Lieberman sulla possibilità di una guerra in Libano: se gli israeliani saranno costretti ad andare nei rifugi antiaerei, lo saranno anche tutti gli abitanti di Beirut

Yaniv Kubovich

1 febbraio 2018, Haaretz

Il ministro della Difesa israeliano afferma che le tensioni crescenti lungo il confine nord potrebbero portare ad un conflitto, nel quale Israele potrebbe prendere in considerazione un attacco di terra.

Mercoledì il ministro della Difesa Avigdor Lieberman si è espresso riguardo alla possibilità di un conflitto con il Libano, dicendo che i soldati israeliani potrebbero dover intervenire in profondità nel territorio libanese e operare sul campo di battaglia, se scoppiasse la guerra.

Le affermazioni di Lieberman sono le ultime di una serie di avvertimenti da parte di alti ufficiali israeliani riguardo ai tentativi di Hezbollah di armarsi di missili di precisione prodotti in Libano.

“Operare sul terreno non è di per sé un obbiettivo. L’obbiettivo è porre fine alla guerra”, ha detto Lieberman durante una conferenza dell’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale all’università di Tel Aviv.

“Nessuno cerca un’avventura, ma se non abbiamo scelta l’obbiettivo è porre termine (agli scontri) il più presto ed il più inequivocabilmente possibile”, ha aggiunto. “Purtroppo ciò che vediamo in tutti i conflitti nel Medio Oriente è che senza i soldati sul terreno non si arriva ad una conclusione.”

“Questo tipo di operazioni richiede un grande sforzo ed anche, disgraziatamente, delle vittime. Tutte le opzioni sono aperte ed io non sono vincolato a nessuna posizione”, ha aggiunto. “Dobbiamo prepararci anche ad un intervento sul terreno, anche nel caso in cui non venga attuato.”

“Lo faremo con pieno dispiego della forza. Non dobbiamo avere esitazioni. Procederemo il più velocemente possibile”, ha detto Lieberman.

“Non assisteremo a scene come quelle della seconda guerra del Libano, in cui gli abitanti di Beirut erano al mare e a Tel Aviv la gente era nei rifugi antiaerei. Se in Israele si andrà nei rifugi, allora nella prossima guerra vi andranno anche tutti gli abitanti di Beirut.”

Parlando ai giornalisti dopo il suo incontro con il presidente russo Vladimir Putin, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto che le fabbriche di missili di precisione iraniane in Libano erano già in “fase avanzata” e che lui aveva segnalato alla sua controparte russa che si tratta di una minaccia che Israele non è disposto ad accettare.

Secondo Netanyahu i russi “comprendono pienamente la nostra posizione e l’importanza che noi attribuiamo a queste minacce.” Ha aggiunto che i rapporti di Israele con il Cremlino sono importanti per il coordinamento sulla sicurezza tra i Paesi: “L’esercito russo è sul nostro confine e noi siamo riusciti a salvaguardare i nostri interessi e la nostra libertà di agire coordinando le aspettative.”

“L’organizzazione terroristica Hezbollah viola le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU mantenendo una presenza militare nella regione, dotandosi di sistemi di armamento ed incrementando le proprie capacità militari”, ha detto giovedì Gadi Eisenkot [capo di stato maggiore di Israele, ndtr.].

Il portavoce dell’esercito israeliano Ronen Manelis ha scritto in un articolo, pubblicato domenica, che gli ufficiali della difesa israeliani ritengono che l’Iran abbia ripreso a costruire una fabbrica di armi di precisione in Libano.

La produzione dei missili in Libano costituisce per l’esercito israeliano un problema diverso dalle sue preoccupazioni riguardo alla Siria. Secondo informazioni sui media esteri, l’esercito israeliano ha compiuto sforzi in Siria negli ultimi anni per impedire il contrabbando, lo stoccaggio in depositi e la produzione di armi destinate a Hezbollah.

Perciò dirigenti politici e militari israeliani hanno inviato avvertimenti, sia attraverso articoli di alti ufficiali dell’esercito, sia attraverso affermazioni di importanti ministri, compresi il ministro della Difesa Avigdor Lieberman e dell’Educazione Naftali Bennett, il capo del partito di destra Habayit Hayehudi [La casa ebraica, il partito di estrema destra dei coloni, ndtr.].

Per l’esercito un attacco agli impianti è l’ extrema ratio e verrà data priorità ad attività clandestine, al rilevamento dei siti e ad uno sforzo diplomatico per fermare la produzione negli stabilimenti. L’esercito ritiene che un attacco agli impianti potrebbe peggiorare la situazione fino a portare ad un conflitto di alta intensità, come accaduto nella seconda guerra del Libano del 2006.

Questa settimana fonti dell’esercito hanno detto che qualunque operazione nell’area potrebbe condurre ad una guerra, come è successo con il rapimento dei soldati Eldad Regev e Ehud Goldwasser nel 2006, un atto che ha portato alla seconda guerra del Libano. Un evento analogo è stato il rapimento di tre studenti della yeshiva [scuola rabbinica, ndtr.] in Cisgiordania nel 2014, che ha scatenato l’operazione israeliana ‘Margine Protettivo’ a Gaza.

Oltre che per la produzione di missili, l’esercito israeliano è preoccupato anche per le azioni di Hezbollah lungo il confine. Vi sono circa 240 villaggi nel sud del Libano che Hezbollah ha trasformato in zone di combattimento in caso di guerra.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




La Russia cerca la riconciliazione tra Hamas e Fatah per salvare Assad e indebolire l’Iran

Zvi Bar’el– 13 settembre 2017, Haaretz

Unico attore in grado di lavorare per un miracolo diplomatico, il coinvolgimento regionale di Mosca è degno di nota e prova che la riconciliazione palestinese è in cima ai suoi programmi.

 Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha avuto un fine settimana impegnativo. Durante una visita di tre giorni in Medio Oriente ha incontrato re Salman dell’Arabia Saudita e re Abdullah di Giordania, ha parlato per telefono con il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sissi e ha cercato di sanare la frattura tra gli Stati del Golfo e il Qatar, di raggiungere una posizione unitaria sulla crisi siriana e di porre fine alle divisioni tra Fatah e Hamas.

Durante una conferenza stampa con il ministro degli Esteri saudita Adel al-Jubeir, Lavrov ha rivelato che la Russia sta avendo colloqui con i Paesi arabi che hanno rapporti con Hamas per riuscire a tornare all’accordo di riconciliazione che hanno firmato Hamas e Fatah, compresa la formazione di un governo palestinese di unità. Due giorni dopo Hamas ha detto di essere disposto a smantellare il consiglio amministrativo [il governo di fatto di Gaza da quando Hamas ha espulso i dirigenti di Fatah e preso il potere, ndt.], che ha creato nella Striscia di Gaza come governo alternativo, e a raggiungere un accordo per formare un governo palestinese unitario.
Sarebbe prematuro aspettare con il fiato sospeso che questa dichiarazione venga messa in pratica. Ma il nuovo coinvolgimento della Russia è degno di nota. Contrariamente agli accordi che Hamas ha raggiunto il mese scorso con l’Egitto, in base ai quali il consiglio amministrativo di Gaza sarebbe stato guidato da Mohammed Dahlan – un membro di Fatah e rivale del presidente palestinese Mahmoud Abbas –  e che comprenderebbe  sia membri di Hamas che di Fatah, Hamas sta di nuovo parlando di un governo di unità.
Questo annuncio significa che sta annullando i suoi accordi con l’Egitto? Secondo fonti di Hamas, ci sono due processi paralleli.
Per il momento il consiglio amministrativo continuerà a negoziare con l’Egitto, con Dahlan come mediatore, nel tentativo di ottenere la riapertura permanente del valico tra Egitto e Gaza, forse tra un mese. Le spese giornaliere del consiglio saranno finanziate dagli Emirati Arabi Uniti, che hanno già destinato 15 milioni di dollari a questo scopo e hanno promesso la stessa somma nei prossimi mesi.
Allo stesso tempo Hamas riprenderà i colloqui con l’Autorità Nazionale Palestinese su come spartirsi i posti di governo e prepararsi a nuove elezioni presidenziali e legislative palestinesi.
Il coinvolgimento della Russia sia nel conflitto interno palestinese che in quello tra palestinesi ed israeliani non è slegato dalla sua strategia regionale, soprattutto dalla gestione della crisi siriana, che ora si trova esclusivamente nelle mani della Russia. Giordania, Arabia saudita, Egitto, Turchia e Israele, tutti comprendono che l’unica grande potenza in grado di lavorare ad un miracolo in Siria è la Russia. Quindi ognuno di loro ora sta cercando di garantirsi da Mosca che i propri interessi vengano salvaguardati.
Aiutare Assad
La Giordania, come Israele, non è d’accordo con la Russia sullo status dell’Iran in Siria. Attualmente l’esercito siriano non è presente nel sud del Paese, ma la Giordania teme che questa situazione cambi. Quindi ha sollecitato, ed apparentemente si è garantita, una promessa da parte di Lavrov che se l’esercito siriano ritornerà nelle zone vicine al confine giordano, non consentirà alle forze filo-iraniane, comprese le milizie straniere sciite ed Hezbollah, di schierarsi lungo queste zone sul confine.
In cambio la Siria ha chiesto alla Giordania di mantenere stretti rapporti con il regime di Assad, di aprire i passaggi di frontiera tra i due Paesi e, in seguito, di riprendere relazioni diplomatiche con il regime.
La Russia, che ha realizzato un’inversione di marcia nella situazione militare del regime e nell’estensione del territorio che esso controlla, sta ora investendo la maggior parte dei propri sforzi in mosse diplomatiche che intendono attribuire una legittimazione araba ed internazionale al presidente siriano Bashar Assad. Da qui l’importanza della visita di Lavrov in Medio Oriente.
La verifica di questi tentativi ci sarà questo fine settimana ad Astana, la capitale kazaka, quando funzionari del governo siriano e rappresentanti dell’opposizione hanno in programma di tenere il loro sesto incontro. Se questa tornata di colloqui dovesse avere successo, sarà possibile stabilire una data per una conferenza a Ginevra per discutere un trattato di pace.
Ma nel suo tentativo di costruire un sostegno arabo alle sue iniziative in Siria, la Russia deve superare due seri ostacoli. Il primo è la divisione tra gli Stati del Golfo e l’Egitto da una parte e il Qatar dall’altra, il secondo è lo stallo diplomatico tra l’Arabia Saudita e l’Iran.
Dato che i tentativi americani di riconciliare l’Arabia saudita e il Qatar, in cui il presidente USA Donald Trump ha giocato un ruolo attivo, sono falliti e l’amministrazione USA sembra essere in ibernazione riguardo al conflitto israelo-palestinese, la Russia ha colto questi due conflitti come leva per portare avanti i propri interessi. Ed è per questo che Hamas è diventato importante, benché non sia considerato un attore strategico che possa influenzare la politica regionale. Poiché Hamas è una pedina nella partita a scacchi tra Riyad e Teheran, è diventato essenziale coinvolgerlo per gli scopi di un gioco più grande.
Hamas, Iran ed Egitto
Lo scorso anno Hamas ha intensificato le sue aperture nei confronti dell’Iran, che in cambio ha promesso aiuto all’organizzazione. Secondo informazioni dei media arabi, l’Iran ha fornito al ramo libanese di Hamas circa 20 milioni di dollari ed ha anche ripreso l’addestramento militare dei miliziani di Hamas da parte di Hezbollah.
Funzionari di Hamas sia a Gaza che all’estero ogni tanto hanno emesso comunicati in cui hanno sostenuto che i rapporti con l’Iran dovrebbero essere presto ripresi o che l’Iran ha offerto ulteriore aiuto. Ma queste affermazioni contraddicono gli sforzi diplomatici di Hamas, che intendono ristabilire le relazioni con l’Egitto. Questa discrepanza attesta dell’accesa disputa tra l’ala militare di Hamas, che sta spingendo per riprendere i legami con l’Iran, e la sua ala politica, guidata da  Ismail Haniyeh e da Yahya Sinwar, che sta promuovendo i rapporti con l’Egitto e con il mondo arabo.
Anche l’Iran sta soffrendo una disputa interna sull’aiuto ad Hamas, tra i conservatori radicali e le Guardie della Rivoluzione. Mentre queste ultime stanno spingendo per riprendere questo aiuto, i radicali sono contrari sulla base del fatto che, dato che Hamas ha tradito la Siria, non merita aiuto.
Ecco perché la Russia attribuisce una tale importanza alla riconciliazione palestinese, che bloccherebbe un rinnovato avvicinamento tra Hamas e l’Iran e in tal modo soddisferebbe i desideri di Arabia saudita, EAU ed Egitto. Se la Russia potrà realizzare una simile riconciliazione, raggiungerà una doppia vittoria.
In primo luogo sarà vista come l’unico Paese in grado di risolvere conflitti nella regione, dato soprattutto il suo recente “successo” in Siria. In secondo luogo, avrà portato un importante contributo esplicito per bloccare l’influenza iraniana – e benché la Russia e l’Iran abbiano un interesse comune nel preservare il regime di Assad, la Russia non è entusiasta dell’influenza iraniana nella regione.
La successiva domanda è come Israele dovrebbe rispondere ai tentativi della Russia. Israele si è tradizionalmente opposto alla riconciliazione tra Hamas e Fatah, principalmente perché la divisione gli permette di sostenere che Abbas non rappresenta tutti i palestinesi, e quindi non può essere un partner per la pace (oltre alle sue altre solite scuse, come accusarlo di incitare ed appoggiare il terrorismo). La separazione tra Gaza e la Cisgiordania consente inoltre ad Israele di condurre una politica di oppressione in entrambi i territori.
Ma se la Russia decide che una riconciliazione palestinese è fondamentale per i suoi interessi regionali, Israele avrà dei problemi nel mantenere questa opposizione, soprattutto dal momento che ha bisogno delle garanzie russe contro il consolidamento dell’Iran in Siria. E’ per questo che Israele ha mantenuto il silenzio stampa sulle iniziative della Russia – un silenzio accompagnato dagli auspici che ancora una volta i palestinesi guastino tutto da soli ed evitino ad Israele la necessità di prendere una decisione.
(traduzione di Amedeo Rossi)



Non è tutto tranquillo sul fronte del Golan: l’equazione israelo-siriana cambia

Middle East Eye Yossi Melman

20 settembre 2016

La Siria ha dato l’annuncio di un cambio di politica quando ha lanciato delle rappresaglie contro l’esercito israeliano nel Golan la settimana scorsa ?

Gli avvenimenti dell’ultima settimana sembrano indicare che l’equazione israeliano-siriana sta per cambiare per la prima volta dopo lo scoppio della sanguinosa guerra civile in Siria cinque anni e mezzo fa.

Così almeno sembrava nelle ore precedenti l’alba di martedì scorso.

Con un’azione inusuale, una batteria antiaerea siriana ha lanciato due missili S-200 terra-aria contro dei combattenti e dei droni israeliani. Li hanno mancati. Il servizio stampa dell’esercito israeliano ha smentito l’affermazione del portavoce dell’esercito siriano secondo cui i missili avevano abbattuto un aereo ed un drone israeliani ed ha dichiarato che i missili non avevano neanche sfiorato gli aerei dell’ aviazione israeliana.

I responsabili del governo israeliano e gli ufficiali dell’esercito cercano di stabilire se il lancio di missili stia a significare un cambio di politica da parte di Assad, o se si tratti di una dimostrazione di forza simbolica.

Gli aerei israeliani hanno bombardato delle postazioni di artiglieria dell’esercito siriano. Dal punto di vista israeliano, si trattava di una missione di routine e dal 2012 circa un centinaio di missioni di questo genere sono state effettuate. Questi bombardamenti fanno parte della politica israeliana di rappresaglia per le granate e i razzi che cadono sul suo lato delle alture del Golan.

Questa prassi non fa differenza tra i proiettili dovuti a tiri accidentali o intenzionali, benché si tratti soprattutto di “sforamenti” accidentali della guerra tra l’esercito ed i gruppi ribelli siriani concentrati lungo il confine israeliano.

Ogni volta che le granate cadono in Israele, fatto accaduto più volte dall’inizio della guerra, sia che provengano da armi dell’esercito o dei ribelli siriani, Israele considera il governo di Assad responsabile in quanto regime sovrano sul proprio territorio.

Non è un caso

Tutti questi incidenti, fino a domenica 11 settembre, sono rimasti senza reazione da parte del regime siriano – almeno per quanto ne sa l’opinione pubblica. Oggi i responsabili del governo israeliano e gli ufficiali dell’esercito cercano di stabilire se il lancio di missili S-200 significhi un cambio di politica da parte di Assad o sia solo una dimostrazione di forza simbolica.

Tuttavia una cosa è chiara fin d’ora: il lancio di missili nella regione di Quneitra non era un caso. L’esercito siriano ha diffuso un comunicato ufficiale riguardo all’incidente.

Si tratta del secondo caso conosciuto di rappresaglia dell’esercito di Assad contro l’attività militare israeliana in territorio siriano, ma è il primo incidente di questo genere ad essere reso pubblico. Il primo caso, sette mesi fa, non era stato segnalato da Israele o dal governo siriano.

Sabato scorso due altri missili hanno oltrepassato i confini della guerra in Siria, ma questa volta sono stati intercettati dal sistema di difesa anti-missile israeliano, la cosiddetta “Cupola di ferro” [Iron Dome, ndt].

Da parecchi anni, come ha ammesso il primo ministro Benjamin Netanyahu alcune settimane fa, l’esercito israeliano agisce a suo piacimento nello spazio aereo siriano in violazione della sovranità della Siria e dell’accordo di disimpegno del marzo 1974, firmato dai due paesi dopo la guerra del Kippur (guerra d’ottobre) del 1973.

Voi siete sovrani”

Anche se Israele non ha mai reso pubbliche le sue incursioni, i media esteri hanno più volte segnalato che l’esercito israeliano ha utilizzato aerei da caccia e droni per missioni di ricognizione. Per oltre dieci volte ha attaccato obbiettivi dell’esercito siriano, alcuni dei quali alla periferia di Damasco: depositi, fabbriche e convogli per il trasferimento di armi sofisticate (missili terra-terra di precisione, missili antiaerei, radar e missili antinave) a Hezbollah in Libano.

Di fronte a tutti questi attacchi l’esercito di Assad ha messo da parte la propria dignità e non ha reagito. Non ha reagito nemmeno quando Israele ha abbattuto un aereo da combattimento Sukhoi siriano vicino al suo confine qualche anno fa.

Secondo dei rapporti esteri, Israele ha anche portato a termine, in diverse altre occasioni, degli omicidi di ufficiali superiori di Hezbollah con attacchi aerei. Tra questi obbiettivi vi erano Jihad Moughniyeh, figlio di Imad Moughniyeh, un alto responsabile di Hezbollah ucciso in un attentato con un’autobomba nel 2008; un generale dei Guardiani della rivoluzione islamica iraniana; nel dicembre 2015, nel suo covo di Damasco, il terrorista druso libanese Samir Kuntar, che aveva trascorso 26 anni in una prigione israeliana per l’uccisione di una famiglia israeliana.

Lebanese Hezbollah supporters carry the coffin of militant Jihad Mughniyeh during his funeral in a southern Beirut suburb on January 19, 2015. Iran confirmed today that a general of its elite Revolutionary Guards died in an Israeli strike on Syria that also killed six members of Lebanese militant group Hezbollah. AFP PHOTO /JOSEPH EID / AFP PHOTO / JOSEPH EID

Questi incidenti sono avvenuti in un contesto di tentativi da parte di Hezbollah e del comandante della Forza al-Qods dei Guardiani della rivoluzione, il generale iraniano Qassem Suleimani, di installare delle infrastrutture militari sulle alture del Golan e, con l’avallo di Assad, di sferrare attacchi contro Israele. Gli attacchi israeliani hanno sventato questo piano dell’asse Hezbollah-Iran-Siria.

Inoltre l’esercito israeliano ha risposto con tiri di artiglieria, missili e attacchi aerei simbolici contro gli avamposti dell’esercito siriano quasi ogni volta che dei proiettili provenienti da combattimenti tra l’esercito siriano ed i gruppi ribelli vicino al confine hanno “sforato” e sono caduti in territorio israeliano.

Le reazioni dell’esercito israeliano sono state misurate e principalmente mirate ad inviare un messaggio al regime: per noi, siete sovrani.

Crescente fiducia

L’ultimo incidente testimonia la crescente fiducia dell’esercito di Assad, che è riuscito, soprattutto grazie all’aiuto dei russi, ad estendere il proprio controllo in Siria (che copre ancora solo il 30% del territorio) ed a consolidare il regime mentre l’opposizione si indebolisce e lo Stato Islamico sta arrivando all’inizio della sua fine.

La maggioranza delle parti in gioco – Israele, il regime di Assad, la Russia ed alcuni dei gruppi ribelli – non ha alcun interesse a peggiorare la situazione al confine ed a provocare uno scontro militare.

Man mano che l’esercito del regime siriano intensifica i suoi attacchi contro i ribelli, soprattutto quelli non lontani dal confine con Israele, le possibilità che colpi accidentali cadano in territorio israeliano aumentano.

Così, anche la probabilità di un’escalation delle tensioni e di un avanzare delle violenze fino al livello di quello che finora era il confine relativamente tranquillo delle alture del Golan aumenta, nonostante il fatto che la maggioranza delle parti in gioco non abbia alcun interesse a peggiorare la situazione al confine ed a provocare uno scontro militare.

Di fatto, l’ipotesi che emerge dalle fonti militari israeliane, dopo uno scambio di messaggi con la Russia, è che una guerra tra Israele e la Siria non sia all’orizzonte, malgrado le recenti tensioni.

Non è certamente interesse di Assad trascinare nel conflitto le potenti forze israeliane.

Yossi Melman è un opinionista specializzato nella sicurezza e nell’informazione israeliana. E’ co-autore di ‘Spies against Armageddon’.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono solo all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Traduzione di Cristiana Cavagna




[Israele] prepara la prossima guerra contro il Libano tenendo d’occhio Gaza

L’aviazione e l’esercito israeliani stanno sincronizzando le loro operazioni per sconfiggere l’astuto Hezbollah in una guerra di breve durata .Ma le forze di terra dovrebbero migliorare.

di Amos Harel

Haaretz

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Il leader degli Hezbollah Hassan Nasrallah questa settimana ha formulato la sua periodica minaccia in una solenne occasione: il ventiquattresimo anniversario dell’assassinio da parte di Israele del suo predecessore, Abbas Musawi.

Nel 2006, durante la seconda guerra del Libano, Nasrallah è scampato a un tentativo israeliano di assassinarlo con un bombardamento che si basava su informazioni sbagliate. Ma questa settimana Nasrallah ha parlato in una situazione di relativa sicurezza.

L’entrata della Russia nella guerra civile siriana ha salvato il regime di Bashar Assad. L’asse sciita – alawita che appoggia il dittatore, inclusi almeno 5.000 combattenti Hezbollah [che operano] in prima linea, sta riportando significative vittorie circondando Aleppo al nord e avvicinandosi a Daraa al sud.

Questa volta la minaccia di Nasrallah – di usare la fabbrica di ammoniaca [situata] nella baia di Haifa come una “bomba atomica” per stabilire un equilibrio di forze tra Hezbollah e Israele durante una guerra – ha lo scopo di mantenere l’equilibrio della deterrenza a nord. La debole risposta di Hezbollah all’assassinio di Samir Kuntar [uno dei comandanti di Hezbollah ucciso da Israele in un’azione mirata, ndt] evidenzia la necessità per l’organizzazione di concentrarsi sulla Siria.

Nel suo discorso di martedì, Nasrallah ha cercato di trasmettere l’idea di forza sia per fini interni che esterni. I libanesi stanno pagando un prezzo pesante a causa della guerra in Siria – la morte di combattenti sciiti, gli attacchi dello Stato islamico in Libano e soprattutto l’ospitalità di oltre un milione di rifugiati. Nasrallah ha ricordato ai libanesi chi sta difendendo il Paese da Israele. Ha anche detto che per Israele è meglio non aumentare il suo coinvolgimento in Siria a causa dei recenti successi di Assad.

Attualmente il comportamento di Hezbollah lungo il confine è prudente. Sì, Hezbollah e le Guardie della Rivoluzione iraniane hanno attaccato Israele a Har Dov e nella parte israeliana [in realtà occupata da Israele, ndt] delle Alture del Golan con i drusi e con piccole unità palestinesi.

Ma questi attacchi erano in risposta a quello che Hezbollah considera come degli eccessi di Israele: attacchi contro la propria gente , esplosione di bombe in Libano e un attacco aereo in Libano vicino alla Siria. Le numerose incursioni aeree attribuite a Israele contro i convogli di Hezbollah e contro i depositi di armi sul lato siriano (la più recente avvenuta vicino a Damasco mercoledì notte) non hanno causato nessuna risposta di Hezbollah.

Oltre al fatto di essersi concentrati sulla Siria, sembra esserci un’altra ragione rispetto alla relativa moderazione di Hezbollah: [mantenere ] un equilibrio di deterrenza nella zona di confine.

Da una parte vi è l’enorme arsenale missilistico che Hezbollah ha accumulato sin dalla fine della seconda guerra del Libano. Dall’altra c’è la “dottrina Dahiya” del Capo di Stato Maggiore Gadi Eisenkot sulla guerra asimmetrica in zone urbane. In qualità di capo del Comando Nord, nel 2008 ha avvertito riguardo alle terribili distruzioni che Israele avrebbe arrecato al quartiere sciita di Beirut e ai villaggi sciiti del sud se fosse scoppiata un’altra guerra.

Secondo una valutazione dei servizi di informazione militare, per quest’anno il rischio di una guerra provocata da Hezbollah rimane basso. Ma lo stesso servizio di informazione ha rivisto questa valutazione a “medio termine”, sulla base del rischio che un errore di valutazione potrebbe portare a una guerra nel nord.

Sebbene il più probabile scenario di un escalation a breve termine riguardi i tunnel provenienti dalla Striscia di Gaza, il principale nemico contro cui i militari si stanno preparando è Hezbollah. L’esercito siriano, che in passato era la maggiore preoccupazione dell’IDF, è ora un corpo di guardia sospinto dai russi e dagli iraniani. È dubbio che possa sfidare Israele.

C’è un cambiamento nell’aria

La principale carta di Israele contro Hezbollah, sia come deterrente che in guerra, è la sua potenza di fuoco, che negli ultimi anni è migliorato con il potenziamento dell’aviazione e dell’ intelligence. Questo è un sistema gigantesco, fondato su enormi quantità di investimenti di denaro e di tempo. Permette un attacco incommensurabilmente più massiccio di quello condotto dall’IDF nel 2006 in Libano e di quello nel 2014 contro Hamas a Gaza.

Circa due mesi fa, Eisenkot ha destituito il comandante dell’artiglieria del Nord, Col. Ilan Levy, che aveva dimenticato nella sua macchina dei documenti riservati. La macchina è stata rubata con i documenti e anche se sono stati trovati e restituiti, Levy è stato allontanato. Per prima cosa, per sostituire Levy il comandante del Nord Aviv Kochavi ha nominato un ufficiale dell’aviazione.

La designazione è il frutto dell’idea, condivisa dal capo dell’aviazione Amir Eshel, della necessità di colpire nello stesso momento da terra e dall’aria. L’aviazione è attualmente in grado di colpire quotidianamente un più ampio numero di obiettivi durante i raid Può comprendere, analizzare e utilizzare molto meglio l’intelligence, eseguendo più sortite quotidiane con grande flessibilità cambiando obiettivi [da colpire] e missioni.

Il maggior impegno nella preparazione riguarda le aree urbane densamente popolate in coordinamento con le forze di terra. Il pesante bombardamento nel 2014 del quartiere di Shujaiyeh durante la guerra di Gaza sembra essere un’anticipazione della prossima guerra.

Un’altra principale mossa sta sul fronte della difesa. Circa cinque anni fa, quando le prime batterie di missili Iron Dome hanno fatto la loro comparsa, è cambiata l’efficacia del sistema antiaereo. Vi sono ora due sottosistemi, uno contro i missili e i razzi e l’altro per respingere gli aerei.

Quest’estate ci si aspetta un’altra modifica prima dell’entrata in funzione di un nuovo sistema di intercettazione a medio raggio, il Magic Wand [la Bacchetta Magica]. L’aviazione è arrivata alla conclusione che il nuovo sistema, insieme a ampi miglioramenti in altri sistemi d’arma, forma un sistema unificato contro i due tipi di minaccia. Questa modifica è destinata a ridurre il numero di passaggi tra l’alto commando e il campo [di battaglia]e per ridurre il tempo [necessario] a contrastare due tipi di minacce.

“Angoscia da manovra”

Ormai da molti anni il sistema decisionale israeliano ha favorito l’uso della forza aerea rispetto a quella di terra. La ragione è nota. La forza aerea combatte da lontano ed è ritenuta altamente tecnologica e precisa . Inoltre, rappresenta minori perdite per la parte israeliana.

Fin dagli anni ’90, la sempre minore accettazione della società israeliana riguardo alla morte dei soldati ha fortemente influenzato l’IDF. L’elevata preparazione dell’aviazione nel programmare e nel mettere in pratica le attribuisce un intrinseco vantaggio nella lotta per [accaparrarsi] le risorse. Il fatto che gli ultimi quattro capi del Direttivo di programmazione dell’IDF siano stati ufficiali dell’aviazione non ha creato nessun malumore. L’IDF ha identificato come suoi punti di forza l’aviazione e l’intelligence e li ha inondati di risorse, con l’approvazione del governo.

Nel frattempo si è aperta una falla, con l’immobilismo se non il declino delle forze di terra. Ciò è risultato chiaro nel 2006 nei 34 giorni di combattimento in Libano e nel 2014 nei 51 giorni di combattimento a Gaza. È stato difficile non accorgersi della contraddizione tra le dichiarazioni dei leader riguardo ad una guerra breve durata con una chiara vittoria e le capacità militari dimostrae sul campo.

Nell’ultima edizione di un periodico pubblicato dal “Dado Center for Interdisciplinary Military Studies [il Centro Dado di studi militari interdisciplinari, centro di analisi e studi strategici dell’esercito isrealiano, ndt]”, il capo delle forze di terra Guy Zur discute di questo limite con estrema sincerità. Egli individua i punti principali di un processo, chiamato Ground on the Horizon( Terra sull’Orizzonte), che ha condotto negli ultimi due anni per cambiare l’esercito .Egli descrive come ha verificato il declino dell’IDF nelle manovre di terra, dapprima come capo della Divisione 162 nella seconda guerra del Libano, poi in qualità di capo della pianificazione presso comando centrale.

“Quello che è rimasto impresso nella mia memoria è stata la difficoltà di chi prendeva le decisioni nel dare inizio alle manovre di terra. È diventato abbastanza chiaro molto presto che in ogni caso il ritardo nell’attacco di terra fino all’ultimo minuto appare come una decisione ragionevole e qualche volta molto giusta. Se è possibile realizzare l’obiettivo strategico dell’operazione, la deterrenza , sparando oltre il confine senza mettere a repentaglio le nostre forze, questo è sempre l’alternativa preferita”, scrive

Per usare le parole di Zur, “l’apporto di ogni armamento con il quale l’aviazione si dota è chiaro e concreto. Il rapporto tra i risultati e ogni shekel investito non solo appare evidente ma anche che ne è valsa la pena. In confronto l’esercito di terra è un enorme insieme di forze, ed è altamente costoso e complesso adeguare tali forze a un nuovo modello di guerra.”

L’aggiornamento delle forze di terra richiede un’alta capacità di conduzione della guerra in un contesto urbano, una maggiore efficacia [nel neutralizzare] gli ordigni esplosivi e i missili anti carro, un approvvigionamento logistico più efficiente “ e tutto ciò in enormi quantità senza che sia chiaro quale beneficio strategico e operativo possano offrire,” scrive.

Secondo Zur, “qualcosa non ha funzionato. È sembrato che entrambi, Hezbollah ed Hamas abbiano avuto un’immunità relativa nei loro territori e da una fase all’altra abbiano mostrato una costante capacità di miglioramento”.

Israele in otto anni è passata attraverso una guerra con il Libano e tre operazioni a Gaza, ciascuna con il timore di dispiegare la [propria ] forza. E ogni [guerra] è finita con un senso di amarezza. Tra gli ufficiali delle forze di terra lo slogan era “angoscia da manovra”, per definire la presa di decisione dell’IDFdi mettere in campo le forze di terra in profondità nel territorio nemico.

Zur ha avuto la preoccupante sensazione che la situazione dovesse essere cambiata. “ Era chiaro a chiunque come il concetto di vittoria fosse sfuggente, in un’era in cui i nemici non sono eserciti regolari arabi”, scrive.

“Contemporaneamente, in assenza di un simile concetto, sembrava che fossimo condannati a [compiere] un numero sempre maggiore di operazioni “feroci”, attese frustranti, decisioni eccessivamente tardive riguardo a limitate operazioni di terra…Le manovre d’ attacco a terra sono divenute l’ultima e non desiderabile opzione. Da un lato, lo Stato considera rischiose le operazioni che esigono un alto costo in vite umane. Dall’altro, sono importanti in misura ridotta rispetto alla più grande minaccia proveniente dal nemico: il lancio dei missili verso il nostro Paese”.

L’ultima guerra a Gaza ha esacerbato questa sensazione di crisi. Zur descrive in dettaglio le considerazioni dei comandanti delle truppe di terra e della necessità di “respingere la tentazione di continuare a sviluppare i settori più sicuri.”. Al contrario, l’idea è di cambiare, ma comprensibilmente egli è meno disponibile riguardo alla soluzione.

La soluzione , egli scrive, “non è più quella del passato” , più sistemi di difesa missilistica per i carri armati e veicoli più blindati. Egli preferisce delle alternative: “La giusta associazione delle forze dell’aria con quelle di terra in un sistema di comando unificato e di controllo e decisioni prese rapidamente che potrebbero causare effetti massicci anche affrontando un nemico la cui caratteristica è l’elusività.”

L’articolo, come i recenti discorsi di Eisenkot, indica che l’esercito di terra si sta preparando principalmente alla sfida di combattere Hezbollah, con qualche modifica per affrontare nemici più deboli, da Hamas ai gruppi collegati allo Stato islamico.

Un simile nemico è ben preparato a difendersi su un terreno difficile e fonda i suoi attacchi su una grande potenza di fuoco lungo tutto il fronte interno israeliano. Così, secondo Zur, sono necessarie due cose senza incrementare significativamente il numero dei soldati: “ colpire duro i centri decisionali del nemico e annientare efficacemente le sue attività nei territori di ampie dimensioni”.

Zur scrive che il problema è come compiere queste due cose contemporaneamente. E l’IDF deve assicurare un basso numero di perdite ed agire rapidamente in modo che i civili israeliani non debbano rifugiarsi nei ricoveri per settimane.

“Ritengo che “Ground on the Horizon” abbia prodotto una risposta innovativa al problema di come sconfiggere il nemico,” conclude Zur.

Altre idee includono la formazione di un reparto speciale (che in effetti ha preso forma a Gennaio) [con il compito di] rafforzare le unità tattiche di terra e un cambiamento della dottrina di appoggio logistico.

L’esercito, egli scrive, deve scegliere. Non può rafforzare tutte le unità contemporaneamente. “Non si tratta di magia o di una promessa che escluda dei rischi… Non abbiamo eliminato l’incertezza sull campo di battaglia,” scrive Zur. “Il percorso per migliorare il progetto è lungo e complesso”.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)