Aerei da guerra israeliani attaccano le posizioni di Hamas nella Striscia di Gaza

Al-Jazeera e agenzie

21 ottobre 2020 – Al Jazeera

Fonti palestinesi dicono che l’esercito israeliano ha colpito due aree agricole a Khan Younis e Deir al-Balah.

Secondo l’esercito israeliano aerei da guerra israeliani hanno effettuato un’incursione colpendo posizioni di Hamas nella Striscia di Gaza assediata.

Il portavoce dell’esercito israeliano Avichay Adraee ha detto su Twitter che le incursioni di martedì hanno colpito un presunto tunnel dell’organizzazione palestinese Hamas, aggiungendo che l’attacco è stato effettuato in risposta al lancio di razzi da Gaza.

Tuttavia, testimoni oculari palestinesi affermano che due aree agricole a Khan Younis e Deir al-Balah sono state colpite da tre missili.

In precedenza, l’esercito israeliano aveva detto che un razzo lanciato dalla zona di Khan Younis era stato “intercettato dal sistema di difesa aerea Iron Dome”, senza indicare se abbia causato vittime o danni.

Nessun gruppo ha rivendicato la responsabilità del razzo né è stato fatto alcun commento in merito da parte delle autorità palestinesi.

Finora non si hanno informazioni su vittime in nessuno dei due attacchi.

Alcune ore prima che il razzo fosse lanciato da Khan Younis martedì, l’esercito israeliano ha annunciato di aver trovato un tunnel che da Gaza sconfina “per decine di metri dentro Israele”.

Il portavoce dell’esercito israeliano Jonathan Conricus ha affermato che Israele non sa chi abbia scavato il tunnel, ma di ritenere Hamas responsabile di tutte le attività nell’enclave palestinese.

I palestinesi hanno usato i tunnel sotterranei per contrabbandare ogni sorta di merci a Gaza.

La Striscia di Gaza, impoverita e densamente popolata, dal 2007 è sottoposta a un paralizzante blocco israeliano, dopo che Hamas ha preso il controllo dell’enclave costiera.

Alla fine di settembre Hamas e Israele hanno raggiunto un accordo per la cessazione delle ostilità, ma gli attacchi sono continuati.

Israele ha lanciato tre offensive contro la Striscia di Gaza dal 2008, e ci sono state numerose fasi acute di scontri.




Coronavirus: Israele si rivolge all’esercito mentre si intensifica il giro di vite contro la pandemia

Lily Galili da Tel Aviv, Israele

25 settembre 2020 – Middle East Eye

Mentre peggiora la crisi da Covid-19, gli israeliani stanno vedendo nell’esercito un salvatore, ma il Paese assomiglia sempre più a un regime militare

Lasciate vincere l’esercito”, è un vecchio slogan israeliano coniato dai dirigenti della destra durante la Seconda Intifada (2000-2005).

Voleva dire: non lasciate che i politicanti vigliacchi, la sinistra amante dei palestinesi, i tribunali di parte e i media ostili interferiscano con l’azione dell’esercito, basta lasciare che faccia quello che ci vuole per vincere.

Circa 20 anni dopo questo slogan ha subito una curiosa modifica. Ora dice: “Lasciate che le IDF [Forze di Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndtr.] vincano il Covid-19.”

Sottinteso: dato che nessun altro ha la più pallida idea di come fare, sicuramente non i politici né altre istituzioni civili al potere, lasciamo che l’esercito israeliano si prenda in carico la gestione della pandemia. Ha le competenze, la tecnologia e, cosa più importante, non è tra i 120 membri del parlamento israeliano, ognuno dei quali ha una propria agenda.

In un sondaggio dell’opinione pubblica reso noto in luglio da Channel 12 [canale televisivo privato israeliano, ndtr.], il 57% delle persone interpellate appoggiava la posizione del ministro della Difesa Benny Gantz [del partito di centro destra Blu e Bianco, ndtr.], che sosteneva che “la gestione del coronavirus deve essere trasferita al Comando del Fronte Interno (dell’esercito israeliano) e al ministero della Difesa”. Solo il 20% si opponeva a questa idea.

Gantz non è stato il primo a sostenerla. Il suo predecessore come ministro della Difesa, Naftali Bennett [del partito di estrema destra Yamina, ndtr.], e molti altri ufficiali di alto grado della riserva hanno affermato la stessa cosa. Ma all’epoca il primo ministro Benjamin Netanyahu era restio ad affidare la gestione della crisi al suo arci-rivale.

Ma il Covid-19 aveva progetti diversi. Durante un’intervista del 13 aprile un importante funzionario della sicurezza in anonimato ha detto ad Amos Harel, principale esperto del giornale Haaretz per le questioni militari, che “l’esercito israeliano non può risolvere la crisi da coronavirus.” Lo stesso giornale progressista ha messo in guardia contro l’intervento dell’esercito nella crisi civile.

Lasciate che l’esercito ci salvi

Arriviamo velocemente a cinque mesi dopo: questa settimana Harel ha chiesto esplicitamente al capo di stato maggiore Aviv Kochavi di “accettare la sfida mentre Israele affronta una dilagante epidemia da coronavirus.”

Il cambiamento è principalmente un riflesso della disperazione totale e della perdita di fiducia nel disastroso governo Netanyahu.

Questi risultati non sorprendono affatto, considerando l’enorme fallimento del governo nell’affrontare la crisi. Secondo tutti i sondaggi la maggioranza degli israeliani ha perso fiducia nel modo in cui il governo sta affrontando la pandemia, una bella differenza rispetto alla generale soddisfazione per l’operato del governo in occasione della prima ondata del virus in marzo-aprile.

Un numero crescente di israeliani crede che gli interessi politici e personali di Netanyahu, soprattutto le accuse di frode e corruzione che lo minacciano, siano la principale motivazione per il modo in cui affronta la crisi, mentre altri ministri del suo governo sembrano semplicemente del tutto incompetenti.

Il sentimento prevalente è che i cittadini israeliani siano stati abbandonati da una dirigenza indifferente, più preoccupata di salvare il proprio lavoro o grandi, irrilevanti gesti come l’“accordo di pace” con gli EAU e il Bahrein, venduto dallo stesso Netanyahu per lo più come una miniera d’oro turistica.

L’esercito, che gode ancora di un alto livello di fiducia da parte dell’opinione pubblica, sembra essere il naturale salvatore, tanto più che la crisi sanitaria è stata definita con un chiaro gergo militare. La pandemia è una “guerra”, il coronavirus è un “nemico” e ogni cittadino è mobilitato per combattere un’ardua battaglia che i suoi dirigenti stanno continuando a perdere giorno dopo giorno.

Sono profondamente turbata dal gergo militare che viene imposto a tutti noi riguardo a questo maledetto coronavirus,” ha scritto sulla sua pagina Facebook Rana Abu Fraiha, una premiata regista israelo-palestinese.

Linguaggio bellico

Persino il fallimento nella gestione di questa crisi viene dipinto con tinte guerresche. In un’intervista televisiva il generale in pensione ed ex-capo della direzione dell’intelligence militare dell’esercito Amos Yadlin ha paragonato la pandemia all’esperienza traumatica della guerra arabo-israeliana del 1973.

Anche nel 1973 fu l’arrogante ed egocentrico governo che venne visto come responsabile del disastro, mentre l’esercito israeliano salvò la Nazione. Questa narrazione è in sintonia con gli israeliani, nonostante una grande differenza: al contrario della guerra, una crisi sanitaria è una questione civile. Il pericolo, per quanto riguarda l’intervento dell’esercito, è di annullare questa distinzione.

L’uso del gergo militare nel contesto del Covid-19 e la ridotta mobilitazione dell’esercito non sono una particolarità di Israele. Sta succedendo negli Stati Uniti e anche in altri Paesi colpiti dal coronavirus. Ma in Israele, dove la presenza dell’esercito nella sfera pubblica è una realtà quotidiana, incaricare i soldati della vita di civili ha una lunga storia.

Per oltre 50 anni gli israeliani hanno controllato le vite dei palestinesi sotto occupazione militare. La costruzione del muro di separazione tra Israele e la Cisgiordania occupata ha persino fatto nascere un nuovo titolo militare, “coordinatore della vita quotidiana”, un ufficiale incaricato di risolvere le difficoltà che affrontano i palestinesi che vivono nei pressi del muro, come l’accesso alle proprie terre. Essere controllati da un “coordinatore della vita quotidiana” in mezzo alla crisi da coronavirus agli israeliani può quindi sembrare assolutamente normale.

Le forze dell’esercito e della sicurezza sono ovunque ed hanno un importante ruolo nella gestione della pandemia.

Solo per citare qualche esempio, il Comando del Fronte Interno ha organizzato alberghi del coronavirus per i malati meno gravi e gestisce case di cura; il servizio segreto ha la licenza di tracciare i telefonini per individuare casi di contagio; il Mossad è stato mobilitato per cercare e procurare apparecchiature mediche; sono stati schierati battaglioni nelle città a maggioranza ultra-ortodossa per aiutare la popolazione.

Parlando con MEE, il professor Yagil Levy, esperto in rapporti civico – militari presso la Open University [università a distanza, ndtr.] del dipartimento di sociologia di Israele, definisce questa situazione unica come la “securizzazione della crisi da coronavirus in Israele.”

Inquadrare l’epidemia come una questione securitaria ha iniziato a svilupparsi quando la gestione della crisi è stata affidata (da Netanyahu) al Consiglio per la Sicurezza Nazionale,” afferma. “Ciò è sensato in un Paese in cui il sistema della sicurezza rimane potente, ed è davvero una tentazione, dato che le IDF sono percepite come competenti e libere da condizionamenti politici.

Tuttavia la legittimazione della securizzazione della salute può facilmente portare alla legittimazione dell’uso di metodi illeciti e alla facile accettazione di violazioni dei diritti civili,” aggiunge Levy. Questo slittamento giunge in un periodo in cui Netanyahu e il suo entourage sono impegnati con successo in un attacco contro tutte le istituzioni della democrazia israeliana.

L’interminabile dibattito parlamentare sul nuovamente rigido blocco totale non ha affatto dedicato tempo a discutere del suo impatto sulla società israeliana. Al contrario, molte ore sono state dedicate a trovare il modo per contrastare le settimanali manifestazioni di massa davanti alla residenza di Netanyahu.

Lockdown o repressione?

Sembra che la vera intenzione del nuovo rigido lockdown non sia interrompere la catena dell’infezione ma piuttosto quella delle manifestazioni.

Ciò è particolarmente problematico in quanto oggi Israele si trova in mezzo ad una crisi istituzionale, in cui le vecchie norme dell’emergenza invocate fin dal 1948 lasciano il posto a uno stile di governo dittatoriale. In questo clima, non c’è una discussione pubblica sugli immediati pericoli nel superare la distinzione tra un appoggio costruttivo dell’esercito e una totale sostituzione da parte dei militari.

Un pubblico dibattito è una missione impossibile in una società profondamente divisa e preoccupata della sopravvivenza individuale. La società israeliana ora sta pagando il prezzo di un decennio di politica interna intenzionalmente divisiva e di erosione di ogni elementare senso di solidarietà.

In assenza di un pubblico dibattito sulla linea che separa la sfera civile da quella militare, l’Institute for National Security Studies [Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale, legato all’esercito e diretto da Yadlin, ndtr.] e l’Israeli Democracy Institute [Istituto della Democrazia Israeliana, centro di ricerca indipendente, ndtr.] hanno pubblicato una serie di articoli sotto il titolo “Rapporti tra società ed esercito sotto il coronavirus: indicazioni dalla prima ondata.”

In un documento sotto questo titolo, il politologo Stuart Cohen pone la domanda: “Intervento militare e coronavirus: si tratta davvero di una china pericolosa?”

Cohen si riferisce a una preoccupazione manifestata dal professor Eviatar Matania, fondatore ed ex- capo dell’Israel National Cyber Directorate [Direzione Nazionale Informatica di Israele, che si occupa di difesa informatica e di sviluppo di tecnologie legate alla sicurezza, ndtr.], che ha messo in guardia contro l’affidamento della crisi a un ente essenzialmente non democratico come l’esercito.

Cohen sostiene che le preoccupazioni sono esagerate e che tutte le forze di difesa sono lì per assistere e non per prendere il potere.

La sua opinione deriva dalla prima ondata della pandemia, relativamente ben gestita. In base a queste circostanze, persino quelli che hanno sollevato dubbi hanno sostenuto che affidare la gestione della crisi all’esercito sia stato accettabile solo in circostanze eccezionali e a causa dell’imminente collasso del sistema civile.

Tuttavia, dato che i casi in Israele sono in forte aumento e gli ospedali sotto organico dichiarano lo stato d’emergenza, l’esercito ora si sta preparando a proporsi come l’ultima istituzione a disposizione in questa crisi nazionale.

In assenza di un equilibrio democratico, con dirigenti politici per i quali la democrazia non è altro che un ostacolo, il pericolo è appena dietro l’angolo.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




PCHR: violazioni israeliane dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati

Rapporto settimanale del Palestinian Center for Human Rights [Centro Palestinese per i Diritti Umani] (PCHR) dal 27 agosto al 2 settembre 2020

4 settembre 2020 – International Middle East Media Center

Sintesi

Le Forze Israeliane di Occupazione (FIO) hanno continuato a commettere crimini e svariate violazioni contro i civili palestinesi e le loro proprietà, comprese incursioni caratterizzate da un uso eccessivo della forza, aggressioni, maltrattamenti e attacchi contro i civili nelle città palestinesi. Questa settimana le FIO hanno ferito sei civili palestinesi, compreso un minore, con uso eccessivo della forza durante incursioni in città palestinesi e la repressione di proteste pacifiche in Cisgiordania. Le FIO hanno anche continuato la loro politica di demolizione e distruzione di case e strutture palestinesi per i loro programmi di espansione delle colonie.

Alla fine di questa settimana Dawoud Tal’at al-Khatib (48 anni) è morto all’interno della prigione di Ofer a causa di un infarto solo a quattro mesi dalla data del suo rilascio. Al-Khatib, di Betlemme, è stato nelle prigioni israeliane negli ultimi 18 anni e negli ultimi anni di prigionia ha sofferto condizioni di salute particolarmente difficili, l’ultima delle quali è stata una crisi cardiaca nel 2017. La decisione di tenerlo in carcere ha aggravato le sue critiche condizioni di salute, e alla fine è morto per un attacco cardiaco il 2 settembre 2020.

Nella Striscia di Gaza, dopo che sono stati scoperti casi fuori dai centri di quarantena, per la seconda settimana di fila è proseguito il coprifuoco per limitare la diffusione del coronavirus. Il PCHR teme un peggioramento catastrofico nelle condizioni di vita se il coprifuoco verrà mantenuto per un periodo prolungato senza un meccanismo di protezione per le famiglie povere, disoccupate e con un reddito ridotto, così come per i lavoratori a giornata che hanno perso la loro fonte di sostentamento a causa dello stato di emergenza e del coprifuoco. Il PCHR mette in guardia dalle conseguenze catastrofiche della diffusione del coronavirus nella Striscia di Gaza, soprattutto con il suo sistema sanitario già allo stremo a causa di 14 anni dell’illegale e disumano blocco e delle politiche di punizione collettiva imposti alla Striscia di Gaza dalle FIO.

Questa settimana il PCHR ha documentato 151 violazioni delle leggi internazionali per i diritti umani e del diritto umanitario internazionale (IHL) da parte delle FIO e dei coloni nei TPO. Va rilevato che i limiti dovuti alla pandemia da coronavirus hanno ridotto gli spostamenti per il lavoro sul campo del PCHR e la sua possibilità essere presente sul posto; di conseguenza le informazioni contenute in questo rapporto sono solo una parte delle continue violazioni da parte delle FIO.

Spari e violazioni del diritto all’integrità fisica da parte delle FIO:

In Cisgiordania le FIO hanno ferito 6 civili, compreso un minore, con un uso eccessivo della forza: 2 civili, compreso un minore, feriti a Jenin, 1 ferito durante scontri ad Hebron, nella repressione da parte delle FIO delle proteste di Kufur Qaddoum a Qalqilia e un ferito a Betlemme. Le FIO hanno aggredito a Tulkarem un anziano palestinese, gettandolo a terra, ferendolo e umiliandolo gravemente in un incidente documentato da media e giornalisti. Nella Striscia di Gaza le FIO hanno aperto il fuoco 5 volte verso le terre agricole ad est di Khan Younis e Rafah, nella zona meridionale della Striscia di Gaza.

Incursioni delle FIO e arresti di civili palestinesi:

Le FIO hanno effettuato 70 incursioni in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est. Queste incursioni hanno incluso attacchi in case di civili e sparatorie, terrorizzando i civili e aggredendone molti. Durante le incursioni di questa settimana sono stati arrestati 38 palestinesi, compresi 6 minori e un giornalista. A Gaza le FIO hanno condotto una incursione limitata nella zona ad est di Rafah, nella Striscia di Gaza meridionale.

Espansione delle attività delle colonie e attacchi dei coloni:

Le FIO hanno continuato le operazioni di espansione delle loro colonie in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est occupata. Il PCHR ha documentato 7 violazioni, comprese:

  • Jenin: demolizione di una panetteria e notifica di un ordine di demolizione al negozio di un falegname;

  • Gerusalemme est: 3 case demolite dagli stessi proprietari [per non dover pagare i costi di demolizione, ndtr.];

  • Betlemme: divieto a un palestinese di continuare la costruzione della sua casa e confisca di materiale da costruzione;

  • Hebron: due case di lamiera e una baracca demolite, 1 stanza (di mattoni e lamiera) demolita;

  • Ramallah: 3 tende adibite ad abitazione smontate e confiscate.

Attacchi dei coloni:

Il PCHR ha documentato l’attacco incendiario contro un veicolo e atti di vandalismo contro arabi a Nablus.

Politica israeliana di interruzione della circolazione e limitazioni alla libertà di movimento:

Lunedì 31 agosto 2020 le autorità israeliane hanno dichiarato la riapertura del valico di Karem Abu Salem, consentendo di nuovo l’ingresso di carburante e materiali da costruzione nella Striscia di Gaza.

Le autorità israeliane hanno anche deciso di estendere di nuovo l’area di pesca come prima delle recenti misure punitive imposte alla Striscia di Gaza. Ciò è avvenuto in seguito al raggiungimento di un accordo per fermare l’escalation militare israeliana contro la Striscia di Gaza iniziata il 10 agosto, durante la quale Israele ha imposto misure punitive contro Gaza, sostenendo che si trattava della risposta al lancio di palloni incendiari verso le colonie israeliane vicine alla Striscia di Gaza.

La Striscia di Gaza soffre ancora del peggiore blocco, ormai arrivato al quattordicesimo anno, nella storia dell’occupazione israeliana dei TPO, senza nessun miglioramento riguardo agli spostamenti di persone e cose, alle condizioni umanitarie e sopportando conseguenze catastrofiche in tutti gli aspetti della vita.

Per la seconda settimana di seguito a Gaza è ancora imposto il coprifuoco per contenere l’epidemia di coronavirus, soprattutto dopo che fuori dai centri di quarantena della Striscia di Gaza sono stati confermati casi di COVID-19. In seguito a ciò le sofferenze della popolazione della Striscia di Gaza sono aumentate. Il PCHR teme un peggioramento catastrofico delle condizioni di vita se il coprifuoco verrà mantenuto per un lungo periodo senza meccanismi di protezione per le famiglie povere, disoccupate e con scarsi mezzi economici, così come per i lavoratori a giornata che hanno perso le fonti di reddito a causa dello stato di emergenza e del coprifuoco.

Nel contempo le FIO continuano a dividere la Cisgiordania in cantoni separati, con le principali strade bloccate dall’occupazione israeliana fin dalla Seconda Intifada e con posti di controllo temporanei e permanenti, per cui il movimento dei civili è limitato ed essi rischiano l’arresto.

I. Sparatorie e altre violazioni del diritto alla vita e all’integrità fisica:

  • Alle 2 circa di giovedì 27 agosto 2020 le FIO, con il sostegno di parecchi veicoli militari, hanno attaccato il campo di rifugiati di al-Fawar, a sud di Hebron. Hanno pattugliato le strade del campo e si sono schierate nella zona meridionale, mentre soldati si sono distribuiti tra le case civili nel centro del campo. Numerosi militari hanno fatto incursione e perquisito una casa della famiglia Abu Hashhash, di tre piani e 5 appartamenti.

I soldati [sono entrati] nell’appartamento di Iyad Mahmoud Ahmed Abu Hashhash (40 anni) e lo hanno aggredito picchiandolo duramente e arrestandolo. I soldati hanno aggredito anche il fratello di Iyad, Yaqoub, (35 anni), e, dopo aver fatto irruzione nel suo appartamento, l’hanno colpito al naso, fratturandolo. I soldati lo hanno ammanettato, lo hanno portato nell’appartamento di suo fratello ed hanno iniziato a picchiare entrambi con mani, piedi e calci dei fucili. In seguito a ciò Iyad e Yaqoub sono svenuti. Dopo che le FIO si sono ritirate dalla casa, portandosi via Iyad, Yaqoub è stato trasferito all’ospedale al-Ahli, dove ha ricevuto cure mediche, e i medici hanno fissato un appuntamento per operarlo al naso. Quando Yaqoub è tornato a casa ha scoperto che i soldati israeliani gli avevano rubato 5.800 shekel [circa 1.500 euro] che si trovavano nella sua camera da letto. Va sottolineato che i soldati israeliani avevano già fatto irruzione nella casa un mese fa, avevano aggredito Yaqoub e gli avevano rotto il naso, per cui si era già sottoposto a un’operazione chirurgica al naso.

  • Verso le 23,30 di giovedì 27 agosto 2020 soldati israeliani schierati lungo la barriera di confine a est del villaggio di al-Shoka, a est di Rafah, hanno aperto il fuoco verso terreni agricoli. Non ci sono notizie di vittime.

  • Verso le 13,30 di venerdì 28 agosto 2020 alcuni giovani palestinesi si sono riuniti nella zona di Bab al-Zawiyah, nel centro di Hebron, ed hanno lanciato pietre contro soldati israeliani vicino a un posto di controllo militare nei pressi della di via al-Shuhada chiusa.

Alcuni soldati israeliani hanno sparato granate stordenti contro i manifestanti. I giovani si sono dispersi nelle zone di Beir al-Sabe’a e Wadi al-Tuffah, sono tornati al checkpoint ed hanno lanciato pietre contro i soldati israeliani protetti da cubi di cemento e hanno nuovamente lanciato pietre contro di loro. I soldati hanno sparato proiettili veri. In conseguenza di ciò un diciottenne è stato colpito al ginocchio sinistro. I soldati lo hanno inseguito e arrestato, portandolo al posto di controllo. Verso le 19,30 è arrivata sul posto un’ambulanza militare e ha portato il civile ferito all’ospedale pubblico di Hebron. La sua ferita non è considerata grave.

  • Verso le 13 di sabato 29 agosto 2020 le FIO si sono schierate nei pressi dell’ingresso settentrionale del villaggio di Kufur Qaddoum, a nord di Qalqilia, hanno represso una protesta a cui partecipavano decine di civili palestinesi. Le FIO hanno dato la caccia ai giovani riuniti nella zona. Si sono scontrati con loro, hanno sparato proiettili ricoperti di gomma, bombe stordenti e lacrimogeni. In seguito a ciò 2 civili sono stati colpiti agli arti inferiori da proiettili veri.

  • Verso l’una di domenica 3 agosto 2020 le FIO, con alcuni veicoli militari, hanno attaccato il campo di rifugiati di al-Aroub, a nord di Hebron, e si sono piazzati nei pressi del centro di distribuzione dell’UNRWA [agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, ndtr.]. I soldati hanno pattugliato i quartieri e hanno lanciato molti volantini minacciando gli abitanti del campo a causa dei cosiddetti “violenze, disordini e continuo lancio di pietre”. Nel contempo decine di giovani si sono riuniti ed hanno lanciato pietre contro le unità di fanteria delle FIO, mentre queste ultime hanno sparato indiscriminatamente granate stordenti e lacrimogeni contro chi lanciava le pietre e tra le case.

A causa di ciò alcuni manifestanti sono rimasti soffocati dall’inalazione dei gas lacrimogeni. Scontri tra le FIO e i giovani sono continuati fino alle 2,30, quando le FIO hanno sparato raffiche di proiettili veri in aria per ritirarsi dal campo. Non ci sono notizie di arresti né di incursioni nelle case.

  • Verso le 2,15 della stessa domenica le FIO hanno fatto irruzione a Hebron, si sono piazzati in via Malek Faisal e si sono schierati tra le case. Dopo aver aperto la porta con attrezzi speciali, hanno fatto irruzione e perquisito una fabbrica per la lavorazione del legno e mobili di proprietà della famiglia di Taha Abu Suneinah. Nel contempo alcuni giovani palestinesi si sono riuniti ed hanno lanciato pietre e bottiglie vuote contro le FIO, mentre queste ultime sparavano in modo indiscriminato granate assordanti e lacrimogeni. Come conseguenza di ciò, una granata assordante è caduta in una stanza del reparto di medicina interna dell’ospedale pubblico Aaliyah, adiacente all’area degli scontri. Perciò circa 25 pazienti affetti da coronavirus sono rimasti soffocati e sono stati portati in altri reparti dell’ospedale. Verso le 4 dello stesso giorno le FIO si sono ritirate dalla zona. Non ci sono notizie di arresti.

  • Verso le 20,30 di lunedì 31 agosto 2020 le FIO incaricate di controllare il muro di annessione a nordest del villaggio di Faqqua, a nord est di Jenin, hanno aperto il fuoco contro Mahmoud Taleb Mahmoud Shaheen (18 anni), mentre stava tornando a casa, che si trova a 200 metri dal summenzionato muro. In seguito a ciò Shaheen è stato colpito alla gamba destra da un proiettile vero ed è stato trasferito all’ospedale Khalil Suleiman a Jenin per essere curato.

  • Il padre di Shaheen ha detto all’operatore sul campo del PCHR:

  • Verso le 20,30 di lunedì 31 agosto 2020 mio figlio Mahmoud (18 anni) ha partecipato ad una festa di matrimonio nel villaggio di Faqqua, a nordest di Jenin, e stava tornando a casa nel quartiere a nord, che si trova a 200 metri dal muro di annessione. Quando è arrivato a circa 40-50 metri dal muro, i soldati israeliani incaricati di controllare il muro di annessione hanno aperto il fuoco contro di lui, ferendolo senza ragione alla gamba destra. I vicini sono subito arrivati nella zona e lo hanno trasportato all’ospedale Khalil Suleiman a Jenin perché venisse curato.

  • Verso le 3,50 di martedì 1 settembre 2020 le FIO hanno invaso le vie al-Saf e al- Mahd nel centro di Betlemme. Hanno fatto irruzione e perquisito alcune delle case e arrestato Shadi Mohammed al-Harimi (31 anni) e Touni Asa’ad Qatan (27 anni). Nel contempo alcuni giovani palestinesi si sono riuniti nei pressi di piazza al-Mahd ed hanno lanciato pietre e bottiglie molotov contro le FIO che si trovavano nella zona, mentre queste ultime hanno subito sparato contro di loro proiettili ricoperti di gomma, granate assordanti e lacrimogeni. Alcuni giovani hanno patito le conseguenze dell’inalazione di gas lacrimogeni.

  • Verso le 13 le FIO che si trovavano sulle terre dei villaggi di Shufah e Jbarah, a sudest di Tulkarem, hanno represso una manifestazione a cui hanno partecipato decine di civili. Le Fio hanno inseguito giovani riuniti nella zona, si sono scontrati con loro ed hanno sparato pallottole vere e ricoperte di gomma, bombe stordenti e lacrimogeni. Le Fio hanno aggredito Khairi Hanoun (64 anni), del villaggio di Anabta, a est di Tulkarem, colpendolo ai piedi. Lo hanno arrestato e rilasciato dopo un’ora e mezza. Le FIO hanno aggredito anche molti giornalisti che stavano informando delle proteste, compreso Fadi Yaseen, fotografo di Palestine TV. Inoltre molti civili hanno sofferto le conseguenze dell’inalazione di gas lacrimogeni.

  • Verso le 0.20 di mercoledì 2 settembre 2020 le FIO schierate lungo la barriera di confine a est di Khan Younis [nella Striscia di Gaza, ndtr.], hanno sparato proiettili veri e lacrimogeni verso terreni coltivati, a est del villaggio di al-Qararah, nei pressi della barriera di confine.

  • Verso le 4 dello stesso mercoledì le FIO di stanza presso una torre di guardia nella zona della Tomba di Rachele, di fianco alla moschea Bilal Ben Rabah, a nord di Betlemme, hanno aperto il fuoco contro un civile di 32 anni che stava camminando nella zona. In conseguenza di ciò è stato colpito al piede da un proiettile vero. È stato portato all’ospedale Beit Jala per essere curato.

  • Verso le 4,15 le FIO hanno fatto irruzione nel villaggio di Ash-Shuhada, a sudest di Jenin, nel nord della Cisgiordania, e hanno circondato una casa di proprietà di Ihab Hatem Husein Darwish Asous (27 anni). Nel contempo alcuni civili palestinesi si sono riuniti ed hanno lanciato pietre contro le FIO, mentre queste ultime hanno risposto con pallottole vere, bombe assordanti e lacrimogeni. In seguito a ciò un ragazzo di 16 anni è stato colpito con 2 proiettili veri. È stato portato all’ospedale pubblico Khalil Suleiman per essere curato. Prima di ritirarsi dal villaggio le FIO hanno arrestato il civile Asous.

  • Verso le 8,30 dello stesso mercoledì le FIO di stanza lungo la barriera di confine a est di Khan Younis hanno sparato proiettili veri verso terreni coltivati a est del villaggio di Khuza’a, vicino alla barriera di confine. Non si hanno notizie di vittime.

II. Incursioni e arresti:

Martedì 27 agosto 2020:

  • Verso l’una le FIO sono entrate nel villaggio di Biddu, a nordovest di Gerusalemme est occupata. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Ayyoub Mohammed al-Khadour’s (28 anni) e l’hanno arrestato. Va rilevato che al-Khadour è già stato imprigionato nelle carceri israeliane.

  • Verso le 2 le FIO sono entrate nel villaggio di Qutna, a nordovest di Gerusalemme occupata. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Mos’ab Saleem Shamasna’s (23 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 2,30 le FIO sono entrate nel villaggio di Jabal Hindaza, a est di Betlemme. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Na’eem Mousa Abu ‘Ahour’s (18 anni) e lo hanno arrestato. È da rilevare che Abu ‘Ahour era rimasto ferito a una gamba da un proiettile vero mentre si trovava nei pressi della stazione di servizio al-Quds vicino alla moschea Bilal Bin Rabah all’ingresso settentrionale di Betlemme.

  • Più o meno alla stessa ora le FIO sono entrate nel villaggio di al-Arqa, a sudovest di Jenin. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Nael Mohammed Yehya’s (24 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 3,10 le FIO sono entrate nel villaggio di Rujeib, a sudest di Nablus, nella Cisgiordania settentrionale. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Khalil Abdul Khaleq Mohammed Dwaikat, che il 26 agosto 2020 ha accoltellato un soldato israeliano a Bitah Tikva [in Israele, ndtr.] per prendere le misure della casa prima della demolizione. Va notato che le autorità israeliane utilizzano la demolizione come punizione collettiva contro le famiglie palestinesi.

  • Verso le 3,30 le FIO sono entrate nel villaggio di al-‘Abayat, a est di Betlemme. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Omar Khaled Ayyad’s (17 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 3,30 le FIO sono entrate nel villaggio di Qarawat Bani Zeid, a nordovest di Ramallah. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Amer Bassam Sneif’s (31 anni) e lo hanno arrestato. In seguito le FIO lo hanno rilasciato.

  • Verso le 3,50 le FIO sono entrate nel villaggio di Beit Loqya, a sudovest di Ramallah. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Najeeb Ahmed Najeeb Mafarja’s (35 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 6,30 le FIO sono entrate nel villaggio di Jin Safout, a est di Qalqilia. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Karam Khamees Shobaki’s (22 anni) e lo hanno arrestato

  • Verso le 7 le FIO, con vari veicoli militari e scavatrici, sono entrate per 100 metri nel villaggio di al-Shwaika, a est di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. Hanno fatto irruzione dalla porta al-Motabaq, nei pressi della barriera di confine tra la Striscia di Gaza e Israele. Hanno rastrellato e spianato il terreno e si sono ritirati verso le 11.

  • Verso le 14 le FIO hanno arrestato Ghassan Alian (55 anni), di Bitin, a ovest di Betlemme, dopo aver fatto rapporto al servizio israeliano di intelligence nella colonia di Gush Etzion, a sud della città.

  • Le FIO hanno compiuto (6) incursioni nei villaggi di Beit Ammer, Hadab al-Fawwar e Sa’eer a Hebron, a Faqoua’, a sudest di Jenin, a Tayaseer, a est di Tubas, e a Karf Ein, a nordovest di Ramallah. Non si hanno notizie di arresti.

Venerdì 28 agosto 2020:

  • Verso le 2 le FIO, con alcuni veicoli militari, sono entrate nel campo di rifugiati di al-‘Aroub, a nord di Hebron. Hanno fatto irruzione ed hanno perquisito la casa di Bara’ Abdul Hai Jawabra’s (19 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 3,50 le FIO sono entrate nel villaggio di Azun, a est di Qalqilia. Hanno fatto irruzione ed hanno perquisito la casa di Karam Fares Shbaita’s (18 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 22,30 le FIO, dopo averli duramente percossi, hanno arrestato 3 civili che si trovavano in via al-Wad nella Città Vecchia di Gerusalemme occupata. Le Fio li hanno portati nel centro investigativo di al-Qushla nella Città Vecchia. Gli arrestati sono Khaled al-Sokhn (23 anni), Abdullah al-Julani (28 anni) e Mohammed Zein (21 anni).

  • Le FIO hanno effettuato (6) incursioni a Hebron, nel campo profughi di al-Fawwar e a Yatta, nel governatorato di Hebron, a Yamoun, a ovest di Jenin, e a Kufur Qaddoum e Hibla, a est di Qalqilia. Non si hanno notizie di arresti.

Sabato 29 agosto 2020:

  • Verso le 16 le FIO sono entrate in via al-Bostan nel quartiere di Obaid, a ovest di al-‘Isawiya, a nordest di Gerusalemme est occupata. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Mo’tasem Hamza Obaid’s (17 anni) e lo hanno arrestato. Va rilevato che Obaid era stato arrestato 10 giorni prima ed era agli arresti domiciliari per due settimane.

  • Le FIO hanno fatto (4) incursioni nei villaggi di al-Samoua’, Hebron, Beit Ammer e al-Mowreq, nel governatorato di Hebron. Non si ha notizia di arresti.

Domenica 30 agosto 2020:

  • All’una circa le FIO sono entrate nel villaggio di Nahaleen, a ovest di Betlemme. Hanno fatto irruzione e perquisito varie case e arrestato Mahmoud Maher Shakarna (17 anni) e consegnato ad Hamdan Yousef Fannoun (32 anni) una convocazione al servizio israeliano di intelligence nella colonia di Gush Etzion, a sud della città.

  • Verso le 2,30 le FIO sono entrate nella zona periferica di al-Shwaika, a est di Tulkarem. Hanno fatto irruzione e perquisito due case di Sameer Abdul Qader Mohammed Omar (47 anni) e Sameh Adnan Mohammed Obaid (31 anni) e li hanno arrestati.

  • Verso le 7 le FIO hanno fatto un’imboscata nei pressi della località di Haddad, a sudest di Jenin, nel nord della Cisgiordania, ed hanno arrestato Yaser Waleed Khuzeima (30 anni), di Qabatya, a sudest di Jenin, dopo aver fermato e perquisito la sua auto. Le FIO lo hanno portato in un luogo sconosciuto ed hanno abbandonato la sua auto. Va rilevato che Khuzeima è già stato detenuto nelle prigioni israeliane.

  • Verso le 15 nel centro di Gerusalemme le FIO hanno fermato un autobus, hanno obbligato (4) minori a scendere per arrestarli e li hanno portati alla stazione di polizia “al-Bareed” in via Salah al Dein. Gli arrestati sono: Ahmed Dari (17 anni), sua sorella Noumi (16 anni), Yasmine Qaisiya (16 anni) e Sajeda Abu Roumi (16 anni).

  • Testimoni affermano che le FIO hanno fermato e perquisito un autobus in via Nablus, controllato i documenti di identità e obbligato alcuni di loro a scendere dal bus sostenendo che non stavano portando in modo corretto le mascherine. Hanno aggiunto che le FIO hanno colpito e spintonato alcuni di loro e hanno arrestato (4) studenti di ritorno da scuola verso la loro casa a al-‘Isawiya. In seguito Qaisiya e Abu Roumi sono stati rilasciati su cauzione, Dari è stata rilasciata dopo alcune ore a condizione che rimanga agli arresti domiciliari per due giorni e le hanno vietato di entrare dalla porta di Damasco “Bab al-‘Amoud” per 10 giorni.

  • Le FIO hanno fatto un’incursione a Sabastya, a nordovest di Nablus. Non si ha notizia di arresti.

  • Lunedì 31 agosto 2020:

  • Alle 2 circa un’unità israeliana di fanteria è entrata nella città vecchia di Hebron. Ha fatto irruzione e perquisito la casa di Saif al-Dein Mahmoud al-Ja’bari’s (22 anni) e lo ha arrestato.

  • Verso le 2,30 le FIO sono entrate a Nablus, nel nord della Cisgiordania. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Mohammed Hilal al-Titi’s (22 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 4 le FIO sono entrate nel villaggio di Anata, a nordest di Gerusalemme est occupata. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Mohammed

  • Verso le 8 le FIO hanno arrestato Khalaf Hussain Obaidallah (26 anni), mentre si trovava all’entrata del villaggio di Kisan, a sudest di Betlemme. Le FIO lo hanno portato in un luogo sconosciuto.

  • Verso le 19 le FIO sono entrate nel villaggio di Bab Hatta, uno dei quartieri di Gerusalemme est occupata. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Ameer Farid al-Basti’s (23 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 19,45 un gruppo di Mista‘arvim (unità speciale israeliana travestita da civili palestinesi) ha arrestato Nizar Issa Obaid (22 anni), di Kufur Qaddoum, a est di Qalqilia, mentre stava lavorando alla stazione di servizio di al-Natour, a Tulkarem. Secondo una telecamera di sorveglianza che ha documentato la scena, un veicolo con targa palestinese è arrivato alla stazione di servizio e, quando Obaid è andato a fare il pieno all’auto, due uomini sono scesi e lo hanno arrestato.

  • Verso le 23 il servizio israeliano di intelligence ha convocato tre membri del movimento Fatah di Silwan, a sud della Città Vecchia di Gerusalemme est occupata, per essere interrogati nella stazione id polizia di al-Bareed, in via Salah al-Dein. Shadi al-Mtawr, segretario del movimento Fatah a Gerusalemme, ha affermato che i servizi israeliani di intelligence hanno convocato Fawzi Sha’ban, Mohammed Abu Sowi e Ahmed al-‘Abbasi per interrogarli riguardo alla loro presenza a una riunione sulla demolizione di case a Silwan. Dopo alcune ore le FIO li hanno rilasciati su cauzione (3.000 shekel [circa 750 euro] per ciascuno) e con il divieto di partecipare per tre mesi ai sit in del quartiere di al-Bostan a Silwan.

  • Le FIO hanno effettuato (4) incursioni nei villaggi di Ethna, Surif e Karma, nel governatorato di Hebron, e a Tulkarem. Non si ha notizia di arresti.

Martedì 1 settembre 2020:

  • Verso l’una le FIO sono entrate a Hebron e si sono schierate in via al-Salam. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Ma’moun Hussain al-Natsha’s (25 anni) e lo hanno arrestato.

  • Le FIO hanno fatto (2) incursioni a Dura e al-Samoua’, nel governatorato di Hebron. Non si ha notizia di arresti.

Mercoledì 2 settembre 2020:

  • Verso le 2 le FIO sono entrate a Yatta, a sud di Hebron, e si sono schierate nella zona di Roq’a. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Shadi Bader al-‘Amour’s (30 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 5 le FIO sono entrate nel villaggio di al-Fridis, a est di Betlemme. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Jom’a Abu Moheimed’s (29 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 18 le FIO sono entrate ad al-‘Isawiya, a nordest di Gerusalemme est occupata. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa del fotogiornalista Mohammed Qarout Edkaik’s (27 anni), lo hanno arrestato e gli hanno confiscato l’ equipaggiamento, le macchine fotografiche, molti dei suoi files e documenti personali. Samer Edakaik, il fratello di Mohammed, ha detto al collaboratore sul campo del PCHR che le FIO hanno fatto irruzione, perquisito e confiscato varie fotocamere, un dispositivo senza fili, documenti personali e un tablet di Mohammed. Ha confermato che le FIO hanno ammanettato suo fratello e lo hanno portato al commissariato di “al-Bareed” in via Salah al-Dein. Va rilevato che Adkaik è un fotogiornalista del canale Al-Jazeera e di molte altre agenzie di notizie ed è un attivista sulle reti sociali con migliaia di follower.

  • Le FIO hanno fatto (4) incursioni nei villaggi di Hebron, Ethna, Beit Owa e Deir Samit nel governatorato di Hebron. Non ci sono notizie di arresti.

III. Espansione delle colonie e violenza dei coloni in Cisgiordania:

a. Demolizione e confisca di proprietà di civili:

  • Verso le 9 di giovedì 27 agosto 2020 le FIO, con veicoli da costruzione militari e accompagnati da funzionari dell’Amministrazione Civile Israeliana [l’ente militare che governa in Cisgiordania, ndtr.] sono entrate nel villaggio di ‘Arraba, a sudovest di Jenin. I veicoli da costruzione militari hanno demolito la panetteria in costruzione di Rami Ahmed Abu Mashaikh, costruita 3 mesi fa su un terreno di 170 m2. È da notare che 12 giorni fa le FIO avevano notificato di smettere di lavorare nella panetteria in previsione della sua demolizione, con il pretesto di costruzione illegale in Area C. Per lo stesso motivo, le FIO hanno anche notificato a Mostafa ‘Ali Hammad di demolire il suo negozio di falegnameria.

  • Domenica 30 agosto 2020 Khaled Mahmoud Mohammed Basheer ha adempiuto alla decisione del Comune israeliano di autodemolizione della sua casa nel villaggio di Jabal al-Mokkaber, a sudest di Gerusalemme est occupata, con il pretesto che non aveva la licenza edilizia.

Basheer ha affermato che 3 mesi fa ha costruito per suo figlio una casa di 50 m2 composta da una stanza, una cucina e un bagno. Basheer ha chiarito che due settimane fa gli impiegati dell’amministrazione comunale israeliana, insieme al ministero degli Interni, si sono presentati nella sua casa e gli hanno consegnato un ordine di demolizione. Basheer ha aggiunto di essere stato obbligato a demolire lui stesso la sua casa per evitare di pagare i costi di demolizione, stimati in 100.000 shekel [25.000 euro] al personale del Comune. Ha anche detto che nel 2014 i funzionari del Comune hanno demolito la casa di suo figlio Mahmoud nel quartiere di al-Sal’ah del villaggio di Jabal al-Mokkaber e gli hanno comminato una multa di 80.000 shekel [20.000 euro] con il pretesto che non aveva la licenza edilizia.

  • Lunedì 31 agosto 2020 ‘Odai e ‘Abed al-Salam al-Razem hanno adempiuto alla decisione dell’amministrazione comunale israeliana ed hanno demolito la propria casa nel quartiere di al-Ashqariyia nel villaggio di Beit Hanina, a nord della Città Vecchia nella Gerusalemme est occupata, con il pretesto che non avevano la licenza edilizia. ‘Abed al-Salam al-Razem ha detto che la sua famiglia, composta da 6 persone, e quella di suo fratello, di 3 persone, hanno vissuto per 8 anni nella loro casa di 65 m2. Ha spiegato che 5 anni fa il personale del Comune si è presentato nelle loro case ed ha notificato a suo fratello di demolirle, oltre a una multa di 40.000 shekel [10.000 euro] contro di loro. ‘Abed al-Salam ha aggiunto che durante gli ultimi anni lui e suo fratello hanno atteso inutilmente di avere la licenza edilizia. Ha anche detto che un mese fa il tribunale israeliano ha emesso una ordinanza di demolizione definitiva delle loro case, e se non l’avessero rispettata lo avrebbe fatto il personale del Comune e li avrebbe obbligati a pagare i costi, stimati a 125.000 shekel [circa 30.000 euro].

  • Alle 6,30 circa di martedì 1 settembre 2020 le FIO, accompagnate da veicoli da costruzione militari, sono entrati nel villaggio di Tuqu, a sudest di Betlemme, dove hanno ordinato a Mohammed Fahed Shawareeh di interrompere i lavori per la costruzione della sua casa e gli hanno confiscato materiali da costruzione. Il sindaco di Tuqu, Tayseer Abu Mefreh, ha affermato che le FIO hanno requisito materiali dalla casa in costruzione di Shawareeh. Ha aggiunto che una settimana fa, con il pretesto della mancanza di un permesso edilizio, a Shawareeh era stata consegnata una ingiunzione di cessazione della costruzione.

  • Verso le 10 di mercoledì 2 settembre 2020 le FIO, insieme a veicoli da costruzione militari e funzionari dell’Amministrazione Civile Israeliana, sono entrate nella zona di al-Masafer a Yatta, a sud di Hebron. Le FIO si sono schierate tra le case palestinesi mentre veicoli da costruzione demolivano 2 case in lamiera con il pretesto che non avevano la licenza edilizia.

Queste sono state le demolizioni:

Mahmoud ‘Isaa Rab’i: casa fatta con lamiera e mattoni, con 16 abitanti;

Mahmoud ‘Isaa Rab’i: baracche fatte di lamiera e mattoni, per il bestiame;

Fadel ‘Isaa Rab’i: casa fatta di lamiera e mattoni, con 15 abitanti.

Va rilevato che il 23 febbraio 2012 le autorità israeliane avevano consegnato ingiunzioni di blocco delle costruzioni per le due case e la baracca.

  • Verso le 10 le FIO, accompagnate da veicoli da costruzione militari e da funzionari dell’Amministrazione Civile Israeliana, sono entrate nel villaggio di Beren nella zona orientale di Hebron. Le FIO si sono schierate tra le case palestinesi mentre i veicoli militari da costruzione hanno demolito la stanza di 40 m2 di Faraj Mohammed Ghaith, costruita di mattoni, con il pretesto della mancanza di permesso edilizio.

  • Verso le 13 le FIO, accompagnate da veicoli da costruzione militari e da funzionari dell’Amministrazione Civile Israeliana, sono entrate nel villaggio di Deir Dibwan, a est di Ramallah. Le FIO hanno portato addetti israeliani per smantellare e confiscare tre tende da abitazione, con il pretesto che erano senza permesso nell’Area C.

Le tende erano di:

Suliman Mostafa Ka’abnah: smantellamento e confisca di una tenda che ospitava la sua famiglia, composta da 7 persone;

Oda ‘Awwad Ka’abnah: smantellamento e confisca di una tenda che ospitava 8 persone;

Suliman Salem Ka’abnah: smantellamento e confisca di una tenda che ospitava 8 persone.

Va rilevato che per due volte le FIO hanno demolito proprietà dei summenzionati civili e senza precedente avviso, notando che queste proprietà erano state demolite in precedenza, il 25 agosto 2020.

b. Violenza dei coloni israeliani

  • Verso le 2,30 di venerdì 28 agosto 2020 i coloni israeliani del gruppo “Price Tag” [coloni estremisti particolarmente violenti, ndtr.] hanno attaccato la zona meridionale del villaggio di Asira al-Qibliya, a sudest di Nablus. I coloni hanno dato fuoco al veicolo di Wael Mousa ‘Asayrah ed hanno vandalizzato i muri della sua casa, scrivendo slogan razzisti.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




I pericoli della guida sotto l’apartheid israeliano

Izzy Mustafa

26 giugno 2020 – +972 Magazine

“Non mandare su di giri il motore. Tieni le mani sul volante. Non guardare bruscamente negli occhi i soldati di fronte a te. Abbassa la musica. Tieni pronto il tuo documento d’identità per il controllo. Tieni il piede sul pedale del freno. Assicurati, quando il soldato ti fa un cenno con le braccia, di non premere per sbaglio il pedale dell’acceleratore.”

Questo fa parte della lista delle cose da fare che mi viene in mente ogni volta che attraverso un posto di blocco militare israeliano in Palestina. È la routine che mio padre mi ha insegnato a 17 anni, quando ho guidato per la prima volta con lui attraverso il famigerato checkpoint di Za’atara [teatro di numerose uccisioni e ferimenti di palestinesi, n.d.tr.], vicino al villaggio della mia famiglia di Jamma’in, nella Cisgiordania occupata.

Per più di 10 anni, da allora, ho familiarizzato con le strade che collegano tutte le principali città palestinesi in Cisgiordania, dalle dolci colline di Hebron a sud, al maestoso paesaggio agricolo della Valle del Giordano, agli infiniti uliveti di Jenin a nord. Ricordo di aver schivato le buche e la gente per le strade di Kufr Aqab nei miei viaggi avanti e indietro tra Ramallah e Gerusalemme. È durante i miei viaggi da un villaggio di famiglia a un altro che ho assistito alla vorace espansione degli insediamenti ebraici nel corso degli anni.

Tuttavia ogni chilometro di queste strade comporta per i palestinesi dei rischi eccezionali.

Dobbiamo condividere le nostre strade con soldati israeliani e coloni armati. Ogni volta che percorriamo la strada, non siamo solo preoccupati di incorrere in un incidente – le corsie sono strette e non ci sono barriere sparti-traffico – ma siamo anche profondamente consapevoli che la minima mossa sbagliata da parte nostra potrebbe farci uccidere dai nostri colonizzatori.

Il regime israeliano di apartheid impone ai palestinesi nei territori occupati di guidare auto con targhe bianche o verdi, in modo da consentire agli israeliani di monitorare e controllare il movimento dei palestinesi prima ancora di rilevarne l’identità.

I cittadini israeliani, al contrario, guidano auto con targa gialla, il che permette loro di vagare liberamente in Cisgiordania e all’interno di Israele, sulla terra che lo Stato ha rubato ai palestinesi nel 1948. Anche i cittadini palestinesi di Israele e quelli che risiedono a Gerusalemme guidano auto con la targa gialla, ma sono comunque schedati sul versante razziale e sottoposti a maltrattamenti ai posti di blocco.

In un’auto con targa bianca o verde devi prendere ulteriori precauzioni e rimanere vigile in questo ambiente sottoposto a controllo razziale. Non esiste una guida piacevole nella tua terra militarizzata e occupata. Non puoi lasciare che la tua mente vaghi nella leggerezza della vita quotidiana. Non puoi fare una svolta sbagliata o finirai all’ingresso pattugliato di un insediamento coloniale israeliano. Non puoi lasciare che la tua mente ceda al torpore o potresti accidentalmente premere l’acceleratore invece del pedale del freno mentre ti trovi ad un posto di blocco.

I ricordi dei miei viaggi in Palestina si sono riaccesi quando ho saputo che Ahmed Erakat, un palestinese di 27 anni, è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco dai soldati israeliani dopo che la sua auto ha sterzato finendo contro una guardiola in un posto di blocco a Gerusalemme est.

Non è ancora chiaro cosa sia successo esattamente, ma sappiamo che Ahmed stava andando a prendere i suoi familiari presso il salone di un parrucchiere a Betlemme nel giorno del matrimonio di sua sorella.

Posso solo immaginare l’ansia e la tensione che Ahmed deve aver provato. Aveva il compito di assicurarsi che tutti arrivassero agli appuntamenti in tempo, e per di più nel giorno delle nozze, quando lo stress tra i familiari non può non essere particolarmente intenso. Questi compiti diventano ancora più stressanti quando si deve avere a che fare con i posti di controllo che è necessario attraversare prima di assicurarsi che tutto vada per il meglio.

So quanto può essere intensa questa esperienza, perché è successa a me.

Il giorno del matrimonio di mio fratello, due anni fa, io, come Ahmed, ero incaricato delle commissioni. Usando un’auto a noleggio con targa verde che mi aveva prestato mio padre, quel giorno dovevo guidare tra Nablus e Ramallah più volte – un tragitto per cui si impiegano almeno 40 minuti per ciascuna direzione – per trasportare i familiari nei luoghi dei loro vari impegni. Durante tutto quel tempo il mio telefono non smetteva di squillare: o venivo sgridato per essere in ritardo o incaricato di un altro compito. L’ ansia e lo stress avevano raggiunto il massimo, divorando la mia mente.

Giunto al posto di controllo di Za’atara, invece di rallentare, ho accidentalmente premuto l’acceleratore e ho quasi invaso la fermata dell’autobus dove si trovavano alcuni coloni israeliani. Fortunatamente, sono stato in grado di azionare rapidamente i freni prima che fosse troppo tardi. So che quell’errore avrebbe potuto costarmi la vita attraverso la canna di una pistola. Sarei potuto finire come un altro “terrorista”, accusato della mia morte, dipinto come un palestinese che avesse intenzionalmente spinto la sua auto contro degli ebrei israeliani.

Agli occhi dei nostri colonizzatori e dei loro sostenitori, ai palestinesi non è mai permesso compiere un errore umano. Non possiamo permetterci il lusso di sbagliare. Per loro, cerchiamo solo la morte e la distruzione; non siamo esseri umani che hanno la stessa gamma di emozioni, stress, ansie, preoccupazioni e difetti che potrebbero causare tali incidenti. In questo sistema di apartheid, i colonizzatori devono sempre giustificare la loro occupazione militare e il furto di terra demonizzando i colonizzati.

Ogni volta che sto per mettermi in viaggio dopo aver visitato mia nonna, lei mi chiede e supplica di guidare con attenzione. So che le sue parole sono più una preghiera che una raccomandazione. Una preghiera che io non finisca coll’essere un’altra vittima come Ahmed Erakat e innumerevoli altri condannati a morte per la guida in quanto palestinesi.

Izzy Mustafa è un organizzatore [di campagne a favore dei diritti umani in Palestina n.d.tr.] palestinese che vive a Brooklyn, New York.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)

 




Le forze israeliane uccidono un giovane palestinese mentre va al matrimonio di sua sorella

Akram Al-Waara

Abu Dis, Cisgiordania occupata

23 giugno 2020 – Middle East Eye

Ahmad Erekat stava andando a prendere sua madre, sua sorella e dei fiori quando gli hanno sparato a morte, dice la famiglia.

Era appena prima del suo matrimonio, e Eman Erekat stava ricevendo gli ultimi ritocchi ai capelli e al trucco nel salone di bellezza di Betlemme, quando il telefono di sua madre è squillato.

Sua madre ha risposto pensando di sentire suo figlio che diceva di essere là fuori pronto a portarle a casa. Invece ha sentito una voce dall’altra parte che le comunicava la tremenda notizia: suo figlio era stato ucciso.

Mentre stava andando a prendere sua madre e sua sorella, Ahmad, di 27 anni, era stato colpito e ucciso dalle forze israeliane al checkpoint militare ‘Container’, tra Betlemme e la casa della famiglia Erekat nella città di Abu Dis, fuori Gerusalemme est.

In una dichiarazione la polizia israeliana ha sostenuto che, quando è stato colpito, Ahmad aveva tentato di investire dei poliziotti israeliani che presidiavano il checkpoint. Sembra che una soldatessa sia rimasta lievemente ferita e sia stata trasferita in un ospedale di Gerusalemme.

Ma la sua famiglia ha detto di non poter assolutamente immaginare che Ahmad possa aver compiuto un simile attacco, ancor meno nel giorno delle nozze di sua sorella.

Quando abbiamo saputo la notizia non ci potevamo credere. Siamo ancora sotto shock”, ha detto a Middle East Eye Emad Erekat, cugina di Ahmad. “Ahmad non avrebbe mai potuto progettare di attaccare i soldati, come loro sostengono.”

La spiegazione più logica dello sbandamento fuori strada dell’auto di Ahmad, ha detto la famiglia, è che Ahmad aveva sicuramente fretta, e potrebbe aver avuto un lieve guasto o aver perso il controllo dell’auto, cosa che i soldati hanno scambiato per un attacco.

Aveva tempi stretti per prendere sua sorella, i fiori e tante altre cose da Betlemme”, ha detto Emad, aggiungendo che Ahmad guidava un’auto a noleggio con targa palestinese, che ha affittato apposta per fare acquisti nel giorno del matrimonio.

Siamo certi al cento per cento che non avrebbe mai fatto ciò. Perché avrebbe dovuto farlo nel giorno delle nozze di sua sorella?”, si chiede Emad.

Gli hanno sparato senza nemmeno pensarci’

Ad Abu Dis centinaia di familiari ed amici si sono radunati presso la casa degli Erekat per piangere la morte di Ahmad che, secondo la sua famiglia, era fidanzato e aveva programmato di sposarsi proprio il mese prossimo.

Nessuno qui riesce a crederci, la gente è sconvolta”, dice Emad. “Sua sorella Eman è svenuta quando ha saputo la notizia. Non riesce nemmeno a parlare, è in totale stato di shock”.

Doveva essere il giorno più felice della sua vita, ma ora è diventato il giorno del funerale di suo fratello”, afferma.

La cugina di Ahmad Noura Erekat, avvocatessa per i diritti umani e docente associata presso la Rutgers University del New Jersey, nel tardo pomeriggio di martedì ha condiviso i suoi pensieri con una serie di commossi post su Twitter.

Mentite. Uccidete. Mentite. Questo è il mio cuginetto”, ha detto.

Gli unici terroristi sono i vigliacchi che hanno sparato per uccidere un bellissimo giovane e lo hanno accusato di questo”.

E’ stato riferito che testimoni oculari della scena hanno detto all’agenzia [palestinese] M’an News che “ciò che è accaduto al [posto di controllo] ‘Container’ non è stato un tentativo di investire (i soldati), bensì l’auto ha sbattuto sul bordo dello spartitraffico dove si trovavano i soldati, facendo sì che le forze d’occupazione israeliane sparassero all’automobile.

Noi non abbiamo visto l’accaduto, ma pensiamo che Ahmad abbia perso il controllo dell’auto per un secondo, e quindi i soldati gli hanno subito sparato senza pensarci due volte”, ha detto Emad.

Organi di informazione locali palestinesi hanno riferito che Ahmad è stato lasciato steso in terra per molto tempo e non ha ricevuto cure mediche dai soldati. Quando le ambulanze israeliane sono arrivate, riportano le notizie, Ahmad era già morto.

Lo hanno lasciato morire’

Un video diffuso sui social media, presumibilmente ripreso da un testimone oculare dell’incidente, mostra Ahmad ferito che giace a terra, curvo in posizione fetale, con una scia di sangue che gli esce dal corpo.

Si vede una soldatessa che cammina avanti e indietro dinanzi a Ahmad con il fucile puntato, mentre dietro la sua auto si forma una fila di auto palestinesi in attesa di attraversare il checkpoint.

Si sente l’uomo che sta filmando dire: “Sono le 15,50 al ‘Container’, un giovane uomo è stato appena fatto diventare un martire. Gli hanno sparato proprio qui davanti a noi. Che riposi in pace.”

L’uomo continua dicendo: “lo hanno lasciato steso in terra finché è morto”.

L’uccisione di Ahmad non è certo la prima di questo genere. Negli scorsi anni in tutta la Cisgiordania e a Gerusalemme est centinaia di palestinesi sono stati uccisi nel corso di presunti attacchi col coltello e con le auto ai checkpoint.

In parecchi casi le famiglie delle vittime palestinesi e i testimoni hanno sostenuto che i presunti “aggressori” sono stati colpiti dopo che incidenti stradali di poco conto sono stati scambiati per attacchi a soldati e coloni israeliani.

Tante persone sono state uccise a questo checkpoint”, dice a MEE Khuthifa Jamus, un’amica di Erekat. “Se sei palestinese, qualunque movimento sbagliato ad un checkpoint può farti uccidere”.

Ci ammazzano a sangue freddo e poi dicono che stavano solo difendendosi”, ha aggiunto Jamus.

Uccisi a sangue freddo’

Da molto tempo i soldati israeliani sono accusati da attivisti e associazioni per i diritti di uso eccessivo della forza contro palestinesi che nel momento in cui sono stati uccisi non costituivano un’immediata minaccia alla vita dei soldati.

Recentemente a Gerusalemme est la polizia israeliana ha sparato e ucciso Eyad al-Halak, un uomo palestinese autistico, mentre stava scappando dai poliziotti. Al-Halak era disarmato e la sua uccisione ha sollevato una diffusa indignazione in tutta la Palestina e all’estero, molti hanno paragonato la sua morte all’uccisione da parte della polizia di George Floyd negli Stati Uniti.

Quest’uomo è stato ucciso a sangue freddo. Stasera c’era il matrimonio di sua sorella”, ha detto martedì il segretario generale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina in una dichiarazione.

Quel che sostiene l’esercito di occupazione (l’esercito israeliano), cioè che tentava di investire qualcuno, è falso”, ha detto Erekat, un parente di Ahmad.

L’uccisione di Ahmad avviene in un contesto di accresciuta presenza dei soldati israeliani nei territori occupati in quanto Israele si prepara all’annessione [di parti della Cisgiordania, ndtr].

Mentre i generali dell’esercito israeliano prevedono una fiammata di violenza a causa delle politiche israeliane, molti soldati hanno elevato il livello di allerta per presunti attacchi da parte di palestinesi.

Anche se Ahmad avesse compiuto un attacco, cosa che non era, il problema è che i soldati e questi checkpoint prima di tutto non dovrebbero essere qui”, ha detto una commossa Jamus. “Questa è la colpa dell’occupazione, stare qui e ucciderci senza ragione, continuamente.”

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Eyad al-Halak: un altro crudele assassinio di un palestinese insabbiato da Israele

Gideon Levy

5 giugno 2020 – Middle East Monitor

L’uccisione da parte della polizia di un uomo palestinese autistico mette ancora una volta in luce le orribili diseguaglianze che caratterizzano lo Stato israeliano.

Quella mattina Eyad al-Halak è uscito di casa circa alle sei. I suoi familiari dicono che era di buonumore. Il video di una fotocamera di sorveglianza non lontano dalla sua casa lo mostra mentre cammina con un sacco dell’immondizia. Portava sempre fuori la spazzatura quando usciva di casa al mattino.

Halak stava andando alla struttura sanitaria dove si recava ogni mattina negli ultimi sei anni. È entrato nella Città Vecchia di Gerusalemme attraverso la Porta dei Leoni ed ha proseguito lungo via Re Faisal, l’inizio della Via Dolorosa. Era diretto a Elwyn El-Quds, un centro per persone disabili, distante qualche centinaio di metri dalla Porta dei Leoni, vicino all’entrata di piazza Al-Aqsa.

Mondo in frantumi

Sabato scorso Halak non ha mai raggiunto la sua destinazione. Poliziotti di frontiera israeliani hanno iniziato ad inseguirlo gridando: “Terrorista! Terrorista!”. Il motivo non è chiaro. Gli hanno sparato, a quanto pare colpendolo a una gamba. Preso dal panico, lui è corso in un gabbiotto per i rifiuti a fianco della strada, nel tentativo di nascondersi.

La sua psicologa del Centro Elwyn, Warda Abu Hadid, che stava anch’essa andando al centro, ha cercato di nascondersi nello stesso posto per sfuggire alla polizia e ai suoi spari.

Tre poliziotti di frontiera sono arrivati velocemente all’ingresso della discarica. Halak stava disteso sulla schiena sul sudicio pavimento. La sua psicologa ha visto che la sua gamba sanguinava. I tre poliziotti stavano là, coi fucili spianati, e gridavano a Halak: “Dov’è il fucile? Dov’è il fucile?”

Abu Hadid, la sua psicologa, ha gridato loro, sia in arabo che in ebraico: ”É un disabile! È un disabile!” Halak urlava: “Sono insieme a lei! Sono insieme a lei!” Ciò è andato avanti per circa cinque minuti, finché uno dei poliziotti ha sparato a Halak col suo M-16 a distanza ravvicinata. Un proiettile lo ha colpito vicino alla cintola e ha raggiunto la spina dorsale, danneggiando diversi organi interni e uccidendolo sul colpo.

Così è finita la breve vita di Eyad al-Halak, un giovane palestinese affetto da autismo, con un viso d’angelo. Aveva 32 anni ed era la pupilla degli occhi dei suoi genitori. Si sono presi cura di lui con totale dedizione per tutti questi anni ed ora tutto il loro mondo è andato in frantumi.

Non è difficile immaginare che cosa sarebbe successo se un palestinese avesse ucciso in modo simile un israeliano con disabilità. Ma quando la vittima è palestinese è permesso quasi tutto.

Ucciso perché palestinese

Negli ultimi anni almeno altri quattro palestinesi con disabilità simili sono stati uccisi da soldati o poliziotti. Due settimane prima dell’uccisione di Halak le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso Mustafa Younis, un cittadino palestinese di Israele con un deficit psichiatrico, all’ingresso del Centro Medico Sheba, uno dei più grandi ospedali di Israele, dopo che Younis aveva accoltellato una guardia di sicurezza.

Younis avrebbe potuto essere arrestato, ma una direttiva introdotta in Israele dai territori occupati stabilisce che sparare è la prima opzione preferenziale per le forze di sicurezza, piuttosto che l’ultima istanza.

Ma siamo chiari: il fatto che queste vittime fossero mentalmente disabili non è il vero punto. Non sono state uccise perché disabili, sono state uccise perché palestinesi.

Nello scorso anno, uno dei più tranquilli nella storia di questo sanguinoso conflitto, sono state uccise decine di palestinesi dalle forze israeliane. In quasi tutti i casi non costituivano una minaccia per nessuno; quasi tutti avrebbero potuto essere arrestati, o al limite solo feriti, piuttosto che uccisi.

Due giorni dopo l’uccisione di Halak suo padre, in lutto, mi ha detto che quando è stato informato che suo figlio era stato ferito, ha capito che era stato ucciso. “L’esercito e la polizia israeliani non si limitano mai a ferire, sanno solo uccidere”, ha detto il padre di Halak nella sua camera mortuaria nel quartiere di Wadi Joz.

Tra i palestinesi uccisi nei territori occupati nei mesi scorsi c’erano giovani donne che hanno tentato di aggredire a colpi di forbice le forze armate di sicurezza ai checkpoint; giovani uomini che hanno cercato di accoltellare un soldato ma sono a stento riusciti a colpirne uno di striscio; persone in auto che hanno danneggiato veicoli militari, forse accidentalmente, forse in attacchi intenzionali; giovani che hanno lanciato pietre e a volte bottiglie molotov che non hanno ferito nessuno né causato alcun danno; manifestanti disarmati e persone che tentavano di infiltrarsi in Israele; infine alcuni che non avevano fatto assolutamente niente, né progettato di fare niente – persone come Eyad al-Halak, il giovane che sua madre ha definito un angelo.

Collaborazionisti dell’informazione

Non è una coincidenza che proprio all’interno di Israele quasi tutte le persone erroneamente uccise dalla polizia israeliana – che diventa più violenta ad ogni anno che passa – siano stati cittadini palestinesi di Israele. A volte sono ebrei etiopi. Ogni volta che un ladro di auto o un manifestante o qualcuno il cui comportamento è ritenuto sospetto, o chiunque altro, viene ucciso dalla polizia, quasi sempre si scopre che si tratta di arabi.

Non si tratta di occupazione, né di terrorismo. Si tratta del leggerissimo tocco del dito sul grilletto quando il bersaglio è palestinese. Non c’è niente più a buon mercato nell’Israele di oggi delle vite dei palestinesi.

I media sono i più ignobili collaboratori dell’occupazione e del razzismo in Israele. I mezzi di informazione israeliani insabbiano ogni uccisione erronea, la occultano, la giustificano, quando la vittima è palestinese. La copertura mediatica di questi eventi è minima. Il messaggio è: un arabo morto, non è una notizia…..nulla di interessante o nulla di importante, o entrambe le cose.

Persino in un caso tanto scioccante come l’esecuzione di Halak la copertura mediatica è di rado adeguata. La storia in genere è trattata marginalmente o semplicemente ignorata. Gli israeliani non vogliono saperne e i media preferiscono non turbarli. Questi stessi media nel frattempo ingigantiscono con gran rumore ogni caso di ferimento di un ebreo, trasformandolo in un racconto epico da apocalisse, spinto ad un livello di decibel difficile da misurare.

Impunità delle forze israeliane

C’è poi ovviamente la questione della punizione. In generale, quando vengono uccisi dei palestinesi dalle forze israeliane, o non viene avviata alcuna indagine o questa viene annunciata, ma in seguito affossata o archiviata senza esito. Il messaggio a soldati e poliziotti è chiaro: uccideteli e non vi accadrà niente di male.

Nel frattempo in Israele vige il sempre attivo lavaggio del cervello, che include la disumanizzazione e la demonizzazione dei palestinesi. Fino a prova contraria ogni palestinese è una bomba terrorista in procinto di scoppiare. Ogni palestinese ucciso lo è legittimamente e tutti gli assassini si trovavano sotto minaccia mortale.

Persino il linguaggio usato per descrivere queste morti nei media israeliani racconta una storia diversa quando la vittima è un ebreo rispetto a quando è un palestinese. Un palestinese non viene mai “assassinato” da un soldato o da un colono. Un ebreo ucciso da un palestinese è sempre “assassinato”, anche se il soldato sta compiendo una brutale irruzione nella casa di una famiglia nel cuore della notte senza alcun motivo.

Questo occultamento operato dalla collaborazione e dal lavaggio dei cervelli da parte dei media, unitamente all’impunità e ai valori razzisti così profondamente radicati nella coscienza israeliana, crea una situazione in cui la vita umana perde valore.

Nessuna pace senza uguaglianza

Se un soldato o un poliziotto israeliano domani sparassero a un cane, chi ha sparato sarebbe quasi certamente punito più severamente che se avesse sparato a un palestinese. Anche nei media la morte di un cane randagio è comunemente una notizia più importante di un palestinese morto.

Ovviamente sparare a qualunque essere vivente è proibito – ma quando la morte di un cane crea più indignazione di quella di un palestinese, la cosa è davvero grave.

Forse sta qui il punto cruciale per il cambiamento, le cui prospettive continuano ad allontanarsi: finché le vite dei palestinesi saranno così svalutate dagli israeliani, che al tempo stesso giurano di proteggere la santità delle vite degli ebrei, nessuna soluzione politica, se mai un giorno se ne raggiungesse una, sarà praticabile.

Stanti i valori che tengono in poco conto la vita, disumanizzare “l’altro” e giustificare ciecamente la sua uccisione ignorando il suo essere vittima, non ci può essere eguaglianza nella consapevolezza, senza la quale la pace non potrà mai realizzarsi.

In verità è questa la cosa fondamentale: che loro e noi siamo esseri umani uguali con uguali diritti- e quanto lontana ed irrealistica sembri oggi questa idea.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye

Gideon Levy è un giornalista di Haaretz e membro del direttivo editoriale del quotidiano. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ne è stato per quattro anni vice caporedattore. Nel 2008 ha vinto il premio giornalistico Euro-Med; nel 2001 il premio Leipzig Freedom; nel 1997 il premio Israeli Journalists’Union; nel 1996 il premio dell’Associazione per i Diritti Umani in Israele. Il suo ultimo libro, ‘La punizione di Gaza’, è stato appena pubblicato da Verso.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




La polizia israeliana uccide un palestinese disarmato nella Gerusalemme est occupata

30 maggio 2020 – Al Jazeera

Iyad el-Hallak, 32 anni, frequentava e lavorava in una scuola per disabili nella Città Vecchia, nei pressi della quale è stato colpito a morte.

La polizia israeliana ha colpito e ucciso un palestinese disarmato nei pressi della Città Vecchia nella Gerusalemme est occupata.Secondo l’agenzia di notizie palestinese Wafa l’uomo assassinato, il trentaduenne Iyad el-Hallak, frequentava e lavorava in una scuola per disabili nella Città Vecchia, vicino al luogo in cui è stato colpito sabato mattina.

Un parente, che ha parlato all’agenzia di notizie Associated Press in forma anonima, ha affermato che el-Hallak aveva problemi mentali e si stava dirigendo verso la scuola.

Il portavoce della polizia israeliana Micky Rosenfeld ha affermato che i poliziotti “hanno individuato un sospetto con un oggetto sospetto che sembrava una pistola. Gli hanno detto di fermarsi ed hanno iniziato ad inseguirlo a piedi, e durante l’inseguimento alcuni agenti hanno anche aperto il fuoco contro il sospettato.”

Rosenfeld ha aggiunto che nella zona non è stata trovata nessuna arma.

In seguito alla sparatoria la polizia israeliana ha chiuso la Città Vecchia e mezzi d’informazione locali hanno detto che ai medici è stato vietato di entrare nella zona.

Wafa afferma che “(alcuni palestinesi) hanno detto che è stato colpito da vari proiettili e che è stato lasciato a terra sanguinante per un po’ di tempo finché è morto.”

La polizia ha anche fatto irruzione nella casa di el-Hallak, nel quartiere di Wadi Joz, dove alcuni membri della sua famiglia sono stati interrogati.

Il quotidiano israeliano Haaretz ha affermato che membri della famiglia di el-Hallak negano affermazioni secondo cui egli fosse armato e ha citato le loro affermazioni secondo cui “era incapace di fare del male a una mosca.”

Essi hanno detto che il corpo di el-Hallak è stato trasportato all’istituto di medicina legale Abu Kabir a Tel Aviv, in cui si trovano corpi di palestinesi uccisi in presunti attacchi contro israeliani, aggiungendo che le autorità non hanno fornito loro ulteriori dettagli.

L’istituto è noto come il luogo in cui sono stati asportati organi e parti del corpo di palestinesi.

La sparatoria è giunta il giorno dopo che soldati israeliani hanno ucciso un palestinese nei pressi della città di Ramallah, nella Cisgiordania occupata, che secondo loro cercava di investirli con il suo veicolo. In nessuno dei due episodi sono rimasti feriti israeliani.

Alcune associazioni locali e internazionali per i diritti umani hanno sollevato preoccupazioni per il fatto che le forze di sicurezza israeliane abbiano fatto un uso eccessivo della forza nell’affrontare palestinesi che stavano effettuando o erano sospettati di mettere in atto aggressioni.

Piani di annessione

Gli incidenti sono avvenuti mentre Israele sta portando avanti i suoi progetti di annessione di vaste aree della Cisgiordania, in linea con il cosiddetto piano per il Medio Oriente del presidente USA Donald Trump, che favorisce notevolmente Israele ed è stato rifiutato dai palestinesi.

Il piano consente a Israele di annettere le colonie israeliane, illegali dal punto di vista del diritto internazionale, e zone strategiche in Cisgiordania.

Per la maggior parte della comunità internazionale una simile iniziativa da parte di Israele sarebbe una gravissima violazione delle leggi internazionali e distruggerebbe le speranze di una soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese.

La scorsa settimana l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha affermato di non essere più legata ai precedenti accordi con Israele e con gli USA e di aver interrotto tutti i rapporti [con Israele], compreso il pluriennale coordinamento per la sicurezza – una prassi molto discussa che è stata ripetutamente criticata dalle associazioni palestinesi per i diritti umani.

Israele occupò Gerusalemme est, la Cisgiordania e Gaza – assediata dal 2007 – durante la Guerra arabo-israeliana dei Sei Giorni nel 1967.

I dirigenti palestinesi vogliono che i territori facciano parte del loro futuro Stato, con Gerusalemme est come capitale, mentre Israele considera tutta la città di Gerusalemme come propria capitale.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Soldati israeliani sparano su una famiglia palestinese intenta a raccogliere il grano, ferendo due di loro

International Middle East Media Center (IMEMC)

25 maggio 2020  IMEMC

Dei soldati israeliani hanno attaccato lunedì una famiglia di palestinesi che stavano raccogliendo il grano nei loro terreni agricoli vicino al villaggio di al-Mughayyir, ad est di Gerusalemme. Pare che l’esercito israeliano sia stato chiamato da coloni israeliani che avevano in un primo tempo cercato di infastidire la famiglia palestinese.

Inizialmente i soldati hanno rilasciato una dichiarazione secondo cui due palestinesi avrebbero cercato di attaccarli con falcetti (strumenti agricoli usati per raccogliere il grano). Ma i racconti dei testimoni oculari descrivono in modo molto diverso ciò che è accaduto e mettono in discussione altre dichiarazioni dell’esercito israeliano in cui si sostiene di aver sparato ai palestinesi “per legittima difesa”.

Nel corso delle ultime settimane i coloni israeliani si sono imbaldanziti nei loro assalti ai palestinesi, in coincidenza del fatto che l’amministrazione israeliana di Benjamin Netanyahu ha dato via libera agli attacchi violenti, addirittura incoraggiandoli. In questo caso i coloni israeliani, che diversi giorni fa hanno fondato un nuovo insediamento nelle vicinanze, sono penetrati nei terreni palestinesi per schernire e aggredirel a famiglia che lavorava nella sua proprietà agricola.

Non essendo riusciti a provocare una reazione da parte dei palestinesi, hanno chiamato l’esercito, che è arrivato sulla scena e ha prontamente sparato a due membri della famiglia di agricoltori.

Secondo un resoconto del quotidiano israeliano Haaretz [giornale di centro sinistra, ndtr.], uno degli uomini colpiti, identificato come Murad, ha parlato con i giornalisti riferendo loro: (i soldati israeliani) “hanno iniziato ad avvicinarsi a noi dicendoci di sederci immediatamente. Quindi hanno sparato tre proiettili alla gamba sinistra di mio fratello Imad. Io mi sono avvicinato un po’ e ho chiesto loro di smettere di fare fuoco su di lui, e allora mi hanno sparato all’addome.”

I giornalisti hanno anche parlato con la moglie di Murad, che ha detto: “Eravamo sulla nostra terra, lontano dall’insediamento, e loro sono venuti da noi, non noi da loro”, e un altro testimone oculare ha detto: “Affermare che avrebbe cercato di pugnalare un soldato mentre sua moglie, i suoi figli e tutta la sua famiglia erano lì? Non è mai successo. Stanno cercando di giustificare il fatto di aver sparato.”

In seguito alla dichiarazione dei loro soldati, la maggior parte delle forze armate israeliane ha diligentemente riportato tale dichiarazione come un dato di fatto, per cui il quotidiano israeliano Yedioth Ahranoth [uno dei quotidiani più letti in Israele, di destra, ndtr.] ha scritto: “Le truppe IDF hanno sparato su due palestinesi che, brandendo dei falcetti, tentavano di accoltellare i soldati mentre erano intenti in attività operative in Cisgiordania, vicino a Ramallah. Nessun soldato israeliano è rimasto ferito nell’attacco e i due aggressori sono riusciti a fuggire nonostante fossero stati colpiti da proiettili “.

Questo ovviamente è un resoconto falso dell’accaduto, ma è stato riportato da Yedioth Ahranoth e da altre fonti come un dato di fatto. Yedioth Ahranoth ha anche affermato che questo incidente è avvenuto durante una “rivolta di giovani palestinesi”, un’altra ovvia menzogna, poiché la realtà è che una famiglia palestinese stava raccogliendo il proprio grano quando è stata aggredita da coloni paramilitari israeliani, e poi è stata colpita dagli spari di soldati israeliani armati.

Solo Haaretz ha dedicato del tempo alle interviste dei testimoni oculari e alla ricerca della verità su ciò che è accaduto, inducendo l’esercito a ritirare le proprie iniziali false dichiarazioni.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Il processo di pace non ha mai inteso dare ai palestinesi uno Stato: rivelazioni dal Council on Foreign Relations

Philip Weiss

22 maggio 2020 – Mondoweiss

Steven Cook, del Council on Foreign Relations [Consiglio sulle Relazioni Internazionali: organizzazione indipendente statunitense fondata nel 1921 che promuove la comprensione delle relazioni internazionali e della politica estera, ndtr], ha pubblicato su Foreign Policy [prestigiosa rivista bimestrale statunitense dedicata alle relazioni Internazionali, ndtr] un articolo che afferma che gli Stati Uniti dovrebbero eliminare gradualmente gli aiuti a Israele e “porre fine rapporto privilegiato [con Israele]” perché il processo di pace ha raggiunto il suo vero obiettivo: Israele è riconosciuto come un Paese sicuro con un tenore di vita alla stregua del Regno Unito e della Francia e senza alcuna reale minaccia militare.

L’articolo è sconvolgente in quanto rivela l’essenza del processo di pace, dicendo esattamente ciò che Edward Said, Rashid Khalidi e Ali Abunimah [autorevoli scrittori e studiosi americani-palestinesi; l’ultimo è uno dei più autorevoli sostenitori della soluzione attraverso uno Stato unico, ndtr.] hanno sostenuto decenni or sono, cioè che fosse destinato a fallire, senza mai condurre ad un’ indipendenza palestinese.

Cook afferma che l'”interesse principale” degli Stati Uniti in Medio Oriente è sempre stato la “sicurezza” di Israele, quindi il processo di pace doveva girare in tondo all’infinito.

I politici statunitensi hanno a lungo creduto che una soluzione con due Stati fosse il modo migliore per garantire la sicurezza di Israele, e i presidenti degli Stati Uniti, da Bill Clinton a Barack Obama allo stesso Donald Trump, hanno ripetutamente perseguito tale obiettivo. Ma il fatto per lo più sconosciuto riguardo all’impasse dei due Stati – e forse il motivo per cui Washington non ha dimostrato la volontà politica di superarlo – è che essa ha consentito agli Stati Uniti di raggiungere uno dei [suoi] interessi fondamentali nella regione: contribuire a garantire la sicurezza di Israele …

La “tragedia” per i palestinesi, spiega Cook, è che si sono fidati degli Stati Uniti e “hanno interpretato erroneamente” gli interessi principali degli Stati Uniti; ma ora saranno costretti a vivere per sempre in Bantustan [denominazione dei territori circoscritti e separati in cui erano costrette a vivere le popolazioni di etnia nera nel Sud Africa al tempo dell’Apartheid, ndtr.].

La tragedia in tutto ciò è costituita dalla spoliazione permanente dei palestinesi, che senza dubbio saranno indignati per il fatto che Washington si stia lavando le mani del conflitto, affidandoli al destino di dover vivere per sempre sotto lo stivale dell’IDF [le forze armate israeliane, ndtr.] o ammassati all’interno di Bantustan. La loro rabbia è giustificabile. Hanno anche frainteso gli interessi fondamentali degli Stati Uniti in Medio Oriente, che in realtà non hanno a che fare con i palestinesi i quali, nonostante ogni prova contraria, si sono fidati degli Stati Uniti.

La prossima volta che qualcuno dirà che gli arabi dicono il falso o che gestiscono la politica estera come un suk, bisognerà ricordargli che persino un esperto del Council on Foreign Relations afferma che gli Stati Uniti hanno ingannato i palestinesi con 25 anni di false promesse.

L’ovvia domanda che si pone è sul perché distruggere i diritti umani palestinesi sia un interesse cruciale degli Stati Uniti – anzi, perché il sionismo sia un interesse cruciale degli Stati Uniti – e sì, in che misura questo rifletta il potere della lobby israeliana nella nostra politica. Per una generazione abbiamo avuto mediatori della Casa Bianca che sono stati definiti “gli avvocati di Israele” o che dicevano al pubblico della sinagoga “dobbiamo essere i sostenitori di Israele”, o che sono passati direttamente dai loro incarichi nella Casa Bianca di Obama a un lavoro a favore di Israele (sia Dan Shapiro [già ambasciatore degli Stati Uniti in Israele durante l’incarico di Obama, ndtr.] che Tamara Cofman Wittes [scrittrice ed esperta di questioni medio-orientali; vice assistente del segretario per gli Affari del Vicino Oriente presso il Dipartimento di Stato dal novembre 2009 al gennaio 2012, ndtr.]).

Nessuno di questi impostori ha mai avuto alcun reale interesse a concedere una qualunque forma di indipendenza ai palestinesi.

E quanto è stata funzionale a quell’interesse “fondamentale” anche l’instabilità dei Paesi vicini? Israele è messo bene, dice Cook, perché “Iraq e Siria sono in rovina”. E il Libano si sta sgretolando.

Dovremmo essere grati a Cook per aver affermato che l’obiettivo del processo di pace fosse il fallimento; e che il fallimento avrebbe salvaguardato unicamente gli interessi di Israele.

L’Israel Policy Forum ha espresso un’ analoga visione quando Netanyahu l’anno scorso ha iniziato a preannunziare l’annessione della Cisgiordania.

[L’annessione] aggraverà le divisioni tra i sostenitori di Israele negli Stati Uniti, alla fine eroderà la sicurezza di Israele, consegnerà una vittoria evitabile e netta al movimento BDS e manderà all’aria decenni di politica attentamente calibrata su Israele.

“Decenni di una politica attentamente calibrata su Israele” significa che i sionisti, progressisti o meno, sostengono a parole uno Stato palestinese ma alla fine non hanno nessun problema riguardo l’occupazione, perché lo status quo è favorevole a Israele – è una prospera democrazia per gli ebrei e l’apartheid per i palestinesi è una tragedia ma non vale la pena perderci il sonno.

E quando emerge un tentativo reale di far pagare a Israele un prezzo per le sue violazioni dei diritti umani, i sionisti progressisti saltano su ad etichettare il BDS come antisemita.

Un ringarziamento a Scott Roth.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Paradosso nell’era del corona virus: il muro israeliano “protetto” dai palestinesi!

Suha Arraf

16 aprile 2020 +972 Magazine

Palestina Cultura è Libertà

È una storia che persino uno sceneggiatore avrebbe difficoltà a inventare: temendo che i palestinesi che lavorano all’interno della Linea Verde possano portare il nuovo coronavirus in Cisgiordania, i palestinesi stanno segnalando le rotture della barriera di separazione che divide Israele dai territori occupati. I membri dei Comitati popolari, che negli ultimi due decenni hanno promosso manifestazioni non violente contro il muro di cemento e le recinzioni metalliche che compongono la barriera, stanno cercando di ripararne i buchi.

Funzionari palestinesi affermano che il governo israeliano non riesce a mantenere adeguatamente la barriera, permettendo così ai lavoratori palestinesi di entrare liberamente Israele attraverso varchi aperti nella recinzione metallica e nei canali di drenaggio, e di tornare senza alcun tipo di controllo medico. Secondo i media israeliani, quasi i due terzi di tutti i casi confermati di COVID-19 nei Territori Occupati possono essere fatti risalire ai lavoratori palestinesi di ritorno da Israele.
Con una strana giravolta, alcuni hanno persino iniziato a vedere la barriera come una misura protettiva, sostenendo che ha contribuito a prevenire la più ampia diffusione di COVID-19 in Cisgiordania e ha permesso all’Autorità Palestinese di tenere sotto controllo il numero di casi .

Rafaa Rawajbeh, il governatore di Qalqilya nella Cisgiordania settentrionale, accusa Israele di aver intenzionalmente cercato di diffondere il coronavirus nei territori occupati. “È una cospirazione deliberata da parte di Israele”, afferma. “Perché adesso, per la prima volta, stanno aprendo cancelli e canali di drenaggio senza schierare soldati? È un chiaro tentativo di danneggiare noi e i nostri sforzi [per fermare la diffusione] in modo che ci sia un focolaio di malattia.

Rawajbeh non è l’unico a fare questa affermazione, che Israele ha negato con forza, definendolo “incitamento razzista”. Un funzionario della difesa israeliano ha minacciato di ridurre la libertà di movimento per il personale di sicurezza palestinese se la “campagna di incitamento” dovesse continuare – gli stessi ufficiali palestinesi che hanno stazionato ai posti di blocco in Cisgiordania per settimane per cercare di prevenire un’ulteriore diffusione della malattia. In altre parole, se l’Autorità Palestinese non smette di accusare Israele di consentire la diffusione del virus, Israele interverrà sulla capacità dell’AP di combattere quel virus.

Il governatore di Jenin Akram Rajoub rifiuta l’ affermazione di una cospirazione israeliana volta a peggiorare l’epidemia di coronavirus. “Se il virus si diffonde nei territori occupati”, dice, “anche Israele ne risentirà”.
Tuttavia, ritiene che Israele “voglia mettere in imbarazzo” l’AP. “Non possono tollerare l’idea che siamo riusciti a far acquisire credito all’Autorità palestinese”, afferma Rajoub. “Vogliono che sembriamo deboli di fronte alla nostra gente, perché incapaci di adempiere ai nostri obblighi”.

Oltre a indebolire l’AP, che finora ha avuto un relativo successo nel prevenire la diffusione del virus (al momento in cui scrivo, ci sono 308 casi confermati di COVID-19 e due decessi in aree controllate dall’AP, rispetto a 11.868 casi e 117 morti in Israele), Rajoub ritiene che l’altro obiettivo principale di Israele sia quello di risparmiare danni alla propria economia. Questo, dice, è il motivo per cui il governo sta prendendo “ogni misura possibile” per garantire che i lavoratori palestinesi siano in grado di raggiungere il loro posto di lavoro all’interno della Linea Verde.

Rajoub afferma di aver visto personalmente soldati israeliani in piedi pigramente mentre i lavoratori palestinesi entravano in Israele attraverso le rotture nel recinto di separazione. Questa settimana, dice che ha visitato Anin, un villaggio palestinese nella Cisgiordania settentrionale, insieme a membri del Comitato di emergenza, istituito per servire i villaggi e le comunità lungo la barriera. Lì, gli è stato detto da un membro del Coordinamento Palestinese e del Quartier Generale di collegamento che le Autorità israeliane hanno avvertito che avrebbero sparato a chiunque si fosse avvicinato alla recinzione. Eppure ha visto tre palestinesi attraversare la barriera pienamente visibili a una jeep dell’esercito israeliano, mentre i soldati osservavano senza reagire.

“Vogliono che i lavoratori si infiltrino in Israele e stanno impedendo al Comitato di Emergenza e ai funzionari della sicurezza palestinese di raggiungere [la barriera] per fermarli”, afferma Rajoub.
La recinzione metallica nell’area di Jenin in Cisgiordania è “piena di brecce”, continua Rajoub. “Questo stava già accadendo prima del corona [virus], ma non ci preoccupavamo delle violazioni perché era nel nostro interesse che i lavoratori entrassero in Israele. Ma dal momento in cui è scoppiato il coronavirus, fa paura” aggiunge.

Israele sapeva esattamente dove era stata aperta la barriera anche prima della crisi del coronavirus, secondo Rajoub. Tuttavia, funzionari israeliani gli hanno detto che non hanno il budget per riparare il danno o forze di sicurezza sufficienti per proteggere la barriera. “Potrebbero fare qualcosa, ma non vogliono”, dice.

L’AP ha inviato le sue forze a Jenin e attraverso la Cisgiordania per impedire ai lavoratori palestinesi di avvicinarsi alla barriera per entrare in Israele, in coordinamento con i volontari del Comitato di emergenza. Le forze dell’AP hanno anche istituito posti di blocco all’interno della Cisgiordania per far rispettare le istruzioni del Ministero della Sanità palestinese e anche per monitorare il movimento dei lavoratori. Il primo ministro Mohammed Shtayyeh, conoscendo la sensibilità dei palestinesi nei confronti dei checkpoint, ha proposto di chiamarli “Love Checkpoint” o “Compassion Checkpoint”.

Il governatore di Qalqilya Rawajbeh dipinge un quadro simile a Rajoub. “Nella sola area di Qalqilya, ci sono più di 50 aperture in 54 chilometri [di recinzione]”, afferma. Analogamente a quanto testimoniato da Rajoub, Rawajbeh descrive come i canali di drenaggio di solito sigillati da griglie di ferro – messi in atto per impedire ai palestinesi di attraversare la Linea Verde – siano stati aperti giovedì scorso dai soldati israeliani, che hanno poi lasciato i canali incustoditi.

“I lavoratori sono passati [in Israele] attraverso questi canali e non c’erano soldati israeliani dall’altra parte”, dice Rawajbeh. Una troupe televisiva palestinese che filmava in quel sito giovedì ha usato uno di questi canali per andare in Israele; nel loro filmato, il reporter è visto in piedi sul lato israeliano della recinzione, senza nessun altro in giro.
“La loro scusa è che pioveva, motivo per cui hanno aperto le griglie”, dice. “Ma pioveva ben poco, mentono. “

Secondo Rawajbeh, le precedenti richieste dei palestinesi di aprire i canali al fine di prevenire le inondazioni, erano state accolte solo dopo colloqui formali e coordinamento con l’amministrazione civile, il governo militare israeliano in Cisgiordania. Ma anche allora, la griglia è stata aperta per 2-3 ore al massimo, sotto la costante sorveglianza dei soldati israeliani dall’altra parte.
Giovedì, dice Rawajbeh, Israele ha ritardato la richiesta dei palestinesi di chiudere la griglia, il che significa che i lavoratori palestinesi sono stati in grado di attraversare liberamente dentro e fuori Israele, senza alcun tipo di controllo medico o di sicurezza al loro ritorno. Domenica, tuttavia, le griglie sono state chiuse nuovamente.

Riad Abu Hamdeh, 55 anni, residente nel villaggio di Hableh a sud di Qalqilya e direttore di una società per la sicurezza, si è offerto volontario durante la notte, con i Comitati popolari, per cercare di impedire ai lavoratori palestinesi di entrare in Israele. “Mi prendo cura del mio villaggio e della mia gente”, dice. “I paesi grandi e potenti stanno crollando a causa del coronavirus; l’Autorità [palestinese] ha poche risorse e Dio vieta che il virus si diffonda qui. “

Ci sono quattro brecce nel recinto attorno al suo villaggio e il cancello è aperto, dice Abu Hamdeh. I volontari lavorano in tre turni vicino alla recinzione, pattugliandone la lunghezza a una distanza di 50 metri da ogni breccia. Se si avvicinano, dice, i soldati apriranno il fuoco contro di loro.

“Non appena vediamo i lavoratori, proviamo a convincerli a tornare a casa”, spiega Abu Hamdeh. “Alcuni di loro si convincono; altri iniziano a discutere con noi, dicendo che non andranno in Israele solo se pagheremo loro il salario.
“Ci coordiniamo pienamente con le forze di sicurezza palestinesi”, continua. “Quando un lavoratore entra da Israele, arriva un’ambulanza e [l’equipaggio] effettua un controllo. Se cerca di andare in Israele, lo portano a casa. Durante il mio turno, siamo riusciti a rimandare indietro circa 20 lavoratori che stavano cercando di entrare in Israele. “

Abu Hamdeh afferma di aver visto come i soldati hanno aperto le cosiddette “porte agricole” nella recinzione. Queste porte consentono agli agricoltori palestinesi di raggiungere rapidamente la loro terra che è stata lasciata sul lato “israeliano” del muro, dopo l’ esame dei loro permessi di ingresso.
“Ho visto con i miei occhi come i soldati aprono le porte e se ne tengono alla larga”, dice. “Una volta abbiamo persino chiuso il cancello noi stessi. I soldati ci hanno visto e ci hanno urlato di tornare indietro. Non abbiamo le chiavi del cancello o alcun modo per chiuderlo, quindi lo chiudiamo con un filo di ferro, una corda o qualsiasi cosa abbiamo a disposizione. “

Poi Abu Hamdeh racconta di aver visto i soldati israeliani guardare mentre i lavoratori palestinesi attraversavano. “Hanno posto loro una domanda e non li hanno controllati”, afferma. “Questo è un nuovo fenomeno. Solo ai tempi del coronavirus. Prima del coronavirus chi avrebbe osato avvicinarsi alla recinzione? Gli avrebbero immediatamente sparato. “
“Prima del coronavirus, c’erano sempre due tre jeep militari che pattugliavano il recinto”, continua. “Oggi ce n’è solo una.”

Ma al di là dello strano comportamento dei soldati e del fatto che i palestinesi sono ora diventati i protettori della barriera, rimane la questione dell’Autorità Palestinese. “Onestamente si può dire che l’AP ha affrontato la crisi del coronavirus meglio degli israeliani”, afferma Rajoub, governatore di Jenin. Con le mani legate e con scarse risorse, l’AP ha fatto un lavoro migliore di Israele, che si considera una superpotenza in materia di scienza e medicina e l’unica democrazia in Medio Oriente, dice. “Abbiamo imbarazzato Israele. Abbiamo ottenuto risultati che Israele non ha ottenuto. Questo è ciò che ha causato la tensione e i problemi “.

Non si tratta affatto di gelosia, dice il sindaco. “Il loro interesse è politico. Il loro obiettivo è presentarci come deboli, sottomessi e sotto il controllo israeliano, il nostro custode. Stanno cercando di dirci: “Siamo i vostri benefattori, siamo quelli istruiti, siamo quelli con i mezzi e le capacità e voi non siete niente”.

Dato che la reputazione dell’AP sembra migliorare tra i palestinesi della Cisgiordania, afferma Rajoub, Israele è più determinato a indebolirla. “La crisi del coronavirus ha notevolmente rafforzato la posizione dell’Autorità tra il popolo palestinese”, afferma. “Questa è la prima volta da Oslo che io, in quanto membro del governo, sento che il popolo palestinese sta lodando le forze di sicurezza e il governo palestinese. [Israele] vuole indebolire l’AP e minare il morale e la fiducia del popolo palestinese nella sua leadership politica e di sicurezza “.

In risposta alle accuse secondo cui ha aperto i canali di drenaggio, il Coordinamento delle attività governative nei territori (COGAT), che sovrintende alla politica israeliana in Cisgiordania, ha espresso rammarico per il fatto che “mentre lo Stato di Israele sta aiutando l’Autorità palestinese a gestire meglio la lotta globale contro lo scoppio del coronavirus, il governatore di Qalqilya sceglie di parlare contro Israele. “

COGAT ha inoltre affermato che, in previsione della pioggia, le autorità hanno aperto i canali di drenaggio nell’area di Qalqilya per prevenire inondazioni “per il benessere dei palestinesi che vivono nell’area”. L’affermazione secondo cui i canali erano stati aperti per l’ingresso dei lavoratori senza controlli, è “falsa e sganciata dalla realtà”, ha aggiunto, questo tipo di procedura è comune durante il tempo piovoso e nota alle autorità palestinesi.

COGAT non ha risposto alla richiesta di riparare le aperture nella recinzione.
Per quanto riguarda le accuse secondo cui l’esercito israeliano non controlla i canali aperti e le aperture nella recinzione, consentendo così ai lavoratori di passare, il portavoce dell’IDF ha dichiarato che “contrariamente alle accuse, l’impegno difensivo continua come al solito”.

Una versione di questo articolo è stata pubblicata per la prima volta in ebraico su Local Call.

Traduzione di Alessandra Mecozzi