Il sentore di antisemitismo nel discorso di Abbas non cambia il suo appoggio alla soluzione dei due Stati

Amira Hass

2 maggio 2018, Haaretz

Il discorso del presidente davanti al Consiglio Nazionale Palestinese ha rispecchiato il suo stile autoritario e il suo rifiuto di ascoltare le critiche.

La storia degli ebrei è stata imposta ai palestinesi e quindi questi ultimi l’affrontano in ogni occasione. Tutti i palestinesi si vedono come legittimati, e in effetti lo sono, a proporre la storia della propria terra e del proprio popolo – come un contrappeso rispetto alla narrazione sionista.

Questo è quanto fa anche il presidente palestinese Mahmoud Abbas nei suoi discorsi durante incontri pubblici, e lo ha fatto di nuovo lunedì pomeriggio all’apertura della 23^ sessione, attesa da tempo, del Consiglio Nazionale Palestinese, che dovrebbe essere il parlamento di tutti i palestinesi.

La sintesi di Abbas della storia di Israele è che la fondazione di uno Stato per gli ebrei è stato un progetto colonialista intrapreso da Nazioni cristiane e che i fautori del progetto erano antisemiti che non volevano che gli ebrei vivessero nei loro Paesi. Ma la legittima sintesi del presidente palestinese contiene imbarazzanti errori, importanti omissioni e anche un’opinione con un forte sentore di antisemitismo: in Europa gli ebrei erano odiati non per la loro religione, ma a causa delle loro attività che riguardavano l’usura e le banche.

Questa insistenza nel cadere nella trappola di dichiarazioni che aiutano l’hasbara (diplomazia pubblica) israeliana, che inoltre ignora totalmente i suoi importanti messaggi riguardanti il cammino verso la pace, rivela qualcosa riguardo all’uomo ed al suo stile di governo: è fermo sulle le sue posizioni, non ascolta le critiche e non si consulta con altri – oppure sceglie consiglieri che non gli dicano niente che lui non voglia sentire. Inoltre sceglie di essere aggiornato solo su quello che gli conviene.

Queste sono alcune delle caratteristiche di cui Abbas ha avuto bisogno per riuscire a diventare il leader autoritario di Fatah, dell’OLP [Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ndt.] e dell’Autorità Nazionale Palestinese, insieme al suo controllo delle finanze e all’appoggio che continua a ricevere dai Paesi europei grazie al fatto di rimanere legato agli accordi di Oslo. Queste caratteristiche gli hanno consentito di continuare con quello che aveva iniziato Yasser Arafat: svuotare l’OLP del suo contenuto che riuniva tutti i palestinesi e, in pratica, subordinarla all’ANP. 

In quanto unico governante, Abbas ignora costantemente le decisioni delle istituzioni rappresentative. Di conseguenza il coordinamento sulla sicurezza tra gli apparati di sicurezza palestinese e Israele continua, nonostante le decisioni di porvi fine prese negli scorsi anni da Fatah e dall’OLP.

La parte storiografica del discorso di Abbas di lunedì non è quella importante. La sua sottesa minaccia agli abitanti della Striscia di Gaza e ad Hamas di aver intenzione di non includerli più nel bilancio dell’ANP o di ridurre ulteriormente la quota che li riguarda, è molto più importante e ha preoccupanti conseguenze per il futuro.

Il presidente dell’ANP ha anche rilevato che “quelle che vengono chiamate Primavere Arabe” sono state notizie false, inventate dall’America come mezzo per smantellare i Paesi arabi. Una simile dichiarazione mostra un fondamentale, profondo disprezzo per le rivolte popolari e una sottovalutazione delle sofferenze dei civili sotto i loro regimi autoritari.

Data questa mancanza di rispetto, le affermazioni di Abbas secondo cui la strada per uno Stato palestinese passerà attraverso una lotta popolare (non armata) contro l’occupazione israeliana insieme ad iniziative diplomatiche possono essere interpretate come niente più che dichiarazioni di circostanza. Una lotta popolare è molto più di manifestazioni in aree di conflitto contro l’esercito israeliano e, come hanno detto importanti membri di Fatah, richiede un cambiamento fondamentale nell’atteggiamento dell’ANP verso gli accordi di Oslo. Il messaggio implicito dei giudizi di Abbas sulle Primavere Arabe è che, finché rimarrà al potere, un simile cambiamento non avverrà.

La sintesi storiografica di Abbas termina con questa conclusione: “Noi diciamo: non li espelleremo. Noi diciamo: vivremo insieme a voi sulla base dei due Stati.”

Nelle sue considerazioni ha ripetuto alcune volte che “ci impegniamo” per questa soluzione del conflitto con Israele (cioè all’interno dei confini del 1967), con Gerusalemme est come capitale dello Stato di Palestina. Qui il suo autoritarismo consente ad Abbas di attenersi a una soluzione a lungo proposta che ha perso il suo senso e la sua logica, soprattutto agli occhi della generazione più giovane.

Abbas ha affermato di basare le proprie opinioni su autori ebrei, e persino sionisti, a iniziare da Arthur Koestler il “sionista,” ha sottolineato, e sulla tesi proposta nel libro di Koestler “La tredicesima tribù”, secondo la quale gli ebrei askenaziti sarebbero discendenti del popolo khazaro [vissuto tra il Caucaso e l’Ucraina orientale fino al XIII secolo e convertitosi nel VIII secolo all’ebraismo, ndt.]. Questo popolo non è semita, ha affermato Abbas: “Non hanno alcun rapporto con i (popoli) semiti o con i nostri signori Abramo e Giacobbe.”

Questi ebrei (in altre parole, i khazari convertiti), ha aggiunto, si sono spostati nell’Europa orientale ed occidentale e, ogni 10 o 15 anni, hanno patito un massacro in un Paese o nell’altro, dall’XI secolo fino all’Olocausto. “E perché ciò è successo? Diranno “perché siamo ebrei”. E io vorrei presentare tre ebrei in tre libri, e sono: Giuseppe Stalin…”

A questo punto del discorso di Abbas, che avrebbe dovuto spiegare che gli ebrei sono stati perseguitati a causa delle loro attività nell’usura e nelle banche, c’è stato un mormorio; qualcuno gli ha sussurrato che Stalin non era ebreo. Nel testo scritto del discorso di Abbas di lunedì, rilasciato dall’agenzia ufficiale di notizie palestinese Wafa, Stalin era di nuovo definito un “autore ebreo.”

In seguito nel testo erano citati i nomi di “Abraham e Yishaq Notsherd” – due personaggi che chi scrive non conosce. Durante lo sproloquio del presidente dell’ANP, diffuso dal vivo sul canale palestinese, sembra che egli abbia detto Isaac Deutscher, uno storico marxista.

Abbas ha anche sottolineato che la fondazione di uno Stato per gli ebrei in Palestina è nata come idea dei cristiani e di statisti come Cromwell e Napoleone, e del “console americano a Gerusalemme nel 1850.” Prima che Arthur Balfour stilasse la sua famosa dichiarazione [che impegnò l’impero britannico a favorire la costituzione di un “focolare ebraico” in Palestina, ndt.], ha detto Abbas, “egli aveva preso una decisione che avrebbe impedito l’ingresso degli ebrei in Gran Bretagna a causa del suo odio per loro” Si stava in realtà riferendo all’ “Aliens Act” [legge sugli stranieri] approvato nel 1905 dal parlamento inglese, quando Balfour era primo ministro. La legge limitava l’immigrazione da luoghi che non facessero parte dell’impero britannico ed intendeva essere una risposta all’immigrazione di massa di ebrei, in particolare dall’Europa orientale dal 1880 [in seguito a pogrom nell’impero zarista, ndt.]).

Tale interpretazione della dichiarazione Balfour e il suo rapporto con l’avversione di Balfour verso gli ebrei non è infrequente. Abbas non ha mancato di citare l’“Accordo di trasferimento” tra le autorità naziste e l’Agenzia Ebraica (o con la banca Anglo-Palestinese di Gerusalemme, come ha detto Abbas), che consentì ad ebrei benestanti di emigrare dalla Germania in Palestina.

Abbas non cambierà. Durante i quattro giorni di riunione del CNP, risulterà chiaro se i suoi critici si sono sbagliati quando hanno detto che egli aggraverà la divisione interna tra i palestinesi e, in pratica, seppellirà definitivamente l’OLP come organizzazione pluralistica e di tutti i palestinesi.

La sua implicita minaccia agli abitanti di Gaza e ad Hamas secondo cui intende smettere di includerli nel bilancio dell’ANP è più rilevante.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Israele contro Iran: Venti di guerra a Gerusalemme – con il sostegno di Washington

Amos Harel

1 maggio 2018, Haaretz

Israele è determinato a estromettere l’Iran dalla Siria, ma se sbaglia i calcoli, Hezbollah e Hamas potrebbero accettare la sfida. Netanyahu è pronto a correre dei rischi – a un passo dal gioco d’azzardo.

Dopo l’attacco alla Siria attribuito a Israele nella notte di domenica, perlomeno il quinto da settembre, sembra che non ci sia spazio al dubbio. Israele è determinato a sradicare la presenza militare iraniana dalla Siria.

Dopo il precedente attacco alla base aerea T4 vicino a Homs il 9 aprile, in cui morirono 14 persone inclusi sette membri del Corpo delle guardie rivoluzionarie iraniane, l’Iran minacciò gravi ritorsioni. Lo stato maggiore di difesa israeliano si preparò di conseguenza, ma finora non era successo nulla. Invece, ora è stato inflitto un altro attacco agli interessi iraniani in Siria.

In base ai rapporti siriani, il raid [israeliano] sugli obiettivi militari tra Hama e Aleppo nel nord della Siria ha causato forti esplosioni – una fonte ha riferito che sembrava ci fosse un piccolo terremoto. Alcuni furono uccisi, apparentemente soldati siriani e miliziani sciiti pro-iraniani.

La scorsa settimana la rete televisiva CNN ha riferito che lo spionaggio americano e israeliano sta controllando i movimenti in Siria delle armi iraniane che potrebbero essere utilizzate per “chiudere i conti” con Israele. L’attacco di domenica notte – questa volta, con tanta forza – potrebbe rivelare che è stato colpito un grosso deposito di armi. E ciò potrebbe confermare il tentativo di sventare una potenziale reazione iraniana.

Con l’Iran a nord di Israele lo scontro è diretto: Israele ha tracciato un limite ed è pronto a farlo rispettare con la forza. Poiché gli iraniani si oppongono sia alla proibizione di Israele alla sua presenza che ai mezzi che Israele sta usando, in assenza di un mediatore tra le parti, questo conflitto potrebbe ancora intensificarsi. La settimana è appena all’inizio.

Paura di provocare Trump

Nell’ultimo anno, due tendenze sono diventate evidenti in Medio Oriente: il presidente siriano Bashar Assad ha vinto la sanguinosa guerra civile in Siria e gli Stati Uniti stanno ridimensionando la propria presenza nella regione. Anche il loro recente attacco punitivo contro il regime di Assad è stato percepito come un gesto simbolico di addio. Nel frattempo, stanno prendendo forma altre due tendenze: lo sforzo di Israele di espellere l’Iran dalla Siria e Washington che si prepara a una risoluzione per abbandonare l’accordo nucleare tra l’Iran e le potenze [occidentali], che dovrebbe avvenire intorno al 12 maggio.

Il governo del primo ministro Benjamin Netanyahu sembra stabilire una relazione fra le ultime due tendenze. L’idea è che l’Iran si stia trattenendo dal reagire contro Israele per le ultime presunte mosse in Siria perché ha paura di commettere un errore che provocherebbe la rabbia degli Stati Uniti. Secondo questo punto di vista, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump potrebbe rispondere all’escalation tra Iran e Israele abbandonando l’accordo nucleare ancora prima, e in seguito potrebbe persino attaccare i siti nucleari iraniani (il che sarebbe incalcolabilmente più grave di un ipotetico attacco israeliano). Le autorità di Teheran sono anche preoccupate per le varie minacce interne, dalla crisi finanziaria alle accese manifestazioni di protesta. Apparentemente la conclusione logica è che Israele possa continuare a colpire gli iraniani in Siria a suo piacimento.

In effetti, gli Stati Uniti agiscono in modo molto diverso rispetto ai giorni di Obama. Il Segretario di Stato Mike Pompeo è venuto in Israele dopo aver assunto l’incarico ed è partito per la Giordania poco prima che arrivassero le prime notizie degli attacchi israeliani in Siria. Contemporaneamente, Trump e Netanyahu si sono parlati per telefono, discutendo, come riferito, anche dell’Iran. Si tratta chiaramente di un riconoscimento da parte di Washington dei venti di guerra che soffiano a Gerusalemme. Si potrebbe pensare che se Pompeo avesse potuto rimanere in Israele qualche ora in più, gli avrebbero suggerito di saltare in una cabina di pilotaggio e sparare lui stesso alcuni missili.

Nel frattempo, Netanyahu, come abbiamo scritto alcune settimane fa, è di un umore particolarmente trumpiano, molto diverso dal suo comportamento normale. L’attenzione agli incidenti riguardo alla sicurezza ha superato anche la preoccupazione per le lotte politiche all’interno della coalizione. È pronto ad affrontare rischi inediti, al limite del gioco d’azzardo. Stranamente, lo stato maggiore della difesa è con lui. Contrariamente all’acceso contrasto dell’inizio del decennio [2010] sul bombardamento dei siti nucleari in Iran, questa volta i capi della difesa israeliana portano avanti una linea dura e aggressiva riguardo alla presenza dell’Iran in Siria.

La seccante ma necessaria domanda di questa mattina è cosa succede se Israele sbaglia una mossa.

È vero, l’Iran adesso non vuole importunare gli Stati Uniti. È piuttosto occupato a proteggere il suo programma nucleare da ulteriori pressioni ed è interessato a esibire la sua capacità di colpire in Siria. Un combattimento in Siria non andrebbe bene nemmeno ai russi che sono intenzionati a ristabilire il regime di Assad.

Ma i calcoli di Israele potrebbero saltare se le fiamme in Siria divampassero fuori controllo, e se l’Iran decidesse, smentendo le ipotesi, di trascinare Hezbollah nel conflitto, per esempio dopo le elezioni libanesi del 6 maggio. Hezbollah ha acquisito in Siria un’esperienza largamente operativa. Ha un arsenale di oltre 100.000 fra missili e razzi. Hezbollah non è certamente più forte delle Forze di Difesa Israeliane, ma in caso di guerra, potrebbe provocare danni reali sul fronte interno israeliano, e i combattimenti a terra in Libano potrebbero costare cari all’esercito israeliano.

Un conflitto del genere potrebbe coinvolgere Hamas a Gaza, come il ministro della Difesa Avigdor Lieberman ha ripetutamente segnalato (sembra esserci una discrepanza tra i toni sicuri espressi da Gerusalemme, tra cui quelli di Lieberman, in pubblico, e le loro reali paure). Finora Israele è riuscito a stabilire e mantenere un coordinamento con l’aviazione russa per prevenire qualsiasi attrito nei cieli siriani. Ma, a un certo punto, non potrebbe Mosca decidere che è stufa di ricevere diktat da Gerusalemme?

Israele ha uno scopo comprensibile in Siria. La presenza dell’Iran sta diventando potenzialmente pericolosa e potrebbe in futuro bloccare l’esercito israeliano. Eppure, stamattina, bisogna farsi alcune domande. L’obiettivo di espellere tutte le forze iraniane dalla Siria è davvero raggiungibile, come sembrano pensare il primo ministro, il ministro della Difesa e il capo dello stato maggiore? Stanno considerando che le cose possano andare storte, sfociando in un conflitto più vasto dal costo molto più alto? Finora non c’è stata alcuna vera discussione in merito, né è emerso alcun dibattito sulla politica che sta prendendo forma al nord – non nel governo né tra i vertici della sicurezza.

( Traduzione di Luciana Galliano)




Come il Mossad compie i suoi omicidi

Ali Younes

22 aprile 2018, Al Jazeera

La sparatoria mortale in Malaysia rivela la politica dei servizi segreti israeliani di omicidi mirati degli attivisti palestinesi.

L’omicidio dello scienziato palestinese trentacinquenne Fadi al-Batsh nella capitale malese Kuala Lumpur ha rivelato il programma riservato di uccisioni mirate di palestinesi considerati da Israele una minaccia.

Al-Batsh studiava ingegneria elettrica a Gaza prima di iniziare il Dottorato di Ricerca nella stessa disciplina in Malaysia.

Era specializzato in sistemi elettrici e risparmio energetico, e aveva già pubblicato numerosi articoli scientifici sull’argomento.

Hamas, il partito leader a Gaza, ha affermato che al-Batsh era un membro importante del partito e ha accusato l’agenzia di intelligence Mossad di essere responsabile di quanto accaduto sabato.

Chiamandolo membro “leale”, Hamas ha definito al-Batsh uno degli “scienziati della gioventù palestinese” che ha offerto “importanti contributi” e partecipato a convegni internazionali nel campo dell’energia.

Parlando ad al Jazeera, il padre di al-Batsh ha concentrato i suoi sospetti sul Mossad come responsabile dell’uccisione di suo figlio e si è appellato alle autorità malesi affinché portassero quanto prima a termine le indagini sull’assassinio.

Secondo il giornalista investigativo israeliano Ronen Bergman, uno dei principali esperti di intelligence israeliano e autore del libro Rise and Kill First, [Muoviti e uccidi per primo]l’uccisione di al-Batsh presenta tutti i tratti di un’operazione del Mossad.

Il fatto che gli assassini abbiano usato una motocicletta per colpire il loro obiettivo, già usata in molte operazioni del Mossad, e il fatto che sia stato un colpo preciso e fuori da Israele, fa sospettare il coinvolgimento del Mossad”, ha detto Bergman ad al Jazeera in un’intervista telefonica.

Identificazione dell’obiettivo

All’interno del Mossad, la più vasta società di intelligence israeliana L’identificazione di un obiettivo da eliminare in genere coinvolge diversi elementi a livello istituzionale e organizzativo, e la leadership politica.

A volte l’obiettivo è identificato da altri servizi militari o degli interni israeliani.

Per esempio, al-Batsh potrebbe essere stato identificato come obiettivo da diverse agenzie di intelligence per mezzo di unità all’interno di organizzazioni israeliane militari e di spionaggio che controllano Hamas.

Al-Batsh potrebbe anche esser stato identificato attraverso altre operazioni di spionaggio israeliano o tramite la rete di spie israeliane in tutto il mondo.

Alcune fonti hanno confermato ad al Jazeera che i contatti tra Gaza, Istanbul (Turchia), e Beirut (Libano), sono strettamente monitorati dalla rete di spionaggio israeliana. Dunque, una prima “selezione” di al-Batsh potrebbe essere stata fatta attraverso questi canali.

Gli amici di al-Batsh che hanno parlato con al Jazeera in forma anonima hanno affermato che il dottorando non aveva mai nascosto i suoi legami con Hamas.

Era conosciuto nella comunità palestinese per i suoi legami con Hamas”, ha detto un amico.

La procedura dell’omicidio

Una volta che al-Batsh fosse identificato come obiettivo, il Mossad avrebbe valutato se fosse necessario ucciderlo, quali ne fossero i benefici, e il modo migliore per farlo.

Quando l’unità specializzata del Mossad ha terminato la sua ricerca sull’obiettivo, porta i suoi risultati alla dirigenza della Commissione per i Servizi di Intelligence, che comprende i direttori delle organizzazioni di spionaggio israeliani e sono conosciute con l’acronimo ebraico VARASH, Vaadan Rashei Ha-sherutim.

VARASH discute dell’operazione e apporta suggerimenti.

Tuttavia, non ha l’autorità legale per approvare un’operazione.

Solo il primo ministro israeliano ha l’autorità di prendere tale decisione.

Bergman ha affermato che i premier israeliani solitamente preferiscono non prendere da soli tali decisioni per ragioni politiche.

Spesso il primo ministro coinvolge uno o due ministri per approvare un’operazione del genere, e sovente comprende il ministro della difesa,”.

Una volta ottenuto il via libera, l’operazione torna al Mossad per la pianificazione ed esecuzione, che potrebbe richiedere settimane, mesi o addirittura anni, a seconda dell’obiettivo.

L’unità Cesarea

La Cesarea è un’unità sotto copertura del Mossad che si occupa di addestrare e gestire spie principalmente nei paesi arabi e in tutto il mondo.

L’unità fu fondata nei primi anni Settanta, e uno dei suoi creatori fu la famosa spia israeliana Mike Harari.

Cesarea utilizza la sua vasta rete di spie negli Stati arabi, e più diffusamente in Medio Oriente, per raccogliere informazioni e sorvegliare attuali e futuri obiettivi.

Harari ha poi fondato l’unità più spietata di Cesarea, nota in ebraico come Kidon (“la baionetta”), composta da killer professionisti specializzati in omicidi e sabotaggi.

I membri di Kidon spesso provengono da settori dell’esercito israeliano, comprese le forze speciali.

Probabilmente sono stati proprio membri di Kidon a uccidere al-Batsh a Kuala Lumpur, secondo alcune fonti di al Jazeera.

Il Mossad non punta solamente a leader e attivisti palestinesi, ma anche a siriani, libanesi, iraniani ed europei.

Gli omicidi mirati

Cesarea è l’equivalente del Centro di Attività Speciali (CAS), della CIA, che veniva definito Divisione Attività Speciali prima della sua riorganizzazione e cambio di nome nel 2016.

La CIA conduce le sue missioni paramilitari top-secret, compresi omicidi mirati, attraverso il Gruppo per le Operazioni Speciali, che è parte del CAS e ha alcune somiglianze con il Kidon.

Bergman scrive che, fino al 2000, anno della seconda Intifada nei Territori Occupati, Israele ha commesso più di 500 operazioni omicide, causandola morte di più di un migliaio di persone, compresi gli obiettivi e i passanti.

Durante la seconda Intifada, Israele ha condotto più di 1000 operazioni, di cui 168 con successo, ha scritto Ronen Bergman nel suo libro.

Da allora, Israele ha condotto almeno altre 800 operazioni con lo scopo di uccidere civili appartenenti ad Hamas e leader militari nella Striscia di Gaza e all’estero.

La cooperazione araba con il Mossad

Il Mossad mantiene collegamenti formali di tipo organizzativo e storico con un certo numero di servizi segreti arabi, in particolare con agenzie di spionaggio giordane e marocchine.

In tempi più recenti, in seguito a un mutamento nelle alleanze nella regione e alla crescente minaccia di attori non statali, il Mossad ha allargato i suoi legami con le agenzie di intelligence arabe, includendo un certo numero di Stati del Golfo arabo e l’Egitto.

Il Mossad ha la sua principale struttura organizzativa per le operazioni mediorientali nella capitale giordana Amman.

Quando il Mossad tentò di assassinare il leader di Hamas Khaled Meshaal ad Amman nel 1997, spruzzandogli una dose letale di veleno nell’orecchio, l’episodio ha rischiato di far revocare all’anziano re Hussein l’accordo di pace con Israele, e di far chiudere la sede dell’agenzia di spionaggio ad Amman, oltre che di interrompere i collegamenti tra il Mossad e la Giordania al punto che Israele fornì l’antidoto che salvò la vita di Meshaal.

Nel suo libro, Bergman cita fonti del Mossad per affermare che il Generale Samih Batikhi, il capo dello spionaggio giordano dell’epoca, si arrabbiò con il Mossad che non l’aveva tenuto informato sul tentato omicidio poiché voleva organizzare congiuntamente l’operazione.

Un altro paese arabo che ha forti legami con il Mossad fin dagli anni Sessanta è il Marocco, secondo le ricerche di Bergman.

Il Marocco ha ricevuto notevole assistenza di intelligence e tecnica da Israele, e in cambio, l’anziano re Hassan ha permesso agli ebrei marocchini di emigrare in Israele, e il Mossad ha avuto il diritto di stabilire un’agenzia permanente nella capitale Rabat, da cui spiare i paesi arabi”, scrive Bergman.

L’operazione raggiunse il suo apice quando il Marocco permise al Mossad di spiare le sale di riunioni e le camere private dei capi di stato arabi e dei loro comandanti militari durante il summit della Lega Araba nel 1965.

Il summit era stato convocato per organizzare il comando militare unificato.

I metodi della CIA e del Mossad

Diversamente dal Mossad e da altre organizzazioni di intelligence israeliane che hanno un certo margine di decisione nel decidere chi uccidere, la CIA americana utilizza uno strenuo processo legale a più livelli, coinvolgendo l’ufficio del consiglio generale della agenzia, il ministero di giustizia statunitense, e l’ufficio del consiglio legale della Casa Bianca.

L’esecuzione di un’operazione concernente un omicidio mirato da parte della CIA dipende dall’autorizzazione presidenziale, rilasciata con un documento legale spesso redatto dall’ufficio del consiglio generale della CIA e dal dipartimento di giustizia.

L’autorizzazione presidenziale fornisce autorità legale con cui la CIA può eseguire la sua missione di omicidio mirato.

Un processo di revisione che coinvolge diverse agenzie, condotto principalmente da giuristi del dipartimento di giustizia, dalla Casa Bianca e dalla CIA, deve aver luogo prima che il presidente firmi l’autorizzazione.

Si stima che Barack Obama, in qualità di presidente degli Stati Uniti, autorizzò circa 353 operazioni di omicidi mirati, soprattutto per mano di droni.

Il suo predecessore George W Bush ne autorizzò circa 48.

Il processo legale

Un ex ufficiale della CIA ha detto ad al Jazeera, in modo anonimo, che “la CIA non decide chi uccidere”.

Il processo legale rende davvero difficile alla CIA l’uccisione di qualcuno solo perché la CIA pensa che sia un nemico”, ha affermato.

La maggior parte degli omicidi mirati della CIA coinvolgono l’uso di droni e sono attuate su autorizzazione presidenziale.

Parlando con al Jazeera, Robert Baer, un ex funzionario operativo della CIA, ha detto: “la Casa Bianca deve firmare per ogni omicidio mirato, soprattutto se è un obiettivo molto pericoloso”.

È un caso diverso, tuttavia, se l’operazione è condotta sul campo di battaglia o durante un conflitto, come in Afghanistan o in Iraq, caso in cui gli ufficiali sul campo hanno più potere legale per portare a compimento i loro omicidi mirati”.

Per il Mossad, la legittimità dell’omicidio di unqualunque obiettivo è più larga e non coinvolge elementi legali simili a quelli della CIA, secondo fonti a conoscenza del procedimento.

Fa parte della politica nazionale”, ha concluso Baer, riferendosi alla politica israeliana degli omicidi mirati.

( Traduzione di Veronica Garbarini)




La copertura dei media: difendere Israele è una questione di politica

Ramzy Baroud

18 aprile 2018, Palestine Chronicle

Il termine “parzialità dei media” non rende giustizia del rapporto

che i mezzi di comunicazione occidentali hanno con Israele e la Palestina. Che è, infatti, molto peggio della semplice tendenziosità. Non è neppure una questione di ignoranza. È una campagna premeditata e di lunga durata, intesa a proteggere Israele e a demonizzare i palestinesi.

L’attuale scandalosa informazione sulle proteste popolari mostra come la posizione dei media tenda a cancellare la verità sulla Palestina, ad ogni costo e con ogni mezzo. La simbiosi politica, l’affinità culturale, Hollywood, la capillare influenza dei gruppi filoisraeliani e sionisti nei circoli politici e mediatici occidentali sono alcune delle ragioni che molti di noi hanno dato sul perché Israele sia spesso visto con occhi comprensivi e i palestinesi e gli arabi condannati.

Ma queste spiegazioni non sono ancora sufficienti, Attualmente ci sono vari canali di informazione che cercano di compensare lo sbilanciamento, molti dei quali mediorientali, ma anche di altre parti del mondo. Giornalisti, intellettuali e personalità della cultura palestinesi ed arabi sono presenti come mai prima sulla scena mondiale perfettamente in grado di fronteggiare, se non sconfiggere, il discorso filoisraeliano dei media.

Tuttavia sono in gran parte invisibili ai mezzi di comunicazione occidentali: è il portavoce israeliano che continua ad occupare il centro della scena, parlando, urlando, teorizzando e demonizzando a suo piacere.

Non è dunque una questione di ignoranza dei media, ma una politica.

Anche prima del 30 marzo, quando parecchi palestinesi di Gaza sono stati uccisi e migliaia feriti, i mezzi di comunicazione USA e britannici, per esempio, avrebbero dovuto quanto meno chiedere perché a centinaia di cecchini israeliani e carri armati dell’esercito sia stato ordinato di schierarsi sul confine di Gaza per affrontare manifestanti palestinesi.

Invece hanno parlato di scontri tra giovani di Gaza e cecchini, come se fossero forze equivalenti in una battaglia ad armi pari.

I media occidentali non sono ciechi. Se la gente comune è sempre più in grado di vedere la realtà riguardo alla situazione in Palestina, esperti giornalisti occidentali non possono ragionevolmente non vederla. Sanno, ma scelgono di rimanere in silenzio.

Il principio secondo cui la propaganda ufficiale israeliana, o “hasbara”, è troppo scaltra non basta più. Nei fatti non è neanche tanto vero.

Dov’è la scaltrezza nel modo in cui l’esercito israeliano ha spiegato l’uccisione di palestinesi disarmati a Gaza?

Ieri abbiamo visto 30.000 persone,” ha tweettato l’esercito israeliano il 31 marzo. ”Siamo arrivati preparati e con i rinforzi necessari. Niente è stato fatto per caso; tutto è stato accurato e misurato, e sappiamo dove è finito ogni proiettile.”

Se non bastasse, il ministro della Difesa di Israele, l’ultranazionalista Avigdor Lieberman, ha fatto seguito a questa auto-accusa dichiarando che “non ci sono persone innocenti a Gaza”, legittimando quindi il fatto di aver preso di mira ogni gazawi all’interno della Striscia assediata.

La scorretta informazione dei media non è alimentata dalla semplicistica nozione ”astuto Israele, arabi imprudenti.” I media occidentali sono attivamente coinvolti nella difesa di Israele e nella promozione della sua immagine in crisi, demolendo al contempo in modo accurato quella dei nemici di Israele.

Prendete per esempio l’infondata propaganda di Israele secondo cui Yasser Murtaja, il giornalista di Gaza che è stato ucciso a sangue freddo da un cecchino israeliano mentre informava sulle proteste della “Grande Marcia del Ritorno” sul confine di Gaza, sarebbe stato un membro di Hamas.

All’inizio, “fonti ufficiali anonime” in Israele hanno affermato che Yasser era “un membro dell’apparato di sicurezza di Hamas.” Poi Lieberman ha offerto ulteriori dettagli (artefatti) secondo cui Yasser era sul libro paga di Hamas dal 2011 e “ricopriva un ruolo pari a quello di capitano”. Molti giornalisti hanno ripreso queste affermazioni e le hanno ripetute, associando continuamente ad Hamas ogni informazione sulla morte di Yasser.

Si è poi saputo che, secondo il Dipartimento di Stato USA, la nuova agenzia giornalistica di Yasser a Gaza aveva in realtà ricevuto un piccolo finanziamento da USAID [ente federale USA di cooperazione allo sviluppo, legata alla politica estera USA, ndt.], che ha sottoposto l’impresa di Yasser a un rigoroso processo di valutazione.

Ancora, un rapporto della Federazione Internazionale dei Giornalisti ha affermato che Yasser era stato in realtà arrestato e picchiato dalla polizia di Gaza nel 2015 e che il ministero della Difesa israeliano stia costruendo una montatura.

A giudicare da ciò, l’apparato mediatico israeliano è inaffidabile e contraddittorio tanto quanto quello della Corea del Nord; ma non è questa l’immagine trasmessa dai media occidentali, che continuano a collocare Israele su un piedestallo mettendo al contempo in cattiva luce i palestinesi, indipendentemente dalle circostanze.

Ma nell’approccio dei mezzi di comunicazione occidentali alla Palestina e a Israele c’è di più della protezione ed esaltazione di Israele, con la demonizzazione dei palestinesi. Spesso i media lavorano per distrarre del tutto l’attenzione dai problemi, come oggi in Gran Bretagna, dove l’immagine di Israele sta rapidamente peggiorando.

Per impedire che si parli della Palestina, dell’occupazione israeliana e dell’incondizionato appoggio del governo britannico ad Israele, i principali media britannici hanno concentrato l’attenzione su Jeremy Corbyn, il popolare leader del partito Laburista.

Accuse di antisemitismo hanno perseguitato il partito fin dall’elezione di Corbyn nel 2015. Eppure Corbyn non è razzista, al contrario si è opposto al razzismo, a favore della classe operaia e di altri gruppi svantaggiati. La sua posizione fortemente favorevole ai palestinesi, in particolare, minaccia di imporre un cambiamento epocale su Palestina e Israele all’interno del rilanciato e rivitalizzato partito Laburista.

Purtroppo la contro-strategia di Corbyn è praticamente inesistente. Invece di rilasciare una dichiarazione di condanna di ogni forma di razzismo e di passare ad affrontare gli urgenti problemi in questione, compreso quello della Palestina, egli permette ai suoi detrattori di determinare la natura della discussione, se non di tutto il discorso. Ora è intrappolato in un dibattito senza fine, mentre il partito Laburista sta sistematicamente espellendo suoi membri per presunto antisemitismo.

Considerando che Israele e i suoi alleati nei media ed altrove confondono le critiche a Israele e alla sua ideologia sionista con quelle contro gli ebrei e l’Ebraismo, Corbyn non può vincere la sua battaglia.

Neppure gli amici di Israele sono interessati a vincere. Vogliono semplicemente prolungare un dibattito futile in modo che la società britannica rimanga invischiata in un diversivo e risparmi ad Israele ogni obbligo di rendere conto delle sue azioni.

Se i media britannici sono effettivamente ansiosi di denunciare il razzismo e di isolare i razzisti, perché allora si discute così poco sulle politiche razziste di Israele che prendono di mira i palestinesi?

Le acrobazie dei media continuano a fornire ad Israele i margini necessari per proseguire con le sue politiche violente contro il popolo palestinese, senza nessun costo morale. Rimarranno leali ad Israele, creando una barriera tra la verità e il pubblico.

Tocca a noi mettere in evidenza questo squallido rapporto e chiedere ragione ai media del fatto di nascondere i crimini di Israele, così come in primo luogo a Israele del perché li sta commettendo.

Ramzi Baroud è un giornalista, autore ed editorialista di Palestine Chronicle. Il suo libro di prossima pubblicazione è “The Last Earth: A Palestinian Story” [“L’ultima terra: una storia palestinese] (Pluto Press, Londra). Baroud ha un dottorato in Studi Palestinesi all’università di Exeter ed è docente non residente presso l’“Orfalea Center for Global and International Studies” dell’università della California a Santa Barbara.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




40 morti, 5.511 feriti: l’ONU pubblica i dati sulle vittime palestinesi delle manifestazioni di massa a Gaza nei pressi del confine con Israele

Jack Khoury

25 aprile 2018, Haaretz

Hamas afferma che le dimostrazioni continueranno persino dopo il 15 maggio il giorno della Nakba.

Martedì l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha pubblicato un rapporto secondo cui fin dal 30 marzo quaranta palestinesi sono stati uccisi e 5.511 feriti nella dimostrazioni di massa lungo la barriera di confine tra la Striscia di Gaza e Israele. Da allora le manifestazioni sono avvenute ogni venerdì.

Le informazioni sulle vittime sono suddivise per data, tipologia della ferita, sesso ed età, nonché in base a dove la persona è stata curata.

2.596 feriti sono stati ricoverati in ospedali pubblici, 773 in quelli privati e i rimanenti sono stati curati sul posto. Di quelli portati in ospedali pubblici , 1.499 sono stati colpiti da pallottole vere, 107 da pallottole rivestite di gomma, 408 hanno sofferto per avere inalato gas lacrimogeni e 582 hanno subito altri tipi di ferite; 2.142 sono adulti e 454 minori.

Il rapporto afferma che “il settore della sanità a Gaza sta lottando per far fronte al grande flusso di feriti, dovuto ad anni di blocco, a divisioni interne e a una cronica crisi dell’energia che che a malapena consente di far funzionare i servizi essenziali.

Le informazioni si basano su dati provenienti dal ministero palestinese della Sanità di Gaza e l’OCHA afferma che essi sono solamente una fotografia preliminare e che si attendono ulteriori informazioni.

Mercoledì il ministero palestinese della sanità di Gaza ha annunciato la morte di Ahmed Abu Hassin, un fotoreporter colpito due settimane fa durante le proteste.

Le manifestazioni continueranno anche dopo il 15 maggio, giorno che i palestinesi ricordano come la Nakba (la Catastrofe), la nascita di Israele, ha detto mercoledì Ismail Haniyeh, capo dell’ ufficio politico di Hamas. “Il popolo palestinese manifesterà durante tutto il Ramadan per affrontare le molte sfide che si trovano di fronte a noi, prima fra tutte il piano di pace promosso dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, chiamato ‘l’Accordo del Secolo’” ha detto Haniyeh.

( Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




È così che si fa, signorina Portman, ma è solo l’inizio

Gideon Levy

22 aprile 2018, Haaretz

Il rifiuto di Natalie Portman di prendere parte alla cerimonia del Premio Genesis è stato un grande colpo. Il suo chiarimento ha attenuato la portata del passo compiuto.

L’annuncio della decisione di Natalie Portman di boicottare la cerimonia del Premio Genesis è stato un colpo formidabile. Eccolo qui, che arriva dalla vetta del glamour, da un’innamorata di Israele quale lei è, ebrea, che parla ebraico, nata in Israele, cittadina di Israele e una fonte di orgoglio per Israele, e che ha molto da perdere. Non un’antisemita o una fondamentalista, non di estrema destra o della sinistra radicale, non Roger Waters, neppure una del BDS [movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele, ndt.]. Proprio un colpo al centro, dal cuore del centro ebraico: una critica a Israele, le bibliche “ferite di un amico” [“Fedeli sono le ferite di un amico, ma ingannevoli sono i baci di un nemico” da Proverbi, 27:6, ndt.], persino una specie di boicottaggio.

Mentre artisti israeliani “di sinistra” hanno paura del rapper “The Shadow” [“L’ombra”, rapper israeliano di estrema destra, ndt.] e soprattutto della loro stessa ombra, un’artista del suo calibro arriva e fa una chiara dichiarazione su Israele. Insieme ad una coscienza, è necessaria una grande quantità di coraggio per un simile passo, soprattutto di fronte a una Hollywood ebraica, sionista, spietata, che non perdonerà Portman né se ne dimenticherà.

Né la perdonerà per questo la Destra israeliana: il ministro della guerra (contro il movimento BDS), cioè quello della Sicurezza Pubblica, Gilad Erdan, ha subito pubblicato una lettera in cui spiega a Portman la situazione. Quello che sta succedendo a Gaza non è a causa nostra, è tutta colpa di Hamas. La solita propaganda insensata e menzognera, proprio nel giorno in cui i tiratori scelti dell’esercito israeliano hanno ucciso a sangue freddo un altro quindicenne e la foto di Mohammed Ayoub sanguinante sulla sabbia di Gaza è stata pubblicata in tutto il mondo. Si è subito scoperto che Erdan, come molti altri, era sicuro che il massacro di manifestanti a Gaza sia stato ciò che ha appiccato l’incendio nello stomaco di Portman. Ma non è stato così.

Il chiarimento di Portman ha attenuato la portata del passo compiuto: “Ho scelto di non partecipare perché non voglio apparire come una sostenitrice di Benjamin Netanyahu,” ha scritto. Un grande passo avanti e un piccolo passo indietro. Netanyahu è certamente un problema, ma non il problema su cui Portman, come persona di coscienza e sionista, deve far sentire la propria voce. Netanyahu è Israele.

Portman ha fatto molta strada, non solo dal suo primo film al suo Oscar, ma anche dalla lettera che pubblicò sull’ “Harvard Crimson” [“Harvard Cremisi”, giornale dell’università di Harvard, ndt.] 16 anni fa in difesa di Israele e negando la sua situazione di apartheid, al passo fatto venerdì.

Il cambiamento in lei, che a quanto pare è avvenuto in molti ebrei, è una buona notizia, come lo è il suo coraggio. Ma la strada è ancora lunga. Portman ha scritto che non sarebbe venuta a causa della “violenza, corruzione, disuguaglianza e abuso di potere.” Neppure una sola parola esplicita sul peccato originale, l’occupazione.

Né la protesta di Portman è diretta all’indirizzo giusto. È un’autodifesa incolpare Netanyahu di tutto. Come molti ebrei (e israeliani) progressisti, Portman considera Netanyahu la radice di ogni male. E cosa dire dei suoi predecessori, quelli che hanno seminato la distruzione e le uccisioni a Gaza e in Libano, che hanno imposto a Gaza un blocco crudele, che hanno rafforzato l’occupazione in Cisgiordania e triplicato il numero di coloni (lei ha stretto le loro mani, meno quella di Netanyahu)?

Il potere mediatico di Portman è enorme. Venerdì mattina la sua dichiarazione su Instagram aveva già riscosso 100.000 “mi piace”. Gli ebrei, come molti israeliani, hanno tirato un sospiro di sollievo. Portman è contro il BDS e contro Netanyahu, ma continua a onorare “il cibo, i libri, l’arte, il cinema e la danza israeliani”.

Con tutto il rispetto, signorina Portman, il cibo, la danza e il cinema israeliani sono anch’essi macchiati, in misura più o meno grande, dall’occupazione. Siamo tutti da condannare per questo. Il modo per porvi fine, che è la prima e fondamentale condizione per rendere Israele un Paese più giusto, passa da iniziative coraggiose come quella che lei ha preso, ma devono rivolgersi al cuore dell’inferno e non solo ai suoi margini; all’origine del tumore e non solo alle sue metastasi. Devono diventare iniziative concrete, come quelle che chiede il movimento BDS. È l’unico modo per scuotere Israele dall’autocompiacimento.

Mi tolgo umilmente il cappello di fronte a lei ed al suo coraggio, signorina Portman. La sua direzione è quella giusta; senza il vento in poppa da persone come lei, qui non cambierà niente. Ma è solo l’inizio.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Rapporto OCHA del periodo 27 marzo- 9 aprile 2018 (due settimane)

Secondo il Ministero della Salute di Gaza, durante il periodo di riferimento, nella Striscia di Gaza sono stati uccisi dalle forze israeliane 32 palestinesi e 3.078 sono stati feriti.

La maggior parte delle vittime [vedi paragrafo successivo] si sono avute nel contesto della “Grande Marcia del Ritorno”: una serie di proteste iniziate il 30 marzo e che è previsto continuino fino al 15 maggio, data del 70° anniversario di ciò che i palestinesi chiamano “Nakba” [la Catastrofe: cioè la proclamazione dello stato di Israele, avvenuta nel maggio 1948]. Le dimostrazioni si sono svolte sul lato di Gaza della recinzione di confine con Israele, dove l’esercito israeliano, tuttavia, adducendo problemi di sicurezza, impone una “No Go Zone”. Non sono state registrate vittime israeliane.

Ventisei [dei 32] morti (3 dei quali minori) e praticamente la totalità dei ferimenti [3.078] (445 dei quali di minori) si sono avuti nel contesto delle dimostrazioni di cui sopra. La grande maggioranza delle vittime sono state contate venerdì 30 marzo e venerdì 6 aprile, presso diversi attendamenti posizionati a circa 700 metri dalla recinzione con Israele. Alcune centinaia di manifestanti, su decine di migliaia, si sono avvicinati ed hanno tentato di aprire la recinzione, hanno bruciato pneumatici, lanciato pietre e, secondo fonti israeliane, bombe incendiarie contro le forze israeliane. Queste ultime (tra esse un centinaio di cecchini schierati lungo il recinto) hanno risposto sparando con armi da fuoco, con proiettili gommati e con gas lacrimogeno. Secondo il Ministero della Salute di Gaza, circa il 40% di tutti i feriti (1.236 persone) sono stati colpiti con armi da fuoco. Le autorità israeliane hanno dichiarato che alcune delle vittime erano membri di gruppi armati palestinesi ed hanno accusato il Ministero della Salute di esagerare il numero dei feriti da arma da fuoco.

Questi fatti hanno suscitato preoccupazione per l’uso eccessivo della forza da parte delle forze israeliane. Il portavoce dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha affermato che “constatato il gran numero di feriti e morti e le minacciose dichiarazioni rilasciate dalle autorità israeliane nei giorni precedenti la protesta; considerato che le persone uccise o ferite erano disarmate o non rappresentavano una seria minaccia per le ben protette forze di sicurezza (in alcuni casi i palestinesi stavano addirittura scappando dalla recinzione), sussistono fondate indicazioni che le forze di sicurezza abbiano usato una forza eccessiva”. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha espresso la sua profonda preoccupazione per gli scontri e le vittime ed ha chiesto un’indagine indipendente e trasparente sull’accaduto. L’esercito israeliano ha annunciato che svolgerà una propria indagine interna.

In tre diversi episodi, verificatisi vicino alla recinzione perimetrale, sono stati uccisi dalle forze israeliane cinque palestinesi, di cui almeno due membri dell’ala armata di Hamas. I due sono stati uccisi il 30 marzo da colpi di cannone sparati da carri armati contro un sito militare di Hamas. Secondo fonti israeliane, sono stati colpiti dopo che essi avevano aperto il fuoco contro le forze israeliane. Lo stesso giorno, altri due palestinesi sono stati colpiti con armi da fuoco e uccisi dopo aver aperto un varco nella recinzione ed essere entrati in Israele. I loro corpi sono stati trattenuti dalle autorità israeliane. Il 5 aprile, ad est di Gaza City, le forze israeliane hanno colpito ed ucciso un uomo di 22 anni armato che, a quanto riferito, si avvicinava alla recinzione. Il 9 aprile, l’aviazione israeliana ha lanciato un numero di missili contro siti di addestramento militare a Gaza, senza provocare vittime. Secondo fonti israeliane, il raid aereo è stato compiuto in risposta all’infiltrazione in Israele di tre palestinesi [vedere il Rapporto precedente] che avevano posizionato un ordigno esplosivo ed erano rientrati a Gaza illesi. Altri cinque palestinesi sono stati arrestati nella parte settentrionale di Gaza mentre cercavano di entrare in Israele attraverso la recinzione perimetrale.

In Gaza, il 30 marzo, prima dell’inizio delle manifestazioni, in prossimità della recinzione che circonda la Striscia, un contadino palestinese 31enne che stava lavorando sul proprio terreno, ad est di Khan Younis, è stato colpito ed ucciso dalle forze israeliane. In almeno altre 34 occasioni, nelle zone lungo la recinzione ed in mare, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso contadini e pescatori, provocando il ferimento di tre pescatori. In cinque occasioni, le forze israeliane [sono entrate] all’interno della Striscia e, in vicinanza della recinzione, hanno effettuato operazioni di spianatura e di scavo.

In Cisgiordania, durante proteste e scontri, 715 palestinesi, tra cui 165 minori, sono stati feriti dalle forze israeliane. Circa il 76% di queste lesioni si è verificato durante scontri seguiti alle manifestazioni di solidarietà con la “Grande Marcia del Ritorno” svolta nella Striscia di Gaza ed in commemorazione del “Giorno della Terra”. Il maggior numero di feriti si è avuto durante gli scontri nella città di Qalqiliya; a seguire, nei villaggi di Kafr Qalil e di Lubban ash Sharqiya (entrambi a Nablus) e durante scontri avvenuti nei pressi del checkpoint DCO (Ramallah) e di Huwwara (Nablus). A causa di scontri connessi a sette operazioni di ricerca-arresto, sono stati segnalati altri feriti (16%); la maggior parte di essi (90) sono stati registrati durante un’operazione in Abu Dis (Gerusalemme). La maggior parte delle lesioni (80%) sono state causate da inalazione di gas lacrimogeno richiedente cure mediche, seguite da ferite da proiettili gommati (13%) e da proiettili di armi da fuoco (3%). Le lesioni dovute ad inalazione di gas lacrimogeno includono quelle occorse a 25 studenti: il 3 aprile, nella zona H2 della città di Hebron, sono stati colpiti da bombolette sparate da forze israeliane nei cortili di due complessi scolastici.

Due palestinesi sono morti per le ferite riportate in due separati episodi, a quanto riferito, di aggressioni con coltello. L’8 aprile, un colono israeliano aveva sparato e ferito un palestinese di 30 anni che, secondo quanto riferito, aveva tentato di accoltellarlo all’ingresso dell’area industriale dell’insediamento colonico di Mishor Adumim (Gerusalemme). L’uomo era stato trasferito in un ospedale israeliano, dove è morto il giorno seguente. Il 2 aprile, un palestinese 46enne era stato colpito e ferito dalle forze israeliane al posto di blocco di Jubara (Tulkarm), dopo che, stando a quanto riferito, aveva tentato di pugnalare un soldato israeliano; è morto sei giorni dopo per le ferite riportate. In nessuno di tali episodi è stato segnalato il ferimento di israeliani. Sale a quattro, dall’inizio del 2018, il numero di palestinesi uccisi da forze israeliane o da coloni israeliani nel corso di attacchi e presunti attacchi.

In Area C e Gerusalemme Est, a causa della mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito, sequestrato o sigillato 15 strutture, sfollando 11 palestinesi e colpendone, in diverso modo, più di 80. Cinque delle strutture prese di mira erano a Gerusalemme Est; una di queste è stata demolita dagli stessi proprietari in seguito al ricevimento dell’ordine di demolizione. Le altre dieci strutture si trovavano in Comunità dell’Area C. Una delle comunità interessate è quella di Khirbet Zanuta, nel sud di Hebron, dove sono state sequestrate due strutture adibite a scuola elementare per 24 studenti. Una recente valutazione ha indicato che 44 scuole primarie (36 nella zona C e 8 a Gerusalemme Est), che attualmente servono circa 5.000 bambini, sono a rischio di demolizione o sequestro per mancanza di permessi di costruzione.

Il 10 aprile, in occasione della stagione delle sardine, le autorità israeliane hanno annunciato un’estensione temporanea, da 6 a 9 miglia nautiche, della zona di pesca consentita lungo la costa meridionale di Gaza. Nel 2016 e nel 2017, estensioni simili della zona di pesca hanno portato a un incremento significativo del pescato totale. Tuttavia tale incremento rimane limitato principalmente alle sardine di basso valore, e ne minimizza l’importanza economica; pertanto, i pescatori continuano a incontrare difficoltà ad avere un reddito sufficiente.

Sono stati segnalati almeno sei attacchi da parte di coloni israeliani che hanno provocato ferimenti di palestinesi o danni alle proprietà. Nel villaggio di At Tuwani, nel sud di Hebron, un 20enne palestinese è stato ferito da un gruppo di coloni israeliani che lo hanno aggredito fisicamente ed investito con una moto. In tre distinti episodi, a Beit Hanina (Gerusalemme Est), Far’ata (Qalqiliya) e Beita (Nablus), coloni israeliani hanno dato fuoco a undici veicoli di proprietà palestinese ed hanno spruzzato sui muri di due case palestinesi scritte razziste e di tipo: “questo è il prezzo che dovete pagare”. Lungo strade vicino a Dura (Hebron) e all’ingresso nord della città di Hebron, uno scuolabus e due veicoli palestinesi hanno subito danni in due distinti episodi di lancio di pietre e bottiglie incendiarie da parte di coloni israeliani. In altri due casi, in seguito all’ingresso di coloni israeliani in vari siti religiosi della Cisgiordania e conseguenti alterchi e scontri con i palestinesi, 19 palestinesi sono rimasti feriti durante scontri con le forze israeliane.

Secondo rapporti di media israeliani, lungo strade vicine a Yabrud (Ramallah), Tuqu ‘(Betlemme) ed al Campo Profughi di Al ‘Arrub (Hebron), un colono israeliano è stato ferito e due veicoli sono stati danneggiati dal lancio di pietre da parte di palestinesi.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah è rimasto chiuso in entrambe le direzioni sul lato egiziano. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 23.000 persone, compresi casi umanitari prioritari, sono registrate e in attesa di attraversare Rafah.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it

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Parlamentari USA esortano i soldati israeliani a sfidare l’ordine di sparare ai manifestanti palestinesi

Ali Abunimah

13 Aprile 2018, Electronic Intifada


Giovedì alcuni attivisti hanno contestato Nikki Haley, ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, perché il suo governo ha bloccato ogni inchiesta internazionale sulle uccisioni israeliane a Gaza.

Haley non ha trovato modo di rispondere, mentre i membri del gruppo contro la Guerra “CODEPINK” hanno affermato che “Israele merita di essere considerato responsabile esattamente come qualunque altro Paese” per “l’uccisione di manifestanti pacifici.”

Nel contempo cinque membri del Congresso USA hanno rotto quello che è stato un silenzio quasi totale.

Appoggiano l’appello di B’Tselem [organizzazione israeliana per i diritti umani, ndt.] ai soldati israeliani perché sfidino l’ordine illegale di aprire il fuoco contro palestinesi disarmati che partecipano alle proteste nella Striscia di Gaza occupata.

Elogiamo i gruppi israeliani per i diritti umani che stanno chiedendo ai soldati israeliani di resistere a questi ordini illegali dei loro superiori e stanno chiedendo alle forze dell’esercito israeliano di rispettare integralmente le leggi internazionali e di esercitare la massima moderazione nell’uso di una forza letale,” dicono i parlamentari alla vigilia del terzo venerdì dei raduni per la “Grande Marcia del Ritorno”.

Questi mezzi devono essere utilizzati solo come ultima risorsa per impedire un’imminente minaccia mortale.”

Profondamente turbati”

Durante gli ultimi due venerdì – 30 marzo e 6 aprile – le forze israeliane hanno perpetrato un massacro premeditato e calcolato di decine di manifestanti palestinesi che non rappresentavano nessuna minaccia di alcun genere, provocando un avvertimento senza precedenti da parte del pubblico ministero della Corte Penale Internazionale (CPI), secondo cui i dirigenti israeliani potrebbero essere incriminati.

Fino al pomeriggio di questo venerdì un palestinese è stato ucciso e centinaia sono stati feriti quando le forze israeliane hanno di nuovo aperto il fuoco oltre la frontiera contro migliaia di dimostranti riuniti per chiedere la fine del blocco israeliano di Gaza e il diritto dei rifugiati a tornare alle terre da cui Israele li ha espulsi e da cui li esclude in quanto non ebrei.

I cinque democratici del Congresso – Mark Pocan del Wisconsin, Pramila Jayapal di Washington, Keith Ellison del Minnesota, Barbara Lee della California e Henry “Hank” Johnson della Georgia – dichiarano: “Siamo profondamente turbati dalle tragiche morti delle ultime due settimane di proteste portate avanti all’interno del territorio di Gaza, con più di dieci palestinesi uccisi da cecchini – compreso un adolescente disarmato e uno stimato fotogiornalista – e molte altre centinaia feriti da proiettili letali.”

Infatti tre minori palestinesi – di 13, 15 e 17 anni – sono stati tra le decine di persone ferite dalle forze israeliane a Gaza nelle ultime due settimane.

I deputati affermano anche di “respingere fermamente la pericolosa affermazione” del ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman “secondo cui ‘non ci sono persone innocenti nella Striscia di Gaza’,” così come gli ordini dati dai comandanti israeliani “in violazione delle leggi internazionali” di impiegare “il fuoco di cecchini contro abitanti di Gaza che siano arrivati a 300 metri dalla barriera di confine o siano coinvolti in altre azioni che non mettono a rischio la vita [dei soldati].”

Difendere i minori

Betty McCollum, una democratica del Minnesota che ha presentato una storica legge per proteggere i bambini palestinesi dall’arresto e dai maltrattamenti da parte dell’esercito israeliano, non ha firmato la dichiarazione.

Ma McCollum è stata una dei pochissimi deputati che hanno condannato il massacro di civili palestinesi dopo la prima manifestazione della “Grande Marcia del Ritorno”, il 30 marzo.

Ha dimostrato la propria volontà di continuare a pronunciarsi a favore dei diritti dei palestinesi tweettando la foto di un incontro che ha tenuto giovedì con il direttore di “B’Tselem” Hagai El-Ad.

Stiamo lavorando insieme per porre fine agli arresti, ai maltrattamenti e alle torture dei minori palestinesi da parte dell’esercito israeliano,” ha scritto McCollum.

Chi usa “scudi umani”?

E’ molto raro che membri del Congresso critichino apertamente Israele ed appoggino i diritti dei palestinesi.

Ma ciò che è altrettanto significativo è la quasi totale mancanza di parlamentari, repubblicani o democratici, che intendano difendere le uccisioni israeliane a Gaza.

L’AIPAC, il potente gruppo della lobby israeliana, è tuttavia riuscito a trovarne una manciata e li ha ritweettati sul suo tweetter ufficiale.

Il repubblicano dell’Indiana Jim Banks ha ripetuto l’argomento del governo israeliano secondo cui le manifestazioni a Gaza sono uno stratagemma di Hamas “che utilizza civili innocenti come scudi umani.”

Anche il repubblicano della Carolina del Sud Joe Wilson ha affermato che “Hamas ha usato deliberatamente una protesta di civili per fomentare la violenza e mettere a rischio vite innocenti.”

Entrambi i parlamentari sollecitano il Senato ad approvare la “Legge per la Prevenzione degli Scudi Umani di Hamas”, una legge promossa da Wilson.

La legge, approvata dalla Camera in febbraio, in apparenza chiede sanzioni contro i dirigenti di Hamas che avrebbero utilizzato questa prassi.

Da molto tempo Hamas è definita come organizzazione “terroristica” dagli Stati Uniti ed è già soggetta a dure sanzioni. La legge pertanto sembra essere poco più di un modo di mettersi in mostra per promuovere una sconclusionata narrazione israeliana che intende incolpare i palestinesi per i loro morti e feriti.

Un’inchiesta di Human Rights Watch sulle uccisioni del 30 marzo da parte di Israele non ha trovato “prove che i manifestanti abbiano usato armi da fuoco o che qualche soldato dell’IDF (l’esercito israeliano) affermi che ci sia stato l’uso di colpi di avvertimento con armi da fuoco nei confronti dei manifestanti.”

Benché, come ha riconosciuto Human Rights Watch, alcuni dimostranti – delle decine di migliaia che hanno partecipato alle manifestazioni – abbiano bruciato copertoni e lanciato pietre contro postazioni israeliane pesantemente protette, neppure un israeliano risulta essere stato ferito durante settimane di proteste in cui migliaia di palestinesi sono stati uccisi o feriti da proiettili mortali e gas lacrimogeni.

Mentre membri del Congresso come Banks e Wilson promuovono le false accuse israeliane secondo cui i palestinesi utilizzano “scudi umani”, essi ignorano le prove inconfutabili che le forze israeliane hanno fatto esattamente questo per anni, sia a Gaza che nella Cisgiordania occupata.

Gente di speranza”

Anche in Canada gli attivisti stanno denunciando il silenzio del loro governo sui massacri israeliani a Gaza.

Durante la lotta contro l’apartheid in Sud Africa è stata la società civile, compresi chiese, sindacati, iniziative di amministrazioni locali e attivisti studenteschi che hanno fatto pressione sugli USA e su altri governi perché ponessero fine alla loro complicità con il regime razzista bianco.

La lotta per la giustizia in Palestina sta seguendo un cammino simile: questa settimana il consiglio comunale di Dublino ne ha fatto la prima capitale europea che appoggia il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS).

E in seguito all’ultimo bagno di sangue a Gaza, 15 confessioni cristiane e gruppi religiosi degli USA hanno emesso quello che per molti di loro è forse il più duro comunicato in appoggio ai diritti dei palestinesi.

Le organizzazioni religiose sostengono l’avvertimento del pubblico ministero della CPI ai dirigenti israeliani, inoltre invitano i soldati israeliani a sfidare gli ordini illegali, esprimono pieno appoggio ai diritti dei rifugiati palestinesi, chiedono che gli USA considerino Israele responsabile per come utilizza i miliardi di dollari in aiuto militare e fanno appello perché venga tolto il blocco di Gaza.

Con le manifestazioni i palestinesi hanno cercato di portare l’attenzione del mondo sui propri diritti e di rivendicarli– in quanto rifugiati, di manifestare e di vivere in modo dignitoso,” affermano i gruppi cristiani. “Hanno incontrato un rifiuto immediato e terribile di questi diritti, ma, come persone di speranza e nel periodo di Pasqua, crediamo che questi diritti alla fine prevarranno.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




“Non ci sono innocenti a Gaza” dice il ministro della Difesa israeliano

MEE e agenzie 

domenica 8 aprile 2018, Middle East Eye

In totale 30 palestinesi sono stati uccisi dai soldati israeliani durante 10 giorni di proteste sul confine di Gaza con Israele.

Domenica, dopo che i soldati israeliani hanno sparato e ucciso 30 palestinesi in 10 giorni di proteste, il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha detto che non ci sono “persone innocenti” nella Striscia di Gaza governata da Hamas.

Non ci sono innocenti nella Striscia di Gaza,” ha detto Lieberman alla radio pubblica israeliana.

Chiunque sia legato ad Hamas, chiunque abbia uno stipendio di Hamas e tutti gli attivisti che cercano di sfidarci e di violare il confine sono attivisti dell’ala militare di Hamas.”

Israele ha avuto a che fare con contestazioni sempre più accese sul suo uso di proiettili letali a seguito dei 10 giorni di proteste lungo il confine della Striscia di Gaza durante i quali, secondo il ministero della Sanità di Gaza, i suoi militari hanno ucciso 30 palestinesi.

La violenza è divampata di nuovo venerdì, quando migliaia di manifestanti sono tornati al confine. Secondo il ministero della Sanità di Gaza nove palestinesi sono stati colpiti ed uccisi dalle forze israeliane e almeno 1.060 sono stati feriti.

Tra i morti è incluso anche il video-giornalista palestinese Yasser Murtaja. Questo padre trentenne è stato colpito all’addome da un cecchino israeliano mentre filmava le proteste, nonostante indossasse un giubbotto antiproiettile con la scritta “Stampa”.

Tra i morti c’è anche il quindicenne Hussein Mohammed Madi di Gaza City. Il ministero ha affermato che Madi è stato ucciso ad est di Gaza City da un proiettile dum-dum a espansione.

Non si hanno notizie di vittime israeliane.

Israele sostiene di aver aperto il fuoco solo quando si è reso necessario per evitare danni alla barriera di confine, infiltrazioni e tentativi di attacchi.

Ma i gruppi per i diritti umani hanno duramente criticato le azioni dei soldati israeliani, e i palestinesi dicono che i manifestanti colpiti non stavano rappresentando alcuna minaccia per i soldati.

Siamo sempre bersaglio delle forze israeliane”

I soldati israeliani hanno incolpato i “circa 10.000 palestinesi” che hanno partecipato a “disordini in cinque località lungo il confine con la Striscia di Gaza.”

Aggiungono che “sono stati fatti vari tentativi di danneggiare e attraversare la barriera di sicurezza sotto la protezione della cortina fumogena.”

I palestinesi hanno bruciato centinaia di copertoni nel tentativo di oscurare la visuale dei cecchini israeliani schierati sul confine tra Israele e Gaza.

Abbiamo sentito molti avvertimenti sull’uso di copertoni bruciati, ma non abbiamo altre possibilità per esprimere la nostra rabbia e il nostro diritto al ritorno,” ha detto venerdì a MEE il dimostrante Said Ayman Hamadn.

Qualunque cosa facciamo, siamo comunque presi di mira dalle forze israeliane. Perciò usiamo i copertoni per evitare i colpi di fucile degli israeliani, perché siamo manifestanti pacifici. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci protegga dalla brutalità di Israele.”

Le immagini sui social media hanno fatto vedere le forze di sicurezza israeliane che piazzavano ventilatori nel tentativo di allontanare il fumo ed avere una visione chiara del confine.

Il 30 marzo le forze israeliane hanno ucciso 19 palestinesi mentre centinaia di migliaia di manifestanti si riunivano nei pressi del confine israeliano.

Il giorno seguente l’esercito israeliano ha affermato in un tweet che “niente è stato fatto in modo incontrollato; tutto è stato accurato e misurato, e sappiamo dove è andato a finire ogni proiettile.”

In seguito il tweet è stato cancellato.

Israele ha sostenuto che Hamas, il movimento islamista che governa la Striscia di Gaza e con cui ha combattuto tre guerre dal 2008, sta cercando di utilizzare le proteste come copertura per proseguire le violenze.

Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres e l’Unione Europea hanno chiesto un’inchiesta indipendente sull’uso della forza da parte di Israele, che Israele ha ripetutamente rifiutato.

Sabato l’Unione Europea ha sollevato dei dubbi sul fatto che le truppe israeliane abbiano fatto un “uso proporzionato della forza”.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Una fucilazione di massa sponsorizzata dallo Stato

Michael Schaeffer Omer-Man

7 aprile 2018, +972

Nel giorno in cui cecchini dell’esercito sparano a centinaia di manifestanti disarmati, l’esercito dichiara che “le circostanze in cui dei giornalisti sono stati feriti sono ignote.” Le circostanze non potrebbero essere più chiare.

La scorsa settimana tiratori scelti e cecchini dell’esercito israeliano hanno sparato a oltre 1.000 dimostranti palestinesi disarmati all’interno della Striscia di Gaza, uccidendo più di 30 persone. Lo scorso venerdì almeno sei giornalisti palestinesi sarebbero stati tra le persone colpite durante la “Grande Marcia del Ritorno”. Uno di loro, Yasser Murtaja, un fotografo di “Ain Media”[una televisione locale, ndt.], che a quanto si dice aveva un elmetto e un giubbotto che indicava chiaramente “Stampa” quando è stato colpito, è morto in seguito per le ferite riportate.

L’esercito israeliano non prende di mira i giornalisti,” ha affermato sabato un portavoce israeliano, citato da numerose pubblicazioni, aggiungendo che “le circostanze in cui giornalisti sono stati feriti, apparentemente da fuoco dell’esercito israeliano, sono sconosciute e sono in via di accertamento.”

Fermiamoci proprio su questo punto.

Le circostanze in cui i giornalisti palestinesi sono stati colpiti dal fuoco dell’esercito israeliano non potrebbero essere più chiare. Le circostanze sono che l’esercito israeliano ha sparato contro 1.000 manifestanti disarmati nell’arco di una settimana.

Le circostanze sono che l’esercito israeliano, che insiste nel dire di non prendere di mira giornalisti, ha un record veramente scoraggiante nel non rendere responsabili i suoi soldati, piloti e generali del fatto di aver colpito ed ucciso giornalisti a Gaza. Ciò include l’assassinio nel 2012 di due giornalisti che stavano viaggiando in un’auto su cui c’era chiaramente scritto “TV”, numerosi attacchi aerei contro media e sedi informative, ed altro.

Le circostanze sono che, una settimana dopo l’altra, le forze di sicurezza israeliane in modo sistematico non hanno fatto nessuna differenza tra i giornalisti palestinesi e le proteste e gli avvenimenti su cui stavano informando, utilizzando indistintamente la violenza contro entrambi. In innumerevoli casi, sia documentati che no, dei giornalisti sono stati chiaramente presi di mira dalle truppe – e l’esercito spesso difende sfacciatamente questa violenza.

In genere esito a fare qualunque tipo di previsione, ma ecco come vedo quello che succederà. L’esercito israeliano alla fine se ne uscirà con un comunicato in merito a come non possa arrivare a alcuna conclusione definitiva su chi abbia sparato a Yasser Murtaja, o sul perché sia stato colpito, ma sarà in grado di concludere in modo definitivo che l’esercito israeliano non prende di mira giornalisti – per cui è stato sicuramente colpito per errore. Una tragedia che può essere interamente attribuita ad Hamas (la colpa è sempre di Hamas).

Ma Murtaja non è stato l’unico giornalista a cui quel giorno i cecchini israeliani hanno sparato. Sparare alla persona sbagliata potrebbe ragionevolmente essere un caso. Sei giornalisti colpiti lo stesso giorno suggeriscono qualcosa di più sinistro.

Sappiamo già che nelle precedenti proteste a Gaza ai soldati non sono state praticamente fornite linee guida riguardo a chi colpire – solo di sparare alla gente. Sappiamo anche che nel passato importanti fonti ufficiali israeliane hanno giustificato il fatto di prendere di mira giornalisti palestinesi (puntualmente, sabato notte il ministro della Difesa israeliano ha pubblicamente giustificato l’uccisione di Murtaja). Sappiamo anche che raramente i soldati sono chiamati a rispondere per aver ferito giornalisti, soprattutto se palestinesi. E poi ci sono casi come le uccisioni del “Giorno della Nakba” nel 2014, quando uno scellerato cecchino in divisa semplicemente decise di iniziare ad uccidere persone.

Probabilmente non sapremo mai chi ha ucciso Yasser Murtaja.

La verità in merito è che, mentre è particolarmente vergognoso quando le forze di sicurezza colpiscono giornalisti, soprattutto se si è giornalisti, l’uso arbitrario di proiettili letali contro persone disarmate che manifestano dall’altro lato di un confine fortificato, indipendentemente da quello che stanno facendo in quel momento e da quale sia la loro professione o affiliazione politica, è semplicemente indifendibile.

È tempo di iniziare a chiamare tutto ciò per quello che è: una serie di fucilazioni di massa sponsorizzate dallo Stato, che ci possiamo aspettare si ripeteranno nelle prossime cinque settimane. Chiedere che l’esercito faccia un’indagine per l’uccisione di un giornalista non è abbastanza.

(traduzione di Amedeo Rossi)