Barche palestinesi tentano di rompere l’assedio di Gaza, la Marina israeliana apre il fuoco

Ma’an News, Palestine Chronicle, Reti Sociali

12 settembre, 2018Palestine Chronicle

Lunedì le forze navali israeliane hanno aperto il fuoco contro decine di barche palestinesi che protestavano presso il porto settentrionale della Striscia di Gaza assediata, nel tentativo di rompere il blocco israeliano durato 12 anni.

I manifestanti hanno fatto salpare 55 barche al largo della costa della Striscia di Gaza; il ministero palestinese della Salute a Gaza ha detto che 49 palestinesi sono rimasti feriti, 10 dei quali sono stati portati in ospedale.

Poi le barche sono state obbligate a tornare sulla spiaggia.

Un giornalista di Ma’an [sito palestinese di notizie, ndtr.] ha affermato che sulla spiaggia nei pressi della barriera settentrionale di sicurezza con Israele i manifestanti hanno dato fuoco a dei copertoni.

Le forze israeliane hanno anche sparato contro i dimostranti gas lacrimogeni.

Come parte del blocco israeliano della fascia costiera [in atto] dal 2007, l’esercito israeliano, adducendo ragioni di sicurezza, impone ai pescatori palestinesi della Striscia di Gaza di lavorare all’interno di una ridotta “zona di pesca stabilita”, i cui limiti esatti sono decisi dalle autorità israeliane e storicamente sono stati modificati varie volte.

Nel corso degli anni sono stati fatti molti tentativi di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sul continuo assedio della Striscia di Gaza e di romperlo sia con navigli che cercano di entrare a Gaza, che con altri che hanno tentato di uscire da Gaza.

 

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 28 agosto – 10 settembre 2018( due settimane)

Lungo la recinzione israeliana che circonda Gaza, le manifestazioni e gli scontri del venerdì sono continuati, provocando, ad opera delle forze israeliane, la morte di tre palestinesi, tra cui due minori, e il ferimento di altri 666.

Durante le manifestazioni che si sono svolte il 7 settembre, ad est di Rafah, in due occasioni, le forze israeliane hanno colpito con armi da fuoco due ragazzi di 16 anni che si trovavano in prossimità della recinzione, uccidendo uno di loro e ferendo gravemente l’altro; per le ferite riportate, anche quest’ultimo è deceduto il giorno successivo. Dalle prime indagini e riprese video pare che nessuno dei ragazzi fosse armato o minacciasse la vita delle forze israeliane. Dal 30 marzo 2018, sono stati uccisi dalle forze israeliane 31 minori, in prevalenza nel corso di manifestazioni. Tra le persone ferite durante il periodo di riferimento, 260 sono state ricoverate in ospedale, 172 di esse erano state colpite con armi da fuoco; le rimanenti persone ferite sono state assistite sul campo. Non sono state segnalate vittime israeliane.

Altri 50 palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane durante due tentativi attuati da decine di imbarcazioni salpate da Gaza con l’intento di forzare il blocco navale israeliano. Le partenze, che si sono svolte il 2 e il 10 settembre, facevano parte delle dimostrazioni della Grande Marcia del Ritorno. Le barche sono state fermate dalla marina israeliana che ha aperto il fuoco verso di esse ed ha lanciato lacrimogeni.

Sempre il 7 settembre, alle stessa ora delle dimostrazioni del venerdì, a nord di Gaza, l’aviazione israeliana ha sparato contro un gruppo di palestinesi e contro una postazione di osservazione militare, senza provocare vittime. Il primo attacco era diretto contro persone che cercavano di lanciare palloncini incendiari verso Israele; il secondo, secondo fonti israeliane, era in risposta all’incendio di una torretta militare israeliana mediante un aquilone incendiario.

Per costringere [i palestinesi] al rispetto delle restrizioni di accesso alle Aree Riservate, sia di terra [la fascia interna alla recinzione] che di mare [lungo la costa di Gaza] imposte da Israele, sono stati registrati almeno 15 episodi in cui le forze israeliane hanno aperto il fuoco, costringendo agricoltori e pescatori a lasciare le aree. Inoltre, secondo fonti palestinesi, cinque pescatori sono stati costretti a togliersi i vestiti e a nuotare verso le imbarcazioni militari israeliane, dove sono stati arrestati, mentre la loro imbarcazione veniva sequestrata. Inoltre, in un caso, le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo vicino al recinto perimetrale, a est della città di Gaza. In tre diversi episodi, le forze israeliane hanno arrestato nove persone, tra cui due minori, che erano vicine alla recinzione perimetrale; quattro di loro sono poi state rilasciate.

Il 3 settembre, nell’area H2 di Hebron, controllata dagli israeliani, le forze israeliane hanno sparato e ucciso un palestinese di 36 anni: a quanto riferito, avrebbe tentato di pugnalare un soldato israeliano; non sono stati segnalati israeliani feriti. L’episodio è avvenuto all’ingresso del complesso colonico di Giv’at Ha’Avot. Il corpo del presunto aggressore è stato trattenuto dalle Autorità israeliane, insieme ai corpi di almeno altri quindici palestinesi uccisi in circostanze simili nei mesi precedenti.

In Cisgiordania, in diversi episodi, 130 palestinesi (tra cui 37 minori) sono stati feriti dalle forze israeliane. Dei 130 ferimenti, 32 (di cui 8 di minori) sono avvenuti durante scontri con forze israeliane conseguenti all’ingresso di israeliani in luoghi religiosi che si trovano all’interno di città palestinesi. Altri 27 feriti sono stati registrati durante due manifestazioni nel governatorato di Ramallah: a Bil’in, durante la consueta protesta settimanale contro la Barriera e l’espansione degli insediamenti; a Ras Karkar, contro la costruzione, su proprietà privata palestinese, di una nuova strada destinata ai coloni. Inoltre, nella zona H2 della città di Hebron, le forze israeliane hanno aggredito fisicamente e ferito quattro insegnanti ed hanno sparato lacrimogeni nel cortile di un complesso scolastico, ferendo 20 minori; per più di 300 studenti le lezioni sono state sospese per il resto della giornata. Secondo fonti israeliane, l’accaduto ha fatto seguito al lancio di pietre, provenienti dal complesso scolastico, contro forze israeliane di pattuglia vicino alla scuola. Altri 19 palestinesi sono stati feriti durante scontri seguiti a sette operazioni di ricerca; complessivamente, le forze israeliane hanno condotto 140 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 205 palestinesi, tra cui dodici minori.

In Zona C e Gerusalemme Est, citando la mancanza dei permessi edilizi israeliani, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 25 strutture di proprietà palestinese, provocando lo sfollamento di 47 persone, tra cui 23 minori, e colpendo i mezzi di sostentamento di altre 108 persone. Diciassette delle strutture prese di mira erano nell’Area C: i due episodi più rilevanti sono stati registrati nella Comunità beduina di Deir al Qilt (Gerico), situata in un’area designata [da Israele] come “zona per esercitazioni a fuoco”, e nel villaggio di Barta’a ash Sharqiya (Jenin), una città separata dal resto della Cisgiordania dalla Barriera. Le altre otto strutture erano a Gerusalemme Est, cinque delle quali in un’area del villaggio di Al Walaja situata all’interno del comune di Gerusalemme, ma separate dal resto della Città dalla Barriera. Due dei casi di demolizione segnalati, tra cui quello di Al Walaja, hanno provocato scontri con forze israeliane: venti palestinesi sono stati feriti.

Il 5 settembre, l’Alta Corte di Giustizia Israeliana ha respinto tutte le petizioni relative alla sua sentenza del 24 maggio [vedere bollettino 223], che autorizzava la demolizione dell’intera Comunità beduina palestinese di Khan al Ahmar-Abu al-Helu, situata nell’Area C del governatorato di Gerusalemme. Una precedente ordinanza, contraria alle demolizioni, è scaduta il 12 settembre, lasciando la Comunità, che ospita 35 famiglie comprendenti 188 persone, più della metà delle quali minori, a rischio demolizione di massa e trasferimento forzato. Le Nazioni Unite avevano in precedenza chiesto alle Autorità israeliane di rinunciare ai piani di demolizione e di trasferimento della Comunità, in quanto tali provvedimenti sarebbero stati in contrasto con le norme del Diritto internazionale.

Il 4 agosto, nella parte settentrionale della Valle del Giordano, per consentire addestramenti militari israeliani, in due distinti episodi, le forze israeliane hanno spostato, per 17 ore, cinque famiglie palestinesi di due Comunità di pastori. Entrambe le Comunità si trovano in aree designate come “zone per esercitazioni a fuoco”. Insieme alle demolizioni ed alle restrizioni di accesso, questa pratica contribuisce ad accrescere la pressione su queste Comunità, esponendone i residenti ad un elevato rischio di trasferimento forzato.

Undici attacchi da parte di coloni ed altri israeliani hanno provocato sei feriti e danni a proprietà palestinesi. Il 1° settembre, vicino all’incrocio di Yitzhar (Nablus), coloni israeliani hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi, ferendo quattro palestinesi, tra cui un bambino di cinque anni. In due distinti episodi accaduti nella zona H2 della città di Hebron, coloni israeliani hanno aggredito con spray al peperoncino e ferito un ragazzo palestinese 15enne che tornava a casa da scuola ed hanno anche danneggiato, con lancio di pietre, un’ambulanza in servizio. A Gerusalemme Est un palestinese autista di autobus è stato aggredito fisicamente e ferito da un gruppo di israeliani. Secondo quanto riportato, circa 90 ulivi, di proprietà palestinese, sono stati vandalizzati da parte di coloni israeliani in quattro diversi episodi avvenuti in At Tuwani (Hebron), Al Lubban ash Sharqiya e Burin (entrambi a Nablus). In altri quattro diversi episodi verificatisi ad Asira al Qibliya, Al Lubban ash Sharqiya, Madama e Beita (tutti a Nablus), coloni israeliani hanno vandalizzato veicoli e case palestinesi, anche con scritte “Questo è il prezzo”. La violenza dei coloni è in aumento dall’inizio del 2018, con una media settimanale di cinque attacchi risultanti in ferimenti o danni a proprietà, rispetto ad una media di tre nel 2017 e di due nel 2016.

In Cisgiordania, secondo fonti israeliane, in almeno quattordici occasioni, palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani vicino a Hebron, Betlemme e Ramallah, danneggiando almeno quattordici veicoli privati; in tre di questi episodi, vicino a Ramallah e Betlemme, tre coloni israeliani sono rimasti feriti.

In Cisgiordania, durante il periodo di riferimento, in occasione delle festività ebraiche di Capodanno, le Autorità israeliane hanno imposto una chiusura generale di quattro giorni. A tutti i detentori di documenti di identificazione della Cisgiordania, inclusi lavoratori e commercianti con permessi validi, è stato impedito di entrare a Gerusalemme Est e Israele attraverso tutti i checkpoint; hanno fatto eccezione i casi di emergenza medica, gli studenti e gli impiegati palestinesi di ONG internazionali e di Agenzie delle Nazioni Unite.

Il 5 settembre, e fino al termine del periodo di riferimento di questo Rapporto, le Autorità israeliane hanno chiuso il valico di Erez con la Striscia di Gaza, facendo transitare solo casi di emergenza per due giorni. Secondo quanto riferito, la chiusura è stata imposta per riparare i danni alle infrastrutture causati dai palestinesi durante le manifestazioni del venerdì e, a seguire, per le festività ebraiche.

Il valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto, sotto controllo egiziano, ha aperto in entrambe le direzioni per sette giorni e per altri cinque giorni in una sola direzione (verso Gaza). Hanno potuto entrare in Gaza 6.307 persone (inclusi 3.229 pellegrini di ritorno dalla Mecca) e ne sono uscite 2.695.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it

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Gli Stati Uniti cessano di finanziare l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi

Al-Jazeera e agenzie di stampa

1 settembre 2018 Al-Jazeera

La decisione dell’amministrazione Trump è stata duramente criticata in quanto “palese attacco” contro i palestinesi che già affrontano una situazione drammatica.

Alcuni funzionari palestinesi hanno duramente criticato la decisione degli Stati Uniti di bloccare i finanziamenti all’agenzia delle Nazioni Unite che assiste i rifugiati palestinesi in tutto il Medio Oriente, definendola un “plateale attacco” contro il popolo palestinese.

I commenti sono arrivati venerdì poco dopo che il governo degli Stati Uniti, uno dei principali alleati di Israele, ha annunciato che avrebbe interrotto i suoi finanziamenti all’Agenzia Umanitaria delle Nazioni Unite per il soccorso (UNRWA) [che si occupa esclusivamente dei rifugiati palestinesi, ndtr.] dopo aver definito l’organizzazione “un’impresa irrimediabilmente viziata “.

In una dichiarazione, la portavoce del Dipartimento di Stato americano Heather Nauert ha dichiarato che “è assolutamente insostenibile che gli aventi diritto ai benefici dell’UNRWA siano in continuo e infinito aumento e [l’agenzia] è in crisi da molti anni.”

“L’amministrazione [Trump] ha esaminato attentamente il problema e ha stabilito che gli Stati Uniti non verseranno ulteriori contributi all’UNRWA”, ha affermato Nauert.

La decisione è arrivata una settimana dopo che gli Stati Uniti hanno annunciato il taglio di oltre 200 milioni di dollari agli aiuti economici per i palestinesi.

“Le due successive decisioni americane rappresentano un flagrante attacco contro il popolo palestinese e una sfida alle risoluzioni delle Nazioni Unite”, ha detto ieri il portavoce dell’Autorità Nazionale Palestinese Nabil Abu Rdainah all’agenzia di stampa Reuters.

“Tale punizione non riuscirà a cambiare il fatto che gli Stati Uniti non hanno più un ruolo nella regione e non sono parte della soluzione”.

Rob Reynolds di Al Jazeera, riferendo da Washington DC, ha detto che la decisione degli Stati Uniti “potrebbe peggiorare considerevolmente una situazione già terribile in alcune parti dei territori palestinesi, specialmente a Gaza”.

“Loro (gli Stati Uniti) si stanno giustificando per lo più con il fatto che i finanziamenti sono mal gestiti e la stessa agenzia spreca denaro ed è inefficiente”, ha detto Reynolds.

“La cosa è parte integrante, insieme al riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, di un tentativo da parte dell’amministrazione Trump di determinare alcuni cambiamenti radicali e cercare di ridefinire la situazione in Medio Oriente”.

L’UNRWA fu fondata nel 1949 dopo che 700.000 palestinesi furono costretti a lasciare le proprie case da miliziani sionisti che preparavano la fondazione dello stato di Israele.

Attualmente fornisce servizi a cinque milioni di rifugiati palestinesi nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza, nonché in Giordania, Libano e Siria.

Sotto l’amministrazione di Donald Trump, il governo degli Stati Uniti aveva già ridotto il budget alle attività dell’UNRWA nei territori palestinesi occupati da 365 milioni di dollari a soli 65 milioni, provocando licenziamenti e il passaggio di molti dipendenti e collaboratori palestinesi a tempo pieno dell’agenzia a contratti part-time.

Alla fine di giugno, l’ONU aveva chiesto agli stati membri di colmare il problematico buco nel finanziamento causato dai tagli del governo degli Stati Uniti.

“La situazione dei palestinesi è segnata da grande ansia e incertezza, in primo luogo perché i rifugiati palestinesi non vedono all’orizzonte una soluzione alla loro situazione “, ha detto Pierre Krahenbuhl, direttore dell’UNRWA a una conferenza dell’ONU.

All’inizio di questa settimana, l’UNRWA ha segnalato che se Washington avesse approvato il taglio dei finanziamenti, ciò avrebbe probabilmente comportato una maggiore instabilità nella regione.

“Ci si deve porre la domanda: come diventerà il Medio Oriente se le persone più vulnerabili in quella regione non dovessero più ricevere servizi dall’organizzazione umanitaria delle Nazioni Unite”, ha detto il portavoce dell’agenzia Chris Gunness all’Agenzia [turca] Anadolu.

Il governo degli Stati Uniti sta anche spingendo per una riduzione del numero di rifugiati palestinesi da cinque milioni a cinquecentomila, e considera [rifugiati] solo quelli che sono stati direttamente espulsi dalle proprie case settant’anni fa.

Di conseguenza, milioni di loro figli e nipoti saranno esclusi.

( Traduzione di Luciana Galliano )




Rapporto OCHA del periodo 14 – 27 agosto (due settimane)

Nei pressi della recinzione israeliana che circonda Gaza, sono continuate, per la ventiduesima settimana consecutiva, le dimostrazioni e gli scontri del venerdì, provocando la morte di due palestinesi e il ferimento di altri 733.

Nelle aree di Rafah e Deir al Balah, durante le manifestazioni che si sono svolte il 17 agosto, le forze israeliane hanno sparato ed hanno ucciso due uomini di 27 e 28 anni. 325 dei [733] feriti sono stati ricoverati in ospedale; 141 di loro erano stati colpiti con armi da fuoco; i rimanenti feriti sono stati curati sul posto. Non sono state segnalate vittime fra gli israeliani. Il 21 agosto, per la prima volta dall’inizio delle manifestazioni, l’Avvocatura Militare Generale israeliana ha annunciato l’apertura di indagini penali sull’uccisione, avvenuta nei mesi precedenti, di due manifestanti palestinesi.

Secondo fonti israeliane, il 20 agosto un palestinese ha forzato la recinzione perimetrale di Gaza ed è entrato in Israele, ha aperto il fuoco contro una pattuglia israeliana e, successivamente, è stato colpito e ucciso dalle forze israeliane. L’uomo era un dipendente di una ONG internazionale che forniva assistenza medica a Gaza, ma, al momento dell’accaduto, non era in servizio. Nessuna informazione utile a chiarire le circostanze della sua morte è stata condivisa con la ONG.

Sono stati registrati almeno 15 casi in cui forze israeliane, per far rispettare le restrizioni di accesso alle Aree Riservate [stabilite da Israele] su zone [di Gaza] di terra e di mare, hanno aperto il fuoco in direzione dei palestinesi ivi presenti, ferendo due di essi, tra cui un minore, e costringendo agricoltori e pescatori ad allontanarsi. Secondo fonti palestinesi, in due diversi episodi, sei pescatori sono stati costretti a togliersi i vestiti e a nuotare verso le imbarcazioni militari israeliane, dove sono stati arrestati; le loro tre barche e le reti da pesca sono state sequestrate. Il 15 agosto, Israele ha esteso l’accessibilità alle zone di pesca, a seconda dell’area, a 6 e 9 miglia nautiche dalla costa (il 16 luglio erano state ridotte a 3 miglia). Le restrizioni all’accesso al mare continuano a influenzare il sostentamento di oltre 50.000 palestinesi, per i quali l’attività della pesca costituisce la principale fonte di reddito. Inoltre, in due occasioni, vicino al recinto perimetrale, ad est di Gaza e di Khan-Younis, le forze israeliane sono entrate in Gaza ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo.

Il 15 agosto, Israele ha revocato le severe restrizioni, imposte il 9 luglio, di ingresso e uscita delle merci attraverso il valico di Kerem Shalom, al confine con Gaza; inoltre ha portato da 3 a 6-9 miglia nautiche dalla costa la zona di pesca consentita [vedi paragrafo precedente]. Le restrizioni erano state adottate in risposta al lancio di aquiloni e palloncini incendiari che da Gaza avevano provocato estesi danni alle proprietà israeliane.

Il 27 agosto, l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha stabilito che le Autorità israeliane non potranno più negare ai parenti dei membri di Hamas i permessi di uscita dalla Striscia di Gaza per ricevere cure mediche in Cisgiordania. La sentenza ha fatto seguito ad una petizione congiunta presentata da organizzazioni per i diritti umani, sia palestinesi che israeliane.

Il 27 agosto, le autorità israeliane hanno revocato le restrizioni (emanate il 19 agosto) che limitavano l’uscita dei palestinesi attraverso il valico di Erez solo ai casi di urgenza medica. Al momento, il valico è transitabile solo da un numero limitato di persone che possono beneficiare del permesso di uscita: ammalati, uomini d’affari, dipendenti di organizzazioni internazionali; mentre alla maggior parte della popolazione non è consentita l’uscita.

In Cisgiordania, nel corso di numerosi scontri, 29 palestinesi, tra cui cinque minori, sono stati feriti dalle forze israeliane. Gli scontri avvenuti a Kafr Qaddum (Qalqiliya), durante la dimostrazione settimanale contro le restrizioni di accesso, hanno registrato Il maggior numero di feriti, seguiti dagli scontri presso l’area di Bab az Zawiyah nella città di Hebron. Complessivamente, le forze israeliane hanno condotto 114 operazioni di ricerca-arresto, tre delle quali hanno provocato scontri ed il ferimento di sette palestinesi. La maggior parte dei ferimenti (22) sono stati causati da proiettili gommati, seguiti da quelli dovuti ad inalazione di gas lacrimogeno necessitanti cure mediche (5) e da aggressioni fisiche (3).

Il 17 agosto, a Gerusalemme Est, le forze israeliane hanno sparato ad un cittadino israeliano palestinese di 30 anni, uccidendolo: a quanto riferito, aveva tentato di accoltellare un poliziotto israeliano. L’episodio è avvenuto nella Città Vecchia, presso uno degli ingressi del Complesso Haram ash Sharif / Monte del Tempio; non sono stati segnalati ferimenti di israeliani. Il corpo dell’uomo è trattenuto dalle autorità israeliane, insieme ai corpi di almeno altri quindici palestinesi uccisi in circostanze simili nei mesi precedenti.

Il 28 agosto, nel villaggio di Kobar (Ramallah) in zona B, le autorità israeliane hanno demolito una casa per motivi “punitivi”, sfollando una famiglia di sei persone. La casa apparteneva alla famiglia del 17enne palestinese che, il 26 luglio 2018, nell’insediamento di Adam (governatorato di Gerusalemme), uccise un colono israeliano e venne, a sua volta, ucciso da un altro colono. Il 26 agosto, le Autorità israeliane hanno emesso un ordine di demolizione punitiva contro due piani di un edificio situato nel Campo profughi di Al Amaari (Ramallah). Si tratta dell’abitazione della famiglia di un palestinese accusato di aver ucciso un soldato israeliano durante un’operazione di ricerca-arresto svolta nel maggio 2018. Dall’inizio del 2018, sono state demolite, per ragioni “punitive”, quattro abitazioni; erano state nove in tutto il 2017 e 29 nel 2016.

In Area C e Gerusalemme Est, per mancanza di permessi di costruzione israeliani, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato tre strutture di proprietà palestinese, colpendo i mezzi di sostentamento di 34 persone. Una delle strutture sequestrate ad Al Khader (Betlemme) è una unità di stoccaggio agricolo fornita come assistenza umanitaria in risposta a una precedente demolizione. Nella Comunità di Zanuta (Hebron) è stato emesso [dalle autorità israeliane] un ordine di demolizione contro una scuola in costruzione; era destinata a sostituirne un’altra, utilizzata da 40 bambini, sequestrata in aprile 2018.

Inoltre, in Zona B, vicino alla città di Ya’bad (Jenin), citando norme ambientali israeliane, le Autorità israeliane hanno demolito due strutture in una fabbrica di carbone, ed hanno distrutto oltre dieci tonnellate di legna, colpendo i mezzi di sostentamento di due famiglie. Dal 2016, questo è il terzo episodio di questo genere nella zona.

Il 13 agosto, nella zona di Massafer Yatta, nel sud di Hebron, le Autorità israeliane hanno sequestrato un veicolo 4×4 utilizzato per una clinica mobile, costringendo i residenti a percorrere distanze maggiori per accedere ai servizi di assistenza sanitaria di base. I motivi del sequestro rimangono poco chiari. Il veicolo, utilizzato per il trasporto del personale e delle attrezzature della clinica, era stato fornito da una ONG internazionale. L’area di Massafer Yatta è destinata [da Israele] all’addestramento militare e designata come “zona per esercitazioni a fuoco”: i 1.300 residenti rischiano il trasferimento forzato.

Dodici aggressioni da parte di coloni israeliani hanno provocato il ferimento di sei palestinesi ed estesi danni a proprietà palestinesi. In due distinti episodi, verificatisi il 19 e il 23 agosto, agli incroci di Za’tara e Yitzhar (Nablus), coloni israeliani hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi: feriti cinque palestinesi, tra cui un ragazzo di 16 anni, e danneggiate oltre 50 auto. Le aggressioni sono avvenute all’indomani di un incidente stradale, avvenuto nella stessa zona, tra veicoli palestinesi e israeliani, durante il quale era morto un israeliano. Nella città di Hebron, nella zona controllata dagli israeliani, coloni israeliani hanno aggredito fisicamente e ferito una donna palestinese sorda di 50 anni. In quattro diversi episodi accaduti a Ras Karkar (Ramallah), Al Lubban ash Sharqiya e As Sawiya (entrambi a Nablus) e Sheikh Jarrah (Gerusalemme Est), circa 160 olivi di proprietà palestinese sono stati vandalizzati, secondo quanto riferito, da coloni israeliani. In altri quattro episodi, ad Aqraba e “Asira al Qibliya (entrambi a Nablus), Sinjil (Ramallah) e Al ‘Isawiya (Gerusalemme Est), coloni israeliani hanno forato le gomme di 44 veicoli palestinesi, hanno spruzzato sui muri di una casa palestinese scritte tipo “questo è il prezzo” ed hanno danneggiato un pozzo d’acqua. Inoltre, nell’area Massafer Yatta, quattro attivisti israeliani che, con la loro presenza, garantivano protezione ai palestinesi, sono stati aggrediti fisicamente e feriti da coloni israeliani. Dall’inizio del 2018, la violenza dei coloni è in aumento, con una media settimanale di 5 attacchi che causano feriti o danni. La media era di tre nel 2017 e di due nel 2016.

Secondo resoconti di media israeliani, sono stati segnalati almeno cinque episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi contro veicoli israeliani, con conseguenti danni a cinque veicoli privati, vicino a Betlemme, Gerusalemme e Ramallah.

Il valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto, sotto controllo egiziano, ha aperto in entrambe le direzioni per sei giorni, e in una sola direzione per altri due giorni. Un totale di 2.896 persone (inclusi 112 pellegrini di ritorno dalla Mecca) hanno potuto entrare a Gaza; 1.832 ne sono uscite (inclusi 438 pellegrini). Dal 12 maggio 2018, il valico è stato aperto quasi continuativamente.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

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Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Ahed Tamimi e la forza delle donne palestinesi

Ramzy Baroud

23 agosto 2018, Al Jazeera

Lamia, Reem, Shaima e Dwlat sono donne palestinesi forti proprio come Ahed, ma le loro storie sono state ignorate.

Ahed Tamimi, la diciassettenne militante palestinese del villaggio di Nabi Saleh in Cisgiordania, è un’icona di una giovane generazione ribelle di palestinesi che ha dimostrato di non tollerare le continue violazioni israeliane dei loro diritti e della loro libertà. Dopo aver passato otto mesi in prigione per aver affrontato i soldati dell’occupazione israeliana nel cortile di casa sua, Ahed è uscita ancor più forte e più determinata a trasmettere al mondo le sofferenze e le lotte del suo popolo.

“Il potere è del popolo ed il popolo saprà decidere il proprio destino e il proprio futuro e lo può fare”, ha detto, rivolgendosi alla folla di sostenitori e giornalisti dopo il suo rilascio.

La storia di Ahed ha ricevuto una sproporzionata attenzione da parte delle agenzie di comunicazione internazionali, che invece hanno spesso ignorato il coraggio e la sofferenza di tante ragazze e donne palestinesi che da molti anni vivono sotto l’occupazione e l’assedio militare di Israele.

Cosciente di questo, la madre di Ahed, Nariman, ha detto: “Sinceramente, è stato probabilmente l’aspetto di Ahed che ha provocato questa solidarietà internazionale, e questo è un fatto razzista, perché molti minori palestinesi sono nella situazione di Ahed, ma non sono stati trattati allo stesso modo.”

C’è molto di vero in questa affermazione. Quando le donne palestinesi non sono invisibili nell’informazione dei media occidentali, vengono dipinte come sventurate vittime di circostanze al di là del loro controllo – l’occupazione militare della loro terra e l’“arretratezza” della loro stessa società patriarcale. Difficilmente vengono viste come promotrici di cambiamento; al massimo, sono presentate come intrappolate in un “conflitto” in cui non giocano alcun ruolo attivo.

L’invisibilità delle donne arabe e musulmane nei media occidentali ha radici in una lunga storia di colonialismo, pieno di errate convinzioni e rappresentazioni razziste. Nel caso palestinese, queste errate rappresentazioni pregiudicano l’urgenza politica ed umanitaria della drammatica condizione delle donne palestinesi e del popolo palestinese nel suo complesso.

In realtà le donne palestinesi sono difficilmente mere spettatrici nella persecuzione e nella resistenza dei palestinesi e, a prescindere dal loro orientamento politico, dalla loro religione o residenza, meritano di essere rese visibili e comprese nel più ampio contesto dell’occupazione israeliana della Palestina.

Ciò che segue sono le brevi storie di quattro forti donne di Gaza che, nonostante la loro lotta ed il loro coraggio, rimangono invisibili nei media. Allevano bambini, insegnano musica, partecipano alle proteste alla barriera tra Gaza e Israele, subiscono la perdita dei loro cari e ferite e resistono di fronte ad una dura vita sotto l’assedio.

Tornerò ad unirmi alla Grande Marcia del Ritorno’ – Lamia Ahmed Hussein, 37 anni, Khan Younis

Quando il marito di Lamia, Ghazi Abu Mustafa, il 27 luglio è stato ucciso da un cecchino israeliano alla barriera di separazione tra Gaza e Israele, lei stava lavorando sul campo come volontaria paramedica.

Lamia è la maggiore di nove sorelle e fratelli. La sua famiglia, che ora risiede nella città di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, è originaria della cittadina di B’ir Al-Saba’a nella Palestina storica e, come milioni di palestinesi a Gaza e altrove, è ora in esilio permanente.

La fede di Lamia nel suo diritto a tornare nella casa della sua famiglia in Palestina è ciò che l’ ha motivata ad unirsi alla ‘Grande Marcia del Ritorno’ il 30 marzo, in cui ricorreva anche “il Giorno della Terra”.

La sua decisione è stata appoggiata con forza da suo marito Ghazi, di 43 anni, che si è unito alla Marcia proprio il primo giorno. Lamia si è offerta come volontaria paramedica, aiutando centinaia di feriti palestinesi ogni venerdì. Conosceva molto bene quanto importante potesse essere il suo ruolo per quei coraggiosi dimostranti e per le loro famiglie. In passato, suo marito è stato ferito diverse volte negli scontri coi soldati israeliani.

Il suo primo ferimento, che gli tolse la vista all’occhio sinistro, avvenne durante la mobilitazione ampiamente non-violenta contro l’occupazione israeliana (1987-1993), nota come la prima Intifada. Nella Marcia del Ritorno è stato colpito più volte e, con Lamia al suo fianco, è ritornato alla barriera zoppicando, per essere accanto al suo popolo.

Lamia e Ghazi hanno affrontato insieme le loro sfide, hanno cresciuto una famiglia nella impoverita Gaza ed hanno protestato uno accanto all’altra quando la marcia di Gaza ha coinvolto l’intera comunità, sia uomini che donne, come non era mai avvenuto prima.

A luglio Ghazi è stato colpito a morte. È morto mentre Lamia stava salvando la vita di un altro dimostrante gravemente ferito, Nahid Qadeh.

Lamia era distrutta, ma non spezzata. Una vita di difficoltà e sofferenze le ha insegnato la forza e la resilienza. “Una barca impegnata ad aiutare gli altri non affonderà mai”, le ha detto Ghazi un giorno mentre si univano ad una grande folla di manifestanti alla barriera.

Madre di sei figli, rimasta vedova, ha tutte le intenzioni di riprendere il suo lavoro alla barriera.

“Niente farà vacillare la mia fede nel mio diritto al ritorno”, dice, una lezione che insegna continuamente ai suoi figli.

Benché il futuro di Gaza rimanga fosco, la determinazione di Lamia ad ottenere giustizia – per la sua famiglia, per il suo popolo e per sé stessa – rimane indistruttibile.

Non smetterò di cantare’ – Reem Anbar, 28 anni, Gaza City

Reem ha trovato la sua vocazione durante la guerra di Israele contro Gaza nell’estate del 2014. Avrebbe portato il suo ‘oud’ [il liuto arabo, ndtr.] ogni giorno dalla sua casa al Centro culturale Sa’id Al-Mashal, dove avrebbe trascorso ore a suonare per gli impauriti bambini e le loro famiglie, che vi avevano trovato rifugio dagli incessanti bombardamenti.

Per anni Reem ha tentato di lasciare Gaza in cerca di un posto dove sviluppare la sua passione per la musica presso un autorevole istituto artistico. Ma la sua richiesta di uscire è stata ripetutamente respinta da Israele. Ci sono migliaia di studenti come Reem che non hanno potuto usufruire di opportunità educative al di fuori di Gaza per la stessa ragione.

Reem suona l’‘oud’ da quando era piccola. Era il suo compagno, soprattutto nelle lunghe notti dei bombardamenti israeliani. Ogni volta che le bombe cominciavano a cadere, Reem prendeva il suo strumento ed entrava in un magico mondo in cui le note ed i ritmi avrebbero sconfitto il caos assoluto fuori dalla sua finestra.

Quando Israele ha scatenato l’attacco del 2014 contro Gaza, Reem ha invitato altre persone nel suo mondo musicale. Ha suonato per i bambini traumatizzati nel centro culturale, che cantavano mentre le bombe israeliane cadevano sulle loro case. Quando la guerra è finita Reem ha continuato il suo lavoro, aiutando i bambini feriti e resi disabili durante la guerra, nel centro stesso ed altrove. Insieme ad altri giovani artisti ha composto pezzi musicali per loro e ha allestito spettacoli per aiutare questi bambini a superare il trauma e favorire la loro integrazione nella società.

Alla fine del 2017 Reem è finalmente riuscita a lasciare Gaza per intraprendere l’istruzione superiore in Europa. Il 9 agosto 2018 ha appreso col cuore a pezzi che Israele aveva bombardato il Centro Culturale Sa’id Al-Mashal, che è andato completamente distrutto.

Reem intende tornare a Gaza quando avrà completato il suo percorso educativo. Vuole ottenere una laurea magistrale in terapia della musica, per poter contribuire a risanare una generazione di bambini segnata dalla guerra e dall’assedio.

“Vogliono farci smettere di cantare”, dice. “Ma accadrà il contrario. La Palestina sarà sempre un luogo di arte, storia e ‘sumud’ – tenacia. Lo giuro, terremo i nostri concerti nelle strade, se necessario.”

Sconfiggerò il cancro’ – Shaima Tayseer Ibrahim al-Shamali, 19 anni, Rafah

Shaima può a stento parlare. Il suo tumore al cervello ha colpito la sua mobilità e la sua capacità di esprimersi. Eppure è decisa a conseguire la laurea in Educazione di base all’università aperta Al-Quds di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

La sofferenza che affronta questa diciannovenne è straordinaria, anche per gli standard della povera e isolata Gaza. È la maggiore di cinque figli in una famiglia che è caduta in povertà in seguito all’assedio israeliano. Suo padre è pensionato e la famiglia ha dovuto lottare, ma ciononostante Shaima è determinata a poter studiare.

Doveva sposarsi dopo la laurea all’università. La speranza ha ancora modo di insediarsi nei cuori dei palestinesi di Gaza e Shaima sperava in un futuro migliore per sé e per la sua famiglia.

Ma il 12 marzo è cambiato tutto.

Quel giorno a Shaima è stato diagnosticato un tumore aggressivo al cervello. Appena prima della sua prima operazione all’ospedale Al-Makassed di Gerusalemme il 4 aprile, il suo ragazzo ha rotto il fidanzamento.

L’operazione ha lasciato a Shaima una paralisi parziale. Parla e si muove con grande difficoltà. Ma vi erano notizie peggiori; ulteriori analisi in un ospedale di Gaza hanno rilevato che il tumore non era stato del tutto rimosso e doveva essere asportato velocemente, prima che si espandesse di più.

A peggiorare la situazione, il 12 agosto il ministero della Sanità di Gaza ha annunciato che non sarebbe più stato in grado di curare i malati di cancro nell’enclave assediata da Israele.

Shaima sta ora lottando per la sua vita mentre aspetta il permesso israeliano di passare il checkpoint di Beit Hanoun (chiamato da Israele valico di Erez) verso la Cisgiordania, attraverso Israele, per un’operazione urgente.

Molti abitanti di Gaza sono morti in quel modo, nell’attesa di un pezzo di carta, un permesso, che non è mai arrivato. Shaima comunque continua a sperare, mentre tutta la sua famiglia prega costantemente che la loro figlia maggiore vinca la sua battaglia contro il cancro e riprenda i suoi studi universitari.

Difenderò la mia famiglia e il mio popolo’ – Dwlat Fawzi Younis, 33 anni, Beit Hanoun

Dwlat si occupa di una famiglia di 11 persone, compresi i suoi nipoti e suo padre gravemente malato. Ha dovuto diventare capofamiglia quando suo padre, a 55 anni, è stato colpito da insufficienza renale ed è stato impossibilitato a lavorare.

Deve provvedere a tutta la famiglia con il denaro che guadagna come parrucchiera. I suoi fratelli e sorelle sono tutti disoccupati. Aiuta anche loro, tutte le volte che può.

Dwlat è una combattente; è sempre stata così. Forse è stata la sua esperienza del 3 novembre del 2006 a rafforzare la sua determinazione. Un soldato israeliano le ha sparato mentre stava manifestando con un gruppo di donne contro l’attacco israeliano e la distruzione della storica moschea Umm Al-Nasr a Beit Hanoun. Quel giorno sono state uccise due donne. Dwlat è stata colpita da una pallottola al bacino, ma è sopravvissuta.

Dopo mesi di cure è guarita ed ha ripreso la sua lotta quotidiana. Inoltre non ha mai perso occasione per alzare la voce in solidarietà con il suo popolo durante le proteste.

Il 14 maggio 2018, quando gli Stati Uniti hanno ufficialmente trasferito la loro ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, 60 dimostranti palestinesi sono stati uccisi e circa 3000 feriti presso la barriera tra Israele e Gaza. Dwlat è stata colpita alla coscia destra, il proiettile ha trapassato l’osso ed ha tagliato un’arteria.

Da allora la sua salute è peggiorata velocemente ed ora non è in grado di lavorare. Ma Israele non ha ancora approvato la sua richiesta di essere trasferita all’ospedale Al-Makassed di Gerusalemme per esservi curata.

Eppure Dwlat sostiene che continuerà ad essere un membro attivo ed efficiente della comunità di Gaza – per amore della sua famiglia e del suo popolo, anche se questo significa andare alle proteste alla barriera di Gaza con le stampelle.

In realtà, Ahed, Lamia, Reem, Shaima e Dwlat incarnano lo straordinario spirito e coraggio di ogni donna palestinese che vive sotto l’occupazione e l’assedio di Israele in Cisgiordania e a Gaza. Resistono e persistono, nonostante l’enorme prezzo che pagano, e continuano la lotta delle generazioni di coraggiose donne palestinesi che le hanno precedute.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Al Jazeera.

Ramzy Baroud è un giornalista accreditato internazionalmente, consulente in materia di mezzi di comunicazione e scrittore.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Un ‘tradimento nazionale’ da parte di Fatah…o di Hamas?

Ramona Wadi

16 agosto 2018, Middle East Monitor


Ieri, quando è entrato in vigore il cessate il fuoco tra Hamas e Israele, mediato dall’ONU e dall’Egitto, Ramallah è sbottata in una litania di furibondi commenti. L’ importante dirigente di Fatah Azzam Al-Ahmad è stato così citato dall’agenzia di informazioni Wafa: “La tregua tra Hamas e Israele di alcuni giorni fa è un tradimento del popolo palestinese e della sua causa nazionale.” La dirigenza palestinese, ha dichiarato, “non ha tempo per simili inutili pagliacciate.”

Il cessate il fuoco è soltanto un cessate il fuoco. La retorica ostile di Israele prosegue, in particolare da parte del ministro della Difesa Avigdor Lieberman, che ha ribadito che è imminente una nuova ripresa di violenze contro Gaza. Se si eliminano le sottigliezze diplomatiche, come occorrerebbe fare per ridurre la confusione riguardo alle intenzioni, è chiaro che né Hamas né Israele hanno concordato nulla che sia fuori dall’ordinario. Hamas ha solo chiesto l’adempimento delle condizioni che hanno portato alla conclusione dell’operazione “Margine Protettivo” nel 2014. Questo non è un tradimento nazionale, e neppure una pagliacciata, come sostenuto da Al-Ahmad. È una dimostrazione di quanto Hamas continui ad incontrare vincoli sia nella resistenza che nella diplomazia. Parte della colpa ricade sull’Autorità Nazionale Palestinese e sulla sua disponibilità ad appoggiare la pregiudizievole posizione internazionale che mira alla completa colonizzazione della Palestina.

Il tradimento nazionale di cui i dirigenti di Fatah dovrebbero parlare è, senza dubbio, l’accettazione degli Accordi di Oslo, che si sono dimostrati una grottesca pagliacciata per i palestinesi – per dirla in sintesi, un bagno di sangue che ha lacerato la terra e il popolo attraverso i compromessi su Gerusalemme, l’espansione delle colonie, il coordinamento sulla sicurezza con Israele, il mercanteggiamento sui prigionieri palestinesi, lo sfruttamento della resilienza e resistenza palestinese, il trascurare l’importanza del diritto al ritorno dei palestinesi e la collaborazione con la comunità internazionale nel mantenere la retorica compromissoria dei due Stati e spogliare i palestinesi del loro diritto alla Palestina storica.

Nel momento in cui Hamas si opponeva strenuamente agli Accordi di Oslo, Fatah era impegnata a celebrare il suo status compromissorio. Durante i periodi in cui Israele ha usato Gaza come terreno di sperimentazione per i suoi armamenti, l’ANP invitava i palestinesi ad abbandonare la resistenza. Quando Gaza cercava i mezzi per alleviare le proprie sofferenze dopo l’operazione “Margine Protettivo”, ed anche negli anni seguenti, l’ANP applicava la linea statunitense di costringere Hamas a rinunciare al suo governo dell’enclave. L’ANP ha anche accettato e contribuito alla frammentazione dell’identità palestinese tra Gaza e la Cisgiordania occupata, contrapponendo la resistenza armata a quella nonviolenta come prerogative di differenti entità, piuttosto che come strumenti complementari attraverso cui i palestinesi possono costruire la propria lotta anticoloniale.

Se Fatah può criticare Hamas riguardo ad un frettoloso accordo, non è forse tempo che l’ANP si guardi allo specchio e si faccia un’autocritica per aver accettato le condizioni che hanno lasciato i palestinesi senza opzioni politiche? I palestinesi non si fanno illusioni sulla sostanza dell’accordo. L’impegno del popolo palestinese alla resistenza rimane intatto. Perché Hamas sia accusato di tradimento nazionale, deve abbassarsi alle tattiche utilizzate dall’ANP. Se questo accadesse, sarà il popolo palestinese a parlare di tradimento nazionale. Non dimentichiamo che i palestinesi già sanno che cosa sia un tradimento nazionale – gli Accordi di Oslo e le loro conseguenze coloniali.

Suona ironico che Fatah dica di non avere tempo per “inutili pagliacciate”, quando la sua struttura non è altro che una gerarchia di patetici intrattenitori.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Due morti durante le proteste palestinesi a Gaza, mentre continuano i colloqui tra Hamas e Israele

Redazione di MEE

17 agosto 2018, Middle East Eye

Le proteste del venerdì avvengono insieme a notizie di ‘significativi progressi’ dei negoziati promossi dall’Egitto tra Hamas e Israele.

Per il ventunesimo venerdì consecutive migliaia di palestinesi di Gaza stanno manifestando, mentre il mistero circonda i dettagli della prosecuzione dei negoziati tra Israele ed Hamas sull’enclave assediata

Pare che le forze israeliane abbiano sparato ed ucciso due palestinesi – uno, a est del campo di rifugiati di al-Bureij, identificato come il trentenne Karim Abu Fatayir, e l’altro, a est di Rafah, identificato come il ventiseienne Saadi Akram Muammar, secondo il ministero della Salute di Gaza.

Un inviato di Middle East Eye a Gaza ha informato che le forze israeliane hanno sparato proiettili veri e gas lacrimogeni contro i manifestanti riuniti nella “zona di sicurezza” nei pressi della barriera che separa Gaza da Israele.

Il ministero della Salute di Gaza ha dato notizia che alle 19 ora locale almeno 241 palestinesi sono stati feriti, tra cui almeno 40 da proiettili veri e 18 minorenni. L’inviato di MEE ha visto parecchi palestinesi, tra cui minori, curati da medici sul campo.

I dimostranti ancora una volta hanno bruciato copertoni nel tentativo di impedire la visuale ai cecchini israeliani.

Nel contempo i media israeliani hanno informato che nel sud di Israele è scoppiato un incendio, provocato da un pallone aerostatico incendiario lanciato dai manifestanti di Gaza.

Il portavoce di Hamas Abd al-Latif al-Qanuaa venerdì ha detto: “La ‘Grande Marcia del Ritorno’ ha smentito i calcoli dell’occupante e l’ha obbligato a prendere in considerazione le richieste (della marcia).”

(Le proteste) continueranno finché raggiungeremo tutti i nostri obiettivi. I sacrifici del nostro popolo non saranno inutili, e si tradurranno in conquiste nazionali.”

Dal 30 marzo la Marcia ha portato migliaia di palestinesi a protestare nei pressi della barriera di separazione tra Gaza e Israele, in una mobilitazione pubblica con un sostegno senza precedenti per denunciare il blocco di undici anni del piccolo territorio palestinese e chiedere l’applicazione del diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi.

Durante gli ultimi quattro mesi e mezzo le forze israeliane hanno ucciso a Gaza almeno 169 palestinesi – la maggior parte dei quali manifestanti. Nello stesso periodo un soldato israeliano è stato ucciso da un cecchino palestinese.

Mentre inizialmente, nei primi mesi della marcia, le proteste hanno avuto luogo giornalmente, durante l’estate i dimostranti hanno manifestato soprattutto i venerdì.

Nelle scorse settimane attacchi aerei israeliani e [il lancio di] razzi palestinesi hanno fatto temere che la situazione potesse degenerare in una guerra totale.

Per settimane ci sono state crescenti congetture su un possibile accordo tra Israele ed Hamas propiziate dall’Egitto.

Venerdì una fonte ufficiale di Hamas ha detto a Middle East Eye che l’accordo includerebbe l’apertura di tutti i valichi tra Israele e la Striscia di Gaza, così come la garanzia di un corridoio marittimo con Cipro – in cambio della fine di ogni tipo di attacco dal territorio palestinese. Tuttavia il contenuto dell’accordo non è stato confermato ufficialmente e il processo rimane avvolto nel mistero. Si prevede che la tregua e le sue condizioni vengano resi noti la prossima settimana.

Venerdì il giornale [israeliano] “Israel Today” ha insinuato che quanto avvenuto durante le proteste più tardi durante il giorno sarebbe stato un test della tregua.

Se ci sarà calma nei prossimi giorni, i colloqui continueranno e si riuscirà a discutere di qualcosa di più serio, che risolverà i principali problemi a Gaza, che sono l’elettricità, l’acqua e anche gli stipendi,” ha scritto il giornale.

Mentre si prevede che un accordo con la mediazione dell’Egitto dovrebbe ridurre le tensioni immediate tra Israele ed Hamas, esso ha anche provocato rabbia da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) in Cisgiordania, che crede di essere stata deliberatamente esclusa come parte di un più complessivo piano di dividere i palestinesi.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Gaza. Grande marcia. Sarà l’ultimo venerdì?

Patrizia Cecconi

17 agosto 2018, L’Antidiplomatico

Oggi Gaza sembra pronta per la prova generale che stabilirà se la mediazione dell’Egitto (e le promesse del Qatar) siano state in grado di portare alla tregua tra la forza politica che governa la Striscia e il governo israeliano.

Un tentativo anticipato da due concessioni israeliane che in realtà sono già diritto dei palestinesi, ma che fanno parte di quei diritti che Israele prima conculca e poi “concede” a patto che i gazawi stiano buoni a cuccia come dichiarato, con termini diversi ma altrettanto espliciti, da Lieberman.

La Grande marcia oggi andrà avanti lo stesso e i dati forniti dal Ministero della Salute (v. video) sono tali da far supporre che la determinazione della “Gaza resistente” difficilmente si arrenderà a una tregua che ha come contropartita l’entrata di un po’ di merci (peraltro israeliane) e la restituzione ai pescatori di una fetta di mare ora illegalmente bloccata. Queste le generose “concessioni”.

Certo, dopo aver affamato la popolazione ed averla spinta verso l’abisso depressivo, è facile lavorare in modo tale da dare scacco matto ad Hamas: se non accetta avrà contro gran parte dei gazawi che vivono di sussidi, se accetta verrà accusato di tradimento dalla parte resistente.

Inoltre c’è il problema principale, quello che richiede lungimiranza e intelligenza politica in misura tale da accantonare, almeno temporaneamente, le differenze ideologiche tra i laici di Fatah e i religiosi di Hamas. Senza questo sforzo non ci sarà riconciliazione e senza riconciliazione non ci sarà nessuna vittoria da parte del popolo palestinese. Questo Israele lo ha ben chiaro, e infatti tenta gli accordi separati con Hamas che, comprensibilmente, fanno infuriare Mahmoud Abbas.

Ferme restando tutte le critiche che piovono su una parte e sull’altra, una cosa è chiara agli occhi di qualunque osservatore: senza riconciliazione tra le due maggiori fazioni politiche non c’è futuro per la Palestina. Questo sembra averlo chiaro anche il portavoce del Movimento di Resistenza Popolare Khaled al-Azbout,, attualmente nella delegazione che sta discutendo della tregua con Israele al Cairo.

In proposito, come pubblicato dall’agenzia araba on line Alwatanvoice, Al-Azbout ha rilasciato un comunicato stampa in cui, dopo aver dichiarato che ” …una serie di richieste sono diritti naturali del nostro popolo e non un favore, e attraverso l’ottenimento di quei diritti vogliamo l’accesso a una vita dignitosa ma non siamo disposti a pagare qualsiasi prezzo politico… e la battaglia continuerà fino a quando continua l’occupazione della Palestina…. Vogliamo raggiungere l’accordo entro l’Aid al Adha  (l’aid al adha o festa del sacrificio di Abramo è una delle due maggiori festività musulmane e cade il 21 agostoNdr)” ha aggiunto che “la riconciliazione è una priorità assoluta …e

tutte le parti sulla scena sono chiamate a superare la divisione discutendo in dettaglio le soluzioni per ogni questione … tuttavia – aggiunge Al Azbout – in questo contesto la revoca delle procedure per la Striscia di Gaza è il vertice della piramide e l’inizio del round…ma puntiamo alla riunificazione storica della patria per cui dobbiamo far cadere tutte le cospirazioni contro la nostra causa”.

Discutendo i dettagli dell’accordo, finalizzati a far rivivere Gaza rapidamente, sembra si sia anche concordato un canale marittimo per collegare la Striscia al mondo, sotto la supervisione internazionale.
La delegazione al Cairo ha anche richiesto garanzie reali per obbligare Israele a rispettare i termini dell’accordo se questo verrà raggiunto, pena il suo fallimento in caso contrario, visto che già in passato Israele ha mostrato di non rispettare gli accordi presi senza pagarne prezzo.

Ma non sembra così facile concludere questo percorso in modo onorevole. Da una parte perché sembra che possa concludersi solo cedendo, nei fatti, al “deal of the century” proposto da Trump, dall’altra perché, seppure si tratta di un compromesso che umilierebbe Hamas, i falchi israeliani, tra cui la Zipni Livni di triste e sanguinaria memoria benché appartenga ad un partito non di estrema destra, non sono d’accordo.

Inoltre, mentre i gazawi stanno cominciando a recarsi nei campi “al awda” lungo il border, qualcuno si chiede cosa ci sia dietro il “mistero” degli incontri tra il presidente Al Sisi e Netanyahu avvenuti nell’ultima settimana di maggio, incontri che secondo indiscrezioni ormai pubbliche avrebbero portato a concludere che la crisi di Gaza si sarebbe risolta con l ritorno dell’Anp nella Striscia nonostante l’opposizione di Abu Mazen.

Intanto oggi, nonostante i 168 uccisi e i circa 18.000 feriti, numeri davvero impressionanti, la marcia sta partendo. Il tema odierno è “Venerdi di rivoluzione per Al Quds e per Al Aqsa”.
Tra qualche ora sapremo se i dati di cui sopra dovranno essere ancora una volta ritoccati o se le armi israeliane saranno state fermate in attesa della eventuale conclusione degli accordi.

Non crediamo che Hamas riuscirà a bloccare i manifestanti, se questo è il desiderio di Israele, ma intanto di sicuro li tiene sul piatto della bilancia per realizzare al meglio gli accordi.
Se ci riuscirà in modo onorevole e nel rispetto delle istanze poste dal Comitato di Resistenza Popolare che ha pagato con martiri di tutte le fazioni politiche questa fantastica “Grande marcia per il ritorno” i palestinesi avranno vinto. In caso contrario la tregua si chiamerà capitolazione.




Rapporto OCHA del periodo 31 luglio – 13 agosto 2018 (due settimane)

Nella Striscia di Gaza e nel sud di Israele una nuova ondata di ostilità ha provocato l’uccisione di cinque palestinesi, tra cui una donna incinta e sua figlia di 18 mesi; altri 50 palestinesi e 28 israeliani sono rimasti feriti.

L’8 agosto, due membri dell’ala armata di Hamas sono stati uccisi dal fuoco dei carri armati israeliani. A partire da quella sera e fino al 9 agosto, gruppi armati palestinesi hanno lanciato circa 180 razzi ed hanno sparato con mortai contro le comunità israeliane che circondano Gaza; alcuni razzi hanno colpito aree abitate, causando il ferimento di israeliani e danni a diversi edifici, tra cui un asilo nella città di Sderot. L’aviazione israeliana ha effettuato numerosi attacchi aerei su Gaza, lanciando oltre 110 missili, uno dei quali, a Deir al Balah, ha ucciso la donna palestinese e sua figlia [vedere ad inizio paragrafo]; inoltre sono state danneggiate sei strutture idriche che rifornivano oltre 30.000 persone, dozzine di case e diversi veicoli. Successivamente, il 9 agosto, una fazione palestinese ha lanciato un razzo a medio raggio verso la città israeliana di Beersheba, senza provocare feriti o danni. In risposta, Israele ha completamente distrutto, nel centro della città di Gaza, un edificio di cinque piani che ospitava un centro culturale; secondo l’esercito israeliano, la struttura era utilizzata anche dalla sicurezza interna di Hamas. Questi due ultimi attacchi sono stati i primi del loro genere dalle ostilità del 2014. La sera del 9 agosto è stato raggiunto un cessate il fuoco informale.

A Gaza, nell’ambito della “Grande Marcia del Ritorno”, sono continuate le dimostrazioni e gli scontri del venerdì: quattro palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane; tra essi un operatore di primo soccorso e un minore. Oltre 580 i feriti. Altri tre palestinesi sono morti per le ferite riportate nelle precedenti proteste. L’operatore [di cui sopra] è stato ucciso durante una dimostrazione del 10 agosto: è il terzo operatore sanitario ucciso in servizio in simili circostanze. Circa il 60% dei feriti (338 di 580) sono stati ricoverati in ospedale; tra loro, 165 colpiti con armi da fuoco. Non sono state segnalate vittime israeliane. L’11 agosto, nel contesto delle proteste, un raduno di 40 battelli ha tentato di rompere il blocco navale: sono stati fermati dalla marina israeliana che ha aperto il fuoco verso le barche ferendo un palestinese.

Il 2 agosto, le autorità israeliane hanno ripristinato il divieto di ingresso di carburante nella Striscia di Gaza, portando i servizi essenziali sull’orlo del collasso; il 12 agosto è ripresa l’importazione di carburante d’emergenza. Secondo quanto riferito, il divieto era stato adottato in risposta alla prosecuzione del lancio di aquiloni e palloncini incendiari verso Israele. In una dichiarazione rilasciata l’8 agosto, il Coordinatore Umanitario ha invitato le autorità israeliane a consentire immediatamente l’ingresso del combustibile di emergenza acquistato dall’ONU per assicurare il funzionamento dei principali ospedali e dei servizi essenziali: acqua potabile, trattamento reflui e servizi igienici. Già dal 9 luglio, Israele aveva rafforzato il blocco su Gaza, vietando l’ingresso di una gamma di materiali, inclusi materiali da costruzione, mobili, legno, elettronica e tessuti, oltre a proibire l’uscita di ogni tipo di merce.

Dopo il cessate il fuoco del 9 agosto, è stata segnalata una significativa riduzione di lanci di aquiloni e palloncini incendiari da Gaza verso Israele. Secondo le autorità israeliane, dalla fine di aprile sono stati registrati 1.364 incendi che, pur non provocando vittime israeliane, hanno bruciato coltivazioni e riserve naturali.

Dal 5 agosto, un nuovo accordo ha permesso l’importazione di gas da cucina dall’Egitto verso Gaza, attraverso la Porta di Salah ad Din [in Rafah]. Questo accordo compensa la possibile penuria di tale gas, determinata dalle restrizioni israeliane. Durante il periodo di riferimento [31 luglio – 13 agosto], sono entrate in Gaza circa 830 tonnellate di gas.

Nella Striscia di Gaza, in Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, in almeno 17 casi non riferibili alle manifestazioni di massa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco, causando il ferimento di tre palestinesi e costringendo agricoltori e pescatori a lasciare l’area. In un caso, le forze navali israeliane hanno intercettato un peschereccio e detenuto per un breve periodo cinque pescatori, tra cui un minore. Dal 16 luglio, Israele ha ridotto la zona di pesca accessibile ai palestinesi da 6 a 3 miglia nautiche dalla costa, riducendo ulteriormente i proventi della pesca.

In Cisgiordania, in più scontri con le forze israeliane, sono stati feriti 55 palestinesi, tra cui nove minori. Diciassette palestinesi sono rimasti feriti negli scontri con le forze israeliane che, nella città di Nablus, stavano scortando un gruppo di coloni israeliani in visita ad un sito religioso. Altri tre feriti sono stati registrati presso il villaggio di Bardala, nella parte settentrionale della Valle del Giordano, nel corso di una protesta palestinese contro la scarsità d’acqua per uso agricolo nella zona. Complessivamente, le forze israeliane hanno condotto 100 operazioni di ricerca-arresto, tre delle quali hanno provocato scontri: feriti nove palestinesi e tre soldati.

Il 9 agosto, nella città di Al Eizariya (Governatorato di Gerusalemme), durante scontri seguiti ad un’operazione di polizia, un palestinese è stato ucciso dalle forze dell’Autorità Palestinese (PA). Ulteriori scontri tra palestinesi e Forze di polizia (senza feriti) sono stati registrati l’11 agosto, nel Campo profughi di Balata (Nablus), durante le proteste seguite alla morte, avvenuta in un carcere dell’Autorità Palestinese, di un residente del Campo.

In Area C e in Gerusalemme Est, per mancanza di permessi di costruzione, sono state demolite o sequestrate 13 strutture palestinesi, provocando lo sfollamento di 12 palestinesi. Otto di queste strutture, incluse sei abitazioni, si trovavano in Gerusalemme Est, nei quartieri di Sur Bahir, Jabal al Mukkaber, Shu’fat e Beit Hanina. Nel Campo di Al Aroub (Hebron), in un’area compresa in zona C, le autorità israeliane hanno demolito diverse tombe costruite senza permesso (qui contate come un’unica struttura).

Nel Complesso colonico di Beit al Barakeh, vicino al Campo di Al Aroub (Hebron), coloni israeliani hanno demolito due strutture residenziali sfollando una famiglia di quattro rifugiati palestinesi che vivevano nel complesso da 45 anni. La demolizione è avvenuta nonostante l’ingiunzione di un Tribunale israeliano che impediva lo sfratto della famiglia. Nel 2012 un’organizzazione di coloni aveva acquisito segretamente da una organizzazione cristiana svedese la terra e gli edifici di questo complesso e nel 2015 l’area fu annessa al Consiglio Regionale dell’insediamento [colonico] di Gush Etzion.

Il 6 agosto, nella Valle del Giordano settentrionale, per consentire esercitazioni militari, le forze israeliane hanno sfollato, per sette giorni, quattro famiglie palestinesi della Comunità di pastori di Khirbet Yarza. La comunità si trova in un’area designata come “zona per esercitazioni a fuoco”. Insieme alle demolizioni ed alle restrizioni di accesso, questa pratica accresce la pressione sulla Comunità, ponendola ad elevato rischio di trasferimento forzato.

Per effetto dei procedimenti in corso presso l’Alta Corte di Giustizia israeliana, la demolizione della comunità palestinese beduina di Khan al Ahmar-Abu al Helu è ancora sospesa. In una presentazione alla Corte, le autorità israeliane hanno confermato il loro proposito di demolire le strutture della Comunità e spostare i residenti. Si impegnano comunque a [individuare e] proporre un sito di trasferimento alternativo vicino a Gerico a condizione che i residenti accettino di trasferirsi, pacificamente, nel sito temporaneo attualmente indicato dalle autorità israeliane (Jabal Ovest). Poiché tale sito si trova vicino a un impianto di depurazione, l’avvocato della Comunità ha chiesto alla Corte di accogliere, prima di emettere la sentenza, una valutazione dei rischi ambientali e sanitari del sito in questione.

Il 2 agosto, nel villaggio di Ein Yabrud (Ramallah), coloni israeliani hanno vandalizzato dieci veicoli di proprietà palestinese, spruzzando su uno dei veicoli la scritta: “Questo è il prezzo”. I residenti della Comunità di Ein al Hilwe, nella Valle del Giordano settentrionale, hanno riferito che sono stati rubati due pannelli solari che fornivano elettricità alla Comunità, attribuendone la responsabilità ai residenti del vicino insediamento colonico di Maskyiot. Inoltre, sono stati segnalati ulteriori episodi di intimidazioni e molestie da parte di coloni israeliani, senza danni alle proprietà.

In Cisgiordania, secondo fonti israeliane, vicino a Hebron, Betlemme e Ramallah, in almeno sei occasioni, palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani causando danni a tre veicoli privati; a Ramallah, in uno di questi episodi, è stato ferito un colono israeliano.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah (tra Gaza e l’Egitto, sotto controllo egiziano) è stato aperto per sette giorni in entrambe le direzioni e per altri cinque giorni in una sola direzione; ciò ha consentito l’uscita dei pellegrini per svolgere l’Hajj [il quinto dei pilastri dell’Islam: il pellegrinaggio alla Mecca, da compiere nell’ultimo mese dell’anno islamico]. 1.934 persone sono state autorizzate ad entrare in Gaza e 5.492 ne sono uscite (compresi 3.216 pellegrini). Dal 12 maggio 2018, il valico è stato aperto quasi continuativamente.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 15 agosto, Israele ha revocato le restrizioni imposte il 9 luglio al valico di Kerem Shalom, al confine con Gaza; ha inoltre portato da 3 a 6-9 miglia nautiche dalla costa (variabile a seconda dell’area) la zona di pesca consentita.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Tre morti per il bombardamento israeliano in seguito al lancio di razzi da parte di Hamas

MEE ed agenzie

giovedì 9 agosto, Middle East Eye

Le forze israeliane hanno effettuato una serie di attacchi aerei, uccidendo tre palestinesi, mentre miliziani palestinesi hanno lanciato decine di razzi contro Israele e nella notte sino a giovedì mattina gli scontri nei pressi del confine tra Gaza ed Israele si sono intensificati.

Secondo fonti di Hamas, gli aerei israeliani avrebbero colpito 140 obiettivi. Nel contempo a sud di Israele le sirene antiaeree hanno suonato praticamente senza interruzione dal tramonto di mercoledì, avvertendo gli abitanti di rimanere nei rifugi, mentre più di 80 razzi venivano lanciati contro di loro.

L’impennata [degli scontri] è avvenuta dopo che funzionari di entrambe le parti hanno parlato di possibili progressi nei tentativi dell’ONU e dell’Egitto di negoziare una tregua dopo mesi di violenza latente.

Secondo fonti ufficiali palestinesi, durante gli attacchi aerei a Gaza un membro di Hamas è stato ucciso, insieme a una donna palestinese e sua figlia di 18 mesi. Anche altri civili, almeno cinque, sono rimasti feriti.

Il ministero della Salute di Gaza ha identificato i palestinesi uccisi come Alaa Youssef Ghandour, 30 anni, Einas Mohammed Khamash, 23 anni, e la figlioletta Bayan.

I media israeliani affermano che le autorità stanno prendendo in considerazione l’evacuazione degli abitanti dalle zone nei pressi del confine di Gaza.

Haaretz ha citato un importante responsabile israeliano, il quale avrebbe affermato che Israele si sta preparando ad una campagna militare contro la Striscia di Gaza: “Abbiamo avuto un ulteriore inasprimento nella notte e non ne vediamo la fine,” ha detto. “A questo punto stiamo prendendo in considerazione l’evacuazione degli insediamenti vicini a Gaza.”

Nel contempo un importante ufficiale dell’esercito israeliano avrebbe sostenuto sull’account Twitter dell’esercito: “Il modo in cui le cose si stanno svolgendo è significativo. Nelle prossime ore, come negli ultimi mesi, Hamas capirà che questa non è la direzione da prendere.”

I media israeliani hanno riferito che parecchi abitanti di Sderot e di altre città di frontiera sono rimasti feriti dal lancio di razzi.

Durante la notte Nickolay Mladenov, l’inviato dell’ONU per il Medio oriente, ha affermato in un comunicato: “Sono profondamente preoccupato dal recente inasprimento della violenza tra Gaza ed Israele, e in particolare dai molti razzi lanciati oggi verso comunità nel sud di Israele.”

L’ONU, ha detto, è impegnata insieme all’Egitto in un “tentativo senza precedenti” di evitare un conflitto grave, ma ha avvertito che “la situazione può rapidamente peggiorare con conseguenze devastanti per tutti.”

Hamas è stato il partito che ha governato di fatto a Gaza da quando ha vinto le discusse elezioni parlamentari palestinesi del 2006. Come risposta Israele ha imposto un durissimo blocco di 11 anni sulla Striscia di Gaza, durante i quali ha scatenato tre guerre contro Gaza, la più recente nel 2014.

Questa settimana il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annullato un viaggio in Colombia per occuparsi dei colloqui per una tregua e ha dovuto convocare per giovedì il consiglio di sicurezza operativo per discutere della situazione.

(traduzione di Amedeo Rossi)