Politica USA su Israele-Palestina: cosa (non) è cambiato con Biden

In occasione del viaggio di Joe Biden in Israele e Palestina Al Jazeera ha paragonato le sue politiche alle strategie di Donald Trump.

Ali Harb

12 luglio 2022 – Al Jazeera

Il presidente Joe Biden, che si definisce sionista, è spesso citato dai suoi più importanti consiglieri per aver detto che se non ci fosse Israele gli Stati Uniti dovrebbero inventarne uno.

Così, quando è salito alla Casa Bianca, i difensori dei diritti umani palestinesi e gli elettori arabo-americani che l’avevano sostenuto, non nutrivano grandi aspettative di cambiamento sotto la sua guida circa la posizione USA verso Israele.

Comunque, fra le promesse durante la campagna di Biden e quelle degli inizi della sua presidenza di portare avanti una politica estera incentrata sui diritti umani, molti avevano sperato che il presidente avrebbe almeno ribaltato alcune delle decisioni del suo predecessore Donald Trump che avevano ulteriormente allineato gli USA con Israele.

Ma i difensori dei diritti umani sostengono che fino ad ora il presidente democratico non sia riuscito ad adempiere neppure alle sue modeste promesse ai palestinesi e che al momento la posizione USA sia più simile a quella che aveva con Trump che con Barack Obama.

Mentre Biden viaggia verso Israele per la prima volta da quando è presidente, Al Jazeera esamina quali delle politiche di Trump sono state cambiate da Biden e quali sono rimaste immutate.

Ambasciata USA a Gerusalemme

Di tutti i cambiamenti a favore di Israele delle politiche di Trump, trasferire l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme è stata forse la più gravida di conseguenze. La decisione del 2018 ha dato un appoggio concreto degli USA alle rivendicazioni di Israele sull’intera città santa come sua capitale.

Israele ha annesso illegalmente Gerusalemme Est nel 1980 dopo averla conquistata nel 1967.

Mentre i palestinesi esprimevano la propria indignazione contro la decisione e le Nazioni Unite la dichiaravano a grandissima maggioranza “nulla e senza effetto legale”, a Washington venne approvata da politici di entrambi i partiti.

In vista dello spostamento dell’ambasciata e in presenza di una debole reazione araba Trump dichiarò Gerusalemme “fuori discussione”.

Biden non ha mai preso seriamente in considerazione l’idea di riportare l’ambasciata a Tel Aviv. Gli USA sotto la sua amministrazione hanno trattato Gerusalemme come se fosse la capitale di Israele, usando allo stesso tempo un linguaggio ambiguo per descrivere la propria visione di Gerusalemme Est.

Per esempio, il rapporto annuale sui diritti umani redatta dal Dipartimento di Stato USA include Gerusalemme Est nella sezione riguardante Israele. Ma aggiunge in una postilla: “Con il linguaggio usato in questo rapporto non si vuole prendere posizione su nessuno dei temi relativi all’assetto finale oggetto del negoziato fra le parti del conflitto, incluso quello dei confini specifici della sovranità israeliana a Gerusalemme o dei confini tra Israele e qualsiasi futuro Stato palestinese.”

Il consolato per i palestinesi di Gerusalemme

Nel 2019 Trump ha chiuso il consolato per gli affari palestinesi a Gerusalemme e trasferito le sue funzioni all’ambasciata israeliana nella Città Santa.

La decisione recide i legami con i palestinesi ed esplicita la bocciatura USA delle loro rivendicazioni su Gerusalemme.

Da candidato Biden aveva promesso di riaprire il consolato, ma, a oltre un anno e mezzo dall’inizio della sua amministrazione, lo spostamento non si è materializzato.

Mentre i funzionari USA dicono di essere ancora interessati a ristabilire la sede diplomatica, Biden e i suoi più importanti collaboratori sono riluttanti a scontrarsi pubblicamente con Israele, che si oppone alla riapertura del consolato.

“Da presidente Biden farà immediatamente dei passi per ripristinare l’assistenza economica e umanitaria al popolo palestinese, in conformità con la legislazione USA, inclusa l’assistenza ai rifugiati, operando per affrontare l’attuale crisi umanitaria a Gaza e per riaprire il consolato USA a Gerusalemme Est, e lavorerà per riaprire la missione diplomatica palestinese a Washington,” disse Biden durante la sua campagna davanti a una tribuna di elettori arabo americani nel 2020.

La missione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina a Washington, chiusa da Trump nel 2018, non è stata riaperta neppure da Biden a causa di pressioni interne bipartisan contro la decisione.

Colonie

Da candidato Biden aveva promesso di opporsi all’annessione ed espansione delle colonie. E in contrasto con Trump, che non si era mai pubblicamente opposto alle azioni israeliani, l’amministrazione Biden ha occasionalmente criticato a voce l’approvazione di nuove colonie nella Cisgiordania occupata.

Ma tali smorzate critiche spesso sono contenute in vaghe dichiarazioni che stabiliscono paralleli fra le azioni israeliane e quelle palestinesi affermando che gli USA disapprovano un’escalation da entrambe le parti.

Lo scorso ottobre Ned Price, portavoce del Dipartimento di Stat USA, in una rara occasione era stato esplicito nella critica di Israele dopo il suo annuncio di un piano su grande scala di espansione delle colonie.

“Noi ci opponiamo fermamente all’espansione delle colonie che è totalmente in contrasto con i tentativi di diminuire le tensioni e garantire la calma,” aveva detto Price in quell’occasione.

Ma quel linguaggio diretto è rapidamente svanito.

La scorsa settimana è stato chiesto a Price se gli USA avessero fatto pressione su Israele per porre fine al progetto di una colonia che avrebbe separato le comunità palestinesi in Cisgiordania da quelle a Gerusalemme Est e ha detto: “Noi abbiamo dialogato regolarmente con entrambe le parti per incoraggiarle a non compiere passi che avrebbero esacerbato le tensioni a questo proposito, in caso in cui qualcosa del genere allontani ulteriormente la soluzione dei due Stati.”

La scorsa settimana Maya Berry, direttrice esecutiva dell’Arab American Institute (AAI), un think-tank con sede a Washington, ha detto ad Al Jazeera che l’amministrazione continua a trovare eccezioni per giustificare le violenze israeliane contro i palestinesi.

“È la continuazione di un approccio politicizzato,” ha detto delle politiche di Biden sul conflitto.

“Che si tratti dell’amministrazione Biden o di specifici membri del Congresso, essi stanno facendo di Israele un’eccezione. Non si permetterebbe a nessun altro Paese di fare quello che fa Israele senza che debba affrontare conseguenze politiche sulla scena internazionale. E il protettore principale a questo riguardo sono gli Stati Uniti.”

Aiuti a Israele

Nonostante le crescenti richieste di porre condizioni o restrizioni agli aiuti USA a Israele, Biden in realtà ha  incrementato l’assistenza di Washington al suo principale alleato nella regione rispetto ai tempi di Obama e Trump.

Israele riceve annualmente 3,8 miliardi di dollari in assistenza e quest’anno ha ottenuto un miliardo di dollari extra per “ripristinare Iron Dome [“Cupola di Ferro”], il sistema antimissilistico di difesa, dopo la guerra a Gaza nel maggio 2021.

In un editoriale del Washington Post uscito la scorsa settimana Biden si è dichiarato orgoglioso di aver approvato “il più massiccio pacchetto di aiuti per Israele” della storia.

Aiuti ai palestinesi

Mentre Trump aveva praticamente posto fine a tutti gli aiuti USA ai palestinesi, tagliando completamente i fondi all’United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees [Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente] (UNRWA), Biden ha rinnovato parte di quegli aiuti.

Biden ha detto che, dall’insediamento nel 2021, la sua amministrazione ha ripristinato 500 milioni di dollari di aiuti ai palestinesi, inclusi dei fondi per l’UNRWA che nell’era Obama aveva ricevuto annualmente circa 350 milioni di dollari.

Normalizzazione

L’amministrazione Biden è totalmente impegnata nello sforzo di normalizzazione fra Israele e i Paesi arabi iniziato con Trump e noto come gli Accordi di Abramo.

Il Dipartimento di Stato dice che la normalizzazione arabo-israeliana non soddisfa la necessità di pace fra Israele e i palestinesi. Ma gli analisti dicono che Biden ha difeso quella stessa normalizzazione dell’era Trump che ha ignorato i palestinesi.

Infatti, prima del suo viaggio in Medio Oriente, Biden ha ripetutamente citato la normalizzazione come motivo della sua visita.

“Parte dello scopo del viaggio in Medio Oriente è approfondire l’integrazione di Israele nella regione, cosa che io penso saremo in grado di fare e che è un bene per la pace e per la sicurezza di Israele. Ecco anche spiegato il motivo per cui i leader di Israele hanno fortemente approvato la mia visita in Arabia  Saudita,” ha detto Biden lo scorso mese.

Le alture di Golan

Quando Trump aveva riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture di Golan siriane occupate, molti esperti di diritto internazionale segnalarono che la decisione avrebbe minato il divieto di acquisire territori con la forza.

Sebbene Biden stia caldeggiando il concetto di integrità territoriale in Ucraina, la sua amministrazione ha confermato l’appartenenza ad Israele delle alture di Golan.

Anche se il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha in precedenza usato un linguaggio ambiguo per descrivere il territorio siriano, dall’insediamento di Biden nessun cambiamento delle politiche USA sul tema è mai stato annunciato.

“Le politiche statunitensi riguardo al Golan non sono cambiate e affermazioni contrarie sono false,” ha detto l’anno scorso su Twitter l’Ufficio per gli affari del Medio Oriente del Dipartimento di Stato.

Legami con i palestinesi

Se Trump ha quasi totalmente ignorato i palestinesi nelle sue politiche per la regione, l’amministrazione Biden ha cercato di riallacciare le relazioni americane con i leader palestinesi.

Ci sono state parecchie telefonate fra alti funzionari USA e palestinesi, incluse quelle tra Biden e il presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Lo scorso mese l’amministrazione USA ha annunciato che la sezione per gli affari palestinesi dell’ambasciata americana a Gerusalemme inizierà a rapportarsi direttamente su “questioni rilevanti” con il Bureau per gli Affari del Vicino Oriente all’interno del Dipartimento di Stato.

In seguito al cambiamento diplomatico si è ribattezzata Office of Palestinian Affairs (OPA) quella che era la Palestinian Affairs Unit (PAU).

Ma gli esperti l’hanno liquidata come una mossa prevalentemente di facciata, sottolineando come non sia un’adeguata sostituzione all’impegno per un vero consolato per i palestinesi a Gerusalemme.

“Nelle presenti circostanze mi sento molto sicuro nell’affermare che questo è semplicemente un tentativo propagandistico per cercare di placare la frustrazione dei palestinesi, soprattutto alla luce dell’imminente visita del presidente nella regione,” ha detto ad Al Jazeera Khalil Jahshan, direttore esecutivo dell’Arab Center, Washington DC.

Ciononostante l’amministrazione si è attribuita quella che descrive come un ristabilimento delle relazioni con l’Autorità Palestinese.

“Abbiamo collaborato con Israele, Egitto, Qatar e Giordania per mantenere la pace impedendo ai terroristi di riarmarsi. Abbiamo anche ricostruito i legami USA con i palestinesi,” ha scritto Biden sul Washington Post.

Organizzazioni internazionali

Biden è rientrato in contatto con molte organizzazioni ONU e internazionali, tra cui il Consiglio per i Diritti Umani che Trump aveva abbandonato a causa delle loro critiche a Israele.

Ma i funzionari USA hanno sempre sottolineato che stanno tornando in questi forum per proteggere Israele dall’interno e non per difendere gli sforzi di appoggiare i diritti umani dei palestinesi.

Lo scorso mese il Dipartimento di Stato ha rimproverato una commissione di inchiesta del Consiglio per i Diritti Umani che aveva pubblicato un rapporto in cui accusava Israele di cercare di acquisire un controllo permanente sui palestinesi  “senza intenzioni di porre fine all’occupazione”.

Il 7 giugno Price ha dichiarato che la commissione di inchiesta “rappresenta un approccio unilaterale e fazioso che non fa nulla per contribuire all’avanzamento delle prospettive di pace”.

Allo stesso modo l’amministrazione Biden ha revocato le sanzioni che Trump aveva imposto sui funzionari della Corte Penale internazionale (ICC), mantenendo nel contempo la sua opposizione alle indagini della ICC sulle violazioni israeliane.

Nelle ultime settimane il Dipartimento di Stato ha detto ripetutamente che la ICC non è la “sede appropriata” per indagare sull’assassinio di Shireen Abu Akleh, la giornalista di Al Jazeera ammazzata a maggio dall’esercito israeliano nella Cisgiordania occupata.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Trump e annessione israeliana del Golan

Il via libera di Trump sul Golan prepara l’annessione della Cisgiordania da parte di Israele

Mondoweiss

Jonathan Cook – 26 marzo 2019

 

Quando lo scorso anno il presidente Donald Trump ha spostato l’ambasciata USA a Gerusalemme occupata, sabotando di fatto ogni speranza di costituzione di uno Stato palestinese sostenibile, ha stracciato le regole internazionali.

La scorsa settimana ne ha calpestato le pagine spiegazzate che rimanevano. Naturalmente lo ha fatto su Twitter.

In riferimento a una grande parte del territorio che Israele ha tolto alla Siria nel 1967, Trump ha scritto: “Dopo 52 anni è ora che gli Stati Uniti riconoscano in pieno la sovranità di Israele sulle Alture del Golan, che sono di fondamentale importanza strategica e riguardo alla sicurezza per lo Stato di Israele e per la stabilità regionale.”

Israele espulse 130.000 siriani dalla Alture del Golan nel 1967, con il pretesto della Guerra dei Sei Giorni, e poi 14 anni dopo annesse il territorio in violazione delle leggi internazionali. Una piccola popolazione di drusi siriani è l’unica sopravvissuta da quell’operazione di pulizia etnica.

Replicando le sue azioni illegali nei territori palestinesi occupati, subito Israele spostò coloni e attività economiche ebraici nel Golan.

Finora nessun Paese aveva riconosciuto l’appropriazione del bottino da parte di Israele. Nel 1981 gli Stati membri dell’ONU, compresi gli USA, dichiararono i tentativi di Israele di cambiare lo status del Golan “nulli e privi di valore”.

Ma negli ultimi mesi il presidente israeliano Benjamin Netanyahu ha iniziato a intensificare i tentativi di rompere questo consenso di lunga data ed è riuscito ad avere dalla sua parte l’unica superpotenza mondiale.

Si è dato da fare quando Bashar Al Assad – aiutato dalla Russia – ha iniziato a recuperare in modo decisivo le perdite territoriali che il governo siriano aveva patito durante gli otto anni di guerra del Paese.

La lotta ha coinvolto una serie di altri Paesi. Lo stesso Israele ha utilizzato il Golan come base da cui lanciare operazioni sotto copertura per aiutare gli oppositori di Assad, compresi i combattenti dello Stato Islamico, nella Siria meridionale. L’Iran e le milizie libanesi di Hezbollah, nel contempo, hanno cercato di limitare lo spazio di manovra di Israele a favore del leader siriano.

Netanyahu ha giustificato pubblicamente con la presenza dell’Iran nelle vicinanze la necessità per Israele di prendere possesso permanente del Golan, definendolo una zona cuscinetto vitale contro i tentativi iraniani di “utilizzare la Siria come base per distruggere Israele.”

Prima di questo, quando Assad stava perdendo terreno a favore dei suoi nemici, il leader israeliano ne aveva fatto una questione diversa. Allora aveva sostenuto che la Siria stava andando in pezzi e che il suo presidente non sarebbe mai stato in grado di reclamare il Golan.

L’attuale ragione [addotta da] Netanyahu non è più convincente della precedente. La Russia e le Nazioni Unite sono già molto avanti nel ridefinire una zona smilitarizzata sul lato siriano della linea di separazione dei contendenti. Ciò garantirebbe che l’Iran non possa schierarsi vicino alle Alture del Golan.

Lunedì notte, durante un incontro tra Netanyahu e Trump a Washington, il presidente ha convertito il suo tweet in un decreto esecutivo.

Il tempismo è significativo. È un altro goffo tentativo da parte di Trump di immischiarsi nelle elezioni israeliane, previste per il 9 aprile. Fornirà a Netanyahu una notevole spinta nel momento in cui lotta contro incriminazioni per corruzione e una effettiva minaccia da parte del partito rivale, “Blu e Bianco” [coalizione di centro, ndt.], guidata da ex-generali dell’esercito.

Netanyahu ha controllato a stento la sua esultanza dopo il tweet di Trump, e lo avrebbe chiamato per dirgli: “Tu hai fatto la storia!”

Ma, in verità, non si è trattato di un capriccio. Israele e Washington sono andati in questa direzione da parecchio.

In Israele, c’è un appoggio condiviso tra tutti i partiti al fatto che Israele si impossessi del Golan.

Michael Oren, ex ambasciatore israeliano negli USA e consigliere di Netanyahu, lo scorso anno ha formalmente lanciato un piano per quadruplicare in un decennio le dimensioni della popolazione di coloni nel Golan, portandola a 100.000 persone.

Lo scorso mese il Dipartimento di Stato USA ha offerto il proprio palese visto di approvazione quando ha incluso per la prima volta le Alture del Golan nella sezione “Israele” del suo rapporto annuale sui diritti umani.

Questo mese il senatore repubblicano Lindsey Graham ha fatto una vera e propria visita pubblica nel Golan su un elicottero militare israeliano, insieme a Netanyahu e a David Friedman, l’ambasciatore di Trump in Israele. Graham ha detto che lui e il suo amico senatore Ted Cruz avrebbero fatto pressione perché il presidente USA cambiasse lo status del territorio.

Nel contempo Trump non ha fatto segreto del suo disprezzo nei confronti delle leggi internazionali. Questo mese i suoi funzionari hanno vietato l’ingresso negli USA a personale della Corte Penale Internazionale, con sede all’Aia, che sta facendo un’inchiesta su crimini di guerra USA in Afghanistan.

La CPI si è inimicato sia Washington che Israele nei suoi iniziali, e scarsi, tentativi di obbligare entrambi a rispondere delle loro azioni.

Qualunque siano le piroette di Netanyahu riguardo alla necessità di scongiurare una minaccia iraniana, Israele ha altre, e più concrete, ragioni per tenersi stretto il Golan.

Il territorio è ricco di sorgenti d’acqua e fornisce ad Israele il controllo decisivo sul Mare di Galilea, un grande lago di acqua dolce che è di fondamentale importanza in una regione che deve affrontare una sempre maggiore carenza d’acqua.

I 1.200 km2 di terra rubata sono stati sfruttati in modo aggressivo, dai fiorenti vigneti e meleti all’industria turistica che, in inverno, include le pendici coperte di neve del monte Hermon.

Come ha notato “Who Profits”, un’organizzazione israeliana per i diritti umani, in un rapporto dello scorso mese, imprese israeliane e statunitensi stanno anche installando impianti di energia eolica per vendere elettricità.

E Israele ha collaborato in silenzio con il gigante USA dell’energia “Genie” per sfruttare le potenzialmente grandi riserve di petrolio sotto il Golan. Il consigliere e genero di Trump Jared Kushner ha investimenti di famiglia in “Genie”. Ma estrarre il petrolio sarà difficile finché Israele non potrà sostenere in modo plausibile di avere sovranità sul territorio.

Per decenni gli USA hanno regolarmente cercato di obbligare Israele a iniziare colloqui di pace pubblici e riservati con la Siria.   Solo tre anni fa Barack Obama ha appoggiato una condanna del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a Netanyahu per aver affermato che Israele non avrebbe mai restituito il Golan.

Ora Trump ha dato il via libera a Israele perché se ne impossessi per sempre.

Ma, qualunque cosa egli dica, la decisione non porterà sicurezza ad Israele, o stabilità regionale. Di fatto rende insensato l’“accordo del secolo” di Trump, un piano di pace regionale a lungo rimandato per porre fine al conflitto israelo-palestinese che, secondo indiscrezioni, dovrebbe essere svelato poco dopo le elezioni israeliane.

Al contrario, il riconoscimento da parte degli USA si dimostrerà una manna per la destra israeliana, che chiede a gran voce l’annessione di vaste zone della Cisgiordania e piantare di conseguenza l’ultimo chiodo sulla bara della soluzione dei due Stati.

La destra israeliana può ora plausibilmente sostenere: “Se Trump ha accettato il fatto che ci siamo impossessati illegalmente del Golan, perché non [accetterebbe] anche il nostro furto della Cisgiordania?”

Una versione di questo articolo è comparsa per la prima volta su “The National”, Abu Dhabi.

 

Su Jonathan Cook

 

Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. Tra i suoi libri: “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” [“Israele e il crollo della civiltà: Iraq, Iran ed il piano per rifare il Medio Oriente”] (Pluto Press), e “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” [“Palestina scomparsa: esperimenti israeliani in disperazione umana”] (Zed Books).

 

 

(traduzione di Amedeo Rossi)




Alture del Golan: Trump e Netanyahu

Alture del Golan: Trump intende ‘puntellare’ Netanyahu prima del voto in Israele

Alcuni analisti affermano che la dichiarazione ‘si fa beffe delle leggi internazionali’ per aiutare Netanyahu nelle imminenti elezioni israeliane

Middle East Eye

 

Di Ali Harb da Washington – 21 marzo 2019

 

Secondo alcuni analisti l’annuncio di Donald Trump che Washington riconoscerà la sovranità israeliana sulle Alture del Golan siriane occupate è un tentativo di rilanciare le possibilità di rielezione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Le affermazioni del presidente USA, fatte su twitter giovedì pomeriggio, arrivano a soli 19 giorni dalle elezioni israeliane.

E con esse Trump ha chiarito di voler “puntellare” Netanyhau, che vi si sta avvicinando indebolito, dice a MEE Khalil Jahshan, direttore esecutivo dell’“Arab Center Washington DC” [Centro Arabo di Washington].

“Il messaggio alla gente là, soprattutto nella regione, e al resto del mondo [è]: se hai la potenza militare e l’appoggio degli USA, vai avanti e occupa con la forza la terra di un altro popolo,” dice Jahshan a MEE.

Jahshan aggiunge che l’affermazione del presidente USA serve come distrazione per i rispettivi , sia di Trump che di Netanyahu, problemi giudiziari in patria.

Il leader israeliano sta affrontando una serie di inchieste per corruzione e un’imminente incriminazione da parte del procuratore generale del Paese, mentre politici USA stanno anticipando la pubblicazione del rapporto del procuratore speciale Robert Mueller sulla possibile collusione tra la squadra della campagna elettorale di Trump e la Russia.

Jahshan afferma che, in mezzo a scandali che possono minacciare la sua presidenza, Trump sta anche cercando di riaffermare il proprio impegno a favore di Israele prima dell’annuale conferenza dell’AIPAC [principale associazione della lobby filo-israeliana negli USA, ndt.] all’inizio della prossima settimana.

In effetti il presidente USA ha recentemente invitato gli ebrei americani ad abbandonare il partito Democratico, sottolineando le proprie leali politiche filo-israeliane, compresi lo spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme e il ritiro dall’accordo nucleare con l’Iran.

Jahshan sostiene che la dichiarazione sul Golan coincide anche con l’imminente visita di Netanyahu a Washington, dove il primo ministro israeliano incontrerà Trump e la prossima settimana parteciperà alla conferenza dell’AIPAC come principale oratore.

 

“Presidente razzista”

Nihad Awad, direttore esecutivo del “Council on American Islamic Relations” [Comitato per le Relazioni Islamico-Americane] (CAIR), ha definito il tweet di Trump sul Golan un chiaro tentativo di intervenire nella politica israeliana e di dare un aiuto a Netanyahu.

“Trump sta intervenendo nelle elezioni di un Paese straniero a favore di un politico che si è schierato con i razzisti e che in Israele ha fatto approvare leggi segregazioniste sullo Stato-Nazione,” dice Awad del primo ministro israeliano.

Lo scorso anno Israele ha approvato la controversa legge sullo Stato-Nazione, che afferma che il Paese è “unicamente del popolo ebraico”. Chi l’ha criticata ha condannato la legge come razzista, affermando che sancisce la discriminazione contro la minoranza palestinese di Israele per legge.

Netanyahu l’ha citata la scorsa settimana per affermare che Israele è solo per gli ebrei, “non uno Stato per tutti i suoi cittadini”.

Awad mette in relazione le politiche interne di Trump contro immigranti e musulmani e la politica estera di Netanyahu.

“Ora è visto come un simbolo dei nazionalisti e dei suprematisti bianchi in America e nel resto del mondo,” afferma Awad. “Cosa ci possiamo aspettare da un presidente razzista se non che vomiti politiche razziste e posizioni contrarie a persone di colore, a minoranze e a un popolo sotto occupazione?”

Awad dice a MEE che, nonostante le sue affermazioni, il presidente USA non ha l’autorità morale né legale di concedere la sovranità israeliana su terra siriana: “Non spetta a lui legittimare l’occupazione di una terra straniera da parte dello Stato di Israele.”

 

Netanyahu loda l’iniziativa

Israele ha occupato le Alture del Golan siriane nella guerra del 1967 e le ha annesse nel 1981. Ora vi si trovano 34 colonie che ospitano decine di migliaia di israeliani.

Ariel Gold, co-direttrice del gruppo femminista contro la Guerra CODEPINK, dice che Trump sta rafforzando la sua alleanza con dirigenti di destra in tutto il mondo, compresi Netanyahu e il brasiliano Jair Bolsonaro.

La dichiarazione sul Golan isola ulteriormente gli USA dal consenso globale – l’annessione del Golan da parte di Israele non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale – mentre riduce le prospettive di una pace in Medio Oriente.

“Ciò – come lo spostamento dell’ambasciata – fa sì che Israele sappia che il suo governo ha il sostegno degli USA, e così, con l’appoggio della superpotenza mondiale, non deve prendere troppo in considerazione quello che aiuterebbe a fare la pace,” dice Gold a MEE.

È esattamente quello che lo stesso Netanyahu ha detto giovedì, quando ha lodato la dichiarazione di Trump che riconosce il possesso israeliano delle Alture del Golan.

“Il messaggio che il presidente Trump ha dato al mondo è che l’America sta con Israele,” ha detto in un comunicato.

“Siamo profondamente grati per l’appoggio USA. Siamo profondamente grati dell’incredibile e incomparabile appoggio alla nostra sicurezza e al nostro diritto di difenderci.”

 

“Beffa alle leggi internationali”

L’annuncio di Trump ha suscitato timori che il riconoscimento da parte degli USA della sovranità israeliana sul Golan possa portare all’annessione da parte di Israele di parti della Cisgiordania palestinese occupata, se non di tutto il territorio, con l’appoggio degli USA.

Omar Baddar, vice direttore dell’“Arab American Institute” [Istituto Arabo Americano] dice che Trump sta mettendo ai margini il ruolo degli USA nel mondo non tenendo conto delle leggi internazionali e promettendo “totale appoggio all’illegittima acquisizione del territorio con la forza da parte di Israele.”

Sia Trump che Netanyahu hanno sottolineato che il possesso israeliano sul Golan deve continuare in modo indefinito per garantire la sicurezza del Paese, citando in particolare la guerra civile siriana in corso e la presenza di truppe iraniane nei pressi del suo territorio.

Baddar rifiuta questo ragionamento.

“Ciò che è più insultante per l’intelligenza di chiunque riguardo all’annuncio di Trump è che viene definito come un tentativo di migliorare la ‘sicurezza’ e la ‘stabilità regionale’, quando la verità è che l’occupazione è forse il maggior contributo all’instabilità e alla violenza,” ha scritto in un’email a MEE.

Certo, il tweet di giovedì è l’ultimo esempio della dimostrazione del disprezzo che Trump dimostra nei confronti delle norme e delle istituzioni internazionali per favorire Israele.

Dopo che la sua amministrazione ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele contro le obiezioni di alcuni degli alleati più vicini a Washington, ha anche lasciato la Commissione ONU per i Diritti Umani per protesta contro le sue critiche alle politiche di Israele.

Washington ha anche tagliato l’aiuto umanitario ai palestinesi.

Ma Trump non si preoccupa delle risoluzioni dell’ONU e dei trattati internazionali che governano le dispute territoriali, dice Jahshan, dell’“Arab Center”.

Ciò è risultato evidente giovedì, dice Jahshan, in quanto la dichiarazione del presidente “si è fatta beffe delle leggi internazionali.”

 

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Israele sta armando sette gruppi ribelli in Siria

Asa Winstanley,

28 Febbraio, 2018 ,Middle East Monitor

L’occupazione israeliana illegale delle Alture del Golan dura ormai da 50 anni. Questo ricco territorio, parte della Siria meridionale, è stato conquistato dalle forze di occupazione israeliane nella guerra del 1967.

La maggioranza della popolazione siriana sul territorio è stata espulsa o è dovuta fuggire per salvarsi. Israele ha demolito le loro case, i loro edifici, e interi villaggi nel Golan per costruire al loro posto colonie israeliane.

Nel 1981, sfidando le Nazioni Unite e violando il diritto internazionale, Israele ha annesso le Alture del Golan. La mossa – non riconosciuta nemmeno dagli alleati di Israele – era intesa a consolidare il controllo de facto di Israele sul territorio siriano occupato, attribuendogli una patina di auto-riconoscimento legale. In aggiunta a questo , Israele ha usato, negli ultimi anni, la lunga e sanguinosa guerra in Siria come copertura per espandere il proprio controllo nel Golan, molto a sud del territorio ancora del suo vicino sovrano; vuole il piu’ ampio controllo possibile.

Come ho scitto qui l’estate scorsa, Israele sta ora consolidando una buffer zone [zona cuscinetto ndt] nel sud della Siria, estendendola a partire dal Golan. Lavorando nel sud con rappresentanti locali, Israele sta costruendo ciò che le sue organizzazioni di copertura sostengono essere una “zona sicura”.

Quell’estate abbiamo scoperto che Israele stava dando supporto ad un gruppo ribelle sul confine tra il Golan e il resto della Siria per una somma di decine di migliaia di dollari. Negli anni precedenti, Israele aveva sostenuto economicamente gruppi legati ad Al-Qaeda nel sud della Siria. Questo sostegno consisteva nel provvedere le cure ai combattenti feriti in ospedali israeliani al di là del confine, per poi rimandarli indietro in Siria a combattere il regime.

Le notizie piu recenti sono che l’armamento delle forze delegate da Israele in Siria stia crescendo rapidamente. Un’inchiesta del giornale di Tel Aviv Haaretz la scorsa settimana sostiene che Israele stia armando ora “almeno” sette gruppi ribelli nel Golan, che “stanno ricevendo armi e munizioni da Israele, assieme a denaro per comprare ulteriori armi”.

Tutti I gruppi in questione riportano un recente aumento degli aiuti israeliani. Questo in conseguenza del fatto che molti Stati, inclusi la Giordania e gli Stati Uniti, stanno diminuendo la portata delle loro operazioni militari in Siria.

Come ha riportato Haaretz, “A gennario, l’amministrazione Trump ha chiuso la base operativa che la CIA gestiva ad Amman, la capitale giordana, e che coordinava gli aiuti alle organizzazioni ribelli nel sud della Siria. Come risultato, decine di migliaia di ribelli che ricevevano un regolare supporto economico dagli USA sono stati privati di questo supporto.”

Lo scopo di Israele qui sembra essere doppio. Il primo è di tenere le forze armate di Iran e Hezbollah – alleati del regime siriano – lontane dalla linea di confine del Golan. Il modo più rapido per farlo è di fare in modo che ci sia una forza di opposizione reale in quell’area.

In secondo luogo, il programma israeliano di proliferazione delle armi è inteso a promuovere il suo ufficiale obiettivo strategico nella regione; “lasciare che entrambe le parti si massacrino” in modo da prolungare la guerra il piu’ a lungo possibile. Indebolire la Siria e i suoi alleati, [qui tutti dicono] l’Hezbollah libanese e l’Iran, è un obiettivo importante per Israele e la superpotenza che lo sostiene, gli USA. Ancora piu importante è l’obiettivo di far sì che la guerra continui. Tutto ciò in aggiunta allo scopo generale israeliano di controllare il piu’ ampio territorio che può accaparrarsi e mantenere. La buffer zone che Israele sta tentando segretamente di ampliare fino a 40 chilometri dentro la Siria si sta realizzando attraverso gruppi di facciata che si presentano apparentemente come organizazzioni “non-governative” per gli aiuti, come anche pagando i salari dei combattenti ribelli e mandando finanziamenti per comprare armi.

Questi pretesi gruppi di “società civile per gli aiuti” sostenuti da Israele nel sud della Siria – che estendono l’occupazione nel Golan – sono una facciata. In realtà, essi costituiscono un modo per estendere il controllo mediato di Israele nella regione.

Tutto questo è molto in linea con gli schemi di Israele in Libano. Tra il 1982 e il 2000, Israele ha illegalmente occupato il sud del Libano. Dopo l’invasione del 1982 – che raggiunse persino Beirut – Israele si ritirò ad una “buffer zone” nel sud del Libano. Invece di occupare la zona con soldati israeliani, molto del lavoro è stato gestito delegandolo a forze libanesi. Questi gruppi-burattino armati oppressero la popolazione per conto di Israele. Questo condusse presto alla resistenza armata contro l’occupazione israeliana, e fu in queste circostanze che nacque Hezbollah.

Israele occupò illegalmente il sud del Libano fino al 2000, quando la resistenza guidata da Hezbollah spinse fuori (dal territorio) il principale rappresentante israeliano, il cosiddetto Esercito Libanese del Sud. Oggi, Israele sta tentando di istituire quello che è, in tutto fuorché nel nome, un “Esercito Siriano del Sud”. Se possa riuscirci è opinabile, ma, come dimostra la storia del Libano, anche se dovesse farlo è improbabile che Israele riesca a mantenere il controllo a lungo.

(Traduzione di Tamara Taher)




La crisi idrica di Israele non è finita:

i livelli del Mar Morto, del lago Kinneret e delle falde acquifere sono tutti bassi

Di Nir Hasson, Noa Shpigel, Ido Efrati e Zafrir Rinat

Haaretz 6 settembre 2016|

La desalinizzazione ha alleviato la scarsità d’acqua, ma la prolungata siccità, l’eccessivo pompaggio e le esigenze di una popolazione in crescita stanno facendo scempio dell’ecologia del paese.

La maggior parte dell’opinione pubblica crede che la desalinizzazione abbia aiutato Israele a superare la sua cronica crisi idrica, ma gli esperti affermano che non è affatto vero e mettono in guardia contro l’autocompiacimento.

Il rapporto mensile di agosto, pubblicato dal Servizio Idrologico dell’Autorità Israeliana per l’Acqua, quest’estate mostra una diminuzione più grave del solito del livello del Lago Kinneret [il lago di Tiberiade, nel nord del paese, ndt], del Mar Morto, dei corsi d’acqua nel nord e di tutti gli acquiferi sotterranei. Peggio ancora, le stime nazionali ed internazionali prevedono che almeno la prima metà dell’inverno sarà senza precipitazioni. Se queste previsioni verranno confermate, il Kinneret quest’anno scenderà al suo livello più basso degli ultimi 10 anni.

Benché gli impianti israeliani di desalinizzazione soddisfino una crescente quantità del consumo di acqua del paese, a livello locale la crisi attuale potrebbe causare gravi danni all’agricoltura ed all’ambiente.

Secondo il rapporto dell’Autorità per l’Acqua, il mese scorso il livello del Lago Kinneret è sceso di 26 cm., fino a 32 cm. al di sotto della linea rossa di minima – il livello in cui inizia il danno all’equilibrio ecologico e la qualità dell’acqua peggiora. Questo è il livello più basso registrato il 1 settembre negli ultimi 6 anni, benché il pompaggio dell’acqua del lago a beneficio dell’acquedotto nazionale sia stato significativamente ridotto.

Intanto il livello del Mar Morto è sceso di 13 cm. in agosto. Dall’inizio dell’anno idrologico (che comincia in ottobre) il livello del Mar Morto è sceso di 103 cm., il 22% in più rispetto al periodo corrispondente del precedente anno idrologico. Nel corso degli ultimi 25 anni, il livello del Mar Morto è diminuito di quasi 25 metri. Attualmente non riceve quasi più acqua dal fiume Giordano, le cui acque sono deviate per fornire acqua potabile a Giordania, Siria, Libano ed Israele.

E’ stata rilevata anche una forte diminuzione nei bacini acquiferi montani e costieri del paese, anche se restano al di sopra della linea rossa. Però il bacino acquifero della Galilea occidentale, un’importante sorgente d’acqua per quella regione, è sceso sotto la linea rossa.

L’ultima grave crisi idrica in Israele risale al 2008, quando il governo lanciò un’importante campagna per il risparmio dell’acqua e accelerò la costruzione degli impianti di desalinizzazione, da aggiungere a quello già operativo ad Ashkelon. Le strutture di desalinizzazione a Palmahim, Hadera, Nahal Sorek e Ashdod sono diventate velocemente operative; nello scorso anno hanno prodotto 500 milioni di metri cubi d’acqua, il 40% dell’acqua del paese. Per il prossimo anno si prevede di arrivare a 600 milioni di metri cubi.

‘Problema risolto’

“Israele ha risolto il problema dell’acqua”, dichiara il portavoce dell’Autorità per l’Acqua, Uri Shor. “Oggi più della metà di tutta la fornitura d’acqua è prodotta dall’uomo (incluso il trattamento delle acque reflue, N.H.). Ciò assicura stabilità ed un approvvigionamento sostenibile”.

Gli esperti concordano sul fatto che il problema della fornitura d’acqua è stato alleviato dalla desalinizzazione, ma dipingono un quadro più complesso, in cui la desalinizzazione gioca un ruolo solo parziale.

“Per costruire un impianto di desalinizzazione ci vogliono tre anni”, dice il prof. Daniel Kurtzman del Volcani Center [centro israeliano di ricerche agronomiche, ndt.], “ma costruire l’infrastruttura atta a trasportare l’acqua su lunghe distanze implica molti anni. Hanno iniziato a costruire il quinto acquedotto per Gerusalemme nel 2003, e ci vorranno ancora molti anni per completarlo.” Così, le zone distanti dagli impianti di desalinizzazione devono continuare a contare sulle sorgenti d’acqua naturale e patiranno durante un periodo di siccità, nonostante gli impianti di desalinizzazione di Israele.

“La siccità è soprattutto un dramma ecologico; in un anno di siccità vediamo come i corsi d’acqua del Golan ed il lago Hula [nel nord di Israele. ndt] si prosciugano, e non ci possiamo fare niente; è un disastro,” dice Amon Sofer, professore emerito di geografia e scienze ambientali all’università di Haifa.

“Poi c’è il più ampio impatto sull’estetica del paesaggio, della flora e della fauna, ed addirittura sulla sopravvivenza derivante dal turismo dei kayak,” dice Sofer.

“Ci sono zone in Israele che non sono rifornite dalla desalinizzazione – per esempio le alture del Golan, dove esiste un grave problema idrico,” dice Kurtzman.

“Non dovete pensare che le alture del Golan necessitino di soluzioni idriche del tipo che oggi immaginiamo; ma quelle sono soluzioni adatte al deserto di Arava [a sud di Israele, dal golfo di Aqaba alle sponde meridionali del mar Morto, ndt], non al Golan.”

Certamente gli agricoltori del Golan, che contano soprattutto sui bacini di superficie, sono le principali vittime della situazione attuale. Negli anni di siccità questi bacini si riempiono poco e si svuotano velocemente.

Ora nel Golan ci sono impianti per scavare pozzi profondi, che destano preoccupazione tra le organizzazioni ambientaliste.

“Stanno iniziando a parlare di perforare lo strato di basalto per fornire acqua potabile e per l’agricoltura, qualcosa che non è mai stata fatta,” dice Yehoshua Shkedy, capo ricercatore dell’Autorità Israeliana per la Natura e i Parchi. “Il problema è che una simile perforazione prosciugherà le sorgenti e gli affluenti, che sono la linfa vitale delle alture del Golan.”

Shkedy poi aggiunge: “Un altro anno così e non ho idea di che cosa faremo. Stiamo parlando di un possibile prosciugamento del Banias [affluente del Giordano, che scorre in Siria e in Israele, ndt], per cui sarà impossibile scendere in kayak per il fiume Giordano.”

Intanto, se vi state chiedendo perché negli ultimi anni sembra che cada più pioggia nel sud che nel nord [di Israele, ndt], non siete i soli. Gli esperti fanno fatica a spiegare perché l’area delle piogge sembra essersi fermata a Netanya [sulla costa centro settentrionale di Israele, ndt.].

Cambiamenti globali

Uno studio di Amir Givati, capo della gestione delle acque di superficie dell’Autorità Israeliana per l’Acqua, punta il dito su un cambiamento climatico globale che colpirà la regione in futuro. Lo studio sostiene che le classiche depressioni barometriche dell’inverno israeliano, che si spostano da nord a sud, si sono indebolite e sono state sostituite da piogge che arrivano piuttosto dal sud.

Gli scienziati ottimisti però dicono che alcuni anni di siccità non sono sufficienti per stabilire una regola.

“Io sono relativamente ottimista”, dice Kurtzman. “Nel 2001 abbiamo raggiunto la linea nera nel lago Kinneret, che sembrava proprio quanto di peggio ci potesse essere, e poi il 2002-2003 è stato un anno molto piovoso, e l’umore è cambiato. In base alla mia esperienza, è possibile che ci siano dei cicli ampi di 30 o 40 anni. Tra il 1965 e il 1995 abbiamo avuto un periodo di piogge, e dal 1995 abbiamo un periodo di piogge più scarse. Ci possono essere dei cambiamenti.”

Traduzione di Cristiana Cavagna