Rapporto OCHA riguardante il periodo: 24 maggio – 6 giugno 2016

Il 2 giugno, una 24enne palestinese, madre di due figli, è stata uccisa dalle forze israeliane mentre si avvicinava al checkpoint di ‘Enav (Tulkarem); si presume abbia tentato di accoltellare un soldato.

In un altro episodio, il 30 maggio, un 17enne palestinese ha accoltellato e ferito un soldato israeliano a Tel Aviv (Israele) ed è stato in seguito arrestato. Dall’inizio del 2016, nel corso di attacchi e presunti attacchi contro israeliani, sono stati uccisi 53 sospetti aggressori palestinesi, tra cui cinque donne e 13 minori; nell’ultimo trimestre del 2015 gli uccisi furono 89. Le circostanze di molti episodi hanno suscitato preoccupazione per l’uso eccessivo della forza.

Le autorità israeliane hanno consegnato alle loro famiglie i corpi di due palestinesi, tra cui una ragazza di 17 anni, sospettati di aver perpetrato attacchi contro israeliani. Sono tuttora trattenuti i cadaveri di altri nove palestinesi.

Un palestinese di 20 anni, colpito con arma da fuoco dalle forze israeliane, durante scontri verificatisi il 2 giugno nella città di Nablus, è successivamente morto in conseguenza delle ferite; gli scontri, che provocarono il ferimento di altri undici palestinesi, erano scoppiati a seguito dell’ingresso di un gruppo di israeliani in visita ad un santuario (la Tomba di Giuseppe).

In Cisgiordania, nelle due settimane cui si riferisce questo rapporto, in scontri con le forze israeliane sono stati feriti 97 palestinesi, tra cui 30 minori e una donna. La stragrande maggioranza degli scontri si è verificata durante manifestazioni e proteste: nei Campi Profughi di Ni’lin e Al Jalazun (governatorato di Ramallah); ad Azzun e Kafr Qaddum (governatorato di Qalqiliya); ad Abu Dis, Al ‘Eizariya e Silwan (governatorato di Gerusalemme). A Gaza, due palestinesi sono stati feriti, con armi da fuoco, durante manifestazioni nei pressi della recinzione perimetrale di Israele.

Durante le due settimane di riferimento, in almeno 25 casi, le forze israeliane hanno aperto il fuoco verso palestinesi presenti nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e in mare. In uno di questi episodi, cinque pescatori sono stati arrestati dalle forze navali israeliane e due loro barche sono state confiscate.

In Cisgiordania, nell’arco delle due settimane, le forze di Israele hanno condotto 167 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 240 palestinesi; la percentuale di arresti più alta (35%) è stata registrata nel governatorato di Gerusalemme. Nella Striscia di Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato, in sei occasioni le forze israeliane hanno compiuto operazioni di spianatura del terreno ed effettuato scavi.

Il 5 giugno, in Area C, presso la comunità beduina palestinese di Sateh al Bahr (Jericho), per mancanza di permessi edilizi israeliani, le autorità israeliane hanno smantellato e confiscato sei strutture residenziali e due roulotte adibite a scuola materna. Le strutture coinvolte erano state fornite come assistenza umanitaria e finanziate dal Fondo Umanitario per i Territori occupati. Sei famiglie sono state sfollate e tredici bambini privati della scuola. Questa è una delle 46 comunità beduine della Cisgiordania centrale a rischio di trasferimento forzato a causa di un piano israeliano di rilocalizzazione. Dall’inizio del 2016, sono state demolite o confiscate un totale di 180 strutture assistenziali, rispetto alle 108 relative all’intero 2015. Nel periodo di riferimento, con le stesse motivazioni, altre cinque strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, coinvolgendo 19 persone.

Nella Città Vecchia di Gerusalemme Est, a causa di un ordine di sfratto emesso dalle autorità israeliane, due famiglie palestinesi, composte da sette persone, sono a rischio di sfollamento. Ciò fa seguito alla sentenza emessa da un tribunale israeliano a favore di una organizzazione di coloni che rivendica la proprietà delle case dei palestinesi.

Nel nord della Valle del Giordano, tre comunità di pastori (Khirbet ar Ras al Ahmar, Humsa al Bqai’a e Hamamat Al Maleh), composte da circa 360 persone, tra cui 205 minori, sono stati temporaneamente sfollate per tre giorni consecutivi, per più di 14 ore al giorno, per consentire esercitazioni militari israeliane. Ci sono 38 comunità di pastori palestinesi situate in zone designate dalle autorità israeliane come “zone per esercitazione a fuoco”; tali zone coprono circa il 18% della Cisgiordania. Molte di queste comunità, che sono tra le più vulnerabili della Cisgiordania, risiedono in queste zone da prima che le stesse venissero dichiarate “zone per esercitazione a fuoco”.

Secondo i media israeliani, nei governatorati di Hebron e Gerusalemme, tre israeliani, tra cui una donna, sono stati feriti e quattro veicoli israeliani sono stati danneggiati nel contesto di sette episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi.

Nelle due settimane sono stati riferiti quattro episodi di vandalismo contro proprietà palestinesi da parte di coloni israeliani: due episodi di lancio di pietre con danni a due veicoli vicino a Salfit e Betlemme; l’incendio di 15 alberi di ulivo in ‘Urif (Nablus); danni alle colture stagionali ad Al-Khader (Betlemme).

Le autorità israeliane hanno annunciato che durante il mese del Ramadan musulmano, iniziato il 6 giugno, a tutte le donne palestinesi in possesso di documenti di identificazione della Cisgiordania, così come a tutti gli uomini di età superiore ai 45 anni e ai ragazzi al di sotto dei 12 anni, al venerdì sarà consentito l’accesso senza permesso a Gerusalemme Est; uomini e ragazzi che non rientrano in queste categorie potranno richiedere il permesso.

Il valico di Rafah, al confine con l’ Egitto, è stato eccezionalmente aperto per quattro giorni (1, 2, 4, 5 giugno), permettendo a 3.142 palestinesi di uscire e a 894 di entrare a Gaza. Secondo le autorità palestinesi, ci sono più di 30.000 persone registrate e in attesa di attraversare, tra cui circa 9.500 malati e 2.700 studenti. Dall’inizio del 2016, Rafah è stato aperto per soli nove giorni.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

L’8 giugno, due palestinesi provenienti dalla città di Yatta (Hebron) hanno aperto il fuoco in un centro commerciale a Tel Aviv (Israele), uccidendo quattro israeliani e ferendone più di altri dieci; gli autori sono stati successivamente arrestati. Le forze israeliane hanno bloccato tutti gli accessi a Yatta, ad eccezione dei casi umanitari, ed eseguito operazioni di ricerca-arresto.

Il 9 giugno, dopo l’attacco di Tel Aviv, le autorità israeliane hanno annunciato la sospensione di circa 83.000 autorizzazioni concesse a palestinesi per entrare a Gerusalemme Est per la preghiera dei venerdì del Ramadan; sospesi anche i permessi per le visite ai familiari risiedenti in Israele.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli

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Dopo l’attacco di Tel Aviv i palestinesi manifestano poca gioia ma comprendono le ragioni di chi ha sparato

Ogni settimana, centinaia di palestinesi sono soggetti a colpi di arma da fuoco da parte degli israeliani e scappano terrorizzati. Secondo loro quello che hanno provato gli israeliani in questo unico attacco è nulla rispetto a quello che sperimentano ogni giorno.

di Amira Hass | 10 giugno, 2016 |

Haaretz

Wafa, l’agenzia ufficiale di notizie dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina [OLP], ha messo sul suo sito una spettacolare fotografia dei fuochi d’artificio a Gaza in onore del sacro mese musulmano del Ramadan e non per inneggiare all’attacco armato di mercoledì a Tel Aviv. Anche se ci sono stati palestinesi che hanno espresso soddisfazione per l’attacco di fronte alle telecamere che li hanno trovati proprio nel momento e nel luogo giusti, né la soddisfazione né l’appoggio[all’attacco] potrebbero descrivere con precisione i sentimenti della maggior parte dei palestinesi sulla sparatoria.

C’è una generale comprensione riguardo al motivo che ha spinto [ad agire]i due attaccanti della città cisgiordana di Yatta, insieme all’apprezzamento per quello che è apparso il loro coraggio. Vi è anche molta preoccupazione rispetto a quale sarà la risposta di Israele.

L’agenzia Wafa ha anche pubblicato una condanna dell’attacco proveniente dall’ufficio del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas. Sicuramente gli israeliani non si accontenteranno di questo, mentre allo stesso tempo i palestinesi si arrabbiano per la sua equidistanza. “L’ufficio di presidenza ha espresso la sua ripetuta condanna di ogni azione da qualunque parte provenga che prenda di mira i civili indipendentemente da quello che potrebbero essere le motivazioni,” afferma il comunicato. Ha anche affermato che la creazione di un clima positivo e la realizzazione di una giusta pace potrebbero garantire la sicurezza dei civili.

L’opposizione di Abbas a qualsiasi escalation ha avuto un riflesso concreto. Per esempio, le sue forze di sicurezza stanno arrestando e imprigionando gli attivisti che non sono stati arrestati da Israele e che hanno guidato le manifestazioni contro il muro di separazione a Betlemme. Di conseguenza sono cessati gli scontri in uno dei punti più caldi. Ma con questo suo comunicato moderato, Abbas ha evidentemente cercato di evitare di urtare la suscettibilità del suo pubblico.

Il suo partito Fatah non ha potuto condannare l’attacco di Tel Aviv. Un comunicato dell’organizzazione ha definito la sparatoria “una risposta individuale e naturale” alla violenza dello Stato israeliano. Un portavoce ha spiegato che per “violenza dello Stato” si intendeva la politica delle demolizioni delle case e lo sradicamento dei palestinesi dalle loro comunità, le “irruzioni dei coloni” sulla spianata delle moschee di Al-Aqsa a Gerusalemme e “gli omicidi a sangue freddo di palestinesi ai checkpoint”.

Da parte sua il movimento Hamas ha elogiato l’attacco, mentre il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina [FPLP] lo ha definito un punto di svolta nell’attuale intifada e una condivisibile reazione al gran numero di palestinesi uccisi da Israele. Riferendosi al luogo dell’attacco di Tel Aviv, avvenuto di fronte al Ministero della difesa, [il FPLP] ha detto che si è trattato di una sfida al nuovo ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, e che è la conferma che la lotta armata è il modo migliore per garantire i diritti dei palestinesi.

Il comunicato del Fronte Popolare si avvicina allopinione prevalente nell’opinione pubblica palestinese rispetto alle posizioni di Abbas o di Fatah, come riportato dal sondaggio pubblicato questa settimana dal Palestinian Center for Policy and Survey Research [Centro palestinese di ricerca e analisi politica]. Il sondaggio ha rivelato che il 58% degli intervistati (il 68% nella Striscia di Gaza e il 52% in Cisgiordania) è convinto che la rivolta degli attacchi individuali esplosa a ottobre, caratterizzata in prevalenza da attacchi all’arma bianca e che si sta trasformando in un’intifada armata, potrebbe essere più utile agli interessi nazionali palestinesi rispetto ai negoziati con Israele.

L’appoggio agli attacchi all’arma bianca è diminuito. Solamente il 36% degli intervistati nella Cisgiordania è solidale. Nella più lontana Gaza, invece, gli attacchi all’arma bianca sono stati appoggiati dal 75% degli intervistati.

In altre parole, vi è un ampio sostegno a parole da parte di coloro che sono lontani e che non sono coinvolti, mentre quelli che possono agire sono restii a farlo.

L’uso delle armi conserva nelle analisi e nelle dichiarazioni la propria aura quale punto più alto della lotta nazionale contro l’occupazione israeliana. Ma né il FPLP, né Hamas o Fatah hanno cercato o osato trasformare l’escalation dell’anno scorso in una lotta armata, perché non possono oppure sanno che fallirebbe, o che la gente non è realmente interessata o preparata.

I programmi televisivi che hanno mostrato gli israeliani che scappavano terrorizzati dagli attentatori sono scene familiari ai palestinesi. Giorno dopo giorno, sperimentano la paura asfissiante degli israeliani armati. Ogni settimana centinaia di palestinesi sono esposti alle sparatorie degli israeliani e fuggono terrorizzati; qualche volta sono feriti o uccisi. Secondo la loro opinione, quello che hanno passato gli israeliani in questo unico attacco è nulla rispetto a quello che sperimentano ogni giorno.

I palestinesi si prendono qualche rivalsa se viene sconvolta la normalità di Tel Aviv, solo a un’ora di macchina dalle zone di disperazione individuale e nazionale a Gaza e in Cisgiordania. La maggior parte è ben consapevole che questo sconvolgimento non cambierà l’orientamento e il comportamento degli israeliani. Tuttavia neppure le dimostrazioni pacifiche, le trattative diplomatiche e i resoconti dei media hanno trasformato gli israeliani in sostenitori del Meretz [partito sionista della sinistra moderata sostenitore della soluzione dei due Stati, ndt]. Quindi tutto quello che rimane è una soddisfazione momentanea di vendetta.

( Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




Il futuro di Israele è terrificante: la “moralità” inquietante di Moshe Yaalon e di Israele

1 giugno 2016

Ma’an news

di Ramzy Baroud

La società israeliana sta continuamente andando a destra e, di conseguenza, viene regolarmente ridefinita l’intera scala di valori [del sistema] politico.

La società israeliana sta continuamente andando a destra e, di conseguenza, viene regolarmente ridefinita l’intera scala di valori [del sistema] politico. Che Israele sia ora governato dal “governo di destra più estrema della sua storia” è passato nel giro di pochi anni dall’essere un’affermazione fondata ad un vuoto luogo comune.

Infatti quella stessa argomentazione è stata utilizzata nel maggio del 2015 quando il primo ministro di destra Benjamin Netanyahu ha formato il suo governo con una risicata maggioranza di esponenti della destra con idee simili, con fanatici religiosi e ultranazionalisti. Lo stesso concetto, praticamente con le medesime parole viene nuovamente adottato, quando Netanyahu ha allargato la sua coalizione imbarcando l’ultranazionalista Avigdor Lieberman.

Così mercoledì 25 maggio Lieberman è diventato anche il ministro della difesa d’Israele. Tenendo conto della sua politica facinorosa e violenta, come ha dimostrato nei suoi due incarichi come ministro degli esteri (dal 2009 al 2012 e di nuovo dal 2013 al 2015), con lui come ministro della difesa del “governo di destra più estrema della storia” ci si aspetta ogni tipo di terrificante futuro”.

Mentre molti commentatori ricordano opportunamente le passate provocazioni di Lieberman e le [sue ] rozze affermazioni, per esempio, la sua dichiarazione del 2015 in cui minacciava di decapitare con un’ascia i cittadini palestinesi d’Israele se non avessero manifestato piena lealtà nei confronti di Israele; in cui propugnava la pulizia etnica dei palestinesi d’Israele; il suo ultimatum [con minaccia] di morte all’ex primo ministro palestinese Ismail Haniyeh e così via, al suo predecessore, Moshe Yaalon è stata risparmiata gran parte delle critiche.

Peggio, l’ex ministro della difesa Yaalon è stato additato da alcuni come un esempio di professionalità e di moralità. Egli è “ben stimato”, ha scritto William Booth sul Washington Post, paragonato a Lieberman “ un ribelle divisivo”. Ma “stimato bene” da chi? Dalla società israeliana la cui maggioranza appoggia l’assassinio a sangue freddo di palestinesi?

Israele si è attenuto per un lungo periodo a una definizione sua propria della terminologia politica. Il suo “socialismo” di prima maniera era una combinazione di vita in comune resa possibile dai massacri dei militari e basata sul colonialismo. La sua attuale definizione di “sinistra”, “destra” e “centro” è relativa, valida solo per Israele.

Yaalon è ora un esempio di livello di ragionevolezza e di moralità grazie a Lieberman, l’ex immigrato russo , buttafuori nei club trasformatosi in politico che sta organizzando costantemente il milione circa di ebrei russo- israeliani in base al suo programma politico sempre più violento.

Infatti, la citazione riportata numerose volte dai media sulle ragioni delle dimissioni di Yaalon è che ha perso fiducia “nella capacità decisionale di Netanyahu e nella sua moralità”.

Moralità? Analizziamo la realtà.

Yaalon ha partecipato a ogni importante guerra israeliana fin dal 1973 e il suo nome è stato più tardi associato alle più atroci guerre ed ai massacri israeliani prima in Libano e dopo a Gaza.

La sua “moralità” non gli ha mai impedito di ordinare alcuni dei più indicibili crimini di guerra perpetrati contro la popolazione civile, sia a Qana in Libano(1996) sia a Shujayya ,Gaza (2014).

Yaalon si è rifiutato di collaborare con qualsiasi inchiesta internazionale organizzata dalle Nazioni Unite o da qualsiasi altra organizzazione sulla sua violenta condotta. Nel 2005 è stato portato in giudizio in un tribunale degli Stati Uniti dai sopravissuti al massacro di Qana dove centinaia di civili e di operatori delle forze di pace delle Nazioni Unite sono stati uccisi e feriti dalle incursioni militari israeliane in Libano. In questo caso, non è prevalsa né la moralità israeliana né quella americana, e la giustizia deve ancora fare il suo corso.

Yaalon, che ha ricevuto l’addestramento militare all’inizio della sua carriera presso il British Army’s Camberley Staff College dell’esercito inglese [scuola di guerra inglese di origine coloniale e che ha formato molti ufficiali superiori israeliani, tra cui Rabin, ndtr], ha continuato ad avanzare di grado nell’esercito fino al 2002 quando è stato nominato capo di stato maggiore delle Forze di Difesa Israeliane [IDF]. Rimasto per quasi tre anni in tale veste di conseguenza ha ordinato l’assassinio di centinaia di palestinesi e ha sovrainteso a diversi massacri che sono stati perpetrati dall’esercito israeliano durante la seconda intifada.

L’allora ministro della difesa, Shaul Mofaz, l’ha sollevato dal suo incarico nel 2005. Anche in questo caso è stata l’immoralità, non la moralità che ha giocato un ruolo nel conflitto tra lui e i suoi superiori. Yaalon era e rimane un fervente sostenitore della colonizzazione illegale del territorio palestinese. Nel 2005 egli si è opposto con forza al cosiddetto trasferimento dalla Striscia di Gaza dalla quale poche migliaia di coloni illegali sono stati ricollocati in colonie ebraiche nella Cisgiordania.

Nel 2006 in Nuova Zelanda fu raggiunto[da un ordine di cattura] per i suoi crimini di guerra riguardo all’assassinio di un comandante di Hamas, Saleh Shehade, insieme a 14 membri della sua famiglia e ad altri civili. L’ ordine di arresto fu emesso ma revocato in seguito, dopo pesanti pressioni politiche, permettendo a Yaalon di scappare dal paese.

È tornato alla guida dell’esercito nel 2013, giusto in tempo per intraprendere la guerra devastante contro Gaza nel 2014 nella quale furono uccisi 2.257 palestinesi in 51 giorni. L’OCHA , l’agenzia delle Nazioni Unite per il monitoraggio della situazione [nei territori occupati], ha calcolato che oltre il 70% degli uccisi fossero civili, tra cui 563 bambini.

La distruzione di Shujayya, in particolare, era una strategia preordinata concepita dallo stesso Yaalon. In un incontro nel luglio del 2013 con il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, Yaalon informò il capo dell’ONU che avrebbe bombardato l’intero quartiere in caso di guerra. L’ha fatto.

Nel maggio del 2015 non si era ancora pentito. Parlando a una conferenza a Gerusalemme, ha minacciato di ammazzare civili nel caso di un’altra guerra contro il Libano. “ Noi colpiremo i civili libanesi comprese le famiglie con bambini” ha detto.

Abbiamo discusso molto approfonditamente. Lo abbiamo fatto allora, lo abbiamo fatto nella Striscia di Gaza e lo rifaremo in futuro in qualunque altro conflitto”, ha detto. Ha anche parlato implicitamente di sganciare una bomba nucleare sull’Iran.

Yaalon ha più volte dato via libera all’esercito israeliano di occupazione perché metta in pratica la politica di “sparare per uccidere” i palestinesi per contrastare la “tensione” in aumento nei Territori Occupati.

Queste sono le parole [pronunciate]da Yaalon durante una visita alla base militare di Gush Etzion nel novembre del 2014:[prima colonia costruita dagli israeliani in Cisgiordania, ndtr.]

Deve essere chiaro che chiunque viene per uccidere ebrei deve essere eliminato. Qualunque terrorista che usa un’arma, un coltello o una pietra, che prova a investire o in qualsiasi modo attaccare ebrei deve essere ammazzato.”

Centinaia di palestinesi sono stati uccisi nei mesi scorsi nella Gerusalemme Est occupata e in Cisgiordania. Molte delle vittime sono ragazzi che tiravano le pietre per fronteggiare i veicoli dell’esercito israeliano e migliaia di coloni ebrei felici di premere il grilletto.

Nella sua prima dichiarazione publica dopo le dimissioni, Yaalon ha accusato “una minoranza chiassosa” in Israele di attaccare “i valori fondamentali” del paese, affermando che si sono persi i “punti di riferimento morali” del paese .

La cosa preoccupante è che molti israeliani sono d’accordo con Yaalon. Considerano come un esempio di moralità e un difensore di principi fondamentali l’uomo che è stato accusato di aver commesso crimini di guerra per la maggior parte della sua carriera.

Mentre Lieberman ha dimostrato di essere una mina vagante e di essere politicamente irresponsabile, Yaalon ha parlato pubblicamente di colpire i bambini e più volte ha mantenuto le sue promesse.

Quando i “mi piace” per Yaalon , un uomo dal passato sanguinario, diventa il volto della moralità in Israele, si può comprendere perché c’è poca speranza per il futuro di quel Paese, specialmente adesso che Lieberman ha portato il suo partito “Israele è Casa Nostra” nel terrificante covo di partiti politici[del governo] di Netanyahu.

Ramzy Baroud è un editorialista di fama internazionale, scrittore e fondatore di Palestine Chronicle.com. Il suo ultimo libro è “Mio padre era un combattente per la libertà: la storia non raccontata di Gaza.”

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale dell’Agenzia Ma’an News.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




Duecento ex ufficiali della sicurezza presentano un piano per porre fine alla situazione di stallo

Associated Press, Ynet

28/05/2016

Generali dell’IDF e loro pari grado di Mossad, Shin Bet [rispettivamente servizi segreti e servizio di sicurezza interna di Israele. Ndtr] e polizia chiedono il congelamento della costruzione nelle colonie, l’accettazione dell’iniziativa di pace araba [proposta di un accordo di pace con Israele formulata dall’Arabia Saudita ed accolta dalla Lega Araba nel 2002. Ndtr.] e il riconoscimento che Gerusalemme est dovrebbe fare parte del futuro Stato palestinese; gli ex ufficiali della sicurezza invocano anche il completamento della barriera di sicurezza [o Muro di separazione. Ndtr.].

Venerdì [27 maggio] un gruppo di oltre 200 militari ed ufficiali dell’intelligence hanno criticato il governo per la sua inazione nella soluzione del conflitto israelo-palestinese ed hanno presentato un piano dettagliato che secondo loro potrebbe porre fine alla situazione di stallo. La pubblicazione del rapporto segue di poco la nomina del leader del partito Yisrael Beytenu [partito ultranazionalista. Ndtr], Avigdor Lieberman, a ministro della Difesa.

Con i colloqui di pace completamente bloccati, venerdì il piano dei “Comandanti per la Sicurezza di Israele” ha indicato le “condizioni di garanzia” per negoziare con i palestinesi. Chiede un complesso di iniziative politiche e per la sicurezza insieme alla contestuale concessione di miglioramenti economici per i palestinesi di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme est.

 Auspica un congelamento della costruzione di colonie, l’accettazione in linea di massima dell’ “Iniziativa di Pace Araba” e il riconoscimento che Gerusalemme est debba essere parte di un futuro Stato palestinese “quando ciò sia stabilito come parte di un futuro accordo.”

Il leader del gruppo, Amnon Reshef, un ex-generale dell’IDF, ha detto che il piano “smentisce i venditori di paura” che sostengono che attualmente non ci sia una controparte palestinese per la pace o che le condizioni non sono adeguate per i negoziati. Ha affermato che questo argomento, comune in Israele dopo anni di conflitto e di fallimenti dei negoziati, “non dovrebbe essere una scusa per la passività e l’inazione.”

Reshef ha messo in guardia:”L’attuale status quo è un’illusione” che danneggia una soluzione dei due Stati del conflitto.

Il piano chiede anche alle autorità di completare la costruzione del Muro di sicurezza, in modo tale da non impedire la soluzione dei due Stati. In particolare, invita le autorità a completarne la costruzione attorno a Gush Etzion, Ma’ale Adumim [due colonie nei pressi di Gerusalemme, in Cisgiordania. Ndtr.]e nel sud della Cisgiordania.

Reshef ha detto che il suo gruppo intende garantire le condizioni per futuri colloqui di pace con i palestinesi ottimizzando nel frattempo la sicurezza nazionale di Israele e le relazioni regionali e internazionali. ” Sappiamo per esperienza che non puoi sfidare il terrore solo con mezzi militari, devi migliorare la qualità della vita dei palestinesi,” ha affermato.

Il gruppo di veterani militari ha detto di sperare che il piano sia preso in considerazione dai decisori politici e dall’opinione pubblica in Israele e negli USA, dove la prossima settimana verrà lanciata una campagna con l’ ong “Israel Policy Forum” [organizzazione statunitense di ricerca, studio e formazione impegnata per la realizzazione della soluzione dei due Stati. Ndtr.].

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA sulla settimana 17- 23 maggio 2016

Una 17enne palestinese è stata uccisa dalla polizia di frontiera israeliana mentre si avvicinava al checkpoint di Beit Iksa, a nord di Gerusalemme. Secondo i media israeliani, prima di essere colpita, la ragazza aveva sollevato un coltello e non aveva rispettato l’ordine di fermarsi.

Non sono stati segnalati feriti tra le forze israeliane. Dall’inizio del 2016, nel corso di aggressioni e presunte aggressioni, le forze israeliane hanno ucciso 52 palestinesi sospetti aggressori, mentre, nel corso dell’ultimo trimestre del 2015, ne furono uccisi 89. Le circostanze di molti episodi hanno creato preoccupazione per l’uso eccessivo della forza.

Le autorità israeliane hanno restituito alle loro famiglie i cadaveri di cinque palestinesi, sospettati di aver perpetrato attacchi contro israeliani. Vengono tuttora trattenuti i corpi di altri nove palestinesi. Il 24 maggio, le autorità israeliane hanno comunicato che avrebbero sospeso la consegna dei cadaveri, a causa di un episodio di presunta violazione delle condizioni concordate per lo svolgimento dei funerali.

In Cisgiordania almeno 49 palestinesi, tra cui quattro minori e una donna, sono stati feriti dalle forze israeliane, in prevalenza durante scontri; la maggior parte dei ferimenti si sono verificati durante le manifestazioni per commemorare il 68° anniversario di quello che, in riferimento ai fatti del 1948, i palestinesi definiscono “Al-Nakba” [la Catastrofe]: in particolare ad Al ‘Eizariya e Silwan (Gerusalemme) e a Ni’lin (Ramallah). Altri feriti si sono avuti nelle manifestazioni settimanali a Kafr Qaddum (Qalqiliya); a Deir Isitya (Salfit), durante una protesta contro la recinzione di una strada principale che impedisce l’accesso alla terra e durante alcune delle 82 operazioni di ricerca-arresto svoltesi nella settimana. Il lancio di lacrimogeni in uno degli scontri verificatisi nel campo profughi di Al Fawwar (Hebron) ha appiccato il fuoco e bruciato 45 ulivi e viti. A Gaza, durante le manifestazioni presso la recinzione, due palestinesi sono stati feriti con armi da fuoco.

Nella Striscia di Gaza, in almeno 13 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) lungo la recinzione perimetrale e in mare. In uno di questi casi un contadino è stato ferito, mentre dieci pescatori, tra cui un minore, sono stati costretti a togliersi i vestiti e nuotare verso le imbarcazioni delle forze navali israeliane, dove sono stati arrestati. Pur mancando una comunicazione ufficiale o una delimitazione, le aree fino a 300 metri dalla recinzione perimetrale sono considerate zone “vietate”, fatta eccezione per gli agricoltori che possono avvicinarsi fino a 100 metri; tuttavia fino a 1.000 metri le aree sono considerate ad alto rischio, e ciò ne scoraggia la coltivazione.

Il 22 maggio, le autorità israeliane hanno annunciato la revoca del divieto di importazione di cemento per il settore privato nella Striscia di Gaza. Il divieto, in vigore dal 3 aprile 2016, era motivato dalla preoccupazione israeliana per il possibile dirottamento di materiali da costruzione verso gruppi armati e dalla scoperta di un tunnel sotterraneo sotto il confine tra Gaza ed Israele.

Le forze israeliane hanno bloccato temporaneamente due delle strade principali per il villaggio Hizma (Gerusalemme), impedendo l’accesso veicolare a circa 7.000 persone. Ciò ha fatto seguito alla esplosione, verificatasi la settimana precedente al checkpoint di Hizma (che controlla l’accesso a Gerusalemme Est), di un ordigno artigianale che ferì un soldato.

A Gerusalemme Est, per mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito tre case palestinesi ed un locale per la preghiera, sfollando 26 persone, tra cui nove minori, e coinvolgendone altre otto. Dall’inizio del 2016, a Gerusalemme Est sono state demolite 72 strutture (di cui tre per motivi punitivi), rispetto alle 79 dell’intero anno 2015.

Il 18 maggio, un tribunale israeliano si è pronunciato a favore di una organizzazione di coloni che rivendicava la proprietà di tre appartamenti e due negozi nella zona di Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est, ordinandone lo sgombero entro il 10 giugno 2016. Quattro famiglie sono a rischio imminente di sfollamento. A Gerusalemme Est, la creazione di insediamenti israeliani nel cuore dei quartieri palestinesi ha inasprito le tensioni e compromesso le condizioni di vita dei palestinesi residenti.

Nella zona H2 della città di Hebron, sotto controllo israeliano, un gruppo di coloni israeliani è entrato in una casa palestinese ed ha aggredito fisicamente e ferito un 16enne palestinese e suo padre. Le forze israeliane sono intervenute e, in base alle affermazioni dei coloni israeliani che sostenevano di essere stati antecedentemente aggrediti dai due, hanno arrestato il ragazzo e suo padre.

Secondo i media israeliani, un bus israeliano che transitava vicino al villaggio di Tuqu ‘(Betlemme) e la metropolitana leggera di Gerusalemme hanno subito danni: il primo per uno sparo e la seconda per il lancio di una bottiglia, presumibilmente ad opera di palestinesi.

Durante il periodo di riferimento il valico di Rafah è stato chiuso sul lato egiziano. L’ultima volta è stato aperto l’11 e il 12 maggio, dopo 85 giorni consecutivi di chiusura. Secondo le autorità palestinesi, almeno 30.000 persone, di cui circa 9.500 malati e 2.700 studenti, sono registrate e in attesa di attraversare. Dall’inizio del 2016, le autorità egiziane hanno aperto il valico di Rafah solo per cinque giorni su 144.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: http://www.ochaopt.org/reports.aspx?id=104&page=1

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Rapporto OCHA della settimana 10-16 maggio 2016

A Gerusalemme Est, tre israeliani, tra cui due donne anziane, sono stati feriti con coltelli in due distinte aggressioni. La polizia israeliana ha arrestato il sospetto autore palestinese di una delle aggressioni, mentre, nel secondo caso, i responsabili sono fuggiti.

Al checkpoint di Hizma (Gerusalemme), secondo quanto riferito, un soldato israeliano è stato ferito dall’esplosione di un ordigno; in relazione a questo episodio, sono stati arrestati due palestinesi. Dall’inizio di aprile 2016, è stato registrato un calo significativo, rispetto ai mesi precedenti, nella frequenza di aggressioni palestinesi e presunte aggressioni contro israeliani.

Nei Territori palestinesi occupati, in scontri con le forze israeliane sono rimasti feriti almeno 78 palestinesi, tra cui 32 minori. La maggior parte degli scontri si sono verificati durante le manifestazioni per commemorare il 68° anniversario di quello che, riferendosi al 1948, i palestinesi chiamano “al-Nakba” [la catastrofe]*. Lacrimogeni sparati dalle forze israeliane in due degli scontri hanno appiccato il fuoco e parzialmente bruciato 30 alberi a Kafr Qaddum (Qalqiliya) e parte di una casa a Kafr ad Dik (Salfit).

* nota di Assopace: il 14 maggio 1948 gli ebrei proclamarono unilateralmente la nascita dello Stato di Israele. L’intervento degli Stati Arabi scatenò la prima delle guerre arabo-israeliane. Gli israeliani, vincitori, occuparono parte del territorio destinato dall’ONU ai palestinesi: circa 600.000 ebrei, in fuga dai paesi arabi, trovarono rifugio in Israele mentre circa 750.000 palestinesi fuggirono nei paesi arabi vicini (campi profughi).

In un altro episodio, in cui non ci sono stati scontri, un incendio è scoppiato vicino al villaggio di Beit ‘Awa (Hebron) a seguito del lancio di bengala (razzi illuminanti) da parte delle forze israeliane: sono bruciati circa 25 ettari di terra coltivata ad ulivo. Le circostanze di questo episodio rimangono poco chiare.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno condotto 78 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 106 palestinesi; il più alto numero di arresti (31) è stato registrato nel governatorato di Gerusalemme. Due di queste operazioni hanno innescato scontri che hanno provocato il ferimento di quattro palestinesi. Nella Striscia di Gaza, in Aree di mare ad Accesso Riservato, 12 pescatori, tra cui quattro minorenni, sono stati costretti a togliersi i vestiti e nuotare verso imbarcazioni delle forze navali israeliane dove sono stati arrestati.

Le forze israeliane hanno revocato le restrizioni imposte nel novembre 2015 sull’accesso dei palestinesi non residenti ad alcune parti della città di Hebron attraverso due punti di controllo chiave (Container e Gilbert checkpoint); nonostante questa facilitazione, il movimento dei palestinesi all’interno dell’area di insediamento israeliano della città rimane soggetto a forti restrizioni. A Gerusalemme Est, le autorità israeliane hanno vietato a due palestinesi l’accesso alla Moschea di Al Aqsa per due e tre mesi rispettivamente, a motivo del loro coinvolgimento in proteste contro l’ingresso di coloni israeliani nello stesso sito.

L’11 e il 12 maggio, in occasione della Giornata della Commemorazione [dei soldati caduti e delle vittime del terrorismo] e della Giornata dell’Indipendenza di Israele [è lo stesso evento che i palestinesi ricordano come al-Nakba], le autorità israeliane hanno dichiarato una chiusura generale della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, impedendo ai titolari di permesso di accedere ad Israele e a Gerusalemme Est, eccetto casi umanitari urgenti ed alcune altre eccezioni. Tutti i valichi commerciali sono stati chiusi.

Le autorità israeliane hanno consegnato alle loro famiglie i cadaveri di due palestinesi, sospettati di aver perpetrato attacchi contro israeliani. Sono ancora trattenuti i cadaveri di altri 13 palestinesi.

In Area C della Cisgiordania, le autorità israeliane hanno demolito o confiscato 16 strutture di proprietà palestinese per mancanza dei permessi di costruzione. Il 16 maggio, nella comunità beduina palestinese di Jabal al Baba (Gerusalemme), sette container ad uso abitativo, finanziati da donatori, sono stati demoliti ed i materiali per realizzarne altri tre sono stati confiscati. Tale Comunità si trova in una zona destinata [da Israele] all’espansione dell’insediamento colonico di Ma’ale Adumim (il piano E1) ed è una delle 46 comunità beduine nella Cisgiordania centrale a rischio di trasferimento forzato a causa di un piano di “rilocalizzazione” avanzato dalle autorità israeliane. Altri sei strutture di sostentamento sono state demolite nei villaggi di Al Walaja (Betlemme) e Deir al Ghusun (Tulkarem).

Nel corso della settimana sono stati registrati due aggressioni da parte di coloni, con lesioni o danni a palestinesi: nella zona H2 della città di Hebron, una palestinese e sua figlia sono state fisicamente aggredite e ferite da un gruppo di coloni israeliani; in Asfeer (Hebron), un villaggio palestinese situato nella zona chiusa dietro la Barriera, circa 30 coloni hanno vandalizzato la recinzione di una casa e molestato la famiglia, invitandoli a lasciare la zona.

Il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato eccezionalmente aperto l’11 e 12 maggio. A fronte di oltre 30.000 persone registrate e in attesa di attraversare, tra cui circa 9.500 malati e 2.700 studenti, è stata consentita l’uscita da Gaza a 739 palestinesi e l’ingresso a 1.220. Questa apertura è avvenuta dopo 85 giorni consecutivi di chiusura – il periodo più lungo dal 2007.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

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sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

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Rapporto OCHA della settimana 3- 9 maggio 2016

Nel corso di una serie di raid aerei e cannoneggiamenti effettuati da carri israeliani sulla Striscia di Gaza, una 54enne palestinese, intenta a coltivare la sua terra ad est di Khan Younis, è stata uccisa e altri otto civili palestinesi, tra cui sei minori, sono stati feriti.

La violenza si è intensificata il 4 maggio, quando le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza ed hanno avviato operazioni militari, a quanto riferito in seguito alla scoperta di un tunnel sotto il confine tra Gaza ed Israele. Gruppi armati palestinesi hanno risposto con colpi di mortaio verso le forze israeliane; non sono stati segnalati feriti israeliani. Durante la settimana, in cinque occasioni, le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza, hanno spianato il terreno ed effettuato scavi.

Il 3 maggio, un 36enne palestinese ha investito i soldati israeliani in servizio ad un posto di blocco “volante” nei pressi di Deir Ibzi’ (Ramallah); ne ha feriti tre ed è stato successivamente ucciso dagli altri soldati. Più tardi, la stessa notte, il corpo del palestinese è stato consegnato alla famiglia. Questo porta a 51 il numero di palestinesi uccisi dalle forze israeliane, dall’inizio del 2016, in Cisgiordania, durante attacchi e presunti attacchi.

Il 5 maggio, le autorità israeliane hanno comunicato che intendono consegnare quanto prima i cadaveri di palestinesi sospettati di aver perpetrato attacchi contro israeliani negli ultimi sei mesi. Durante il periodo di riferimento, a Gerusalemme Est, uno di questi cadaveri è stato riconsegnato alla famiglia, con la condizione che il funerale fosse limitato a 30 persone, e che fosse versato un deposito di 20.000 NIS (pari a 4.675 euro) a garanzia del rispetto di suddetta condizione. Le autorità israeliane trattengono ancora 15 corpi.

Nei Territori palestinesi occupati, in scontri con le forze israeliane, sono stati feriti 86 palestinesi, tra cui dieci minori. La maggior parte di questi scontri sono scoppiati durante proteste: manifestazioni settimanali a Kafr Qaddum (Qalqiliya) e proteste nei pressi della recinzione che separa Gaza e Israele, oppure nel corso di operazioni di ricerca-arresto. Tra i feriti, un 15enne colpito alla testa da un proiettile di metallo rivestito di gomma, nel villaggio di Al Khader (Betlemme), vicino ad una scuola, durante scontri tra forze israeliane ed un gruppo di ragazzi. Inoltre, tre giornalisti palestinesi sono stati feriti da schegge di granate assordanti sparate dalle forze israeliane durante una manifestazione tenuta al checkpoint di Beituniya, nei pressi della prigione di Ofer (Ramallah), in occasione della Giornata Mondiale della Libertà di Stampa.

Nel governatorato di Hebron, vicino al villaggio di Beit Einoun, le forze israeliane hanno riaperto due cancelli metallici che impedivano ai palestinesi l’accesso ad una importante strada di collegamento. A partire dalla loro chiusura, avvenuta nel mese di ottobre 2015, nei pressi dei cancelli si sono verificati vari attacchi e presunti attacchi contro le forze israeliane ivi operanti, con conseguente uccisione di otto palestinesi e il ferimento di sei soldati israeliani. L’apertura è stata decisa per ridurre le tensioni e facilitare il movimento di 35.000 persone: impiegati, studenti e pazienti che in precedenza erano costretti a lunghe ed onerose deviazioni.

Nella città di Nablus, le autorità israeliane hanno demolito “per punizione” la casa di famiglia di un palestinese, attualmente in stato di detenzione, accusato dell’uccisione di due coloni israeliani, avvenuta il 1° ottobre 2015. Di conseguenza, la moglie incinta è stata sfollata; inoltre, a causa dei danni arrecati durante la demolizione a due appartamenti adiacenti, sono stati coinvolti altri otto palestinesi, tra cui due minori.

Il 6 maggio, per mancanza di un permesso di soggiorno, una 36enne palestinese, madre di tre figli, è stata espulsa a forza dalle autorità israeliane da Gerusalemme Est, dove viveva da anni. La donna, titolare di documento di identità della Cisgiordania, è sposata con il titolare di documento di identità di Gerusalemme che, attualmente, sta scontando una pena detentiva per un attacco perpetrato nel 2002, dopo il quale la loro casa venne sigillata.

Il 9 maggio, secondo quanto riferito dall’organizzazione di coloni di ‘Ateret Cohanim, un gruppo di coloni israeliani si è trasferito in un edificio di tre piani nella città vecchia di Gerusalemme Est; non sono stati segnalati sfollamenti. A Gerusalemme Est, dal 1967, le leggi e la prassi israeliana hanno agevolato l’acquisizione di proprietà e la creazione di insediamenti nel cuore dei quartieri palestinesi. Nel 2015, coloni israeliani si sono impossessati di quattro case, sfollando 17 palestinesi.

Questa settimana sono stati registrati quattro attacchi di coloni israeliani contro palestinesi: nella città di Hebron l’aggressione fisica contro un difensore dei diritti umani; a Shufa (Tulkarem) un furto di bestiame; due episodi di vandalismo contro proprietà vicino a Deir Istiya e a Kifl Haris (entrambe in Salfit). In questa ultimo caso, secondo quanto riferito, coloni israeliani accompagnati da forze israeliane, sono entrati nel villaggio per visitare un sito religioso e, mentre impedivano ad abitanti palestinesi di rientrare nelle loro case, hanno compiuto atti vandalici.

Nella Striscia di Gaza, per l’uso improvvido di candele impiegate per far fronte alla grave carenza di energia elettrica, tre bambini (di 9 mesi, 2 e 4 anni) sono morti per un incendio scoppiato nella loro casa. Durante la settimana, in circostanze simili, sono stati segnalati almeno altri cinque casi che hanno provocato lesioni a tre persone. Da sette settimane consecutive sono in corso interruzioni di energia elettrica (fino a 18-20 ore al giorno), che subordinano l’erogazione dei servizi pubblici fondamentali alla disponibilità del carburante necessario ad azionare generatori di emergenza. Durante la settimana, in tutta la Striscia di Gaza, ci sono state diverse proteste contro questa situazione.

Durante la settimana, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è rimasto chiuso in entrambe le direzioni, portando a 84 giorni il periodo di chiusura ininterrotta: il più lungo a partire dal 2007. Le autorità di Gaza hanno segnalato che risultano registrate e in attesa di attraversare più di 30.000 persone, tra cui circa 9.500 malati e 2.700 studenti.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

L’11 maggio, l’Egitto ha aperto il valico di Rafah con Gaza, in entrambe le direzioni, per due giorni. Questa apertura fa seguito ad 85 giorni consecutivi di chiusura; il periodo più lungo a partire dal 2007.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: http://www.ochaopt.org/reports.aspx?id=104&page=1

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

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nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

considerano già noti ai lettori abituali. In caso di discrepanze, fa testo la versione originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Analisi: gli arabi hanno tradito la Palestina?

30 aprile 2016, aggiornato 2 maggio 2016, Ma’an News

Di Ramzy Baroud

Ramzy Baroud è un giornalista accreditato a livello internazionale, scrittore e fondatore di PalestineChronicle.com. Il suo ultimo libro è “Mio padre era un combattente per la libertà: la storia non detta di Gaza”

All’età di 21 anni ho attraversato il confine da Gaza all’Egitto per conseguire una laurea in scienze politiche. Il momento non avrebbe potuto essere peggiore. L’invasione irachena del Kuwait nel 1990 aveva condotto ad una coalizione internazionale guidata dagli USA e ad un grave conflitto, che alla fine ha spianato la strada all’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003. Mi resi conto che i palestinesi vennero da subito “odiati” in Egitto a causa dell’appoggio di Yasser Arafat all’Iraq a quell’epoca. Solo non conoscevo la portata di quel presunto “odio”.

E’ stato in un modesto albergo del Cairo, dove ho pian piano speso i pochi denari egiziani che avevo a disposizione, che ho incontrato Hajah Zainab, una gentile vecchia custode che mi ha trattato come un figlio. Aveva un aspetto malsano, camminava zoppicando e si appoggiava ai muri per prendere fiato prima di proseguire nei suoi incessanti lavori domestici. I tatuaggi sul suo viso, un tempo disegnati accuratamente, erano diventati macchie di inchiostro raggrinzito che deturpava la sua pelle. Eppure la gentilezza dei suoi occhi aveva la meglio e appena mi vedeva mi abbracciava e piangeva.

Hajah Zainab piangeva per due motivi: aveva pena per me perché avevo a che fare con un ordine di deportazione del Cairo – per la sola ragione che ero un palestinese nel momento in cui Arafat appoggiava Saddam Hussein, mentre Hosni Mubarak sceglieva di allearsi con gli Stati Uniti. La mia disperazione cresceva e mi angosciava la possibilità di affrontare l’intelligence israeliana, lo Shin Bet, che poteva convocarmi nei suoi uffici una volta che avessi attraversato il confine per tornare a Gaza. L’altro motivo era che l’unico figlio di Hajah Zainab, Ahmad, era morto combattendo gli israeliani nel Sinai.

La generazione di Zainab considerava le guerre dell’Egitto con Israele, quella del 1948, del 1956 e del 1967, come guerre in cui una delle cause principali era la Palestina. Nessuna politica egoista e nessun condizionamento mediatico avrebbe potuto modificare ciò. Ma la guerra del 1967 fu quella della totale sconfitta. Con l’appoggio diretto e massiccio degli Stati Uniti e di altre potenze occidentali, gli eserciti arabi furono sonoramente sconfitti, battuti su tre differenti fronti. Gaza, Gerusalemme est e la Cisgiordania furono perdute, insieme alle Alture del Golan, la Valle del Giordano ed anche il Sinai.

Fu allora che i rapporti di alcuni paesi arabi con la Palestina iniziarono a cambiare. La vittoria di Israele ed il costante appoggio di Stati Uniti e dell’ occidente convinsero alcuni governi arabi ad abbassare le loro pretese e auspicavano che anche i palestinesi facessero lo stesso. L’Egitto, che era stato il portabandiera del nazionalismo arabo, cedette ad un senso collettivo di umiliazione ed in seguito ridefinì le sue priorità con l’obbiettivo di liberare la propria terra dall’occupazione israeliana. Privi della cruciale leadership egiziana, gli stati arabi si divisero in campi differenti, ogni governo con la propria strategia. La Palestina intera era allora sotto controllo israeliano e gli arabi lentamente si allontanarono da una causa che un tempo era considerata la causa principale della nazione araba.

La Guerra del 1967 pose anche fine al dilemma di un’azione indipendente palestinese, di cui si appropriarono quasi del tutto vari paesi arabi. Inoltre la guerra spostò l’attenzione sulla Cisgiordania e Gaza e consentì alla fazione palestinese Fatah di rafforzare la propria posizione alla luce della sconfitta araba e della conseguente divisione.

Tale divisione venne alla luce pienamente al summit di Khartoum dell’agosto 1967, in cui i leaders arabi si scontrarono su priorità e definizioni. Le conquiste territoriali di Israele dovrebbero ridefinire lo status quo? Gli arabi dovrebbero concentrarsi sul ritorno alla situazione precedente il 1967 o a quella precedente il 1948, quando la Palestina storica fu occupata per la prima volta ed i palestinesi furono fatti oggetto di una pulizia etnica?

Il 22 novembre 1967 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottò la Risoluzione 242, che rispecchiava il desiderio dell’amministrazione americana Johnson di avvantaggiarsi del nuovo status quo: il ritiro di Israele “dai territori occupati” in cambio della normalizzazione con Israele.

Il nuovo linguaggio del periodo immediatamente successivo al 1967 allarmò i palestinesi, che si resero conto che qualunque assetto politico futuro avrebbe ignorato la situazione preesistente alla guerra.

Infine, l’Egitto combatté e celebrò la sua vittoria nella Guerra del 1973, che gli consentì di consolidare il controllo sulla maggior parte dei suoi territori perduti. Alcuni anni dopo, gli accordi di Camp David nel 1979 divisero ancor di più le fila degli arabi e posero fine alla solidarietà ufficiale dell’Egitto con i palestinesi, garantendo allo stato arabo più popoloso un controllo condizionato sul proprio territorio nel Sinai. Le ripercussioni negative di quell’accordo non possono essere sopravvalutate. Comunque il popolo egiziano, nonostante il passare del tempo, non ha mai veramente normalizzato i rapporti con Israele.

In Egitto esiste ancora una frattura tra il governo, il cui comportamento si basa sull’urgenza politica e sull’autoconservazione, ed il popolo che, nonostante una campagna anti-palestinese imposta su vari media, è come sempre determinato a rifiutare la normalizzazione con Israele finché la Palestina non sia libera. A differenza del ben finanziato circo mediatico che negli ultimi anni ha demonizzato Gaza, gli amici di Hajah Zainab dispongono di pochissimi programmi in cui possono apertamente esprimere la loro solidarietà con i palestinesi. Nel mio caso, sono stato abbastanza fortunato da imbattermi nella vecchia custode che piangeva per la Palestina e per il suo unico figlio tanti anni fa.

Tuttavia quello stesso spirito, di Zainab, mi si è presentato nuovamente nel mio percorso di viaggi, diverse volte. Lo incontrai in Iraq nel 1999. Era incarnato in una vecchia venditrice di verdura che viveva a Sadr City. Lo incontrai in Giordania nel 2003. Si trattava di una taxista, con una bandiera palestinese che sventolava dal suo specchietto retrovisore. Era anche una giornalista saudita in pensione che incontrai a Gedda nel 2010, e una studentessa marocchina incontrata in un giro di conferenze a Parigi nel 2013. Aveva poco più di vent’anni. Dopo il mio intervento, mi disse piangendo che la Palestina per il suo popolo era come una ferita aperta. “Prego ogni giorno per una Palestina libera”, mi disse, “come facevano i miei defunti genitori in ogni preghiera.”

Hajah Zainab è anche l’Algeria, tutta l’Algeria. Quando la nazionale di calcio palestinese ha incontrato la squadra algerina, lo scorso febbraio, si è verificato uno strano fenomeno mai visto prima, che lasciò molti attoniti. I tifosi algerini, tra i più accesi amanti del calcio di ogni dove, hanno tifato per i palestinesi, per tutta la partita. E quando la squadra palestinese ha segnato un goal, è stato come se gli spalti si incendiassero. L’affollato stadio è esploso in un canto entusiasta per la Palestina e solo per la Palestina. Allora, gli arabi hanno tradito la Palestina? La domanda si sente spesso ed è spesso seguita da un affermativo “si, lo hanno fatto”. I media egiziani che fanno dei palestinesi dei capri espiatori a Gaza, i palestinesi perseguitati ed affamati a Yarmouk in Siria, la scorsa guerra civile in Libano, le vessazioni dei palestinesi in Kuwait nel 1991 e più tardi in Iraq, sono esempi spesso citati. Adesso alcuni sostengono che la cosiddetta “primavera araba” sia stata l’ultimo colpo di grazia alla solidarietà araba con la Palestina.

Vi prego di non fare confusione. Il risultato della sfortunata “primavera araba” è stato una grandissima delusione, se non un tradimento, non solo per i palestinesi, ma per la maggior parte degli arabi. Il mondo arabo è diventato il terreno per sporche politiche tra vecchi e nuovi avversari. Se i palestinesi ne sono stati vittime, i siriani, gli egiziani, i libanesi, gli yemeniti ed altri lo stanno diventando anche loro.

Si deve fare una chiara distinzione politica del termine “arabi”. Arabi possono essere dei governi non eletti altrettanto quanto lo può essere una gentile vecchietta che guadagna due dollari al giorno in un infimo albergo del Cairo. Arabe sono le potenti elites che si preoccupano solo dei propri privilegi e ricchezze, mentre non gli importa né dei palestinesi né delle loro proprie nazioni, ma lo sono anche tanti popoli, differenti, unici, emancipati, oppressi, che si trovano in questo momento storico a consumarsi per la propria sopravvivenza e lottano per la libertà.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale dell’Agenzia Ma’an News.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Rapporto OCHA della settimana 26 aprile- 2 maggio

Il 27 aprile, una 23enne palestinese, madre ed incinta, e il fratello 16enne sono stati uccisi vicino al checkpoint di Qalandiya (Gerusalemme), secondo quanto riferito da personale della società di sicurezza privata israeliana che presidia il checkpoint.

Le circostanze sono controverse: secondo fonti israeliane, i due portavano dei coltelli e non hanno obbedito all’alt impartito dalle forze israeliane; testimoni oculari palestinesi hanno riferito che il personale di sicurezza ha aperto il fuoco sulla donna che era entrata per errore nella corsia del checkpoint riservata ai veicoli e, successivamente, hanno sparato al fratello accorso per aiutarla. Le autorità israeliane trattengono ancora i loro corpi, insieme a quelli di 16 palestinesi sospettati di aver perpetrato attacchi [contro israeliani] negli ultimi sei mesi.

Nel villaggio di Beit Ur al Foqa (Ramallah), una 16enne palestinese è stata ferita con arma da fuoco durante un presunto tentativo di aggressione contro soldati israeliani. I media israeliani hanno riferito che lei e la sua amica portavano un coltello, una siringa e un biglietto d’addio. Entrambe le ragazze sono state arrestate e non sono stati segnalati feriti tra i soldati israeliani. Secondo i media israeliani, nella Città Vecchia di Gerusalemme, un colono israeliano 60enne è stato accoltellato e ferito da un palestinese; è stato inoltre riferito che il presunto aggressore è fuggito, ma è stato successivamente arrestato.

Durante la settimana, vicino alla colonia di Efrata (Betlemme), un bambino israeliano è stato ferito sull’auto su cui viaggiava, colpita da pietre; inoltre, a Gerusalemme Est, la metropolitana leggera è stata danneggiata da una pietra (o bottiglia), si sospetta, lanciata da palestinesi.

Nei Territori palestinesi occupati, in scontri con le forze israeliane, sono stati feriti 85 palestinesi, tra cui 20 minori. La maggior parte di questi scontri sono scoppiati nel corso di proteste: la manifestazione settimanale a Kafr Qaddum (Qalqiliya) che, da sola, registra 43 feriti; ad Abu Dis (Gerusalemme) e al Campo profughi di Al Jalazun (Ramallah) contro la recente uccisione di palestinesi; durante manifestazioni nei pressi della recinzione di confine tra Gaza ed Israele. In un caso, nei pressi della Al Khader School (Betlemme), un ragazzo di 10 anni è stato urtato e ferito da una jeep israeliana.

In Cisgiordania, a seguito dell’ingresso di coloni e di altri gruppi israeliani in vari siti religiosi in occasione della Pasqua ebraica, sono stati registrati parecchi alterchi e scontri tra palestinesi e forze israeliane. I siti coinvolti includono: il Complesso della Spianata delle Moschee / Monte del Tempio a Gerusalemme Est; il villaggio di Al Karmel nel sud di Hebron; le Piscine di Suleiman presso il villaggio di Al Khader (Betlemme); il villaggio Sebastiya (Nablus); la Tomba di Giuseppe a Nablus. In quest’ultima località, le forze israeliane hanno ferito, con arma da fuoco, un 17enne palestinese. La polizia israeliana ha vietato a quattro palestinesi, per due settimane, l’ingresso nel Complesso della Spianata delle Moschee / Monte del Tempio e, in un altro caso, secondo quanto riferito, ne ha allontanato otto visitatori israeliani.

Nella Striscia di Gaza, in almeno 21 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco in Aree ad Accesso Riservato, di terra e di mare, ed hanno arrestato due pescatori dopo averli costretti a spogliarsi e nuotare verso le imbarcazioni israeliane, dove sono stati tratti in arresto. In quattro occasioni, le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza, hanno spianato il terreno ed effettuato scavi.

In Cisgiordania, le forze israeliane hanno condotto 45 operazioni di ricerca-arresto arrestando 93 palestinesi: il governatorato di Gerusalemme registra la quota più alta di arresti (65, tra cui 10 minori), per la maggior parte effettuati nella moschea di Al Aqsa.

Per la prima volta in sette anni, a Gerusalemme Est, le autorità israeliane hanno iniziato ad aprire, per due ore al giorno, il cancello sulla Barriera a Dahiyat al Barid, consentendo ai possessori di documenti di identificazione di Gerusalemme, l’utilizzo di un percorso più breve tra Ramallah e le comunità vicine. Le forze israeliane hanno anche riaperto un cancello stradale, chiuso da ottobre 2015, all’ingresso orientale del villaggio di ‘Ein Yabrud (Ramallah), consentendo a circa 11 comunità il transito veicolare verso la strada 60. Un altro cancello stradale, che conduce al villaggio Jamma’in (Nablus), è stato chiuso questa settimana, costringendo i residenti ad una lunga deviazione.

Per mancanza dei permessi rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito tre strutture di sussistenza ed hanno confiscato due serbatoi per l’acqua in un settore dell’Area C della città di Qalqiliya. Il provvedimento interessa 10 famiglie di rifugiati palestinesi, tra cui 32 minori.

In questa settimana non sono stati segnalati attacchi di coloni con vittime o danni [a palestinesi]. Tuttavia, a sud di Yatta (Hebron), coloni israeliani hanno impedito a contadini palestinesi di accedere ai loro terreni che si trovano oltre la Barriera.

Durante la settimana, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è rimasto chiuso in entrambe le direzioni, portando a 77 giorni il periodo di chiusura ininterrotta; il più lungo a partire dal 2007. Le autorità di Gaza hanno segnalato che risultano registrate e in attesa di attraversare più di 30.000 persone, tra cui circa 9.500 malati e 2.700 studenti.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Dal 4 maggio la tensione lungo il confine tra Gaza e Israele è in aumento, concretizzata in una serie di attacchi fra gruppi armati palestinesi ed esercito israeliano. Secondo le prime notizie dei media, una palestinese è stata uccisa ed altri quattro civili palestinesi (di cui tre minori) e un soldato israeliano sono rimasti feriti.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: http://www.ochaopt.org/reports.aspx?id=104&page=1

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per esplicitare informazioni che gli estensori dei Rapporti considerano note
ai lettori
abituali. In caso di discrepanze, fa testo la versione originale in lingua inglese.

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Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Rapporto Ocha della settimana 19-25 aprile 2016

Durante la settimana non sono state registrate uccisioni di palestinesi o israeliani. Nei Territori palestinesi occupati, in scontri con le forze israeliane, sono stati feriti 70 palestinesi, tra cui 11 minori.

La maggior parte di questi scontri sono scoppiati nel corso di proteste: ad Abu Dis (Gerusalemme), contro la recente uccisione di palestinesi; a Ni’lin (Ramallah), contro la Barriera; a Kafr Qaddum (Qalqiliya), durante la manifestazione settimanale; durante manifestazioni nei pressi della recinzione di confine tra Gaza ed Israele. I numeri di questa settimana includono sette palestinesi feriti in scontri con le forze israeliane durante una demolizione punitiva.

Nella Striscia di Gaza, in almeno 26 casi, le forze israeliane hanno aperto il fuoco in Aree ad Accesso Riservato (ARA) a terra e in mare, ferendo un pescatore e arrestandone altri sette, confiscando una barca e distruggendone un’altra. Due degli arrestati sono stati costretti a spogliarsi e nuotare verso le imbarcazioni della marina israeliana, sulle quali sono stati trattenuti in detenzione preventiva.

Le autorità israeliane trattengono ancora i corpi di 16 palestinesi uccisi nel corso di episodi verificatisi negli ultimi sei mesi. Secondo i media israeliani, nel marzo 2015, il Primo Ministro israeliano, ha dato istruzioni alle autorità competenti di fermare, fino a nuova comunicazione, la restituzione dei corpi di palestinesi sospettati di aver perpetrato attacchi contro israeliani.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno condotto 74 operazioni di ricerca-arresto; il maggior numero nel governatorato di Hebron (20 operazioni). In totale sono stati arrestati 132 palestinesi; la quota più alta di arresti è stata registrata nel governatorato di Gerusalemme: 66, tra cui 19 minori, soprattutto nella città vecchia di Gerusalemme (23 arresti) e nel quartiere di Al ‘Isawiya (23 arresti, tra cui 15 minori).

Durante la settimana, le forze israeliane hanno chiuso il checkpoint di Al Jalama (Jenin), impedendone l’attraversamento a piedi ai lavoratori palestinesi; il checkpoint è tuttavia rimasto aperto per il movimento dei veicoli. Per diverse ore è stata chiusa anche la strada tra Azzun (Qalqiliya) e Jit (Nablus) mentre era in corso una marcia di coloni israeliani, tenutasi tra gli insediamenti di Karnei Shomron e Kedumim. A Gerusalemme Est, le autorità israeliane hanno emesso ordini di polizia e ordini giudiziari che vietano, per 15 giorni, a 24 palestinesi di entrare nella Spianata delle Moschee/Monte del Tempio; ad altri cinque è stato vietato, fino a 10 giorni, di entrare a Gerusalemme. I provvedimenti sono motivati dal fatto che gli interessati sono stati implicati in proteste contro l’ingresso nel Complesso di coloni israeliani e di altri gruppi israeliani. Secondo i media israeliani, in seguito a presunte violazioni delle prescrizioni imposte da Israele, a due israeliani è stato proibito l’ingresso nel Complesso ed almeno altri 13 ne sono stati allontanati.

Nel Campo profughi di Qalandiya (Gerusalemme), le autorità israeliane hanno effettuato una demolizione punitiva contro la casa di famiglia di un palestinese sospettato di aver ucciso, il 25 gennaio 2016, una colona israeliana. Di conseguenza, è stata sfollata una famiglia di otto persone, di cui cinque minori. Nel mese di novembre 2014, il coordinatore umanitario per Territori palestinesi occupati ha chiesto la fine delle demolizioni punitive, sottolineando che “le demolizioni punitive sono una forma di sanzione collettiva, vietata dal diritto internazionale”. Inoltre, nella zona di Sur Bahir di Gerusalemme Est, per la mancanza di un permesso di costruzione rilasciato da Israele, le autorità israeliane hanno costretto una famiglia ad auto-demolire un ampliamento della loro casa.

Questa settimana sono stati registrati due attacchi di coloni con conseguenti danni materiali: ad Husan (Betlemme), il danneggiamento di circa 7 ettari di terra agricola palestinese inondata da acque di scolo, pompate dall’insediamento colonico di Betar Illit; a Far’ata (Qalqiliya), il furto di attrezzi agricoli. Segnalato inoltre, non incluso nel conteggio, il ferimento di due palestinesi, di cui uno in modo grave, investiti da veicoli con targa israeliana. In uno dei due casi si trattava di un minore al quale le forze israeliane hanno prestato i primi soccorsi.

Una carrozza della metropolitana leggera, nell’attraversamento del quartiere di Shu’fat, a Gerusalemme Est, è stata colpita e danneggiata da una pietra (o bottiglia) lanciata, si sospetta, da palestinesi.

Il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, continua a restare chiuso in entrambe le direzioni da ormai 70 giorni consecutivi. Il valico è rimasto chiuso, anche per l’assistenza umanitaria, dal 24 ottobre 2014 ad eccezione di 42 giorni di aperture parziali. Le autorità di Gaza hanno segnalato che sono registrati e in attesa di attraversare 30.861 persone, tra cui circa 9.500 malati e 2.700 studenti.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 27 aprile, una 23enne madre di due figli e il fratello 16enne sono stati uccisi dalle forze israeliane al checkpoint di Qalandiya a Gerusalemme, in circostanze poco chiare. I corpi sono ancora trattenuti dalle autorità israeliane.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: http://www.ochaopt.org/reports.aspx?id=104&page=1

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per esplicitare informazioni che gli estensori dei Rapporti considerano note
ai lettori
abituali. In caso di discrepanze, fa testo la versione originale in lingua inglese.

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