Guerra Israele-Palestina: il gabinetto di guerra israeliano “blocca la proposta del capo del Mossad” di riprendere i colloqui in Qatar

Redazione di MEE

14 dicembre 2023-Middle East Eye

David Barnea si è offerto di avviare i negoziati sugli ostaggi, ma secondo Channel 13 i ministri non vogliono che sia Israele a fare la prima mossa

Il capo del Mossad si è offerto di recarsi in Qatar per riavviare i negoziati per la liberazione dei prigionieri israeliani detenuti a Gaza, ma secondo un rapporto pubblicato dall’ emittente israeliana Channel 13 il gabinetto di guerra israeliano ha rifiutato l’offerta,

Secondo fonti affidabili su questa questione, David Barnea non è stato inviato a Doha a causa della percezione [del governo israeliano, ndt.] che gli alti funzionari di Hamas in Qatar siano stati esautorati dai suoi leader a Gaza.

Il rapporto, pubblicato mercoledì sera, afferma che i ministri israeliani non proporranno un accordo né avvieranno colloqui, a meno che non siano convinti che Hamas intenda stringere un altro accordo.

Le fonti hanno detto a Channel 13 che il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il politico dell’opposizione Benny Gantz, che fa parte del gabinetto di guerra, sono tutti d’accordo sul fatto che Israele non dovrebbe prendere l’iniziativa per un accordo.

Il rapporto afferma inoltre che Netanyahu e Gallant sono favorevoli ad aspettare che Hamas faccia una mossa, mentre Gantz ritiene che i mediatori del Qatar dovrebbero essere spinti a portare avanti i negoziati.

Giovedì, Al-Araby al-Jadeed [sito di notizie noto anche come The New Arab, ndt.] citando fonti egiziane ha riferito che Israele si è rivolto all’Egitto per condurre negoziati su un accordo per il rilascio dei prigionieri.

Le fonti dicono che il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel ha parlato al telefono con Barnea domenica.

Il capo dell’ufficio politico di Hamas a Gaza, Basem Naim, ha negato che siano avvenuti nuovi negoziati sui prigionieri con i mediatori.

A Gaza sono ancora tenuti prigionieri circa 140 ostaggi

Alla fine di novembre una pausa di sette giorni ha dato una breve tregua ai palestinesi dell’enclave che erano stati sotto costante bombardamento israeliano. Ha inoltre aperto la strada al rilascio di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane e di ostaggi tenuti prigionieri a Gaza.

Circa 240 palestinesi sono stati rilasciati dalle carceri israeliane in cambio di 105 ostaggi tenuti prigionieri a Gaza.

I palestinesi rilasciati erano donne e giovani. La CNN ha riferito che dei primi 150 palestinesi rilasciati, 98 non erano stati accusati di alcun reato.

Si ritiene che gli ostaggi liberati da Gaza fossero tutti civili, tra cui diverse donne e bambini. La stragrande maggioranza sono cittadini israeliani, anche se molti hanno la doppia nazionalità. Tra i liberati figurano 23 cittadini thailandesi. Si ritiene che circa altre 140 persone siano rimaste prigioniere a Gaza, secondo le stime ufficiali israeliane. Secondo Hamas, diversi prigionieri israeliani sono stati uccisi dai bombardamenti e dai raid israeliani.

La campagna di bombardamenti israeliana che dura da due mesi ha ucciso oltre 18.608 palestinesi a Gaza, tra cui oltre 7.000 minori.

Ciò è avvenuto dopo l’attacco a sorpresa di Hamas nel sud di Israele, che ha ucciso almeno 1.140 persone, per lo più civili.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




In segreto Israele ha permesso che Hamas ricevesse milioni di dollari al mese

Mark Mazzetti e Ronen Bergman

11 dicembre 2023 –The Sidney Morning Herald

Tel Aviv

Poche settimane prima del 7 ottobre, quando Hamas ha lanciato il suo attacco mortale contro Israele, il capo del Mossad è arrivato a Doha, Qatar, per un incontro con funzionari qatarini.

Per anni questo governo ha mandato a Gaza milioni di dollari al mese – soldi che hanno contribuito a sostenere l’amministrazione di Hamas. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha non solo tollerato, ma incoraggiato quei pagamenti.

Secondo varie persone a conoscenza delle discussioni segrete, durante i suoi incontri a settembre con funzionari qatarini, al capo del Mossad, David Barnea, è stata posta una domanda che non era all’ordine del giorno: Israele voleva che continuassero con i pagamenti?

Recentemente il governo di Netanyahu ha deciso di continuare con la stessa politica, quindi Barnea ha detto di sì. Il governo israeliano approvava ancora i soldi inviati da Doha.

Permettere i pagamenti – miliardi di dollari lungo circa un decennio – è stato un azzardo di Netanyahu che pensava che un flusso regolare di denaro avrebbe mantenuto la pace a Gaza, il luogo di partenza degli attacchi del 7 ottobre, mantenendo Hamas concentrato sul governare, non combattere.

I pagamenti qatarini, apparentemente un segreto, erano da anni ampiamente conosciuti e discussi sui media israeliani. I critici di Netanyahu li denigrano perché parte di una strategia per “comprare la tranquillità” e, dopo gli attacchi, questa politica è al centro di un’impietosa revisione. Netanyahu si è scagliato contro queste critiche definendo “ridicola” l’ipotesi che avesse cercato di rafforzare Hamas.

In interviste con oltre venti politici israeliani, USA, qatarini e di altri governi mediorientali, attuali e del passato, The New York Times ha scoperto nuovi dettagli sulle origini di questa politica, sulle controversie scoppiate nel governo israeliano e fino a dove Netanyahu si è spinto per proteggere i qatarini dalle critiche e per far continuare il flusso di denaro.

I pagamenti facevano parte di una serie di decisioni di leader politici israeliani, ufficiali dell’esercito e funzionari dell’intelligence – tutti basati sulla valutazione sostanzialmente errata che Hamas non fosse né interessata né capace di un attacco su larga scala. Il Times aveva in precedenza riferito di errori dell’intelligence e di altre supposizioni sbagliate all’alba degli attacchi.

Persino quando l’esercito israeliano ha ottenuto i piani di battaglia di un’invasione di Hamas e gli analisti hanno notato significative esercitazioni terroristiche subito al di là del confine con Gaza, i pagamenti sono continuati. Per anni funzionari dell’intelligence israeliana hanno persino scortato un addetto qatarino dentro Gaza, dove distribuiva soldi da valige piene di milioni di dollari.

Il denaro del Qatar aveva destinazioni umanitarie, come pagare i salari del governo a Gaza e comprare combustibile per alimentare una centrale elettrica. Ma ora i funzionari dell’intelligence israeliana credono che i soldi abbiano giocato un ruolo nel successo degli attacchi del 7 ottobre, quanto meno perché le donazioni hanno permesso ad Hamas di dirottare parte per proprio budget verso operazioni militari. Autonomamente l’intelligence israeliana ha da tempo ipotizzato che il Qatar usasse altri canali per finanziare segretamente l’ala militare di Hamas, un’accusa che il governo del Qatar ha respinto.

Un funzionario qatarino ha dichiarato: “Ogni tentativo di gettare un’ombra di incertezza sulla natura civile e umanitaria dei contributi del Qatar e sul loro impatto positivo è infondato.”

Un funzionario dell’ufficio di Netanyahu ha dichiarato che vari governi israeliani hanno permesso al denaro di arrivare a Gaza per motivi umanitari, non per rafforzare Hamas. Ha poi aggiunto: “Il primo ministro Netanyahu ha agito per indebolire significativamente Hamas. Ha condotto tre importanti azioni militari contro Hamas, nel corso delle quali sono stati uccisi migliaia di terroristi e comandanti di Hamas.”

Hamas ha sempre affermato pubblicamente la sua intenzione di eliminare lo Stato di Israele. Ma ogni pagamento testimoniava l’opinione del governo israeliano che Hamas fosse una seccatura di scarso rilievo, forse persino una risorsa politica.

Già nel dicembre 2012 Netanyahu aveva detto al noto giornalista israeliano Dan Margalit che era importante mantenere forte Hamas come contrappeso all’Autorità Palestinese in Cisgiordania. In un’intervista Margalit ha affermato che Netanyahu gli aveva detto che avere due fazioni forti antagoniste tra loro, fra cui Hamas, avrebbe alleggerito la pressione su di lui nei negoziati per creare uno Stato palestinese.

Un funzionario dell’ufficio del primo ministro ha detto che Netanyahu non ha mai rilasciato tale dichiarazione. Ma nel corso degli anni Netanyahu ha esposto quest’idea ad altri.

Se l’esercito israeliano e i leader dell’intelligence hanno ammesso errori che hanno condotto all’attacco di Hamas, Netanyahu si è rifiutato di affrontare tali temi. E con una guerra a Gaza, per il momento il regolamento di conti politico con l’uomo che ha ricoperto la carica di primo ministro per 13 degli ultimi 15 anni è sospeso.

I critici di Netanyahu dicono che al centro di questo suo approccio verso Hamas ci fosse un cinico piano politico: tener tranquilla Gaza per restare al potere senza risolvere la minaccia di Hamas o il ribollente scontento palestinese.

Per oltre un quindicennio l’idea di Netanyahu è stata che, se compri la tranquillità e fai finta che il problema non esista, puoi aspettare che svanisca,” dice Eyal Hulata, consigliere della sicurezza nazionale israeliana dal luglio 2021 fino all’inizio di quest’anno.

Cercare l’equilibrio

Netanyahu e i suoi assistenti della sicurezza hanno cominciato lentamente a riconsiderare la loro strategia verso la Striscia di Gaza dopo parecchi, sanguinosi e inconcludenti conflitti militari contro Hamas.

Tutti ne avevamo abbastanza di Gaza,” dice Zohar Palti, ex direttore dell’intelligence per il Mossad. “Abbiamo tutti detto ‘Dimentichiamoci di Gaza’, perché sapevamo che eravamo a un punto morto.”

Nel 2014, dopo uno dei conflitti, Netanyahu ha tracciato un nuovo corso – enfatizzare una strategia per cercare di “limitare” Hamas mentre Israele si concentrava sul programma nucleare iraniano e sui suoi eserciti per procura, incluso Hezbollah.

Questa strategia è stata sostenuta da ripetute valutazioni dell’intelligence secondo cui Hamas non era né interessata né capace di lanciare un grande attacco in Israele.

Durante questo periodo il Qatar è diventato un finanziatore chiave per la ricostruzione e le attività di governo a Gaza. Una delle nazioni più ricche al mondo, il Qatar, ha da sempre sostenuto la causa palestinese e, più di tutti i suoi vicini, coltivato stretti legami con Hamas. Queste relazioni si sono rivelate preziose in settimane recenti poiché funzionari qatarini hanno contribuito a negoziare la liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza.

L’opera del Qatar a Gaza durante questo periodo è stata approvata dal governo israeliano. Netanyahu ha persino fatto pressione su Washington per conto del Qatar. Nel 2017, quando i Repubblicani spingevano per imporre sanzioni finanziarie contro di esso per il suo sostegno ad Hamas, ha spedito funzionari della difesa a Washington. Secondo tre persone a conoscenza del viaggio, gli israeliani hanno detto ai parlamentari USA che il Qatar giocava un ruolo positivo nella Striscia.

Yossi Kuperwasser, ex capo della ricerca dell’intelligence militare israeliana, afferma che alcuni ufficiali vedevano i benefici di mantenere un “equilibrio” a Gaza. “La logica di Israele era che Hamas avrebbe dovuto essere forte abbastanza da governare Gaza,” dice, “ma sufficientemente debole da essere controllata da Israele.”

Le amministrazioni di tre presidenti americani – Barack Obama, Donald Trump e Joe Biden – hanno ampiamente appoggiato il fatto che i qatarini giocassero un ruolo diretto nel finanziare le operazioni a Gaza.

Ma non tutti erano d’accordo.

Avigdor Lieberman [politico dell’estrema destra laica, ndt.], mesi dopo essere diventato ministro della Difesa israeliano nel 2016, scrisse una nota segreta a Netanyahu e al capo di stato maggiore dell’esercito israeliano dicendo che Hamas stava lentamente sviluppando le sue capacità militari di attaccare Israele e sostenendo che Israele avrebbe dovuto attaccare per primo.

L’obiettivo di Israele è “garantire che il prossimo scontro tra Israele e Hamas sia la resa dei conti finale,” scrisse nel documento datato 21 dicembre 2016, una cui copia è stata visionata dal Times. Un attacco preventivo, disse, avrebbe potuto eliminare la maggioranza dei “leader dell’ala militare di Hamas”.

Netanyahu respinse il piano preferendo il contenimento invece dello scontro.

Valige piene di contanti

Durante un incontro di gabinetto del 2018, gli assistenti di Netanyahu presentarono un nuovo piano: ogni mese il governo qatarino avrebbe fatto pagamenti in contanti per milioni di dollari direttamente alla gente di Gaza quale parte di un accordo di cessate il fuoco con Hamas.

Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno, avrebbe monitorato la lista dei destinatari per cercare di garantire che i membri dell’ala militare di Hamas non ne avrebbero beneficiato direttamente.

Valige piene di contanti ben presto cominciarono ad attraversare il confine di Gaza.

Ogni mese funzionari della sicurezza israeliani incontravano Mohammed al-Emadi, un diplomatico qatarino, al confine tra Israele e la Giordania. Da qui veniva portato in auto al valico di frontiera di Kerem Shalom e a Gaza.

Secondo ex funzionari israeliani e USA, all’inizio Emadi portava con sé da distribuire 15 milioni di dollari americani, con pagamenti di 100 dollari dati in località prescelte a ogni famiglia approvata dal governo israeliano,

I fondi dovevano servire a pagare salari e altre spese, ma un diplomatico occidentale che ha vissuto in Israele fino all’anno scorso ha detto che da tempo i governi occidentali pensavano che Hamas ne incassasse una parte.

I soldi sono intercambiabili,” dice Chip Usher, un analista del Medio Oriente presso la CIA fino al suo pensionamento quest’anno. “Tutto quello che Hamas non doveva sottrarre al suo bilancio poteva essere usato per altri scopi.”

Yossi Cohen, che si è occupato del Qatar per molti anni quale capo del Mossad, si è interrogato sulle politiche israeliane riguardo ai soldi per Gaza. Durante l’ultimo anno in cui ha gestito il servizio di spionaggio credeva che ci fosse poco controllo su dove finissero i soldi.

Nel giugno 2021 Cohen nel suo primo discorso pubblico dopo il pensionamento ha detto che i soldi qatarini alla Striscia di Gaza erano “fuori controllo”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Netanyahu rischierà un conflitto nei tunnel per “estirpare Hamas” e rimanere al potere?

Nils Adler

8 dicembre 2023- Al Jazeera

Le forze israeliane potrebbero rischiare uno scontro sotto Gaza mentre Netanyahu, politicamente in difficoltà, persegue la sconfitta totale di Hamas.

La presa di Benjamin Netanyahu sulla propria carica di primo ministro di Israele appare sempre più debole.

Molti israeliani ritengono lui e il suo gabinetto responsabili dei fallimenti in termini di sicurezza del 7 ottobre, ed egli è stato oggetto di pesanti critiche interne per la gestione della guerra contro Gaza. A ciò si aggiunge il fatto che da tempo è impelagato in accuse di corruzione e critiche sui progetti di modifica del sistema giudiziario.

Diversi sondaggi mostrano che se le elezioni si tenessero adesso sarebbe costretto a dimettersi.

Ora, mentre i soldati israeliani marciano più in profondità nel sud di Gaza, Netanyahu potrebbe trovarsi di fronte a una decisione in grado di comportare enormi conseguenze politiche per la sua carriera: se inviare truppe israeliane nella rete di tunnel di 500 km sotto Gaza.

Ogni tunnel rappresenta una minaccia significativa”

Secondo Philip Ingram, membro dell’MBE [ordine dell’impero britannico, principale onorificenza del Paese, ndt.] ed ex ufficiale dellintelligence militare britannica, se gli israeliani dovessero entrare nella rete di tunnel di Gaza ciò inaugurerebbe una nuova fase della guerra, riducendo significativamente il differenziale di potenza militare tra i contendenti.

In superficie Israele ha intrapreso un implacabile bombardamento aereo e uninvasione di terra dellenclave di 365 kmq sfruttando la sua superiorità sul piano degli armamenti.

Sottoterra Hamas potrebbe fare affidamento su una sofisticata rete di tunnel che costringerebbero i soldati israeliani a procedere a piedi in un’unica fila.

Le sfide per gli israeliani sarebbero enormi” a causa della mancanza di informazioni sufficienti sulla localizzazione dei tunnel, sulla loro estensione e sull’entità delle trappole esplosive che Hamas potrebbe aver predisposto, ha detto Ingram, aggiungendo che dal punto di vista militare gli israeliani vorrebbero certamente evitare di dover combattere nei tunnel”.

Data lesperienza di Hamas nel predisporre trappole esplosive e agguati ogni tunnel rappresenta una minaccia significativa” per le truppe israeliane, ritiene Elijah Magnier, un analista militare che si è occupato di Medio Oriente per più di 30 anni.

Nell’eventualità di una guerra nei tunnel la resistenza palestinese sembra godere di un vantaggio strategico”, dice, riferendosi allelevato numero di soldati israeliani che muoiono o rimangono feriti nella ricerca degli ingressi alla rete di tunnel.

Lesercito israeliano vanta tra i suoi ranghi i Weasels [faine, ndt.] (Samur), ununità specializzata nella guerra nei tunnel, riferisce Ingram, spiegando che le truppe specializzate avranno tutti gli strumenti” e cani addestrati per essere agevolati nel farsi strada nei tunnel.

Tuttavia, non importa quanto si siano esercitati, dice: quale sia la reale situazione laggiù resta in gran parte sconosciuto, il che rende il tutto molto rischioso.

L’organizzazione predisposta da Hamas e la sua profonda conoscenza della vasta rete di tunnel sposterebbero anche i combattimenti da un conflitto a 360 gradi” in superficie a uno in 3D” per le truppe israeliane, che potrebbero dover affrontare un attacco da ogni angolo, afferma.

In ogni caso, gli esperti ritengono che un potenziale conflitto nei tunnel resti probabile a causa della promessa di Netanyahu di eliminare Hamas e i suoi centri di comando sotterranei.

Magnier ritiene che la recente pausa umanitaria” di sette giorni a Gaza ha permesso ad Hamas e alla Jihad islamica di ristrutturare le loro strategie difensive e prepararsi al conflitto in corso”.

Settimane fa i media hanno riferito che Israele avrebbe preso in considerazione la possibilità di avvalersi a proprio favore dell’utilizzo all’interno dei tunnel di gas tossici per cercare di debellare i combattenti di Hamas al loro interno. Lipotesi ha suscitato scalpore a livello internazionale.

Il Wall Street Journal ha recentemente affermato che Israele potrebbe valutare come alternativa all’ingresso delle truppe l’ipotesi di allagare i tunnel con acqua di mare.

Citando funzionari statunitensi, i media hanno affermato che le forze israeliane avrebbero già assemblato a metà novembre un complesso di cinque pompe appena a nord del campo profughi di Shati.

Si legge nell’articolo che le pompe attingerebbero l’acqua dal Mediterraneo immettendola nei tunnel e sarebbero in grado di allagare la rete nel giro di poche settimane.

Estirpare Hamas

Netanyahu si è impegnato a distruggere Hamas” come una delle risposte allattacco del 7 ottobre.

E alla fine per salvare la sua carriera politica potrebbe decidere di inviare truppe nei tunnel nonostante il rischio di enormi perdite, ha detto Nader Hashemi, professore associato di Politica Medio Orientale e Islamica alla Georgetown University.

Netanyahu, ha aggiunto Hashemi, sa che a meno che non riesca a estirpare Hamas e… rivendicare una vittoria finale, non avrà la possibilità di proseguire la sua carriera politica in Israele”.

Netanyahu non ha promesso solo la sconfitta di Hamas, ma anche il rilascio dei 125 prigionieri che secondo Israele si trovano ancora a Gaza.

Israele ritiene che i prigionieri siano tenuti nelle reti sotterranee sotto Gaza, il che significa, secondo Magnier, che l’accesso ai tunnel sarà considerato cruciale dalle forze israeliane incaricate di liberarli.

Unoperazione militare nei tunnel potrebbe anche mettere a rischio i prigionieri, un’altra cosa che Netanyahu potrebbe essere disposto a rischiare per garantire la sconfitta di Hamas.

Hashemi fa riferimento alla Direttiva Annibale, una oscura politica militare israeliana che, secondo quanto riferito, consentirebbe nel caso di rapimento di un soldato luso del massimo della forza, anche se ciò provocasse la morte del soldato, come indicazione che Israele potrebbe dare priorità ai suoi obiettivi militari rispetto alla morte degli ostaggi”.

Costi militari vs benefici politici

Hashemi dice che anche se Netanyahu prende in considerazione un’eventuale operazione nei tunnel, la domanda nella sua mente sarà “quante vittime è disposto a subire davanti all’opinione pubblica” per raggiungere il suo obiettivo.

Ingram ritiene che la decisione verrà presa dopo aver soppesato rischi e benefici e che un probabile risultato sarà che Israele continuerà a mappare la rete dallalto, con l’uso di radar che penetrano nel terreno nel tentativo di identificare i centri di comando chiave, in modo da prenderli di mira espressamente facendo uno squarcio” nella rete.

Dice che, sebbene in molti conflitti precedenti ci sia stata una guerra nei tunnel, la città sotterranea” creata da Hamas ha raggiunto una nuova dimensione”. Afferma che lesercito israeliano si trova ad affrontare un compito senza precedenti e dovrà essere incredibilmente cauto.

Non è chiaro quando Israele potrebbe tentare di entrare nei tunnel.

Magnier dice che Israele è sotto pressione di fronte alle crescenti critiche internazionali e ai crimini di guerra e contro lumanità” e mentre ciò implica che avrebbe bisogno di raggiungere i suoi obiettivi più velocemente, stabilire un calendario specifico per le operazioni di terra costituisce una sfida per qualsiasi comandante militare”.

Lavanzata israeliana, prosegue, è stata straordinariamente lenta nonostante sia avvenuta in una zona residenziale piccola ma densamente popolata” e spiega come il bombardamento indiscriminato di aree civili da parte di Israele abbia aiutato involontariamente la resistenza fornendole copertura e riparo.

Se le truppe israeliane entrassero nella rete di tunnel ciò potrebbe significare un conflitto prolungato, che si svolgerebbe sotto terra in un vuoto di informazioni.

Se accerchiato Hamas potrebbe trovarsi ad affrontare una carenza di carburante e di rifornimenti mentre, al contrario, le truppe israeliane potrebbero procedere a rilento per settimane e settimane solo per avanzare di 100 metri”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Mettere in discussione le storie che ci raccontano sulla solidarietà e la propaganda

Benay Blend

4 dicembre 2023 – Palestine Chronicle

Essere solidali con gli oppressi, chiunque essi siano, significa stare in guardia rispetto ai media sensazionalisti che trasformano la vittima in carnefice per infiammare l’opinione pubblica.

Nella Giornata Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese, il 29 novembre, è sempre bene ricordare che cosa significa realmente essere solidali con un altro gruppo di persone.

Non importa che la data sia arrivata e trascorsa prima che compaia questo articolo, perché la solidarietà non è una sciarpa che possa essere indossata e tolta, usata quando serve ma messa da parte quando non serve più.

Ora più che mai significa porre al centro le voci dei palestinesi in tutti gli eventi, piuttosto che incoraggiare altri ad assumere la guida. Se è vero che non tutti i palestinesi la pensano allo stesso modo, la maggioranza di loro è unita in nome della causa di liberazione, scrive Ramzy Baroud, un’unità che si avverte all’interno della patria e al di fuori.

Invece di proporre logore soluzioni, opinioni sul valore di questa o quella strategia, è ora di ascoltare ciò che i palestinesi immaginano per il loro futuro.

Il 29 novembre Romana Rubeo, caporedattrice di Palestine Chronicle, ha osservato che alcuni intendono essere solidali solo quando gli occupati appaiono come vittime, nonostante che i palestinesi abbiano sempre “sublimato il dolore nella lotta”.

Anche i bambini”, osserva Ramzy Baroud, fondatore di Palestine Chronicle, “che hanno perso membri della propria famiglia a Gaza stanno con coraggio di fronte alle telecamere ribadendo che non cederanno mai e che niente li potrà scacciare dalla loro patria. Vecchi e giovani riaffermano la stessa logica, usano linguaggi simili, persino dai letti di ospedale.”

Infine è importante non riproporre la hasbara (propaganda) che si è imposta nei media occidentali ed è stata ostinatamente ripetuta da capi di Stato. Subito dopo il 7 ottobre c’è stato un rapporto su bambini israeliani presumibilmente decapitati da Hamas.

Poiché mi ricordavo di una vicenda simile durante l’invasione irachena del Kuwait, quella di bambini tirati fuori dalle incubatrici dagli iracheni e lasciati morire, diffidavo della veridicità di questo rapporto. Benché sia stato subito dimostrato che la voce è stata messa in giro da un israeliano che non ne aveva la minima prova, la storia ha preso piede fino ad ora e viene ancora ripetuta da alcuni come un dato di fatto.

Nonostante la storia della falsità e delle autentiche menzogne di Israele”, spiega Jamal Kanj, “i mezzi di informazione e i leader occidentali continuano a contestare la veridicità delle narrazioni di testimoni in prima persona sul campo, essendo disponibili al contempo ad assumere la falsa versione israeliana degli eventi.”

Recentemente il Washington Post ha pubblicato un titolo sensazionalistico che allude all’uso da parte di Hamas dello “stupro come arma di guerra”. L’articolo prosegue dipingendo un quadro di barbari palestinesi che hanno stuprato e saccheggiato nel loro passaggio per i villaggi e le città israeliane.

Anche se il dirigente di Hamas Basem Naim ha spiegato che un tale comportamento va contro i principi islamici, il Washington Post ha sorvolato sulla sua dichiarazione.

Il rapporto prosegue ignorando le prove secondo cui quel giorno sono stati i soldati israeliani a sparare su qualunque cosa si muovesse, accollandosi così parte del peso delle 1200 morti israeliane.

Un significativo numero (di persone uccise durante il raid) sono state uccise dal fuoco incrociato”, scrive l’attivista sudafricano Ronnie Kasrils, “molte da fucili e bombe israeliani. Ci sono rapporti che indicano che alcuni dei soldati israeliani erano scarsamente addestrati ad operare in situazioni di panico.”

Sembra che il regime sionista stesse progettando per i palestinesi ciò che essi stessi hanno fatto a donne e bambini detenuti nelle prigioni israeliane, ma ad oggi non è stato detto molto su questo.

È vero che lo stupro è spesso usato come arma in situazioni di guerra per disumanizzare il nemico, ma in questo caso sembra che sia il contrario. Certo negli Stati Uniti c’è una lunga storia di neri falsamente accusati di stupro di donne bianche, in parte per diffondere paura ma anche per giustificare i linciaggi estragiudiziali alla fine del XIX e nel XX secolo.

Negli anni ’90 del 1800 la paladina nera e giornalista investigativa Ida B Wells intraprese uno studio di massa che avrebbe messo in luce le accuse fraudolente che giustificavano il linciaggio dei neri.

Più di recente vi è stato il caso dei cinque di Central Park, giovani neri e latini arrestati per il brutale stupro di una donna a Central Park a New York. Nel 1989, un anno caratterizzato da crimini e tensioni razziali, il pubblico ha visto ciò che era preparato a vedere e i media hanno giocato su queste paure facendone un caso sensazionalistico.

Il pregiudizio di conferma consiste nella tendenza individuale ad accettare solo ciò che sorregge il proprio preesistente punto di vista prevenuto”, nota Jamal Kanj. Questo vale oggi per i media occidentali nei confronti della Palestina e per i loro racconti di ciò che Hillary Clinton definì “superpredatori”, minori neri che secondo lei erano coinvolti in bande e questioni di droga.

Oggi c’è il documentario ‘Quando loro ci vedono’ che riporta le fasi del proscioglimento. Ciononostante questi cinque uomini passarono anni dietro le sbarre perché i media e i responsabili pubblici furono svelti a giocare sulle paure della gente.

Oggi i media insieme a diversi governi del mondo usano la stessa tecnica per equiparare la resistenza palestinese al terrorismo. Come nei casi suddetti, il linguaggio irresponsabile del sensazionalismo e della verità distorta comporta delle conseguenze.

In una comunicazione, dei palestinesi americani di Chicago hanno incolpato i media e i responsabili pubblici per l’assassinio del bambino di sei anni Wadea Al-Fayoume. Il 15 ottobre il bambino è stato brutalmente accoltellato 26 volte da un aggressore razzista che credeva che “tutti i musulmani devono morire.”

Precedentemente la consigliera comunale di Chicago Debra Silverstein aveva presentato una risoluzione che invitava a porre attenzione agli stereotipi razzisti collegati ai palestinesi, compresa “la disinformazione israeliana priva di fondamento circa gli eventi del 7 ottobre da parte di relatori filoisraeliani, che ripetono retoriche razziste riguardo agli arabi – sistematiche violenze sessuali contro le donne, sistematici massacri di bambini, decapitazioni – che l’esercito israeliano e la Casa Bianca hanno sempre rifiutato di verificare.”

Secondo Ameera Al-Beituni e Noor Hssan questi tropi razzisti hanno spinto il killer di Al-Fayoume a commettere il brutale crimine, riportando alla mente come le raffigurazioni razziste dei neri condussero al loro pubblico linciaggio.

Un giorno dopo che il Washington Post ha pubblicato le infondate accuse che Hamas aveva compiuto violenze sessuali contro donne “israeliane” il 7 ottobre, i titoli hanno riferito una storia diversa. Tre studenti palestinesi erano stati colpiti a morte nello stato liberale del Vermont, dove risiede Bernie Sanders.

Causa ed effetto? Molto probabilmente, ma la polizia dice di non aver ancora trovato un chiaro movente per gli spari. Per quale motivo qualcuno dovrebbe sparare a sangue freddo a tre palestinesi che parlano in arabo e indossano la kefiah, se non per odio scatenato dai media?

È importante riconoscere che questo fa parte di una storia più ampia. Questo orrendo crimine non ha origine nel vuoto”, dice Hisham Awartini, la vittima più gravemente ferita. “Così come apprezzo ognuno di voi che siete qui oggi, io sono una vittima di questo conflitto molto più ampio.”

Basil Awartini, cugino di Hisham, in questo stesso articolo suggerisce che gli spari sono stati una conseguenza di “una retorica pericolosa e disumanizzante vomitata da politici USA e opinionisti di destra.” Poi nello stesso pezzo il Post accusa Hamas di avere assassinato 1200 israeliani il 7 ottobre, anche se vi sono sempre più prove che “Israele” in quel giorno ha ucciso alcuni propri cittadini.

Essere solidali con gli oppressi, chiunque essi siano, significa stare in guardia rispetto ai media sensazionalisti che trasformano la vittima in carnefice per infiammare l’opinione pubblica. Non è difficile riconoscere gli stereotipi come anche esempi nel passato in cui la stessa disinformazione è stata usata per giustificare l’impiego della violenza contro altri esseri umani.

Dobbiamo essere solidali con il popolo palestinese”, conclude Rubeo, “che resiste, lotta, piange per i suoi figli e sorride se un prigioniero viene rilasciato. Con il popolo palestinese che respinge l’invasore e occupante ogni giorno, in modi diversi.”

Benay Blend ha ottenuto il dottorato in Studi Americani presso l’università del Nuovo Messico. Il suo lavoro di studiosa include: ‘Situated Knowledge’ in the Works of Palestinian and Native American Writers” [‘Saperi contestualizzati’ nel lavoro di scrittori palestinesi e nativi americani] (2017) in “’Neither Homeland Nor Exile are Words’” [Nè Patria né Esilio sono parole], curato da Douglas Vakoch e Sam Mickey.

Ha contribuito con questo articolo a The Palestine Chronicle.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Una rottura inevitabile: l’Operazione Al-Aqsa e la fine della partizione

Tareq Baconi 

26 novembre 2023, Al Shakaba 

L’offensiva a sorpresa di Hamas del 7 ottobre 2023 ha inferto un colpo letale all’esercito e all’opinione pubblica israeliana dalla fondazione dello Stato nel 1948. Per ritorsione, Israele ha lanciato il più vasto attacco militare della storia a Gaza, distruggendo ampie parti del territorio e uccidendo oltre 14.000 palestinesi, più di un terzo dei quali minori. Con il via libera degli Stati Uniti e di gran parte dell’Europa, Israele ha portato avanti quella che studiosi ed esperti hanno definito una campagna di genocidio, cercando di sbarazzarsi dei palestinesi di Gaza con il pretesto di decimare Hamas.

La velocità con cui Israele si è mobilitato e la portata del suo attacco avvalorano la convinzione palestinese che il regime di occupazione coloniale stia attuando piani predisposti da tempo per l’espulsione di massa. Nel frattempo, i funzionari israeliani hanno utilizzato una campagna narrativa di disumanizzazione dei palestinesi per porre le basi per una giustificazione dell’immensa violenza.

In contrasto a questo scenario, questo articolo riconduce l’ultimo attacco israeliano a Gaza al suo contesto più ampio;e analizza la ghettizzazione della terra palestinese da parte di Israele attraverso la partizione in bantustan e individua l’Operazione Diluvio di Al-Aqsa di Hamas come momento di rottura del sistema di partizione. È importante che si metta in primo piano la questione di ciò che verrà dopo la partizione e si ponga un freno alle crescenti possibilità di pulizia etnica dei palestinesi.

Gaza: il peggior bantustan d’Israele

Israele afferma di essere uno Stato sia ebraico che democratico, rifiutandosi di dichiarare i propri confini ufficiali e controllando totalmente un territorio all’interno dei cui confini vivono più palestinesi che ebrei. Per raggiungere questa realtà è necessaria una sofisticata struttura di ingegneria demografica, basata sulla diversificazione legale dei palestinesi e sullo stretto controllo dei loro movimenti e luoghi di residenza, confinandoli in enclave geografiche. Questo sistema è nato dall’ondata iniziale di espulsione di massa e pulizia etnica dei palestinesi avvenuta nel 1948, in cui più di 530 villaggi palestinesi furono spopolati per fare spazio ai coloni ebrei. Questa pratica coloniale di insediamento non è ancora chiusa nei libri di storia.

Ciò che i palestinesi chiamano Nakba è in corso da allora, con le quotidiane pratiche di colonizzazione di Israele che assumono forme diverse in diverse aree sotto il suo controllo. E costituisce un il pilastro centrale del regime di apartheid di Israele.

Gaza rappresenta storicamente la manifestazione più estrema del sistema israeliano di bantustan per i palestinesi. Con una delle più alte densità di popolazione del mondo, Gaza è composta prevalentemente da rifugiati espulsi dalle terre intorno alla Striscia durante l’istituzione di Israele nel 1948. In effetti, molti dei combattenti che hanno fatto irruzione nelle città israeliane il 7 ottobre sono probabilmente discendenti di rifugiati proprio da quelle terre in cui sono planati o strisciati, entrandovi per la prima volta dall’espulsione delle loro famiglie.

Dal 1948 Israele si è dedicato con impegno a recidere ogni nesso tra l’attuale resistenza anticoloniale e lo storico e corrente sistema di apartheid israeliano. Mentre molti pensano che Gaza sia sotto blocco perché governata da Hamas, Israele in realtà ha sperimentato dal 1948 un’infinità di tattiche per depoliticizzare il territorio e pacificarne la popolazione. Queste tattiche hanno incluso lo strangolamento economico e il blocco, decenni prima che Hamas fosse fondato, e senza alcun risultato.

Con la presa del potere da parte di Hamas nel 2007, ai leader israeliani si è presentata un’opportunità: utilizzando la retorica del terrorismo, Israele ha posto Gaza sotto un blocco ermetico ignorando il programma politico del movimento sulla cui base era stato democraticamente eletto. Inizialmente il blocco doveva essere una tattica punitiva per forzare la capitolazione di Hamas, ma si è rapidamente trasformato in una struttura volta a contenere Hamas e a separare l’enclave costiera dal resto della Palestina. Con oltre due milioni di palestinesi invisibili dietro i muri e sotto assedio e blocco, il governo israeliano e gran parte dell’opinione pubblica israeliana – per non parlare dei leader occidentali – potevano lavarsi le mani della realtà che avevano creato.

Il blocco imposto dal regime di Israele serve all’obiettivo di contenimento sia dei palestinesi che di Hamas. Nel corso degli ultimi sedici anni, Israele ha fatto affidamento principalmente su Hamas per governare la popolazione di Gaza, pur mantenendo il controllo esterno dell’enclave. Hamas e il regime israeliano sono caduti in un equilibrio instabile, spesso sfociato in episodi di infinita violenza in cui migliaia di civili palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano. Per Israele questa dinamica ha funzionato così bene che non è mai stata necessaria una strategia politica per Gaza. Come altrove in tutta la Palestina, Israele ha fatto affidamento sulla gestione dell’occupazione piuttosto che affrontarne i fattori politici, mantenendosi signore supremo dell’occupazione nelle varie enclave palestinesi governate da entità sotto il suo controllo sovrano.

L’unico obiettivo che Israele ha perseguito negli ultimi quindici anni è stato quello di cercare di garantire una relativa calma agli israeliani, in particolare a quelli che risiedono nelle aree circostanti Gaza. Lo ha fatto utilizzando una forza militare schiacciante, anche se quella calma è raggiunta a costo dell’imprigionamento di una popolazione di milioni di persone e del loro mantenimento in condizioni prossime alla fame. Gaza è stata così completamente cancellata dalla psiche israeliana che i manifestanti che marciavano per proteggere la cosiddetta democrazia israeliana all’inizio del 2023 si illudevano di fatto che democrazia e apartheid fossero verosimili compagni di letto.

Il collasso del sistema di partizioni

Quindi per la maggior parte del pubblico israeliano e dei sostenitori di Israele all’estero l’offensiva di Hamas è arrivata dal nulla. Uscendo dalla prigione, le Brigate Al-Qassam – l’ala militare di Hamas – hanno rivelato la povertà strategica del presupposto secondo cui i palestinesi avrebbero consentito indefinitamente alla propria prigionia e sottomissione. Ancora più importante, l’operazione ha devastato la stessa fattibilità dell’approccio partizionista di Israele: la convinzione che i palestinesi possano essere dirottati nei bantustan mentre lo Stato colonizzatore continua a godere di pace e sicurezza – e persino espande le sue relazioni diplomatiche ed economiche nella regione circostante. Distruggendo l’idea che Gaza possa essere cancellata dall’equazione politica generale, Hamas ha fatto a brandelli l’illusione che la divisione etnica in Palestina sia una forma sostenibile o efficace di ingegneria demografica, per non parlare di morale o legalità.

Nel giro di poche ore dall’Operazione Diluvio di Al-Aqsa, l’infrastruttura che era stata messa in atto per contenere Hamas – e con essa, per cacciare i palestinesi da Gaza – è stata distrutta davanti agli occhi spesso increduli di tutti. Mentre i combattenti di Hamas irrompevano nel territorio controllato da Israele, la collisione tra il mito di Israele come Stato democratico e la sua realtà di portatore di un violento apartheid è stata scioccante, tragica e, in definitiva, irreversibile. Di conseguenza, israeliani e palestinesi sono stati gettati in un paradigma post-partizione, in cui sia la convinzione di Israele della sostenibilità dell’ingegneria demografica sia l’infrastruttura dei bantustan utilizzata si sono rivelate temporanee e inefficaci.

Il crollo del quadro partizionista ha presentato un paradosso: da un lato, i palestinesi e i loro alleati hanno cercato di diffondere la consapevolezza che Israele è uno Stato di apartheid coloniale di insediamento. Questa consapevolezza è servita agli sforzi di alcuni volti a promuovere la decolonizzazione e il perseguimento di un sistema politico radicato nella libertà, nella giustizia, nell’uguaglianza e nell’autodeterminazione. Molti palestinesi credono che il risultato della loro lotta per la liberazione sarà l’architettura politica di un tale spazio decolonizzato, una volta smantellati gli elementi centrali dell’apartheid – pulizia etnica, rifiuto di consentire il ritorno dei rifugiati e partizione.

D’altra parte, in assenza di un progetto politico in grado di sostenere questa lotta decoloniale, il collasso del 7 ottobre del sistema di partizione ha accelerato l’impegno di Israele alla pulizia etnica. Allo stesso modo ha rafforzato la convinzione fascista ed etnico-tribale secondo cui, senza partizione, solo gli ebrei possano esistere in sicurezza nella terra della Palestina colonizzata, dal fiume Giordano al mar Mediterraneo. In altre parole, il collasso delle possibilità partizioniste potrebbe aver gettato le basi per un’altra Nakba piuttosto che per un futuro decolonizzato.

I calcoli politici di Hamas

Questo paradosso spiega, in parte, il risentimento espresso nei confronti dell’offensiva di Hamas da parte anche di alcuni palestinesi che vedono nell’attacco l’inizio di un’altra crisi per la loro lotta collettiva. L’incombente possibilità di una pulizia etnica non deve essere sottovalutata, e lo sbalorditivo bilancio delle vittime che i civili di Gaza stanno sperimentando deve indurre tutti a riflettere sull’enorme costo provocato dall’operazione di Hamas, anche quando la responsabilità primaria di questa violenza ricada direttamente sul regime coloniale israeliano.

Tuttavia tale lettura travisa i calcoli politici di Hamas. Ovviamente c’è qualcosa di vero nell’insinuare che questa violenza sia stata scatenata dall’attacco di Hamas. Eppure la realtà era letale per i palestinesi anche prima dell’offensiva, anche se in misura minore di quanto avvenuto dopo il 7 ottobre. Era una violenza che si era normalizzata e che, nella sua essenza, aveva lo stesso scopo: uccidere i palestinesi in massa. La violenza a cui abbiamo assistito nel 2023 non è altro che lo scatenarsi della brutalità che ha sempre costituito le basi della lotta di Israele con i palestinesi in generale, e con quelli di Gaza in particolare.

La rottura era quindi inevitabile. Il contenimento di Hamas è stato efficace, ma dato l’impegno del movimento per la liberazione palestinese e il suo fermo rifiuto di concedere il riconoscimento dello Stato di Israele, è probabile che il contenimento sia sempre temporaneo a meno che non vengano compiuti seri sforzi per affrontare i fattori politici al centro della lotta palestinese per la liberazione. Con una popolazione in crescita a Gaza e carenze di governance sempre più acute, l’idea che Hamas non ribaltasse quella realtà – soprattutto con l’estendersi dell’impunità israeliana – era miope.

Ciò di cui Hamas è responsabile, e ciò di cui i palestinesi devono ritenerli responsabili, è la misura di una pianificazione – o la sua mancanza – per il giorno successivo all’attacco. Con la consapevolezza che Hamas e altri hanno acquisito nel corso degli anni, non ci potevano essere dubbi sul fatto che l’attacco di Hamas si sarebbe tradotto in furia scatenata contro i palestinesi per mano dell’esercito israeliano. Il movimento avrebbe dovuto essere – e forse lo era – preparato alla violenza che si è abbattuta successivamente su Gaza. Stabilire se i calcoli erano giusti, nonostante la tragica perdita di vite umane, è qualcosa con cui i palestinesi dovranno confrontarsi negli anni a venire.

Ipocrisia e colpe dell’Occidente

Invece di tentare di frenare l’attacco israeliano su Gaza, l’amministrazione Biden ha solo gettato benzina sul fuoco. Nel suo primo discorso dopo l’attentato, il presidente americano ha descritto Hamas come “male assoluto”, paragonandone l’offensiva a quelle dell’Isis; ha anche paragonato il 7 ottobre all’11 settembre e ha ripetutamente fatto riferimento a pretese brutalità poi ampiamente smentite per fomentare luoghi comuni orientalisti e islamofobici nel tentativo di giustificare la ferocia della risposta di Israele.

È importante notare che gli sforzi per collegare la resistenza palestinese in tutte le sue forme – pacifica o armata – al terrorismo sono molto anteriori all’attacco di Hamas. Durante la Seconda Intifada, evocare l’11 settembre da parte di Ariel Sharon trovò un pubblico ricettivo nell’amministrazione Bush, che era nelle prime fasi di elaborazione della sua dottrina di Guerra al Terrore. I mesi successivi videro Israele lanciare invasioni militari estremamente distruttive contro i campi profughi in Cisgiordania sotto il cartello della lotta al terrorismo.

Nel frattempo i principali media e gli spazi politici occidentali continuano a mancare di analisi approfondite e fondate sull’evolversi della situazione. Invece è stato proposto un imperante modello di disumanizzazione palestinese in modo così totale che qualsiasi tentativo di utilizzare le piattaforme dei media per smantellare – o semplicemente mettere in discussione – il sistema di dominio israeliano incontra reazioni perplesse e una condanna uniforme. In questa lettura Hamas avrebbe agito in modo irrazionale, i palestinesi di Gaza erano a disposizione del movimento come scudi umani e il sistema coloniale israeliano nel suo insieme era tranquillo e sostenibile prima del 7 ottobre. Queste reazioni, più che altro, segnalano l’ipocrisia occidentale e il razzismo anti-palestinese.

Ciò che è chiaro è che i leader occidentali si rifiutano pervicacemente di riconoscere l’attacco di Hamas per quello che è stato: una dimostrazione senza precedenti di violenza anticoloniale. L’Operazione Diluvio di Al-Aqsa è stata la risposta inevitabile all’incessante e interminabile provocazione di Israele con il furto di terre, l’occupazione militare, il blocco e l’assedio e la negazione del diritto fondamentale al ritorno in patria da più di 75 anni. Invece di riproporre analogie astoriche e rispolverare vecchie narrazioni, è giunto il momento che la comunità internazionale si confronti con la vera causa principale della violenza a cui stiamo assistendo: l’occupazione dei coloni israeliani e l’apartheid.

Per limitare il sangue che sarà versato quando il sistema di apartheid israeliano sarà messo in discussione, la comunità internazionale e in particolare l’Occidente devono prima fare i conti con il fatto di aver reso possibile un sistema politico etno-nazionalista che ha fatto a pezzi i diritti e le vite dei palestinesi. Il mondo deve affrontare la realtà, che le richieste politiche palestinesi non possono essere cancellate o messe da parte sotto la bandiera onnicomprensiva ma poco convincente della lotta al terrorismo. Invece di imparare la lezione, i politici occidentali sembrano contenti di servire come partner attivi nell’attuale campagna di pulizia etnica del regime israeliano: la nakba della mia generazione.

Tareq Baconi è presidente del consiglio direttivo di Al-Shabaka. È stato borsista di Al-Shabaka per la politica statunitense dal 2016 al 2017. Tareq è ex analista senior per Israele/Palestina ed Economia dei Conflitti presso l’International Crisis Group con sede a Ramallah, e autore di Hamas Contained: The Rise and Pacification of Palestine Resistance (Contenere Hamas: l’ascesa e la pacificazione della resistenza palestinese, Stanford University Press, 2018). Gli scritti di Tareq sono apparsi tra gli altri su London Review of Books, New York Review of Books, Washington Post, ed è di frequente cronista nei media regionali e internazionali. È redattore delle recensioni di libri per il Journal of Palestine Studies.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




“Una fabbrica di omicidi di massa”: sul bombardamento di Gaza pianificato da Israele

Yuval Abraham

30 novembre 2023 – +972 Magazine

Un’indagine di +972 e Local Call rivela come attacchi aerei senza freni su obiettivi non militari e l’uso di un sistema di intelligenza artificiale abbiano consentito all’esercito israeliano di portare avanti la guerra più letale contro Gaza

Un’indagine di +972 Magazine e Local Call rivela come l’autorizzazione all’esercito israeliano di effettuare massicci bombardamenti di obiettivi non militari, l’allentamento dei vincoli riguardo alle possibili vittime civili e l’uso di un sistema di intelligenza artificiale per generare un numero senza precedenti di potenziali obiettivi sembrano aver contribuito alla natura distruttiva delle fasi iniziali dell’attuale guerra di Israele nella Striscia di Gaza. Questi fattori, come descritti da membri in servizio e in congedo dell’intelligence israeliana, hanno probabilmente avuto un ruolo nel produrre quella che è stata una delle campagne militari più letali contro i palestinesi dai tempi della Nakba del 1948.

L’indagine di +972 e Local Call si basa su conversazioni con sette membri in servizio e in congedo della comunità dell’intelligence israeliana – tra cui personale dell’intelligence militare e dell’aeronautica militare coinvolto nelle operazioni israeliane nella Striscia assediata – oltre a testimonianze, dati e documentazione palestinesi dalla Striscia di Gaza e dichiarazioni ufficiali del portavoce dell’IDF e di altre istituzioni statali israeliane.

Rispetto ai precedenti attacchi israeliani su Gaza, l’attuale guerra – che Israele ha chiamato “Operazione Spade di Ferro” e che è iniziata in seguito all’assalto guidato da Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre – ha visto l’esercito estendere in modo significativo i suoi bombardamenti su Gaza contro obiettivi di natura non prettamente militare. Questi includono abitazioni private, edifici pubblici, infrastrutture e grattacieli che secondo le fonti l’esercito definisce “obiettivi di potere” (matarot otzem).

Secondo fonti di intelligence che ne hanno avuto esperienza diretta in passato a Gaza, gli obiettivi del bombardamento di potere mirano principalmente a danneggiare la società civile palestinese: “creare uno shock” che, tra le altre cose, avrà un potente impatto per “indurre i civili a esercitare pressioni su Hamas”, come lo ha descritto una fonte.

Molti degli informatori che hanno parlato con +972 e Local Call a condizione di rimanere anonimi hanno confermato che l’esercito israeliano ha una documentazione sulla stragrande maggioranza dei potenziali obiettivi a Gaza – comprese le case – che stabilisce il numero di civili che potrebbero essere uccisi in un attacco contro un determinato obiettivo. Questa cifra viene calcolata ed è nota in anticipo ai servizi segreti dell’esercito, che sanno anche, poco prima di un attacco, quanti civili verranno sicuramente uccisi.

In un caso di cui hanno parlato le fonti il comando militare israeliano ha consapevolmente approvato l’uccisione di centinaia di civili palestinesi nel tentativo di assassinare un unico importante comandante militare di Hamas. “I numeri sono aumentati da decine di morti civili [autorizzati] in operazioni precedenti a centinaia di morti civili come danno collaterale nell’attacco contro un importante dirigente [di Hamas] “, ha detto una fonte.

“Niente accade per caso”, ha detto un’altra fonte. “Quando una bambina di 3 anni viene uccisa in una casa a Gaza, è perché qualcuno nell’esercito ha deciso che non era un grosso problema che morisse, che era un prezzo che valeva la pena pagare per colpire [un altro] bersaglio. Non siamo Hamas. Questi non sono razzi lanciati a casaccio. Tutto è intenzionale. Sappiamo esattamente quanti danni collaterali ci sono in ogni casa”.

Secondo l’inchiesta, un altro motivo del gran numero di obiettivi e dei gravissimi danni alla vita civile a Gaza è l’uso diffuso di un sistema chiamato “Habsora” (“Il Vangelo”), basato in gran parte sull’intelligenza artificiale, e può “generare” obiettivi quasi automaticamente a una velocità che supera di gran lunga quanto era possibile fare in precedenza. Questo sistema di intelligenza artificiale, come descritto da un ex ufficiale dell’intelligence, consente essenzialmente di avere una “fabbrica di omicidi di massa”.

Secondo le fonti, il crescente utilizzo di sistemi come Habsora basati sull’intelligenza artificiale permette all’esercito di effettuare attacchi su vasta scala contro edifici residenziali in cui vive un solo membro di Hamas, anche quelli in cui ci siano miliziani poco importanti di Hamas. Eppure le testimonianze dei palestinesi a Gaza suggeriscono che dal 7 ottobre l’esercito ha attaccato anche molte abitazioni private in cui non risiedeva alcun membro noto o presunto di Hamas o di qualsiasi altro gruppo armato. Tali attacchi, hanno confermato fonti a +972 e Local Call, possono uccidere consapevolmente intere famiglie.

Nella maggior parte dei casi, aggiungono le fonti, nessuna attività militare viene condotta dalle case prese di mira. “Ricordo di aver pensato che era come se (i miliziani palestinesi) bombardassero tutte le case private delle nostre famiglie quando (i soldati israeliani) tornano a dormire a casa nel fine settimana,” ha osservato una fonte, critica nei confronti di questa pratica.

Un’altra fonte ha affermato che dopo il 7 ottobre un alto funzionario dell’intelligence ha detto ai suoi ufficiali che l’obiettivo era “uccidere quanti più miliziani di Hamas possibile,” per cui i criteri relativi al danno ai civili palestinesi erano significativamente allentati. Pertanto, ci sono “casi in cui bombardiamo sulla base di una localizzazione cellulare ampia del punto in cui si trova l’obiettivo, uccidendo civili. Questo viene spesso fatto per risparmiare tempo, invece di fare un po’ di lavoro in più per ottenere una localizzazione più accurata”, ha detto la fonte.

Il risultato di queste politiche è l’incredibile perdita di vite umane a Gaza dal 7 ottobre. Oltre 300 famiglie hanno perso dieci o più membri a causa dei bombardamenti israeliani negli ultimi due mesi, un numero 15 volte superiore rispetto alla cifra registrata in precedenza nella guerra più mortale di Israele contro Gaza, nel 2014. Al momento in cui scrivo, circa 15.000 palestinesi sono stati uccisi nella guerra, e continuano ad aumentare.

“Tutto ciò avviene in contrasto con il protocollo utilizzato dall’IDF in passato”, ha spiegato una fonte. “C’è la sensazione che gli alti funzionari dell’esercito siano consapevoli del loro fallimento il 7 ottobre, e siano impegnati nel fornire all’opinione pubblica israeliana un’immagine [di vittoria] che salverà la loro reputazione”.

Una scusa per provocare distruzioni”

Israele ha scatenato il suo attacco contro Gaza subito dopo l’offensiva guidata da Hamas il 7 ottobre nel sud di Israele. Secondo un rapporto dell’Ong Medici per i Diritti Umani-Israele, durante quell’aggressione, sotto una pioggia di razzi, i miliziani palestinesi hanno massacrato più di 840 civili e ucciso 350 soldati e personale della sicurezza, rapendo circa 240 persone, civili e soldati, verso Gaza, e commesso violenze sessuali generalizzate, tra cui stupri.

In un primo momento dopo l’attacco del 7 ottobre i dirigenti politici israeliani hanno apertamente dichiarato che la risposta sarebbe stata di dimensioni totalmente diverse rispetto alle precedenti operazioni militari a Gaza, con l’esplicita intenzione di sradicare totalmente Hamas. “Il rilievo è dato ai danni e non all’accuratezza,” ha affermato il portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari il 9 ottobre. L’esercito ha prontamente messo in pratica queste dichiarazioni.

Secondo le fonti che hanno parlato con +972 e Local Call, i bersagli colpiti dagli aerei israeliani a Gaza possono essere divisi all’incirca in quattro categorie. La prima sono gli “obiettivi tattici,” che includono consueti bersagli militari come cellule di miliziani, depositi di armi, lanciarazzi, lanciamissili anticarro, fosse di lancio, bombe di mortaio, centri di comando militari, posti di osservazione, e via di seguito.

La seconda sono gli “obiettivi sotterranei”, principalmente tunnel che Hamas ha scavato sotto i quartieri di Gaza, anche sotto abitazioni civili. Attacchi aerei contro questi bersagli possono portare al crollo delle case sopra o nei pressi dei tunnel.

La terza sono gli “obiettivi di potere”, che includono edifici alti e torri residenziali nel cuore delle città ed edifici pubblici come università, banche e uffici statali. L’idea che sta dietro al colpire tali bersagli, dicono tre fonti dell’intelligence che in passato sono stati coinvolti nella pianificazione o conduzione di attacchi contro obiettivi di potere, è che un attacco deliberato contro la società palestinese provocherà una “pressione dei civili” su Hamas.

L’ultima categoria consiste in “case private” o “case di miliziani”. L’intenzione dichiarata di questi attacchi è distruggere le abitazioni per assassinare un abitante sospettato di essere un membro operativo di Hamas o del Jihad Islamico. Tuttavia in questa guerra testimoni palestinesi affermano che alcune delle famiglie uccise non includevano alcun miliziano di quelle organizzazioni.

Nelle prime fasi dell’attuale guerra l’esercito israeliano sembra essersi occupato principalmente della terza e quarta categoria di bersagli. Secondo le affermazioni del portavoce dell’esercito l’11 ottobre, durante i primi cinque giorni di combattimenti metà degli obiettivi colpiti – 1.329 su un totale di 2.687 – erano definiti obiettivi di potere.

Ci veniva chiesto di cercare edifici alti con metà di un piano che potesse essere attribuito ad Hamas,” ha affermato una fonte che ha preso parte a precedenti offensive israeliane a Gaza. “A volte è l’ufficio di un portavoce di un gruppo di miliziani o dove si incontrano i membri operativi. Mi sono reso conto che il piano è una scusa per consentire all’esercito di provocare grandi distruzioni a Gaza. E’ quello che ci hanno detto. Se dicessero a tutto il mondo che gli uffici (del Jihad Islamico) al decimo piano non sono un obiettivo importante, ma che la sua esistenza è una giustificazione per radere al suolo l’intero grattacielo per spingere le famiglie di civili che vi vivono a far pressione sulle organizzazioni terroristiche, ciò verrebbe visto in sé come terrorismo. Quindi non lo dicono,” aggiunge la fonte.

Varie fonti che hanno prestato servizio nelle unità di intelligence dell’IDF hanno affermato che almeno fino alla guerra in corso le regole d’ingaggio dell’esercito consentivano di attaccare obiettivi di potere solo quando l’edificio era disabitato al momento dell’attacco. Tuttavia testimonianze e video da Gaza suggeriscono che dal 7 ottobre alcuni di questi bersagli sono stati attaccati senza informare in precedenza gli abitanti, uccidendo di conseguenza intere famiglie.

L’attacco su vasta scala contro edifici residenziali può essere rintracciato da informazioni pubbliche e ufficiali. Secondo l’ufficio stampa del governo a Gaza – che ha fornito il bilancio dei morti da quando ha smesso di farlo il Ministero della Sanità di Gaza l’11 novembre a causa del crollo dei servizi sanitari nella Striscia – al momento della tregua temporanea iniziata il 23 novembre Israele aveva ucciso 14.800 palestinesi a Gaza. Circa 6.000 di loro erano minorenni e 4.000 donne, che insieme costituiscono più del 67% del totale. I dati forniti dal Ministero della Sanità e dall’ufficio stampa del governo – entrambi sotto l’egida del governo di Hamas – non si differenziano significativamente dalle stime israeliane.

Peraltro il Ministero della Sanità di Gaza non specifica quanti morti facessero parte dell’ala militare di Hamas o del Jihad Islamico. L’esercito israeliano stima di aver ucciso tra i 1.000 e i 3.000 miliziani palestinesi. Secondo articoli dei mezzi di comunicazione israeliani alcuni dei miliziani morti sono rimasti sepolti sotto le macerie o nel sistema di tunnel sotterranei di Hamas, e di conseguenza non sono stati inclusi nei conteggi ufficiali.

Dati dell’ONU per il periodo fino all’11 novembre, secondo cui fino a quel momento Israele aveva ucciso 11.078 palestinesi a Gaza, sostengono che almeno 312 famiglie hanno perso 10 o più membri nell’attuale attacco israeliano; per fare un confronto, durante l’operazione “Margine Protettivo” nel 2014 a Gaza 20 famiglie avevano perso 10 o più membri. Secondo i dati dell’ONU almeno 189 famiglie hanno perso tra i sei e i nove membri, mentre 549 famiglie hanno perso tra le due e le cinque persone. Nessuna disaggregazione aggiornata è stata ancora fornita per i dati delle vittime resi pubblici dall’11 novembre.

I massicci attacchi contro obiettivi di potere e abitazioni private sono avvenuti nello stesso momento in cui l’esercito israeliano, il 13 ottobre, ha invitato il milione e centomila abitanti del nord della Striscia di Gaza, molti dei quali residenti a Gaza City, di lasciare le proprie case e spostarsi nel sud della Striscia. A quella data un numero record di obiettivi di potere era già stato bombardato e più di 1.000 palestinesi erano già stati uccisi, tra cui centinaia di minorenni.

Secondo l’ONU dal 7 ottobre in totale un milione e settecentomila palestinesi, la grande maggioranza della popolazione della Striscia, è stato sfollato all’interno di Gaza. L’esercito ha sostenuto che la richiesta di evacuazione del nord della Striscia intendeva proteggere le vite dei civili. Tuttavia i palestinesi vedono questo spostamento di massa come parte di una “nuova Nakba”, un tentativo di pulizia etnica di parte o di tutto il territorio.

Hanno raso al suolo un grattacielo per il gusto di farlo”

Secondo l’esercito israeliano durante i primi cinque giorni di combattimenti sono state lanciate 6.000 bombe sulla Striscia, per un peso totale di circa 4.000 tonnellate. I mezzi di informazione hanno riportato che l’esercito ha spazzato via interi quartieri. Secondo il Centro Al Mezan per i Diritti Umani, con sede a Gaza, questi attacchi hanno portato alla “completa distruzione di quartieri residenziali, di infrastrutture e l’uccisione in massa di abitanti.”

Come documentato da Al Mezan e da numerose immagini provenienti da Gaza, Israele ha bombardato l’Università Islamica di Gaza, la Palestinian Bar Association [associazione di avvocati palestinesi, ndt.], un edificio dell’ONU per programmi educativi per studenti d’eccellenza, un edificio dell’impresa di telecomunicazioni palestinese, il Ministero dell’Economia Nazionale, quello della Cultura, strade e decine di grattacieli e case, soprattutto nei quartieri settentrionali di Gaza.

Il quinto giorno del conflitto il portavoce dell’IDF ha distribuito ai reporter di guerra in Israele immagini satellitari “prima e dopo” dei quartieri a nord della Striscia, come Shuja’iyya e Al-Furqan (che prende il nome da una moschea della zona) a Gaza City, che mostrano decine di case ed edifici distrutti. L’esercito israeliano ha affermato di aver colpito 182 obiettivi di potere a Shuja’iyya e 312 ad Al-Furqan.

Il capo di stato maggiore dell’aviazione israeliana Omer Tishler ha detto ai giornalisti di guerra che tutti questi attacchi sono un bersaglio militare legittimo, ma anche che interi quartieri sono stati attaccati “su larga scala e non in modo chirurgico”. Notando che metà degli obiettivi militari fino all’11 ottobre erano obiettivi di potere, il portavoce dell’IDF ha detto che “quartieri che servono come covi terroristici per Hamas” sono stati attaccati e che sono stati causati danni a “centri di comando operativi”, “strutture operative” e “strutture utilizzate da organizzazioni terroristiche all’interno di edifici residenziali.” Il 12 ottobre l’esercito israeliano ha annunciato di aver ucciso tre “importanti membri di Hamas”, due dei quali facevano parte dell’ala politica del gruppo.

Eppure, nonostante gli incontrollati bombardamenti israeliani, i danni per le infrastrutture militari di Hamas nel nord di Gaza durante i primi giorni di guerra sembrano essere stati molto ridotti. Di fatto fonti dell’intelligence hanno detto a +972 e Local Call che i bersagli militari che facevano parte di obiettivi di potere erano stati precedentemente utilizzati molte volte come foglie di fico per colpire la popolazione civile. “Hamas è ovunque a Gaza, non c’è edificio che non abbia al suo interno qualcosa di Hamas, così se vuoi trovare un modo per trasformare un grattacielo in bersaglio riuscirai a farlo,” ha detto un ex-ufficiale dell’intelligence.

Non colpiranno mai semplicemente un grattacielo che non abbia qualcosa che si possa definire obiettivo militare,” ha detto un’altra fonte dell’intelligence, che ha in precedenza effettuato attacchi contro obiettivi di potere. “Ci sarà sempre un piano (associato ad Hamas) in un edificio alto. Ma, quando si tratta di obiettivi di potere, per lo più è chiaro che il bersaglio non ha un valore militare che giustifichi un attacco che demolisce un intero edificio vuoto in mezzo a una città, con l’intervento di sei aerei e bombe che pesano parecchie tonnellate.”

In effetti, secondo fonti che sono state coinvolte nel designare obiettivi di potere in guerre precedenti, benché la documentazione sul bersaglio in genere contenga un qualche tipo di presunto rapporto con Hamas o altre organizzazioni di miliziani, colpire l’obiettivo funziona principalmente come un “mezzo che consente di danneggiare la società civile”. Le fonti si rendono conto, alcune esplicitamente e altre implicitamente, che il vero scopo di questi attacchi è danneggiare i civili.

Nel maggio 2021, per esempio, Israele è stato duramente criticato per aver bombardato la Torre Al-Jalaa, che ospitava importanti mezzi di informazione internazionali come Al Jazeera, AP e AFP [una agenzia di stampa statunitense e l’altra francese, ndt.]. L’esercito ha sostenuto che l’edificio era un obiettivo militare di Hamas; alcune fonti hanno detto a +972 e Local Call che di fatto si trattava di un obiettivo di potere.

La sensazione è che quando vengono demoliti grattacieli ciò colpisce realmente Hamas perché crea una reazione dell’opinione pubblica nella Striscia di Gaza e spaventa la popolazione,” ha affermato un’altra fonte. “Vogliono dare ai cittadini di Gaza la sensazione che Hamas non ha il controllo della situazione. A volte hanno demolito edifici, a volte il servizio postale ed edifici governativi.”

Benché attaccare più di 1.000 obiettivi di potere in cinque giorni non abbia precedenti per l’esercito israeliano, l’idea di provocare una massiccia devastazione di zone civili per obiettivi strategici era stata formulata in precedenti operazioni a Gaza, perfezionata dalla cosiddetta “Dottrina Dahiya” nella seconda guerra del Libano nel 2006. Secondo questa dottrina, sviluppata dall’ex-capo di stato maggiore dell’IDF Gadi Eizenkot, che ora è deputato alla Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] e fa parte dell’attuale gabinetto di guerra, in una guerra contro gruppi di guerriglieri come Hamas o Hezbollah Israele deve fare uso di una forza sproporzionata e schiacciante prendendo di mira infrastrutture civili e statali come deterrente per obbligare la popolazione civile a fare pressione sui gruppi armati perché pongano fine ai loro attacchi. Il concetto di “obiettivi di potere” sembra derivare proprio da questa logica.

La prima volta che l’esercito israeliano ha pubblicamente definito degli obiettivi di potere a Gaza è stato alla fine dell’operazione “Margine protettivo” nel 2014. L’esercito bombardò quattro edifici durante gli ultimi quattro giorni di guerra, tre residenziali a più piani a Gaza City e un grattacielo a Rafah. All’epoca l’apparato di sicurezza spiegò che gli attacchi intendevano comunicare ai palestinesi di Gaza che “niente è più immune,” e mettere pressione su Hamas perché accettasse il cessate il fuoco. “Le prove che abbiamo raccolto mostrano che la distruzione massiccia (degli edifici) venne realizzata deliberatamente e senza alcuna giustificazione militare,” affermò un rapporto di Amnesty alla fine del 2014.

Durante un’altra escalation di violenza iniziata nel novembre 2018 l’esercito attaccò di nuovo obiettivi di potere. Quella volta Israele bombardò grattacieli, centri commerciali ed edifici della stazione televisiva Al-Aqsa, affiliata ad Hamas. “Attaccare obiettivi di potere produce un effetto veramente notevole sull’avversario,” affermò all’epoca un ufficiale dell’aeronautica. “Lo abbiamo fatto senza uccidere nessuno e ci siamo accertati che l’edificio e i dintorni fossero stati evacuati.”

Precedenti operazioni hanno dimostrato anche come colpire questi bersagli intenda non solo danneggiare il morale dei palestinesi, ma anche alzare il morale in Israele. Haaretz [quotidiano israeliano di centro sinistra, ndt.] ha rivelato che durante l’operazione “Guardiano delle Mura” del 2021 l’unità portavoce dell’IDF ha condotto un’operazione psicologica sui cittadini israeliani per promuovere la consapevolezza delle operazioni dell’esercito a Gaza e il danno che avevano causato ai palestinesi. Soldati che utilizzavano falsi account sulle reti sociali per occultare l’origine della campagna pubblicarono immagini e brevi video degli attacchi dell’esercito a Gaza su Twitter, Facebook, Instagram e TikTok per dimostrare all’opinione pubblica israeliana la potenza dell’esercito.

Durante l’attacco del 2021 Israele colpì nove obiettivi definiti di potere, tutti edifici alti. “Lo scopo era di far crollare grattacieli per mettere Hamas sotto pressione anche in modo che l’opinione pubblica (israeliana) vedesse un’immagine di vittoria,” ha detto a +972 e Local Call una fonte della sicurezza.

Tuttavia, ha proseguito, “non ha funzionato. Essendo uno di quelli che ha perseguito Hamas, ho sentito personalmente quanto poco si preoccupino dei civili e degli edifici distrutti. A volte l’esercito ha trovato nei grattacieli qualcosa di relativo ad Hamas, ma sarebbe stato anche possibile colpire quel determinato bersaglio con armi più appropriate. Il risultato finale è che hanno raso al suolo un grattacielo per il gusto di farlo.”

Stavano tutti cercando i propri figli in quei mucchi”

Non solo l’attuale guerra ha visto Israele attaccare un numero senza precedenti di obiettivi di potere, ha anche visto l’esercito abbandonare precedenti politiche tese a evitare di danneggiare i civili. Mentre prima la procedura ufficiale dell’esercito era che si potevano attaccare obiettivi di potere solo dopo che tutti i civili erano scappati, testimonianze di abitanti palestinesi a Gaza indicano che dal 7 ottobre Israele ha attaccato grattacieli con dentro chi ci abitava o senza aver fatto significativi passi per evacuarli, determinando la morte di molti civili.

Molto spesso questi attacchi hanno come risultato l’uccisione di intere famiglie, come successo in precedenti offensive; secondo una ricerca dell’AP [Associated Press, agenzia di stampa USA, ndt.] condotta dopo la guerra del 2014, circa l’89% di quanti vennero uccisi dai bombardamenti aerei di abitazioni civili erano abitanti disarmati e molti di loro minori e donne.

Tishler, il capo di stato maggiore dell’Aviazione, ha confermato un cambiamento della politica, dicendo ai giornalisti che la politica dell’esercito di “bussare sul tetto” – in base alla quale avrebbe sparato un colpo di avvertimento iniziale sul tetto di un edificio per avvertire gli abitanti che stava per essere bombardato – non viene più utilizzata “dove c’è un nemico”. Bussare sul tetto, ha affermato Tishler, è “un termine importante in una serie (di scontri) e non per una guerra.”

Le fonti che hanno lavorato in precedenza sugli obiettivi di potere hanno affermato che questa strategia senza freni dell’attuale guerra potrebbe rappresentare uno sviluppo pericoloso, spiegando che attaccare obiettivi di potere in origine intendeva “scioccare” Gaza, ma non necessariamente uccidere un grande numero di civili. “I bersagli erano concepiti con l’assunto che i grattacieli sarebbero stati evacuati dalle persone, quindi quando ci lavoravamo (sulla compilazione dei bersagli) non c’erano preoccupazioni relative a quanti civili sarebbero stati colpiti; il presupposto era che non ce ne sarebbero stati,” ha detto una fonte esperta in questo tipo di azioni.

Ciò significava che c’era stata un’evacuazione totale (dell’edificio preso di mira), che implica due o tre ore di tempo, durante le quali agli abitanti viene chiesto (per telefono di andarsene), vengono lanciati missili di avvertimento; facevamo anche un controllo incrociato con riprese dai droni che le persone stessero effettivamente lasciando il grattacielo,” ha aggiunto la fonte.

Tuttavia prove da Gaza suggeriscono che alcuni grattacieli, che supponiamo siano stati obiettivi di potere, siano stati colpiti senza avvertimento. +972 e Local Call hanno individuato almeno due casi in cui durante l’attuale guerra interi grattacieli residenziali sono stati bombardati e distrutti senza avvertimento, e un caso in cui, in base a prove, un grattacielo è crollato sui civili che si trovavano all’interno.

Secondo la testimonianza di Bilal Abu Hatzira, che quella notte ha estratto corpi dalle rovine, il 10 ottobre Israele ha bombardato l’edificio Babel di Gaza. Nell’attacco contro l’edificio sono state uccise dieci persone, tra cui tre giornalisti.

Il 25 ottobre è stato raso al suolo senza avvertimento con le bombe l’edificio residenziale di 12 piani Al-Taj, uccidendo le famiglie che vi vivevano. Secondo le testimonianze degli abitanti circa 120 persone sono rimaste sepolte sotto le macerie dei loro appartamenti. Yousef Amar Sharaf, un abitante dell’Al-Taj, ha scritto su X che nell’attacco sono stati uccisi i 37 membri della sua famiglia che vivevano nell’edificio: “I miei cari genitori, la mia amata moglie, i miei figli e la maggioranza dei miei fratelli e delle loro famiglie.”

Gli abitanti affermano che sono state lanciate molte bombe, danneggiando e distruggendo appartamenti anche negli edifici vicini.

Sei giorni dopo, il 31 ottobre, l’edificio residenziale di otto piani Al-Mohandseen è stato bombardato senza preavviso. Il primo giorno sarebbero stati estratti dalle macerie tra i 30 e i 45 corpi. Un bambino è stato ritrovato vivo, senza i genitori. I giornalisti stimano che oltre 150 persone siano state uccise nell’attacco e che molte siano rimaste sepolte sotto le macerie.

Secondo testimonianze l’edificio sorgeva nel campo profughi di Nuseirat, a sud del Wadi Gaza, nella presunta “zona di sicurezza” in cui Israele ha indirizzato i palestinesi che scappavano dalle proprie case nella zona settentrionale e centrale di Gaza, e che pertanto serviva come rifugio temporaneo a persone espulse.

In base a un’indagine di Amnesty International il 9 ottobre Israele ha bombardato almeno tre edifici multipiano e anche un mercato dell’usato all’aperto in un’affollata strada del campo profughi di Jabaliya, uccidendo almeno 69 persone. “I corpi sono stati bruciati… Non volevo guardare, avevo paura di vedere il volto di Imad,” ha detto il padre di un bambino ucciso. “I corpi erano sparsi sul pavimento. Tutti cercavano i figli nei mucchi. Ho riconosciuto mio figlio solo dai suoi pantaloni. Volevo seppellirlo subito, così ho preso mio figlio e l’ho portato via.”

Secondo l’inchiesta di Amnesty l’esercito ha affermato che l’attacco contro la zona del mercato era diretto contro una moschea “in cui c’erano miliziani di Hamas.” Tuttavia in base alla stessa indagine le immagini satellitari non mostrano alcuna moschea nelle vicinanze.

Il portavoce dell’IDF non ha risposto alle domande di +972 e Local Call riguardo ad attacchi specifici, ma ha affermato più genericamente che “l’esercito israeliano avverte prima degli attacchi in vario modo, e quando le circostanze lo consentono invia avvertimenti individuali attraverso telefonate alle persone che si trovano negli obiettivi o nelle vicinanze (ci sono state più di 25.000 conversazioni dal vivo durante la guerra, insieme a milioni di conversazioni registrate, messaggi di testo e volantini lanciati dal cielo con l’intento di avvertire la popolazione). In generale l’IDF lavora per ridurre per quanto possibile i danni ai civili come parte degli attacchi, nonostante la difficoltà di combattere un’organizzazione terroristica che usa gli abitanti di Gaza come scudi umani.”

Il computer produce 100 bersagli in un giorno”

Secondo il portavoce dell’IDF, fino al 10 novembre, durante i primi 35 giorni di combattimenti, Israele ha attaccato un totale di 15.000 obiettivi a Gaza. In base a molteplici fonti è un numero molto alto rispetto alle quattro precedenti vaste operazioni nella Striscia. Durante “Guardiano delle Mura” nel 2021 Israele ha attaccato 1.500 obiettivi in 15 giorni. Durante “Margine Protettivo” nel 2014, durata 51 giorni, Israele colpì tra i 5.266 e i 6.231 bersagli. Durante “Pilastro di Difesa” nel 2012 in 8 giorni vennero colpiti circa 1.500 obiettivi. Durante “Piombo Fuso” nel 2008 Israele attaccò 3.4000 obiettivi in 22 giorni.

Fonti dell’intelligence in servizio nelle precedenti operazioni hanno anche detto a +972 e Local Call che per 10 giorni nel 2021 e tre settimane nel 2014 una media tra 100 e 200 obiettivi al giorno hanno portato a una situazione in cui all’aviazione israeliana non rimanevano bersagli di importanza militare. Perché allora dopo quasi due mesi dell’attuale guerra l’esercito israeliano non ha ancora esaurito gli obiettivi?

La risposta potrebbe trovarsi in una dichiarazione del portavoce militare del 2 novembre, secondo la quale si sta utilizzando il sistema di intelligenza artificiale Hasbsora (“Il Vangelo”), che secondo il portavoce “consente di utilizzare strumenti automatizzati per produrre obiettivi a ritmo serrato e funziona migliorando del materiale di intelligence accurato e di alta qualità in base alle necessità (operative).”

Nel comunicato viene citato un alto ufficiale dell’intelligence secondo cui grazie ad Habsora vengono creati obiettivi per attacchi di precisione “causando gravi danni al nemico e minimi danni ai non combattenti. I miliziani di Hamas non sono immuni, ovunque si nascondano.”

Secondo fonti dell’intelligence, Habsora genera, tra le altre cose, raccomandazioni automatiche di attaccare residenze private in cui vivrebbero persone sospettate di essere miliziani di Hamas o del Jihad Islamico. Israele poi mette in atto operazioni di uccisioni su vasta scala attraverso pesanti bombardamenti contro quelle abitazioni private.

Una delle fonti spiega che Habsora processa un’enorme quantità di dati che “decine di migliaia di militari dell’intelligence non potrebbero elaborare” e consiglia di bombardare siti in tempo reale. Dato che all’inizio di ogni operazione militare molti importanti comandanti di Hamas si dirigono nei tunnel sotterranei, secondo la fonte l’uso di sistemi come Habsora permette di individuare e attaccare le case di miliziani relativamente meno importanti.

Un ex-ufficiale dell’intelligence ha spiegato che il sistema Habsora consente all’esercito di gestire una “fabbrica di uccisioni di massa” in cui l’”enfasi è sulla quantità e non sulla qualità. “Un occhio umano “controlla gli obiettivi prima di ogni attacco, ma non ha bisogno di perdere molto tempo su di essi.” Dato che Israele stima che ci siano circa 30.000 membri di Hamas a Gaza e che sono tutti condannati a morte, il numero di potenziali bersagli è enorme.

Nel 2019 l’esercito israeliano ha creato un nuovo centro inteso a utilizzare l’Intelligenza Artificiale per accelerare la generazione di obiettivi. “La Divisione Amministrativa degli Obiettivi è un’unità che include centinaia di ufficiali e soldati e si basa sulle possibilità dell’IA,” ha affermato l’ex-capo di stato maggiore Aviv Kochavi in un’approfondita intervista con Ynet [sito di notizie israeliano, ndt.] all’inizio dell’anno.

Questo è un computer che, con l’aiuto dell’IA, processa un sacco di dati meglio e più rapidamente di qualunque essere umano e li trasforma in obiettivi da colpire,” ha continuato Kochavi. “Il risultato è che nell’operazione “Guardiano delle Mura” (del 2021) dal momento in cui questo computer è stato attivato ha generato 100 nuovi bersagli al giorno. Vedi, in passato ci sono stati momenti in cui creavamo 50 obiettivi all’anno a Gaza. E qui il computer ha prodotto 100 obiettivi in un giorno.

Prepariamo automaticamente gli obiettivi e lavoriamo in base a una lista di controllo,” ha detto a +972 e Local Call una delle fonti che lavora nella nuova Divisione Amministrativa degli Obiettivi. “E’ proprio come una fabbrica. Lavoriamo rapidamente e non c’è tempo per analizzare in profondità l’obiettivo. La prospettiva è di essere giudicati in base a quanti obiettivi riusciamo a generare.”

All’inizio dell’anno un importante ufficiale dell’esercito incaricato della banca dati degli obiettivi ha detto al Jerusalem Post che grazie al sistema di IA l’esercito per la prima volta può generare nuovi obiettivi più rapidamente di quelli che attacca. Un’altra fonte ha affermato che la spinta a generare automaticamente un gran numero di bersagli è la concretizzazione della Dottrina Dahiya.

Sistemi automatici come Habsora hanno quindi notevolmente facilitato il lavoro del personale dell’intelligence israeliana nel prendere decisioni durante le operazioni militari, compreso il calcolo delle potenziali vittime. Cinque diverse fonti hanno confermato che il numero di civili che possono essere uccisi in attacchi contro abitazioni private è noto in anticipo all’intelligence israeliana e compare chiaramente nei documenti sull’obiettivo sotto la categoria “danno collaterale”.

Secondo queste fonti ci sono diversi livelli di danni collaterali in base ai quali l’esercito decide se è possibile attaccare l’obiettivo all’interno di abitazioni private. “Quando la direttiva generale diventa ‘danno collaterale 5’ ciò significa che siamo autorizzati a colpire ogni obiettivo che ucciderà cinque civili o meno di cinque – possiamo operare su tutti gli obiettivi che hanno un documento da cinque in giù,” ha detto una delle fonti.

In passato non segnalavamo regolarmente le case di membri di Hamas poco importanti perché venissero bombardate,” ha detto un ufficiale della sicurezza che ha partecipato ad attacchi contro obiettivi durante precedenti operazioni. “Ai miei tempi se la casa su cui stavo lavorando era segnata danno collaterale 5 non veniva sempre approvata (per l’attacco).” Tale approvazione, ha affermato, si sarebbe avuta solo se era noto che nella casa abitava un importante comandante di Hamas.

Che io sappia oggi possono indicare tutte le case (di qualunque miliziano di Hamas indipendentemente dal rango),” ha continuato la fonte. “Ci sono un sacco di case. I membri di Hamas che non hanno alcuna importanza vivono in abitazioni in tutta Gaza. Quindi si indica la casa e la si bombarda e si uccide chiunque.”

Una politica concordata di bombardare case private

Il 22 ottobre l’aviazione israeliana ha bombardato la casa del giornalista palestinese Ahmed Alnaouq nella città di Deir al-Balah. Ahmed era un mio caro amico e collega: quattro anni fa abbiamo fondato una pagina Facebook in ebraico chiamata “Attraverso il muro”, con l’intento di portare voci palestinesi da Gaza all’opinione pubblica israeliana. L’attacco del 22 ottobre ha fatto crollare blocchi di cemento su tutta la famiglia di Ahmed, uccidendo suo padre, fratelli, sorelle e tutti i loro figli, anche neonati. Solo il nipote di 12 anni, Malak, è sopravvissuto ed è rimasto in condizioni critiche, il corpo è coperto di ustioni. Pochi giorni dopo Malak è morto.

In totale ventuno membri della famiglia di Ahmed sono morti sepolti sotto la loro casa. Nessuno di loro era un miliziano. Il più giovane aveva 2 anni, il maggiore, suo padre, ne aveva 75. Ahmed, che attualmente vive in Gran Bretagna, ora è l’unico [sopravvissuto] di tutta la famiglia.

Il Gruppo WhatsApp della famiglia di Ahmed si chiamava “Meglio insieme”. L’ultimo messaggio che vi compare era stato inviato da lui, poco dopo mezzanotte nella notte in cui ha perso la sua famiglia. “Qualcuno mi ha fatto sapere che è tutto a posto,” aveva scritto. Nessuno ha risposto. Si è addormentato, ma si è alzano terrorizzato alle 4 del mattino. In un bagno di sudore, ha controllato di nuovo il suo telefono. Silenzio. Poi ha ricevuto un messaggio da un amico con la terribile notizia.

Il caso di Ahmed a Gaza è comune in questi giorni. In interviste alla stampa i responsabili di ospedali di Gaza hanno ripetuto le stesse descrizioni: in ospedale entrano famiglie come serie di corpi, un bambino seguito dal padre seguito dal nonno. I corpi sono tutti coperti di polvere e sangue.

Secondo ex-ufficiali dell’intelligence israeliana in molti casi in cui un’abitazione privata viene bombardata lo scopo è “l’uccisione di miliziani di Hamas o del Jihad”, e tali obiettivi sono attaccati quando un miliziano entra nella casa. I ricercatori dell’intelligence sanno se i membri della famiglia o i vicini del miliziano possono morire in un attacco e sanno come calcolare quanti di loro potrebbero morire. Ogni fonte ha affermato che sono abitazioni private in cui nella maggioranza dei casi non si svolge alcuna attività militare.

+972 e Local Call non hanno dati relativi al numero di miliziani che sono stati uccisi o feriti da attacchi aerei in abitazioni private durante la guerra in corso, ma ci sono svariate prove che, in molti casi, nessuno [dei morti] era un membro militare o politico di Hamas o del Jihad Islamico.

Il 10 ottobre l’aviazione israeliana ha bombardato un edificio residenziale nel quartiere di Sheikh Radwan a Gaza, uccidendo 40 persone, in maggioranza donne e bambini. In uno dei filmati scioccanti girati dopo l’attacco si vede gente gridare, portare quella che sembra essere una bambola dalle rovine della casa e passarla di mano in mano. Quando la camera da presa la ingrandisce si può vedere che non si tratta di una bambola ma del corpo di un neonato.

Uno degli abitanti ha detto che 19 membri della sua famiglia sono stati uccisi nell’attacco. Un altro sopravvissuto ha scritto su Facebook di aver trovato nelle macerie solo la spalla del figlio. Amnesty ha indagato sull’attacco ed ha scoperto che un membro di Hamas viveva in uno dei piani superiori dell’edificio, ma non era presente al momento dell’attacco.

Il bombardamento di case private in cui si presume vivano miliziani di Hamas o del Jihad Islamico è diventato una politica condivisa dell’esercito israeliano durante l’operazione “Margine Protettivo” del 2014. All’epoca 606 palestinesi, circa un quarto dei morti civili durante i 51 giorni di combattimenti, erano membri di famiglie la cui casa era stata bombardata. Un rapporto dell’ONU nel 2015 lo definì sia come un possibile crimine di guerra e “una nuova modalità” di azione che “ha portato alla morte di intere famiglie.”

Nel 2014 vennero uccisi in seguito al bombardamento israeliano di case private 93 bambini piccoli, di cui 13 avevano meno di un anno. Un mese fa a Gaza 286 bambini da un anno in giù erano già stati identificati come vittime secondo una dettagliata lista con il numero di carta d’identità e l’età delle vittime pubblicata dal Ministero della Sanità di Gaza il 26 ottobre. Il numero da allora è probabilmente raddoppiato o triplicato.

Tuttavia in molti casi, soprattutto durante l’attuale attacco contro Gaza, l’esercito israeliano ha condotto attacchi che hanno colpito abitazioni private persino quando non c’erano obiettivi militari noti o evidenti. Per esempio, secondo la Commissione per la Protezione dei Giornalisti, al 29 novembre Israele aveva ucciso a Gaza 50 giornalisti palestinesi, alcuni dei quali in casa con le loro famiglie.

Roshdi Sarraj, 31 anni, un giornalista di Gaza nato in Gran Bretagna, aveva fondato una testata con il nome di “Ain Media”. Il 22 ottobre una bomba israeliana ha colpito la casa dei suoi genitori mentre stava dormendo, uccidendolo. Anche la giornalista Salam Mema è morta sotto le macerie della sua casa dopo che è stata bombardata; dei suoi tre figli Hadi, 7 anni, è morto, mentre Sham, 3 anni, non è ancora stato trovato sotto le macerie. Altre due giornaliste, Duaa Shafar e Salma Makhaimer, sono state uccise insieme ai figli nelle loro case.

Analisti israeliani hanno ammesso che l’efficacia militare di questo tipo di sproporzionati attacchi aerei è ridotta. Due settimane dopo l’inizio dei bombardamenti contro Gaza (e prima dell’invasione di terra), dopo che nella Striscia di Gaza sono stati contati i corpi di 1.903 minori, circa 1.000 donne e 187 anziani, il commentatore israeliano Avi Issacharoff ha twittato: “Per quanto sia duro sentirlo dire nel quattordicesimo giorno di combattimenti non pare che l’ala militare di Hamas sia stata significativamente colpita. Il danno più significativo alla dirigenza militare è stato l’assassinio di Aymar Nofal (comandante di Hamas).”

Combattere animali umani”

I miliziani di Hamas operano regolarmente grazie a un’intricata rete di tunnel costruiti sotto vaste aree della Striscia di Gaza. Questi tunnel, come confermato da ex-ufficiali dell’intelligence israeliana con cui abbiamo parlato, passano anche sotto case e strade. Di conseguenza i tentativi israeliani di distruggerli con attacchi aerei probabilmente portano in molti casi all’uccisione di civili. Questa potrebbe essere un’altra delle ragioni dell’alto numero di famiglie palestinesi spazzate via nell’attuale offensiva.

Gli ufficiali dell’intelligence intervistati per questo articolo hanno affermato che il modo in cui Hamas ha progettato la rete di tunnel a Gaza sfrutta consapevolmente la popolazione civile e le infrastrutture in superficie. Queste affermazioni sono state anche la base della campagna mediatica che Israele ha condotto riguardo agli attacchi e incursioni contro l’ospedale Al-Shifa e i tunnel che sono stati scoperti sotto di esso.

Israele ha attaccato anche un grande numero di obiettivi militari: miliziani armati di Hamas, luoghi per il lancio di razzi, cecchini, squadre anticarro, centri di comando militari, basi, posti di osservazione, e altri. Dall’inizio dell’invasione di terra i bombardamenti aerei e un pesante fuoco di artiglieria sono stati utilizzati per fornire supporto alle truppe israeliane sul terreno. Esperti di leggi internazionali affermano che questi obiettivi sono legittimi finché gli attacchi rispettano il principio di proporzionalità.

Rispondendo a una domanda di +972 e Local Call per questo articolo il portavoce dell’esercito israeliano ha affermato: “L’IDF rispetta le leggi internazionali e agisce in base ad esse, e così facendo attacca obiettivi militari e non civili. L’organizzazione terroristica Hamas schiera i suoi miliziani e infrastrutture militari in mezzo alla popolazione civile. Hamas usa sistematicamente la popolazione civile come scudo umano e combatte da edifici civili, compresi luoghi sensibili come ospedali, moschee, scuole e strutture dell’ONU.

Allo stesso modo fonti dell’intelligence che hanno parlato a +972 e Local Call hanno sostenuto che in molti casi Hamas “danneggia deliberatamente la popolazione civile a Gaza e cerca di impedire con la forza ai civili di andarsene.” Due fonti hanno affermato che i dirigenti di Hamas “ritengono che i danni di Israele contro i civili legittimano la loro lotta.”

Allo stesso tempo, anche se ora è difficile immaginarlo, l’idea che lanciare una bomba di una tonnellata per uccidere un miliziano di Hamas finisca per uccidere un’intera famiglia come “danno collaterale” non è mai stata così facilmente accettata da una larga parte della società israeliana. Nel 2002, per esempio, l’aeronautica israeliana bombardò la casa di Salah Mustafa Muhammad Shehade, allora capo delle brigate Al-Qassam, l’ala militare di Hamas. La bomba uccise lui, sua moglie, Eman, la figlia quattordicenne Laila e altri 14 civili, compresi 11 minorenni. L’uccisione provocò una protesta pubblica sia in Israele che nel resto del mondo, e Israele venne accusato di commettere crimini di guerra.

Queste critiche portarono alla decisione da parte dell’esercito israeliano nel 2003 di lanciare una bomba più piccola, di 25 quintali, contro un incontro di importanti dirigenti di Hamas, tra cui lo sfuggente capo delle brigate Al-Qassam Mohammed Deif, che si svolgeva in un edificio residenziale a Gaza, nonostante il timore che non fosse sufficientemente potente da ucciderli. Nel suo libro “Per conoscere Hamas” il noto giornalista israeliano Shlomi Eldar scrive che la decisione di utilizzare una bomba relativamente piccola era dovuta al precedente di Shehade e al timore che una bomba da una tonnellata avrebbe ucciso anche i civili nell’edificio. L’attacco fallì e gli importanti ufficiali dell’ala militare scapparono da quel luogo.

Nel dicembre 2008, durante la prima importante guerra condotta da Israele contro Hamas dopo che prese il potere a Gaza, Yoav Gallant, all’epoca alla guida del comando meridionale dell’esercito israeliano, affermò che per la prima volta Israele aveva “colpito le abitazioni private” di importanti capi di Hamas con l’intenzione di distruggerli, ma non di colpire le loro famiglie. Galland sottolineò che le case erano state attaccate dopo che le famiglie erano state avvertite “bussando sul tetto”, oltre che con una telefonata quando era chiaro che l’attività militare di Hamas si svolgeva all’interno della casa.

Dopo l’operazione “Margine Protettivo” nel 2014, durante la quale Israele iniziò a colpire sistematicamente dal cielo le abitazioni private, associazioni per i diritti umani come B’Tselem raccolsero testimonianze di palestinesi sopravvissuti a quegli attacchi. Essi affermarono che le case crollavano su se stesse, le schegge di vetro tagliavano i corpi di chi vi si trovava, le macerie “puzzavano di sangue” e le persone vennero sepolte vive.

Oggi la politica mortale continua, grazie in parte all’uso di armamenti distruttivi e di una tecnologia sofisticata come Habsora, ma anche a istituzioni politiche e della sicurezza che hanno allentato le redini del meccanismo militare israeliano. Quindi anni dopo aver insistito che l’esercito si preoccupava di minimizzare i danni per i civili, Galland, ora ministro della Difesa, ha chiaramente cambiato tono. “Stiamo combattendo animali umani e agiamo di conseguenza,” ha detto dopo il 7 ottobre.

Yuval Abraham è giornalista e attivista che risiede a Gerusalemme.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano e Amedeo Rossi)




Secondo un rapporto Israele aveva ottenuto, e ignorato, un documento di Hamas che dettagliava il piano per l’attacco del 7 ottobre

AFP

30 novembre 2023 – Times of Israel

Il NYT afferma che i funzionari che hanno visto il documento di 40 pagine lo hanno ignorato in quanto irrealistico, continuando a pensare che il gruppo terroristico non fosse interessato a scatenare una guerra

Giovedì il New York Times ha informato che funzionari israeliani già prima dell’aggressione del 7 ottobre erano al corrente che il gruppo terrorista palestinese Hamas stava preparando un attacco su vasta scala, ma hanno ignorato l’informazione.

Un documento ottenuto dalle autorità israeliane almeno un anno prima dell’attacco “delineava punto per punto, esattamente il tipo di invasione devastante che ha portato alla morte di circa 1.200 persone,” riporta il giornale.

Il documento di 40 pagine, che è stato visionato dal quotidiano, non specifica quando sarebbe avvenuto l’attacco. Ma fornisce un piano che sembra quello seguito da Hamas: un massiccio lancio di razzi, tentativi di abbattere il sistema di sorveglianza e un gran numero di uomini armati che penetrano sul territorio israeliano via terra e per via aerea.

Il 7 ottobre circa 3.000 terroristi di Hamas hanno fatto irruzione in Israele sotto la pesante copertura di razzi, attaccando basi dell’esercito, aggredendo comunità e un festival musicale. Circa 1.200 persone, la maggior parte delle quali civili, sono state brutalmente massacrate con un attacco senza precedenti e circa 240 persone sono state prese in ostaggio.

Il Times afferma che il documento, che include informazioni sensibili riguardo alla sicurezza sulla potenza e la dislocazione dell’esercito israeliano, ha circolato ampiamente negli ambienti dei dirigenti militari e dell’intelligence del Paese, benché non sia chiaro se sia stato visionato da dirigenti politici, tra cui il primo ministro Benjamin Netanyahu.

Lo scorso anno una valutazione dell’esercito aveva stabilito che era troppo presto per dire se il piano era stato approvato da Hamas, e quando un’analista di un’unità di intelligence per le segnalazioni del Paese ha avvertito che il gruppo stava effettuando esercitazioni di addestramento in base al piano, i suoi avvertimenti sono stati ignorati.

II giornale afferma che lei aveva avvertito che si trattava di un “progetto inteso a iniziare una guerra,”, ma un colonnello, che aveva visionato la sua analisi, aveva suggerito che se ne ricavava uno scenario improbabile e aveva detto all’analista che avrebbero “pazientemente atteso”.

Secondo il Times gli avvertimenti non suggerivano che Hamas stesse probabilmente per mettere in atto il piano a tempi brevissimi, e gli ambienti dell’intelligence hanno continuato a credere che il leader di Hamas Yahya Sinwar non fosse interessato a scatenare la guerra con Israele. [Il giornale] mette in relazione gli errori dell’intelligence con quelli avvenuti negli Stati Uniti prima dell’attacco dell’11 settembre 2001.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




I soldati israeliani che hanno ucciso i terroristi a Gerusalemme hanno colpito a morte anche un civile

Nir Hasson

30 novembre 2023 – Haaretz

Nel video dellattacco alla fermata dellautobus di Gerusalemme pubblicato sui social media, si vede Yuval Doron Kastelman alzare le mani e implorare i soldati israeliani di non sparare dopodiché gli sparano e cade a terra

In base alle riprese dell’attacco pubblicate sui social media i soldati israeliani che giovedì hanno ucciso due terroristi alla periferia di Gerusalemme hanno sparato e ucciso sul posto anche un civile.

La vittima si chiamava Yuval Doron Kastelman, 38 anni di Mevasseret Tzion, un avvocato che lavorava per la Commissione sul Servizio Civile. Secondo la sua famiglia stava andando al lavoro quando ha notato l’aggressione dall’altra parte della strada. È sceso dal suo veicolo, armato della sua arma da fuoco autorizzata, per fronteggiare i terroristi.

Nel video si vede Kastelman alzare le mani e implorare i soldati di non sparare, dopodiché gli sparano e cade a terra.

Il filmato mostra chiaramente che è stato colpito allo stomaco. È stato portato d’urgenza in ospedale in condizioni critiche e in seguito è morto per le ferite. La polizia ha affermato di essere a conoscenza della situazione e che sono in corso indagini.

Un’altra ripresa della scena dell’attacco mostra colpi di arma da fuoco contro un civile che ha appena sparato a uno dei terroristi da distanza ravvicinata.

Nel video si vede il civile gettare via la sua arma dopo aver sparato al terrorista, alzare le mani e togliersi il cappotto per dimostrare che è disarmato. Non è chiaro se si tratti dello stesso civile ferito o di qualcun altro.

Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha annunciato sul luogo dell’attacco che la sua soluzione al terrorismo è continuare la politica di distribuzione di armi ai civili. “Mi rivolgo ai cittadini di Israele, i poliziotti non sono ovunque, quindi dove i cittadini sono in possesso di armi, ciò può salvare vite umane”, ha detto Ben-Gvir.

Dallo scoppio della guerra migliaia di armi da fuoco sono state distribuite ai civili e sono state rilasciate più di 20.000 nuove licenze per il porto d’armi. Una delle principali preoccupazioni sul possesso delle armi da parte di civili non addestrati è che ciò potrebbe portare ad episodi di fuoco incrociato, come è accaduto oggi.

Nell’attacco a Gerusalemme tre israeliani sono stati uccisi e altri sei sono rimasti feriti. I terroristi, due fratelli palestinesi del quartiere di Gerusalemme Est, sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. L’attacco è stato rivendicato da Hamas.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele arresta quasi tanti palestinesi quanti ne ha rilasciati durante la tregua

Zena Al Tahhan

28 novembre – Al Jazeera

Nei primi quattro giorni dello scambio di prigionieri tra Israele e Hamas, Israele ha rilasciato 150 palestinesi e ne ha arrestati 133

Ramallah, Cisgiordania occupata – Mentre si svolgeva lo scambio di prigionieri con Hamas, il gruppo armato con sede a Gaza, Israele ha continuato ad arrestare decine di palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est.

Nei primi quattro giorni della tregua tra Israele e Hamas, iniziata venerdì, Israele ha rilasciato 150 prigionieri palestinesi – 117 minori e 33 donne.

Hamas ha rilasciato 69 prigionieri: 51 israeliani e 18 persone di altre nazionalità.

Negli stessi quattro giorni, secondo le associazioni dei prigionieri palestinesi, Israele ha arrestato almeno 133 palestinesi a Gerusalemme Est e in Cisgiordania.

Finché ci sarà occupazione, gli arresti non si fermeranno. La gente deve capirlo perché questa è una politica fondamentale dell’occupazione contro i palestinesi per schiacciare qualsiasi tipo di resistenza”, dice ad Al Jazeera Amany Sarahneh, portavoce della Associazione dei Prigionieri Palestinesi.

“E’ una pratica quotidiana, non solo dopo il 7 ottobre”, aggiunge. “Ci aspettavamo che durante questi quattro giorni arrestassero più persone”.

La tregua mediata dal Qatar è arrivata dopo 51 giorni di incessanti bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza assediata, iniziati il 7 ottobre, il giorno in cui Hamas ha lanciato un attacco a sorpresa sul territorio israeliano uccidendo circa 1.200 persone.

Da allora Israele ha ucciso più di 15.000 palestinesi nella Striscia di Gaza, la maggior parte dei quali donne e minorenni.

Lunedì la tregua, originariamente di quattro giorni, è stata prorogata di altri due, durante i quali si prevede che verranno rilasciati altri 60 palestinesi e 20 ostaggi.

Dall’occupazione militare israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, che dura da 56 anni, le forze israeliane effettuano incursioni notturne nelle case palestinesi arrestando da 15 a 20 persone nelle giornate “tranquille”.

Nelle prime due settimane dopo il 7 ottobre Israele ha raddoppiato il numero dei palestinesi in detenzione, passando da 5.200 a più di 10.000. Il numero include 4.000 lavoratori di Gaza che lavoravano in Israele e sono stati detenuti prima di essere successivamente riportati a Gaza.

Avvocati dei prigionieri palestinesi e gruppi di monitoraggio hanno registrato 3.290 arresti in Cisgiordania e Gerusalemme Est dal 7 ottobre. A metà novembre, Eyad Banat, 35 anni, è stato arrestato mentre trasmetteva in diretta su TikTok. Successivamente è stato rilasciato.

Nessuna garanzia con l’occupazione”

Dall’inizio della tregua le strade di Ramallah si sono riempite di persone che accolgono i prigionieri liberati.

Ma la preoccupazione per i prigionieri palestinesi non finisce dopo il loro rilascio. La maggior parte delle persone liberate in genere viene nuovamente arrestata dalle forze israeliane nei giorni, nelle settimane, nei mesi e negli anni successivi al loro rilascio.

Decine di coloro che erano stati rilasciati in uno scambio di prigionieri tra Israele e Hamas nel 2011 sono stati nuovamente arrestati e la loro pena è stata confermata.

Sarahneh afferma che non è ancora chiaro se Israele abbia fornito garanzie che non arresterà nuovamente coloro che sono stati rilasciati.

Non ci sono garanzie con l’occupazione. Queste persone rischiano di essere nuovamente arrestate in qualsiasi momento. L’occupazione riarresta sempre le persone che sono state rilasciate”, sostiene.

“La prova più evidente che queste persone potrebbero essere nuovamente arrestate è che la maggior parte delle persone ora detenute sono prigionieri già liberati”, aggiunge.

Dal 7 ottobre le condizioni dei palestinesi agli arresti o in detenzione sono gravemente peggiorate. Molti hanno denunciato pestaggi, mentre sei prigionieri palestinesi sono morti durante la custodia israeliana.

Molte delle donne e dei minori rilasciati durante la tregua hanno testimoniato degli abusi subiti nelle carceri israeliane.

Nelle ultime settimane hanno circolato anche diversi video di soldati israeliani che picchiano, calpestano, maltrattano e umiliano palestinesi detenuti che sono bendati, ammanettati e parzialmente o interamente denudati. Molti utenti dei social media hanno affermato che le scene hanno riportato alla mente le tecniche di tortura utilizzate dalle forze statunitensi nella prigione irachena di Abu Ghraib nel 2003.

Oltre ai violenti pestaggi, secondo le associazioni per i diritti, le autorità carcerarie israeliane hanno sospeso le cure mediche ai prigionieri palestinesi almeno per la prima settimana dopo il 7 ottobre, anche a quelli che sono stati picchiati. Le visite dei familiari e le visite di routine degli avvocati sono state interrotte, dicono le associazioni.

Secondo i gruppi per i diritti umani in precedenza ai prigionieri venivano concesse tre o quattro ore fuori dalle celle nel cortile, ma ora hanno meno di un’ora.

Le celle sovraffollate spesso ospitano il doppio del numero di detenuti per cui sono state costruite, molti dormono sul pavimento senza materassi, affermano.

Le autorità carcerarie israeliane hanno anche tagliato l’elettricità e l’acqua calda, condotto perquisizioni nelle celle, portato via tutti i dispositivi elettrici inclusi televisori, radio, piastre da cucina e bollitori, e chiuso la mensa, che i prigionieri usano per acquistare cibo e beni di prima necessità, come il dentifricio.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Guerra tra Israele e Palestina: minori palestinesi liberati affermano che compagni di prigionia sono stati “torturati a morte”

Mosab Shawer a Hebron, Palestina occupata

27 novembre 2023 – Middle East Eye

Secondo le testimonianze di adolescenti liberati, almeno cinque detenuti palestinesi sarebbero morti nelle prigioni israeliane in seguito a violenze subite.

Minorenni palestinesi liberati dalle carceri israeliane come parte dello scambio di prigionieri tra Hamas e Israele hanno affermato di essere stati sottoposti a torture durante la detenzione e che altri detenuti sono stati percossi a morte.

Gli adolescenti sono tra i 39 palestinesi liberati dalle prigioni israeliane domenica nel corso del terzo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas, mentre quest’ultimo ha rilasciato 13 israeliani trattenuti a Gaza.

Lo scambio ha avuto luogo nel terzo giorno di fila di una tregua temporanea di quattro giorni a Gaza, la prima interruzione di questo genere nei combattimenti da quando sono iniziate le ostilità il 7 ottobre.

Tra quelli che sono stati rilasciati c’era Khalil Mohamed Badr al-Zamaira, 18 anni, che ne aveva 16 quando è stato arrestato dalle forze israeliane.

Ha affermato che i prigionieri palestinesi sono stati maltrattati e picchiati in prigione e che non c’è un trattamento differenziato per i minorenni.

“Non fanno distinzioni tra vecchi e giovani,” ha detto a Middle East Eye.

“Due adolescenti sono stati trasferiti dalla prigione di Ofer con le costole rotte, non riuscivano più a muoversi.”

Anche Omar al-Atshan, un adolescente liberato, ha affermato di essere stato maltrattato e torturato nella prigione del Naqab [Negev in ebraico, ndt.], dove è stato tenuto prima del rilascio.

“I maltrattamenti erano indescrivibili,” ha detto ad Al Jazeera durante un reportage dal vivo dell’arrivo di prigionieri rilasciati domenica nella Cisgiordania occupata.

Ha detto che in prigione sono stati metodicamente picchiati e umiliati e che acqua e cibo erano scarsi.

Durante il rilascio i soldati israeliani hanno ordinato loro di abbassare la testa e poi li hanno percossi, ha affermato.

“Non siamo del tutto contenti perché ci sono altri prigionieri ancora detenuti,” ha detto, aggiungendo che un carcerato, che ha identificato come Thaer Abu Assab, è stato picchiato a morte in prigione.

“Ha subito troppe percosse. Abbiamo chiesto aiuto, ma i medici sono arrivati un’ora e mezza dopo che era morto per le torture.

È stato torturato per aver fatto una domanda, ha chiesto al secondino se c’era una tregua. Allora è stato pestato a morte e colpito in testa.”

Quattro detenuti torturati a morte a Megiddo

Anche un altro minore liberato, Osama Marmash, ha rilasciato ad Al Jazeera una testimonianza simile.

Il sedicenne è stato tenuto nella prigione di Megiddo prima del rilascio. Ha raccontato ad Al Jazeera che lì quattro detenuti palestinesi sono stati torturati a morte.

Marmash ha detto di aver subito lesioni a un piede e alla schiena a causa delle percosse.

“La mia divisa di recluso era bianca ma è diventata rossa per le macchie di sangue,” ha detto.

Il cibo era molto scarso, ha affermato, e spesso “immangiabile”.

Ha detto che sono stati maltrattati durante il viaggio verso la Cisgiordania.

“Il percorso è stato difficile. Hanno spento l’aria condizionata dell’autobus. Stavamo soffocando,” ha raccontato.

La tregua tra Hamas e Israele dovrebbe vedere il rilascio di 150 donne e minori palestinesi e 50 israeliani tenuti a Gaza in quattro giorni.

Da parte sua Hamas ha rilasciato 13 prigionieri israeliani, tra cui nove minorenni, così come quattro cittadini stranieri: tre thailandesi e un russo-israeliano.

Il presidente USA Joe Biden ha detto che è stata liberata anche una bambina israelo-americana di quattro anni i cui genitori sono stati uccisi il 7 ottobre.

In un comunicato Hamas ha affermato che il russo-israeliano con doppia cittadinanza è stato rilasciato “come risposta ai tentativi del presidente russo Vladimir Putin e come riconoscimento dell’appoggio russo alla Palestina.”

Il russo è il primo prigioniero di sesso maschile ad essere rilasciato da Hamas durante la tregua.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)