Il New York Times ha un orribile pregiudizio anti-palestinese

BEN BURGIS

29 febbraio 2024 – Jacobin

Il fatto che il New York Times abbia affidato la sua inchiesta sulle denunce di aggressioni sessuali del 7 ottobre ad Anat Schwartz, una giornalista non professionista con convinzioni antipalestinesi e rapporti con l’esercito israeliano, è un esempio estremo della indefettibile tendenziosità del giornale a favore di Israele.

Il New York Times forse è il quotidiano più prestigioso del mondo anglofono. I suoi articoli hanno ottenuto 132 premi Pulitzer, a cominciare da quello che il giornale ricevette nel 1918 per i suoi servizi sulla Prima Guerra Mondiale. Ne ha aggiunti altri tre solo l’anno scorso.

In un’epoca in cui è diventato sempre più comune per i lettori vantarsi non di leggere o vedere reportage oggettivi ma piuttosto di consultare fonti “delle due parti”, il Times può essere percepito come la reliquia di un tempo passato, quando vigeva ancora l’ideale della neutralità. Il giornale è stato storicamente soprannominato “La Vecchia Signora”, sia per la sua tradizione di stamparlo solo in bianco e nero – non ha iniziato a includere immagini a colori fino agli anni ’90 – e per una certa etica di prudenza e accuratezza giornalistiche.

Tuttavia, come ha evidenziato Mona Chalabi, una delle giornaliste che ha aggiunto un Pulitzer al giornale lo scorso anno, una delle aree in cui questa reputazione è più difficile da conciliare con la realtà è l’informazione del Times su Israele/Palestina. Poco prima di presentarsi alla cerimonia del Pulitzer a novembre Chalabi ha postato sulla sua pagina Instagram un grafico che fa un bilancio devastante.

Persino mentre il numero di morti palestinesi rende minimo quello degli israeliani – le stime attuali del numero di civili israeliani uccisi il 7 ottobre è di centinaia, mentre decine di migliaia di civili palestinesi sono stati uccisi durante i molti mesi di brutale rappresaglia israeliana – il Times ha destinato molta più attenzione ai morti israeliani. Di fatto, come mostra la tabella, la disconnessione dalla realtà è effettivamente aumentata nello stesso momento in cui i morti palestinesi stavano aumentando in modo esponenziale.

Più di recente la polemica sulla giornalista freeelance del Times Anat Schwartz ha rivelato l’orribile profondità della tendenziosità. Nonostante non abbia esperienza giornalistica, ha fatto parte del piccolo gruppo di reporter designati a coprire una delle vicende più delicate e importanti di cui il Times si è occupato da quando è iniziata la guerra di Israele contro Gaza: le accuse secondo cui Hamas avrebbe sistematicamente utilizzato aggressioni sessuali come arma di guerra durante l’attacco del 7 ottobre. Da allora dettagli fondamentali di questa vicenda si sono dimostrati discutibili, e Schwartz ha evidenziato di essere quanto più lontana si possa immaginare da una giornalista neutrale.

Prima di diventare regista – e, improvvisamente lo scorso anno, giornalista freelance del New York Times — Schwartz ha fatto parte del reparto di intelligence dell’aviazione militare israeliana. E le sue opinioni sul conflitto israelo-palestinese, che sono di dominio pubblico, tendono a un razzismo genocida.

Anat Schwartz e il New York Times

La firma di Schwartz è comparsa, insieme a quelle di suo nipote Adam Sella e dell’esperto giornalista Jeffrey Gettleman, in un articolo intitolato “Urla senza parole: come Hamas ha utilizzato sistematicamente la violenza sessuale il 7 ottobre”. L’articolo è stato scelto per una lode speciale dal direttore esecutivo del Times, Joe Kahn, che in una mail alla redazione ha affermato: “Il gruppo” di Gettleman, Schwartz e Sella ha trattato una vicenda “molto politicizzata e delicata” in “modo sensibile e dettagliato”.

Da allora l’articolo è stato messo sotto accusa per evidenti imprecisioni. In particolare, circa un terzo dell’articolo è stato dedicato fondamentalmente a un solo incidente: il presunto stupro di Gal Adbush, uccisa il 7 ottobre, diventata nota come “la donna vestita di nero” per la sua apparizione in un video che la mostra a terra morta con il corpo in parte denudato. Il video non mostra un’aggressione sessuale, anche se alcuni osservatori l’hanno interpretato come una prova che avrebbe potuto avvenire in precedenza.

Un successivo reportage della pubblicazione progressista ebraica Mondoweiss ha messo in dubbio praticamente ogni elemento di questo articolo:

“Al momento non c’è alcuna traccia del video su internet, nonostante le affermazioni del Times secondo cui “è diventato virale”. Oltretutto la stampa israeliana, benché abbia raccontato centinaia di vicende sulle vittime del 7 ottobre, non ha mai citato “la donna vestita di nero” neppure una volta prima dell’articolo del 28 dicembre. Non sembra che il video di fatto sia diventato il simbolo ampiamente diffuso che il Times sostiene sia. Ma comunque dopo un giorno dalla pubblicazione del reportage sono emersi fatti che smentiscono l’articolo del Times.

In particolare i genitori e i fratelli di Adbush hanno strenuamente smentito l’idea che ci sia una qualche prova del fatto che Gal sia stata stuprata ed hanno manifestato disgusto nei confronti del comportamento dei giornalisti del Times. Non hanno interpretato il video nello stesso modo e dicono che non avrebbero collaborato con l’articolo se avessero saputo che sarebbe stato centrato su queste accuse.

Per essere chiari, niente di quanto detto intende affermare che nessuna donna o ragazza israeliana sia stata violentata il 7 ottobre. Anche se Adbush non è stata una di loro, sarebbe sorprendente se il 7 ottobre fosse la prima volta nella storia dell’umanità che migliaia di soldati infuriati ed esaltati siano stati mandati in territorio nemico per una missione che include l’uccisione e il rapimento a caso di civili senza che nessuno di questi soldati abbia commesso alcuna aggressione sessuale.

Ma la specifica accusa fatta da Schwartz e dai suoi co-autori in “Urla senza parole” è che “le aggressioni contro le donne non sono state eventi isolati ma parte di un modello di comportamento più generale.” È un’accusa estremamente grave e la posta in gioco è molto alta. Un organo informativo con valori etici se ne sarebbe occupato con cautela e avrebbe controllato rigorosamente ogni dettaglio.

La posta in gioco è alta perché la narrazione dello Stato di Israele sugli avvenimenti del 7 ottobre, che ha incluso una pesante insistenza sulle aggressioni sessuali, è stata utilizzata per giustificare atrocità su grande scala. Nel momento in cui scrivo 1,9 milioni dei 2.3 milioni di abitanti di Gaza sono stati espulsi dalle loro case e la fame sta dilagando. Le Forze di Difesa Israeliane [l’esercito israeliano, ndt.] (IDF) sono state così metodiche nel loro obiettivo di distruggere le infrastrutture civili del territorio che l’ultima università rimasta a Gaza è stata distrutta con una esplosione controllata. Decine di migliaia di civili, tra cui oltre dodicimila bambini, sono stati uccisi. E, con un colpo di scena deprimente ma prevedibile, ci sono prove credibili che le atrocità israeliane abbiano incluso violenze sessuali, il che non sarebbe una novità.

Proprio a causa della gravità dei crimini sessuali e della giustificazione che essi spesso conferiscono ai nemici di chi li ha commessi, è estremamente importante avere una chiara e concreta attendibilità delle prove. Quanto ci vorrà – quanto ci vorrebbe – perché un giornale come il New York Times dichiari che aggressioni sessuali da parte di membri delle IDF sono “non incidenti isolati ma parte di un modello di comportamento più generale?”

È possibile immaginare che il Times assegni un articolo che faccia una simile accusa a un gruppo di tre giornalisti, uno dei quali membro di Hamas senza esperienze giornalistiche che non abbia mai preso le distanze dal suo passato e un altro che sia nipote dell’ex membro di Hamas? Se ciò per qualche ragione avvenisse, potete immaginare che l’articolo poi venga gestito senza verificare accuse cruciali, persino mentre i genitori e fratelli della principale presunta vittima negassero chiaramente che lo stupro fosse avvenuto?

Se potete arrivare con la vostra immaginazione così lontano, aggiungete un dettaglio in più. Immaginate che l’ex membro di Hamas abbia recentemente approvato sulle reti sociali post che chiedono l’uccisione di massa di israeliani, e che lo abbia fatto molto prima che la sua firma apparisse per la prima volta sul Times.

In effetti il più recente cambiamento nella saga di Schwartz è che si è scoperto che lei, prima che il suo lavoro comparisse sul Times, aveva approvato un grottesco post che definiva i palestinesi “animali umani” e chiedeva che Gaza venisse “trasformata in un mattatoio”. Il post proponeva anche che Israele abbandonasse l’idea di “proporzionalità” a favore di una “risposta sproporzionata” e incoraggiava le IDF a “violare ogni regola” per garantire la vittoria.

Perché Chomsky digrigna i denti

Molto chiaramente Schwartz è uno dei sintomi di un problema molto più generale riguardo alla copertura di Israele/Palestina pubblicata dal New York Times. Un indizio di come abbia potuto avvenire viene da uno sguardo più attento sul direttore esecutivo succitato.

Come hanno scritto su Intercept Ryan Grim e Daniel Boguslaw, il padre di Kahn, Leo Kahn, è stato per molto tempo consigliere del Committee for Accuracy in Middle East Reporting and Analysis [Comitato per l’Accuratezza dell’Informazione e dell’Analisi sul Medio Oriente] (CAMERA), che intendeva imporre l’adesione a una linea filo-israeliana nell’informazione dei mezzi di comunicazione “denigrando giornalisti con il cui lavoro era in disaccordo e lanciando campagne di boicottaggio contro organizzazioni di comunicazione che ritiene non rispondano con sufficiente acquiescenza alle sue richieste.” E, secondo lo stesso profilo di Joe Kahn pubblicato dal Times quando è diventato direttore esecutivo del giornale nel 2022, padre e figlio “spesso ‘hanno analizzato insieme l’informazione giornalistica’”. Mentre il Times nega che CAMERA abbia una particolare influenza sulle sua informazione, Grim e Boguslaw notano che il livello di adesione del giornale alle continue richieste di CAMERA” è “in sorprendente contrasto con la sua tradizionale resistenza a correggere i propri articoli.”

Né, osservano, questo è l’unico rapporto familiare che suscita serie domande riguardo alla capacità del giornale di informare su Israele/Palestina in accordo con la sua aura di pesante integrità giornalistica. “Nel corso degli ultimi 20 anni i figli di tre giornalisti del Times si sono arruolati nelle IDF mentre i genitori coprivano questioni riguardanti il conflitto israelo-palestinese,” notano gli autori di Intercept.

Tuttavia sotto la superficie di questi strati di tendenziosità antipalestinese potrebbe esserci una questione più profonda e più semplice. Come hanno sostenuto Noam Chomsky e il defunto coautore Edward Herman in Manufacturing Consent [La fabbrica del consenso. La politica e i mass media, Il Saggiatore, 2014], uno dei pregiudizi caratteristici dei mezzi di comunicazione più importanti in generale – di cui il New York Times è stato emblematico molto prima dell’inizio di questi recenti drammatici conflitti di interesse – sono state la profonda deferenza e l’affinità ideologica rispetto alla sicurezza nazionale statunitense.

Questo era vero per come hanno informato sulla guerra del Vietnam quando i presidenti Lyndon B. Johnson e Richard Nixon bombardavano a tappeto quel Paese per reprimere una rivoluzione contadina. Lo era nella guerra contro l’Iraq, quando il Times pubblicò acriticamente le menzogne dell’amministrazione di George W. Bush sulle “armi di distruzione di massa”. Non dovremmo sorprenderci di scoprire che è vero riguardo a Gaza, dove il massacro di massa e l’espulsione di civili vengono portati avanti con fondi e armi americani.

Questa dinamica ha ispirato una classica storiella riguardo a una visita di Chomsky dal dentista. Come raccontato da Gore Vidal e Christopher Hitchens, il dentista disse a Chomsky: “I tuoi denti sono a posto, ma devi smettere di digrignarli.” Chomsky smentì di digrignare i denti, e il dentista gli garantì che lo faceva, come evidenziato dal fatto che il suo smalto era consumato. Era presente la moglie di Chomsky, che assicurò al dentista che Noam non digrignava i denti di notte mentre dormiva. In seguito la coppia capì. Noam digrignava i denti quando la signora Chomsky era fuori dalla stanza mentre lui beveva il suo caffè mattutino “e leggeva il New York Times.

Collaboratore

Ben Burgis è editorialista di Jacobin, docente di filosofia a contratto alla Rutgers University e conduttore del programma e podcast di YouTube Give Them An Argument [Date loro un argomento]. E’autore di vari libri, il più recente dei quali è Christopher Hitchens: What He Got Right, How He Went Wrong, and Why He Still Matters [Christopher Hitchens: quello che ha fatto bene, come si è sbagliato e perché è ancora importante. Hitchen è stato un intellettuale e giornalista britannico naturalizzato statunitense originariamente trotzkista e passato poi a posizioni di destra, ndt.].

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Coloni israeliani entrano a Gaza per fondare un avamposto ‘simbolico’

Oren Ziv

1 marzo 2024 – +972 Magazine

Decine di coloni e attivisti di destra hanno assaltato il valico di Erez e costruito due strutture di legno senza che soldati e polizia intervenissero.

Ieri pomeriggio oltre 100 israeliani hanno assaltato il valico di Erez nel nord di Gaza nel più significativo tentativo di ristabilire colonie ebraiche nella Striscia dall’inizio della guerra. Un gruppetto è riuscito a penetrare a Gaza per parecchie centinaia di metri prima di essere intercettato da soldati israeliani, mentre circa altri 20 sono entrati nell’area fra i due muri che costituiscono la barriera che cinge la Striscia. Là hanno stabilito un “avamposto” nello stile che si vede comunemente in Cisgiordania, costruendo per parecchie ore senza interventi da parte di esercito o polizia. 

Dai primi momenti della guerra è stato chiaro che i politici israeliani di destra e i leader dei coloni hanno percepito l’opportunità di cambiare radicalmente lo status quo in Israele-Palestina. Per mesi ci sono state richieste sempre più pressanti, non ultima a gennaio in un’importante conferenza a Gerusalemme in cui alti funzionari hanno presentato i loro piani per rioccupare Gaza, spesso mentre si chiedeva contestualmente di espellere dalla Striscia i suoi 2.3 milioni di abitanti palestinesi. In parallelo attivisti di destra, quasi tutti giovani, hanno cominciato regolarmente a dimostrare contro l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia nei pressi della recinzione di Gaza. Tuttavia l’azione di ieri ha marcato un nuovo picco nelle loro attività. 

Verso le 14 gli attivisti hanno cominciato a riunirsi in una stazione ferroviaria a Sderot, città nel sud di Israele vicino a Gaza. In quel punto di incontro iniziale per quella che era ufficialmente una “protesta” per rendere onore a Harel Sharvit, un colono ucciso mentre prestava servizio a Gaza, l’atmosfera era calma, persino sonnolenta. Un’auto della polizia è passata nei pressi senza reagire a quanto stava avvenendo. Da qui gli attivisti si sono mossi in auto private verso il checkpoint di Erez, l’unico valico civile fra Israele e la Striscia di Gaza, classificato dall’esercito israeliano come “zona militare chiusa” da quando è stata brevemente occupata dai palestinesi nel corso dell’attacco guidato da Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre. 

Arrivati vicino al posto di blocco gli attivisti sono usciti dalle loro auto e hanno iniziato una manifestazione. A questo punto hanno incontrato un altro convoglio di veicoli pieni di “giovani delle colline”, giovani coloni violenti che regolarmente stabiliscono nuovi avamposti in Cisgiordania e attaccano i palestinesi per costringerli a lasciare le loro terre. Almeno due di loro erano armati di fucili come quelli usati dall’esercito, e hanno portato materiali da costruzione per erigere un avamposto. 

A un certo punto alcuni di loro hanno cominciato a correre verso il posto di blocco e sono riusciti ad attraversarlo non ostacolati dai pochi soldati presenti incapaci di fermarli. Nello spazio fra i due muri che circondano la Striscia circa una ventina di loro ha cominciato a erigere due strutture usando i materiali che avevano portato: assi e pali di legno e lamiere di ferro per i tetti. Nel frattempo un gruppetto di giovani coloni è penetrata di corsa ancora più dentro Gaza, sempre senza che i soldati glielo impedissero.

Le radio dei soldati hanno ricevuto il messaggio che un certo numero di persone era entrato a Gaza e sono stati mandati jeep militari e persino due carri armati per cercarli. Circa mezz’ora dopo una jeep militare ha riportato i giovani sul lato israeliano del valico senza arrestarli. Sono usciti dalla jeep fra gli applausi degli altri attivisti, unendosi al gruppo più grande che cantava “È nostra.”

Per parecchie ore chi era arrivato nello spazio fra i due muri ha continuato senza impedimenti a costruire l’avamposto che hanno chiamato New Nisanit, come una delle colonie di Gaza abbandonate come parte del “disimpegno” del 2005. Come in Cisgiordania i soldati sono rimasti nei pressi a offrire protezione invece di cercare di fermarli.

Questo è il nostro Paese’

Amiel Pozen e David Remer, entrambi diciottenni, sono due dei coloni che sono riusciti a penetrare per circa 500 metri entro Gaza. Dopo essere stati prelevati e riportati al posto di blocco dall’esercito israeliano hanno parlato con +972

Non avevamo paura di entrare (a Gaza), il Santo è con noi e le Forze di difesa israeliane erano lì per aiutarci,” ha detto Remer. “Noi siamo venuti qua (perché) vogliamo tornare a casa. Io vivo in una comunità di deportati da Gush Katif (blocco di insediamenti ebraici a Gaza sfollato nel 2005) e abbiamo voluto ritornarci. Dopo tutto quello che è successo non c’è dubbio che dobbiamo ritornarci. 

La sensazione è molto bella, come tornare a casa,” ha continuato Remer. “È nostra. Il Santo, che Egli sia benedetto, ha detto che è nostra. Se non ci saremo noi sappiamo cosa ci sarà.”

Pozen ha aggiunto: “Siamo venuti in rappresentanza dell’intera popolazione, del popolo ebraico. Noi vogliamo ritornare in tutta la Terra di Israele, in tutte le parti della nostra Terra Santa. Non ci sono ‘due stati per due popoli’, è sbagliato. Il popolo di Israele appartiene alla Terra di Israele.”

Riguardo alla possibilità di persuadere il governo a sostenere il reinsediamento a Gaza Pozen ha affermato: “Vorrei che il governo capisse (ciò che) la maggioranza delle persone ha già capito: noi siamo qui. È nostra. Non ci sono ostacoli politici o internazionali. Non dobbiamo tenere nessun altro in considerazione. È una questione interna. Dobbiamo andare a Gaza, distruggere tutti i terroristi là e costruirvi noi.”

Un altro dei coloni fermati dall’esercito dopo essere penetrato in profondità dentro Gaza ha mostrato ai suoi amici sul cellulare la foto di una pianta di fragole in un orto palestinese dicendo: “Guardate com’è bello il Paese.”

Nel corso della serata i giovani coloni hanno continuato ad aggirare l’esercito e a correre verso l’avamposto. Molti l’hanno fatto strisciando in un buco nella recinzione probabilmente creato durante gli eventi del 7 ottobre, finché i soldati non hanno portato un bulldozer per chiuderlo con del terriccio.

Molti dei giovani erano delle stesse organizzazioni che hanno passato parecchie delle scorse settimane cercando, spesso senza successo, di impedire agli aiuti umanitari di raggiungere Gaza. Ai loro occhi c’è un legame fra il trattenimento degli aiuti per i palestinesi e la rifondazione di colonie ebraiche a Gaza: entrambi sono visti come un mezzo per ottenere una “vittoria” decisiva.

Mechi Fendel, un’attivista di destra di Sderot, ha detto a +972: “Siamo venuti qui ad affermare che il giorno dopo la fine della guerra dobbiamo insediarci ed espandere le città ebraiche su tutta la Striscia di Gaza. Perché se non lo facessimo diventerà come un nido di vespe. Non si può lasciare un vuoto. Non c’è motivo per volere che si ripeta. Io vivo a un chilometro dalla Striscia di Gaza. Non posso avere dei terroristi come vicini e il 7 ottobre ci hanno fatto vedere di cosa sono veramente capaci.”

Per quanto riguarda la costruzione di un avamposto vicino alla recinzione ha spiegato: “Far vedere che abbiamo costruito due case è un atto simbolico. Sono venuti con queste grosse assi di legno e in pratica hanno costruito due strutture qui nella Striscia di Gaza. Naturalmente è simbolico perché non ci passeranno la notte. Ma il punto è: qui è dove dobbiamo stare. Questo è il nostro Paese. Non possiamo lasciare disabitata un’intera striscia di terra.”

E cosa succederebbe ai palestinesi di Gaza se si stabilissero delle colonie ebraiche? “Se sono disposti ad accettare la giurisdizione israeliana, a lasciarci entrare e controllare il loro sistema educativo e aiutarli finanziariamente, allora, se sono pacifici, lasciamoli stare,” ha sostenuto Fendel. “Fino ad ora non ho mai trovato un palestinese che sia pacifico. Come ho scritto, i lavoratori palestinesi (che lavorano in Israele) per decine di anni sono diventati terroristi in un secondo.

Penso che il governo quando vedrà che noi siamo con loro, che il popolo lo vuole, sarà d’accordo,” ha continuato. “Perché neanche il governo vuol vedere nascere un nido di vespe. Penso che se noi abbiamo le persone e la volontà e facciamo vedere di essere là, siamo coraggiosi e vogliamo farlo, il governo ci aiuterà.”

Prima gli assalti dei soldati, adesso dei coloni’

Le dinamiche hanno ricordato le tipiche scene in Cisgiordania, con i coloni a cui viene data la libertà di azione mentre i soldati restano a guardare nonostante siano in una zona militare chiusa e alcuni di loro entrino persino in una zona di combattimento. Si sono visti alcuni dei soldati abbracciare gli attivisti. Un soldato ha detto a +972 che loro li sostengono e che il problema sono “i media che vogliono azione per filmare i soldati che picchiano ebrei.”

Anche se i soldati hanno l’autorità di sottoporre a fermo dei cittadini israeliani, e lo hanno fatto con giornalisti e altri civili che negli ultimi mesi si sono avvicinati alla recinzione, invariabilmente evitano di trattenere coloni che infrangono la legge in Cisgiordania, e è successo anche ieri. Uno degli attivisti, che ha detto a +972 di essere un soldato non in servizio che portava la sua arma militare su abiti civili, ha riferito di aver lasciato prima l’area perché i soldati l’hanno avvisato che l’avrebbero “buttato fuori dall’esercito.”

 I soldati parlano con calma con gli attivisti, fra cui il ben noto Baruch Marzel, un kahanista [seguace del defunto rabbino estremista Meir Kahane ndt.] arrivato in un momento successivo. “Sono come i soldati che hanno fatto irruzione [a Gaza], adesso sono loro (i giovani coloni) a fare irruzione,” dice Marzel a uno dei soldati. 

Più tardi, mentre se ne stavano andando, Marzel ha detto a +972 che l’azione gli ha ricordato “la prima colonia a Sebastia”, un villaggio vicino a Nablus, in Cisgiordania, dove circa 50 anni fa un gruppo di coloni del movimento Gush Emunim (Blocco dei Fedeli) [movimento dei coloni nazional-religiosi sorto nel 1974, ndt.] tentò di stabilire una colonia ebraica sfidando i tentativi del governo di cacciarli fino a quando non cedette. Egli aggiunge che il problema principale per lui non è insediarsi a Gaza, ma deportare i palestinesi in “tutti i Paesi che li sostengono.” 

Un funzionario della sicurezza presente sulla scena ha espresso a +972 il suo disappunto su come gli attivisti siano riusciti ad attraversare con tale facilità il posto di blocco. “Se sono riusciti a entrare a Gaza ciò significa che anche (i palestinesi) possono entrare dalla direzione opposta,” ha detto. 

Funzionari di polizia arrivati sul posto si sono comportati con la stessa indifferenza dei soldati. Sembrava non avessero fretta di intervenire e all’inizio hanno arrestato solo uno dei manifestanti. Dopo il tramonto, verso le 19, alcuni attivisti hanno cominciato ad andarsene e in seguito il resto è poi stato disperso dalla polizia. La scorsa notte un totale di nove persone è stato arrestato e portato a una stazione di polizia.

La scorsa notte, in risposta alle domande di +972, un portavoce della polizia ha dichiarato: “Le forze della polizia israeliana sono state chiamate nel pomeriggio vicino al valico di Erez in seguito all’arrivo di manifestanti e alla penetrazione di un gruppetto nella Striscia di Gaza attraverso la recinzione, violando l’ordine di un generale. Alla luce di un pericolo reale per le vite dei manifestanti le forze di polizia sono state costrette ad agire nel territorio della Striscia di Gaza dove alcuni di loro li hanno affrontati e si sono rifiutati di andarsene, non lasciando alla polizia altra scelta che arrestarne nove per aver violato l’ordine di un generale e non aver (obbedito) a un ufficiale di polizia.

I manifestanti sono stati portati a una stazione di polizia per essere interrogati, dopo di che si deciderà chi di loro verrà deferito domani alla Corte di Appello per discutere la loro causa.” Oggi la polizia non ha risposto a un’altra richiesta di informazioni circa quali degli arrestati siano stati accusati, ma sembra che siano stati tutti rilasciati la scorsa notte.

Oren Ziv è una fotogiornalista e reporter di Local Call e fra i fondatori del collettivo di fotografi Activestills.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra a Gaza: Il “massacro” israeliano uccide oltre 100 palestinesi in cerca di cibo a Gaza City

Mohammed al-Hajjar a Gaza City, Palestina occupata e Nader Durgham a Beirut

29 febbraio 2024 Middle East Eye

I testimoni raccontano a MEE di essere stati attaccati indiscriminatamente mentre si concentravano intorno a un convoglio di aiuti.

Almeno 104 palestinesi sono stati uccisi e altre centinaia sono stati feriti giovedì quando le forze israeliane hanno sparato contro le persone che si trovavano presso un convoglio di aiuti in al-Rasheed Street a Gaza City, ha dichiarato il Ministero della Sanità palestinese, definendo l’incidente un “massacro”. I residenti di Gaza City si erano riuniti in cerca di cibo, avendo le forze israeliane tagliato fuori completamente l’area dagli aiuti. Le ONG e gli esperti delle Nazioni Unite hanno espresso il timore di una carestia nel nord di Gaza e ci sono state segnalazioni di persone, tra cui bambini, morte di fame. Fares Afana, capo del servizio ambulanze dell’ospedale Kamal Adwan di Gaza, ha detto che i medici hanno trovato “decine o centinaia” di corpi stesi a terra appena giunti sul posto.

Ha detto che alcuni feriti hanno dovuto essere trasportati negli ospedali su carri trainati da asini, poiché non c’erano abbastanza ambulanze per accogliere tutti i morti e i feriti.

Gli ospedali nel nord di Gaza, la maggior parte dei quali sono fuori uso a causa dei ripetuti attacchi israeliani, non sono in grado di gestire il grande afflusso di pazienti.

Ahmad, un 31enne che ha fornito solo il suo nome di battesimo, ha raccontato a Middle East Eye che i camion degli aiuti hanno raggiunto la strada alle 4 del mattino e che le forze israeliane hanno sparato contro le persone che cercavano di raggiungere il convoglio. Ahmad è stato colpito al braccio e alla gamba.

“Gli spari sono stati indiscriminati, la gente è stata colpita alla testa, ai piedi, allo stomaco”, ha detto. Un uomo è stato ucciso e travolto da un carro armato. “L’esercito israeliano ha accusato i palestinesi di essere responsabili di una calca di massa, affermando che: “I residenti hanno circondato i camion e hanno saccheggiato i rifornimenti consegnati. A causa delle spinte, dei calpestamenti e dell’investimento dei camion, decine di gazawi sono rimasti uccisi e feriti”. I video dall’alto mostrano la disperazione dei palestinesi accalcati intorno ai camion. Tuttavia, oltre alle testimonianze, i filmati mostrano chiaramente che durante l’incidente sono stati esplosi pesanti colpi d’arma da fuoco.

Fonti israeliane hanno riferito all’Agenzia France Press che le truppe hanno sparato contro i palestinesi, e una di esse ha detto che i soldati ritenevano che la folla “rappresentasse una minaccia”. Kamel Abu Nahel, il cui piede è stato travolto da uno dei camion, ha detto: ” Se volete mandare gli aiuti in questa maniera, non inviateli.” “Stiamo morendo per avere la farina per i nostri figli”, ha aggiunto. L’attacco arriva mentre il bilancio dei morti palestinesi nella guerra ha superato i 30.000, secondo il Ministero della Sanità palestinese. Reagendo all’attacco, da Oxfam hanno detto di essere “sconvolti” dalle notizie. “Israele prende deliberatamente di mira i civili dopo averli affamati [ed] è una grave violazione delle leggi umanitarie internazionali e della nostra umanità”, ha detto il gruppo di aiuto internazionale. “Il rischio di genocidio è reale.”

Ammar Helo, un palestinese di 30 anni sopravvissuto all’attacco, ha dichiarato a MEE che continuerà a scendere in strada ogni volta che arriveranno i camion degli aiuti, nonostante rischi la sua vita: “Non abbiamo pane, non abbiamo farina, abbiamo mangiato cibo per gli animali”, ha detto. I sopravvissuti hanno raccontato a MEE che anche il cibo per animali si sta esaurendo nel nord. “Giuro che tutta Gaza è distrutta, giuro che un terremoto divino sarebbe stato meglio”.

(Traduzione dall’inglese di Carlo Tagliacozzo)




Israele ha facilitato la crescita di Hamas, dichiara Borrell dell’Unione Europea

Redazione di Middle East Monitor

27 febbraio 2024 – Middle East Monitor

Lunedì il responsabile degli Affari Esteri dell’Unione Europea [UE] Josep Borrell ha affermato che negli anni 80 con le sue politiche Israele ha agevolato la crescita di Hamas. Egli ha criticato Israele in un discorso tenuto ad un forum organizzato presso una università a Madrid.

Io non direi che [Israele] ha finanziato [Hamas] inviando un assegno,” ha spiegato Borrell, “ma ha consentito la crescita di Hamas” come rivale del partito egemone palestinese Fatah. Egli ha ripetuto la sua dichiarazione, fatta nelle ultime settimane secondo cui “Israele ha creato e finanziato Hamas.”

È una “realtà incontestabile”, ha aggiunto il funzionario della UE, che Israele ha scommesso sulla divisione dei palestinesi, creando una forza da opporre a Fatah. Egli ha affermato che si stava riferendo alla ben nota dichiarazione che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha reso pubblicamente davanti alla sua coalizione parlamentare, in cui ha affermato che chiunque si opponga alla soluzione a due Stati deve agevolare il finanziamento di Hamas.

Borrell ha ripetuto il suo supporto per la soluzione a due Stati in base alla quale lo Stato palestinese sarebbe riconosciuto e ha criticato Israele perché si oppone a questa soluzione, ma non ha proposto alcuna alternativa. Ha fatto presente che tutti sembrano essere d’accordo sulla soluzione a due Stati, tranne che il governo Netanyahu, che ha cercato di impedire la realizzazione di questa soluzione per 30 anni.

Descrivendo la risposta militare israeliana a Gaza come “sproporzionata” perché sta causando un eccessivo numero di vittime civili, Borrell ha insistito sul fatto che la sua dichiarazione non è “anti-ebraica”.

Da ottobre Israele sta combattendo una devastante guerra genocida contro la Striscia di Gaza. Ha ucciso e ferito più di 100.000 palestinesi, la maggior parte dei quali minori e donne, e ha creato una catastrofe umanitaria senza precedenti e una estesa distruzione delle infrastrutture civili, portando lo stato di occupazione ad affrontare la Corte Internazionale di Giustizia per accuse di genocidio.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




#AbandonBiden: Gaza sarà il fattore decisivo nelle elezioni americane?

Robert Inlakesh

27 febbraio 2024 – Palestine Chronicle

NOTA DEL DIRETTORE: Martedì lagenzia di stampa Reuters ha riferito che un alto consigliere della campagna del presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha affermato che la loro campagna è stata danneggiata dal sostegno del presidente a Israele.

Sulla base delle interviste a nove mesi dalle elezioni il problema si sta aggravando mentre lopposizione di Biden alla richiesta di un cessate il fuoco permanente continua a suscitare rabbia in una coalizione di elettori che ha favorito la sua vittoria nel 2020, dai neri americani agli attivisti musulmani, fondamentali per la vittoria nel Michigan, ai giovani elettori, ha riferito Reuters.

Nel seguente rapporto di Robert Inlakesh approfondiamo la questione sul come il voto americano arabo/musulmano potrebbe influenzare le possibilità di una rielezione di Biden in relazione alla posizione della sua amministrazione sul genocidio israeliano in corso a Gaza.

A meno di un anno dalle elezioni presidenziali americane la candidatura per la rielezione di Joe Biden è messa in discussione dagli elettori musulmani e arabo americani che ritengono che il loro attuale presidente li abbia traditi.

Allinizio di dicembre i leader musulmano americani di tutti gli Stati Uniti hanno lanciato la campagna #AbandonBiden, nel tentativo di porre il presidente degli Stati Uniti di fronte alle sue responsabilità riguardo il suo rifiuto di porre fine allo spargimento di sangue a Gaza. Mentre la campagna cresceva figure di spicco musulmane e arabe allinterno del Paese hanno cominciato a esprimere pubblicamente il ritiro della loro intenzione di voto per il candidato del Partito Democratico, per nulla turbate dallaccusa che avrebbero consentito una vittoria dellex presidente repubblicano Donald Trump.

Come ha affermato linfluente comico egiziano americano Bassem Yousef, tutto ciò che abbiamo chiesto (a Joe Biden) è un cessate il fuoco. Porre fine al massacro. Porre fine al massacro. Adesso vuoi ricattarci con i diritti in materia di riproduzione e i diritti delle minoranze?”.

Ha concluso il suo discorso affermando: non mi farò ricattare attraverso le affermazioni che starei permettendo a Trump di vincere, i democratici hanno fatto tutto da soli e non possono continuare a fingere di essere dalla nostra parte”.

Sebbene i media statunitensi abbiano cercato di minimizzare l’efficacia della campagna Abandon Biden, le conseguenze per il Partito Democratico sono ormai inevitabili. A Dearborn, nel Michigan, Abdullah Hammoud, il sindaco eletto nel luogo di maggiore concentrazione di elettori arabi di uno Stato decisivo anche per questa ragione, si è rifiutato insieme a molti altri leader arabo americani di incontrare a gennaio Joe Biden.

Voice of America, finanziata dallo Stato americano, ha persino iniziato a parlare dell’uscita degli arabo americani dal Partito Democratico, pubblicando un articolo intitolato “Biden non farà pressioni per il cessate il fuoco a Gaza e di conseguenza Trump potrebbe vincere”, in cui si riferisce che gli arabo americani che in passato hanno votato democratico provano dolore e senso di tradimento, una rabbia cocente e una forte avversione a votare per Biden”.

In una nazione di circa 3,7 milioni di cittadini arabi, secondo i dati raccolti dallArab American Institute, questo gruppo minoritario, apparentemente piccolo, in tempo di elezioni potrebbe fare unenorme differenza per la campagna di Biden.

Oltre agli arabo americani, che sono una popolazione a maggioranza cristiana, il Council on American-Islamic Relations (CAIR) ha pubblicato dati che indicano che negli Stati Uniti sono registrati circa 2 milioni di elettori musulmani. Da parte di entrambe le popolazioni, spesso erroneamente confuse, dato che sono in maggioranza sovrapponibili, è stato ampiamente espresso il malcontento per la gestione della guerra a Gaza da parte dellamministrazione Biden.

Come già rilevato, durante le elezioni presidenziali del 2020 Joe Biden è riuscito a vincere nello Stato del Michigan con un sottile margine di 150.000 voti. Questa volta si dice che nel Michigan ci siano oltre 206.000 elettori musulmani americani registrati e molti di loro nel 2020 hanno votato democratico.

Da tenere in considerazione nellequazione è anche il fatto che i leader arabo-americani hanno svolto e stanno svolgendo un ruolo nel parlare ai loro connazionali americani di ogni ceto sociale, convincendoli ad adottare la stessa posizione contro Joe Biden; per metterlo di fronte alla sua responsabilità riguardo a ciò che ha permesso che Israele facesse a Gaza.

Più in generale, circa l80% degli americani ha espresso il desiderio di un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Ora, con leccezione di alcuni piccoli Paesi insulari, sono Israele e lamministrazione statunitense Biden a restare isolati davanti alle Nazioni Unite sulla questione del cessate il fuoco. Questo mentre gli Stati Uniti hanno usato ancora una volta il loro potere di veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per respingere una proposta algerina che chiedeva la cessazione immediata delle ostilità.

– Robert Inlakesh è un giornalista, scrittore e regista di documentari. Si occupa di Medio Oriente in particolare della Palestina. Ha scritto questo articolo per The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Oltre 2/3 degli ebrei israeliani si oppongono agli aiuti umanitari ai palestinesi che muoiono di fame a Gaza

Jonathan Ofir

23 Febbraio 2024-Mondoweiss

Un nuovo sondaggio dell’Israeli Democracy Institute mostra che il 68% degli ebrei israeliani si oppone “al trasferimento di aiuti umanitari ai residenti di Gaza”.

È un dato scioccante. L’Israeli Democracy Institute ha pubblicato questa settimana un sondaggio che dimostra che oltre i 2/3 degli ebrei israeliani – cioè il 68% – si oppongono “in questo momento al trasferimento di aiuti umanitari ai residenti di Gaza

La situazione è anche peggiore: il sondaggio ha cercato di escludere qualsiasi possibile opposizione all’UNRWA (contro cui Israele si sta scagliando) o alle autorità di Hamas (che Israele considera terroristi). Inutilmente. Oltre due terzi si oppongono comunque agli aiuti umanitari “tramite organismi internazionali che non siano collegati ad Hamas o all’UNRWA… La maggioranza degli intervistati ebrei (68%) si oppone al trasferimento di aiuti umanitari anche in queste condizioni”, rileva il sondaggio.

I numeri sono peggio quando si tratta degli ebrei israeliani di destra, dove l’opposizione è all’80% – quattro su cinque. E si consideri che circa 2/3 degli elettori israeliani sono considerati di destra.

Qui bisogna davvero fermarsi. Ci troviamo in una situazione in cui i palestinesi di Gaza muoiono di fame, le persone disperate consumano mangimi per animali. Questa settimana il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite ha riferito che le persone a Gaza stanno “già morendo per cause legate alla fame” e uno screening nutrizionale dell’UNICEF nel nord di Gaza ha rilevato che 1 bambino su 6 sotto i due anni è gravemente malnutrito. Gli israeliani non ignorano affatto questi dati. Stanno sostenendo il genocidio a stragrande maggioranza.

È ormai prassi comune nella società israeliana discutere a partire da quale età sia accettabile che i bambini muoiano di fame. Una recente discussione sul programma di notizie dell’emittente pubblica più popolare ha raggiunto un consenso tra un ex funzionario del Mossad e la conduttrice veterana sul fatto che è legittimo che i bambini di età superiore ai 4 anni muoiano di fame.

Gran parte del mondo, compresi gli Stati Uniti, sembra negare quanto sia omicida ed esplicitamente genocida la società israeliana. Nancy Pelosi continua a parlare di Israele come “l’unica democrazia nella regione” mentre gli stessi israeliani sostengono la morte per fame dei bambini. La gente semplicemente non sembra capirlo.

L’aiuto umanitario è stato uno dei punti principali dell’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennaio, emessa quando la corte ha ritenuto plausibile che Israele stesse commettendo un genocidio, secondo l’accusa del Sud Africa. Era il punto 4 dei 6, che afferma:

Lo Stato di Israele adotterà misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura dei servizi di base e dell’assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le condizioni di vita avverse affrontate dai palestinesi nella Striscia di Gaza”.

Anche il giudice israeliano aggiunto appositamente alla Corte, Aharon Barak, che ha votato contro 4 delle 6 misure urgenti, ha votato a favore di questa (è stata approvata 16 a 1, con l’eccezione della giudice ugandese Julia Sabutinde che ha votato recisamente contro tutte le misure).

È una cosa così basilare, un bisogno così fondamentale – anche in guerra, quando ci si oppone a una questione così fondamentale diventa qualcosa di diverso dalla guerra: diventa un genocidio. Come stiamo assistendo.

Questo sondaggio sembra solo confermare ciò che abbiamo già visto. I manifestanti israeliani hanno bloccato i camion degli aiuti al confine meridionale vicino a Rafah. Si sarebbe forse tentati di inquadrarli come estremisti marginali, ma il sondaggio mostra che sono la maggioranza. Il sondaggio afferma anche che i leader israeliani come il ministro della Difesa Yoav Galant, che all’inizio del genocidio disse: “Ho ordinato un assedio totale sulla Striscia di Gaza – niente elettricità, niente cibo, niente gas, tutto è chiuso – stiamo combattendo animali umani e noi agiamo di conseguenza”, rappresentano la maggioranza della popolazione.

Questo è il peggior livello di disumanizzazione nella società israeliana che posso ricordare da quando vi sono nato 52 anni fa. Naturalmente, questa disumanizzazione non è iniziata il 7 ottobre, esisteva molto prima che io nascessi e anche prima che esistesse lo Stato. Ma ora sembra essere giunto al culmine. Agli israeliani non sembra importare più nemmeno di mantenere una parvenza di tolleranza: sono entrati in una vera e propria modalità di genocidio. E quando dico disumanizzazione, non sono solo i palestinesi ad essere disumanizzati in questo processo. Gli israeliani si stanno riducendo a un livello di barbarie. È qualcosa che abbiamo fatto a noi stessi mentre ci convincevamo che uccidere decine di migliaia di palestinesi ci avrebbe salvato in qualche modo da questo abisso. Non è così.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Unicef: La malnutrizione in aumento minaccia la vita dei minori a Gaza

Redazione di Palestine Chronicle

 20 febbraio 2024 – Palestine Chronicle

L’UNICEF afferma che la scarsità di cibo e di acqua potabile sta mettendo in pericolo l’alimentazione e il sistema immunitario di donne e bambini e comporta un aumento della malnutrizione acuta

Il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) afferma che nella Striscia di Gaza il forte aumento della malnutrizione tra i bambini, le donne gravide e in allattamento pone in grave pericolo la loro salute.

Citando una nuova analisi complessiva resa nota dal Global Nutrition Cluster [Gruppo per la Nutrizione Globale], l’UNICEF afferma che, mentre il conflitto in corso a Gaza entra nella ventesima settimana, cibo e acqua potabile sono diventati assolutamente scarsi e le malattie dilagano.

Ciò “compromette l’alimentazione e il sistema immunitario di donne e bambini e comporta un aumento della malnutrizione acuta,” ha affermato lunedì l’UNICEF in un comunicato.

Il rapporto “Gaza: Vulnerabilità Nutrizionale e Analisi della Situazione” rileva che le condizioni sono particolarmente gravi nel nord della Striscia di Gaza, che è stata quasi completamente tagliata fuori per settimane dagli aiuti.

“Controlli nutrizionali condotti nei rifugi e nei centri sanitari del nord hanno rilevato che il 15,6%, o 1 bambino su 6 sotto i due anni di età, è gravemente malnutrito,” sostiene il comunicato.

Di questi quasi il 3% soffre di “un grave deperimento, la forma di malnutrizione potenzialmente più letale,” che mette ad altissimo rischio di complicanze mediche e morte i bambini piccoli se non ricevono cure urgenti.

“Poiché i dati sono stati raccolti a gennaio, la situazione probabilmente oggi è persino più grave.”

Controlli simili effettuati nel sud della Striscia di Gaza, a Rafah, dove i soccorsi sono stati più accessibili,“ hanno rilevato che il 5% dei bambini sotto i 2 anni sono gravemente malnutriti.”

Morti infantili evitabili

L’UNICEF afferma che questa è una prova evidente che l’accesso agli aiuti umanitari è necessario e può aiutare ad evitare le conseguenze peggiori.

“Ciò rafforza anche gli appelli delle agenzie [umanitarie] per proteggere Rafah dalla minaccia di operazioni militari più intense,” aggiunge.

“La Striscia di Gaza sta per assistere a un aumento esponenziale di morti infantili evitabili che aggraverebbe il già intollerabile livello di bambini uccisi a Gaza,” afferma il vicedirettore esecutivo per le Azioni Umanitarie e le Operazioni di Approvvigionamento dell’UNICEF, Ted Chaiban.

“Per settimane abbiamo avvertito che la Striscia di Gaza è sull’orlo di una crisi alimentare,” sottolinea Chaiban.

“Se il conflitto non finisce adesso l’alimentazione dei bambini continuerà a ridursi, portando alla morte evitabile o a problemi di salute che colpiranno i bambini di Gaza per il resto della loro vita e avranno potenzialmente conseguenze per le future generazioni.

Quantità di cibo ridotte

Il comunicato aggiunge che c’è un alto rischio che la malnutrizione continui ad aumentare nella Striscia di Gaza a causa dell’allarmante mancanza di cibo, acqua e servizi sanitari e nutrizionali.

Al momento “il 90% dei bambini al di sotto dei 2 anni d’età e il 95% delle donne gravide e in allattamento deve affrontare una gravissima carenza di cibo; il 95% delle famiglie riceve una limitata quantità di alimenti, il 64% delle famiglie consuma solo un pasto al giorno; oltre il 95% delle famiglie afferma di aver ridotto la quantità di cibo degli adulti per garantire che i bambini piccoli possano alimentarsi.

La vicedirettrice esecutiva dei Programmi Operativi del WFP, Valerie Guarnieri, afferma che il forte aumento della malnutrizione “che stiamo vedendo a Gaza è pericoloso e assolutamente evitabile.”

Afferma che in particolare bambini e donne hanno bisogno di un accesso costante a cibo sano, acqua potabile e servizi per la salute e la nutrizione.

“Perché ciò avvenga abbiamo bisogno di un deciso miglioramento dell’accesso alla sicurezza e umanitario e un maggior numero di punti di accesso per gli aiuti a Gaza.”

Il rapporto riscontra che almeno il 90% dei bambini con meno di cinque anni è colpito da una o più malattie infettive. Il 70% ha avuto la diarrea nelle ultime due settimane, un incremento di 23 volte rispetto ai dati del 2022.

Fame e malattie

“Fame e malattie sono una combinazione letale,” afferma il dott. Mike Ryan, direttore esecutivo del Programma di Emergenza Alimentare dell’OMS.

“Bambini affamati, indeboliti e profondamente traumatizzati sono più soggetti ad ammalarsi, e bambini malati, soprattutto con la diarrea, non possono assorbire bene le sostanze nutritive. È pericoloso, e tragico, e sta avvenendo sotto i nostri occhi.”

UNICEF, WFP e OMS invocano un accesso sicuro, senza ostacoli e costante per distribuire urgentemente assistenza umanitaria multisettoriale nella Striscia di Gaza, afferma la dichiarazione.

“Un immediato cessate il fuoco umanitario continua a rappresentare la migliore possibilità di salvare vite e porre fine alle sofferenze,” sottolinea.

Numero di vittime in crescita

Secondo il ministero della Sanità di Gaza 29.092 palestinesi sono stati uccisi e 69.028 feriti nel genocidio israeliano in corso a Gaza iniziato il 7 ottobre.

Inoltre almeno 7.000 persone sono disperse, presumibilmente morte sotto le macerie delle loro case nella Striscia.

Organizzazioni palestinesi e internazionali affermano che la maggioranza dei morti e feriti sono donne e bambini.

L’aggressione israeliana ha comportato anche l’evacuazione forzata di quasi due milioni di persone da tutta la Striscia di Gaza, e la grande maggioranza dei profughi sono stati ammassati nella sovraffollata città meridionale di Rafah, nei pressi del confine con l’Egitto, in quello che è diventato il più grande esodo di massa dei palestinesi dalla Nakba [la catastrofe, la pulizia etnica da cui è nato Israele, ndt.] del 1948.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra a Gaza: un sindacato indiano rifiuta di caricare le navi con armi destinate a Israele

Azad Essa

18 febbraio 2024 – Middle East Eye

L’iniziativa ha luogo alcuni giorni dopo che Israele ha ricevuto 20 droni Hermes 900 di fabbricazione indiana, normalmente usati negli attacchi contro Gaza.

Un sindacato indiano attivo in diversi porti di tutto il Paese si è impegnato a non caricare né scaricare navi che trasportino armi a Israele, ha detto il segretario generale della Federazione Indiana dei Lavoratori del Trasporto su Acqua pochi giorni dopo che era emersa la notizia che droni da combattimento di fabbricazione indiana erano partiti per Israele.

In un’intervista a Middle East Eye di domenica T. Narendra Rao, segretario generale della Federazione Indiana dei Lavoratori del Trasporto su Acqua, ha detto che il sindacato si è rifiutato di essere coinvolto in qualunque azione che potesse comportare ulteriori sofferenze per i palestinesi.

Abbiamo deciso di boicottare qualunque imbarcazione o nave che trasportasse armi o munizioni o carico di armamenti verso Israele. Non collaboreremo a questo”, ha detto Rao a MEE.

La settimana scorsa il sindacato ha rilasciato una dichiarazione che annunciava la decisione di boicottare tutte le navi che trasportassero armi a Israele. Ha aggiunto che la decisione valeva anche per qualunque nave con materiale militare diretta a Israele.

Nella dichiarazione rilasciata il 14 febbraio il sindacato ha detto che i lavoratori portuali “sarebbero sempre stati contro la guerra e l’uccisione di persone innocenti come donne e bambini”.

Donne e bambini sono stati fatti a pezzi nella guerra. I genitori non erano in grado di riconoscere i propri figli uccisi dalle bombe che esplodono ovunque”, aggiungeva il comunicato.

Rao ha detto a MEE che il sindacato non ha ancora avuto contatti con navi cariche di armi dirette a Israele e che la dichiarazione del sindacato vuole essere una mossa preventiva e un atto di solidarietà con i palestinesi, vista la devastazione di Gaza.

La Federazione Indiana dei Lavoratori del Trasporto su Acqua è attiva in 11 dei principali porti statali su un totale di 13. Non è attiva nel porto di Mundra, gestito da Adani, un’impresa con quota di maggioranza nella società congiunta con Elbit Systems, il più grande produttore di armi israeliano.

Dal 7 ottobre più di 29.000 palestinesi sono stati uccisi dagli attacchi israeliani nell’enclave assediata.

Israele inoltre ha sistematicamente impedito l’accesso all’acqua, all’elettricità, al cibo e alle comunicazioni a Gaza.

Droni di fabbricazione indiana per Israele

L’azione del sindacato arriva proprio una settimana dopo che si è diffusa notizia che l’esercito israeliano ha ricevuto 20 droni Hermes 900 di fabbricazione indiana che vengono normalmente utilizzati negli attacchi a Gaza.

Né il governo israeliano né quello indiano hanno ammesso pubblicamente l’accordo.

Ma una fonte di Adani, che gestisce 12 piccoli porti in diversi Stati, ha confermato a The Wire [canale televisivo indiano, ndt.] che effettivamente i droni erano partiti per Israele.

Attivisti per i diritti umani e analisti della difesa affermano che questo sviluppo coinvolgerebbe ulteriormente l’India nel genocidio dei palestinesi in atto a Gaza.

Il 7 febbraio il canale di informazioni indiano TV9 ha riferito che i droni fabbricati nella città indiana del centro-sud Hyderabad avrebbero contribuito a soddisfare “le necessità di Israele nella guerra tra Israele e Hamas”.

L’India è il maggiore acquirente di armi israeliane, costituendo circa il 46% di tutte le armi vendute da Israele nel mondo. Inoltre le imprese indiane co-producono diverse armi israeliane in fabbriche in tutta l’India.

Sotto il Primo Ministro Narendra Modi i rapporti tra India e Israele si sono intensificati, essendo i due Paesi impegnati in una cooperazione strategica dal 2018.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Israele deve porre fine all’occupazione della Palestina per smettere di alimentare l’apartheid e le violazioni sistematiche dei diritti umani

18 febbraio 2024 – Amnesty International

In occasione dell’inizio delle udienze pubbliche presso la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) per l’esame delle conseguenze sul piano legale delloccupazione prolungata da parte di Israele Amnesty International ha dichiarato che Israele deve porre fine alla brutale occupazione di Gaza e della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, iniziata nel 1967.

Le udienze pubbliche sono in programma all’Aia dal 19 al 26 febbraio in seguito alla risoluzione con cui nel dicembre 2022 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha richiesto un parere consultivo alla CGI sulla legalità delle politiche e delle prassi di Israele nei Territori Palestinesi Occupati (TPO) e sulle conseguenze per gli altri Stati e per l’ONU della condotta di Israele. Parteciperanno ai lavori più di 50 Stati, l’Unione Africana, la Lega Araba e l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica.

Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, ha affermato: Loccupazione israeliana della Palestina è la più lunga e una delle più letali occupazioni militari al mondo, caratterizzata da decenni di diffuse e sistematiche violazioni dei diritti umani contro i palestinesi. Loccupazione militare ha anche consentito e rafforzato il sistema israeliano di apartheid imposto a tutti i palestinesi e nel corso degli anni si è trasformata in unoccupazione perpetua in flagrante violazione del diritto internazionale”.

Lattuale conflitto che infuria nella Striscia di Gaza occupata, dove la CIG ha stabilito che esiste un rischio reale e imminente di genocidio, ha messo in luce le conseguenze catastrofiche del permettere che i crimini internazionali di Israele nei territori occupati continuino impunemente per così tanto tempo.” – continua Callamard –Il mondo deve riconoscere che porre fine alloccupazione illegale di Israele è un prerequisito per fermare le ricorrenti violazioni dei diritti umani in Israele e nei TPO”.

Occupazione ‘perpetua’

Secondo il diritto internazionale umanitario loccupazione di un territorio durante un conflitto è intesa come temporanea. La potenza occupante è tenuta ad amministrare il territorio nell’interesse della popolazione sotto occupazione e a preservare quanto più possibile la situazione che esisteva all’inizio dell’occupazione, anche rispettando le leggi esistenti e astenendosi dall’introdurre cambiamenti demografici e dall’alterare l’integrità territoriale.

Loccupazione israeliana non è stata in grado di allinearsi con questi principi fondamentali del diritto umanitario internazionale. La durata delloccupazione israeliana – più di mezzo secolo – insieme allannessione ufficiale autoritaria e illegale di Gerusalemme Est occupata e allannessione di fatto di ampie aree della Cisgiordania attraverso la confisca delle terre e lespansione delle colonie, forniscono una chiara prova che lintenzione di Israele è rendere loccupazione permanente e a beneficio della potenza occupante e dei suoi cittadini.

La Striscia di Gaza è rimasta occupata anche dopo il ritiro delle forze israeliane e lallontanamento dei coloni nel 2005, poiché Israele ha mantenuto il dominio effettivo sul territorio e sulla sua popolazione, anche attraverso il controllo dei suoi confini, delle acque territoriali, dello spazio aereo e dell’anagrafe. Per 16 anni loccupazione è stata vissuta a Gaza attraverso il blocco illegale da parte di Israele che ha gravemente limitato la circolazione di persone e merci e ha devastato leconomia della Striscia, e dopo ripetuti episodi di ostilità che hanno ucciso e ferito migliaia di civili e distrutto gran parte delle infrastrutture e abitazioni di Gaza.

Tutti gli Stati devono rivedere le loro relazioni con Israele per garantire che non stiano contribuendo a sostenere loccupazione o il sistema di apartheid”, afferma Callamard. Mentre i ministri degli Esteri europei si riuniscono oggi a Bruxelles la necessità di lanciare un appello chiaro e unito per la fine delloccupazione israeliana non è mai stata così urgente”.

La vita sotto l’occupazione

I palestinesi che vivono sotto loccupazione israeliana sono soggetti a una miriade di violazioni dei diritti umani, mantenute da un regime istituzionalizzato di dominazione e oppressione sistematiche. Le leggi discriminatorie e repressive, ufficialmente adottate come parte delloccupazione ma di fatto al servizio degli obiettivi del sistema israeliano di apartheid israeliano, hanno frammentato e segregato i palestinesi nei territori occupati, sfruttando illegalmente le loro risorse, limitando arbitrariamente i loro diritti e le loro libertà e controllando quasi ogni aspetto della loro vita.

Anche prima delle ultime ostilità i palestinesi di Gaza sono stati sottoposti a numerose offensive militari israeliane – almeno sei tra il 2008 e il 2023 – oltre a un persistente blocco terrestre, aereo e marittimo che ha contribuito a mantenere un controllo effettivo e loccupazione di Gaza da parte di Israele. Durante quelle offensive, Amnesty International ha documentato una schema ricorrente di attacchi illegali, che costituiscono crimini di guerra e persino crimini contro lumanità, mentre il perdurare del blocco costituisce una punizione collettiva, anchessa un crimine di guerra.

In Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est occupata, i palestinesi affrontano regolarmente un uso eccessivo della forza, uccisioni illegali, arresti arbitrari, detenzione amministrativa, sfollamenti forzati, demolizioni di case, confisca di terre e risorse naturali e negazione dei diritti e delle libertà fondamentali. Il sistema di chiusura a più livelli di Israele, rafforzato da una sorveglianza di massa, barriere fisiche e restrizioni giuridiche, tra cui muri e recinzioni illegali, centinaia di checkpoint e posti di blocco e un regime arbitrario, ha limitato la libertà di movimento dei palestinesi e perpetuato la loro privazione dei diritti civili.

Tra gli esempi più emblematici del totale disprezzo di Israele per il diritto internazionale si evidenzia la creazione e lincessante diffusione di colonie israeliane in tutti i TPO e lannessione illegale di Gerusalemme Est occupata subito dopo la guerra del 1967, sancita costituzionalmente nel 1980. Attualmente in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est occupata, ci sono almeno 300 insediamenti e avamposti coloniali israeliani illegali con una popolazione di oltre 700.000 coloni.

Per 56 anni i palestinesi nei TPO hanno vissuto intrappolati e oppressi sotto la brutale occupazione israeliana, soggetti a una discriminazione sistematica. Ogni aspetto della loro vita quotidiana è sconvolto e controllato dalle autorità israeliane, che pongono restrizioni ai loro diritti di spostarsi, guadagnarsi da vivere, perseguire aspirazioni educative e professionali e godere di una qualità di vita dignitosa, oltre a privarli dellaccesso alla loro terra e alle loro risorse naturali”, afferma Agnès Callamard.

Inoltre Israele ha continuato le sue feroci politiche di furto di terre espandendo incessantemente le colonie illegali in violazione del diritto internazionale con conseguenze devastanti per i diritti umani e la sicurezza dei palestinesi. Da decenni i violenti coloni israeliani attaccano i palestinesi nella pressoché totale impunità.

Un sistema di controllo draconiano

Il draconiano sistema di controllo di Israele sui TPO comprende una vasta rete di posti di blocco militari, muri e recinzioni, basi e pattuglie militari, nonché una serie di imposizioni militari repressive.

Il controllo da parte di Israele dei confini dei TPO, dei registri anagrafici, della fornitura di acqua, elettricità, servizi di telecomunicazione, dell’assistenza umanitaria e allo sviluppo, e l’imposizione della sua valuta hanno avuto effetti devastanti sullo sviluppo economico e sociale del popolo palestinese nei TPO.

Questo controllo ha raggiunto livelli di crudeltà senza precedenti nella Striscia di Gaza, dove Israele mantiene da 16 anni un blocco illegale ulteriormente rafforzato dal 9 ottobre 2023. Il blocco, insieme alle ricorrenti operazioni militari israeliane, hanno gettato la Striscia di Gaza in una delle più gravi crisi umanitarie e dei diritti umani dei tempi moderni.

In quanto potenza occupante Israele ha lobbligo di garantire la protezione e il benessere di tutti coloro che risiedono nel territorio che controlla. Invece, ha perpetrato impunemente gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani. Israele menziona come motivo delle sue politiche crudeli la necessità di mantenere la sicurezza. Ma la sicurezza non può mai giustificare lapartheid, le annessioni e gli insediamenti coloniali illegali, o i crimini di guerra contro la popolazione protetta. Lunico modo per garantire la sicurezza a israeliani e palestinesi è sostenere i diritti umani per tutti”, afferma Callamard.

Porre fine alloccupazione significherebbe ripristinare i diritti dei palestinesi revocando il brutale blocco su Gaza, smantellando le colonie israeliane in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e annullando la loro annessione illegale. Permetterebbe ai palestinesi di muoversi liberamente nelle aree in cui vivono e consentirebbe il ricongiungimento alle famiglie separate da condizioni diverse di riconoscimento giuridico – come la residenza a Gerusalemme e in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza. Allevierebbe le sofferenze di massa e porrebbe fine alle violazioni su vasta scala dei diritti umani.

Contribuirebbe inoltre ad affrontare una delle cause profonde della violenza e dei crimini di guerra ricorrenti contro gli israeliani, contribuendo così a migliorare la tutela dei diritti umani e a garantire giustizia e riparazione per le vittime di tutte le parti.

Antefatti

Il 30 dicembre 2022 lAssemblea Generale dell’ONU ha adottato la risoluzione A/RES/77/247, con la quale ha richiesto alla Corte Internazionale di Giustizia un parere consultivo su questioni chiave riguardanti: le conseguenze legali derivanti dalla occupazione prolungata e dalla colonizzazione e annessione del territorio palestinese occupato dal 1967; la modalità in cui le politiche e le pratiche di Israele influenzano lo status giuridico delloccupazione; l’entità delle conseguenze legali scaturite da questo status per tutti gli Stati e per lONU.

Si prevede che la Corte emetta il suo parere consultivo entro la fine dell’anno.

Per sessantanni Amnesty International ha documentato come le forze israeliane abbiano commesso impunemente gravi violazioni dei diritti umani negli OPT. Nel 2022, lorganizzazione ha pubblicato il rapporto sullapartheid israeliano contro i palestinesi: “Un sistema crudele di dominazione e di crimini contro lumanità”. Questo rapporto evidenzia il ruolo radicato che lesercito israeliano e la sua occupazione hanno avuto nel perpetuare il sistema di apartheid. Molti dei risultati e delle raccomandazioni del rapporto sottolineano lurgente necessità di porre fine alloccupazione israeliana per rimuovere le circostanze che consentono i crimini contro lumanità e di guerra.

Contatta:  media@aiusa.org

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Ex funzionario del Mossad: a Gaza i bambini di età superiore ai 4 anni meritano di morire di fame

Jonathan Ofir

15 Febbraio 2024Mondoweiss

In un’intervista alla televisione israeliana, l’ex funzionario del Mossad Rami Igra ha affermato che tutti i palestinesi di Gaza di età superiore ai 4 anni sono “coinvolti” e meritano di affrontare la politica di punizione collettiva di Israele che consiste nel negare cibo e aiuti umanitari.

La depravazione morale genocida di Israele continua a sprofondare in nuovi abissi.

Martedì, l’emittente pubblica israeliana Kan ha trasmesso un programma di notizie sul “130° giorno di guerra” condotto dalla veterana Ayala Hasson. Durante il programma ha intervistato l’ex funzionario del Mossad Rami Igra, che era stato a capo dell’agenzia di spionaggio e assassinio “Divisione Captive & Missing”.

Igra ha fatto eco all’affermazione del presidente Isaac Herzog secondo cui “non ci sono [civili] non coinvolti a Gaza”. Igra sottolinea il punto dicendo “Non esiste una cosa del genere”, mentre Hasson lo interrompe affermando “Hai ragione, hai ragione”.

Ingra poi prosegue specificando questo assioma genocida in modo bizzarro, esentando i bambini di età inferiore ai quattro anni:

A Gaza tutti sono coinvolti. Tutti hanno votato Hamas. Chiunque abbia più di quattro anni è un sostenitore di Hamas. E il nostro obiettivo in questo momento, e questo è conseguente a quello che hai detto, è trasformarli da sostenitori di Hamas in avversari di Hamas”.

Questo messaggio folle e delirante è accompagnato da un approccio apparentemente “umanitario”:

E il modo è fornire noi gli aiuti umanitari”.

Quindi, questo colonialista illuminato sta dicendo che se Israele, piuttosto che l’UNRWA (che Israele sta attaccando, infangando e facendo pressioni per definanziare), sarà il fornitore, allora i palestinesi impareranno cos’è Israele!

All’interno della macchina del genocidio israeliano tutti sanno che la frase “tutti sono coinvolti” significa che tutti possono essere uccisi. Tutti lo sanno. Quindi Hasson ritiene necessario moderare un po’ il messaggio, ma prima sottolinea il suo totale accordo con il messaggio:

OK, guarda, per quanto riguarda i non coinvolti, ogni casa a Gaza è un quartier generale di Hamas, armi, Al Aqsa, tutto, ci sono tutti i segnali”.

Hasson in effetti glielo concede . Tutto ciò non è in discussione. “Ogni casa a Gaza”.

Ma ora, un po’ di tolleranza:

Eppure, come hai detto, bambini da zero a quattro anni? Non sono coinvolti – forse quando cresceranno lo saranno. Nel frattempo non si può farli morire di fame, sono bambini, non c’è niente da fare”.

Proviamo a ricapitolare questa logica sbalorditiva. Hasson capisce che Igra sta parlando di una punizione collettiva genocida – usando la fame come arma di guerra – ma sostiene che i bambini sotto i quattro anni non dovrebbero essere fatti morire di fame perché “sono bambini”. Ergo, un bambino che raggiunge i quattro anni, non è più un bambino e, quindi, a quel punto può morire di fame

“Sono d’accordo con te”, afferma Igra

Questo è nell’interesse di tutti noi”, aggiunge Hasson.

Ma anche contro il nostro interesse”, conferma Igra.

Sì, esattamente”, concorda Hasson.

Ci si potrebbe quasi commuovere dall’emozione per lo straordinario consenso a cui arrivano questi due liberali. Sono partiti dalla visione tradizionale secondo cui tutti gli abitanti di Gaza sono un bersaglio legittimo per il genocidio, ma poi sono riusciti a trovare un terreno comune su una visione più sfumata secondo cui i bambini di età inferiore ai quattro anni dovrebbero essere considerati bambini.

Gli israeliani non hanno idea della profondità dell’abisso morale in cui sono sprofondati. È ormai una cultura genocida così impoverita di senso morale da essere senza speranza, e ritiene ancora di avere tutto sotto controllo. Hanno certamente ancora il controllo sui palestinesi, ma hanno completamente perso il controllo. E lo stesso vale per chi continua a sostenere questo abominio in nome della democrazia e dei valori condivisi.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)