Israele aggiunto alla “lista nera” dell’ONU delle Nazioni che arrecano sofferenze ai minori durante i conflitti

Redazione di Middle East Eye

7 giugno 2024 – Middle East Eye

L’ambasciatore di Israele alle Nazioni Unite è indignato per la notizia dell’ inserimento del Paese nella lista nera e sostiene che l’esercito israeliano è “il più morale al mondo”.

Le Nazioni Unite hanno inserito Israele in una lista nera di Paesi che hanno commesso violenze contro i minori dopo che le forze israeliane hanno ucciso migliaia di minori palestinesi nella guerra in corso contro Gaza.

L’inserimento di Israele è stato confermato dall’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, che ha dichiarato su X di aver ricevuto la notifica e di essere indignato per la decisione. Sulla piattaforma di social media ha anche condiviso la registrazione della telefonata in cui ha ricevuto la notizia da un funzionario delle Nazioni Unite.

È semplicemente scandaloso e sbagliato”, ha dichiarato Erdan.

“Ho risposto alla vergognosa decisione dicendo che il nostro esercito è il più morale al mondo. L’unico ad essere inserito nella lista nera dovrebbe essere il segretario generale che incentiva e incoraggia il terrorismo ed è motivato dall’odio verso Israele”.

Venerdì durante un incontro con la stampa Stephane Dujarric, portavoce del segretario generale dell’ONU, ha dichiarato che un funzionario dell’ONU ha chiamato l’ambasciatore israeliano per informarlo dell’inserimento nella lista come “una cortesia concessa ai Paesi che sono appena stati inseriti nella lista “all’interno del Rapporto annuale dell’ONU minori nei conflitti armati”

È stato fatto per avvertire quei Paesi ed evitare fughe di notizie”, ha detto Dujarric ai giornalisti.

Il rapporto sarà presentato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 14 giugno. Citando un funzionario delle Nazioni Unite la Reuters ha riferito che anche i gruppi palestinesi Hamas e Jihad Islamica sarebbero stati aggiunti alla lista.

Dujarric ha aggiunto che la pubblicazione della telefonata da parte di Erdan “è scioccante e inaccettabile – e francamente è qualcosa che non ho mai visto nei miei 24 anni di servizio in questa organizzazione”.

Il rapporto annuale delle Nazioni Unite sui minori nei conflitti armati elenca le “organizzazioni che commettono violazioni contro i minori”, e include uccisioni e mutilazioni documentate, oltre a violenze sessuali.

L’elenco comprende la Russia, la Repubblica Democratica del Congo, la Somalia e la Siria. Include tra gli altri anche organizzazioni non statali come il gruppo dello Stato Islamico (IS), al-Shabaab, i Talebani e al-Qaeda.

Secondo l’ufficio stampa del governo di Gaza durante questa guerra le forze israeliane hanno ucciso più di 15.571 minori palestinesi nell’enclave assediata.

Gruppi per i diritti [umani] e agenzie delle Nazioni Unite hanno denunciato l’effetto che la guerra di Israele ha avuto sulla popolazione civile palestinese, compreso il suo forte impatto sui minorenni.

Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) ha dichiarato che a Gaza nove minori palestinesi su 10 devono affrontare una “grave povertà alimentare infantile”, che secondo l’agenzia è “una delle percentuali più alte mai registrate”.

Diversi minori palestinesi sono morti per fame, sete e grave malnutrizione .
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato la scorsa settimana che quattro minori palestinesi su cinque a Gaza “non hanno mangiato per un giorno intero” per almeno uno degli ultimi tre giorni.

Alla fine del mese scorso, l’immagine di un bambino palestinese decapitato da un attacco aereo israeliano a Rafah è diventata virale sui social media, scatenando ulteriore indignazione nei confronti dell’esercito israeliano.

Traduzione di Carlo Tagliacozzo




Un’organizzazione legata a Israele guida la reazione contro le proteste studentesche

James Bamford

16 maggio 2024 – The Nation

L’Israeli-American Council ha lavorato per anni con le agenzie di intelligence israeliane. Lo scorso mese i suoi dirigenti hanno giurato di far sgombrare l’accampamento all’UCLA.

Era ormai tempo di reagire contro i campus dei college americani. E il poco noto Israeli-American Council [Consiglio Israelo-Americano] (IAC), un’organizzazione che ha stretti rapporti con l’intelligence israeliana e composta per lo più da israeliani espatriati, ha deciso che avrebbe guidato la carica in tutto il Paese. Domenica 28 aprile, quando alcuni membri del gruppo sono arrivati sul prato della Dickson Plaza all’UCLA, il presidente dell’IAC, Elan Carr, è salito sul palco. Politico repubblicano, ex-membro del consiglio nazionale dell’AIPAC [principale organizzazione della lobby filo-israeliana negli USA, ndt.] e consigliere speciale dell’amministrazione Trump per monitorare e combattere l’antisemitismo, ha avuto una scarsa considerazione nei confronti di chiunque avesse screditato Israele. Nel passato ha paragonato l’appello al boicottaggio economico di Israele alle azioni dei nazisti. E ha affermato che il gruppo Jewish Voice for Peace [Voci ebraiche per la pace, organizzazione di ebrei statunitensi antisionisti, ndt.], i cui membri hanno preso parte alle proteste, “è coinvolto nell’antisemitismo.”

Tra quanti si sono rivolti alla folla di contromanifestanti che sventolavano bandiere israeliane proprio davanti all’accampamento dei dimostranti filo-palestinesi, c’era il console generale di Israele per il Pacifico sudoccidentale, Israel Bachar. Ha parlato anche Jonathan Greenblatt, presidente dell’Anti-Defamation League [altra importante associazione della lobby filoisraeliana, ndt.]. Poi è arrivato Carr, che ha annunciato l’inizio della lotta. “Ci riprenderemo le nostre strade. Ci riprenderemo i nostri campus, dalla Columbia University all’UCLA o ovunque tra l’una e l’altra,” ha affermato. La domanda è: data la lunga storia di stretti rapporti dell’IAC con le organizzazioni dell’intelligence israeliana, per chi si stanno riprendendo i campus?

Durante il raduno un sostenitore di Israele ha estratto un coltello a serramanico e ha squarciato un manifesto filopalestinese mentre altri si scontravano con manifestanti filopalestinesi e il volto di un dimostrante si è coperto di sangue. Quella mattina presto alcuni contromanifestanti hanno tentato di arrampicarsi sulle barricate dell’accampamento filopalestinese e una guardia di sicurezza è stata cosparsa con uno spray urticante. Danielle Carr, un’assistente universitaria, ha detto di aver assistito a un’aggressione “veramente incredibile” contro i dimostranti filopalestinesi.

In precedenza il gruppo aveva allestito un enorme schermo chiaramente visibile dall’accampamento. Avrebbero iniziato una tecnica di guerra psicologica simile a quella utilizzata dall’esercito USA contro i presunti terroristi a Guantanamo. Un ispettore dell’FBI assegnato al campo di detenzione ha raccontato in un memorandum di aver visto una volta un “detenuto seduto per terra nella stanza degli interrogatori avvolto in una bandiera israeliana, con musica a tutto volume e una luce stroboscopica lampeggiante.” L’ispettore è uscito dalla stanza, notando in un rapporto che la sua opinione era che “tali tecniche non fossero autorizzate né approvate dalle regole dell’FBI.”

A quanto pare queste regole non si applicano all’IAC. Durante il raduno hanno sparato a tutto volume l’inno nazionale israeliano e poi sullo schermo gigante sistemato dai contromanifestanti hanno proiettato a volume altissimo duri video dei miliziani di Hamas. Secondo il Los Angeles Times i video includevano anche “un fiume di inquietanti suoni assordanti – lo stridio di un’aquila, il pianto di un bambino – con uno stereo e sparato a tutto volume in continuazione una versione in ebraico della canzone “Baby Shark” [canzoncina per bambini, ndt.] a notte fonda in modo che chi era accampato non potesse dormire. “Sfortunatamente abbiamo sperimentato maltrattamenti e il terrore notturni che possono veramente sconvolgere,” ha detto a un giornalista un dottorando ventottenne che era nell’accampamento.

Poi solo due giorni dopo i contromanifestanti filoisraeliani sono tornati per adempiere all’impegno dell’IAC di sgomberare l’accampamento con quelle che la prorettrice dell’università Mary Osako ha definito “orribili violenze.” Alle 22:48 il gruppo filoisraeliano si è avvicinato all’accampamento e ha scandito “Harbu Darbu”, un inno di guerra israeliano che chiede vendetta per il 7 ottobre. Lo scrittore di Los Angeles Piper French ha affermato che i sostenitori di Israele hanno proiettato “immagini raccapriccianti degli attacchi del 7 ottobre. Hanno anche fatto sentire in continuazione una canzone per bambini che i soldati dell’esercito israeliano pare abbiano fatto ascoltare per ore e ore a volume altissimo ai prigionieri palestinesi come forma di tortura,” così come una canzone israeliana sulla campagna delle Forze di Difesa Israeliane a Gaza. Poi sono ritornati dopo mezzanotte.

Hanno subito iniziato a demolire le barriere che proteggevano i manifestanti filopalestinesi ed hanno aggredito brutalmente quelli che si trovavano all’interno. “Le violenze sono state istigate da decine di persone che nei video si vedono manifestare contro l’accampamento,” afferma un’inchiesta del New York Times dopo aver rivisto più di 100 filmati. “Le immagini mostrano contromanifestanti che aggrediscono per varie ore studenti nell’accampamento filopalestinese, anche picchiandoli con bastoni, usando spray chimici e lanciando fuochi d’artificio come proiettili… Uno è stato lanciato in direzione di un gruppo di dimostranti che stavano trasportando un ferito fuori dall’accampamento.”

Altri a volto coperto hanno attaccato con assi di legno, tubi di plastica, pali di ferro, spray urticanti e anti-orso. Secondo Piper French “una folla di uomini… ha agitato bastoni di legno chiodati e proferito minacce di morte e stupro. Hanno preso a pugni e colpito con mazze quattro studenti di giornalismo, ne hanno buttato a terra uno e lo hanno colpito a lungo.” Venticinque manifestanti filopalestinesi sono stati portati in ospedale.

E non c’è stato nessun intervento da parte della polizia locale, che stranamente ha aspettato più di tre ore e mezza prima di interrompere la violenza di una parte sola. “Un’orda di vigilantes antipalestinesi ha attaccato l’accampamento degli studenti,” ha affermato un articolo sul sito web di Jewish Voice for Peace. “La sicurezza del campus, LAPD, e il personale sono rimasti a guardare mentre la folla che sventolava bandiere israeliane ha assalito l’accampamento, colpendo studenti con oggetti contundenti, lanciando contro di loro fuochi artificiali e li ha aggrediti con armi chimiche, provocando decine di feriti gravi.” La violenza è continuata “per ore e ore, senza che qualcuno intervenisse,” ha affermato Bharat Venkat, un professore associato. “Ho pensato che sarebbe stato ucciso uno studente.”

Tra i poliziotti c’era Aaron Cohen, un ben noto istruttore della polizia civile che insegna le tattiche israeliane di contro-intelligence. A un certo punto si è mascherato con una kefiah, la tradizionale sciarpa palestinese a scacchi, che ha nascosto il suo volto tranne gli occhi, e si è infiltrato nell’accampamento. Secondo il suo sito web, Cohen in precedenza ha lavorato per l’israeliana mista’aravim, o unità “araba”, un gruppo “specificamente addestrato per infiltrarsi tra la popolazione araba locale e… incaricata di arresti ad alto rischio di terroristi, raccolta di informazioni e assassinii mirati, che utilizza il camuffamento e la sorpresa come sua arma principale.”

In seguito ha detto: “Così la notte scorsa ho fatto una piccola indagine speciale… Quindi ho tirato fuori la vecchia kefiah, che è diventata il nuovo simbolo nazista degli intellettuali, me la sono messa intorno al volto nel modo giusto … e sono entrato nell’UCLA appena ha fatto buio e mi sono infiltrato proprio in quell’accampamento. Ho passato circa un’ora lì in giro nel perimetro.” Ha detto di essere stato invitato a entrare nell’ufficio dello sceriffo “dietro il filo divisorio con il loro gruppo di risposta rapida,” una chiara indicazione degli stretti rapporti tra ex membri dell’intelligence israeliana e le forze dell’ordine USA.

L’Israeli-American Council è nato nel 2006 sul tovagliolo di carta di un ristorante, molto prima delle proteste e manifestazioni nel campus dell’UCLA. È stata un’idea del console generale israeliano a Los Angeles dell’epoca, Ehud Danoch. Voleva riunire la grande popolazione di espatriati israeliani negli USA, quindi formare un potente gruppo di pressione in appoggio alle politiche del governo israeliano. Tra i suoi principali fondatori c’era Adam Milstein, ex presidente nazionale e attuale membro del consiglio di amministrazione nato in Israele e immobiliarista multimiliardario, nonché criminale, di Los Angeles.

Nel 2008 si dichiarò colpevole e venne incarcerato per due accuse di evasione delle tasse federali. Faceva parte di una complessa trama guidata da un gran rabbino di New York, estesa da Israele a New York e Los Angeles. Utilizzava false associazioni benefiche, tra cui una yeshiva, scuola ebraica ortodossa, per evadere tasse e riciclare milioni di dollari. Gli investigatori la definirono “un’impressionante struttura e un’attività sinistra.” E l’IRS [agenzia delle entrate USA, ndt.] disse: “Non si è trattato di un caso riguardante la religione, la tradizione o le donazioni benefiche. Si è trattato solo di un caso di avidità.” Subito dopo il suo rilascio Milstein fece una richiesta piuttosto strana al ministero della Giustizia. Voleva andare in Israele dove, tra le altre cose, avrebbe voluto “incontrare il primo ministro israeliano” Benjamin Netanyahu. Il ministero della Giustizia accolse la sua richiesta.

L’IAC è stato generosamente finanziato e guidato per anni dal supermiliardario di Las Vegas Sheldon Adelson, il principale donatore della campagna elettorale di Trump nel 2020. L’organizzazione è anche riuscita ad avere stretti legami con l’intelligence israeliana. Per anni il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato sempre più preoccupato per il crescente attivismo filopalestinese nei campus dei college statunitensi e soprattutto del movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele. Più il movimento prendeva piede nei campus, più Netanyahu era preoccupato di perdere i miliardi in aiuti dell’America e il suo fondamentale appoggio alle Nazioni Unite. Di conseguenza ha nominato Gilad Erdan, suo stretto collaboratore, come responsabile del tenebroso ministero degli Affari Strategici, con la principale priorità di lanciare operazioni sotto copertura negli USA per reprimere il movimento filopalestinese e dare segretamente la caccia in ogni modo possibile ai suoi sostenitori.

Il quartier generale di Erdan era nascosto al 29esimo piano di un grattacielo di uffici, la Champion Tower, nel quartiere di Bnei Brak a Tel Aviv. E nel 2016 la vice di Erdan nel ministero, la direttrice generale Sima Vaknin-Gil, disse a una commissione governativa che l’obiettivo del suo ministero era perseguitare il movimento di boicottaggio filopalestinese negli USA in modo che la “narrazione del mondo non fosse che Israele equivale all’apartheid.” In un altro punto del discorso chiarì come il ministero avrebbe raggiunto quell’obiettivo: “Per fare ciò,” affermò, “dobbiamo utilizzare trucchi e furbizie.” Che sarebbero stati tradotti in operazioni sotto copertura e attività clandestine negli Stati Uniti.

Per le operazioni negli USA era fondamentale un’unità molto sofisticata di intelligence che prendesse di mira americani innocenti in tutto il Paese. Venne descritta nel 2016 ai membri dell’IAC da Sagi Balasha, un ex ufficiale superiore israeliano ed ex presidente dell’IAC dal 2011 al 2015. Poi tornò in Israele e rilevò Concert, un’organizzazione di copertura controllata dal ministero degli Affari Strategici, dove lui chiamava Vaknin-Gill “la mia collaboratrice”. E tra i suoi progetti c’era Israel Cyber Shield [Scudo Informatico di Israele]. “Iniziammo creando un progetto chiamato Israel Cyber Shield,” ha affermato. “In realtà è un’unità di intelligence civile che raccoglie dati, analizza e agisce contro gli attivisti del movimento BDS, della sua gente, organizzazioni o eventi. E noi gli forniamo tutto quello che raccogliamo. Stiamo utilizzando il sistema di dati più sofisticato, il sistema di intelligence sul mercato israeliano.”

E secondo Vaknin-Gil tutto quello che raccolgono include sorveglianza su studenti, frequentatori di chiese e lavoratori in tutto il Paese, ogni gruppo che possa appoggiare o simpatizzare con la causa palestinese e con il boicottaggio. Descrivendo i vari aspetti delle operazioni sotto copertura ha detto: “La principale è l’intel, intelligence…Quello che abbiamo fatto è stato mappare e analizzare tutto il fenomeno (filopalestinese) a livello globale. Non solo gli Stati Uniti, non solo i campus, ma i campus e l’intersezionalità, i sindacati e le chiese.” E la segretezza era fondamentale: “Siamo un altro governo che lavora su suolo straniero, e dobbiamo essere molto, molto cauti,” ha affermato. C’erano buone ragioni per la discrezione di Israele. Tra i principali obiettivi c’è stata Linda Sarsour, una dirigente sia del movimento filopalestinese che di Black Lives Matter, che ha aderito al boicottaggio nel 2016.

È stata anche una delle principali organizzatrici della Marcia delle Donne in seguito all’insediamento del presidente Donald Trump. Secondo un’inchiesta del giornale israeliano Haaretz tra il materiale che l’unità Cyber Shield è riuscita a ottenere segretamente da Sarsour c’era un file protetto con una password “contenente informazioni sui suoi genitori, e un altro con più di 10 pagine tutte identificate come ‘riservate’… Il dossier finiva con una sintesi che evidenziava i suoi evidenti punti deboli.” Una volta raccolti, i dati poi venivano consegnati per essere utilizzati da un’altra unità israeliana segreta che prendeva di mira americani, nota come Act.iL, che poi poteva sfruttare i “punti deboli” di Sarsour. Act.iL è nata in modo inusuale.

Il 4 giugno 2017 il governatore di New York Andrew Cuomo nominò Erdan “Gran Cerimoniere Onorario” della parata per celebrare Israele, nonostante il fatto che egli fosse il capo delle operazioni sotto copertura di Netanyahu negli Stati Uniti. Ma Cuomo aveva passato buona parte del suo incarico di governatore ad assecondare i sostenitori di Israele tra i quasi due milioni di votanti ebrei e invitò vicino a sé Erdan alla marcia attraverso il centro di Manhattan. Ore dopo Erdan ripagò Cuomo per quell’onore lanciando la sua nuova operazione: una rete di fabbriche segrete di troll [agenti provocatori informatici, ndt.] in tutti gli USA diretta da Israele. L’idea era di incoraggiare studenti filoisraeliani a scaricare un’app israeliana con cui avrebbero potuto rispondere a “missioni” dirette dal governo israeliano per prendere di mira e perseguitare segretamente chi, come Sarsour, criticava Israele e i sostenitori dei palestinesi.

Rapidamente l’app ebbe oltre 20.000 potenziali troll in rete, molti dei quali ebrei americani, e un budget di 1.1 milioni di dollari. Benché sviluppata e controllata dal ministero degli Affari Strategici di Erdan, ottenne il generoso sostegno di Adelson e Milstein di IAC, che facevano parte del suo consiglio direttivo. La sala operativa delle attività era appena fuori Tel Aviv e il responsabile era Yarden Ben-Yosef, un maggiore della riserva in quello che definiva “un’unità d’élite dell’intelligence”. “Lavoriamo con il ministero degli Affari Esteri e con quello degli Affari Strategici, ci consultiamo con loro e gestiamo progetti comuni,” disse a una rivista israeliana. “Anche con le agenzie di intelligence,” aggiunse. “Parliamo tra di noi. Lavoriamo insieme.”

Nel 2018 l’operazione aveva aperto fabbriche di troll dirette da Israele in tutti gli USA e stava realizzando 1.580 missioni alla settimana. A un certo punto la fabbrica di troll di Boston creò una missione per prendere di mira una chiesa locale che stava proiettando un documentario che secondo loro era eccessivamente critico con Israele. Il testo della mail proposto faceva un confronto con gli scontri dei suprematisti bianchi a Charlottesville, in Virginia, e definiva il narratore del film “un noto antisemita”. Quello che spesso succedeva in questi casi era che la sala operativa allora dirigeva i troll nel bombardamento sulle reti sociali. Poi nascondevano i propri link per Israele e attaccavano i bersagli, in questo caso i fedeli cristiani. L’idea era di “cancellare” il documentario.

Tra gli estimatori del successo della fabbrica di troll c’era Shoham Nicolet, uno dei fondatori di IAC e all’epoca suo presidente. “Nicolet,” secondo un giornalista israeliano che era presente, “era visibilmente estasiato quando parlava al gruppo dalla nuova sala operativa via Skype. ‘Immaginate altre 20 sale come questa, non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo,” si entusiasmava.”

Una volta che la sala operativa ebbe ottenuto i file riservati di Linda Sarsour, insieme a come sfruttare i suoi punti deboli, i troll americani dell’organizzazione vennero indirizzati per attaccarla. Utilizzando i dati prepararono una lettera distribuita attraverso i troll nel tentativo di impedire la sua presenza in college e università, cosa che in buona misura avvenne. Successivamente Ben-Yosef confermò ad Haaretz che Act.iL riceveva materiale dall’unità di Israel Cyber Shield: “La nostra collaborazione con (ICS) è simile a quella che abbiamo con altri gruppi, e include la condivisione di dati,” affermò.

Un’altra organizzazione legata all’IAC che prende di mira studenti americani critici con Israele o sostenitori della Palestina è la Israel on Campus Coalition [Coalizione di Israele nei campus] (ICC). Con sede a Washington, è sostenuta da Milstein dell’IAC, che fa parte del suo consiglio direttivo e contribuisce a finanziarla attraverso la sua fondazione di famiglia. L’ICC agisce a favore di Israele come una sorta di centro di sorveglianza clandestino di studenti in tutto il Paese. Come per le fabbriche di troll, riceve in forma riservata informazioni su studenti filopalestinesi da studenti filoisraeliani che collaborano nei college e università in tutto il Paese. Molte di queste informazioni sono poi incluse in una “sintesi di intelligence” e riportate al ministero degli Affari Strategici. In base a questo lavoro di intelligence l’ICC attacca poi gli studenti presi di mira. “Abbiamo costruito questa massiccia campagna politica nazionale per annientarli,” si è vantato una volta in una registrazione fatta a sua insaputa Jacob Baime, il direttore esecutivo dell’organizzazione.

Per colpire migliaia di studenti in tutto il Paese la sala operativa dell’ICC è tappezzata di monitor a schermo piatto e alcune delle più avanzate tecnologie di intelligence sul mercato. Per un certo periodo ha utilizzato il programma Radian6, che monitora conversazioni in rete in tempo reale da più di 150 milioni di fonti sui social media. “Lo elimineremo gradualmente nel corso del prossimo anno e introdurremo una tecnologia più sofisticata sviluppata in Israele,” ha affermato Baime. Tuttavia la segretezza è fondamentale: “Il 90% delle persone che dedica molta attenzione a questo spazio non ha la più pallida idea di quello che stiamo realmente facendo, che a me piace,” ha affermato. “Lo facciamo in modo sicuro e anonimo, e ciò è fondamentale.”

Ora l’IAC ha annunciato l’ultimo fronte nella sempre più ampia guerra di Israele contro gli studenti americani: reprimere le proteste e manifestazioni che intendono porre fine al genocidio israeliano a Gaza e alla sua brutale occupazione militare della Palestina. È una guerra a lungo combattuta in segreto dal ministro degli Affari Strategici Erdan e a lungo sostenuta da Milstein, il cofondatore di IAC. Nel 2017 su The Times of Israel [quotidiano israeliano in lingua inglese, ndt.] egli arrivò fino al punto di definire la lotta per i diritti dei palestinesi e per il boicottaggio di Israele “un sofisticato movimento di odio impegnato alla distruzione del popolo ebraico.” Quell’anno in un discorso al Center for Entrepreneurial Jewish Philanthropy summit [Vertice Filantropia Imprenditoriale Ebraica] disse: “Dobbiamo insegnare loro che chiunque ci attacchi pagherà un prezzo, dovrà risponderne. Dobbiamo passare all’offensiva.” A giudicare dalle ore di percosse e violenze contro gli studenti dell’UCLA la scorsa settimana da parte di contromanifestanti che brandivano pali di ferro dopo il raduno dell’IAC, sembra che Milstein e Erdan, ora ambasciatore di Israele all’ONU, abbiano finalmente esaudito i loro desideri.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Vergogna a Israele che sfrutta l’Olocausto per giustificare il genocidio

Sig Giordano 

18 dicembre 2023, Mondoweiss

La storia dei miei nonni sopravvissuti all’Olocausto mi ha insegnato cos’è un genocidio, ed è così che posso condannare ciò che Israele sta facendo a Gaza in questo momento. Come osa Israele sfruttare la sofferenza della mia famiglia per cercare di giustificare il suo genocidio a Gaza?

Se i miei nonni fossero ancora vivi, in questo ottobre si sarebbe celebrato l’ottantesimo anniversario del loro incontro. Nel 1943 i miei nonni, Isidor e Marianne, si incontrarono a Theresienstadt, un campo di concentramento nella Cecoslovacchia occupata dai nazisti. Ero molto legato a mio nonno Isi, che sopravvisse alla nonna. Tra le sue cose mi affidò la stella “ebraica” di stoffa gialla con sopra la parola “Jude” che gli avevano fatto indossare nel campo.

Durante un incontro alle Nazioni Unite (ONU) il 31 ottobre, Gilad Erdan, ambasciatore israeliano all’ONU, ha indossato una stella ebraica simile a quella di mio nonno. Rivolgendosi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha dichiarato che indossava la stella per denunciare il silenzio del Consiglio riguardo all’attacco del 7 ottobre contro Israele. Erdan ha paragonato questo silenzio al silenzio che permise che si verificasse l’Olocausto. In risposta Dani Dayan, il direttore dello Yad Vashem, il museo israeliano memoriale dell’Olocausto, ha subito denunciato quell’uso improprio della stella, sostenendo che Erdan stava “disonorando le vittime dell’Olocausto, così come lo Stato di Israele”.

Dayan aveva assolutamente ragione nel richiamare l’attenzione su quanto fosse offensivo che Erdan indossasse la stella gialla. Le ragioni di Dayan, tuttavia, sono completamente sbagliate. Per sostenere il suo argomento, Dayan ha sostenuto che la stella gialla simboleggia la debolezza del popolo ebraico durante l’Olocausto, ribadendo una narrazione storica inquietante e falsa.

I sionisti hanno a lungo cercato di raffigurare le vittime dell’Olocausto come deboli per sostenere la fondazione e poi il mantenimento dello Stato di Israele. Questa mossa iniziò anche prima dell’Olocausto, quando alcuni sionisti si allinearono con la scienza razziale eugenetica dell’epoca sostenendo che gli ebrei dovevano purificare la propria razza e creare una propria razza forte. Arthur Ruppin, eminente scienziato sociale e capo dell’ufficio palestinese dell’Organizzazione sionista mondiale all’inizio del XX secolo, promosse l’insediamento in Palestina come risposta ai pericolosi risultati della “mescolanza razziale” degli ebrei europei. Non era il solo, poiché molti intellettuali ebrei sostenevano che la formazione dello Stato sionista avrebbe consentito agli ebrei di “rigenerare i propri corpi” degenerati nelle condizioni di assimilazione nell’Europa occidentale e di oppressione in quella orientale.

Una volta fondato Israele, le vittime dell’Olocausto furono regolarmente trattate come deboli e come esempi all’opposto di ciò che rappresentava lo Stato sionista, il che portò al pessimo trattamento per i sopravvissuti che divennero cittadini israeliani. Come Dayan stesso ha ribadito, l’Olocausto rappresenterebbe un monito sul contrapporre la debolezza degli ebrei nella diaspora alla forza degli ebrei nello Stato di Israele.

Nonostante la distanza delle loro opinioni, leader israeliani come Erdan e Dayan fanno regolarmente uso dell’Olocausto per difendere la violenza di Stato contro i palestinesi. A differenza di Erdan e Dayan, conoscere il genocidio contro i miei antenati mi ha permesso di capire che ciò che sta accadendo oggi in Palestina è un genocidio. Sapere che si sta perpetrando un genocidio è doloroso di per sé. Sapere che un genocidio viene compiuto presumibilmente a mio nome (in quanto ebreo) è estremamente doloroso. Ma sapere che un genocidio viene giustificato con l’appropriazione della sofferenza della mia famiglia mi fa infuriare. Sono furioso. Come osa lo Stato di Israele insultare la storia della mia famiglia?

Gli orrori che la mia famiglia ha dovuto sopportare sono inimmaginabili per la maggior parte delle persone. Mia nonna e mio nonno, adolescenti quando si incontrarono al campo, sono gli unici membri sopravvissuti delle loro famiglie. Mio nonno faceva parte della resistenza nel campo, e nascondeva le persone che erano sulle liste per essere deportate ad Auschwitz. Mio nonno ha letteralmente salvato la vita a mia nonna. Questa non è una storia di debolezza. Tuttavia, è una storia dalla quale ho imparato molte lezioni sulle condizioni che consentono il genocidio.

Ricordo che avevo 8 o 9 anni e sedevo al tavolo di cucina a fare colazione mentre mia madre cucinava. La radio era accesa come ogni mattina e trasmetteva le notizie di 1010 WINS [radio privata di New York, ndt.]: “Dacci 22 minuti, ti daremo il mondo”. Nei titoli un gruppo di resistenza rivendicava la responsabilità di un attentato da qualche parte fuori dagli Stati Uniti. Ho chiesto a mia madre: “Cos’è un gruppo di resistenza?” Lei mi ha spiegato l’idea di resistenza parlando dell’Olocausto e della lotta di suo padre per reagire.

Anche se non tutte le persone che affermano di resistere sono automaticamente nel giusto, quando sono cresciuto mi sono reso conto che il modo in cui si vede la resistenza in una determinata situazione dipende dal proprio punto di vista. Ciò può sembrare ovvio, ma nei media occidentali, nella politica e nei contesti educativi vediamo regolarmente un’associazione tra gruppi di resistenza e terrorismo che crea un lato giusto e uno sbagliato dati per scontati.

Nei giorni successivi all’11 settembre 2001, come cittadino americano che vive negli Stati Uniti mi sono ricordato che quando mi opponevo all’idea di invadere l’Afghanistan ero “con noi” o “contro di noi”. Il nazionalismo forzato mi ha ricordato gli studi sull’Olocausto che avevo intrapreso durante il college. La creazione della mentalità “Noi contro loro” per proteggere la Germania era stata una parte fondamentale nel coinvolgere ampi segmenti di tedeschi non ebrei nella lotta contro il popolo ebraico.

La resistenza si muove contro coloro che detengono il potere. Inoltre essere oppressi, per definizione, significa essere dalla parte dei perdenti in una dinamica di potere. Allora, com’è possibile che Israele, un paese con uno degli eserciti più potenti del mondo, sostenuto dalla più potente potenza militare ed economica del mondo, gli Stati Uniti, abbia cercato di dipingersi come il campione di un popolo oppresso che deve lottare contro i movimenti di resistenza palestinesi?

Jonathan Greenblatt, direttore dell’Anti-Defamation League (ADL) [organizzazione non governativa ebraica internazionale con sede a New York in difesa dei diritti civili e contro l’antisemitismo, ndt.] ha pubblicato un articolo sulla rivista Time dopo l’attacco del 7 ottobre sostenendo che non c’è modo di interpretare l’attacco di Hamas se non come “odio” e “intolleranza tossica nella sua forma più pura”. E se invece di rendere eccezionale l’esperienza ebraica in modo che l’Olocausto diventi un esempio di migliaia di anni di odio per gli ebrei prestassimo attenzione alle reali lezioni che possiamo imparare dagli orrori dell’Olocausto? La lezione di cui abbiamo bisogno non è che gli ebrei sono sempre stati e sempre saranno odiati. La lezione dell’Olocausto è che coloro che detenevano il potere economico e politico usarono il nazionalismo e l’idea a giustificazione del genocidio che i tipi di persone cosidette inferiori costituissero una minaccia per lo Stato-nazione.

Molti ebrei e non ebrei resistettero per quanto poterono. Il problema non era una resistenza debole, il problema era la forza delle narrazioni nazionaliste ed eugenetiche.

La buona notizia è che milioni di persone e di ebrei stanno prendendo posizioni critiche della situazione e opponendosi ai messaggi che ci vengono porti dai più potenti leader israeliani e statunitensi. Siamo solidali con i palestinesi che lottano per il loro diritto all’esistenza e all’autodeterminazione. Vediamo cambiamenti nei sondaggi d’opinione pubblica, e il numero di azioni guidate e sostenute dagli ebrei contro l’attuale genocidio è più grande che mai. Molti parlano apertamente e dicono ad alta voce che “Mai più” significa “Mai più per nessuno”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il capo delle Nazioni Unite si rifiuta di ritirare la condanna del raid israeliano a Jenin

Associated Press

8 luglio 2023 AlJazeera

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite attacca il segretario generale Antonio Guterres per le sue critiche al raid militare israeliano su Jenin.

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite ha invitato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres a ritirare la sua condanna dell’esercito israeliano per l’uso eccessivo di forza e per aver arrecato danni ai civili durante il devastante raid nel campo profughi di Jenin nella Cisgiordania occupata.

Il vice portavoce delle Nazioni Unite Farhan Haq ha risposto venerdì dicendo che Guterres aveva espresso le sue opinioni sull’operazione di Israele nel campo profughi di Jenin “e conferma quelle opinioni”.

Guterres, adirato per gli attacchi aerei israeliani su Jenin e per il pericolo costituito per la popolazione civile, giovedì ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che l’assalto ha provocato il ferimento di oltre 100 civili, lo sradicamento di migliaia di residenti, il danneggiamento di scuole e ospedali e la distruzione di reti idriche ed elettriche.

Gli attacchi aerei e le operazioni di terra di Israele in un affollato campo profughi sono stati la peggiore violenza in Cisgiordania da molti anni, con un notevole impatto sui civili”, ha detto Guterres.

Il capo delle Nazioni Unite ha anche criticato Israele per avere durante il raid militare impedito ai feriti di ricevere cure mediche e agli operatori umanitari di raggiungere chi necessitava aiuto, provocando la morte di 12 palestinesi e circa 100 feriti.

Anche un soldato israeliano è stato ucciso.

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Gilad Erdan ha definito le critiche del capo delle Nazioni Unite all’assalto militare israeliano “vergognose, inverosimili e completamente distaccate dalla realtà”.

Su richiesta degli Emirati Arabi Uniti il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha discusso venerdì a porte chiuse dell’operazione israeliana a Jenin e ha ricevuto un briefing dall’assistente del segretario generale delle Nazioni Unite Khaled Khiari.

Prima della riunione del Consiglio l’ambasciatore Erdan ha inviato una lettera ai 15 membri e a Guterres in cui affermava che “la comunità internazionale e il Consiglio di Sicurezza devono condannare incondizionatamente gli ultimi attacchi terroristici palestinesi e ritenerne responsabile la leadership palestinese”, affermando che a Jenin le forze israeliane “si sono concentrate esclusivamente” sugli autori di “atti di terrore contro civili israeliani innocenti”.

In una dichiarazione di mercoledì tre esperti indipendenti di diritti umani hanno affermato che gli attacchi aerei israeliani e le azioni di terra a Jenin “equivalgono a gravi violazioni del diritto internazionale e degli standard sull’uso della forza e possono costituire un crimine di guerra”.

Venerdì il Consiglio di Sicurezza non ha preso provvedimenti.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




L’ONU approva la risoluzione per commemorare il 75° anniversario della Nakba

Redazione MEE

1 dicembre 2022 – Middle East Eye

L’ambasciatore israeliano condanna la decisione dell’ONU mentre il rappresentante palestinese dice alle Nazioni Unite che il mondo è arrivato al ‘capolinea’ della soluzione dei due Stati

L’ Assemblea Generale dell’ONU ha approvato una risoluzione per commemorare il 75° anniversario della Nakba, il termine usato per descrivere il trasferimento forzato di centinaia di migliaia di palestinesi nel periodo precedente la fondazione dello Stato di Israele nel 1948.

Novanta Paesi hanno votato a favore della misura, 30 i contrari e 47 si sono astenuti.

La risoluzione è una delle cinque votate all’ONU giovedì relative a Israele e Palestina. L’ONU ha anche ha approvato la proposta di dedicare un programma di formazione per giornalisti a Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese uccisa dalle forze israeliane durante un raid nella Cisgiordania occupata.

Un’altra delle risoluzioni adottate invoca “la fine di tutte le attività di colonizzazione, di confisca di terre e demolizioni di case, il rilascio dei prigionieri e la fine di arresti e detenzioni arbitrari “. La risoluzione finale poi chiede a Israele porre fine al controllo sulla regione occupata delle Alture di Golan.

La risoluzione relativa alla Nakba prevede l’organizzazione di un evento ad alto livello nell’Assemblea Generale il 15 maggio 2023.

La Nakba, “la catastrofe”, è il nome che i palestinesi danno massacri e all’espulsione forzata che hanno subito per mano delle milizie sioniste nel 1948.

Interi villaggi palestinesi furono massacrati, bande sioniste uccisero indiscriminatamente civili disarmati, seppellendone molti in fosse comuni. La campagna israeliana causò la morte di palestinesi stimati in 15.000, mentre 750.000 fuggirono dalle proprie case e vissero da rifugiati.

I raid continuarono anche dopo l’annuncio dell’indipendenza di Israele il 15 maggio 1948. Israele descrive gli eventi del 1948 come la guerra di indipendenza.

L’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha condannato l’approvazione delle misure e chiesto ai delegati: “Cosa direste se la comunità internazionale celebrasse la fondazione del vostro Paese come una catastrofe? Che vergogna.”

Il diplomatico israeliano ha detto che l’approvazione della risoluzione sulla Nakba ostacolerà ogni possibilità di un accordo di pace tra Israele e l’Autorità Palestinese.

La soluzione dei due Stati è praticamente morta

Nel frattempo, Riyad Mansour, inviato palestinesi all’ONU, ha messo in guardia l’ONU che la soluzione dei due Stati corre un rischio imminente e ha sollecitato l’organismo internazionale a far pressione su Israele come anche a concedere ai palestinesi un riconoscimento completo.

Mansour ha chiesto all’ONU di riconoscere lo Stato palestinese con Gerusalemme Est come sua capitale.

Noi siamo arrivati alla fine del percorso della soluzione dei due Stati. O la comunità internazionale trova la volontà di agire con fermezza o lascerà morire la pace passivamente. Passivamente, non pacificamente.” ha detto Mansour all’ONU.

Chiunque sia serio circa la soluzione dei due Stati deve aiutare salvare lo Stato palestinese,” ha detto. “L’alternativa è quello in cui viviamo ora, un regime che ha sommato i mali di colonialismo e apartheid.”

Mansour ha anche condannato la coalizione di estrema destra che sta per prendere il potere in Israele, guidata dall’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, definendola come “il governo più colonialista, razzista e estremista nella storia di Israele”.

Il rappresentante palestinese ha anche apprezzato la richiesta dell’ONU di un parere consultivo alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sull’occupazione israeliana di terre palestinesi dal 1967.

Le dichiarazioni di Mansour ed Erdan sono arrivate in un momento di grandi tensioni in seguito al picco quest’anno di violenze israeliane contro i palestinesi in Cisgiordania e alla ripresa della resistenza armata palestinese.

Quest’anno in Cisgiordania le forze israeliane e i coloni hanno ucciso 139 palestinesi, inclusi almeno 30 minori, la media mensile più mortale per i palestinesi dal 2005, quando L*ONU ha cominciato a registrare i decessi.

Anche i morti israeliani hanno registrato un picco nel 2022 rispetto agli ultimi anni. Allo stesso tempo c’è stato un forte incremento degli attacchi dei coloni e delle forze di sicurezza contro i palestinesi.

Lunedì, Tor Wennesland, l’inviato dell’ONU per il Medio Oriente, ha avvertito che le tensioni stanno “raggiungendo un livello insostenibile”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




128 studiosi avvertono: “Non incastrate le Nazioni Unite in una definizione di antisemitismo vaga e utilizzata come arma”

3 novembre 2022Euobserver

In qualità di studiosi specializzati in antisemitismo, studi sull’olocausto, storia ebraica moderna e campi correlati, assistiamo con crescente preoccupazione a sforzi motivati ​​politicamente per strumentalizzare la lotta contro l’antisemitismo all’interno e contro le Nazioni Unite.

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Gilad Erdan ha guidato questi sforzi. Nei suoi persistenti tentativi di indebolire i palestinesi e di proteggere il governo israeliano dalle critiche internazionali Erdan è arrivato al punto di denunciare l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) e la Corte penale internazionale (ICC) come “antisemite”.

Al di là di tale diffamazione, il Sig. Erdan ora cerca di cambiare radicalmente le regole del gioco spingendo l’ONU ad adottare la “Definizione operativa di antisemitismo” dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA WDA).

Troviamo questa definizione profondamente problematica. Vaga e incoerente, l’IHRA WDA non soddisfa i requisiti di base di una buona definizione.

Piuttosto che garantire una maggiore chiarezza, l’IHRA WDA ha generato confusione su ciò che costituisce antisemitismo.

Di conseguenza, l’IHRA WDA è diventata molto controversa e contestata, anche tra gli ebrei. Le sue debolezze hanno spinto 350 eminenti studiosi di antisemitismo, studi sull’Olocausto e campi correlati ad approvare un’altra definizione più solida, la Dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo.

L’effetto divisivo e polarizzante dell’IHRA WDA deriva da undici “esempi contemporanei di antisemitismo” ad essa allegati, sette dei quali riguardano Israele. Ampie prove mostrano che questi esempi vengono utilizzati come armi per screditare e mettere a tacere come antisemitismo le legittime critiche alle politiche di Israele.

Tra coloro che denunciano tale uso improprio c’è Kenneth Stern, l’autore principale dell’IHRA WDA. Più recentemente, Antony Lerman, ex capo dell’Institute of Jewish Affairs del World Jewish Congress, ha aspramente criticato l’IHRA WDA per diversi difetti, inclusa la sua attenzione nei riguardi del cosiddetto “nuovo antisemitismo” legato a Israele, a scapito dell’attenzione verso forme virulente di antisemitismo ora in aumento.

Uno degli esempi dell’IHRA WDA dice: “Applicare doppi standard richiedendo a [Israele] un comportamento non previsto o richiesto da parte di nessun’altra nazione democratica”. Questo esempio è particolarmente soggetto ad abusi politici in seno alle Nazioni Unite, poiché può essere facilmente invocato per etichettare come antisemita qualsiasi risoluzione delle Nazioni Unite che critichi Israele.

Cerchiamo di essere chiari: accogliamo con tutto il cuore l’impegno delle Nazioni Unite a combattere l’antisemitismo e lodiamo l’ONU per i suoi fondamentali sforzi in questa direzione. Ciò a cui ci opponiamo e contro cui mettiamo fortemente in guardia è che le Nazioni Unite possano mettere a repentaglio questa lotta essenziale e danneggiare la propria missione universale di promuovere i diritti umani approvando una definizione che costituisce uno strumento politico per scoraggiare la libertà di parola e per proteggere il governo israeliano dalla responsabilità delle sue azioni.

Sappiamo che l’IHRA WDA è stata adottata da più governi, principalmente in Europa e negli Stati Uniti. Questo è di per sé problematico. Tuttavia, se le Nazioni Unite approvassero l’IHRA WDA, il danno sarebbe esponenzialmente maggiore.

Il governo israeliano sarebbe incoraggiato e abilitato a intensificare la sua campagna contro gli organismi e gli esperti delle Nazioni Unite, usando come un’arma e sfruttando l’IHRA WDA come standard delle Nazioni Unite per “stabilire” che l’UNRWA, la CPI, il Consiglio per i diritti umani e organismi come la Commissione d’inchiesta sono antisemiti.

Inoltre i difensori dei diritti umani e le organizzazioni che contestano le violazioni israeliane sarebbero completamente esposti a campagne diffamatorie basate su accuse in malafede di antisemitismo, danneggiando la loro libertà di espressione e altri diritti fondamentali protetti e promossi dalle Nazioni Unite.

La missione e il mandato delle Nazioni Unite si basano su un serio dibattito sulle preoccupazioni relative ai diritti umani. L’adozione dell’IHRA WDA trasformerebbe qualsiasi discussione fattuale sulle violazioni e responsabilità israeliane in un aspro dibattito sulla presunzione di antisemitismo

Ciò potrebbe anche indebolire la capacità delle Nazioni Unite di agire come mediatore neutrale in Israele e Palestina. Le debolezze e la strumentalizzazione dell’IHRA WDA hanno implicazioni dirette per la capacità delle Nazioni Unite di combattere l’antisemitismo e tutte le altre forme di razzismo su basi universali. L’alto rappresentante delle Nazioni Unite Miguel Moratinos è stato incaricato dalle Nazioni Unite di sviluppare una “risposta rafforzata a livello di sistema [all’antisemitismo] basata su un approccio ai diritti umani”.

Oltre a contraddire un approccio basato sui diritti umani [universali, ndt], l’IHRA WDA inevitabilmente politicizzerebbe quella risposta e quindi comprometterebbe la capacità delle Nazioni Unite di combattere efficacemente l’antisemitismo.

Invece di identificarsi formalmente con una definizione vaga e divisiva che è stata distorta per proteggere il governo israeliano, l’ONU dovrebbe rafforzare la sua lotta contro l’antisemitismo basandosi sui suoi principi universali sui diritti umani, in conformità con la sua Carta.

Nella ricerca di un orientamento l’ONU dovrebbe essere libera diconsultare una varietà di risorse, inclusa la Dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo. Diamo il benvenuto al recente rapporto del Prof. E. Tendayi Achiume, relatore speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di razzismo, in cui “mette in guardia contro la dipendenza dall’IHRA WDA come strumento guida per e presso l’ONU e le sue entità costituenti” e invita “gli Stati membri delle Nazioni Unite e i suoi funzionari [a] rifiutare fermamente e agire in modo responsabile per porre fine alla strumentalizzazione politica della lotta contro l’antisemitismo”.

Esortiamo gli Stati membri delle Nazioni Unite e i suoi funzionari ad agire in base all’avvertimento del Relatore speciale Achiume e a invitare e tenersi pronti a sostenere le Nazioni Unite nei loro passi avanti.

Elenco delle firme [Data la non perfetta corrispondenza tra i titoli accademici italiani e quelli anglosassoni si è preferito lasciare l’elenco in originale, ndt]

Meir Amor, Dr., Department of Sociology and Anthropology (retired), Concordia University, Montreal

Ofer Ashkenazi, Professor, Director The Richard Koebner Minerva Center for German History, The

Hebrew University of Jerusalem

Aleida Assmann, Professor of English Literature and Cultural Theory, Konstanz University

Jan Assmann, Professor, Egyptologist and Religious Studies, University of Heidelberg

Leora Auslander, Arthur and Joann Rasmussen Professor of Western Civilization in the College and

Professor of European Social History, Department of History, University of Chicago

Angelika Bammer, Professor of Comparative Literature, Affiliate Faculty of Jewish Studies, Emory

University

Omer Bartov, Samuel Pisar Professor of Holocaust and Genocide Studies, Department of History,

Faculty Fellow, Watson Institute for International & Public Affairs, Brown University

Moshe Behar, Dr., Arabic & Middle Eastern Studies, School of Arts, Languages & Cultures, The

University of Manchester

Peter Beinart, Professor of Journalism and Political Science, The City University of New York (CUNY);

Editor at large, Jewish Currents

Joel Beinin, Donald J. McLachlan Professor of History and Professor of Middle East History, Emeritus,

Stanford University

Elissa Bemporad, Jerry and William Ungar Chair in East European Jewish History and the Holocaust;

Professor of History, Queens College and The City University of New York (CUNY)

Doris Bergen, Chancellor Rose and Ray Wolfe Professor of Holocaust Studies, Department of History

and Anne Tanenbaum Centre for Jewish Studies, University of Toronto

Werner Bergmann, Professor Emeritus Dr., Sociologist, Center for Research on Antisemitism,

Technische Universität Berlin

Michael Berkowitz, Professor of Modern Jewish History, Department of Hebrew & Jewish Studies,

University College London

Lila Corwin Berman, Murray Friedman Chair of American Jewish History, Temple University

David Biale, Emanuel Ringelblum Distinguished Professor Emeritus, UC Davis

Frank Biess, Professor of Modern European History, University of California-San Diego

Daniel Blatman , Professor Emeritus, Department of Jewish History and Contemporary Jewry, The

Hebrew University of Jerusalem

Donald Bloxham, Richard Pares Professor of History, University of Edinburgh

Daniel Boyarin, Taubman Professor of Talmudic Culture Emeritus, UC Berkeley

Micha Brumlik, Professor Dr., fmr. Director of Fritz Bauer Institut-Geschichte und Wirkung des

Holocaust, Frankfurt am Main

Jose Brunner, Professor Emeritus, Buchmann Faculty of Law and Cohn Institute for the History and

Philosophy of Science, Tel Aviv University

Bryan Cheyette, Professor and Chair in Modern Literature and Culture, University of Reading

Geoffrey Claussen, Associate Professor of Religious Studies, Lori and Eric Sklut Scholar in Jewish

Studies and Chair of the Department of Religious Studies, Elon University

Stephen Clingman, Distinguished University Professor, Department of English, University of

Massachusetts, Amherst

Raya Cohen, Dr., fmr. lecturer Department of Jewish History, Tel Aviv University and Department of

Sociology, University of Naples Federico II

Alon Confino, Pen Tishkach Chair of Holocaust Studies, Professor of History and Jewish Studies,

Director Institute for Holocaust, Genocide, and Memory Studies, University of Massachusetts,

Amherst

Sebastian Conrad, Professor of Global and Postcolonial History, Freie Universität Berlin

Frank Dabba Smith, Rabbi Dr., Leo Baeck College

Sidra DeKoven Ezrahi, Professor Emerita of Comparative Literature, The Hebrew University of

Jerusalem

Hasia R. Diner, Professor Emerita, New York University

Monique Eckmann, Professor Emerita, University of Applied Sciences and Arts, Western Switzerland

(HES-SO), Geneva; fmr. member Swiss delegation to the IHRA (2004-2018)

Vincent Engel, Professor, University of Louvain, UCLouvain

Jennifer Evans, Professor, Department of History, Carleton University; Member College of New

Scholars, Royal Society of Canada

David Feldman, Professor of History, Director of the Birkbeck Institute for the Study of Antisemitism,

University of London

Anna Foa, fmr. Associate Professor, Department of History, Cultures, Religions, Sapienza University

of Rome

Ute Frevert, Director of the Max Planck Institute for Human Development, Berlin

Efrat Gal-Ed, Professor Dr., Institute of Jewish Studies, Heinrich Heine University Düsseldorf

Katharina Galor, Hirschfeld Senior Lecturer in Judaic Studies, Brown University

Alexandra Garbarini, Charles R. Keller Professor of History, Faculty Affiliate in Jewish Studies,

Williams College

Sander Gilman, Distinguished Professor of the Liberal Arts and Sciences Emeritus, Emory University

Shai Ginsburg, Associate Professor, Chair of the Department of Asian and Middle Eastern Studies and

Faculty Member of the Center for Jewish Studies, Duke University

Amos Goldberg, Professor, The Jonah M. Machover Chair in Holocaust Studies, Head of the Avraham

Harman Research Institute of Contemporary Jewry, The Hebrew University of Jerusalem

Harvey Goldberg, Professor Emeritus, Department of Sociology and Anthropology, The Hebrew

University of Jerusalem

Sylvie-Anne Goldberg, Professor, Jewish Culture and History, Head of Jewish Studies at the Advanced

School of Social Sciences (EHESS), Paris

Svenja Goltermann, Professor Dr., Historisches Seminar, University of Zurich

Dorota Glowacka, Professor, Humanities, University of King’s College, Halifax

Leonard Grob, Professor Emeritus of Philosophy, Fairleigh Dickinson University

Jeffrey Grossman, Associate Professor and Chair Germanic Languages and Literatures, Member

Program in Jewish Studies, University of Virginia

Atina Grossmann, Professor of History, Faculty of Humanities and Social Sciences, The Cooper Union,

New York

Wolf Gruner, Shapell-Guerin Chair in Jewish Studies, Professor of History and Founding Director of

the USC Dornsife Center for Advanced Genocide Research, University of Southern California

Ruth HaCohen, Artur Rubinstein Professor Emerita of Musicology, The Hebrew University of

Jerusalem

Aaron J. Hahn Tapper, Professor, Mae and Benjamin Swig Chair in Jewish Studies, Director of the

Swig Program in Jewish Studies and Social Justice, University of San Francisco

Anna Hajkova, Associate Professor of Modern Continental European History, Warwick University

Rachel Havrelock, Professor of English and Jewish Studies, University of Illinois, Chicago

Elizabeth Heineman, Professor of History and of Gender, Women’s and Sexuality Studies, University

of Iowa

Deborah Hertz, Wouk Chair in Modern Jewish Studies, University of California, San Diego

Dagmar Herzog, Distinguished Professor of History and Daniel Rose Faculty Scholar Graduate Center,

The City University of New York (CUNY)

Dafna Hirsch, Dr., Department of Sociology, Political Science and Communication, The Open

University of Israel

Marianne Hirschberg, Professor, Faculty of Human Sciences, University of Kassel

Jill Jacobs, Rabbi, Executive Director, T’ruah: The Rabbinic Call for Human Rights, New York

Uffa Jensen, Professor Dr., Center for Research on Antisemitism, Technische Universität, Berlin

Jonathan Judaken, Professor, Spence L. Wilson Chair in the Humanities, Rhodes College

Irene Kacandes, The Dartmouth Professor of German Studies and Comparative Literature,

Dartmouth University

Marion Kaplan, Professor Emerita of Hebrew and Judaic Studies, New York University

Brian Klug, Hon. Fellow in Social Philosophy, Campion Hall, University of Oxford; Emeritus Fellow,

Faculty of Philosophy, University of Oxford; Hon. Fellow, Parkes Institute for the Study of Jewish/nonJewish Relations, University of Southampton

Thomas A. Kohut, Sue and Edgar Wachenheim III Professor of History, Williams College

Alexander Korb, Dr., Associate Professor in Modern European History, Stanley Burton Centre for

Holocaust and Genocide Studies, University of Leicester

Tony Kushner, Professor, Parkes Institute for the Study of Jewish/non-Jewish Relations, University of

Southampton

Dominick LaCapra, Professor Emeritus of History, Cornell University

Ferenc Laczó, Assistant Professor in European History, Maastricht University

Ben Lapp, Associate Professor of History, Montclair State University, New Jersey

Nitzan Lebovic, Professor, Department of History, Chair of Holocaust Studies and Ethical Values,

Lehigh University

Claudia Lenz, Professor of Social Science, Chair for prevention of racism and antisemitism, MF

Norwegian School of Theology, Religion and Society, Oslo

Mark Levene, Dr., Emeritus Fellow, University of Southampton and Parkes Centre for Jewish/nonJewish Relations

Giovanni Levi, Professor Emeritus of Modern History, Ca’ Foscari University of Venice

Simon Levis Sullam, Associate Professor of Modern History, Ca’ Foscari University of Venice

Hanno Loewy, Director of the Jewish Museum Hohenems, Austria

Ian S. Lustick, Bess W. Heyman Chair Emeritus, Department of Political Science, University of

Pennsylvania

Sergio Luzzatto, Emiliana Pasca Noether Chair in Modern Italian History, Department of History,

University of Connecticut

Shaul Magid, Professor of Jewish Studies, Dartmouth College

Avishai Margalit, Professor Emeritus in Philosophy, The Hebrew University of Jerusalem

Jessica Marglin, Associate Professor of Religion, Law and History, Ruth Ziegler Early Career Chair in

Jewish Studies, University of Southern California

David Mednicoff, Associate Professor of Middle Eastern Studies and Public Policy and Chair

Department of Judaic and Near Eastern Studies, University of Massachusetts, Amherst

Eva Menasse, Novelist, Berlin

Paul Mendes-Flohr, Professor Emeritus of History and Religious Thought, University of Chicago;

Professor Emeritus at the Divinity School, The Hebrew University of Jerusalem

Leslie Morris, Professor of German and Jewish Studies, Chair Department of German, Nordic, Slavic &

Dutch, University of Minnesota

Dirk Moses, Professor, Anne & Bernard Spitzer Chair in International Relations, The City College of

New York (CCNY)

Samuel Moyn, Henry R. Luce Professor of Jurisprudence and Professor of History, Yale University

Harriet L. Murav, Professor, Center for Advanced Study, Catherine and Bruce Bastian Professor of

Global and Transnational Studies, Department of Slavic Languages and Literatures, Comparative and

World Literature, University of Illinois

Susan Neiman, Professor Dr., Philosopher, Director of the Einstein Forum, Potsdam

Adi Ophir, Professor Emeritus, Tel Aviv University; Visiting Professor, Brown University, the Cogut

Institute for the Humanities and the Center for Middle East Studies

Atalia Omer, Professor of Religion, Conflict and Peace Studies at the University of Notre Dame and

the Dunphy Visiting Professor of Religion, Violence, and Peacebuilding at Harvard Divinity School

Thomas Pegelow Kaplan, Professor of History, Louis P. Singer Endowed Chair in Jewish History,

University of Colorado Boulder

Robert Jan van Pelt, University Professor, School of Architecture, University of Waterloo

Derek Penslar, William Lee Frost Professor of Jewish History, Harvard University

Andrea Pető, Professor, Central European University (CEU), Vienna; CEU Democracy Institute,

Budapest

Alessandro Portelli, fmr. Professor of Anglo-American Literature, Sapienza University of Rome

David Ranan, Dr., Political Scientist and Writer, London/Berlin

James Renton, Professor of History, Co-Director, International Centre on Racism, Edge Hill University

Na’ama Rokem, Associate Professor, Director Joyce Z. And Jacob Greenberg Center for Jewish

Studies, University of Chicago

Mark Roseman, Distinguished Professor in History, Pat M. Glazer Chair in Jewish Studies, Indiana

University

Göran Rosenberg, Writer and Journalist, Sweden

Ishay Rosen-Zvi, Professor of Talmud and Jewish Philosophy, Department of Jewish Philosophy, Tel

Aviv University

Michael Rothberg, 1939 Society Samuel Goetz Chair in Holocaust Studies, UCLA

Raz Segal, Associate Professor of Holocaust and Genocide Studies and Endowed Professor in the

Study of Modern Genocide, Stockton

Joshua Shanes, Professor and Director of the Arnold Center for Israel Studies, College of Charleston

David Shulman, Professor Emeritus, Department of Asian Studies, The Hebrew University of

Jerusalem

Dmitry Shumsky, Professor, Israel Goldstein Chair in the History of Zionism and the New Yishuv,

Head of the Institute of History, Department of Jewish History and Contemporary Jewry, The Hebrew

University of Jerusalem

Tamir Sorek, Liberal Arts Professor of Middle East History and Jewish Studies, Penn State University

David Sorkin, Lucy G. Moses Professor of Modern Jewish History, Department of History, Yale

University

Stefanie Schüler-Springorum, Professor Dr., Director of the Center for Research on Antisemitism,

Technische Universität Berlin

Michael Stanislawski, Nathan J. Miller Professor of Jewish History, Department of History, Columbia

University

Michael P. Steinberg, Barnaby Conrad and Mary Critchfield Keeney Professor of History; Professor of

Music and German Studies, Brown University

Lior Sternfeld, Associate Professor of History and Jewish Studies, Penn State University

Mira Sucharov, Professor and Associate Chair, Department of Political Science, Carleton University

Kylie Thomas, Dr., Senior Researcher, NIOD Institute for War, Holocaust and Genocide Studies,

Amsterdam

Anya Topolski, Associate Professor of Ethics and Political Philosophy, Radboud University, Nijmegen

Barry Trachtenberg, Associate Professor, Rubin Presidential Chair of Jewish History, Wake Forest

University

Enzo Traverso, Susan and Barton Winokur Professor in the Humanities, Department of History,

Cornell University, Ithaca, New York

Peter Ullrich, Dr. Dr., Senior Researcher, Fellow at the Center for Research on Antisemitism,

Technische Universität Berlin

Alana M. Vincent, Associate Professor, Religious Studies, Department of Historical, Philosophical and

Religious Studies, Umeå University

Anika Walke, Georgie W. Lewis Career Development Professor and Associate Professor of History,

Washington University in St. Louis

Dov Waxman, The Rosalinde and Arthur Gilbert Foundation Chair in Israel Studies, University of

California Los Angeles (UCLA)

Sebastian Wogenstein, Associate Professor of German, Hebrew and Judaic Studies, University of

Connecticut

Moshe Zimmermann, Professor Emeritus, The Richard Koebner Minerva Center for German History,

The Hebrew University of Jerusalem

Steven J. Zipperstein, Daniel E. Koshland Professor in Jewish Culture and History, Stanford University

Moshe Zuckermann, Professor Emeritus of History and Philosophy, Tel Aviv University

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Una commissione delle Nazioni Unite dichiara che indagherà sulle accuse di “apartheid” contro Israele

Luke Tress

28 ottobre 2022 – The Times of Israel

Il rappresentante di Israele afferma che i membri della commissione “detestano” lo Stato ebraico.

I componenti della commissione d’inchiesta definiscono il termine “un paradigma appropriato“, respingono le accuse di antisemitismo come una “manovra diversiva” e le preoccupazioni sulla sicurezza come una “finzione” e sostengono che Gerusalemme potrebbe essere colpevole di crimini di guerra

NAZIONI UNITE – Giovedì la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti da parte di Israele e dei palestinesi ha dichiarato che indagherà sulle accuse di apartheid contro Israele, confermando i timori di Gerusalemme [Tel Aviv, capitale di Israele per il diritto internazionale, ndt.] che la controversa indagine conduca ad etichettarla con il termine infamante.

L’indagine delle Nazioni Unite in corso è stata avviata dal Consiglio per i diritti umani dopo gli 11 giorni di battaglia lo scorso anno tra Israele e i terroristi di Gaza, allo scopo di indagare le violazioni dei diritti in Israele, in Cisgiordania e a Gaza, ma si è concentrata quasi esclusivamente su Israele.

La Commissione ha pubblicato il suo secondo rapporto la scorsa settimana, chiedendo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di porre fine all'”occupazione permanente” da parte di Israele e esortando gli Stati membri delle Nazioni Unite a perseguire i responsabili israeliani.

Giovedì, durante un briefing alle Nazioni Unite a New York, i tre membri della commissione hanno dichiarato che i prossimi rapporti riguarderanno le indagini sull’apartheid da parte di Israele. Hanno affermato che finora la ricerca si è concentrata sulle “cause profonde” del conflitto, da loro imputato alla presenza di Israele in Cisgiordania.

Navi Pillay, un’ex responsabile delle Nazioni Unite per i diritti umani che presiede la commissione, ha definito l’apartheid “una manifestazione dell’occupazione”.

“Ci stiamo concentrando sulla causa principale, rappresentata dall’occupazione, mentre l’apartheid fa parte dei suoi effetti”, dice Pillay. Ci arriveremo. Questo è il vantaggio del nostro mandato a tempo indefinito, ci consente una vasta libertà di indagine”.

Il membro della Commissione Miloon Kothari ha affermato inoltre che la natura a tempo indefinito dell’indagine permette di approfondire l’accusa di apartheid.

“Ci arriveremo perché abbiamo a disposizione molti anni e molti aspetti da approfondire”, dice.

“Pensiamo che sia necessario un approccio globale, quindi dobbiamo esaminare le questioni del colonialismo d’insediamento”, aggiunge Kothari. “L’apartheid è in sé un paradigma molto appropriato, quindi avremo un approccio leggermente diverso, ma ci arriveremo sicuramente”.

Israele ha rifiutato di collaborare con la commissione e non le ha concesso l’ingresso in Israele o nelle aree sotto controllo palestinese in Cisgiordania e Gaza. Ha respinto il rapporto della scorsa settimana, definendo la commissione non credibile né legittima. Giovedì, l’ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite ha affermato che i membri della commissione sono stati scelti in quanto “detestano” Israele.

I resoconti dell’inizio di quest’anno affermavano che il ministero degli Esteri stesse pianificando una campagna per sventare le accuse di apartheid da parte della commissione. Secondo quanto riferito, un cablogramma trapelato ha rivelato che i funzionari israeliani erano preoccupati per il danno che il primo rapporto della commissione avrebbe potuto causare se avesse fatto riferimento ad Israele come uno “Stato di apartheid”.

Il primo ministro Yair Lapid, che all’inizio dell‘anno ricopriva il ruolo di ministro degli Esteri, ha avvertito che quest’anno Israele avrebbe dovuto affrontare intense campagne rivolte ad etichettarlo come uno Stato di apartheid.

Nel corso degli ultimi due anni il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Human Rights Watch, Amnesty International e altre [organizzazioni per i diritti umani] hanno accusato Israele di apartheid, prendendo in prestito il termine dal sistema sudafricano di discriminazione su base razziale.

Israele ha negato categoricamente le accuse di apartheid, affermando che la sua minoranza araba gode di pieni diritti civili, mentre la maggior parte dei palestinesi, che vivono al di fuori del territorio sovrano di Israele, sono soggetti al governo dell’Autorità Nazionale Palestinese sulla base degli accordi di Oslo.

Ha inoltre reagito con irritazione al termine “occupazione”, usato per descrivere le sue attività in Cisgiordania e a Gaza. Considera Gaza, dalla quale ha ritirato soldati e coloni nel 2005, come un’entità ostile governata dal gruppo terroristico islamico Hamas, e ritiene la Cisgiordania un territorio conteso soggetto a negoziati di pace interrotti da quasi dieci anni. I palestinesi rivendicano come futuro Stato indipendente la Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza, territori conquistati da Israele nella guerra del 1967.

Giovedì la commissione ha presentato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il suo ultimo rapporto.

Il rapporto di 28 pagine accusa Israele di violare il diritto internazionale rendendo permanente il suo controllo sulla Cisgiordania e annettendo a Gerusalemme e in Cisgiordania territori rivendicati dai palestinesi e terra siriana sulle alture del Golan. Accusa inoltre Israele di politiche discriminatorie nei confronti dei cittadini arabi, di furto di risorse naturali e di violenza di genere contro le donne palestinesi.

Non menziona affatto Hamas, razzi o terrorismo, sebbene la commissione abbia ripetutamente precisato che presunti crimini palestinesi rientrano nell’ambito dell’indagine.

In passato i tre componenti della commissione sono stati aspramente critici nei confronti di Israele e Israele ha affermato che l’indagine è viziata da pregiudizi e antisemitismo.

Lapid ha definito il rapporto antisemita, “di parte, falso, istigatore e palesemente sbilanciato”.

Giovedì Pillay ha negato le accuse di aver definito in passato Israele uno Stato di apartheid. Il gruppo di monitoraggio di UN Watch [ONG internazionale la cui missione dichiarata è “monitorare le prestazioni delle Nazioni Unite sulla base della propria Carta”, ndt.] ha affermato di aver documentato più casi in cui fino al 2020 ella avrebbe accusato Israele di apartheid.

La Pillay ha anche affrontato critiche per la sua difesa di Kothari, che ha suscitato un putiferio all’inizio di quest’anno, quando ha affermato che i social media sarebbero “controllati in gran parte dalla lobby ebraica”, invocando tropi antisemiti sul potere ebraico. Ha anche chiesto perché Israele facesse parte delle Nazioni Unite.

Giovedì l’inviato israeliano alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha condannato il rapporto insieme ai genitori di Ido Avigal, un bambino ucciso da Hamas durante il conflitto del 2021.

“[I commissari] sono stati scelti proprio in quanto detestano lo Stato ebraico”, ha detto Erdan.

I membri della commissione hanno affermato che le critiche di Israele non “smentiscono i risultati” del rapporto.

Anche gli Stati Uniti hanno ripetutamente condannato la commissione. Mercoledì durante un incontro con il presidente israeliano Isaac Herzog il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha denunciato l’indagine come di parte.

L’indagine “segue uno schema di vecchia data prendendo di mira Israele e non fa nulla per realizzare i presupposti per una pace”, ha affermato la Casa Bianca.

Giovedì Pillay ha respinto le accuse di antisemitismo, definendo le affermazioni “offensive” e “una manovra diversiva”.

Non siamo tutti e tre degli antisemiti. Consentitemi di chiarirlo e poi, come se non bastasse, hanno affermato che anche la relazione sarebbe antisemita. Non c’è una parola in questo rapporto che possa essere interpretata come antisemita”, ha detto. “Questa [accusa] viene sempre sollevata come diversivo.”

Siamo fortemente impegnati per la giustizia, lo stato di diritto e i diritti umani e non dovremmo essere costretti a subire tali insulti. Sono totalmente falsi, tutte falsità e bugie”, afferma.

Dice che Israele potrebbe essere colpevole di crimini internazionali, inclusi crimini di guerra, per il trasferimento di civili nei “territori occupati”, riferendosi agli insediamenti coloniali in Cisgiordania, dove vivono quasi 500.000 israeliani.

Kothari ha definito i coloni un “corpo paramilitare”.

“Possono fare quello che diavolo vogliono, possono fare irruzione nelle case, possono distruggere gli ulivi”, ha detto.

Pillay ha respinto, definendole “una finzione” dietro cui il Paese cerca di “nascondersi”, le preoccupazioni sulla sicurezza citate da Israele come giustificazione per il mantenimento di una presenza in Cisgiordania.

“Alcune delle politiche israeliane in Cisgiordania hanno solo lo scopo di giustificare in modo apparente problemi di sicurezza”, ha affermato.

La commissione ha chiesto a Israele di ritirarsi immediatamente dalla Cisgiordania, senza fare nessuna richiesta ai palestinesi.

Kothari respinge l’idea di un ritiro israeliano come parte di colloqui di pace verso una soluzione a due Stati, un processo sostenuto da gran parte della comunità internazionale.

“Come possiamo parlare di pace o negoziati senza che prima vengano prese delle misure da parte israeliana?” afferma Kotari.

Mentre la maggior parte degli israeliani sostiene una soluzione a due Stati, Israele ritiene che un ritiro unilaterale dalla Cisgiordania senza garanzie di sicurezza creerebbe uno Stato terroristico alle sue porte, indicando come esempio Gaza, dove ha condotto guerre ripetute per ostacolare gli attacchi missilistici di Hamas contro i civili. Israele giustifica anche il suo blocco sulla Striscia di Gaza, mantenuto insieme all’Egitto, come misura di sicurezza necessaria per fermare il terrorismo.

Il primo rapporto, pubblicato a maggio, faceva una breve menzione degli attacchi missilistici e del terrorismo palestinese, ma condannava la “persistente discriminazione contro i palestinesi” da parte di Israele come causa della violenza tra le due parti.

Giovedì la commissione ha affermato che “condanna qualsiasi forma di violenza”.

Il commissario Chris Sidoti ha detto che i rapporti futuri avranno “una copertura più completa” e che i dati su Israele sono limitati perché Israele non ha consentito l’ingresso ai commissari.

“Se ci sarà dato il permesso di entrare in Israele faremo queste domande ai funzionari competenti”, afferma Kothari. “Dateci la vostra versione delle cose perché vogliamo riportare i fatti con equità“.

I commissari non hanno accesso neppure a Gaza o in Cisgiordania.

La commissione è stata istituita l’anno scorso durante una sessione speciale del Consiglio per i diritti umani nel maggio 2021 a seguito dei combattimenti tra Israele e terroristi palestinesi nella Striscia di Gaza. L’UNHRC ha incaricato l’organismo di condurre un’indagine su “tutte le presunte violazioni del diritto umanitario internazionale e tutte le presunte violazioni e abusi delle leggi internazionali sui diritti umani” in Israele, Gerusalemme est, Cisgiordania e Gaza.

La commissione è stata la prima ad ottenere dall’organismo per i diritti umani delle Nazioni Unite un mandato a tempo indefinito – piuttosto che avere il compito di indagare su un crimine specifico – e i critici affermano che delle indagini così prolungate mostrino la presenza di pregiudizi anti-israeliani all’interno del consiglio dei 47 Stati membri. I fautori sostengono la commissione come una modalità per tenere gli occhi aperti sulle ingiustizie affrontate dai palestinesi durante decenni di dominio israeliano.

Sembrano accettare un’occupazione senza fine, ma si lamentano di questa commissione. Il mandato a tempo indeterminato ci consente di affrontare in profondità alcuni di questi problemi”, sostiene Pillay.

La commissione ha anche dichiarato di non aver avviato l’indagine – l’hanno fatto gli Stati membri – e ha detto di ritenere che le Nazioni Unite dovrebbero istituire più indagini a tempo indefinito.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




L’hasbara di Israele a Sheikh Jarrah: il sasso ‘terrorista’ e la logica distorta di Gilad Erdan

Ramzy Baroud

24 gennaio 2022 – Middle East Monitor

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, sta conducendo la propaganda (hasbara, ndtr.) antipalestinese del suo Paese, impegnandosi questa volta in una propaganda preventiva che anticipa una risposta palestinese alle continue espulsioni nel quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme est.

Lo riterreste un attacco terroristico se un sasso come questo fosse scagliato contro la vostra macchina mentre state guidando con i vostri figli?”, ha chiesto Erdan al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tenendo in mano la pietra. “Come minimo, condannereste questi brutali attacchi condotti da palestinesi contro civili israeliani?”

Questa logica israeliana è del tutto tipica, laddove i palestinesi oppressi sono descritti come aggressori e l’oppressore Israele – uno Stato razzista di apartheid sotto ogni aspetto – si presenta come vittima che non fa che difendere i propri cittadini.

Ma la logica selettiva di Erdan questa volta è dovuta ad altro. La sua messinscena all’ONU mira esclusivamente a stornare l’attenzione dai continui terribili fatti che avvengono a Sheikh Jarrah e in tutta la Gerusalemme est occupata. Mercoledì 19 gennaio la casa della famiglia palestinese Salhiya è stata demolita da Israele, lasciando senza un tetto 15 persone, in maggioranza bambini.

Pochi giorni prima è avvenuto un fatto straziante sul tetto di quella casa, quando membri della famiglia Salhiya hanno minacciato di darsi fuoco perché angosciati dall’imminente perdita della casa della loro famiglia.

Non abbiamo più niente a Gerusalemme. Questa è pulizia etnica. Oggi tocca a me, domani ai miei vicini. Meglio per noi morire sulla nostra terra con dignità che arrenderci a loro”, ha detto Mahmoud Salhiya, il proprietario della casa, prima di essere dissuaso dai vicini dal darsi fuoco.

A questi tragici eventi si assiste attentamente, anzitutto da parte dei palestinesi, ma anche della gente di tutto il mondo. Se la prassi delle distruzioni israeliane continuerà ci sono probabilità che assisteremo ad un’altra sollevazione popolare. Lo spettacolo di Erdan all’ONU è un disperato gesto di propaganda per dissuadere i membri della comunità internazionale dal criticare Israele.

Ma Israele non riesce a far valere la propria causa, come non è riuscito a difendere la propria terribile violenza contro i palestinesi in tutta la Palestina occupata nel maggio 2021. Persino i tradizionali alleati di Israele esprimono contrarietà verso l’ultima ondata di pulizia etnica a Sheikh Jarrah.

La rappresentante degli USA alle Nazioni Unite ha espresso ‘preoccupazione’ riguardo all’espulsione forzata nel quartiere palestinese. “Per compiere un passo avanti, sia Israele che l’Autorità Nazionale Palestinese devono evitare mosse unilaterali che esasperano le tensioni e soffocano gli sforzi per far progredire una soluzione negoziata di due Stati”, ha detto Linda Thomas-Greenfield, utilizzando l’usuale linguaggio prudente. Tuttavia Thomas-Greenfield ha proseguito mettendo in guardia contro “le annessioni di territori, l’attività di colonizzazione, le demolizioni e le espulsioni – come quelle che abbiamo visto a Sheikh Jarrah.”

Il 19 gennaio anche il deputato repubblicano USA Mark Pocan ha duramente criticato la decisione di Israele di espellere con la forza la famiglia Salhiya a Sheikh Jarrah.

La scorsa notte, con la complicità del buio e di un freddo pungente, le abitazioni della famiglia Salhiya a Sheikh Jarrah, Gerusalemme, sono state distrutte dalle forze israeliane, lasciando senza casa 15 persone. Ciò non è accettabile e deve finire”, ha twittato Pocan, aggiungendo il popolare hashtag # Savesheikhjarrah.

Da parte sua l’inviato speciale dell’ONU per il Medio Oriente, Tor Wennsland, ha duramente condannato l’espulsione della famiglia palestinese da parte delle autorità occupanti israeliane.

Chiedo alle autorità israeliane di porre fine agli sfratti ed alle espulsioni dei palestinesi, in base ai loro obblighi previsti dal diritto internazionale, e di approvare nuovi programmi che consentirebbero alle comunità palestinesi di costruire legalmente e di provvedere alle proprie necessità di sviluppo”, ha detto Wennsland, secondo quanto riportato sul sito web dell’ONU.

Torniamo allo spettacolo di Erdan, quando ha presentato il ‘terrorismo’ palestinese mostrando la presunta prova schiacciante di un sasso.

Va detto che criticare o difendere la resistenza palestinese, anche simbolica, permette ad Israele di impostare un dibattito fuorviante e futile, che crea un’equivalenza morale tra l’occupante e l’occupato, il colonizzatore e il colonizzato.

Che i palestinesi usino una pietra, un fucile o un pugno per resistere e difendersi, la loro resistenza è moralmente e legalmente giustificata. Israele invece, come tutti gli altri occupanti militari e colonialisti, non ha argomenti né morali né legali per giustificare la sua oppressione sui palestinesi, la distruzione delle loro case – come quella della famiglia Salhiya – e l’uccisione dei loro figli.

A giudicare dalla crescente solidarietà con i palestinesi dovunque, è chiaro che il patetico spettacolo di Erdan è solo un ulteriore esercizio di futilità politica.

Nulla di ciò che Israele può dire o fare potrà alterare la realtà lampante del fatto che una nuova generazione di palestinesi sta riunificando ancora una volta la narrazione palestinese, in particolare riguardo alla resistenza palestinese all’occupazione israeliana. Sia che l’oppressione israeliana avvenga a Sheikh Jarrah, a Gaza o nel deserto del Negev, ora i palestinesi rispondono in modo collettivo, come un unico corpo politico. Grazie alla rivolta del maggio 2021 sono finiti i tempi in cui i palestinesi vengono scacciati dalle loro case nel cuore della notte come fosse una consuetudine senza conseguenze.

Inoltre sta cambiando il linguaggio politico usato per descrivere gli eventi in Palestina in ambito internazionale. Il ‘diritto di Israele di difendersi’ non è più la reazione automatica che spesso viene adottata per descrivere la violenza israeliana e la resistenza palestinese.

Infine sembra che Israele non sia più la parte che determina gli eventi in Palestina e controlla la narrazione ad essi relativa. I palestinesi ed un crescente movimento internazionale di loro sostenitori stanno attivamente dando forma alla percezione globale della realtà sul campo. Né Erdan né i suoi capi a Tel Aviv possono ribaltare questo slancio a guida palestinese. Il suo intervento all’ONU non fa che rispecchiare il grado di disperazione e fallimento intellettuale di Israele e dei suoi rappresentanti.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




L’inviato israeliano delle Nazioni Unite attacca Emma Watson che ha espresso sostegno ai palestinesi

Redazione di MiddleEastEye

 3 gennaio 2022 MEE

Gilad Erdan e l’ex ambasciatore Danny Danon ricevono reazioni negative in rete per aver criticato la star di Harry Potter che ha espresso solidarietà ai palestinesi

Lunedì l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite si è scagliato contro l’attrice Emma Watson dopo che la star di Harry Potter ha condiviso una foto su Instagram in solidarietà con i palestinesi.

Nel suo post, Watson ha condiviso l’immagine di un raduno pro-palestinese con la frase “La solidarietà è un verbo”. Nel commento, Watson ha incluso una citazione dell’attivista anglo-australiana Sara Ahmed, che ha detto: “La solidarietà non presuppone che le nostre lotte siano le stesse lotte, o che il nostro dolore sia lo stesso dolore, o che la nostra speranza sia per lo stesso futuro. La solidarietà implica impegno e lavoro, così come il riconoscimento che anche se non abbiamo gli stessi sentimenti, o le stesse vite, o gli stessi corpi, viviamo condividendo molte cose”.

Gilad Erdan, ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, è ricorso a Twitter per criticare le osservazioni dell’attrice, e ha scritto: “La finzione può funzionare in Harry Potter ma non funziona nella realtà. Se si potesse, la magia usata nel mondo della fantasia potrebbe eliminare i mali di Hamas (che opprime le donne e persegue l’annientamento di Israele) e dell’Autorità Nazionale Palestinese (che sostiene il terrore). Mi piacerebbe molto!” ha aggiunto.

I suoi commenti sono arrivati poco dopo che anche Danny Danon, l’ex ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, si è scagliato contro Watson.

“10 motivi da Grifondoro per essere antisemiti”, ha twittato Danon.

Gli utenti dei social media hanno criticato sia Erdan che Danon per i loro commenti, e molti hanno affermato che hanno “sviato l’attenzione dai veri casi di antisemitismo”.

Leah Greenberg, co-direttrice esecutiva di Indivisible Project, organizzazione no-profit fondata nel 2016 in risposta all’elezione di Donald Trump a presidente, ha affermato che le osservazioni di Danon sono “una perfetta dimostrazione del cinismo e della malafede del fare dell’antisemitismo un’arma per zittire elementari espressioni di solidarietà con il popolo palestinese.

“L’ex ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite definisce Emma Watson ‘antisemita’ per aver espresso solidarietà ai palestinesi. Peggio di una presa in giro”, ha twittato l’emittente Mehdi Hasan.

Nel frattempo, l’attivista palestinese Mohammed El-Kurd, che ha svolto un ruolo cruciale nella sensibilizzazione internazionale sugli sgomberi forzati dei palestinesi dal quartiere sotto occupazione di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, ha reagito con: “Piangi più forte che mi fai ridere”.

Il post su Instagram di Watson ha attualmente oltre 600.000 likes e oltre 47.000 commenti. La foto è stata originariamente pubblicata a maggio dal Bad Activism Collective [blog che “ esplora temi di giustizia climatica, ambientalismo, giustizia razziale, attivismo giovanile, giustizia per i disabili, teoria femminista queer, salute mentale, sovranità della terra e del cibo e smantellamento dei sistemi di oppressione”, ndtr.] dopo che l’ultima offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza ha provocato la morte di oltre 250 palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Le note critiche da parte del CICR su “Fauda” colpiscono un nervo scoperto

Jonathan Ofir

29 DICEMBRE 2020 – Mondoweiss

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa si è rivolto alle reti sociali per evidenziare tutti i modi in cui il programma televisivo “Fauda” rappresenta le violazioni dei diritti umani da parte di Israele. Gli organi di informazione israeliani, i funzionari governativi e vari [loro] sostenitori non ne sono stati per niente contenti.

La popolare serie televisiva israeliana “Fauda” [«caos» in arabo, nel gergo militare israeliano il momento in cui un’azione sotto copertura fallisce mandando a monte tutti i piani, ndtr.] si basa sulla realtà dell’occupazione israeliana, soprattutto nel delineare la pratica dei “Mistarvim”, soldati israeliani che si spacciano per palestinesi per infiltrarsi, assassinare e rapire questi ultimi.

Posso anche ammettere che non sono neppure interessato a guardarla. Così come molti israeliani sembrano essere orgogliosi di questa serie, molti palestinesi, come George Zeidan [co-fondatore di Right to Movement Palestine, organizzazione palestinese che utilizza la corsa sportiva come strumento di promozione del diritto fondamentale alla libertà di movimento, ndtr.] su Haaretz, che la definisce “ignorante”, “disonesta”, “propaganda anti-palestinese”, la considerano un’odiosa propaganda razzista. Ma il mio articolo non è una recensione su un’ulteriore serie televisiva militarista, riguarda la vita reale, il dramma ultra-nazionalista che ha fatto seguito al momento in cui un collegamento tra finzione e vita reale è stata semplicemente oggetto di commenti, sfavorevoli, da parte di un’organizzazione umanitaria internazionale – il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR).

Domenica scorsa il CICR in Israele e nei Territori (palestinesi) occupati ha lanciato una serie di tweet, iniziando con questo:

Come molti di voi, quest’anno abbiamo guardato anche noi @FaudaOfficial e abbiamo notato una serie di violazioni del #IHL. [Diritto umanitariointernazionale].

La sequenza [dei tweet] presenta brevi clip della serie, facendo una rapida menzione a quali violazioni – sia israeliane che palestinesi – ci si riferisca.

Ciò che ne è seguito è stato un attacco concertato al CICR da parte dei sostenitori di Israele. Per lo più hanno cercato di usare un umorismo sprezzante, suggerendo che il CICR non possa criticare una serie televisiva, in quanto le violazioni descritte non si verificherebbero effettivamente nella realtà. Il creatore della serie, Avi Issacharoff, ha twittato in risposta che le violazioni dei Diritti Internazionali dell’Uomo costituiscono per lui un ottimo passatempo.

Gli attacchi al CICR hanno impiegato un esercito di troll [personaggi che intralciano su internet il normale svolgimento di una discussione inviando messaggi provocatori, irritanti o fuori tema, ndtr.] della propaganda, organi di stampa e funzionari governativi.

Secondo le notizie dell’israeliano Channel 12, “la Croce Rossa ha twittato contro ‘Fauda’, gli israeliani hanno risposto al fuoco in rete“.

Channel 12 sta prendendo in giro entrambe le parti? No, è del tutto seria e totalmente di parte. Il pezzo continua:

Cosa vuole l’organizzazione internazionale dalla fortunata serie israeliana? Il rappresentante della Croce Rossa in Israele e presso l’Autorità Nazionale Palestinese (sic) e Gaza (sic), ha pubblicato ieri (domenica) una strana serie di tweet, in cui ha deciso di individuare le “violazioni” del diritto internazionale umanitario comparse nella popolare serie israeliana “Fauda”, la quale riceve riconoscimenti in tutto il mondo.

L’articolo prosegue raccontandoci degli “israeliani sulla rete” che “hanno risposto al fuoco”. Va avanti così:

Coloro a cui non sono piaciuti gli attacchi contro la fortunata serie israeliana, e che hanno visto la serie dei tweet della Croce Rossa come un altro esempio del doppio standard dell’organizzazione contro Israele, sono gli agenti e gli influencer della rete internet della [azienda] filo-israeliana “DigiTell”. La rete è stata costituita tre anni fa dal Ministero degli Affari Strategici al fine di fornire una risposta all’attività anti-israeliana sulle piattaforme sociali di internet. Oggi include più di 100 membri, con più di 15 milioni di follower nel complesso delle piattaforme sociali.

Ebbene, sotto [la guida di] Gilad Erdan (che ora è l’ambasciatore israeliano delle Nazioni Unite) il ministero israeliano per gli affari strategici – che è stato il quartier generale della campagna anti-BDS, che comprendeva operazioni segrete – ha istituito sui social media un esercito di propagandisti. Questo è qualcosa su cui Channel 12 News sembra fare commenti favorevoli, nel senso che [ritiene che] qualcuno debba proteggerci dal presunto CICR anti-israeliano.

Il propagandista filo-israeliano Hen Mazzig, che dirige il Dipartimento dell’istruzione israeliano per Stand WithUs [organizzazione della destra statunitense pro-Israele, ndtr.] in Israel, ha twittato:

Potete per favore riferire delle violazioni dei diritti umani in Avengers End Game [film di fantascienza prodotto dalla Marvel, ndtr.]? Thanos compie letteralmente un genocidio sulla metà delle vite della galassia, il che dovrebbe essere una grave violazione della convenzione di Ginevra.

Quindi qui l’obiezione sembra essere che la serie sarebbe di finzione. Ma Hen Mazzig si preoccuperebbe di commentare una critica verso “Avengers”? Sicuramente no. Per quanto la serie sia di finzione, egli la difende così energicamente proprio perché è legata all’etica militante di Israele e basata su alcune realtà effettive.

Il blogger David Collier ha twittato dal Regno Unito:

E il premio per il PIÙ STUPIDO TWEET del 2020 va chiaramente alla Croce Rossa Internazionale

@ICRC_ilot che in realtà ha rivolto la sua attenzione a uno spettacolo Netflix (Fauda) e l’ha passato al setaccio sulle violazioni dei diritti umani in modo da demonizzare Israele.

Niente su questo pianeta è così stupido come l’attivismo anti-israeliano.

Collier è una persona disonesta sulla quale mi è capitato di trattare in un articolo qualche anno fa. Considera il BDS un “movimento terroristico” ed è implacabile nel tacciare il movimento come intrinsecamente antisemita. Può darsi che il CICR sia andato un po’ oltre il suo solito copione, ma posso pensare a cose molto più stupide in questo mondo che istruire le persone sui diritti umani consuetudinari, anche se in riferimento ad una serie di fantasia, specialmente quando le violazioni si verificano effettivamente nella vita reale.

Il pezzo di Channel 12 si è concluso con uno sfogo di Ido Daniel, il responsabile del settore digitale presso il Ministero degli Affari Strategici. Queste sono proprio le parole conclusive del capo della propaganda digitale nazionale:

Il bizzarro attacco su Twitter della Croce Rossa contro una delle serie israeliane di maggior successo al mondo è bizzarro

È un po’ bizzarro pronunciare così tante volte [la parola] bizzarro. Per un propagandista di professione è piuttosto patetico. Allora, qual’è il problema?

Non sono sorpreso che abbiano deciso di attaccare proprio ‘Fauda’, che rappresenta fedelmente, secondo decine di milioni di osservatori in tutto il mondo, la complessità della vita in Israele sullo sfondo delle minacce del terrorismo e le operazioni delle forze di sicurezza che lavorano di notte e giorno per prevenirlo.

Quindi, aspetta un attimo. Daniel non sta dicendo che Fauda sia una finzione. No, sta “precisamente” sottolineando che si tratta della rappresentazione di una realtà. Questo per quanto riguarda le difese di David Collier e Hen Mazzig. Chi parla è il rappresentante ufficiale del governo israeliano. Voi potreste dire che “Fauda” sia solo una finzione, ma lui ha detto che rappresenta “fedelmente” la realtà israeliana.

Perfidia

Il tema centrale di Fauda è ciò che nel diritto internazionale è noto come perfidia. Il CICR fornisce la definizione di perfidia sulla base normativa del diritto internazionale umanitario:

Costituiscono perfidia gli atti rivolti ad acquisire la fiducia dell’avversario per indurlo a credere di avere diritto a, o di essere obbligato ad offrire, protezione in base alle norme del diritto internazionale applicabili nei conflitti armati, con l’intento di tradire tale fiducia.

In altre parole, si tratta di condurre un’operazione militare sotto le mentite spoglie di un civile, o impersonando un individuo a cui dovrebbe essere offerta una protezione umanitaria speciale. Questo atto è pericoloso anche perché mette a rischio civili e operatori umanitari, poiché crea il sospetto che possano essere coinvolti nelle ostilità.

Tale perfidia è per Israele una procedura operativa standard. Due anni fa un’unità di commando israeliana che, secondo quanto riferito, si spacciava per [un gruppo di] operatori umanitari, si mise nei guai a Gaza dopo aver sparato, uccidendolo, a un alto comandante militare di Hamas, Nour Baraka. I combattenti di Hamas risposero al fuoco. In tutto vennero uccisi 7 palestinesi, 6 dei quali membri di Hamas. Fu [anche] ucciso un alto comandante israeliano. In seguito, un ex comandante israeliano, il generale Tal Rousso, ha cercato di attenuare la convinzione che si trattasse di un tentativo di omicidio deliberato contro il comandante del battaglione di Hamas Nour Baraka sostenendo:

Queste sono operazioni che si svolgono continuamente, ogni notte, in tutte le divisioni. Questa è un’operazione che probabilmente è stata scoperta.

Vedete, costui è l’esperto. Ogni notte, in tutte le divisioni.

Istigazione contro i cittadini palestinesi

Ma “Fauda” è problematico [anche] in un altro senso. Il grosso problema è dato soprattutto dal modo in cui ritrae i palestinesi. George Zeidan su Haaretz:

Ma per me una delle scene peggiori, persino pericolose, si verifica verso la fine della terza stagione, quando un fisioterapista arabo, mentre sta iniziando una seduta di terapia in un ospedale israeliano, tenta di uccidere il capo di una sezione dello Shin Bet [servizi segreti israeliani, ndtr.] in Cisgiordania. Vale la pena di smontare questo complotto: il 17% dei medici israeliani, il 24% degli infermieri e il 47% dei farmacisti sono arabi. Non c’è mai stato nella storia un solo incidente in cui in Israele gli operatori sanitari arabi abbiano tradito il loro giuramento di Ippocrate e causato danno a un paziente. È al di là del ridicolo mettere in scena un personaggio e una trama che contrassegna gli arabi che lavorano all’interno del sistema sanitario israeliano come inaffidabili, sleali e capaci di attacchi violenti. Può solo creare ulteriore sfiducia tra le persone. Promuovere un’immagine del genere è completamente ingannevole e falso – e, peggio, alimenta quelle voci, anche ai vertici del governo israeliano, che squalificano insistentemente i cittadini arabi di Israele, legiferano sulla loro disuguaglianza e istigano contro di loro.

Quindi “Fauda” è semplicemente una serie sleale. Dovrebbe essere semplicemente evitata. Non so dire se il CICR nel commentare una serie che è teoricamente finzione sia andata oltre le proprie competenze ufficiali. In ogni caso le risposte che ha suscitato mostrano che ha colpito un nervo scoperto dell’orgoglio militante del nazionalismo israeliano, l’orgoglio della perfidia.

Uno speciale ringraziamento a Ofer Neiman

(traduzione dall’inglese di Aldo lotta)