Il presidente palestinese Abbas si oppone alla riforma dell’OLP e fa il gioco di Israele

Amira Hass

10 novembre 2022 – Haaretz

Mahmoud Abbas ha istituito un nuovo consiglio per rafforzare la presa sul sistema giudiziario e continua la sua tradizionale linea oppressiva rimanendo fedele agli accordi di Oslo

Due provvedimenti separati e apparentemente non correlati compiuti di recente dall’Autorità Nazionale Palestinese e dal suo leader, Mahmoud Abbas sono indicativi della natura sempre più autoritaria e autocratica del regime nelle enclaves palestinesi in Cisgiordania.

Un provvedimento ha a che fare con il sistema giudiziario palestinese e l’altro con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina: entrambi mostrano quanto l’Autorità Nazionale Palestinese rimanga fedele al ruolo essenzialmente assegnatole dagli Accordi di Oslo: mantenere uno status quo fluido e dinamico a danno dei palestinesi e al servizio degli interessi di sicurezza israeliani.

La prima decisione è il decreto presidenziale firmato da Abbas e diffuso venerdì 28 ottobre che annuncia l’istituzione di un “Consiglio supremo degli organi e delle agenzie giudiziarie”. A capo di questo consiglio, il cui scopo dichiarato è discutere i disegni di legge relativi al sistema giudiziario, risolvere questioni amministrative correlate e sovrintendere al sistema giudiziario, non sarà altro che il presidente dell’ANP Abbas, che è anche presidente dell’OLP e di Fatah.

Gli altri membri sono i presidenti e i capi della Corte costituzionale, della Corte Suprema, della Corte di Cassazione, dell’Alta Corte per le questioni amministrative, dei tribunali delle forze di sicurezza e del tribunale della Sharia. Del consiglio faranno parte anche il Ministro della Giustizia, il procuratore generale e il consulente legale del presidente. È previsto che si incontri una volta al mese.

Esperti legali palestinesi e organizzazioni per i diritti umani hanno annunciato la loro ferma opposizione a questo nuovo consiglio supremo, affermando che contraddice il principio di separazione dei poteri – legislativo, giudiziario ed esecutivo – e viola diverse sezioni della Costituzione palestinese e le convenzioni internazionali di cui l’ANP è firmataria.

In diverse interviste ai media esperti e organizzazioni affermano che questa è l’ultima di una serie di decisioni che hanno trasferito l’autorità legislativa al ramo esecutivo e al suo capo, violando anche l’indipendenza del sistema giudiziario e subordinandolo ad Abbas e ai suoi compari.

Poco dopo la vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi del 2006, Abbas e Fatah hanno impedito al Consiglio legislativo palestinese di riunirsi regolarmente e svolgere il proprio lavoro. In un primo momento hanno attribuito la colpa agli arresti israeliani di numerosi membri eletti di Hamas, nonché all’assenza del quorum necessario per promulgare la legislazione.

Dopo la breve guerra civile scoppiata a Gaza nel giugno 2007 tra Hamas e Fatah e la divisione dell’autogoverno palestinese tra le due regioni [Gaza e Cisgiordania, ndt.] e le due organizzazioni, il parlamento palestinese ha ufficialmente cessato di funzionare. Tuttavia i rappresentanti di Hamas a Gaza hanno continuato e continuano a riunirsi come consiglio legislativo e approvare leggi che si applicano solo a Gaza.

In Cisgiordania, invece, la “legislazione” si realizza tramite decreti presidenziali. Negli ultimi 15 anni Abbas ha firmato circa 350 decreti presidenziali, molto più degli 80 atti legislativi che sono stati discussi e promulgati dal primo consiglio legislativo durante il suo decennio di esistenza nel 1996-2006.

Abbas si basa su un’interpretazione molto ampia dell’articolo 43 della Costituzione palestinese emendata del 2003 che conferisce a un decreto presidenziale il potere di legge solo “in casi di necessità che non possono essere ritardati e quando il Consiglio legislativo non è in sessione”.

Fino al 2018, alcuni parlamentari in Cisgiordania hanno continuato a incontrarsi in modo non ufficiale e hanno tentato di essere coinvolti nelle discussioni sui “disegni di legge” in discussione al governo e di rappresentare l’opinione pubblica davanti alle autorità. Ma quell’anno, su ordine di Abbas, la Corte costituzionale ha stabilito che il Consiglio legislativo dovesse essere sciolto, nonostante la Costituzione preveda che il suo mandato termini solo quando si terranno nuove elezioni.

Secondo la Costituzione in caso di morte del presidente dell’ANP questi deve essere sostituito dal presidente del parlamento. Questa posizione era ricoperta dal rappresentante di Hamas Aziz Dweik di Hebron. L’opinione generale era che, sciogliendo il parlamento, Abbas e i suoi alleati stessero cercando di contrastare preventivamente un simile scenario. Anche se la Corte Costituzionale aveva ordinato all’epoca di tenere nuove elezioni entro sei mesi, Abbas e i suoi fedeli sono riusciti a rinviarla ripetutamente.

Nel frattempo, durante questo periodo Abbas ha anche aumentato il suo coinvolgimento nel processo di nomine giudiziarie, cercando di garantire la lealtà dei giudici a sé e a Fatah. Inoltre il ramo esecutivo, da lui controllato, spesso non si attiene alle sentenze indipendenti dei giudici, come gli ordini di rilasciare le persone detenute senza processo o gli ordini di riprendere il pagamento degli stipendi e delle varie indennità ai rivali politici di Abbas.

Il Ministro della Giustizia palestinese Mohammed al-Shalaldeh ha promesso che il nuovo Consiglio Supremo del sistema giudiziario non intende violare l’indipendenza del sistema. Ma l’esperienza dell’Egitto – che evidentemente ha ispirato gli autori del decreto presidenziale palestinese – indica che è vero il contrario.

Un consiglio supremo che sovrintende al sistema giudiziario egiziano è stato istituito dal presidente Gamal Abdel Nasser nel 1969. Nel primo decennio di questo secolo, grazie agli sforzi delle organizzazioni per i diritti umani e dei giuristi, il suo potere è stato ridimensionato, ma l’attuale presidente egiziano Abdel -Fattah al-Sissi gli ha conferito un’autorità più ampia e invasiva rispetto al passato.

In una conversazione con Haaretz, avvocati indipendenti hanno ipotizzato che uno dei motivi per l’istituzione di questo consiglio è contrastare la possibile opposizione legale – tramite la Corte costituzionale – all’incoronazione di Hussein al-Sheikh come prossimo presidente dell’ANP. Al-Sheikh, figlio di una famiglia di rifugiati che ha acquisito ricchezza nel corso degli anni come proprietaria di varie imprese e società a Ramallah, è uno dei funzionari di Fatah più vicini ad Abbas – e anche a Israele.

Per quasi 15 anni è stato a capo del Ministero degli affari civili palestinese, che è subordinato e coordinato alla politica del COGAT, l’organismo che coordina le attività di governo del ministero della Difesa israeliano nei territori, e ha svolto il ruolo di collegamento con i funzionari israeliani. A maggio, Abbas lo ha nominato segretario generale del Comitato Esecutivo dell’OLP al posto del defunto Saeb Erekat; da questa posizione dirige anche il dipartimento dei negoziati dell’OLP. Molti palestinesi ritengono che la sua nomina a prossimo presidente dell’ANP sarebbe molto gradita a Israele.

La seconda misura adottata di recente dall’Autorità Palestinese è stata quella di impedire che si tenesse a Ramallah la Conferenza Popolare Palestinese – 14 milioni (chiamata così per il numero di palestinesi nel mondo). L’idea alla base della conferenza era quella di riformare l’OLP, inizialmente tenendo un’elezione pan-palestinese in cui i palestinesi di tutta la diaspora e in tutto il territorio tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo potessero votare per il Consiglio nazionale palestinese, il parlamento dell’OLP. Il convegno si sarebbe dovuto tenere il 5 novembre presso la Cultural Hall di Ramallah, in Giordania e in diverse città in Europa e Sud America.

Gli organizzatori affermano che l’OLP, l’organizzazione che dovrebbe rappresentare i palestinesi in tutto il mondo ed essere la fonte della autorità politica e identità nazionale, è stata essenzialmente inghiottita dall’Autorità Nazionale Palestinese, dalla presidenza di Abbas e dal movimento Fatah. Il suo finanziamento dipende dall’Autorità Palestinese, le sue istituzioni sono state svuotate e Abbas controlla le date dei suoi incontri e la nomina dei suoi rappresentanti.

Gli organizzatori della Conferenza dei 14 milioni sono contrari agli Accordi di Oslo (“una seconda Nakba”, la chiamano alcuni) e sono del parere che solo un’OLP ricostruita e democratica “che non operi come subappaltatore per Israele” possa e debba sviluppare una strategia per combattere l’apartheid e il colonialismo israeliani e quindi servire come fonte di speranza per il popolo [palestinese]. Gli organizzatori sono ancora oggi associati ai vari gruppi palestinesi che compongono l’OLP – da Fatah alle organizzazioni di sinistra – o lo sono stati in passato, mentre alcuni sono indipendenti.

Ma all’inizio della scorsa settimana gli organizzatori della conferenza sono stati sorpresi quando sono stati informati dal Comune di Ramallah che le agenzie di sicurezza palestinesi avevano proibito alla conferenza di procedere. Hanno anche vietato al comune di El Bireh di assegnare una sala agli organizzatori allo scopo di tenere una conferenza stampa.

Nonostante gli ostacoli, gli organizzatori hanno deciso che la conferenza si sarebbe svolta come previsto tramite Zoom e Facebook e che i rappresentanti a Ramallah avrebbero parlato dagli uffici della Coalizione popolare palestinese, un’organizzazione relativamente nuova di attivisti politici di cui molti di lunga data. Sabato mattina le forze di sicurezza [dell’ANP], alcune in abiti civili, sono state dispiegate in gran numero accanto all’edificio dove sono ospitati gli uffici della conferenza, hanno avvertito le persone di non entrare e hanno arrestato l’attivista veterano Omar Assaf e lo hanno trattenuto per diverse ore.

Tuttavia vari relatori hanno potuto pronunciare i loro discorsi tramite Facebook, e hanno scelto di evidenziare diversi punti: aspre critiche all’Autorità Nazionale Palestinese e al coordinamento della sicurezza con Israele; un appello all’azione sulla base della Carta nazionale palestinese del 1968, di cui sono state annullate alcune parti negli anni ’90 a seguito delle pressioni israeliane e statunitensi e la richiesta di adempimento del diritto al ritorno. Ciò che tutti avevano in comune era l’enfasi posta sull’importanza delle elezioni generali democratiche per creare una leadership eletta e rappresentativa per l’intero popolo palestinese: nella Palestina storica su entrambi i lati della Linea Verde e in tutta la diaspora.

L’idea di indire un’elezione diretta per un parlamento panpalestinese nel quadro dell’OLP è stata suggerita per oltre un decennio da attivisti palestinesi in varie organizzazioni in tutto il mondo; gli organizzatori della conferenza hanno sottolineato di aver integrato diverse proposte simili che l’OLP sotto il controllo di Abbas ha costantemente ignorato.

A ulteriore riprova di quanto Abbas e i suoi seguaci siano contrari all’iniziativa di rianimare l’OLP, martedì mattina le forze di sicurezza palestinesi hanno fatto irruzione negli uffici di Ramallah del Bisan Center for Research and Development (una delle ONG che Israele ha dichiarato organizzazione terroristica) e hanno interrotto la conferenza stampa che stavano tenendo gli organizzatori della conferenza.

In questa fase il ripristino dell’OLP come fonte di autorità e potere decisionale sembra difficilmente realizzabile. Non è inoltre chiaro quanto sostegno riceverà l’iniziativa da i giovani che non hanno mai conosciuto l’OLP come quell’organizzazione un tempo percepita dai profughi palestinesi come casa politica e nazionale e motivo di orgoglio. Inoltre è ancora troppo presto per capire come e se Hamas e la Jihad islamica saranno incluse nel processo.

Tuttavia i giovani potrebbero essere entusiasti della prospettiva di indire elezioni generali per un’organizzazione panpalestinese che trascenda i confini di Gaza e della Cisgiordania. Gli organizzatori affermano apertamente che l’attuale leadership non eletta e antidemocratica non è un vero organo rappresentativo ed è incapace di affrontare i pericoli posti dalla politica israeliana.

Le azioni intraprese per sopprimere questa iniziativa tradiscono il timore dell’attuale leadership impopolare di qualsiasi discorso sulle elezioni, per non parlare del loro svolgimento, e sottolineano la riluttanza ad ammettere che gli accordi di Oslo hanno solo peggiorato la situazione dei palestinesi. Le sue azioni mostrano anche quanto questa leadership sia decisa a mantenere i vantaggi materiali e lo status che ha acquisito per sé e per i suoi circoli interni.

L’iniziativa per ricostruire l’OLP aspira a superare la spaccatura nella geografia, nella società e nella politica palestinese. Questa divisione è anche uno dei risultati politici più importanti della politica israeliana degli ultimi 30 anni. Le azioni oppressive dell’Autorità Nazionale Palestinese stanno aiutando direttamente a preservare questo risultato a favore di Israele.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele diventerà una teocrazia? I partiti religiosi sono i principali vincitori delle elezioni

Judy Maltz

3 novembre 2022 – Haaretz

Israele si appresta ad avere il governo più clericale di sempre, per cui le richieste di haredi e ortodossi probabilmente saranno una priorità della nuova coalizione di Netanyahu, minacciando le precedenti riforme

Salvo eventuali sorprese dell’ultimo minuto, il prossimo governo israeliano sarà di gran lunga il più confessionale della sua storia.

Dei quattro partiti che si prevede faranno parte della nuova coalizione, tre sono religiosi. Due di questi, United Torah Judaism [Ebraismo Unito per la Torah], i cui elettori sono principalmente ashkenaziti [ebrei di origine europea, ndt.] e lo Shas, il cui elettorato è prevalentemente sefardita [ebrei originari dei Paesi musulmani, ndt.], sono partiti ultra-ortodossi che escludono le donne dalle loro liste elettorali. Il terzo, Religious Zionism [Sionismo religioso], l’unione di tre partiti di estrema destra tra i cui dirigenti c’è un discepolo del defunto rabbino suprematista ebraico Meir Kahane, si colloca sul versante tradizionalista dello spettro religioso, tendenzialmente ultra-ortodosso.

Insieme questi tre partiti rappresenteranno più di metà dei seggi della coalizione guidata da Benjamin Netanyahu, che dovrebbe andare al potere nelle prossime settimane.

Aggiungendo ad essi sette parlamentari dello stesso partito di Netanyahu, il Likud, risulta che 40 dei 65 membri previsti della prossima coalizione di governo israeliana saranno ebrei ortodossi, il 61%, molto oltre il loro 17% della popolazione totale. Circa 2/3 di questo contingente ortodosso è composto da haredi [ebrei ultra-ortodossi e molto tradizionalisti, ndt.].

Per questa ragione mercoledì mattina [il giorno dopo le elezioni, ndt.] molti israeliani si sono svegliati chiedendosi se il loro Paese stia per diventare una teocrazia.

“Non vedo Israele diventare un vero e proprio Stato della Torah [insieme di insegnamenti e precetti biblici, ndt.],” afferma il rabbino Uri Regev, presidente e amministratore delegato di Hiddush, organizzazione che promuove la libertà religiosa in Israele. “Ma stiamo per arrivarci molto più vicino che mai prima d’ora.”

Tani Frank, direttore del Judaism and State Policy Center [Centro per l’Ebraismo e la Politica dello Stato] presso l’istituto Shalom Hartman di Gerusalemme, concorda: “Vedremo sicuramente i partiti haredi spingere in quella direzione,” dice. “Ma ciò non avverrà tutto d’un tratto, perché sono sufficientemente furbi da sapere che ci sarebbe una grande reazione se cercassero di ottenere tutto quello che possono ci sarebbe una fortissima reazione.”

A dire il vero in Israele non c’è mai stata una separazione tra religione e Stato. Questioni relative a matrimonio e divorzio, per esempio, rientrano sotto la competenza delle autorità religiose, nel caso degli ebrei il Gran Rabbinato controllato dagli ortodossi. Con poche eccezioni il trasporto pubblico non circola durante il sabato, e quel giorno la maggior parte dei negozi al dettaglio è chiusa. Dato che in Israele è riconosciuto solo l’ebraismo ortodosso, i movimenti riformatori e conservatori non hanno accesso ai finanziamenti del ministero dei Servizi Religiosi.

Qualunque progresso fatto negli ultimi anni per promuovere la libertà e il pluralismo religiosi è stato per lo più imposto dai tribunali.

Tra gli esempi più significativi c’è stata la fondamentale sentenza dell’Alta Corte di Giustizia del marzo 2021, che ha riconosciuto le conversioni non ortodosse per ottenere la cittadinanza. E grazie a precedenti decisioni della corte in Israele rabbini non ortodossi, come quelli ortodossi, possono essere stipendiati dallo Stato ed è vietata la discriminazione di genere nella sfera pubblica.

Il grande timore è che i partiti religiosi della nuova coalizione di Netanyahu cerchino di indebolire il potere giudiziario attraverso una “clausola escludente” che consentirebbe alla Knesset di ribaltare decisioni della corte come queste. Ciò potrebbe cancellare molti dei progressi fatti negli ultimi anni per promuovere la libertà religiosa in Israele.

“Finora i tribunali sono stati un attore principale nella promozione di questioni come i diritti degli omosessuali e delle donne, ma se questa coalizione porterà avanti i suoi progetti di istituire la clausola escludente, saranno fondamentalmente in grado di fare quello che vogliono,” afferma Shuki Friedman, vice presidente del Jewish People Policy Institute [Istituto di Politica del Popolo Ebraico] con sede a Gerusalemme.

Friedman crede che, oltre che promuovere la clausola escludente, il nuovo governo cercherà di ribaltare immediatamente le riforme religiose approvate dal governo uscente, soprattutto una revisione molto importante del sistema della certificazione casherut [cibi che rispondono ai precetti religiosi, ndt.], che ha attirato la fiera opposizione del rabbinato.

Se il governo uscente avesse tenuto fede alla sua promessa di rilanciare l’accordo sul Muro del Pianto, che intendeva facilitare la preghiera egualitaria nel luogo santo ebraico, questa nuova coalizione avrebbe probabilmente dato priorità al suo annullamento. Ma, dato che negli ultimi 16 mesi non è stato fatto alcun progresso nel rilancio dell’accordo, almeno su questo problema c’è poco da annullare.

“Diciamo pure che questo nuovo governo rappresenta il chiodo definitivo sulla bara dell’accordo riguardante il Kotel [il Muro del Pianto in ebraico, ndt.],” afferma Uri Keidar, direttore esecutivo di Israel Hofsheet, una ong attiva nella promozione della libertà religiosa e del pluralismo ebraico.

Le promesse di Netanyahu

Allora, dove il nuovo governo israeliano dirigerà probabilmente i suoi sforzi in materia di rapporti tra la religione e lo Stato nei prossimi anni (ammesso che duri così a lungo)?

Frank crede che si concentrerà inizialmente su politiche che riguardino e beneficino direttamente la comunità ultra-ortodossa. “Ci sarà molto più denaro per le scuole haredi, comprese quelle che non insegnano materie fondamentali come inglese e matematica,” prevede. In effetti Netanyahu ha già promesso ai dirigenti haredi che non subordinerà i finanziamenti statali per le loro scuole al fatto che insegnino queste materie fondamentali.

Frank pensa anche che i partiti haredi faranno pressione su Netanyahu perché revochi una riforma iniziata dal governo uscente che minaccia il controllo rabbinico sui servizi di telefonia mobile nella comunità ultra-ortodossa.

Ecco alcuni degli altri possibili cambiamenti dello status quo religioso da parte di questo nuovo governo:

Legge del Ritorno: i partiti religiosi hanno a lungo fatto pressione per un cambiamento che limiterebbe notevolmente l’idoneità per l’aliyah [l’immigrazione ebraica in Israele, ndt.] e la cittadinanza in base alla Legge del Ritorno. Secondo l’attuale versione qualunque individuo con almeno un nonno/a o il coniuge di questa persona ebreo/a è idoneo all’immigrazione in Israele.

I partiti religiosi credono che nella sua forma attuale questa legge incoraggi troppi “non ebrei” a immigrare. In base alla loro proposta, la cosiddetta clausola del/della nipote verrebbe eliminata e al suo posto verrebbero autorizzate a fare l’aliyah solo persone con almeno un genitore ebreo.

“Penso persino che essi andranno oltre nella modifica della Legge del Ritorno,” prevede Keidar. Frank ritiene tuttavia che Netanyahu potrebbe respingere simili modifiche. “Conservare la clausola del/la nipote è di estrema importanza per gli immigrati russofoni,” dice, evidenziando che questa comunità rappresenta la grande maggioranza degli immigrati in Israele. “E i russofoni garantiscono ancora al Likud circa 4 o 5 seggi a ogni elezione, perciò egli non può ignorarli.”

Conversione: cinque anni fa lo Shas presentò una proposta di legge che avrebbe dato al rabbinato il controllo esclusivo sulle conversioni in Israele e avrebbe messo fuorilegge le conversioni non-ortodosse. Questa legge non è mai andata avanti nell’iter legislativo, ma, dato il potere che i partiti ultra-ortodossi avranno nella nuova coalizione, Regev sostiene che essi cercheranno di riattivarla. E una volta approvata la clausola escludente, ammesso che lo facciano, potrebbero allora revocare la sentenza dell’Alta Corte che riconosce le conversioni non-ortodosse.

Questa sentenza riguarda solo un piccolo numero di persone che si convertono ogni anno in Israele attraverso i movimenti riformato e conservatore. Ciononostante è stata considerata epocale per il riconoscimento implicito della legittimità delle denominazioni non-ortodosse. Frank pensa che Netanyahu ci penserà due volte prima di appoggiare leggi che cancellino questo riconoscimento, a causa delle tensioni che provocherebbero nei rapporti di Israele con la diaspora ebraica, i cui dirigenti hanno accolto con grande favore la sentenza dell’Alta Corte.

Il trasporto pubblico di sabato: il governo israeliano uscente ha fatto poco per promuovere il trasporto pubblico di sabato, anche se nelle ultime settimane la ministra dei Trasporti Merav Michaeli [segretaria del partito laburista israeliano, ndt.] aveva promesso che la metropolitana leggera ancora in costruzione a Tel Aviv avrebbe circolato nel giorno festivo ebraico. Negli ultimi anni vari Comuni israeliani, insieme a organizzazioni di base, hanno inaugurato linee di autobus che circolano di sabato.

Keidar pensa che il nuovo governo darà la priorità alla lotta contro queste iniziative. In effetti i partiti haredi hanno già manifestato l’interesse a ottenere il ministero dei trasporti nel prossimo governo.

Vari sondaggi d’opinione realizzati da Hiddush hanno rilevato che una vasta maggioranza di israeliani, compresi elettori del Likud, è a favore in vario modo del trasporto pubblico di sabato. “Chiaramente concessioni di questa sorte che Netanyahu verrà sollecitato a fare dai suoi partner di coalizione ultra-ortodossi non solo saranno a dispetto della maggioranza della popolazione, ma anche contrarie alla volontà dei suoi stessi elettori, e questa è una cosa di cui egli dovrà tener conto,” dice Regev, che è un rabbino riformato.

Matrimonio: solo un mese fa un tribunale israeliano ha riconosciuto la validità dei “matrimoni dell’ Utah” [dal gennaio del 2020, nello Stato dello Utah è possibile sposarsi online, ndt.]. La sentenza ha fornito un modo economico alle coppie israeliane per evitare la proibizione del matrimonio civile nel Paese. Finora il matrimonio civile era riconosciuto solo se celebrato fuori dal territorio israeliano. Keidar pensa che la nuova coalizione agirà per ribaltare questa sentenza, ripristinando in tal modo il controllo del rabbinato sui matrimoni.

Diritti LGBTQ: non si prevede che il nuovo governo arrivi fino al punto da mettere fuorilegge l’omosessualità, ma potrebbe cercare di annullare alcuni dei progressi fatti nella promozione dei diritti degli omosessuali da parte del governo uscente e di quelli che l’hanno preceduto, afferma Keidar.

Ciò potrebbe includere l’annullamento del divieto alla terapia della conversione [terapia pseudoscientifica intesa a modificare l’orientamento sessuale delle persone omosessuali per farle diventare eterosessuali, ndt.], tagliando il finanziamento pubblico delle terapie ormonali per persone transgender e il ripristino del divieto alla donazione del sangue per le persone omosessuali. “Non immagino che Netanyahu prenda iniziative drastiche contro le persone LGBTQ perché molte votano Likud,” afferma Frank. “Ma non vedremo assolutamente continuare i rapporti cordiali che sono esistiti tra la comunità LGBTQ e il governo uscente.”

Aborto: non si prevede che il nuovo governo segua la linea degli Stati Uniti e istituisca il divieto assoluto dell’aborto, ma Keidar crede probabile che diventi più attivo nel scoraggiarlo. “Probabilmente vedremo molti più finanziamenti pubblici andare alle organizzazioni che assistono le giovani donne con gravidanze indesiderate perché le portino a termine,” sostiene.

Keidar dice che, anche se il nuovo governo riuscisse a indebolire il potere giudiziario, non avrà carta bianca nell’imporre restrizioni di carattere religioso sulla popolazione laica. “Ci sarà una reazione e lo abbiamo già visto accadere quando hanno cercato di chiudere attività commerciali di sabato nei quartieri laici. La gente è scesa in strada a protestare.”

Nonostante la crescente influenza delle comunità ortodosse e ultra-ortodosse, Keidar nota che gli ebrei laici continuano ad essere la comunità più grande in Israele, rappresentando (secondo i dati pubblicati lo scorso mese dall’Ufficio Centrale di Statistica) il 36% della popolazione. Le comunità ortodosse e ultra-ortodosse rappresentano ognuna circa un altro 8,5% della popolazione.

Tra le iniziative più importanti introdotte dalla coalizione uscente per promuovere il pluralismo religioso in Israele c’è stata la creazione di una nuova “Amministrazione per il Rinnovamento Ebraico” nel ministero per gli Affari della Diaspora. Il suo bilancio di 60 milioni di shekel (circa 17 milioni di euro) intendeva appoggiare, tra le altre cause, le attività dei movimenti riformati e conservatori nel Paese. Il nuovo governo probabilmente troverà altri utilizzi, più in linea con il suo programma ortodosso, per questi fondi, il che sarebbe una grave battuta d’arresto per il pluralismo ebraico.

Tuttavia Rakefet Ginsberg, direttrice esecutiva del movimento conservatore in Israele, rifiuta di credere che il nuovo governo cercherà di chiudere le sue attività: “Voglio sperare che ci sia la comprensione del fatto che i nostri movimenti non pregiudicano l’ebraicità dello Stato, ma al contrario l’arricchiscono.”

Anna Kislanski, direttrice esecutiva del movimento riformato in Israele, sembra meno fiduciosa: “I risultati di queste elezioni sono molto inquietanti per quanti di noi non vengono dal movimento ortodosso,” afferma. “Siamo preoccupati della mancanza di accettazione che questo governo potrebbe dimostrare verso gli arabi, le donne, gli omosessuali e in effetti chiunque non la pensi come il movimento ortodosso.”

Avverte che la frattura tra Israele e l’ebraismo della diaspora potrebbe approfondirsi ulteriormente, considerando il grande seguito del movimento riformato fuori da Israele.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




È ufficiale: il fascismo siamo noi

Yossi Klein

4 novembre 2022 – Haaretz

La vittoria della coalizione di Netanyahu e la sconfitta della sinistra non sono né sorprendenti né l’aspetto più significativo delle elezioni. C’è stato un vincitore in queste elezioni: il nazionalismo sionista religioso. Netanyahu se ne andrà, e anche Ben-Gvir. Il fascismo è destinato a rimanere. Non è più uno degli attori politici in campo: è una visione del mondo.

Si tratta di un cambiamento drammatico e storico. Il fascismo si è affermato. Il quadro generale è che si è manifestato con il punteggio di 14 a 0: 14 seggi per il fascismo, 0 per la sinistra. È una sconfitta cocente. Israele ha adottato la visione del mondo del peggiore dei suoi nemici. Chiamiamola con il suo nome: Ben-Gvir [leader della coalizione di estrema destra Sionismo Religioso, ndt.] il Ben-gvirismo è kahanismo [ideologia suprematista e razzista del defunto rabbino Meri Kahane, ndt.] ed è fascismo.

Non siamo rimasti sorpresi. Siamo rimasti indifferenti. Abbiamo chiamato l’emergente fascismo “un processo”, nella speranza che sarebbe stato contenuto a lungo, o almeno non sarebbe fiorito finché ci fossimo stati noi in giro. Ma il 14 a 0 non è solo una fase, l’ha già superato. I processi sono dinamici, si sviluppano e avanzano, prima alla Knesset, poi al governo, e poi a casa tua.

Il fascismo è una vecchia conoscenza. È qui fin dal 1967, forse da prima. La gente si vergognava di chiamarlo così, ma era qui ad ogni passo, anche se lo abbiamo accettato in silenzio. Oggi non c’è più vergogna. Il fascismo non è più una parolaccia. Oggi puoi chiamare qualcuno fascista e non si sente insultato. Chiamaci fascisti se ne hai voglia, a Otzma Yehudit [Potere Ebraico, il partito di Ben-Gvir, ndt.] non ci importa, nelle prossime elezioni Ygal Amir [kahanista e uccisore del primo ministro Yitzhak Rabin, ndt.] avrà un posto di rilievo nelle liste elettorali.

Nello stesso modo in cui legittimiamo Ben-Gvir legittimiamo il fascismo. Lo trasformeremo. Prenderemo l’estrema destra, gli metteremo una kippah [copricapo degli ebrei religiosi, ndt.] e le frange rituali e avremo il fascismo sionista religioso. Umberto Eco ha definito il fascismo anche come una profonda passione per la tradizione, la concezione del dissenso come tradimento, un’ossessione per il complotto e la venerazione dell’eroe e della morte. Il fascista ebreo sionista religioso ha tutto questo.

Quando l’estrema destra è arrivata al potere in Italia non siamo stati presi dal panico e non abbiamo chiesto agli ebrei di venire a vivere in Israele. Che importa se 80 anni fa gli ebrei furono uccisi in suo nome? Direte che non si può fare un parallelo e che il fascismo ha anche i suoi aspetti bellissimi. Apprezzerà il patriottismo, elogerà la disciplina.

Di chi è la colpa della vittoria del fascismo qui? A breve termine, la televisione commerciale, e a lungo termine il sistema educativo. La televisione ha costruito Ben-Gvir come un ridicolo pagliaccio, una macchietta innocua, e gli ha fornito una piattaforma che nessun politico si era mai sognato. Ora, quando il genio è uscito dalla bottiglia si rifiuta di tornarci dentro. Non c’è da preoccuparsi della televisione, è già pronta per i nuovi padroni, a prostrarsi e a leccargli i piedi.

Che la televisione commerciale adulasse il fascismo non ci ha sorpresi. Eravamo preparati. Per 75 anni nelle scuole hanno evitato di chiamare il fascismo con il suo nome. “Amore per la patria”, “insediamenti”, “estrema destra”. Ci hanno insegnato che siamo migliori del resto del mondo, ma anche le sue vittime. Grazie al rapporto tra autocommiserazione e arroganza, abbiamo fatto quello che la democrazia rifiuta e il fascismo accetta. Ogni ministro dell’educazione ha contribuito all’avanzata del fascismo. Ogni programma scolastico lo ha rafforzato. Lo hanno diluito con ingredienti intesi a offuscarne l’essenza: “il nostro diritto alla terra” ci ha dato il diritto di espellere rifugiati e tormentare gli occupati. I genitori hanno sgranato gli occhi increduli: sono andati a dormire con bravi bambini e si sono svegliati con truppe d’assalto. Se davvero vogliono sapere da dove i loro figli hanno ricevuto questa malvagità, dovrebbero andare nelle loro scuole e leggere i programmi, controllare cosa imparano e soprattutto ciò che non gli viene consentito di imparare.

Capiranno che puoi insegnare ai diciassettenni i diritti umani, la giustizia e l’uguaglianza di fronte alla legge, mentre come soldati gli verrà chiesto di calpestarli. Non puoi insegnare l’uguaglianza in un Paese conquistatore e spiegare cos’è un confine quando non ti viene permesso di citare la Linea Verde [che separa Israele dalla Cisgiordania, ndt.]. Forse è già troppo tardi. Forse abbiamo perso l’occasione e il fascismo non può più essere sradicato.

Come ogni movimento fascista, userà strumenti democratici per vincere, rifletterà la visione del mondo della maggioranza dell’opinione pubblica. È legittimo? Ma può il fascismo essere legittimo in un Paese democratico? L’ingresso ufficiale del fascismo nelle nostre vite è il vero messaggio delle elezioni. Si parla del processo a Netanyahu, del servizio militare di Lapid [polemica contro l’ex-primo ministro che avrebbe fatto il militare come giornalista e non in unità operative, ndt.] e non dell’elefante nella stanza. Lo si è evitato, ignorato. Dopo queste elezioni chiunque deve chiedersi se è ancora orgoglioso di essere israeliano.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Punito per aver detto la verità sull’estrema destra israeliana

Sheren Falah Saab

31 ottobre 2022 – Haaretz

Questo è ciò che è successo quando un presentatore televisivo ha osato dire la verità sulle posizioni politiche razziste di Smotrich e Ben-Gvir, sconvolgendo un ecosistema mediatico che per lo più intende ripetere i messaggi di Netanyahu e dei suoi alleati.

In questi giorni la verità disturba, soprattutto se detta nei mezzi di comunicazione israeliani. La tempesta sulle considerazioni di Arad Nir sabato nel notiziario di Channel 12 [Canale 12, rete televisiva privata israeliana, ndt.] “World Order” [Ordine internazionale] ne sono la dimostrazione assoluta. “In base ai sondaggi pubblicati questo fine settimana non c’è ancora una scelta definitiva tra il blocco leale al leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu, sotto processo per corruzione, frode e abuso d’ufficio, e la coalizione di partiti che gli si oppongono,” ha detto Nir. “E ciò persino dopo che Netanyahu ha legittimato l’estremista di destra Itamar Ben-Gvir e lo ha spinto ad allearsi con Bezalel Smotrich, che vuole che lo Stato di Israele venga governato in base alla legge della Torah, in un partito il cui nome provoca un certo disagio: Otzma Yehudit [Potere ebraico].” Nir non ha detto niente di nuovo. Al contrario, è fedele alla verità e accurato rispetto ai fatti.

Ma perché essere fedele ai fatti quando dai giornalisti di Channel 12 ci si aspetta che ripetano i messaggi del padrone, il capo dell’opposizione C e compagni? A Channel 12 sono abituati ad agire solo all’interno del quadro dei limiti prestabiliti per loro e come portavoce di Netanyahu. Nel caso di Nir è inquietante il fatto che Avi Weiss, il direttore generale di Channel 12 News, abbia richiamato e rimproverato Nir.

Cosa c’è di inquietante nelle affermazioni di Nir? Non ha fatto altro che mettere uno specchio davanti alla situazione politica di Israele ed è suffragato dai fatti, in quanto sono stati presentati in continuazione nelle discussioni politiche sui media negli ultimi due anni. Nir non ha normalizzato il razzismo e non ha glorificato il kahanismo [ideologia del defunto rabbino di estrema destra Meir Kahane, cui Ben-Gvir si ispira, ndt.]. Le sue parole sono la pura verità sulla politica israeliana e su come Netanyahu ha legittimato con le sue mani il capo di Otzma Yehudit, il deputato Itamar Ben-Gvir, e si è preso la briga di metterlo in contatto con il capo di Sionismo Religioso, Bezalel Smotrich. Ma pare che a Channel 12 temano la verità e i fatti e sia più facile agire all’interno del quadro delle “interpretazioni” funzionali solo alla narrazione del nostro padrone. Nir è stato l’unico che abbia osato sfidare le imbeccate messe sulla dei giornalisti di Channel 12, ed egli è stato redarguito e persino convocato per un chiarimento.

Di fatto è stato Channel 12, che sostiene di agire in un quadro di oggettività conservando un delicato equilibrio, che recentemente ha presentato un sondaggio che includeva la domanda: “Concordi con l’affermazione secondo cui il governo si appoggia su sostenitori del terrorismo?” [in riferimento al partito arabo-israeliano Ra’am, che faceva parte della coalizione di governo, ndt.]. Amit Segal, che ha presentato il sondaggio, si è preso la briga di spiegare: “Una maggioranza di personalità influenti lo pensa: il 47% è d’accordo, il 43% dissente.”

Segal non è stato rimproverato ed ha persino ricevuto il sostegno e la legittimazione per una domanda che molte persone pensano inciti e normalizzi il razzismo contro i cittadini arabi di Israele. Anche i partecipanti alla discussione sono rimasti in silenzio. Ciò era quello che ci si aspettava da Nir, che continuasse a stare zitto, annuisse e persino che dipingesse le azioni politiche di Netanyahu e della sua banda come liberalismo, democrazia e la volontà del popolo. Proprio ora, solo a un giorno da elezioni cruciali, è dovere di ogni giornalista rispettabile e dedito alla professione presentare la verità e i fatti, anche quando sono imbarazzanti per il direttore generale dell’impresa di notizie o per Segal.

Nir ha cercato di rompere il muro del silenzio in base al quale Channel 12 opera ed ha osato dire un’altra verità che la maggior parte della gente sceglie di ignorare riguardo a Otzma Yehudit. Nei suoi commenti sul partito Nir è stato moderato e non ha menzionato il fatto che Ben-Gvir è l’uomo che disse di Yitzhak Rabin, dopo aver strappato lo stemma dalla macchina dell’allora primo ministro: “Siamo arrivati alla sua auto, arriveremo anche a lui.” Nir non ha neppure citato le dichiarazioni di Ben–Gvir sulla cosiddetta “Legge delle Espulsioni” e i treni per trasferire parlamentari come il capo di Hadash [partito arabo-israeliano laico di sinistra, ndt.], Ayman Odeh. Non ha neppure citato, e forse è il caso di ricordarlo al direttore generale dell’impresa, quello che ha detto Smotrich lo scorso anno dal podio della Knesset [il parlamento israeliano, ndt.], rivolto ai parlamentari arabi con una dichiarazione che rappresenta assolutamente razzismo, odio e incitamento alla violenza: “Siete qui per sbaglio, perché (il fondatore e primo capo del governo di Israele David) Ben Gurion non finì il lavoro e non vi espulse nel 1948.”

Il richiamo a Nir evidenzia il meccanismo in base al quale opera Channel 12, il controllo repressivo del modo di pensare che blocca ogni possibilità di pensiero critico. L’idea del trasferimento e di una seconda Nakba [Catastrofe, cioè l’espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi nella guerra del 1947-49, ndt.] non è comparsa dal nulla, sono cose che sono state dette da Smotrich e Ben-Gvir con la legittimazione di Netanyahu, sotto processo per reati penali. Questo non è solo un rimprovero, ma la riduzione al silenzio di un giornalista che non vuole ignorare la politica di razzismo etnico di Ben-Gvir e Smotrich nè partecipare alla censura che priva i cittadini della possibilità di giudicare la realtà senza una propaganda dettata dall’alto.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Con la breakdance i giovani di Gaza danno un calcio alle paure e scaricano la tensione

Reuters

24 ottobre 2022 – Haaretz

È stato calcolato nel 2022, a Gaza circa 500.000 giovani hanno avuto bisogno di assistenza psicologica. La danza è usata in tutto il mondo come pratica terapeutica per alleviare ansia, depressione, rabbia e stress post-traumatico

In una strada del campo profughi di Nusseirat, nel centro della Striscia di Gaza, gli adolescenti si esibiscono in quei movimenti e passi della breakdance una volta condannati dalla gente del posto come immorali, ma ora visti come un modo per aiutare i giovani a gestire anni di guerra e traumi.

Le mosse, con nomi come top rock [quelle eseguite in piedi, N.d.T.] e down rock [a terra, in ginocchio o sulle mani, N.d.T.] fanno parte del programma di Ahmed Al-Ghraiz, allenatore a Gaza, che dice di usare la danza come terapia per aiutare i giovani a dare un calcio alle paure e scaricare la tensione.

Ghraiz, 32 anni, ha un certificato in studi sul disturbo post-traumatico e ha passato sette anni in Europa dove con alcuni amici ha organizzato esibizioni di breakdance che secondo lui poteva adattarsi alla situazione palestinese, in particolare a Gaza.

Un momento dell’allenamento con l’istruttore:foto di Ibraheem Abu Mustafa/Reuters

All’inizio la gente del campo aveva rifiutato la danza hip-hop, ma poi Ghraiz ha fatto vedere come avrebbe potuto far emergere nei loro figli alcuni dei problemi quotidiani e aiutarli a elaborare le loro esperienze.

“Alcuni vengono da me e mi dicono di essere stanchi, hanno l’aria smorta perché non riposano abbastanza e non dormono un sonno profondo. Ho scoperto che alcuni si tagliano e altri evitano le attività sociali,” dice Ghraiz a Reuters.

“Questo sport e questi movimenti creano una stabilità psicologica,” afferma.

foto: Ibraheem Abu Mustafa/Reuters

La danza è usata in varie parti del mondo come pratica terapeutica, accanto al counselling tradizionale e ad altre pratiche di riabilitazione, per alleviare ansia, depressione, rabbia e stress post-traumatico.

foto:Ibraheem Abu Mustafa/Reuters

Nel 2022 l’UNICEF, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, ha sostenuto che circa 500.000 minori a Gaza hanno bisogno di assistenza psicologica. I minori sono circa la metà dei 2,3 milioni dei palestinesi che popolano Gaza.

“Siamo spaventati, restiamo in casa, abbiamo paura dei rumori dei droni e delle guerre,” afferma Jana Al-Shafe, undicenne.

“Con la breakdance la nostra salute mentale è cambiata. Quando veniamo qua ci divertiamo e giochiamo con i nostri amici e il nostro umore cambia,” dice a Reuters.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




I coloni israeliani picchiano un’attivista di 70 anni minacciando di ucciderla

Yael Freidsonand  e Yaniv Kubovich

21 ottobre 2022, Haaretz

Hagar Gefen e un altro attivista stavano aiutando i palestinesi nella raccolta delle olive a sud di Betlemme quando sono stati attaccati dai coloni

Secondo le testimonianze dei volontari, mercoledì nella zona di Betlemme una donna israeliana di 70 anni e un altro attivista, che aiutavano i palestinesi a raccogliere le olive a Kisan, un villaggio a sud di Betlemme, sono stati attaccati da coloni ebrei armati di pietre e bastoni.

Hagar Gefen, 70 anni, ha affermato che, sebbene questa non sia la prima volta che è stata attaccata per aver aiutato i palestinesi nei raccolti, non immaginava di poter essere oggetto di tale violenza. Gefen è stata ferita abbastanza seriamente nell’attacco ed è stata ricoverata allospedale Shaare Zedek Medical Center di Gerusalemme con una mano e delle costole rotte, un polmone perforato e punti di sutura alla testa.

Gefen ha raccontato di essere arrivata alluliveto insieme ad altri attivisti ebrei e italiani per aiutare i palestinesi a raccogliere le olive a Kisan. “Mentre stavamo salendo, diversi ragazzi di Ma’ale Amos ci hanno inseguito. Luliveto è recintato, ma quando siamo arrivati il proprietario ha scoperto che le olive gli erano già state rubate”.

Ha aggiunto che gli attivisti hanno innaffiato gli ulivi e hanno cercato di recuperare le olive rimaste, quando hanno notato un folto gruppo di giovani con la maschera che correvano giù da una collina. “Abbiamo iniziato a scattare foto e ho detto a Michal (un altro attivista presente all’evento che è stato anche lui aggredito) ‘Fai delle foto e mandali [i ragazzi] via di qui.’ Michal ha scattato foto mentre correvano verso di noi e brandivano pietre. Ho girato dietro la collina, sono riusciti a raggiungermi e hanno lanciato grossi sassi contro di noi”.

Gefen ha detto che a questo punto i coloni l’hanno gettata a terra e hanno iniziato a picchiarla. “Mi hanno preso lo zaino e la macchina fotografica e hanno urlato che mi avrebbero ucciso e che non abbiamo il diritto di esistere in questo paese”.

Gefen non ha sporto denuncia dopo l’incidente, ma la polizia ha raccolto le testimonianze dell’attivista Michal e di altri volontari che erano sul posto. Finora la polizia non ha contattato Geffen per acquisire la sua testimonianza.

Nonostante l’attacco, Gefen ha chiarito che non intende smettere di fare volontariato in Cisgiordania. “Voglio continuare a proteggere i contadini e i pastori palestinesi”, ha detto. “Spero di tornare presto ad accompagnare i pastori nella Valle del Giordano”.

(Traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




In Cisgiordania l’esercito israeliano sta eliminando le poche regole di ingaggio che aveva

Yagil Levy

17 ottobre 2022 – Haaretz

Alla fine di marzo, a seguito di una serie di attacchi terroristici, l’esercito israeliano ha lanciato l’operazione Breaking the Wave, nel corso della quale ha fatto irruzione nelle città palestinesi per arrestare e uccidere sospetti terroristi. Secondo i resoconti delle Nazioni Unite dall’inizio dell’operazione fino alla fine di settembre Israele ha ucciso 74 palestinesi in Cisgiordania.

Questo numero di vittime non ha nulla di normale: è opportuno fare un paragone con operazione Critical Time (“Godel Hasha’a”) quando, da ottobre 2015 a marzo 2016, l’esercito agì per sopprimere l’”Intifada dei lupi solitari” – attacchi di palestinesi non ufficialmente affiliati ad alcuna organizzazione – contro israeliani nell’estate del 2015.

Come la modalità attuale, la prima risposta dell’esercito fu offensiva: raid nelle aree in cui avevano avuto origine gli attacchi.

Ma il comandante della Brigata Regionale di Giudea e Samaria [la Cisgiordania secondo la definizione israeliana, ndt.], Brig. Gen. Lior Carmeli, dichiarò che si era trattato di un fallimento “così palpabile, che abbiamo deciso di fermare questa azione offensiva nel giro di pochi giorni”.

L’esercito si rese conto che i suoi metodi non erano adatti ad affrontare attacchi disorganizzati e, secondo Carmeli, si rese conto che “le vittime [palestinesi] degli scontri sono il principale carburante per la loro continua intensificazione. Evitare questo è una delle lezioni più significative delle precedenti rivolte”.

Perciò fu pianificata una politica di “regole di ingaggio” più restrittiva. Il maggiore generale Roni Numa, all’epoca capo del comando centrale dell’IDF, si vantò “dello sforzo di schierare la forza tattica, con la capacità delle truppe da combattimento di neutralizzare un assalitore senza uccidere… in modo da ridurre il numero dei funerali che si trasformano in manifestazioni pubbliche di simpatia…”

Questa politica fu sostenuta dal capo di stato maggiore Gadi Eisenkot, che predicò moderazione, anche se sostiene che la maggior parte dei ministri spingeva per una risposta dura, ma furono frenati dall’allora Primo Ministro Benjamin Netanyahu e dal Ministro della Difesa Moshe Yaalon. Alla fine, una terza Intifada fu scongiurata. Ciò non significa che i vertici militari fossero pacifisti, ma comprendevano i limiti dell’uso della forza.

Di questo approccio restrittivo nulla è rimasto. Sotto lo shock dell’affare Azaria [il soldato che uccise a sangue freddo un palestinese a terra ferito, ndt.], l’esercito stesso ha iniziato a compiacersi del numero delle vittime. Quando Aviv Kochavi ha sostituito Eisenkot come capo di stato maggiore dell’IDF, ha fatto eco a questa tendenza utilizzando il termine “letalità” e trasformando il conteggio delle vittime in un indicatore di esito positivo.

La maggiore influenza della destra sul governo in seguito alla rimozione di Netanyahu e le critiche al cosiddetto “abbandono” dei soldati, hanno portato a un allentamento delle regole di ingaggio verso la fine del 2021, quando è diventato lecito sparare sui palestinesi che lanciano sassi e ordigni incendiari anche dopo che hanno già lanciato i sassi o la molotov.

Sempre più prigioniero dei coloni, l’esercito israeliano ha ceduto alla loro crescente violenza nei confronti dei palestinesi. La saggezza della moderazione è svanita. Un’indicazione della facilità nell’uso delle armi da fuoco può essere ricavata dai rapporti di B’tselem, che si basano in parte sui resoconti ufficiali dell’ufficio del portavoce dell’IDF e che presentano le circostanze in cui è avvenuta ogni uccisione.

Basti una sola indicazione, relativa all’uccisione di persone che avevano lanciato pietre (esclusi i casi in cui l’esercito sostiene che il defunto aveva utilizzato anche altri mezzi di aggressione) – cioè i casi in cui i soldati avrebbero potuto reagire senza uccidere.

Su 142 vittime nell’operazione 2015-2016, 7 sono state colpite da colpi di arma da fuoco dopo aver lanciato pietre, ovvero circa il 5%. In “Breaking the Wave” sono 9 dei 47 casi segnalati da B’tselem fino alla fine di luglio, ovvero circa il 20%. In tali circostanze aumentano le probabilità che gli scontri si espandano in un’operazione ampia e sanguinosa, e forse che l’Autorità Nazionale Palestinese collassi.

La condotta dei militari rafforza la conclusione che forse la differenza tra i due casi non è solo chi comanda, ma anche gli obiettivi: si cerca l’annessione a pezzi della Cisgiordania, a cominciare dall’Area C, mentre si rifiuta l’opzione di riannodare i colloqui [con l’ANP, ndt.]. Questa è l’interpretazione più probabile per la combinazione tra violenza proattiva, di cui la leadership israeliana dovrebbe conoscere il probabile esito, e paralisi diplomatica.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




“Collocate il materiale nei pozzi”: documenti puntano il dito sull’esercito israeliano per la guerra batteriologica nel 1948

Per decenni sono circolate indiscrezioni e testimonianze su truppe ebraiche mandate ad avvelenare i pozzi nei villaggi arabi. Ora i ricercatori hanno individuato la documentazione ufficiale dell’operazione ‘Getta il tuo pane’

Ofer Aderet

14 ottobre 2022 – Haaretz

Il primo aprile 1948 David Ben-Gurion scrisse nel suo diario circa “lo sviluppo della scienza e la velocità delle sue applicazioni in guerra.” Un mese e mezzo dopo scrisse di acquisti di “materiali biologici” per 2.000 dollari. Solo ora, 74 anni dopo, è venuto alla luce il collegamento tra queste due annotazioni. La storia sconvolgente che c’è dietro è stata recentemente scoperta dopo ampie ricerche d’archivio da due storici, Benny Morris e Benjamin Z. Kedar, vincitore del Premio Israele. Evidentemente gli stralci del diario dell’uomo che sarebbe diventato il primo premier di Israele sono prove del suo coinvolgimento in un’operazione segreta per avvelenare l’acqua potabile delle comunità arabe durante la Guerra di Indipendenza. 

Questa operazione era stata parzialmente rivelata decenni fa quando in quotidiani e libri furono riportate indiscrezioni e testimonianze orali di un tentativo nel 1948 da parte delle IDF [Forze di Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndt.] di avvelenare pozzi a San Giovanni d’Acri e Gaza aggiungendo batteri all’acqua potabile. Tuttavia solo ora le ricerche di Morris e Kedar hanno scoperto la “pistola fumante” sotto forma di una documentazione ufficiale. I documenti da poco scoperti mostrano che questa operazione aveva un scopo molto più ampio di ciò che si era creduto fino ad ora e che, oltre a Ben-Gurion, erano coinvolte altre figure militari e politiche di alto livello. 

Morris dice: “Abbiamo scoperto moltissime nuove informazioni. Abbiamo decifrato come l’operazione fu sviluppata nei suoi vari stadi: abbiamo scoperto chi autorizzò, organizzò e controllò l’operazione e come fu eseguita in varie zone.”. E Kedar aggiunge: “Ora abbiamo un quadro molto più completo e basato in parte sulla documentazione delle IDF”.  

Recentemente i due studiosi hanno pubblicato un articolo su Middle Eastern Studies intitolato: “‘Getta il tuo pane’: guerra batteriologica israeliana durante la guerra del 1948.” Il nome in codice dell’operazione era “Getta il tuo pane”. Naturalmente la maggior parte del materiale relativo all’episodio è censurato, ma quando Morris ha cercato negli archivi delle IDF delle citazioni riguardo all’operazione usando questo nome è stato sorpreso nello scoprire numerosi documenti. Morris scrive nell’articolo che il censore apparentemente non sapeva a cosa si riferisse il nome in codice. 
[Moshe] Dayan, che in codice si chiamava “Moshe Neptune” [Mosè Nettuno], telegrafò a Yadin [supremo comandante e capo di stato maggiore delle IDF, ndt.]: “ ‘Getta tuo pane’ verrà attivata lunedì o martedì dalla Nahshon (cioè dalle forze dell’Operazione Nahshon che includevano la Brigata Harel). Io arriverò a metà settimana con tutto il materiale.”
 

Yadin istruì i comandanti di alto grado delle IDF: “C’è un bisogno immediato di nominare nel vostro quartier generale un ufficiale incaricato delle questioni relative a ‘Getta il tuo pane’. La faccenda è della massima importanza e dovete mantenere la più grande segretezza.” 
In un altro telegramma Yadin scrisse: “Sistemate nei pozzi il materiale di tipo ‘Getta il tuo pane’.” E in un altro cablogramma: “C’è l’autorizzazione di usare B [in ebraico la lettera Bet] nelle zone che saranno evacuate da noi ([cioè, Israele)?”
 

L’operazione iniziò nell’aprile 1948 mentre crescevano i timori di un’invasione da parte degli eserciti arabi. Il piano era di avvelenare i pozzi nei villaggi arabi abbandonati e nelle località ebraiche che dovevano essere evacuate dal nascente Stato. L’idea era di impedire agli arabi di ritornare ai loro villaggi e insediarsi nei luoghi ebraici che sarebbero caduti nelle loro mani.

Inizialmente l’operazione si concentrò nella zona fra Gerusalemme e Tel Aviv, per poi espandersi ad Acri a nord e Gaza a sud. Le prove indicano che successivamente incluse, nei piani o di fatto, altre comunità come Gerico, Be’er Sheva, Ilaboun, Bidu, Beit Suriq, Beit Mahsir e Har-Tuv (dopo l’evacuazione degli ebrei). Fu anche proposta la possibilità di aggiungere bersagli fuori Israele come il Cairo e Beirut, ma non se ne fece niente. L’idea di base era ostacolare l’avanzata degli eserciti arabi.  

Morris ha trovato prove drammatiche dell’operazione negli archivi del kibbutz Na’an, in testimonianze fornite nel 1988 da un membro del kibbutz, l’archeologo Shemarya Guttman, che era un comandante della Palmach [la formazione d’elite della principale milizia sionista, l’Haganah, prima della fondazione dello Stato di Israele, N.d.T.] e importante ufficiale dell’intelligence delle IDF. Guttman raccontò come il generale Yohanan Ratner, comandante in capo che Ben-Gurion aveva destinato al comando dell’operazione, lo informò di aver mandato “due persone al confine egiziano per fare questo lavoro concernente i pozzi.” I due erano David Mizrahi ed Ezra Horin (Afgin), che partirono per la missione a Gaza il 22 maggio 1948, ma furono catturati e processati da un tribunale militare egiziano per aver avvelenato i pozzi con batteri, e successivamente giustiziati. 

Guttman riferisce di essersi opposto con tutte le sue forze all’operazione per motivi etici, ammonendo anche che avvelenare l’acqua avrebbe potuto danneggiare anche gli ebrei. “Guarda che noi potremmo conquistare questa zona domani e bere questa acqua e allora tutte le nostre armate si ammalerebbero di tifo o dissenteria,” disse a Ratner. Quando chiese un ordine scritto, la sua richiesta fu respinta. “[Ratner] mi disse: ‘Non ti darò mai una cosa simile [per iscritto].’” Guttman continua riferendo che aveva chiesto “di che materiale state parlando ‘liquido o polvere … e aveva poi deciso che sarebbe stata una polvere.’” Aggiunse anche che “i due furono presi in flagrante.” 

Un’altra testimonianza trovata da Morris e Kedar era nascosta in un’intervista data nel 2008 dall’ex ambasciatore Asher Ben-Natan allo storico Nir Mann. Ben-Natan descrisse un’altra fase dell’operazione: un tentativo di avvelenare pozzi al Cairo. Data la sua posizione nell’intelligence operativa, nell’estate del 1948 Ben-Natan era a Parigi. L’agente di intelligence Binyamin Gibli lo incontrò là e gli diede “una capsula da usare per avvelenare i pozzi al Cairo.” Ma il piano fu abbandonato e, Ben-Natan disse: “Mi lasciarono la capsula di veleno e alla fine la distrussi buttandola nella fogna.” Negli archivi delle IDF Morris e Kedar hanno trovato anche queste prove in un documento del settembre 1948, in cui Yadin scrive: “Per favore chiama presto… a proposito dell’attivazione all’estero di ‘Getta il tuo pane’.” 

I documenti mostrano che Ben-Gurion era al vertice della piramide. Sotto di lui c’era Yadin che supervisionava l’aspetto militare dell’operazione. Il comandante dell’operazione era Yohanan Ratner. Inizialmente il capo del gruppo sul terreno era Dayan, che diventò poi il capo di stato maggiore delle IDF e ministro della Difesa. I documenti indicano che Dayan prese i batteri dai Science Corps [Reparti di ricerca scientifica, N.d.T.] e li distribuì in vari punti in tutto il Paese. Anche David Shaltiel, comandante della Brigata Etzioni a Gerusalemme, era coinvolto nell’operazione. A uno stadio successivo si unì anche l’agente dell’intelligence Ezra Helmer (poi Omer, capo del personale del Dipartimento di Intelligence dell’Haganah). L’identità di un’altra persona coinvolta nell’operazione resta incerta. In alcuni cablogrammi ci si riferisce a lui come “Mizrahi.”  

All’inizio il lavoro sporco di avvelenare i pozzi fu svolto da semplici soldati come quelli del quarto battaglione della Brigata Harel. Successivamente fu affidato a membri della divisione araba del Palmach, i “mistarvim”, specializzati in operazioni di sabotaggio e assassinio in territorio nemico. 

Sul lato scientifico della produzione del veleno c’erano persone dei Science Corps Bet delle IDF, una sotto-unità dei Science Corps che si occupava di guerra batteriologica. Era capitanata da Alex Keinan che poi fondò l’Istituto Israeliano per la Ricerca Biologica a Ness Ziona. Il lavoro scientifico era supervisionato dai fratelli Katchalski (Katzir): il biofisico Ephraim Katzir, il primo comandante dei Science Corps e in seguito vincitore del Premio Israele e quarto presidente di Israele, e il fratello maggiore, lo scienziato Aharon Katzir dell’Istituto Weizmann, ucciso nell’attacco terroristico all’aeroporto di Lod del 1972. “Nell’operazione fu coinvolta anche una serie di assistenti che poi divennero docenti nelle università israeliane,” dice Morris. 

L’operazione ricordava il piano degli “Avengers” [vendicatori], guidato da Abba Kovner, per avvelenare fonti di acqua e cibo in Germania dopo la Seconda Guerra Mondiale e provocare stragi. I fratelli Katzir furono coinvolti anche in questa operazione e fornirono il veleno a Kovner, ma alla fine anche lui lo gettò in mare prima di essere arrestato dai britannici. Morris e Kedar credono che l’obiettivo dell’operazione delle IDF non fosse causare un massacro ma piuttosto di ostacolare i movimenti degli arabi. Concludendo, l’operazione non cambiò il corso della guerra. Secondo vari rapporti parecchie decine di arabi si ammalarono, specialmente ad Acri. L’operazione attirò feroci critiche all’interno del sistema, sia nelle IDF che fra i leader del Yishuv [la comunità dei coloni ebrei residenti in Palestina prima della nascita dello stato di Israele, N.d.T.], in parte perché violava il Protocollo di Ginevra del 1925 che vietava “l’uso della guerra batteriologica.” 

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Un dodicenne palestinese è morto due settimane dopo essere stato colpito dal fuoco dell’esercito israeliano a Jenin, afferma il ministero della Sanità

Jack Khoury

10 ottobre 2022 – Haaretz

Il ragazzo ha subìto una ferita d’arma da fuoco allo stomaco dal fuoco letale dell’esercito israeliano durante un’incursione a Jenin lo scorso mese

Il ministero della Sanità palestinese ha affermato che lunedì è morto a causa delle lesioni riportate un ragazzo palestinese di 12 anni, gravemente ferito dal fuoco dell’esercito istaeliano alla fine dello scorso mese.

Il ragazzo dodicenne, identificato come Mahmoud Mohammad Samoudi, è stato ferito nel corso di una incursione militare israeliana a Jenin durante la quale quattro persone sono state uccise e altre 43 ferite.

La morte di Samoudi avviene dopo che quattro altri adolescenti sono stati uccisi dal fuoco militare israeliano in diverse operazioni effettuate in Cisgiordania durante il fine settimana.

Il 28 setttembre le forze israeliane sono entrate a Jenin ed hanno circondato la casa dove aveva vissuto Raad Hazem, il palestinese che ha ucciso tre persone in aprile durante un attacco terroristico, ed hanno ucciso suo fratello Fathi e altri tre ricercati nel campo profughi di Jenin.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




L’esercito israeliano chiude Nablus a seguito di mortali attacchi a mano armata

Agar Shezaf,Yaniv Kubovich,Yael Freidson

12 ottobre 2022 – Haaretz

L’IDF ritiene che la maggior parte dei responsabili degli attacchi con armi da fuoco avvenuti nell’ultima settimana in Cisgiordania provenissero da Nablus e siano fuggiti in città dopo aver compiuto gli attacchi; I negozi e le attività commerciali palestinesi a Gerusalemme est hanno chiuso mercoledì per protestare contro le incursioni della polizia israeliana

Mercoledì l’esercito israeliano ha chiuso tutti gli ingressi alla città di Nablus, in Cisgiordania, limitando l’ingresso e l’uscita a sole tre località, effettuando controlli di sicurezza.

La decisione di bloccare gli ingressi si basa sulla valutazione dell’esercito secondo cui la maggior parte dei responsabili dei recenti attentati in Cisgiordania proverrebbero dalla città e in seguito vi si sarebbero rifugiati.

Alcune delle strade principali della città sono state bloccate da cumuli di terra. L’esercito non ha confermato la durata dei blocchi. Secondo l’IDF [le forze armate israeliane, ndt.] i soldati israeliani sono schierati fuori città e entreranno solo se ci saranno prove concrete che stia per avere luogo un attacco terroristico.

A Nablus vivono circa 170.000 persone. È una delle città più grandi della Cisgiordania e funge da polo commerciale regionale. Il blocco della città è inusuale e sconvolge in modo significativo la vita dei suoi abitanti.

Inoltre l’esercito non ha ancora deciso se consentire ai fedeli [ebrei, la tomba è luogo di culto per questi ultimi, ndt.] di entrare mercoledì nella tomba di Giuseppe a Nablus. Inizialmente era previsto un ingresso di massa al sito, ma ora sembra che sarà consentito solo un ingresso limitato e subordinato a una valutazione della situazione.

Martedì il sergente Ido Baruch è stato ucciso a colpi di arma da fuoco in una postazione dell’IDF vicino all’insediamento di Shavei Shomron, a nord di Nablus. I filmati di sicurezza hanno mostrato che gli spari provenivano da un veicolo di passaggio. I responsabili sono ancora latitanti.

L’organizzazione “Lion’s den” [la fossa del Leone, ndt] con sede a Nablus, che comprende centinaia di giovani di varie organizzazioni palestinesi, si è attribuita la responsabilità della sparatoria e ha affermato che questo è solo l’inizio dei “giorni della rabbia”.

Baruch è il secondo soldato ucciso in quattro giorni, dopo che la sergente Noa Lazar era stata uccisa a colpi d’arma da fuoco al checkpoint di Shoafat a Gerusalemme est sabato. Nell’incidente un’altra guardia di sicurezza è rimasta gravemente ferita. La caccia al palestinese sospettato della sparatoria continua.

Mercoledì scorso le forze dell’IDF e dello Shin Bet [servizio di intelligence interna israeliano, ndt.] hanno arrestato un palestinese sospettato di essere coinvolto nella sparatoria contro un autobus e un taxi israeliani vicino a Nablus domenica scorsa. In una manifestazione di coloni israeliani tenutasi vicino a Nablus dopo l’attacco, un soldato dell’IDF è stato leggermente ferito da un colpo di arma da fuoco contro i manifestanti.

Palestinesi in sciopero a Gerusalemme est per i raid della polizia

Mercoledì i negozi e le attività commerciali palestinesi a Gerusalemme est hanno chiuso per protestare contro i raid della polizia israeliana nell’area che hanno provocato aspri scontri tra polizia e manifestanti palestinesi.

La polizia israeliana ha operato nel campo profughi di Shoafat, nella zona orientale di Gerusalemme, per dare la caccia a un sospettato di aver compiuto un attacco mortale a un posto di blocco che domenica [in realtà sabato, ndt.] ha ucciso un soldato.

La polizia ha rastrellato Shoafat, un misero campo per rifugiati palestinesi alla periferia di Gerusalemme, per cercare il sospettato allestendo posti di blocco e schierando gruppi di agenti armati per interrogare i residenti. La massiccia presenza della polizia ha scatenato intensi scontri con i giovani locali. I posti di blocco hanno ostacolato i punti di ingresso e di uscita dall’area, disturbando la vita quotidiana degli abitanti.

Uno sciopero generale è stato indetto per protestare contro la repressione. Scuole e negozi sono rimasti chiusi in tutta Gerusalemme Est, inclusa la Città Vecchia, i cui pittoreschi negozi che si rivolgono sia ai turisti che alla gente del posto solitamente brulicano di vita.

“Mostrare solidarietà con Shoafat è più importante dell’incasso di una giornata”, ha detto Anan Sabah, un macellaio della Città Vecchia. “Il campo è chiuso e circondato da giorni. Abbiamo chiuso i negozi per affermare che si tratta di una punizione collettiva”.

La tensione tra israeliani e palestinesi è alle stelle, soprattutto a Gerusalemme, migliaia di fedeli ebrei si stanno riversando in questa città cruciale in occasione della settimana di festa di Sukkot [la festa delle capanne, una delle più importanti ricorrenze del calendario religioso ebraico, ndt.].

La Associated Press ha contribuito a questo articolo.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)