Guerra a Gaza: 100 giorni dopo, incombe una catastrofe regionale

David Hearst

12 gennaio 2024-Middle East Eye

Israele non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi di distruggere Hamas, svuotare Gaza, rimodellare il Medio Oriente. Quindi cosa succederà adesso dopo?

Questo fine settimana segnerà 100 giorni da quando Israele ha lanciato la sua offensiva a Gaza, e c’è stato un diluvio di dichiarazioni secondo cui la guerra sarebbe “passata” a una nuova fase con meno truppe, meno bombardamenti e un maggiore uso di attacchi “mirati”. Per far sembrare che il ritiro delle truppe fosse l’atto di uno Stato sovrano, e non il risultato di una pressione costante da parte di Washington, l’esercito israeliano ha affermato di aver strappato il nord di Gaza al controllo di Hamas.

Eppure, mentre si svolgevano questi briefing, l’esercito israeliano ha annunciato che almeno 103 soldati erano stati feriti nei combattimenti delle 24 ore precedenti. Il giorno dopo l’esercito ha annunciato la morte di nove soldati. Nello stesso periodo, il ministero della Sanità di Gaza ha annunciato che 126 palestinesi erano stati uccisi negli attacchi israeliani. Il ministero a affermato che nelle ultime 24 ore altri 147 sono stati uccisi.

Una contraddizione appare evidente. Le perdite subite quotidianamente dall’esercito israeliano e dai civili palestinesi a Gaza sono in contrasto con le affermazioni di una nuova guerra di “minore intensità”.

La spiegazione più ovvia riguardo le vittime è che, 100 giorni dopo, la guerra viene combattuta con la stessa ferocia del primo giorno. Hamas non sventola bandiera bianca.

Yoav Gallant, ministro della difesa israeliano e membro del gabinetto di guerra formato da tre uomini, ha qualificato l’affermazione secondo cui il suo esercito aveva stabilito il controllo sul nord aggiungendo “almeno in superficie”. Beh, può ben dirlo.

Allora, cosa ha ottenuto Israele lanciando tutta la potenza della sua aviazione e del suo esercito su Gaza, indipendentemente dal costo in vite civili, e con il pieno intento di rendere quella terra inabitabile per la sua popolazione di 2,3 milioni di abitanti?

Il gabinetto di guerra aveva tre obiettivi in questa campagna: spazzare via Hamas dalla faccia della terra, indipendentemente dalla sorte degli ostaggi catturati, modificare l’equilibrio demografico sfavorevole tra ebrei e arabi costringendo il maggior numero possibile di palestinesi a lasciare Gaza e modificare la situazione in modo che nessun altro gruppo militante possa mai più fare ciò che ha fatto Hamas il 7 ottobre.

Come è andata sotto ogni aspetto?

Israele ha raggiunto i suoi obiettivi militari?

Chiaramente no, secondo il resoconto di Gallant, poiché ha previsto un periodo di combattimenti a venire ancora più lungo. Solo un ostaggio è stato rilasciato vivo in seguito all’operazione militare israeliana, Ori Megidish, che Israele ha dichiarato di aver salvato durante le operazioni di terra, anche se è controverso se sia stata “rilasciata” da Hamas o attivamente “liberata” da Israele durante le sue operazioni.

Ma cosa si può dire rispetto alla distruzione della rete di tunnel che costituisce la spina dorsale della struttura militare di Hamas, bandita come organizzazione terroristica nel Regno Unito e in altri Paesi?

L’esercito israeliano ha intrapreso questa operazione con le capacità più avanzate di qualsiasi esercito al mondo nell’individuazione, mappatura e distruzione dei tunnel – eppure sembra essere stato sopraffatto dalla portata del compito, con unità specializzate che sono cadute in un serie di trappole esplosive.

Come ha scritto su Foreign Affairs Daphne Richemond-Barak, professoressa associata alla Lauder School of Government, Diplomacy and Strategy presso l’Università Reichman in Israele: “Queste unità hanno anche scoperto una nuova generazione di tunnel di Hamas. Le strutture rudimentali del gruppo dei primi anni 2000 erano rinforzate con assi di legno. Le reti attuali sono più profonde e rinforzate e ricordano i grandi tunnel di infiltrazione della Corea del Nord. Hamas ha utilizzato tecnologie avanzate di perforazione civile per scavarli portando le sue capacità sotterranee a un livello superiore.

La crescente dipendenza di Hamas dai tunnel e il suo elaborato sforzo di costruzione hanno dato i loro frutti. Mai nella storia della guerra nei tunnel un difensore ha potuto trascorrere mesi in spazi così ristretti. Lo scavo stesso, i modi innovativi in cui Hamas ha utilizzato i tunnel e la sopravvivenza del gruppo sottoterra per così tanto tempo non hanno precedenti”.

Davvero un elogio. Ciò che Richemond-Barak non è riuscita a sottolineare è l’ampiezza della rete di tunnel, che si estende, mi è stato detto, per molte centinaia di chilometri.

Forse questo può spiegare perché all’inizio del nuovo anno, subito dopo la mezzanotte, è stata lanciata una nuova raffica di razzi su Tel Aviv.

Dopo cento giorni del bombardamento aereo più feroce che il mondo abbia mai visto dai tempi del bombardamento di Dresda, Amburgo e Tokyo da parte degli Alleati nella Seconda Guerra Mondiale Hamas ha mantenuto la sua capacità di combattere e di infliggere perdite ai carri armati e ai soldati israeliani.

In Israele comincia ad esservi una crescente perplessità riguardo all’entità delle vittime che sta subendo. Dopo le insistenti notizie sull’elevato numero di soldati feriti l’esercito israeliano ha creato una propria pagina web, nella quale attualmente si legge che dall’inizio dell’attacco di terra sono stati uccisi 186 soldati. Il sito rileva inoltre che dall’inizio del conflitto sono rimasti feriti circa 2.500 soldati.

Il quadro reale è peggiore. Yediot Ahronoth ha riferito che si prevede che almeno 12.500 soldati saranno riconosciuti come disabili a seguito dell’intervento a Gaza. Una società assunta dal Ministero della Difesa ha affermato che anche questa cifra potrebbe essere sottostimata, sottolineando che il numero di casi richiedenti il riconoscimento della disabilità potrebbe raggiungere i 20.000. Ci sono 60.000 soldati attualmente sottoposti a riabilitazione.

Israele ha imposto un esodo da Gaza?

Qualunque sia la decisione della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) dell’Aia sull’affermazione del Sud Africa secondo cui Israele è responsabile di un genocidio, Israele ha senza dubbio creato una catastrofe umanitaria a Gaza – e lo ha fatto come aveva pianificato.

Un rapporto delle Nazioni Unite compilato a dicembre utilizzando dati provenienti da 17 diverse agenzie ha rilevato che l’80% di tutti coloro che nel mondo versano in uno stato di fame catastrofico si trova in questo momento a Gaza.

Anche se la guerra finisse domani Gaza è pienamente nelle condizioni di sviluppare una pandemia: l’Organizzazione Mondiale della Sanità segnala che, in media, c’è una doccia ogni 4.500 persone e un servizio igienico ogni 220. Considerando tutto questo il tasso di mortalità tra un anno potrebbe essere molte volte maggiore rispetto al culmine della guerra lampo.

Giora Eiland, ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano e consigliere del governo, è stato così incosciente da esprimere a parole la strategia del gabinetto di guerra. Eiland ha affermato che non è sufficiente tagliare l’acqua, l’elettricità e il diesel a Gaza.

Nei documenti citati come prova dell’intento genocida davanti alla Corte Internazionale di Giustizia si sottolinea come Eiland abbia scritto su un giornale online: “Per rendere efficace l’assedio dobbiamo impedire ad altri di dare assistenza a Gaza. Alla gente dovrebbe essere detto che ha due scelte: restare e morire di fame, o andarsene”.

Israele è riuscito a creare un disastro umanitario a Gaza, ma finora non è riuscito a creare l’esodo dei palestinesi tanto desiderato dai fondamentalisti sionisti. Certamente alcuni cittadini stranieri hanno lasciato Gaza, così come i malati gravi, ma nella maggior parte dei casi non vi è stato alcun tentativo di assaltare il confine con l’Egitto a Rafah. Né vi è alcuna prova, finora, di una rivolta popolare contro Hamas.

Ascoltate invece cosa dice Hanaa Abu Sharkh. Vive in una tenda fuori dalla sua casa distrutta. Spesso si mette in fila aspettando a lungo l’acqua dolce, che di frequente finisce quando arriva il suo turno. “Ogni volta che faccio qualcosa, come lavare, preparare il cibo o raccogliere legna da ardere, ricordo quello che la nostra gente ci raccontava su come veniva esiliata e su come viveva. Una volta mi sembrava strano che vivessero nelle tende, ma ora vivo in una tenda… Non è facile lasciare la tua terra, la tua casa, e non è facile essere esiliato… Guarda, questa è la terra che su cui sei nata e cresciuta. È difficile dimenticarlo”, dice.

Continuo a ripetermi: ‘Quando tornerò a casa mia?’ Anche se è distrutta. Terrò questa tenda fuori dalla casa finché Dio non allevierà queste difficoltà e potrò ricostruirla”, aggiunge Abu Sharkh. “Nessuno lascia la propria casa solo per favorire un piano vile, il cosiddetto Piano del Grande Israele. E dove siamo? Siamo ‘un popolo senza terra’, come hanno detto? ‘Per una terra senza popolo?’ No. Sono loro che dovrebbero andarsene, non noi”.

Inoltre lancia a Israele questo avvertimento: “Ci avete esiliato nel 1948 e nel 1967, e volete esiliarci di nuovo nel 2023; è troppo. Mi consolerò e dirò a me stesso che non sono in esilio e mi trovo ancora nella mia terra”.

Se c’è una voce che descrive la determinazione dei palestinesi a restare nell’inferno creato da Israele, è la voce di Abu Sharkh.

Israele ha ridisegnato la mappa del Medio Oriente?

Questo è l’obiettivo più ambizioso del gabinetto di guerra, ma con lo sviluppo della guerra è anche quello su cui il gabinetto è più coerente. Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano in difficoltà, ha affermato poche ore dopo l’attacco del 7 ottobre che Israele avrebbe cambiato il volto del Medio Oriente – e da allora questa intenzione è stata ripetuta frequentemente, non ultimo da Gallant.

In vista della recente visita del Segretario di Stato americano Antony Blinken per spegnere le fiamme della guerra regionale Gallant ha segnalato quello che il Wall Street Journal ha descritto come un cambiamento duraturo nell’atteggiamento militare di Israele

Il mio punto di vista di fondo: stiamo combattendo un asse, non un singolo nemico”, ha detto Gallant. “L’Iran sta costruendo il potere militare attorno a Israele per poi usarlo”.

Le parole di Gallant, e quelle di molti altri, potrebbero indurre a pensare che una guerra il cui scopo è spingere le brigate d’élite di Hezbollah a nord del fiume Litani, e lontano dal confine settentrionale di Israele, è solo una questione di tempo.

Ciò significa anche che subito dopo potrebbe seguire una guerra con l’Iran. Ma non molto al di sotto della superficie della retorica militare israeliana ci sono forti dubbi– e, rispetto a Gaza, c’è un’ancor minore certezza che l’esercito possa finire il lavoro in Libano.

Come per ribadire questo obiettivo della guerra come un fatto compiuto, mentre Blinken stava volando nella regione per la quarta volta per impedire che ciò accadesse, Israele ha effettuato due omicidi mirati sul terreno di casa di Hezbollah

Il numero due di Hamas, Saleh al-Arouri, come ogni altro membro di Hamas fuori Gaza, non era stato avvisato dell’attacco del 7 ottobre, eppure è stato comunque preso di mira da un attacco missilistico contro il suo ufficio a Dahiyeh, la città densamente popolata cuore del sud di Beirut, nell’ora di punta. L’area è considerata una zona di sicurezza per Hezbollah.

Sia il suo assassinio che quello di Wissam al-Tawil, vice capo di un’unità della forza d’élite Radwan, sono stati concepiti come colpi contro Hezbollah. Il messaggio che Israele voleva inviare alle milizie più potenti ai suoi confini era che poteva colpire al cuore questa organizzazione.

Nessun freno alla risposta regionale

All’inizio della guerra il leader Hassan Nasrallah aveva affermato che Hezbollah non aveva collaborato con l’attacco di Hamas, ma aveva suggerito che l’obiettivo bellico di Israele di sradicare Hamas fosse una linea rossa per un successivo coinvolgimento di Hezbollah nel conflitto.

Dopo la morte di Arouri, Nasrallah ha promesso vendetta in un discorso in occasione del quarto anniversario dell’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani, ma ha rispettato il suo messaggio di fondo sulle linee rosse di Hezbollah.

In risposta all’uccisione di Arouri Hezbollah ha colpito la base aerea israeliana di Monte Meron, nel nord, con 62 razzi; e dopo l’uccisione di Tawil ha lanciato un attacco con droni contro il comando settentrionale di Israele. Si tratta di obiettivi militari di alto valore e Hezbollah ha inviato la propria risposta a Israele sull’accuratezza e la sofisticatezza della portata delle armi del gruppo. Hezbollah ha segnato il suo punto.

Ma non ci sono freni a quanto accade altrove. Soleimani è stato l’architetto dell’asse della resistenza, che ha iniziato a impegnarsi in risposta alla campagna israeliana a Gaza.

Gli Houthi nello Yemen, dopo più di due dozzine di attacchi alle navi occidentali che attraversavano lo stretto di Bab al-Mandeb, hanno costretto centinaia di navi portacontainer a deviare dal Canale di Suez. In Iraq, dopo che gli attacchi aerei statunitensi hanno preso di mira i membri delle milizie locali, il primo ministro Mohammed Shia al-Sudani ha prontamente annunciato che il suo governo avrebbe chiuso tutte le basi militari statunitensi in Iraq, uno dei principali obiettivi dell’Iran dopo l’uccisione di Soleimani.

Una guerra di logoramento ai confini di Israele si sta facendo sentire. Ciò lascia gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, le due potenze con la maggiore responsabilità per la carneficina di Gaza, con poche o nessuna carta da giocare – e il tempo sta rapidamente scadendo.

Né sono sfortunati spettatori dato che hanno sostenuto pienamente la guerra di vendetta di Israele: il primi fornendo le bombe e i proiettili che Israele ha utilizzato per ridurre in macerie Gaza ed entrambi fermando i tentativi internazionali di imporre un cessate il fuoco immediato e prendendo di mira gli Houthi dello Yemen con attacchi aerei.

La deplorevole prestazione del Ministro degli Esteri britannico, David Cameron, sotto l’esame risoluto della Commissione Affari Esteri, ha rivelato pienamente il buco morale e legale in cui la Gran Bretagna si era infilata lasciando che Israele “si togliesse i guanti” a Gaza. Cameron non ha potuto – o voluto – rispondere se fosse stato avvertito dagli avvocati del governo che le azioni israeliane a Gaza erano crimini di guerra.

Inquadrature iniziali di una guerra più ampia

I regimi arabi, e i Paesi del Golfo in particolare, hanno accuratamente evitato qualsiasi ruolo di leadership contro le azioni di Israele. I più colpevoli sono i sauditi, sotto il cui patronato con l’Iniziativa di pace araba del 2002 venne compiuto l’ultimo serio tentativo di porre fine al conflitto. Ma Riyadh non può guardare oltre la propria sopravvivenza. Considera Hamas una minaccia ai propri piani di rivendicare la leadership del mondo sunnita normalizzando i legami con Israele.

L’attacco di Hamas, e la strenua resistenza da allora in poi, hanno fornito un modello rivale – ritenuto morto e sepolto – di unità panaraba. Ciò è strettamente legato alle rivolte popolari della Primavera Araba che l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto hanno represso per un decennio.

L’ultima cosa che l’establishment della difesa israeliano dovrebbe fare, per una mente razionale, è dare un calcio a questi nidi di vespe di gruppi di milizie fortemente armati, in gran parte autonomi e agguerriti, tutti annidati in Stati deboli e a breve distanza dai confini settentrionali e orientali di Israele.

Non hanno le truppe per combattere su tre fronti contemporaneamente. Israele è troppo piccolo e i suoi centri abitati sono troppo vulnerabili agli attacchi missilistici. Nasrallah non esagera quando afferma che Israele sarebbe il primo a pagare il prezzo se scoppiasse una guerra vera e propria.

Un ex alto ufficiale dell’esercito israeliano e difensore civico del ministero della difesa, il general maggiore (della riserva) Yitzhak Brick, ha recentemente affermato che migliaia di razzi e missili potrebbero essere lanciati ogni giorno contro centri abitati, basi militari e infrastrutture elettriche e idriche: “Tutti lo sanno, non solo Nasrallah. Lo sappiamo. Sanno quello che hanno. Non siamo preparati per questo.” Né riusciranno a convincere gli Stati Uniti a sostenere un attacco contro l’Iran.

Fare tutto questo, pur avendo gettato all’aria il rapporto di Israele con la Russia a causa della guerra in Ucraina, è il massimo della follia.

Dopo che il mese scorso un attacco missilistico israeliano ha ucciso in Siria Seyyed Reza Mousavi, un alto comandante del “Iran’s Islamic Revolutionary Guard Corps Quds Force “ [corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche dell’Iran] a Teheran sono state poste domande sul motivo per cui i russi non avevano schierato il loro sistema S-300 per proteggere i consiglieri iraniani in Siria. Il presidente russo Vladimir Putin sta aspettando e in Siria ha ancora delle carte da giocare.

Ma Israele non agisce in modo razionale. Netanyahu sa che sarà finito nel momento in cui la guerra finirà. L’opinione pubblica israeliana – anche dopo 100 giorni – non riesce a ottenere abbastanza sangue palestinese per soddisfare la sua sete di vendetta e una netta maggioranza vuole che Gaza venga rasa al suolo.

Non esiste un movimento contro la guerra. Ciò che resta dell’ala sinistra israeliana è in fuga all’estero o sta per fuggire. Nel frattempo, le strade, i caffè e i mercati si riempiono di ebrei israeliani armati di pistole. I cittadini palestinesi di Israele non si sono mai sentiti più soli o più vulnerabili.

Qualcuno di questi fatti può essere considerato un risultato per chiunque pensi razionalmente? Semmai questi 100 giorni sembrano l’inizio di una guerra molto più grande e lunga, che sarebbe catastrofica per tutti, sia ebrei che arabi.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti e Israele, i due principali attori di questa guerra, non è più una questione di ciechi che guidano altri ciechi. È chi è strategicamente debole a essere guidato da chi è tatticamente arrabbiato.

Giovedì, aerei da guerra statunitensi e britannici hanno colpito le posizioni degli Houthi nello Yemen, un colpo che gli Houthi saranno in grado di sostenere, essendo sopravvissuti a sette anni di bombardamenti da parte dell’Arabia Saudita.

Seguirà una guerra dispiegata nel Mar Rosso. E questo è il risultato di una settimana di tentativi diplomatici statunitensi di limitare una guerra regionale. Questo alla faccia della diplomazia.

Il percorso in discesa su cui Israele sta portando gli Stati Uniti conduce al reciproco tramonto in Medio Oriente.

La guerra di Israele a Gaza potrebbe anche segnare la fine di questo presidente degli Stati Uniti.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Eye.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)

 




Chi era Saleh al-Arouri, il dirigente di Hamas ucciso a Beirut?

Redazione di Al Jazeera

3 gennaio 2024 – Al Jazeera

L’uccisione del vice-capo dell’ufficio politico di Hamas potrebbe scatenare una rappresaglia da parte di Hamas ed Hezbollah.

Martedì un attacco con un drone nel quartiere periferico di Dahiyeh, roccaforte di Hezbollah a Beirut sud, ha ucciso l’importante politico di Hamas Saleh al-Arouri.

L’agenzia statale di notizie libanese ha informato che il drone ha colpito un ufficio di Hamas uccidendo sei persone.

Hamas ha confermato la morte di Al-Arouri e l’ha definita un “vigliacco assassinio” da parte di Israele, aggiungendo che gli attacchi contro i palestinesi “dentro e fuori dalla Palestina non riusciranno a spezzare la volontà e la tenacia del nostro popolo o a impedire la continuazione della nostra coraggiosa resistenza.”

“Ciò dimostra ancora una volta il totale fallimento del nostro nemico nel raggiungere i suoi scopi aggressivi nella Striscia di Gaza,” ha affermato l’organizzazione.

In seguito alla notizia della morte di al-Arouri le moschee di Arura, la città a nord di Ramallah nella Cisgiordania occupata, hanno pianto la sua morte ed è stato dichiarato uno sciopero generale per mercoledì.

Ecco quello che c’è da sapere del dirigente di Hamas morto in Libano.

Chi era Saleh al-Arouri?

Al-Arouri, 57 anni, era il vice-capo dell’ufficio politico di Hamas e uno dei fondatori dell’ala militare del gruppo, le brigate Qassam.

Dopo aver passato 15 anni in una prigione israeliana viveva in esilio in Libano. Prima che il 7 ottobre iniziasse la guerra, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu l’aveva minacciato di morte.

Nelle ultime settimane al-Arouri aveva assunto il ruolo di portavoce dell’organizzazione e lo scorso mese aveva detto ad Al Jazeera che Hamas non avrebbe discusso un accordo per lo scambio degli ostaggi detenuti dal gruppo prima della fine della guerra a Gaza.

Nel 2015 gli Stati Uniti avevano etichettato al-Arouri un “terrorista globale” e promesso una taglia di 5 milioni di dollari per ogni informazione su di lui.

Cosa ha detto Israele della morte di al-Arouri?

Mentre non ci sono state reazioni ufficiali di Israele sulla morte del politico di Hamas, Mark Regev, consigliere di Netanyahu, ha detto al sito di notizie statunitense MSNBC che Israele non si assume la responsabilità dell’attacco. Ma, ha aggiunto, “chiunque lo abbia fatto, deve essere chiaro che non si è trattato di un attacco contro lo Stato libanese.”

“Chiunque lo abbia fatto ha compiuto un attacco chirurgico contro la dirigenza di Hamas,” ha affermato.

Tuttavia Danny Danon, ex- ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, ha esaltato l’attacco e si è congratulato con l’esercito israeliano, lo Shin Bet, il servizio di sicurezza, e il Mossad, il servizio di intelligence, per l’uccisione di al-Arouri.

“Chiunque sia convolto nel massacro del 7 ottobre dovrebbe sapere che lo troveremo e faremo i conti con lui,” ha scritto su X in ebraico, in riferimento all’attacco del 7 ottobre di Hamas nel sud di Israele che ha ucciso circa 1.200 persone.

I continui bombardamenti e colpi di artiglieria israeliani contro Gaza hanno ucciso da allora più di 22.000 palestinesi, tra cui più di 8.000 minori.

Secondo i media israeliani, dopo il tweet di Danon il governo ha ordinato ai ministri di non rilasciare interviste riguardo alla morte di al-Arouri.

Quale è stata la risposta dal Libano?

Il primo ministro libanese ad interim Najib Mikati ha condannato l’attacco contro il quartiere di Beirut ed ha affermato che si è trattato di un “nuovo crimine israeliano” e di un tentativo di spingere il Libano in guerra.

Mikati ha anche messo in guardia verso “gli alti dirigenti politici israeliani che ricorrono all’esportazione del fallimento a Gaza sul confine meridionale [del Libano] per imporre nuovi fatti sul terreno e cambiare le regole d’ingaggio.”

Hezbollah ha affermato che l’attacco contro la capitale del Libano “non passerà impunito.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra Israele-Palestina: come Hamas vede l’andamento del conflitto a Gaza e perché pensa di poter vincere

David Hearst 

4 novembre 2023 – Middle East Eye

Una fonte vicina alla leadership politica di Hamas afferma che l’organizzazione crede di poter sconfiggere Israele ma riconosce il pesante prezzo pagato da chi è sul campo.

Lattacco di Hamas del 7 ottobre è stato definito da una delle principali fonti arabe il più grande di tutti gli errori di valutazione nella storia”.

Unoperazione che secondo le persone informate sui dettagli della sua pianificazione doveva essere una missione tattica progettata per catturare al massimo una ventina di ostaggi militari si è trasformata, in seguito al crollo della Divisione israeliana di Gaza, in un assalto caotico.

Mentre i combattenti di Hamas e una serie di altri partecipanti armati provenienti da Gaza facevano irruzione nel sud di Israele attaccando basi militari, comunità di kibbutz e un festival musicale, lassalto ha prodotto le immagini terrificanti del peggior massacro di civili israeliani dalla nascita dello Stato.

Hamas è accusata da organizzazioni per i diritti umani di uccisioni deliberate, rapimenti e attacchi indiscriminati nei confronti di civilinel corso di episodi oggetto di un’indagine in corso da parte della Corte Penale Internazionale.

Sono stati sequestrati fino a 250 ostaggi, alcuni dei quali cittadini stranieri.

In risposta, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso di estirpare Hamas da Gaza.

Una campagna ritorsiva di bombardamenti mirata a spingere oltre un milione di abitanti della parte settentrionale del Paese verso sud e verso il confine egiziano sta per entrare nella quinta settimana con soldati israeliani e miliziani di Hamas impegnati nei combattimenti.

Secondo i dati del ministero della Sanità palestinese i bombardamenti hanno raso al suolo il nord di Gaza e ucciso oltre 9.000 palestinesi. La situazione non mostra segni di cedimento, dal momento che Israele e gli Stati Uniti resistono alla crescente pressione internazionale per un cessate il fuoco.

Middle East Eye ha riferito che lufficio politico di Hamas a Doha è stato tenuto all’oscuro della decisione di Mohammed Deif, comandante delle Brigate Izz al-Din al-Qassam, di scatenare il raid.

Ma nel suo ruolo di leadership lala politica di Hamas ha dovuto assumersene la responsabilità e costituisce al momento una parte fondamentale dei negoziati per il rilascio degli ostaggi su mediazione del Qatar.

Questa è la situazione vista dall’esterno del gruppo combattente, ma non è il modo in cui la stessa Hamas vede questi eventi.

Per scoprire cosa pensa Hamas MEE ha parlato con una fonte palestinese di alto livello in contatto con la leadership politica di Hamas.

MEE ha posto tre domande principali. Perché l’attacco è avvenuto in quel momento? Gli obiettivi di guerra di Israele sono realizzabili? Cosa pensa di ottenere Hamas al termine della guerra?

Perché adesso?

A scatenare l’attacco del 7 ottobre è stata la preoccupazione di Hamas che gli ebrei di estrema destra intendessero sacrificare un animale nel sito della moschea di al-Aqsa, ponendo così le basi per la demolizione del santuario della Cupola sulla Roccia e la costruzione del Terzo Tempio, ha affermato.

Hamas ha seguito da vicino i piani israeliani di istituire una presenza ebraica permanente all’interno del complesso di al-Aqsa. Al-Aqsa è considerato il terzo luogo più sacro dell’Islam e un simbolo dell’identità palestinese. È conosciuto in Israele come il Monte del Tempio.

La presenza quotidiana ad al-Aqsa di ebrei di estrema destra era già stata conseguita, con due irruzioni giornaliere al mattino e al pomeriggio in tour protetti da poliziotti armati fino ai denti e della durata da 30 minuti a un’ora.

Secondo alcune sette religiose messianiche come il Temple Institute, prima che il Terzo Tempio possa essere ricostruito deve essere sacrificata una giovenca rossa senza macchia per purificare il terreno.

A questo scopo sono state importate delle mucche Red Angus dagli Stati Uniti. Allinizio di questanno un’organizzazione a favore del Terzo Tempio ha dichiarato che sperava di macellare durante le vacanze di Pasqua del prossimo anno, che cadranno nellaprile 2024, cinque giovenche importate.

La fonte di MEE afferma che era stata già fatta una programmazione dei tempi rilevando che i coloni avevano eseguito nel sito di al-Aqsa sacrifici di vegetali”.

Affermazione che sembra riferirsi a un’irruzione avvenuta un mese fa da parte di decine di coloni che trasportavano fronde di palma per celebrare la festa ebraica del Sukhot [festa israeliana di pellegrinaggio della durata di sette giorni, ndt.].

Resta solo da compiere la macellazione delle giovenche rosse importate dagli Stati Uniti. Se la facessero sarebbe il segnale per la ricostruzione del Terzo Tempio, dice la fonte.

Hamas aveva già avvertito Israele che stava giocando con il fuoco nel tentare di mettere in atto ad al-Aqsa accordi simili a quelli relativi alla Moschea Ibrahimi di Hebron, divisa tra musulmani ed ebrei [dopo il massacro compiuto dal colono Baruch Goldstein nel 1994 che uccise 29 fedeli palestinesi, lesercito israeliano confiscò la maggior parte della moschea e ai musulmani viene inoltre impedito laccesso alla Moschea Ibrahimi durante le festività ebraiche, ndt.].

Anche altre organizzazioni palestinesi, inclusa lAutorità Nazionale Palestinese, hanno messo in guardia Israele dal cambiare lo status quo nella moschea.

Nelle tre settimane precedenti il raid, si sono svolte tre feste ebraiche terminate con il Sukhot. La sensazione di Hamas a Gaza era che al-Aqsa fosse in pericolo imminente, riferisce la fonte a MEE.

Sulla decisione di scatenare lattacco sono intervenute anche delle considerazioni a lungo termine.

Il destino dei 5.200 prigionieri palestinesi in detenzione israeliana è una pesante responsabilità” per la leadership di Hamas, riferisce la fonte, ed Hamas rifletteva ogni giorno su come avrebbero potuto essere rilasciati”.

La terza motivazione alla base dellattacco era costituita da Gaza stessa, sottoposta a 18 anni di assedio dopo il ritiro da parte di Israele dei suoi coloni dalla Striscia.

Gli Stati Uniti e le potenze regionali hanno lasciato Gaza ai limiti della sopravvivenza, relegata in un angolo con appena il supporto vitale, in lotta per cibo, denaro o un generatore. Lo sfondamento del 7 ottobre è stato un forte messaggio che gli abitanti di Gaza possono rompere lassedio, continua la fonte.

E’ possibile estirpare Hamas?

Non è la prima volta che i leader israeliani promettono di spazzare via Hamas, e ogni guerra precedente si è conclusa con il ritiro israeliano, dice.

I leader di Hamas riconoscono che la portata della devastazione è diversa ma credono ancora che il risultato finale sarà un altro ritiro israeliano, aggiunge.

Israele potrebbe distruggere una metà di Gaza ma penso che alla fine il risultato sarà lo stesso. Il problema per [il primo ministro israeliano Benjamin] Netanyahu sarà come concludere la battaglia con una immagine positiva da offrire alla gente.

Ma ha un grosso problema. Anche se riuscisse nel suo obiettivo bellico di eliminare la leadership di Hamas a Gaza, si troverebbe ancora ad affrontare le contestazioni sulla sua responsabilità per lattacco del 7 ottobre”.

La fonte respinge la prospettiva che Israele possa raggiungere il suo obiettivo principale. Dice che è fisicamente impossibile eliminare Hamas a causa delle dimensioni a Gaza dell’organizzazione e dei suoi affiliati.

Hamas è parte del tessuto della società. Ci sono i combattenti e le loro famiglie. Gli enti di beneficenza e le loro famiglie. I dipendenti pubblici e le loro famiglie. Nel loro insieme costituiscono una parte molto consistente della popolazione.

Anche se Hamas non prevedeva una risposta israeliana di questa portata dispone di una vasta rete di tunnel che si estende per molte centinaia di chilometri, ha riferito un’altra fonte a MEE.

L‘ipotesi che Hamas perdendo Gaza City, che le forze israeliane stanno cercando di accerchiare, cesserebbe di operare è dunque meno probabile.

Allo stesso modo Hamas non dipende dallentrata in guerra di Hezbollah, ma molti allinterno del movimento vedono il suo coinvolgimento come inevitabile.

Dicono che se Hezbollah permettesse l’annientamento di Hamas, sarebbe solo questione di tempo prima che Israele attaccasse anche l’organizzazione libanese.

Cosa otterrà Hamas alla fine di questa battaglia?

Hamas non crede che alla fine della guerra si possa riportare l’orologio al 6 ottobre e Gaza possa ricominciare da capo, dice.

Lattacco del 7 ottobre ha trasmesso un messaggio diretto e preciso secondo cui i palestinesi hanno la capacità di sconfiggere Israele e liberarsi delloccupazione. Per Hamas questo è ormai un dato di fatto, continua.

Hamas ritiene che l’attacco abbia infranto un patto che esisteva tra l’esercito israeliano e la popolazione sin dalla dichiarazione dello Stato nel 1948.

Il patto tacito era che il popolo avrebbe inviato all’esercito i propri figli e figlie e lesercito in cambio avrebbe protetto il Paese.

Secondo la fonte Hamas ritiene che l’attuale conflitto abbia spinto il popolo palestinese e la resistenza palestinese verso la vittoria e la liberazione, aggiungendo: Penso che Israele abbia perso molta fiducia nel futuro”.

Afferma che Hamas riconosce il pesante prezzo pagato dalla popolazione di Gaza. Ma credeva che la maggior parte avrebbe scelto di restare piuttosto che fuggire da una seconda Nakba, in riferimento allo sfollamento di 750.000 palestinesi dalla loro terra ancestrale nel 1948. Per la maggior parte delle persone non c’è scelta: il confine di Gaza con lEgitto e la sua frontiera con Israele sono chiusi e non c’è nessun posto sicuro dai bombardamenti.

Ogni palestinese sa che deve restare nella propria terra, anche se ridotta in macerie e pur vivendo nelle tende, dice.

Hamas ritiene che Israele abbia commesso un enorme errore strategico nel respingere le molteplici iniziative di pace arabe che avrebbero portato alla fine del conflitto.

La loro strategia consiste nell’avere tutto. Per questo perderanno tutto. Sottovalutano i palestinesi, prosegue la fonte.

Dice che mentre le capitali occidentali aspettano unera dopo Hamas, la resistenza palestinese aspetta con fiducia unera in cui possano vivere in un proprio Stato.

Riconosce che lesercito israeliano possiede un enorme vantaggio militare. Ma insiste sul fatto che i risultati di una guerra non sempre dipendono dagli equilibri di potere.

Guardate il Vietnam, lAfghanistan, lAlgeria. Guardate come sono finite quelle guerre coloniali, conclude.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Guerra Israele-Palestina: deraglia la politica USA per il Medio Oriente Da quando è scoppiato il conflitto Washington ha fatto una serie di errori marchiani, portando la regione sull’orlo di una guerra più ampia

David Hearst

18 ottobre 2023 – Middle East Eye

Joe Biden non sta avendo una bella guerra. Tre giorni dopo l’attacco di Hamas il presidente USA ha pronunciato un discorso da far invidia persino a David Friedman, ex ambasciatore in Israele sotto la presidenza Trump e difensore dei coloni.

Biden ha erroneamente sostenuto l’affermazione che Hamas avrebbe decapitato neonati, con affermazioni che la Casa Bianca ha poi dovuto smentire; ha promesso il sostegno USA per dare a Israele tutto il necessario per “rispondere a questo attacco” e ha poi erroneamente asserito che i civili a Gaza erano usati come scudi umani.

In quei tre giorni la leadership di Israele ha reso chiarissimo che sarebbe andata giù pesante e che lo Stato nella sua risposta all’attacco di Hamas non avrebbe rispettato le regole di guerra.

Gli eventi si sono svolti di conseguenza e Israele in 10 giorni ha colpito Gaza con una potenza esplosiva equivalente a un quarto di una bomba nucleare.

Mentre Biden stava decollando per il suo ultimo viaggio in Medio Oriente, a Gaza le forze israeliane hanno colpito un ospedale che avevano attaccato pochi giorni prima, dopo aver avvertito di evacuarlo. Oltre 20 altri ospedali hanno ricevuto minacce simili.

Questa volta sono state uccise circa 500 persone. La carneficina all’al-Ahli, uno dei più vecchi ospedali di Gaza, ha fatto un tale piacere a Itamar Ben Gvir, il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, che se ne è prematuramente attribuito la responsabilità: “Fino a quando Hamas non libererà gli ostaggi l’unica cosa che si deve far entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivo lanciate dall’aeronautica militare, non un grammo di aiuti umanitari.”

Anche Hananya Naftali, che lavorava per il team digitale del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha postato su X: “ULTIMISSIME: l’aeronautica militare israeliana ha colpito una base terrorista di Hamas dentro un ospedale a Gaza.” Ha velocemente tolto il post.

Più tardi lo stesso giorno un portavoce dell’esercito israeliano ha detto che un “razzo nemico” lanciato contro Israele era uscito dalla traiettoria colpendo l’ospedale. Tali razzi non hanno una potenza esplosiva tale da uccidere 500 persone. Inizialmente l’esercito aveva pubblicato immagini che mostravano un razzo del Jihad Islamico, ma dopo la scoperta che questo video era di 40 minuti successivi al bombardamento, l’esercito ha rimosso il filmato.

Sembra che qualcuno stia facendo gli straordinari al suo laptop per cancellare le tracce dell’attacco contro l’ospedale. C’è persino un audio che rivelerebbe la discussione fra miliziani di Hamas che discuterebbero del fallito lancio, salvo il fatto che, secondo Channel 4 [notiziario britannico, ndt.], sarebbe un falso che usa tono, sintassi e accento sbagliati.

Semaforo verdissimo

Mercoledì, quando Biden è atterrato in Israele, gran parte del tour regionale pianificato era stato cancellato. Tale era la rabbia nella Cisgiordania occupata, in Giordania, Libano ed Egitto che nessun leader arabo per garantire la propria sicurezza ha voluto incontrarlo.

Con centinaia di persone radunate davanti alle ambasciate di USA e Israele in Giordania che invocavano l’espulsione dell’ambasciatore israeliano e la revoca del trattato di pace con Israele, la visita ad Amman è stata annullata. 

Ma poco dopo l’arrivo in Israele Biden si è scavato una fossa ancora più profonda quando ha detto a Netanyahu, a proposito dell’attacco all’ospedale: “Basandomi su quanto ho visto sembra che sia stato fatto dall’altra parte, non da voi.”

Dietro le quinte la politica USA per il Medio Oriente sembrava stesse deragliando.

Per essere chiari le azioni intraprese dagli USA dietro le quinte nel periodo immediatamente seguente all’attacco di Hamas ha spianato la strada alla crisi in cui si trova ora la regione. 

Gli USA non hanno solo dato il semaforo più verde possibile alla campagna di bombardamento mirante a spingere più di un milione di persone dalla metà settentrionale della Striscia di Gaza verso il confine egiziano. Non hanno solo dato a Israele, secondo funzionari della difesa, bombe guidate equipaggiate con il sistema JDAM e parecchie migliaia di proiettili di artiglieria 155 mm.

Secondo vari e credibili rapporti, inizialmente hanno anche cercato di persuadere l’Egitto ad accogliere un milione di rifugiati da Gaza. Al Akhbar [quotidiano in lingua araba pubblicato a Beirut, ndt.] all’inizio ha riferito che gli USA hanno cercato di coordinarsi con l’ONU e “organizzazioni internazionali che ricevono finanziamenti dall’ONU” per convincere il Cairo ad aprire il valico di Rafah. Naturalmente c’era di mezzo una bustarella.

Fonti hanno parlato della possibilità che gli USA dessero dei significativi finanziamenti all’Egitto, oltre 20 miliardi di dollari, se avesse accettato. Hanno menzionato una richiesta del Cairo di “facilitare il trasferimento di molte e numerose organizzazioni operanti nel settore del soccorso al confine con Rafah senza entrare a Gaza”.

Anche il sito egiziano Mada Masr ha riferito che funzionari egiziani si sono consultati sul trasferimento di una significativa parte della popolazione di Gaza. Tale affermazione così delicata ha fatto sì che le autorità egiziane intervenissero pesantemente sul sito: i direttori sono stati convocati e il Consiglio Supremo per la regolamentazione dei media ha iniziato un’indagine sulla pubblicazione di “notizie false”. 

Senza dubbio questi incontri si sono svolti prima che il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi si rendesse conto del pericolo per lui in un anno di rielezioni. 

L’11 settembre di Israele

Gli USA hanno commesso tre errori nella loro reazione all’attacco di Hamas. Hanno incoraggiato Israele a colpire senza limiti, hanno inizialmente contemplato lo scenario di un esodo di massa dei palestinesi in Egitto e hanno portato il Medio Oriente sull’orlo di una guerra regionale. 

Fin dall’inizio la narrazione usata da Israele e dagli USA è stata che per Israele l’attacco di Hamas era paragonabile all’11 settembre, che Hamas non era in alcun modo diverso dallo Stato Islamico e che Israele aveva il dovere morale non solo di rispondere all’attacco di Hamas ma anche di sradicare l’intero movimento.

Ciò ha permesso a Israele di pensare che avrebbe potuto usare raid aerei contro Gaza non solo per distruggere Hamas, ma anche per apportare modifiche strutturali all’equilibrio di potere nel Medio Oriente, cioè confrontarsi con Hezbollah e infine con l’Iran.

Sia Netanyahu che il leader dell’opposizione Benny Gantz hanno alluso a un piano che avrebbe, nelle parole di Gantz, “cambiato la situazione strategica e della sicurezza nella regione”. Non mi è chiaro se gli USA avrebbero permesso a Israele di procedere con un piano più ampio che contro Hamas e Gaza, ma chiaramente il piano c’era.

Michael Milshtein, capo del Forum di Studi Palestinesi presso il centro Moshe Dayan all’università di Tel Aviv scrive: “Questa guerra è molto di più di un conflitto fra Israele e Hamas. In Occidente si sta sviluppando l’idea che la guerra delle Spade di Ferro [nome dell’operazione militare israeliana contro Gaza, ndt.] sia un momento qualificante, un’opportunità unica di rimodellare l’architettura del Medio Oriente che ci si aspetta influenzerà anche i rapporti di potere in tutto il mondo.”

Per alcuni giorni sembrava che l’espulsione forzata di metà di Gaza travestita da corridori umanitari potesse funzionare. Il confine nord con il Libano è rimasto tranquillo. Inizialmente Hezbollah non ha reagito. I media occidentali hanno accettato il piano di conquistare Hamas e rioccupare Gaza.

La svolta è arrivata quando il Segretario di Stato USA Antony Blinken sembra si sia reso conto che un’altra Nakba delle dimensioni di quanto accadde nel 1948 sarebbe stata una linea rossa. 

Dopo un incontro di ministri degli esteri, Ayman Safadi, vice primo ministro giordano, ha detto che tutti i paesi arabi si impegnavano in un’azione collettiva contro ogni tentativo di espellere i palestinesi dalla loro patria. Lo stesso messaggio è arrivato dal re  di Giordania Abdullah II durante il suo recente viaggio europeo.

L’urlo di protesta levatosi da Giordania, Egitto, Turchia e Arabia Saudita è stato tale che Blinken ha dovuto ammettere che “non avrebbe avuto seguito”. Biden ha anche detto che la rioccupazione di Gaza sarebbe stato un “errore enorme”. Il Primo Ministro britannico Rishi Sunak ha detto che tutti dovrebbero evitare l’escalation. 

Tutto ciò è stato accompagnato da altri avvertimenti chiari. Hossein Amir-Abdollahian, ministro degli Esteri iraniano, ha messo in guardia che l’asse della resistenza avrebbe aperto “fronti multipli” contro Israele se gli attacchi contro Gaza fossero continuati, dicendo alla televisione nazionale iraniana: “Non c’è più molto tempo. Se i crimini di guerra contro i palestinesi non si fermano immediatamente, si apriranno altri fronti multipli e questo è inevitabile.”

Se gli USA non capiranno hanno solo da guardare fuori dalla finestra dove ci sono proteste di massa senza precedenti in tutta la regione.

Guerra regionale

All’arrivo di Biden in Israele mercoledì la regione era in ebollizione. A parte la questione morale, l’esercito USA è chiaramente impreparato per tale impresa avendo speso gli ultimi anni a ridurre le sue risorse militari.

Secondo il Wall Street Journal l’anno scorso ha ritirato più di otto batterie di missili Patriot da Iraq, Kuwait, Giordania e Arabia Saudita, oltre a un sistema Terminal High Altitude Area Defense [Difesa d’area terminale ad alta quota] (Thaad) dall’Arabia Saudita. Ha svuotato le scorte di munizioni da 155mm in Israele per mandarli in Ucraina. Ha spostato la marina nel Pacifico.

In poco tempo ha dovuto far marcia indietro. Nel Mediterraneo c’è già una portaerei e un’altra sta arrivando [in realtà è già arrivata. ndt.]. L’ultima volta che gli USA hanno impiegato due portaerei in Medio Oriente fu nel 2020. Insieme alle sue navi ha dovuto riportare nel Golfo gli aerei da attacco A-10 e i caccia F-15 e F-16. 

Tutto ciò dovrebbe costituire un deterrente per l’Iran. Non lo sarà. Non mi capita spesso di citare le analisi su Israele dell’editorialista Thomas Friedman [noto giornalista USA tradizionalmente schierato con Israele, ndt.] del New York Times, ma in questa occasione farò eccezione.

Friedman ha scritto: “Se Israele entra in Gaza adesso farà saltare gli Accordi di Abramo, destabilizzerà ancora di più due dei più importanti alleati dell’America (Egitto e Giordania) e renderà impossibile la normalizzazione con l’Arabia Saudita: una gigantesca battuta di arresto. Permetterebbe anche ad Hamas di incendiare veramente la Cisgiordania e fare partire una guerra di pastori fra i coloni ebrei e i palestinesi. Complessivamente farebbe il gioco della strategia iraniana di attrarre Israele verso una eccessiva espansione imperiale, indebolendo in tal modo la democrazia ebraica dall’interno.”

Hamas non ha bisogno di infiammare la Cisgiordania occupata, dato che ci sono enormi proteste in tutte le città principali per chiedere al Presidente Mahmoud Abbas di andarsene, dopo che le forze dell’Autorità Palestinese (AP) hanno usato proiettili veri contro i manifestanti. Ma sul punto strategico sono d’accordo con Friedman, anche se mi addolora dirlo.

Ha anche ragione a dire che un’invasione di terra di 360.000 soldati israeliani afflitti è la ricetta per massacri forse peggiori e di più vaste dimensioni di quelli mai visti fino ad ora.

Perdita del sostegno

C’è una discussione a Washington su come l’attacco di Hamas abbia cambiate la natura, la velocità e l’estensione del sistema del Medio Oriente sostenuto dagli USA. James Jeffrey, ex ambasciatore USA nella regione, ha detto a Middle East Eye: “La capacità di Hamas di sconfiggere l’intera difesa militare israeliana mette questa guerra sullo stesso piano della guerra dello Yom Kippur (la guerra in Medio Oriente del 1973). Nessun conflitto recente ha minacciato il sistema mediorientale sostenuto dagli USA tanto come questo, e tale lo considera l’amministrazione [Biden].”

Ma questa analisi fa partire il conto alla rovescia fino all’attacco stesso, non a tutti i segnali che l’hanno preceduto: il collasso dell’AP, gli sconfinamenti israeliani nella moschea di Al-Aqsa, l’impossibilità dei negoziati, i tentativi di stringere un accordo con l’Arabia Saudita passando sopra le teste dei palestinesi e l’impossibilità di tutti i palestinesi di uscire dalle gabbie collettive in cui sono rinchiusi.

Potrebbe anche essere che “il sistema mediorientale sostenuto dagli USA”, basato sul cieco supporto a Israele, non funzioni più? La lettera di dimissioni di Josh Paul, un funzionario ad alto livello del Dipartimento di Stato USA, dimissioni causate dalla posizione della sua amministrazione sulla guerra di Gaza, è una lettura interessante.

Paul ha definito l’attacco di Hamas la “mostruosità delle mostruosità”, ma poi continua: “La reazione di questa amministrazione e anche di gran parte del Congresso è una reazione impulsiva, basata su un pregiudizio confermato, sulla convenienza politica, sulla bancarotta intellettuale e sull’inerzia burocratica. Decenni con lo stesso approccio hanno mostrato che la sicurezza in cambio di pace non porta né alla sicurezza né alla pace. Il fatto che un supporto cieco a una parte sul lungo periodo è distruttivo per gli interessi dei popoli di entrambe le parti.”

Forse Biden ha capito il messaggio. Ma, avendo tolto 12 giorni fa il piede dal freno della rabbia collettiva di Israele, adesso avrà un compito difficile per rimettercelo.

Ho parlato prima di deragliamento, e in realtà è un traballante carro tirato da cavalli. Quello che gli scorsi dodici giorni hanno dimostrato più di ogni altra cosa è l’incapacità degli USA a essere un leader mondiale. Manca dei requisiti: capacità analitica, conoscenza della regione e capacità intellettuale. Spara commenti affrettati e solo dopo pensa alle conseguenze. E’ coinvolto in guerre per le quali è palesemente impreparata.

Accecata dal dogma, sempre entusiasta di dividere il mondo in opposizioni manichee: democrazia contro autocrazia, il mondo giudeo-cristiano contro l’Islam, l’America ha perso contatto con i valori che sostiene di difendere. Mentire a favore di Israele sui crimini di guerra che sta commettendo significa difenderlo?

Washington sta perdendo il sostegno dei suoi alleati. Vedendo le azioni degli USA nessuno può avere molta fiducia che siano state veramente meditate. Le conseguenze di questi 12 giorni e di quelli che seguiranno provocherà sconvolgimenti in lungo e in largo. 

Biden ha tutto l’interesse a chiudere l’episodio ora, fermando l’assalto via terra e costringendo a far entrare a Gaza gli aiuti umanitari essenziali. 

Solo allora potranno avvenire i negoziati con Hamas per uno scambio di prigionieri. Se non riesce a ottenere questi obiettivi base, anche lui scoprirà quali danni un Israele senza limiti può infliggere a sè stesso, alla regione, agli USA e invero al mondo. 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è cofondatore e capo-redattore di Middle East Eye. È commentatore e conferenziere sulla regione e analista dell’Arabia Saudita. Ha scritto di politica estera per il Guardian, è stato corrispondente da Russia, Europa e Belfast. È arrivato al Guardian da The Scotsman, dove era corrispondente per il settore dell’istruzione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele contro Iran: Venti di guerra a Gerusalemme – con il sostegno di Washington

Amos Harel

1 maggio 2018, Haaretz

Israele è determinato a estromettere l’Iran dalla Siria, ma se sbaglia i calcoli, Hezbollah e Hamas potrebbero accettare la sfida. Netanyahu è pronto a correre dei rischi – a un passo dal gioco d’azzardo.

Dopo l’attacco alla Siria attribuito a Israele nella notte di domenica, perlomeno il quinto da settembre, sembra che non ci sia spazio al dubbio. Israele è determinato a sradicare la presenza militare iraniana dalla Siria.

Dopo il precedente attacco alla base aerea T4 vicino a Homs il 9 aprile, in cui morirono 14 persone inclusi sette membri del Corpo delle guardie rivoluzionarie iraniane, l’Iran minacciò gravi ritorsioni. Lo stato maggiore di difesa israeliano si preparò di conseguenza, ma finora non era successo nulla. Invece, ora è stato inflitto un altro attacco agli interessi iraniani in Siria.

In base ai rapporti siriani, il raid [israeliano] sugli obiettivi militari tra Hama e Aleppo nel nord della Siria ha causato forti esplosioni – una fonte ha riferito che sembrava ci fosse un piccolo terremoto. Alcuni furono uccisi, apparentemente soldati siriani e miliziani sciiti pro-iraniani.

La scorsa settimana la rete televisiva CNN ha riferito che lo spionaggio americano e israeliano sta controllando i movimenti in Siria delle armi iraniane che potrebbero essere utilizzate per “chiudere i conti” con Israele. L’attacco di domenica notte – questa volta, con tanta forza – potrebbe rivelare che è stato colpito un grosso deposito di armi. E ciò potrebbe confermare il tentativo di sventare una potenziale reazione iraniana.

Con l’Iran a nord di Israele lo scontro è diretto: Israele ha tracciato un limite ed è pronto a farlo rispettare con la forza. Poiché gli iraniani si oppongono sia alla proibizione di Israele alla sua presenza che ai mezzi che Israele sta usando, in assenza di un mediatore tra le parti, questo conflitto potrebbe ancora intensificarsi. La settimana è appena all’inizio.

Paura di provocare Trump

Nell’ultimo anno, due tendenze sono diventate evidenti in Medio Oriente: il presidente siriano Bashar Assad ha vinto la sanguinosa guerra civile in Siria e gli Stati Uniti stanno ridimensionando la propria presenza nella regione. Anche il loro recente attacco punitivo contro il regime di Assad è stato percepito come un gesto simbolico di addio. Nel frattempo, stanno prendendo forma altre due tendenze: lo sforzo di Israele di espellere l’Iran dalla Siria e Washington che si prepara a una risoluzione per abbandonare l’accordo nucleare tra l’Iran e le potenze [occidentali], che dovrebbe avvenire intorno al 12 maggio.

Il governo del primo ministro Benjamin Netanyahu sembra stabilire una relazione fra le ultime due tendenze. L’idea è che l’Iran si stia trattenendo dal reagire contro Israele per le ultime presunte mosse in Siria perché ha paura di commettere un errore che provocherebbe la rabbia degli Stati Uniti. Secondo questo punto di vista, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump potrebbe rispondere all’escalation tra Iran e Israele abbandonando l’accordo nucleare ancora prima, e in seguito potrebbe persino attaccare i siti nucleari iraniani (il che sarebbe incalcolabilmente più grave di un ipotetico attacco israeliano). Le autorità di Teheran sono anche preoccupate per le varie minacce interne, dalla crisi finanziaria alle accese manifestazioni di protesta. Apparentemente la conclusione logica è che Israele possa continuare a colpire gli iraniani in Siria a suo piacimento.

In effetti, gli Stati Uniti agiscono in modo molto diverso rispetto ai giorni di Obama. Il Segretario di Stato Mike Pompeo è venuto in Israele dopo aver assunto l’incarico ed è partito per la Giordania poco prima che arrivassero le prime notizie degli attacchi israeliani in Siria. Contemporaneamente, Trump e Netanyahu si sono parlati per telefono, discutendo, come riferito, anche dell’Iran. Si tratta chiaramente di un riconoscimento da parte di Washington dei venti di guerra che soffiano a Gerusalemme. Si potrebbe pensare che se Pompeo avesse potuto rimanere in Israele qualche ora in più, gli avrebbero suggerito di saltare in una cabina di pilotaggio e sparare lui stesso alcuni missili.

Nel frattempo, Netanyahu, come abbiamo scritto alcune settimane fa, è di un umore particolarmente trumpiano, molto diverso dal suo comportamento normale. L’attenzione agli incidenti riguardo alla sicurezza ha superato anche la preoccupazione per le lotte politiche all’interno della coalizione. È pronto ad affrontare rischi inediti, al limite del gioco d’azzardo. Stranamente, lo stato maggiore della difesa è con lui. Contrariamente all’acceso contrasto dell’inizio del decennio [2010] sul bombardamento dei siti nucleari in Iran, questa volta i capi della difesa israeliana portano avanti una linea dura e aggressiva riguardo alla presenza dell’Iran in Siria.

La seccante ma necessaria domanda di questa mattina è cosa succede se Israele sbaglia una mossa.

È vero, l’Iran adesso non vuole importunare gli Stati Uniti. È piuttosto occupato a proteggere il suo programma nucleare da ulteriori pressioni ed è interessato a esibire la sua capacità di colpire in Siria. Un combattimento in Siria non andrebbe bene nemmeno ai russi che sono intenzionati a ristabilire il regime di Assad.

Ma i calcoli di Israele potrebbero saltare se le fiamme in Siria divampassero fuori controllo, e se l’Iran decidesse, smentendo le ipotesi, di trascinare Hezbollah nel conflitto, per esempio dopo le elezioni libanesi del 6 maggio. Hezbollah ha acquisito in Siria un’esperienza largamente operativa. Ha un arsenale di oltre 100.000 fra missili e razzi. Hezbollah non è certamente più forte delle Forze di Difesa Israeliane, ma in caso di guerra, potrebbe provocare danni reali sul fronte interno israeliano, e i combattimenti a terra in Libano potrebbero costare cari all’esercito israeliano.

Un conflitto del genere potrebbe coinvolgere Hamas a Gaza, come il ministro della Difesa Avigdor Lieberman ha ripetutamente segnalato (sembra esserci una discrepanza tra i toni sicuri espressi da Gerusalemme, tra cui quelli di Lieberman, in pubblico, e le loro reali paure). Finora Israele è riuscito a stabilire e mantenere un coordinamento con l’aviazione russa per prevenire qualsiasi attrito nei cieli siriani. Ma, a un certo punto, non potrebbe Mosca decidere che è stufa di ricevere diktat da Gerusalemme?

Israele ha uno scopo comprensibile in Siria. La presenza dell’Iran sta diventando potenzialmente pericolosa e potrebbe in futuro bloccare l’esercito israeliano. Eppure, stamattina, bisogna farsi alcune domande. L’obiettivo di espellere tutte le forze iraniane dalla Siria è davvero raggiungibile, come sembrano pensare il primo ministro, il ministro della Difesa e il capo dello stato maggiore? Stanno considerando che le cose possano andare storte, sfociando in un conflitto più vasto dal costo molto più alto? Finora non c’è stata alcuna vera discussione in merito, né è emerso alcun dibattito sulla politica che sta prendendo forma al nord – non nel governo né tra i vertici della sicurezza.

( Traduzione di Luciana Galliano)




Israele sta armando sette gruppi ribelli in Siria

Asa Winstanley,

28 Febbraio, 2018 ,Middle East Monitor

L’occupazione israeliana illegale delle Alture del Golan dura ormai da 50 anni. Questo ricco territorio, parte della Siria meridionale, è stato conquistato dalle forze di occupazione israeliane nella guerra del 1967.

La maggioranza della popolazione siriana sul territorio è stata espulsa o è dovuta fuggire per salvarsi. Israele ha demolito le loro case, i loro edifici, e interi villaggi nel Golan per costruire al loro posto colonie israeliane.

Nel 1981, sfidando le Nazioni Unite e violando il diritto internazionale, Israele ha annesso le Alture del Golan. La mossa – non riconosciuta nemmeno dagli alleati di Israele – era intesa a consolidare il controllo de facto di Israele sul territorio siriano occupato, attribuendogli una patina di auto-riconoscimento legale. In aggiunta a questo , Israele ha usato, negli ultimi anni, la lunga e sanguinosa guerra in Siria come copertura per espandere il proprio controllo nel Golan, molto a sud del territorio ancora del suo vicino sovrano; vuole il piu’ ampio controllo possibile.

Come ho scitto qui l’estate scorsa, Israele sta ora consolidando una buffer zone [zona cuscinetto ndt] nel sud della Siria, estendendola a partire dal Golan. Lavorando nel sud con rappresentanti locali, Israele sta costruendo ciò che le sue organizzazioni di copertura sostengono essere una “zona sicura”.

Quell’estate abbiamo scoperto che Israele stava dando supporto ad un gruppo ribelle sul confine tra il Golan e il resto della Siria per una somma di decine di migliaia di dollari. Negli anni precedenti, Israele aveva sostenuto economicamente gruppi legati ad Al-Qaeda nel sud della Siria. Questo sostegno consisteva nel provvedere le cure ai combattenti feriti in ospedali israeliani al di là del confine, per poi rimandarli indietro in Siria a combattere il regime.

Le notizie piu recenti sono che l’armamento delle forze delegate da Israele in Siria stia crescendo rapidamente. Un’inchiesta del giornale di Tel Aviv Haaretz la scorsa settimana sostiene che Israele stia armando ora “almeno” sette gruppi ribelli nel Golan, che “stanno ricevendo armi e munizioni da Israele, assieme a denaro per comprare ulteriori armi”.

Tutti I gruppi in questione riportano un recente aumento degli aiuti israeliani. Questo in conseguenza del fatto che molti Stati, inclusi la Giordania e gli Stati Uniti, stanno diminuendo la portata delle loro operazioni militari in Siria.

Come ha riportato Haaretz, “A gennario, l’amministrazione Trump ha chiuso la base operativa che la CIA gestiva ad Amman, la capitale giordana, e che coordinava gli aiuti alle organizzazioni ribelli nel sud della Siria. Come risultato, decine di migliaia di ribelli che ricevevano un regolare supporto economico dagli USA sono stati privati di questo supporto.”

Lo scopo di Israele qui sembra essere doppio. Il primo è di tenere le forze armate di Iran e Hezbollah – alleati del regime siriano – lontane dalla linea di confine del Golan. Il modo più rapido per farlo è di fare in modo che ci sia una forza di opposizione reale in quell’area.

In secondo luogo, il programma israeliano di proliferazione delle armi è inteso a promuovere il suo ufficiale obiettivo strategico nella regione; “lasciare che entrambe le parti si massacrino” in modo da prolungare la guerra il piu’ a lungo possibile. Indebolire la Siria e i suoi alleati, [qui tutti dicono] l’Hezbollah libanese e l’Iran, è un obiettivo importante per Israele e la superpotenza che lo sostiene, gli USA. Ancora piu importante è l’obiettivo di far sì che la guerra continui. Tutto ciò in aggiunta allo scopo generale israeliano di controllare il piu’ ampio territorio che può accaparrarsi e mantenere. La buffer zone che Israele sta tentando segretamente di ampliare fino a 40 chilometri dentro la Siria si sta realizzando attraverso gruppi di facciata che si presentano apparentemente come organizazzioni “non-governative” per gli aiuti, come anche pagando i salari dei combattenti ribelli e mandando finanziamenti per comprare armi.

Questi pretesi gruppi di “società civile per gli aiuti” sostenuti da Israele nel sud della Siria – che estendono l’occupazione nel Golan – sono una facciata. In realtà, essi costituiscono un modo per estendere il controllo mediato di Israele nella regione.

Tutto questo è molto in linea con gli schemi di Israele in Libano. Tra il 1982 e il 2000, Israele ha illegalmente occupato il sud del Libano. Dopo l’invasione del 1982 – che raggiunse persino Beirut – Israele si ritirò ad una “buffer zone” nel sud del Libano. Invece di occupare la zona con soldati israeliani, molto del lavoro è stato gestito delegandolo a forze libanesi. Questi gruppi-burattino armati oppressero la popolazione per conto di Israele. Questo condusse presto alla resistenza armata contro l’occupazione israeliana, e fu in queste circostanze che nacque Hezbollah.

Israele occupò illegalmente il sud del Libano fino al 2000, quando la resistenza guidata da Hezbollah spinse fuori (dal territorio) il principale rappresentante israeliano, il cosiddetto Esercito Libanese del Sud. Oggi, Israele sta tentando di istituire quello che è, in tutto fuorché nel nome, un “Esercito Siriano del Sud”. Se possa riuscirci è opinabile, ma, come dimostra la storia del Libano, anche se dovesse farlo è improbabile che Israele riesca a mantenere il controllo a lungo.

(Traduzione di Tamara Taher)




Lieberman sulla possibilità di una guerra in Libano: se gli israeliani saranno costretti ad andare nei rifugi antiaerei, lo saranno anche tutti gli abitanti di Beirut

Yaniv Kubovich

1 febbraio 2018, Haaretz

Il ministro della Difesa israeliano afferma che le tensioni crescenti lungo il confine nord potrebbero portare ad un conflitto, nel quale Israele potrebbe prendere in considerazione un attacco di terra.

Mercoledì il ministro della Difesa Avigdor Lieberman si è espresso riguardo alla possibilità di un conflitto con il Libano, dicendo che i soldati israeliani potrebbero dover intervenire in profondità nel territorio libanese e operare sul campo di battaglia, se scoppiasse la guerra.

Le affermazioni di Lieberman sono le ultime di una serie di avvertimenti da parte di alti ufficiali israeliani riguardo ai tentativi di Hezbollah di armarsi di missili di precisione prodotti in Libano.

“Operare sul terreno non è di per sé un obbiettivo. L’obbiettivo è porre fine alla guerra”, ha detto Lieberman durante una conferenza dell’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale all’università di Tel Aviv.

“Nessuno cerca un’avventura, ma se non abbiamo scelta l’obbiettivo è porre termine (agli scontri) il più presto ed il più inequivocabilmente possibile”, ha aggiunto. “Purtroppo ciò che vediamo in tutti i conflitti nel Medio Oriente è che senza i soldati sul terreno non si arriva ad una conclusione.”

“Questo tipo di operazioni richiede un grande sforzo ed anche, disgraziatamente, delle vittime. Tutte le opzioni sono aperte ed io non sono vincolato a nessuna posizione”, ha aggiunto. “Dobbiamo prepararci anche ad un intervento sul terreno, anche nel caso in cui non venga attuato.”

“Lo faremo con pieno dispiego della forza. Non dobbiamo avere esitazioni. Procederemo il più velocemente possibile”, ha detto Lieberman.

“Non assisteremo a scene come quelle della seconda guerra del Libano, in cui gli abitanti di Beirut erano al mare e a Tel Aviv la gente era nei rifugi antiaerei. Se in Israele si andrà nei rifugi, allora nella prossima guerra vi andranno anche tutti gli abitanti di Beirut.”

Parlando ai giornalisti dopo il suo incontro con il presidente russo Vladimir Putin, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto che le fabbriche di missili di precisione iraniane in Libano erano già in “fase avanzata” e che lui aveva segnalato alla sua controparte russa che si tratta di una minaccia che Israele non è disposto ad accettare.

Secondo Netanyahu i russi “comprendono pienamente la nostra posizione e l’importanza che noi attribuiamo a queste minacce.” Ha aggiunto che i rapporti di Israele con il Cremlino sono importanti per il coordinamento sulla sicurezza tra i Paesi: “L’esercito russo è sul nostro confine e noi siamo riusciti a salvaguardare i nostri interessi e la nostra libertà di agire coordinando le aspettative.”

“L’organizzazione terroristica Hezbollah viola le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU mantenendo una presenza militare nella regione, dotandosi di sistemi di armamento ed incrementando le proprie capacità militari”, ha detto giovedì Gadi Eisenkot [capo di stato maggiore di Israele, ndtr.].

Il portavoce dell’esercito israeliano Ronen Manelis ha scritto in un articolo, pubblicato domenica, che gli ufficiali della difesa israeliani ritengono che l’Iran abbia ripreso a costruire una fabbrica di armi di precisione in Libano.

La produzione dei missili in Libano costituisce per l’esercito israeliano un problema diverso dalle sue preoccupazioni riguardo alla Siria. Secondo informazioni sui media esteri, l’esercito israeliano ha compiuto sforzi in Siria negli ultimi anni per impedire il contrabbando, lo stoccaggio in depositi e la produzione di armi destinate a Hezbollah.

Perciò dirigenti politici e militari israeliani hanno inviato avvertimenti, sia attraverso articoli di alti ufficiali dell’esercito, sia attraverso affermazioni di importanti ministri, compresi il ministro della Difesa Avigdor Lieberman e dell’Educazione Naftali Bennett, il capo del partito di destra Habayit Hayehudi [La casa ebraica, il partito di estrema destra dei coloni, ndtr.].

Per l’esercito un attacco agli impianti è l’ extrema ratio e verrà data priorità ad attività clandestine, al rilevamento dei siti e ad uno sforzo diplomatico per fermare la produzione negli stabilimenti. L’esercito ritiene che un attacco agli impianti potrebbe peggiorare la situazione fino a portare ad un conflitto di alta intensità, come accaduto nella seconda guerra del Libano del 2006.

Questa settimana fonti dell’esercito hanno detto che qualunque operazione nell’area potrebbe condurre ad una guerra, come è successo con il rapimento dei soldati Eldad Regev e Ehud Goldwasser nel 2006, un atto che ha portato alla seconda guerra del Libano. Un evento analogo è stato il rapimento di tre studenti della yeshiva [scuola rabbinica, ndtr.] in Cisgiordania nel 2014, che ha scatenato l’operazione israeliana ‘Margine Protettivo’ a Gaza.

Oltre che per la produzione di missili, l’esercito israeliano è preoccupato anche per le azioni di Hezbollah lungo il confine. Vi sono circa 240 villaggi nel sud del Libano che Hezbollah ha trasformato in zone di combattimento in caso di guerra.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




La Russia cerca la riconciliazione tra Hamas e Fatah per salvare Assad e indebolire l’Iran

Zvi Bar’el– 13 settembre 2017, Haaretz

Unico attore in grado di lavorare per un miracolo diplomatico, il coinvolgimento regionale di Mosca è degno di nota e prova che la riconciliazione palestinese è in cima ai suoi programmi.

 Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha avuto un fine settimana impegnativo. Durante una visita di tre giorni in Medio Oriente ha incontrato re Salman dell’Arabia Saudita e re Abdullah di Giordania, ha parlato per telefono con il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sissi e ha cercato di sanare la frattura tra gli Stati del Golfo e il Qatar, di raggiungere una posizione unitaria sulla crisi siriana e di porre fine alle divisioni tra Fatah e Hamas.

Durante una conferenza stampa con il ministro degli Esteri saudita Adel al-Jubeir, Lavrov ha rivelato che la Russia sta avendo colloqui con i Paesi arabi che hanno rapporti con Hamas per riuscire a tornare all’accordo di riconciliazione che hanno firmato Hamas e Fatah, compresa la formazione di un governo palestinese di unità. Due giorni dopo Hamas ha detto di essere disposto a smantellare il consiglio amministrativo [il governo di fatto di Gaza da quando Hamas ha espulso i dirigenti di Fatah e preso il potere, ndt.], che ha creato nella Striscia di Gaza come governo alternativo, e a raggiungere un accordo per formare un governo palestinese unitario.
Sarebbe prematuro aspettare con il fiato sospeso che questa dichiarazione venga messa in pratica. Ma il nuovo coinvolgimento della Russia è degno di nota. Contrariamente agli accordi che Hamas ha raggiunto il mese scorso con l’Egitto, in base ai quali il consiglio amministrativo di Gaza sarebbe stato guidato da Mohammed Dahlan – un membro di Fatah e rivale del presidente palestinese Mahmoud Abbas –  e che comprenderebbe  sia membri di Hamas che di Fatah, Hamas sta di nuovo parlando di un governo di unità.
Questo annuncio significa che sta annullando i suoi accordi con l’Egitto? Secondo fonti di Hamas, ci sono due processi paralleli.
Per il momento il consiglio amministrativo continuerà a negoziare con l’Egitto, con Dahlan come mediatore, nel tentativo di ottenere la riapertura permanente del valico tra Egitto e Gaza, forse tra un mese. Le spese giornaliere del consiglio saranno finanziate dagli Emirati Arabi Uniti, che hanno già destinato 15 milioni di dollari a questo scopo e hanno promesso la stessa somma nei prossimi mesi.
Allo stesso tempo Hamas riprenderà i colloqui con l’Autorità Nazionale Palestinese su come spartirsi i posti di governo e prepararsi a nuove elezioni presidenziali e legislative palestinesi.
Il coinvolgimento della Russia sia nel conflitto interno palestinese che in quello tra palestinesi ed israeliani non è slegato dalla sua strategia regionale, soprattutto dalla gestione della crisi siriana, che ora si trova esclusivamente nelle mani della Russia. Giordania, Arabia saudita, Egitto, Turchia e Israele, tutti comprendono che l’unica grande potenza in grado di lavorare ad un miracolo in Siria è la Russia. Quindi ognuno di loro ora sta cercando di garantirsi da Mosca che i propri interessi vengano salvaguardati.
Aiutare Assad
La Giordania, come Israele, non è d’accordo con la Russia sullo status dell’Iran in Siria. Attualmente l’esercito siriano non è presente nel sud del Paese, ma la Giordania teme che questa situazione cambi. Quindi ha sollecitato, ed apparentemente si è garantita, una promessa da parte di Lavrov che se l’esercito siriano ritornerà nelle zone vicine al confine giordano, non consentirà alle forze filo-iraniane, comprese le milizie straniere sciite ed Hezbollah, di schierarsi lungo queste zone sul confine.
In cambio la Siria ha chiesto alla Giordania di mantenere stretti rapporti con il regime di Assad, di aprire i passaggi di frontiera tra i due Paesi e, in seguito, di riprendere relazioni diplomatiche con il regime.
La Russia, che ha realizzato un’inversione di marcia nella situazione militare del regime e nell’estensione del territorio che esso controlla, sta ora investendo la maggior parte dei propri sforzi in mosse diplomatiche che intendono attribuire una legittimazione araba ed internazionale al presidente siriano Bashar Assad. Da qui l’importanza della visita di Lavrov in Medio Oriente.
La verifica di questi tentativi ci sarà questo fine settimana ad Astana, la capitale kazaka, quando funzionari del governo siriano e rappresentanti dell’opposizione hanno in programma di tenere il loro sesto incontro. Se questa tornata di colloqui dovesse avere successo, sarà possibile stabilire una data per una conferenza a Ginevra per discutere un trattato di pace.
Ma nel suo tentativo di costruire un sostegno arabo alle sue iniziative in Siria, la Russia deve superare due seri ostacoli. Il primo è la divisione tra gli Stati del Golfo e l’Egitto da una parte e il Qatar dall’altra, il secondo è lo stallo diplomatico tra l’Arabia Saudita e l’Iran.
Dato che i tentativi americani di riconciliare l’Arabia saudita e il Qatar, in cui il presidente USA Donald Trump ha giocato un ruolo attivo, sono falliti e l’amministrazione USA sembra essere in ibernazione riguardo al conflitto israelo-palestinese, la Russia ha colto questi due conflitti come leva per portare avanti i propri interessi. Ed è per questo che Hamas è diventato importante, benché non sia considerato un attore strategico che possa influenzare la politica regionale. Poiché Hamas è una pedina nella partita a scacchi tra Riyad e Teheran, è diventato essenziale coinvolgerlo per gli scopi di un gioco più grande.
Hamas, Iran ed Egitto
Lo scorso anno Hamas ha intensificato le sue aperture nei confronti dell’Iran, che in cambio ha promesso aiuto all’organizzazione. Secondo informazioni dei media arabi, l’Iran ha fornito al ramo libanese di Hamas circa 20 milioni di dollari ed ha anche ripreso l’addestramento militare dei miliziani di Hamas da parte di Hezbollah.
Funzionari di Hamas sia a Gaza che all’estero ogni tanto hanno emesso comunicati in cui hanno sostenuto che i rapporti con l’Iran dovrebbero essere presto ripresi o che l’Iran ha offerto ulteriore aiuto. Ma queste affermazioni contraddicono gli sforzi diplomatici di Hamas, che intendono ristabilire le relazioni con l’Egitto. Questa discrepanza attesta dell’accesa disputa tra l’ala militare di Hamas, che sta spingendo per riprendere i legami con l’Iran, e la sua ala politica, guidata da  Ismail Haniyeh e da Yahya Sinwar, che sta promuovendo i rapporti con l’Egitto e con il mondo arabo.
Anche l’Iran sta soffrendo una disputa interna sull’aiuto ad Hamas, tra i conservatori radicali e le Guardie della Rivoluzione. Mentre queste ultime stanno spingendo per riprendere questo aiuto, i radicali sono contrari sulla base del fatto che, dato che Hamas ha tradito la Siria, non merita aiuto.
Ecco perché la Russia attribuisce una tale importanza alla riconciliazione palestinese, che bloccherebbe un rinnovato avvicinamento tra Hamas e l’Iran e in tal modo soddisferebbe i desideri di Arabia saudita, EAU ed Egitto. Se la Russia potrà realizzare una simile riconciliazione, raggiungerà una doppia vittoria.
In primo luogo sarà vista come l’unico Paese in grado di risolvere conflitti nella regione, dato soprattutto il suo recente “successo” in Siria. In secondo luogo, avrà portato un importante contributo esplicito per bloccare l’influenza iraniana – e benché la Russia e l’Iran abbiano un interesse comune nel preservare il regime di Assad, la Russia non è entusiasta dell’influenza iraniana nella regione.
La successiva domanda è come Israele dovrebbe rispondere ai tentativi della Russia. Israele si è tradizionalmente opposto alla riconciliazione tra Hamas e Fatah, principalmente perché la divisione gli permette di sostenere che Abbas non rappresenta tutti i palestinesi, e quindi non può essere un partner per la pace (oltre alle sue altre solite scuse, come accusarlo di incitare ed appoggiare il terrorismo). La separazione tra Gaza e la Cisgiordania consente inoltre ad Israele di condurre una politica di oppressione in entrambi i territori.
Ma se la Russia decide che una riconciliazione palestinese è fondamentale per i suoi interessi regionali, Israele avrà dei problemi nel mantenere questa opposizione, soprattutto dal momento che ha bisogno delle garanzie russe contro il consolidamento dell’Iran in Siria. E’ per questo che Israele ha mantenuto il silenzio stampa sulle iniziative della Russia – un silenzio accompagnato dagli auspici che ancora una volta i palestinesi guastino tutto da soli ed evitino ad Israele la necessità di prendere una decisione.
(traduzione di Amedeo Rossi)



Non è tutto tranquillo sul fronte del Golan: l’equazione israelo-siriana cambia

Middle East Eye Yossi Melman

20 settembre 2016

La Siria ha dato l’annuncio di un cambio di politica quando ha lanciato delle rappresaglie contro l’esercito israeliano nel Golan la settimana scorsa ?

Gli avvenimenti dell’ultima settimana sembrano indicare che l’equazione israeliano-siriana sta per cambiare per la prima volta dopo lo scoppio della sanguinosa guerra civile in Siria cinque anni e mezzo fa.

Così almeno sembrava nelle ore precedenti l’alba di martedì scorso.

Con un’azione inusuale, una batteria antiaerea siriana ha lanciato due missili S-200 terra-aria contro dei combattenti e dei droni israeliani. Li hanno mancati. Il servizio stampa dell’esercito israeliano ha smentito l’affermazione del portavoce dell’esercito siriano secondo cui i missili avevano abbattuto un aereo ed un drone israeliani ed ha dichiarato che i missili non avevano neanche sfiorato gli aerei dell’ aviazione israeliana.

I responsabili del governo israeliano e gli ufficiali dell’esercito cercano di stabilire se il lancio di missili stia a significare un cambio di politica da parte di Assad, o se si tratti di una dimostrazione di forza simbolica.

Gli aerei israeliani hanno bombardato delle postazioni di artiglieria dell’esercito siriano. Dal punto di vista israeliano, si trattava di una missione di routine e dal 2012 circa un centinaio di missioni di questo genere sono state effettuate. Questi bombardamenti fanno parte della politica israeliana di rappresaglia per le granate e i razzi che cadono sul suo lato delle alture del Golan.

Questa prassi non fa differenza tra i proiettili dovuti a tiri accidentali o intenzionali, benché si tratti soprattutto di “sforamenti” accidentali della guerra tra l’esercito ed i gruppi ribelli siriani concentrati lungo il confine israeliano.

Ogni volta che le granate cadono in Israele, fatto accaduto più volte dall’inizio della guerra, sia che provengano da armi dell’esercito o dei ribelli siriani, Israele considera il governo di Assad responsabile in quanto regime sovrano sul proprio territorio.

Non è un caso

Tutti questi incidenti, fino a domenica 11 settembre, sono rimasti senza reazione da parte del regime siriano – almeno per quanto ne sa l’opinione pubblica. Oggi i responsabili del governo israeliano e gli ufficiali dell’esercito cercano di stabilire se il lancio di missili S-200 significhi un cambio di politica da parte di Assad o sia solo una dimostrazione di forza simbolica.

Tuttavia una cosa è chiara fin d’ora: il lancio di missili nella regione di Quneitra non era un caso. L’esercito siriano ha diffuso un comunicato ufficiale riguardo all’incidente.

Si tratta del secondo caso conosciuto di rappresaglia dell’esercito di Assad contro l’attività militare israeliana in territorio siriano, ma è il primo incidente di questo genere ad essere reso pubblico. Il primo caso, sette mesi fa, non era stato segnalato da Israele o dal governo siriano.

Sabato scorso due altri missili hanno oltrepassato i confini della guerra in Siria, ma questa volta sono stati intercettati dal sistema di difesa anti-missile israeliano, la cosiddetta “Cupola di ferro” [Iron Dome, ndt].

Da parecchi anni, come ha ammesso il primo ministro Benjamin Netanyahu alcune settimane fa, l’esercito israeliano agisce a suo piacimento nello spazio aereo siriano in violazione della sovranità della Siria e dell’accordo di disimpegno del marzo 1974, firmato dai due paesi dopo la guerra del Kippur (guerra d’ottobre) del 1973.

Voi siete sovrani”

Anche se Israele non ha mai reso pubbliche le sue incursioni, i media esteri hanno più volte segnalato che l’esercito israeliano ha utilizzato aerei da caccia e droni per missioni di ricognizione. Per oltre dieci volte ha attaccato obbiettivi dell’esercito siriano, alcuni dei quali alla periferia di Damasco: depositi, fabbriche e convogli per il trasferimento di armi sofisticate (missili terra-terra di precisione, missili antiaerei, radar e missili antinave) a Hezbollah in Libano.

Di fronte a tutti questi attacchi l’esercito di Assad ha messo da parte la propria dignità e non ha reagito. Non ha reagito nemmeno quando Israele ha abbattuto un aereo da combattimento Sukhoi siriano vicino al suo confine qualche anno fa.

Secondo dei rapporti esteri, Israele ha anche portato a termine, in diverse altre occasioni, degli omicidi di ufficiali superiori di Hezbollah con attacchi aerei. Tra questi obbiettivi vi erano Jihad Moughniyeh, figlio di Imad Moughniyeh, un alto responsabile di Hezbollah ucciso in un attentato con un’autobomba nel 2008; un generale dei Guardiani della rivoluzione islamica iraniana; nel dicembre 2015, nel suo covo di Damasco, il terrorista druso libanese Samir Kuntar, che aveva trascorso 26 anni in una prigione israeliana per l’uccisione di una famiglia israeliana.

Lebanese Hezbollah supporters carry the coffin of militant Jihad Mughniyeh during his funeral in a southern Beirut suburb on January 19, 2015. Iran confirmed today that a general of its elite Revolutionary Guards died in an Israeli strike on Syria that also killed six members of Lebanese militant group Hezbollah. AFP PHOTO /JOSEPH EID / AFP PHOTO / JOSEPH EID

Questi incidenti sono avvenuti in un contesto di tentativi da parte di Hezbollah e del comandante della Forza al-Qods dei Guardiani della rivoluzione, il generale iraniano Qassem Suleimani, di installare delle infrastrutture militari sulle alture del Golan e, con l’avallo di Assad, di sferrare attacchi contro Israele. Gli attacchi israeliani hanno sventato questo piano dell’asse Hezbollah-Iran-Siria.

Inoltre l’esercito israeliano ha risposto con tiri di artiglieria, missili e attacchi aerei simbolici contro gli avamposti dell’esercito siriano quasi ogni volta che dei proiettili provenienti da combattimenti tra l’esercito siriano ed i gruppi ribelli vicino al confine hanno “sforato” e sono caduti in territorio israeliano.

Le reazioni dell’esercito israeliano sono state misurate e principalmente mirate ad inviare un messaggio al regime: per noi, siete sovrani.

Crescente fiducia

L’ultimo incidente testimonia la crescente fiducia dell’esercito di Assad, che è riuscito, soprattutto grazie all’aiuto dei russi, ad estendere il proprio controllo in Siria (che copre ancora solo il 30% del territorio) ed a consolidare il regime mentre l’opposizione si indebolisce e lo Stato Islamico sta arrivando all’inizio della sua fine.

La maggioranza delle parti in gioco – Israele, il regime di Assad, la Russia ed alcuni dei gruppi ribelli – non ha alcun interesse a peggiorare la situazione al confine ed a provocare uno scontro militare.

Man mano che l’esercito del regime siriano intensifica i suoi attacchi contro i ribelli, soprattutto quelli non lontani dal confine con Israele, le possibilità che colpi accidentali cadano in territorio israeliano aumentano.

Così, anche la probabilità di un’escalation delle tensioni e di un avanzare delle violenze fino al livello di quello che finora era il confine relativamente tranquillo delle alture del Golan aumenta, nonostante il fatto che la maggioranza delle parti in gioco non abbia alcun interesse a peggiorare la situazione al confine ed a provocare uno scontro militare.

Di fatto, l’ipotesi che emerge dalle fonti militari israeliane, dopo uno scambio di messaggi con la Russia, è che una guerra tra Israele e la Siria non sia all’orizzonte, malgrado le recenti tensioni.

Non è certamente interesse di Assad trascinare nel conflitto le potenti forze israeliane.

Yossi Melman è un opinionista specializzato nella sicurezza e nell’informazione israeliana. E’ co-autore di ‘Spies against Armageddon’.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono solo all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Traduzione di Cristiana Cavagna




[Israele] prepara la prossima guerra contro il Libano tenendo d’occhio Gaza

L’aviazione e l’esercito israeliani stanno sincronizzando le loro operazioni per sconfiggere l’astuto Hezbollah in una guerra di breve durata .Ma le forze di terra dovrebbero migliorare.

di Amos Harel

Haaretz

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Il leader degli Hezbollah Hassan Nasrallah questa settimana ha formulato la sua periodica minaccia in una solenne occasione: il ventiquattresimo anniversario dell’assassinio da parte di Israele del suo predecessore, Abbas Musawi.

Nel 2006, durante la seconda guerra del Libano, Nasrallah è scampato a un tentativo israeliano di assassinarlo con un bombardamento che si basava su informazioni sbagliate. Ma questa settimana Nasrallah ha parlato in una situazione di relativa sicurezza.

L’entrata della Russia nella guerra civile siriana ha salvato il regime di Bashar Assad. L’asse sciita – alawita che appoggia il dittatore, inclusi almeno 5.000 combattenti Hezbollah [che operano] in prima linea, sta riportando significative vittorie circondando Aleppo al nord e avvicinandosi a Daraa al sud.

Questa volta la minaccia di Nasrallah – di usare la fabbrica di ammoniaca [situata] nella baia di Haifa come una “bomba atomica” per stabilire un equilibrio di forze tra Hezbollah e Israele durante una guerra – ha lo scopo di mantenere l’equilibrio della deterrenza a nord. La debole risposta di Hezbollah all’assassinio di Samir Kuntar [uno dei comandanti di Hezbollah ucciso da Israele in un’azione mirata, ndt] evidenzia la necessità per l’organizzazione di concentrarsi sulla Siria.

Nel suo discorso di martedì, Nasrallah ha cercato di trasmettere l’idea di forza sia per fini interni che esterni. I libanesi stanno pagando un prezzo pesante a causa della guerra in Siria – la morte di combattenti sciiti, gli attacchi dello Stato islamico in Libano e soprattutto l’ospitalità di oltre un milione di rifugiati. Nasrallah ha ricordato ai libanesi chi sta difendendo il Paese da Israele. Ha anche detto che per Israele è meglio non aumentare il suo coinvolgimento in Siria a causa dei recenti successi di Assad.

Attualmente il comportamento di Hezbollah lungo il confine è prudente. Sì, Hezbollah e le Guardie della Rivoluzione iraniane hanno attaccato Israele a Har Dov e nella parte israeliana [in realtà occupata da Israele, ndt] delle Alture del Golan con i drusi e con piccole unità palestinesi.

Ma questi attacchi erano in risposta a quello che Hezbollah considera come degli eccessi di Israele: attacchi contro la propria gente , esplosione di bombe in Libano e un attacco aereo in Libano vicino alla Siria. Le numerose incursioni aeree attribuite a Israele contro i convogli di Hezbollah e contro i depositi di armi sul lato siriano (la più recente avvenuta vicino a Damasco mercoledì notte) non hanno causato nessuna risposta di Hezbollah.

Oltre al fatto di essersi concentrati sulla Siria, sembra esserci un’altra ragione rispetto alla relativa moderazione di Hezbollah: [mantenere ] un equilibrio di deterrenza nella zona di confine.

Da una parte vi è l’enorme arsenale missilistico che Hezbollah ha accumulato sin dalla fine della seconda guerra del Libano. Dall’altra c’è la “dottrina Dahiya” del Capo di Stato Maggiore Gadi Eisenkot sulla guerra asimmetrica in zone urbane. In qualità di capo del Comando Nord, nel 2008 ha avvertito riguardo alle terribili distruzioni che Israele avrebbe arrecato al quartiere sciita di Beirut e ai villaggi sciiti del sud se fosse scoppiata un’altra guerra.

Secondo una valutazione dei servizi di informazione militare, per quest’anno il rischio di una guerra provocata da Hezbollah rimane basso. Ma lo stesso servizio di informazione ha rivisto questa valutazione a “medio termine”, sulla base del rischio che un errore di valutazione potrebbe portare a una guerra nel nord.

Sebbene il più probabile scenario di un escalation a breve termine riguardi i tunnel provenienti dalla Striscia di Gaza, il principale nemico contro cui i militari si stanno preparando è Hezbollah. L’esercito siriano, che in passato era la maggiore preoccupazione dell’IDF, è ora un corpo di guardia sospinto dai russi e dagli iraniani. È dubbio che possa sfidare Israele.

C’è un cambiamento nell’aria

La principale carta di Israele contro Hezbollah, sia come deterrente che in guerra, è la sua potenza di fuoco, che negli ultimi anni è migliorato con il potenziamento dell’aviazione e dell’ intelligence. Questo è un sistema gigantesco, fondato su enormi quantità di investimenti di denaro e di tempo. Permette un attacco incommensurabilmente più massiccio di quello condotto dall’IDF nel 2006 in Libano e di quello nel 2014 contro Hamas a Gaza.

Circa due mesi fa, Eisenkot ha destituito il comandante dell’artiglieria del Nord, Col. Ilan Levy, che aveva dimenticato nella sua macchina dei documenti riservati. La macchina è stata rubata con i documenti e anche se sono stati trovati e restituiti, Levy è stato allontanato. Per prima cosa, per sostituire Levy il comandante del Nord Aviv Kochavi ha nominato un ufficiale dell’aviazione.

La designazione è il frutto dell’idea, condivisa dal capo dell’aviazione Amir Eshel, della necessità di colpire nello stesso momento da terra e dall’aria. L’aviazione è attualmente in grado di colpire quotidianamente un più ampio numero di obiettivi durante i raid Può comprendere, analizzare e utilizzare molto meglio l’intelligence, eseguendo più sortite quotidiane con grande flessibilità cambiando obiettivi [da colpire] e missioni.

Il maggior impegno nella preparazione riguarda le aree urbane densamente popolate in coordinamento con le forze di terra. Il pesante bombardamento nel 2014 del quartiere di Shujaiyeh durante la guerra di Gaza sembra essere un’anticipazione della prossima guerra.

Un’altra principale mossa sta sul fronte della difesa. Circa cinque anni fa, quando le prime batterie di missili Iron Dome hanno fatto la loro comparsa, è cambiata l’efficacia del sistema antiaereo. Vi sono ora due sottosistemi, uno contro i missili e i razzi e l’altro per respingere gli aerei.

Quest’estate ci si aspetta un’altra modifica prima dell’entrata in funzione di un nuovo sistema di intercettazione a medio raggio, il Magic Wand [la Bacchetta Magica]. L’aviazione è arrivata alla conclusione che il nuovo sistema, insieme a ampi miglioramenti in altri sistemi d’arma, forma un sistema unificato contro i due tipi di minaccia. Questa modifica è destinata a ridurre il numero di passaggi tra l’alto commando e il campo [di battaglia]e per ridurre il tempo [necessario] a contrastare due tipi di minacce.

“Angoscia da manovra”

Ormai da molti anni il sistema decisionale israeliano ha favorito l’uso della forza aerea rispetto a quella di terra. La ragione è nota. La forza aerea combatte da lontano ed è ritenuta altamente tecnologica e precisa . Inoltre, rappresenta minori perdite per la parte israeliana.

Fin dagli anni ’90, la sempre minore accettazione della società israeliana riguardo alla morte dei soldati ha fortemente influenzato l’IDF. L’elevata preparazione dell’aviazione nel programmare e nel mettere in pratica le attribuisce un intrinseco vantaggio nella lotta per [accaparrarsi] le risorse. Il fatto che gli ultimi quattro capi del Direttivo di programmazione dell’IDF siano stati ufficiali dell’aviazione non ha creato nessun malumore. L’IDF ha identificato come suoi punti di forza l’aviazione e l’intelligence e li ha inondati di risorse, con l’approvazione del governo.

Nel frattempo si è aperta una falla, con l’immobilismo se non il declino delle forze di terra. Ciò è risultato chiaro nel 2006 nei 34 giorni di combattimento in Libano e nel 2014 nei 51 giorni di combattimento a Gaza. È stato difficile non accorgersi della contraddizione tra le dichiarazioni dei leader riguardo ad una guerra breve durata con una chiara vittoria e le capacità militari dimostrae sul campo.

Nell’ultima edizione di un periodico pubblicato dal “Dado Center for Interdisciplinary Military Studies [il Centro Dado di studi militari interdisciplinari, centro di analisi e studi strategici dell’esercito isrealiano, ndt]”, il capo delle forze di terra Guy Zur discute di questo limite con estrema sincerità. Egli individua i punti principali di un processo, chiamato Ground on the Horizon( Terra sull’Orizzonte), che ha condotto negli ultimi due anni per cambiare l’esercito .Egli descrive come ha verificato il declino dell’IDF nelle manovre di terra, dapprima come capo della Divisione 162 nella seconda guerra del Libano, poi in qualità di capo della pianificazione presso comando centrale.

“Quello che è rimasto impresso nella mia memoria è stata la difficoltà di chi prendeva le decisioni nel dare inizio alle manovre di terra. È diventato abbastanza chiaro molto presto che in ogni caso il ritardo nell’attacco di terra fino all’ultimo minuto appare come una decisione ragionevole e qualche volta molto giusta. Se è possibile realizzare l’obiettivo strategico dell’operazione, la deterrenza , sparando oltre il confine senza mettere a repentaglio le nostre forze, questo è sempre l’alternativa preferita”, scrive

Per usare le parole di Zur, “l’apporto di ogni armamento con il quale l’aviazione si dota è chiaro e concreto. Il rapporto tra i risultati e ogni shekel investito non solo appare evidente ma anche che ne è valsa la pena. In confronto l’esercito di terra è un enorme insieme di forze, ed è altamente costoso e complesso adeguare tali forze a un nuovo modello di guerra.”

L’aggiornamento delle forze di terra richiede un’alta capacità di conduzione della guerra in un contesto urbano, una maggiore efficacia [nel neutralizzare] gli ordigni esplosivi e i missili anti carro, un approvvigionamento logistico più efficiente “ e tutto ciò in enormi quantità senza che sia chiaro quale beneficio strategico e operativo possano offrire,” scrive.

Secondo Zur, “qualcosa non ha funzionato. È sembrato che entrambi, Hezbollah ed Hamas abbiano avuto un’immunità relativa nei loro territori e da una fase all’altra abbiano mostrato una costante capacità di miglioramento”.

Israele in otto anni è passata attraverso una guerra con il Libano e tre operazioni a Gaza, ciascuna con il timore di dispiegare la [propria ] forza. E ogni [guerra] è finita con un senso di amarezza. Tra gli ufficiali delle forze di terra lo slogan era “angoscia da manovra”, per definire la presa di decisione dell’IDFdi mettere in campo le forze di terra in profondità nel territorio nemico.

Zur ha avuto la preoccupante sensazione che la situazione dovesse essere cambiata. “ Era chiaro a chiunque come il concetto di vittoria fosse sfuggente, in un’era in cui i nemici non sono eserciti regolari arabi”, scrive.

“Contemporaneamente, in assenza di un simile concetto, sembrava che fossimo condannati a [compiere] un numero sempre maggiore di operazioni “feroci”, attese frustranti, decisioni eccessivamente tardive riguardo a limitate operazioni di terra…Le manovre d’ attacco a terra sono divenute l’ultima e non desiderabile opzione. Da un lato, lo Stato considera rischiose le operazioni che esigono un alto costo in vite umane. Dall’altro, sono importanti in misura ridotta rispetto alla più grande minaccia proveniente dal nemico: il lancio dei missili verso il nostro Paese”.

L’ultima guerra a Gaza ha esacerbato questa sensazione di crisi. Zur descrive in dettaglio le considerazioni dei comandanti delle truppe di terra e della necessità di “respingere la tentazione di continuare a sviluppare i settori più sicuri.”. Al contrario, l’idea è di cambiare, ma comprensibilmente egli è meno disponibile riguardo alla soluzione.

La soluzione , egli scrive, “non è più quella del passato” , più sistemi di difesa missilistica per i carri armati e veicoli più blindati. Egli preferisce delle alternative: “La giusta associazione delle forze dell’aria con quelle di terra in un sistema di comando unificato e di controllo e decisioni prese rapidamente che potrebbero causare effetti massicci anche affrontando un nemico la cui caratteristica è l’elusività.”

L’articolo, come i recenti discorsi di Eisenkot, indica che l’esercito di terra si sta preparando principalmente alla sfida di combattere Hezbollah, con qualche modifica per affrontare nemici più deboli, da Hamas ai gruppi collegati allo Stato islamico.

Un simile nemico è ben preparato a difendersi su un terreno difficile e fonda i suoi attacchi su una grande potenza di fuoco lungo tutto il fronte interno israeliano. Così, secondo Zur, sono necessarie due cose senza incrementare significativamente il numero dei soldati: “ colpire duro i centri decisionali del nemico e annientare efficacemente le sue attività nei territori di ampie dimensioni”.

Zur scrive che il problema è come compiere queste due cose contemporaneamente. E l’IDF deve assicurare un basso numero di perdite ed agire rapidamente in modo che i civili israeliani non debbano rifugiarsi nei ricoveri per settimane.

“Ritengo che “Ground on the Horizon” abbia prodotto una risposta innovativa al problema di come sconfiggere il nemico,” conclude Zur.

Altre idee includono la formazione di un reparto speciale (che in effetti ha preso forma a Gennaio) [con il compito di] rafforzare le unità tattiche di terra e un cambiamento della dottrina di appoggio logistico.

L’esercito, egli scrive, deve scegliere. Non può rafforzare tutte le unità contemporaneamente. “Non si tratta di magia o di una promessa che escluda dei rischi… Non abbiamo eliminato l’incertezza sull campo di battaglia,” scrive Zur. “Il percorso per migliorare il progetto è lungo e complesso”.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)