali, persino mentre i genitori e fratelli della principale presunta vittima negassero chiaramente che lo stupro fosse avvenuto?

Se potete arrivare con la vostra immaginazione così lontano, aggiungete un dettaglio in più. Immaginate che l’ex membro di Hamas abbia recentemente approvato sulle reti sociali post che chiedono l’uccisione di massa di israeliani, e che lo abbia fatto molto prima che la sua firma apparisse per la prima volta sul Times.

In effetti il più recente cambiamento nella saga di Schwartz è che si è scoperto che lei, prima che il suo lavoro comparisse sul Times, aveva approvato un grottesco post che definiva i palestinesi “animali umani” e chiedeva che Gaza venisse “trasformata in un mattatoio”. Il post proponeva anche che Israele abbandonasse l’idea di “proporzionalità” a favore di una “risposta sproporzionata” e incoraggiava le IDF a “violare ogni regola” per garantire la vittoria.

Perché Chomsky digrigna i denti

Molto chiaramente Schwartz è uno dei sintomi di un problema molto più generale riguardo alla copertura di Israele/Palestina pubblicata dal New York Times. Un indizio di come abbia potuto avvenire viene da uno sguardo più attento sul direttore esecutivo succitato.

Come hanno scritto su Intercept Ryan Grim e Daniel Boguslaw, il padre di Kahn, Leo Kahn, è stato per molto tempo consigliere del Committee for Accuracy in Middle East Reporting and Analysis [Comitato per l’Accuratezza dell’Informazione e dell’Analisi sul Medio Oriente] (CAMERA), che intendeva imporre l’adesione a una linea filo-israeliana nell’informazione dei mezzi di comunicazione “denigrando giornalisti con il cui lavoro era in disaccordo e lanciando campagne di boicottaggio contro organizzazioni di comunicazione che ritiene non rispondano con sufficiente acquiescenza alle sue richieste.” E, secondo lo stesso profilo di Joe Kahn pubblicato dal Times quando è diventato direttore esecutivo del giornale nel 2022, padre e figlio “spesso ‘hanno analizzato insieme l’informazione giornalistica’”. Mentre il Times nega che CAMERA abbia una particolare influenza sulle sua informazione, Grim e Boguslaw notano che il livello di adesione del giornale alle continue richieste di CAMERA” è “in sorprendente contrasto con la sua tradizionale resistenza a correggere i propri articoli.”

Né, osservano, questo è l’unico rapporto familiare che suscita serie domande riguardo alla capacità del giornale di informare su Israele/Palestina in accordo con la sua aura di pesante integrità giornalistica. “Nel corso degli ultimi 20 anni i figli di tre giornalisti del Times si sono arruolati nelle IDF mentre i genitori coprivano questioni riguardanti il conflitto israelo-palestinese,” notano gli autori di Intercept.

Tuttavia sotto la superficie di questi strati di tendenziosità antipalestinese potrebbe esserci una questione più profonda e più semplice. Come hanno sostenuto Noam Chomsky e il defunto coautore Edward Herman in Manufacturing Consent [La fabbrica del consenso. La politica e i mass media, Il Saggiatore, 2014], uno dei pregiudizi caratteristici dei mezzi di comunicazione più importanti in generale – di cui il New York Times è stato emblematico molto prima dell’inizio di questi recenti drammatici conflitti di interesse – sono state la profonda deferenza e l’affinità ideologica rispetto alla sicurezza nazionale statunitense.

Questo era vero per come hanno informato sulla guerra del Vietnam quando i presidenti Lyndon B. Johnson e Richard Nixon bombardavano a tappeto quel Paese per reprimere una rivoluzione contadina. Lo era nella guerra contro l’Iraq, quando il Times pubblicò acriticamente le menzogne dell’amministrazione di George W. Bush sulle “armi di distruzione di massa”. Non dovremmo sorprenderci di scoprire che è vero riguardo a Gaza, dove il massacro di massa e l’espulsione di civili vengono portati avanti con fondi e armi americani.

Questa dinamica ha ispirato una classica storiella riguardo a una visita di Chomsky dal dentista. Come raccontato da Gore Vidal e Christopher Hitchens, il dentista disse a Chomsky: “I tuoi denti sono a posto, ma devi smettere di digrignarli.” Chomsky smentì di digrignare i denti, e il dentista gli garantì che lo faceva, come evidenziato dal fatto che il suo smalto era consumato. Era presente la moglie di Chomsky, che assicurò al dentista che Noam non digrignava i denti di notte mentre dormiva. In seguito la coppia capì. Noam digrignava i denti quando la signora Chomsky era fuori dalla stanza mentre lui beveva il suo caffè mattutino “e leggeva il New York Times.

Collaboratore

Ben Burgis è editorialista di Jacobin, docente di filosofia a contratto alla Rutgers University e conduttore del programma e podcast di YouTube Give Them An Argument [Date loro un argomento]. E’autore di vari libri, il più recente dei quali è Christopher Hitchens: What He Got Right, How He Went Wrong, and Why He Still Matters [Christopher Hitchens: quello che ha fatto bene, come si è sbagliato e perché è ancora importante. Hitchen è stato un intellettuale e giornalista britannico naturalizzato statunitense originariamente trotzkista e passato poi a posizioni di destra, ndt.].

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Coloni israeliani entrano a Gaza per fondare un avamposto ‘simbolico’

Oren Ziv

1 marzo 2024 – +972 Magazine

Decine di coloni e attivisti di destra hanno assaltato il valico di Erez e costruito due strutture di legno senza che soldati e polizia intervenissero.

Ieri pomeriggio oltre 100 israeliani hanno assaltato il valico di Erez nel nord di Gaza nel più significativo tentativo di ristabilire colonie ebraiche nella Striscia dall’inizio della guerra. Un gruppetto è riuscito a penetrare a Gaza per parecchie centinaia di metri prima di essere intercettato da soldati israeliani, mentre circa altri 20 sono entrati nell’area fra i due muri che costituiscono la barriera che cinge la Striscia. Là hanno stabilito un “avamposto” nello stile che si vede comunemente in Cisgiordania, costruendo per parecchie ore senza interventi da parte di esercito o polizia. 

Dai primi momenti della guerra è stato chiaro che i politici israeliani di destra e i leader dei coloni hanno percepito l’opportunità di cambiare radicalmente lo status quo in Israele-Palestina. Per mesi ci sono state richieste sempre più pressanti, non ultima a gennaio in un’importante conferenza a Gerusalemme in cui alti funzionari hanno presentato i loro piani per rioccupare Gaza, spesso mentre si chiedeva contestualmente di espellere dalla Striscia i suoi 2.3 milioni di abitanti palestinesi. In parallelo attivisti di destra, quasi tutti giovani, hanno cominciato regolarmente a dimostrare contro l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia nei pressi della recinzione di Gaza. Tuttavia l’azione di ieri ha marcato un nuovo picco nelle loro attività. 

Verso le 14 gli attivisti hanno cominciato a riunirsi in una stazione ferroviaria a Sderot, città nel sud di Israele vicino a Gaza. In quel punto di incontro iniziale per quella che era ufficialmente una “protesta” per rendere onore a Harel Sharvit, un colono ucciso mentre prestava servizio a Gaza, l’atmosfera era calma, persino sonnolenta. Un’auto della polizia è passata nei pressi senza reagire a quanto stava avvenendo. Da qui gli attivisti si sono mossi in auto private verso il checkpoint di Erez, l’unico valico civile fra Israele e la Striscia di Gaza, classificato dall’esercito israeliano come “zona militare chiusa” da quando è stata brevemente occupata dai palestinesi nel corso dell’attacco guidato da Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre. 

Arrivati vicino al posto di blocco gli attivisti sono usciti dalle loro auto e hanno iniziato una manifestazione. A questo punto hanno incontrato un altro convoglio di veicoli pieni di “giovani delle colline”, giovani coloni violenti che regolarmente stabiliscono nuovi avamposti in Cisgiordania e attaccano i palestinesi per costringerli a lasciare le loro terre. Almeno due di loro erano armati di fucili come quelli usati dall’esercito, e hanno portato materiali da costruzione per erigere un avamposto. 

A un certo punto alcuni di loro hanno cominciato a correre verso il posto di blocco e sono riusciti ad attraversarlo non ostacolati dai pochi soldati presenti incapaci di fermarli. Nello spazio fra i due muri che circondano la Striscia circa una ventina di loro ha cominciato a erigere due strutture usando i materiali che avevano portato: assi e pali di legno e lamiere di ferro per i tetti. Nel frattempo un gruppetto di giovani coloni è penetrata di corsa ancora più dentro Gaza, sempre senza che i soldati glielo impedissero.

Le radio dei soldati hanno ricevuto il messaggio che un certo numero di persone era entrato a Gaza e sono stati mandati jeep militari e persino due carri armati per cercarli. Circa mezz’ora dopo una jeep militare ha riportato i giovani sul lato israeliano del valico senza arrestarli. Sono usciti dalla jeep fra gli applausi degli altri attivisti, unendosi al gruppo più grande che cantava “È nostra.”

Per parecchie ore chi era arrivato nello spazio fra i due muri ha continuato senza impedimenti a costruire l’avamposto che hanno chiamato New Nisanit, come una delle colonie di Gaza abbandonate come parte del “disimpegno” del 2005. Come in Cisgiordania i soldati sono rimasti nei pressi a offrire protezione invece di cercare di fermarli.

Questo è il nostro Paese’

Amiel Pozen e David Remer, entrambi diciottenni, sono due dei coloni che sono riusciti a penetrare per circa 500 metri entro Gaza. Dopo essere stati prelevati e riportati al posto di blocco dall’esercito israeliano hanno parlato con +972

Non avevamo paura di entrare (a Gaza), il Santo è con noi e le Forze di difesa israeliane erano lì per aiutarci,” ha detto Remer. “Noi siamo venuti qua (perché) vogliamo tornare a casa. Io vivo in una comunità di deportati da Gush Katif (blocco di insediamenti ebraici a Gaza sfollato nel 2005) e abbiamo voluto ritornarci. Dopo tutto quello che è successo non c’è dubbio che dobbiamo ritornarci. 

La sensazione è molto bella, come tornare a casa,” ha continuato Remer. “È nostra. Il Santo, che Egli sia benedetto, ha detto che è nostra. Se non ci saremo noi sappiamo cosa ci sarà.”

Pozen ha aggiunto: “Siamo venuti in rappresentanza dell’intera popolazione, del popolo ebraico. Noi vogliamo ritornare in tutta la Terra di Israele, in tutte le parti della nostra Terra Santa. Non ci sono ‘due stati per due popoli’, è sbagliato. Il popolo di Israele appartiene alla Terra di Israele.”

Riguardo alla possibilità di persuadere il governo a sostenere il reinsediamento a Gaza Pozen ha affermato: “Vorrei che il governo capisse (ciò che) la maggioranza delle persone ha già capito: noi siamo qui. È nostra. Non ci sono ostacoli politici o internazionali. Non dobbiamo tenere nessun altro in considerazione. È una questione interna. Dobbiamo andare a Gaza, distruggere tutti i terroristi là e costruirvi noi.”

Un altro dei coloni fermati dall’esercito dopo essere penetrato in profondità dentro Gaza ha mostrato ai suoi amici sul cellulare la foto di una pianta di fragole in un orto palestinese dicendo: “Guardate com’è bello il Paese.”

Nel corso della serata i giovani coloni hanno continuato ad aggirare l’esercito e a correre verso l’avamposto. Molti l’hanno fatto strisciando in un buco nella recinzione probabilmente creato durante gli eventi del 7 ottobre, finché i soldati non hanno portato un bulldozer per chiuderlo con del terriccio.

Molti dei giovani erano delle stesse organizzazioni che hanno passato parecchie delle scorse settimane cercando, spesso senza successo, di impedire agli aiuti umanitari di raggiungere Gaza. Ai loro occhi c’è un legame fra il trattenimento degli aiuti per i palestinesi e la rifondazione di colonie ebraiche a Gaza: entrambi sono visti come un mezzo per ottenere una “vittoria” decisiva.

Mechi Fendel, un’attivista di destra di Sderot, ha detto a +972: “Siamo venuti qui ad affermare che il giorno dopo la fine della guerra dobbiamo insediarci ed espandere le città ebraiche su tutta la Striscia di Gaza. Perché se non lo facessimo diventerà come un nido di vespe. Non si può lasciare un vuoto. Non c’è motivo per volere che si ripeta. Io vivo a un chilometro dalla Striscia di Gaza. Non posso avere dei terroristi come vicini e il 7 ottobre ci hanno fatto vedere di cosa sono veramente capaci.”

Per quanto riguarda la costruzione di un avamposto vicino alla recinzione ha spiegato: “Far vedere che abbiamo costruito due case è un atto simbolico. Sono venuti con queste grosse assi di legno e in pratica hanno costruito due strutture qui nella Striscia di Gaza. Naturalmente è simbolico perché non ci passeranno la notte. Ma il punto è: qui è dove dobbiamo stare. Questo è il nostro Paese. Non possiamo lasciare disabitata un’intera striscia di terra.”

E cosa succederebbe ai palestinesi di Gaza se si stabilissero delle colonie ebraiche? “Se sono disposti ad accettare la giurisdizione israeliana, a lasciarci entrare e controllare il loro sistema educativo e aiutarli finanziariamente, allora, se sono pacifici, lasciamoli stare,” ha sostenuto Fendel. “Fino ad ora non ho mai trovato un palestinese che sia pacifico. Come ho scritto, i lavoratori palestinesi (che lavorano in Israele) per decine di anni sono diventati terroristi in un secondo.

Penso che il governo quando vedrà che noi siamo con loro, che il popolo lo vuole, sarà d’accordo,” ha continuato. “Perché neanche il governo vuol vedere nascere un nido di vespe. Penso che se noi abbiamo le persone e la volontà e facciamo vedere di essere là, siamo coraggiosi e vogliamo farlo, il governo ci aiuterà.”

Prima gli assalti dei soldati, adesso dei coloni’

Le dinamiche hanno ricordato le tipiche scene in Cisgiordania, con i coloni a cui viene data la libertà di azione mentre i soldati restano a guardare nonostante siano in una zona militare chiusa e alcuni di loro entrino persino in una zona di combattimento. Si sono visti alcuni dei soldati abbracciare gli attivisti. Un soldato ha detto a +972 che loro li sostengono e che il problema sono “i media che vogliono azione per filmare i soldati che picchiano ebrei.”

Anche se i soldati hanno l’autorità di sottoporre a fermo dei cittadini israeliani, e lo hanno fatto con giornalisti e altri civili che negli ultimi mesi si sono avvicinati alla recinzione, invariabilmente evitano di trattenere coloni che infrangono la legge in Cisgiordania, e è successo anche ieri. Uno degli attivisti, che ha detto a +972 di essere un soldato non in servizio che portava la sua arma militare su abiti civili, ha riferito di aver lasciato prima l’area perché i soldati l’hanno avvisato che l’avrebbero “buttato fuori dall’esercito.”

 I soldati parlano con calma con gli attivisti, fra cui il ben noto Baruch Marzel, un kahanista [seguace del defunto rabbino estremista Meir Kahane ndt.] arrivato in un momento successivo. “Sono come i soldati che hanno fatto irruzione [a Gaza], adesso sono loro (i giovani coloni) a fare irruzione,” dice Marzel a uno dei soldati. 

Più tardi, mentre se ne stavano andando, Marzel ha detto a +972 che l’azione gli ha ricordato “la prima colonia a Sebastia”, un villaggio vicino a Nablus, in Cisgiordania, dove circa 50 anni fa un gruppo di coloni del movimento Gush Emunim (Blocco dei Fedeli) [movimento dei coloni nazional-religiosi sorto nel 1974, ndt.] tentò di stabilire una colonia ebraica sfidando i tentativi del governo di cacciarli fino a quando non cedette. Egli aggiunge che il problema principale per lui non è insediarsi a Gaza, ma deportare i palestinesi in “tutti i Paesi che li sostengono.” 

Un funzionario della sicurezza presente sulla scena ha espresso a +972 il suo disappunto su come gli attivisti siano riusciti ad attraversare con tale facilità il posto di blocco. “Se sono riusciti a entrare a Gaza ciò significa che anche (i palestinesi) possono entrare dalla direzione opposta,” ha detto. 

Funzionari di polizia arrivati sul posto si sono comportati con la stessa indifferenza dei soldati. Sembrava non avessero fretta di intervenire e all’inizio hanno arrestato solo uno dei manifestanti. Dopo il tramonto, verso le 19, alcuni attivisti hanno cominciato ad andarsene e in seguito il resto è poi stato disperso dalla polizia. La scorsa notte un totale di nove persone è stato arrestato e portato a una stazione di polizia.

La scorsa notte, in risposta alle domande di +972, un portavoce della polizia ha dichiarato: “Le forze della polizia israeliana sono state chiamate nel pomeriggio vicino al valico di Erez in seguito all’arrivo di manifestanti e alla penetrazione di un gruppetto nella Striscia di Gaza attraverso la recinzione, violando l’ordine di un generale. Alla luce di un pericolo reale per le vite dei manifestanti le forze di polizia sono state costrette ad agire nel territorio della Striscia di Gaza dove alcuni di loro li hanno affrontati e si sono rifiutati di andarsene, non lasciando alla polizia altra scelta che arrestarne nove per aver violato l’ordine di un generale e non aver (obbedito) a un ufficiale di polizia.

I manifestanti sono stati portati a una stazione di polizia per essere interrogati, dopo di che si deciderà chi di loro verrà deferito domani alla Corte di Appello per discutere la loro causa.” Oggi la polizia non ha risposto a un’altra richiesta di informazioni circa quali degli arrestati siano stati accusati, ma sembra che siano stati tutti rilasciati la scorsa notte.

Oren Ziv è una fotogiornalista e reporter di Local Call e fra i fondatori del collettivo di fotografi Activestills.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra a Gaza: Il “massacro” israeliano uccide oltre 100 palestinesi in cerca di cibo a Gaza City

Mohammed al-Hajjar a Gaza City, Palestina occupata e Nader Durgham a Beirut

29 febbraio 2024 Middle East Eye

I testimoni raccontano a MEE di essere stati attaccati indiscriminatamente mentre si concentravano intorno a un convoglio di aiuti.

Almeno 104 palestinesi sono stati uccisi e altre centinaia sono stati feriti giovedì quando le forze israeliane hanno sparato contro le persone che si trovavano presso un convoglio di aiuti in al-Rasheed Street a Gaza City, ha dichiarato il Ministero della Sanità palestinese, definendo l’incidente un “massacro”. I residenti di Gaza City si erano riuniti in cerca di cibo, avendo le forze israeliane tagliato fuori completamente l’area dagli aiuti. Le ONG e gli esperti delle Nazioni Unite hanno espresso il timore di una carestia nel nord di Gaza e ci sono state segnalazioni di persone, tra cui bambini, morte di fame. Fares Afana, capo del servizio ambulanze dell’ospedale Kamal Adwan di Gaza, ha detto che i medici hanno trovato “decine o centinaia” di corpi stesi a terra appena giunti sul posto.

Ha detto che alcuni feriti hanno dovuto essere trasportati negli ospedali su carri trainati da asini, poiché non c’erano abbastanza ambulanze per accogliere tutti i morti e i feriti.

Gli ospedali nel nord di Gaza, la maggior parte dei quali sono fuori uso a causa dei ripetuti attacchi israeliani, non sono in grado di gestire il grande afflusso di pazienti.

Ahmad, un 31enne che ha fornito solo il suo nome di battesimo, ha raccontato a Middle East Eye che i camion degli aiuti hanno raggiunto la strada alle 4 del mattino e che le forze israeliane hanno sparato contro le persone che cercavano di raggiungere il convoglio. Ahmad è stato colpito al braccio e alla gamba.

“Gli spari sono stati indiscriminati, la gente è stata colpita alla testa, ai piedi, allo stomaco”, ha detto. Un uomo è stato ucciso e travolto da un carro armato. “L’esercito israeliano ha accusato i palestinesi di essere responsabili di una calca di massa, affermando che: “I residenti hanno circondato i camion e hanno saccheggiato i rifornimenti consegnati. A causa delle spinte, dei calpestamenti e dell’investimento dei camion, decine di gazawi sono rimasti uccisi e feriti”. I video dall’alto mostrano la disperazione dei palestinesi accalcati intorno ai camion. Tuttavia, oltre alle testimonianze, i filmati mostrano chiaramente che durante l’incidente sono stati esplosi pesanti colpi d’arma da fuoco.

Fonti israeliane hanno riferito all’Agenzia France Press che le truppe hanno sparato contro i palestinesi, e una di esse ha detto che i soldati ritenevano che la folla “rappresentasse una minaccia”. Kamel Abu Nahel, il cui piede è stato travolto da uno dei camion, ha detto: ” Se volete mandare gli aiuti in questa maniera, non inviateli.” “Stiamo morendo per avere la farina per i nostri figli”, ha aggiunto. L’attacco arriva mentre il bilancio dei morti palestinesi nella guerra ha superato i 30.000, secondo il Ministero della Sanità palestinese. Reagendo all’attacco, da Oxfam hanno detto di essere “sconvolti” dalle notizie. “Israele prende deliberatamente di mira i civili dopo averli affamati [ed] è una grave violazione delle leggi umanitarie internazionali e della nostra umanità”, ha detto il gruppo di aiuto internazionale. “Il rischio di genocidio è reale.”

Ammar Helo, un palestinese di 30 anni sopravvissuto all’attacco, ha dichiarato a MEE che continuerà a scendere in strada ogni volta che arriveranno i camion degli aiuti, nonostante rischi la sua vita: “Non abbiamo pane, non abbiamo farina, abbiamo mangiato cibo per gli animali”, ha detto. I sopravvissuti hanno raccontato a MEE che anche il cibo per animali si sta esaurendo nel nord. “Giuro che tutta Gaza è distrutta, giuro che un terremoto divino sarebbe stato meglio”.

(Traduzione dall’inglese di Carlo Tagliacozzo)




Israele ha facilitato la crescita di Hamas, dichiara Borrell dell’Unione Europea

Redazione di Middle East Monitor

27 febbraio 2024 – Middle East Monitor

Lunedì il responsabile degli Affari Esteri dell’Unione Europea [UE] Josep Borrell ha affermato che negli anni 80 con le sue politiche Israele ha agevolato la crescita di Hamas. Egli ha criticato Israele in un discorso tenuto ad un forum organizzato presso una università a Madrid.

Io non direi che [Israele] ha finanziato [Hamas] inviando un assegno,” ha spiegato Borrell, “ma ha consentito la crescita di Hamas” come rivale del partito egemone palestinese Fatah. Egli ha ripetuto la sua dichiarazione, fatta nelle ultime settimane secondo cui “Israele ha creato e finanziato Hamas.”

È una “realtà incontestabile”, ha aggiunto il funzionario della UE, che Israele ha scommesso sulla divisione dei palestinesi, creando una forza da opporre a Fatah. Egli ha affermato che si stava riferendo alla ben nota dichiarazione che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha reso pubblicamente davanti alla sua coalizione parlamentare, in cui ha affermato che chiunque si opponga alla soluzione a due Stati deve agevolare il finanziamento di Hamas.

Borrell ha ripetuto il suo supporto per la soluzione a due Stati in base alla quale lo Stato palestinese sarebbe riconosciuto e ha criticato Israele perché si oppone a questa soluzione, ma non ha proposto alcuna alternativa. Ha fatto presente che tutti sembrano essere d’accordo sulla soluzione a due Stati, tranne che il governo Netanyahu, che ha cercato di impedire la realizzazione di questa soluzione per 30 anni.

Descrivendo la risposta militare israeliana a Gaza come “sproporzionata” perché sta causando un eccessivo numero di vittime civili, Borrell ha insistito sul fatto che la sua dichiarazione non è “anti-ebraica”.

Da ottobre Israele sta combattendo una devastante guerra genocida contro la Striscia di Gaza. Ha ucciso e ferito più di 100.000 palestinesi, la maggior parte dei quali minori e donne, e ha creato una catastrofe umanitaria senza precedenti e una estesa distruzione delle infrastrutture civili, portando lo stato di occupazione ad affrontare la Corte Internazionale di Giustizia per accuse di genocidio.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




#AbandonBiden: Gaza sarà il fattore decisivo nelle elezioni americane?

Robert Inlakesh

27 febbraio 2024 – Palestine Chronicle

NOTA DEL DIRETTORE: Martedì lagenzia di stampa Reuters ha riferito che un alto consigliere della campagna del presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha affermato che la loro campagna è stata danneggiata dal sostegno del presidente a Israele.

Sulla base delle interviste a nove mesi dalle elezioni il problema si sta aggravando mentre lopposizione di Biden alla richiesta di un cessate il fuoco permanente continua a suscitare rabbia in una coalizione di elettori che ha favorito la sua vittoria nel 2020, dai neri americani agli attivisti musulmani, fondamentali per la vittoria nel Michigan, ai giovani elettori, ha riferito Reuters.

Nel seguente rapporto di Robert Inlakesh approfondiamo la questione sul come il voto americano arabo/musulmano potrebbe influenzare le possibilità di una rielezione di Biden in relazione alla posizione della sua amministrazione sul genocidio israeliano in corso a Gaza.

A meno di un anno dalle elezioni presidenziali americane la candidatura per la rielezione di Joe Biden è messa in discussione dagli elettori musulmani e arabo americani che ritengono che il loro attuale presidente li abbia traditi.

Allinizio di dicembre i leader musulmano americani di tutti gli Stati Uniti hanno lanciato la campagna #AbandonBiden, nel tentativo di porre il presidente degli Stati Uniti di fronte alle sue responsabilità riguardo il suo rifiuto di porre fine allo spargimento di sangue a Gaza. Mentre la campagna cresceva figure di spicco musulmane e arabe allinterno del Paese hanno cominciato a esprimere pubblicamente il ritiro della loro intenzione di voto per il candidato del Partito Democratico, per nulla turbate dallaccusa che avrebbero consentito una vittoria dellex presidente repubblicano Donald Trump.

Come ha affermato linfluente comico egiziano americano Bassem Yousef, tutto ciò che abbiamo chiesto (a Joe Biden) è un cessate il fuoco. Porre fine al massacro. Porre fine al massacro. Adesso vuoi ricattarci con i diritti in materia di riproduzione e i diritti delle minoranze?”.

Ha concluso il suo discorso affermando: non mi farò ricattare attraverso le affermazioni che starei permettendo a Trump di vincere, i democratici hanno fatto tutto da soli e non possono continuare a fingere di essere dalla nostra parte”.

Sebbene i media statunitensi abbiano cercato di minimizzare l’efficacia della campagna Abandon Biden, le conseguenze per il Partito Democratico sono ormai inevitabili. A Dearborn, nel Michigan, Abdullah Hammoud, il sindaco eletto nel luogo di maggiore concentrazione di elettori arabi di uno Stato decisivo anche per questa ragione, si è rifiutato insieme a molti altri leader arabo americani di incontrare a gennaio Joe Biden.

Voice of America, finanziata dallo Stato americano, ha persino iniziato a parlare dell’uscita degli arabo americani dal Partito Democratico, pubblicando un articolo intitolato “Biden non farà pressioni per il cessate il fuoco a Gaza e di conseguenza Trump potrebbe vincere”, in cui si riferisce che gli arabo americani che in passato hanno votato democratico provano dolore e senso di tradimento, una rabbia cocente e una forte avversione a votare per Biden”.

In una nazione di circa 3,7 milioni di cittadini arabi, secondo i dati raccolti dallArab American Institute, questo gruppo minoritario, apparentemente piccolo, in tempo di elezioni potrebbe fare unenorme differenza per la campagna di Biden.

Oltre agli arabo americani, che sono una popolazione a maggioranza cristiana, il Council on American-Islamic Relations (CAIR) ha pubblicato dati che indicano che negli Stati Uniti sono registrati circa 2 milioni di elettori musulmani. Da parte di entrambe le popolazioni, spesso erroneamente confuse, dato che sono in maggioranza sovrapponibili, è stato ampiamente espresso il malcontento per la gestione della guerra a Gaza da parte dellamministrazione Biden.

Come già rilevato, durante le elezioni presidenziali del 2020 Joe Biden è riuscito a vincere nello Stato del Michigan con un sottile margine di 150.000 voti. Questa volta si dice che nel Michigan ci siano oltre 206.000 elettori musulmani americani registrati e molti di loro nel 2020 hanno votato democratico.

Da tenere in considerazione nellequazione è anche il fatto che i leader arabo-americani hanno svolto e stanno svolgendo un ruolo nel parlare ai loro connazionali americani di ogni ceto sociale, convincendoli ad adottare la stessa posizione contro Joe Biden; per metterlo di fronte alla sua responsabilità riguardo a ciò che ha permesso che Israele facesse a Gaza.

Più in generale, circa l80% degli americani ha espresso il desiderio di un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Ora, con leccezione di alcuni piccoli Paesi insulari, sono Israele e lamministrazione statunitense Biden a restare isolati davanti alle Nazioni Unite sulla questione del cessate il fuoco. Questo mentre gli Stati Uniti hanno usato ancora una volta il loro potere di veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per respingere una proposta algerina che chiedeva la cessazione immediata delle ostilità.

– Robert Inlakesh è un giornalista, scrittore e regista di documentari. Si occupa di Medio Oriente in particolare della Palestina. Ha scritto questo articolo per The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Oltre 2/3 degli ebrei israeliani si oppongono agli aiuti umanitari ai palestinesi che muoiono di fame a Gaza

Jonathan Ofir

23 Febbraio 2024-Mondoweiss

Un nuovo sondaggio dell’Israeli Democracy Institute mostra che il 68% degli ebrei israeliani si oppone “al trasferimento di aiuti umanitari ai residenti di Gaza”.

È un dato scioccante. L’Israeli Democracy Institute ha pubblicato questa settimana un sondaggio che dimostra che oltre i 2/3 degli ebrei israeliani – cioè il 68% – si oppongono “in questo momento al trasferimento di aiuti umanitari ai residenti di Gaza

La situazione è anche peggiore: il sondaggio ha cercato di escludere qualsiasi possibile opposizione all’UNRWA (contro cui Israele si sta scagliando) o alle autorità di Hamas (che Israele considera terroristi). Inutilmente. Oltre due terzi si oppongono comunque agli aiuti umanitari “tramite organismi internazionali che non siano collegati ad Hamas o all’UNRWA… La maggioranza degli intervistati ebrei (68%) si oppone al trasferimento di aiuti umanitari anche in queste condizioni”, rileva il sondaggio.

I numeri sono peggio quando si tratta degli ebrei israeliani di destra, dove l’opposizione è all’80% – quattro su cinque. E si consideri che circa 2/3 degli elettori israeliani sono considerati di destra.

Qui bisogna davvero fermarsi. Ci troviamo in una situazione in cui i palestinesi di Gaza muoiono di fame, le persone disperate consumano mangimi per animali. Questa settimana il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite ha riferito che le persone a Gaza stanno “già morendo per cause legate alla fame” e uno screening nutrizionale dell’UNICEF nel nord di Gaza ha rilevato che 1 bambino su 6 sotto i due anni è gravemente malnutrito. Gli israeliani non ignorano affatto questi dati. Stanno sostenendo il genocidio a stragrande maggioranza.

È ormai prassi comune nella società israeliana discutere a partire da quale età sia accettabile che i bambini muoiano di fame. Una recente discussione sul programma di notizie dell’emittente pubblica più popolare ha raggiunto un consenso tra un ex funzionario del Mossad e la conduttrice veterana sul fatto che è legittimo che i bambini di età superiore ai 4 anni muoiano di fame.

Gran parte del mondo, compresi gli Stati Uniti, sembra negare quanto sia omicida ed esplicitamente genocida la società israeliana. Nancy Pelosi continua a parlare di Israele come “l’unica democrazia nella regione” mentre gli stessi israeliani sostengono la morte per fame dei bambini. La gente semplicemente non sembra capirlo.

L’aiuto umanitario è stato uno dei punti principali dell’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennaio, emessa quando la corte ha ritenuto plausibile che Israele stesse commettendo un genocidio, secondo l’accusa del Sud Africa. Era il punto 4 dei 6, che afferma:

Lo Stato di Israele adotterà misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura dei servizi di base e dell’assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le condizioni di vita avverse affrontate dai palestinesi nella Striscia di Gaza”.

Anche il giudice israeliano aggiunto appositamente alla Corte, Aharon Barak, che ha votato contro 4 delle 6 misure urgenti, ha votato a favore di questa (è stata approvata 16 a 1, con l’eccezione della giudice ugandese Julia Sabutinde che ha votato recisamente contro tutte le misure).

È una cosa così basilare, un bisogno così fondamentale – anche in guerra, quando ci si oppone a una questione così fondamentale diventa qualcosa di diverso dalla guerra: diventa un genocidio. Come stiamo assistendo.

Questo sondaggio sembra solo confermare ciò che abbiamo già visto. I manifestanti israeliani hanno bloccato i camion degli aiuti al confine meridionale vicino a Rafah. Si sarebbe forse tentati di inquadrarli come estremisti marginali, ma il sondaggio mostra che sono la maggioranza. Il sondaggio afferma anche che i leader israeliani come il ministro della Difesa Yoav Galant, che all’inizio del genocidio disse: “Ho ordinato un assedio totale sulla Striscia di Gaza – niente elettricità, niente cibo, niente gas, tutto è chiuso – stiamo combattendo animali umani e noi agiamo di conseguenza”, rappresentano la maggioranza della popolazione.

Questo è il peggior livello di disumanizzazione nella società israeliana che posso ricordare da quando vi sono nato 52 anni fa. Naturalmente, questa disumanizzazione non è iniziata il 7 ottobre, esisteva molto prima che io nascessi e anche prima che esistesse lo Stato. Ma ora sembra essere giunto al culmine. Agli israeliani non sembra importare più nemmeno di mantenere una parvenza di tolleranza: sono entrati in una vera e propria modalità di genocidio. E quando dico disumanizzazione, non sono solo i palestinesi ad essere disumanizzati in questo processo. Gli israeliani si stanno riducendo a un livello di barbarie. È qualcosa che abbiamo fatto a noi stessi mentre ci convincevamo che uccidere decine di migliaia di palestinesi ci avrebbe salvato in qualche modo da questo abisso. Non è così.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Unicef: La malnutrizione in aumento minaccia la vita dei minori a Gaza

Redazione di Palestine Chronicle

 20 febbraio 2024 – Palestine Chronicle

L’UNICEF afferma che la scarsità di cibo e di acqua potabile sta mettendo in pericolo l’alimentazione e il sistema immunitario di donne e bambini e comporta un aumento della malnutrizione acuta

Il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) afferma che nella Striscia di Gaza il forte aumento della malnutrizione tra i bambini, le donne gravide e in allattamento pone in grave pericolo la loro salute.

Citando una nuova analisi complessiva resa nota dal Global Nutrition Cluster [Gruppo per la Nutrizione Globale], l’UNICEF afferma che, mentre il conflitto in corso a Gaza entra nella ventesima settimana, cibo e acqua potabile sono diventati assolutamente scarsi e le malattie dilagano.

Ciò “compromette l’alimentazione e il sistema immunitario di donne e bambini e comporta un aumento della malnutrizione acuta,” ha affermato lunedì l’UNICEF in un comunicato.

Il rapporto “Gaza: Vulnerabilità Nutrizionale e Analisi della Situazione” rileva che le condizioni sono particolarmente gravi nel nord della Striscia di Gaza, che è stata quasi completamente tagliata fuori per settimane dagli aiuti.

“Controlli nutrizionali condotti nei rifugi e nei centri sanitari del nord hanno rilevato che il 15,6%, o 1 bambino su 6 sotto i due anni di età, è gravemente malnutrito,” sostiene il comunicato.

Di questi quasi il 3% soffre di “un grave deperimento, la forma di malnutrizione potenzialmente più letale,” che mette ad altissimo rischio di complicanze mediche e morte i bambini piccoli se non ricevono cure urgenti.

“Poiché i dati sono stati raccolti a gennaio, la situazione probabilmente oggi è persino più grave.”

Controlli simili effettuati nel sud della Striscia di Gaza, a Rafah, dove i soccorsi sono stati più accessibili,“ hanno rilevato che il 5% dei bambini sotto i 2 anni sono gravemente malnutriti.”

Morti infantili evitabili

L’UNICEF afferma che questa è una prova evidente che l’accesso agli aiuti umanitari è necessario e può aiutare ad evitare le conseguenze peggiori.

“Ciò rafforza anche gli appelli delle agenzie [umanitarie] per proteggere Rafah dalla minaccia di operazioni militari più intense,” aggiunge.

“La Striscia di Gaza sta per assistere a un aumento esponenziale di morti infantili evitabili che aggraverebbe il già intollerabile livello di bambini uccisi a Gaza,” afferma il vicedirettore esecutivo per le Azioni Umanitarie e le Operazioni di Approvvigionamento dell’UNICEF, Ted Chaiban.

“Per settimane abbiamo avvertito che la Striscia di Gaza è sull’orlo di una crisi alimentare,” sottolinea Chaiban.

“Se il conflitto non finisce adesso l’alimentazione dei bambini continuerà a ridursi, portando alla morte evitabile o a problemi di salute che colpiranno i bambini di Gaza per il resto della loro vita e avranno potenzialmente conseguenze per le future generazioni.

Quantità di cibo ridotte

Il comunicato aggiunge che c’è un alto rischio che la malnutrizione continui ad aumentare nella Striscia di Gaza a causa dell’allarmante mancanza di cibo, acqua e servizi sanitari e nutrizionali.

Al momento “il 90% dei bambini al di sotto dei 2 anni d’età e il 95% delle donne gravide e in allattamento deve affrontare una gravissima carenza di cibo; il 95% delle famiglie riceve una limitata quantità di alimenti, il 64% delle famiglie consuma solo un pasto al giorno; oltre il 95% delle famiglie afferma di aver ridotto la quantità di cibo degli adulti per garantire che i bambini piccoli possano alimentarsi.

La vicedirettrice esecutiva dei Programmi Operativi del WFP, Valerie Guarnieri, afferma che il forte aumento della malnutrizione “che stiamo vedendo a Gaza è pericoloso e assolutamente evitabile.”

Afferma che in particolare bambini e donne hanno bisogno di un accesso costante a cibo sano, acqua potabile e servizi per la salute e la nutrizione.

“Perché ciò avvenga abbiamo bisogno di un deciso miglioramento dell’accesso alla sicurezza e umanitario e un maggior numero di punti di accesso per gli aiuti a Gaza.”

Il rapporto riscontra che almeno il 90% dei bambini con meno di cinque anni è colpito da una o più malattie infettive. Il 70% ha avuto la diarrea nelle ultime due settimane, un incremento di 23 volte rispetto ai dati del 2022.

Fame e malattie

“Fame e malattie sono una combinazione letale,” afferma il dott. Mike Ryan, direttore esecutivo del Programma di Emergenza Alimentare dell’OMS.

“Bambini affamati, indeboliti e profondamente traumatizzati sono più soggetti ad ammalarsi, e bambini malati, soprattutto con la diarrea, non possono assorbire bene le sostanze nutritive. È pericoloso, e tragico, e sta avvenendo sotto i nostri occhi.”

UNICEF, WFP e OMS invocano un accesso sicuro, senza ostacoli e costante per distribuire urgentemente assistenza umanitaria multisettoriale nella Striscia di Gaza, afferma la dichiarazione.

“Un immediato cessate il fuoco umanitario continua a rappresentare la migliore possibilità di salvare vite e porre fine alle sofferenze,” sottolinea.

Numero di vittime in crescita

Secondo il ministero della Sanità di Gaza 29.092 palestinesi sono stati uccisi e 69.028 feriti nel genocidio israeliano in corso a Gaza iniziato il 7 ottobre.

Inoltre almeno 7.000 persone sono disperse, presumibilmente morte sotto le macerie delle loro case nella Striscia.

Organizzazioni palestinesi e internazionali affermano che la maggioranza dei morti e feriti sono donne e bambini.

L’aggressione israeliana ha comportato anche l’evacuazione forzata di quasi due milioni di persone da tutta la Striscia di Gaza, e la grande maggioranza dei profughi sono stati ammassati nella sovraffollata città meridionale di Rafah, nei pressi del confine con l’Egitto, in quello che è diventato il più grande esodo di massa dei palestinesi dalla Nakba [la catastrofe, la pulizia etnica da cui è nato Israele, ndt.] del 1948.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)