Coloni israeliani entrano a Gaza per fondare un avamposto ‘simbolico’

Oren Ziv

1 marzo 2024 – +972 Magazine

Decine di coloni e attivisti di destra hanno assaltato il valico di Erez e costruito due strutture di legno senza che soldati e polizia intervenissero.

Ieri pomeriggio oltre 100 israeliani hanno assaltato il valico di Erez nel nord di Gaza nel più significativo tentativo di ristabilire colonie ebraiche nella Striscia dall’inizio della guerra. Un gruppetto è riuscito a penetrare a Gaza per parecchie centinaia di metri prima di essere intercettato da soldati israeliani, mentre circa altri 20 sono entrati nell’area fra i due muri che costituiscono la barriera che cinge la Striscia. Là hanno stabilito un “avamposto” nello stile che si vede comunemente in Cisgiordania, costruendo per parecchie ore senza interventi da parte di esercito o polizia. 

Dai primi momenti della guerra è stato chiaro che i politici israeliani di destra e i leader dei coloni hanno percepito l’opportunità di cambiare radicalmente lo status quo in Israele-Palestina. Per mesi ci sono state richieste sempre più pressanti, non ultima a gennaio in un’importante conferenza a Gerusalemme in cui alti funzionari hanno presentato i loro piani per rioccupare Gaza, spesso mentre si chiedeva contestualmente di espellere dalla Striscia i suoi 2.3 milioni di abitanti palestinesi. In parallelo attivisti di destra, quasi tutti giovani, hanno cominciato regolarmente a dimostrare contro l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia nei pressi della recinzione di Gaza. Tuttavia l’azione di ieri ha marcato un nuovo picco nelle loro attività. 

Verso le 14 gli attivisti hanno cominciato a riunirsi in una stazione ferroviaria a Sderot, città nel sud di Israele vicino a Gaza. In quel punto di incontro iniziale per quella che era ufficialmente una “protesta” per rendere onore a Harel Sharvit, un colono ucciso mentre prestava servizio a Gaza, l’atmosfera era calma, persino sonnolenta. Un’auto della polizia è passata nei pressi senza reagire a quanto stava avvenendo. Da qui gli attivisti si sono mossi in auto private verso il checkpoint di Erez, l’unico valico civile fra Israele e la Striscia di Gaza, classificato dall’esercito israeliano come “zona militare chiusa” da quando è stata brevemente occupata dai palestinesi nel corso dell’attacco guidato da Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre. 

Arrivati vicino al posto di blocco gli attivisti sono usciti dalle loro auto e hanno iniziato una manifestazione. A questo punto hanno incontrato un altro convoglio di veicoli pieni di “giovani delle colline”, giovani coloni violenti che regolarmente stabiliscono nuovi avamposti in Cisgiordania e attaccano i palestinesi per costringerli a lasciare le loro terre. Almeno due di loro erano armati di fucili come quelli usati dall’esercito, e hanno portato materiali da costruzione per erigere un avamposto. 

A un certo punto alcuni di loro hanno cominciato a correre verso il posto di blocco e sono riusciti ad attraversarlo non ostacolati dai pochi soldati presenti incapaci di fermarli. Nello spazio fra i due muri che circondano la Striscia circa una ventina di loro ha cominciato a erigere due strutture usando i materiali che avevano portato: assi e pali di legno e lamiere di ferro per i tetti. Nel frattempo un gruppetto di giovani coloni è penetrata di corsa ancora più dentro Gaza, sempre senza che i soldati glielo impedissero.

Le radio dei soldati hanno ricevuto il messaggio che un certo numero di persone era entrato a Gaza e sono stati mandati jeep militari e persino due carri armati per cercarli. Circa mezz’ora dopo una jeep militare ha riportato i giovani sul lato israeliano del valico senza arrestarli. Sono usciti dalla jeep fra gli applausi degli altri attivisti, unendosi al gruppo più grande che cantava “È nostra.”

Per parecchie ore chi era arrivato nello spazio fra i due muri ha continuato senza impedimenti a costruire l’avamposto che hanno chiamato New Nisanit, come una delle colonie di Gaza abbandonate come parte del “disimpegno” del 2005. Come in Cisgiordania i soldati sono rimasti nei pressi a offrire protezione invece di cercare di fermarli.

Questo è il nostro Paese’

Amiel Pozen e David Remer, entrambi diciottenni, sono due dei coloni che sono riusciti a penetrare per circa 500 metri entro Gaza. Dopo essere stati prelevati e riportati al posto di blocco dall’esercito israeliano hanno parlato con +972

Non avevamo paura di entrare (a Gaza), il Santo è con noi e le Forze di difesa israeliane erano lì per aiutarci,” ha detto Remer. “Noi siamo venuti qua (perché) vogliamo tornare a casa. Io vivo in una comunità di deportati da Gush Katif (blocco di insediamenti ebraici a Gaza sfollato nel 2005) e abbiamo voluto ritornarci. Dopo tutto quello che è successo non c’è dubbio che dobbiamo ritornarci. 

La sensazione è molto bella, come tornare a casa,” ha continuato Remer. “È nostra. Il Santo, che Egli sia benedetto, ha detto che è nostra. Se non ci saremo noi sappiamo cosa ci sarà.”

Pozen ha aggiunto: “Siamo venuti in rappresentanza dell’intera popolazione, del popolo ebraico. Noi vogliamo ritornare in tutta la Terra di Israele, in tutte le parti della nostra Terra Santa. Non ci sono ‘due stati per due popoli’, è sbagliato. Il popolo di Israele appartiene alla Terra di Israele.”

Riguardo alla possibilità di persuadere il governo a sostenere il reinsediamento a Gaza Pozen ha affermato: “Vorrei che il governo capisse (ciò che) la maggioranza delle persone ha già capito: noi siamo qui. È nostra. Non ci sono ostacoli politici o internazionali. Non dobbiamo tenere nessun altro in considerazione. È una questione interna. Dobbiamo andare a Gaza, distruggere tutti i terroristi là e costruirvi noi.”

Un altro dei coloni fermati dall’esercito dopo essere penetrato in profondità dentro Gaza ha mostrato ai suoi amici sul cellulare la foto di una pianta di fragole in un orto palestinese dicendo: “Guardate com’è bello il Paese.”

Nel corso della serata i giovani coloni hanno continuato ad aggirare l’esercito e a correre verso l’avamposto. Molti l’hanno fatto strisciando in un buco nella recinzione probabilmente creato durante gli eventi del 7 ottobre, finché i soldati non hanno portato un bulldozer per chiuderlo con del terriccio.

Molti dei giovani erano delle stesse organizzazioni che hanno passato parecchie delle scorse settimane cercando, spesso senza successo, di impedire agli aiuti umanitari di raggiungere Gaza. Ai loro occhi c’è un legame fra il trattenimento degli aiuti per i palestinesi e la rifondazione di colonie ebraiche a Gaza: entrambi sono visti come un mezzo per ottenere una “vittoria” decisiva.

Mechi Fendel, un’attivista di destra di Sderot, ha detto a +972: “Siamo venuti qui ad affermare che il giorno dopo la fine della guerra dobbiamo insediarci ed espandere le città ebraiche su tutta la Striscia di Gaza. Perché se non lo facessimo diventerà come un nido di vespe. Non si può lasciare un vuoto. Non c’è motivo per volere che si ripeta. Io vivo a un chilometro dalla Striscia di Gaza. Non posso avere dei terroristi come vicini e il 7 ottobre ci hanno fatto vedere di cosa sono veramente capaci.”

Per quanto riguarda la costruzione di un avamposto vicino alla recinzione ha spiegato: “Far vedere che abbiamo costruito due case è un atto simbolico. Sono venuti con queste grosse assi di legno e in pratica hanno costruito due strutture qui nella Striscia di Gaza. Naturalmente è simbolico perché non ci passeranno la notte. Ma il punto è: qui è dove dobbiamo stare. Questo è il nostro Paese. Non possiamo lasciare disabitata un’intera striscia di terra.”

E cosa succederebbe ai palestinesi di Gaza se si stabilissero delle colonie ebraiche? “Se sono disposti ad accettare la giurisdizione israeliana, a lasciarci entrare e controllare il loro sistema educativo e aiutarli finanziariamente, allora, se sono pacifici, lasciamoli stare,” ha sostenuto Fendel. “Fino ad ora non ho mai trovato un palestinese che sia pacifico. Come ho scritto, i lavoratori palestinesi (che lavorano in Israele) per decine di anni sono diventati terroristi in un secondo.

Penso che il governo quando vedrà che noi siamo con loro, che il popolo lo vuole, sarà d’accordo,” ha continuato. “Perché neanche il governo vuol vedere nascere un nido di vespe. Penso che se noi abbiamo le persone e la volontà e facciamo vedere di essere là, siamo coraggiosi e vogliamo farlo, il governo ci aiuterà.”

Prima gli assalti dei soldati, adesso dei coloni’

Le dinamiche hanno ricordato le tipiche scene in Cisgiordania, con i coloni a cui viene data la libertà di azione mentre i soldati restano a guardare nonostante siano in una zona militare chiusa e alcuni di loro entrino persino in una zona di combattimento. Si sono visti alcuni dei soldati abbracciare gli attivisti. Un soldato ha detto a +972 che loro li sostengono e che il problema sono “i media che vogliono azione per filmare i soldati che picchiano ebrei.”

Anche se i soldati hanno l’autorità di sottoporre a fermo dei cittadini israeliani, e lo hanno fatto con giornalisti e altri civili che negli ultimi mesi si sono avvicinati alla recinzione, invariabilmente evitano di trattenere coloni che infrangono la legge in Cisgiordania, e è successo anche ieri. Uno degli attivisti, che ha detto a +972 di essere un soldato non in servizio che portava la sua arma militare su abiti civili, ha riferito di aver lasciato prima l’area perché i soldati l’hanno avvisato che l’avrebbero “buttato fuori dall’esercito.”

 I soldati parlano con calma con gli attivisti, fra cui il ben noto Baruch Marzel, un kahanista [seguace del defunto rabbino estremista Meir Kahane ndt.] arrivato in un momento successivo. “Sono come i soldati che hanno fatto irruzione [a Gaza], adesso sono loro (i giovani coloni) a fare irruzione,” dice Marzel a uno dei soldati. 

Più tardi, mentre se ne stavano andando, Marzel ha detto a +972 che l’azione gli ha ricordato “la prima colonia a Sebastia”, un villaggio vicino a Nablus, in Cisgiordania, dove circa 50 anni fa un gruppo di coloni del movimento Gush Emunim (Blocco dei Fedeli) [movimento dei coloni nazional-religiosi sorto nel 1974, ndt.] tentò di stabilire una colonia ebraica sfidando i tentativi del governo di cacciarli fino a quando non cedette. Egli aggiunge che il problema principale per lui non è insediarsi a Gaza, ma deportare i palestinesi in “tutti i Paesi che li sostengono.” 

Un funzionario della sicurezza presente sulla scena ha espresso a +972 il suo disappunto su come gli attivisti siano riusciti ad attraversare con tale facilità il posto di blocco. “Se sono riusciti a entrare a Gaza ciò significa che anche (i palestinesi) possono entrare dalla direzione opposta,” ha detto. 

Funzionari di polizia arrivati sul posto si sono comportati con la stessa indifferenza dei soldati. Sembrava non avessero fretta di intervenire e all’inizio hanno arrestato solo uno dei manifestanti. Dopo il tramonto, verso le 19, alcuni attivisti hanno cominciato ad andarsene e in seguito il resto è poi stato disperso dalla polizia. La scorsa notte un totale di nove persone è stato arrestato e portato a una stazione di polizia.

La scorsa notte, in risposta alle domande di +972, un portavoce della polizia ha dichiarato: “Le forze della polizia israeliana sono state chiamate nel pomeriggio vicino al valico di Erez in seguito all’arrivo di manifestanti e alla penetrazione di un gruppetto nella Striscia di Gaza attraverso la recinzione, violando l’ordine di un generale. Alla luce di un pericolo reale per le vite dei manifestanti le forze di polizia sono state costrette ad agire nel territorio della Striscia di Gaza dove alcuni di loro li hanno affrontati e si sono rifiutati di andarsene, non lasciando alla polizia altra scelta che arrestarne nove per aver violato l’ordine di un generale e non aver (obbedito) a un ufficiale di polizia.

I manifestanti sono stati portati a una stazione di polizia per essere interrogati, dopo di che si deciderà chi di loro verrà deferito domani alla Corte di Appello per discutere la loro causa.” Oggi la polizia non ha risposto a un’altra richiesta di informazioni circa quali degli arrestati siano stati accusati, ma sembra che siano stati tutti rilasciati la scorsa notte.

Oren Ziv è una fotogiornalista e reporter di Local Call e fra i fondatori del collettivo di fotografi Activestills.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra a Gaza: Il “massacro” israeliano uccide oltre 100 palestinesi in cerca di cibo a Gaza City

Mohammed al-Hajjar a Gaza City, Palestina occupata e Nader Durgham a Beirut

29 febbraio 2024 Middle East Eye

I testimoni raccontano a MEE di essere stati attaccati indiscriminatamente mentre si concentravano intorno a un convoglio di aiuti.

Almeno 104 palestinesi sono stati uccisi e altre centinaia sono stati feriti giovedì quando le forze israeliane hanno sparato contro le persone che si trovavano presso un convoglio di aiuti in al-Rasheed Street a Gaza City, ha dichiarato il Ministero della Sanità palestinese, definendo l’incidente un “massacro”. I residenti di Gaza City si erano riuniti in cerca di cibo, avendo le forze israeliane tagliato fuori completamente l’area dagli aiuti. Le ONG e gli esperti delle Nazioni Unite hanno espresso il timore di una carestia nel nord di Gaza e ci sono state segnalazioni di persone, tra cui bambini, morte di fame. Fares Afana, capo del servizio ambulanze dell’ospedale Kamal Adwan di Gaza, ha detto che i medici hanno trovato “decine o centinaia” di corpi stesi a terra appena giunti sul posto.

Ha detto che alcuni feriti hanno dovuto essere trasportati negli ospedali su carri trainati da asini, poiché non c’erano abbastanza ambulanze per accogliere tutti i morti e i feriti.

Gli ospedali nel nord di Gaza, la maggior parte dei quali sono fuori uso a causa dei ripetuti attacchi israeliani, non sono in grado di gestire il grande afflusso di pazienti.

Ahmad, un 31enne che ha fornito solo il suo nome di battesimo, ha raccontato a Middle East Eye che i camion degli aiuti hanno raggiunto la strada alle 4 del mattino e che le forze israeliane hanno sparato contro le persone che cercavano di raggiungere il convoglio. Ahmad è stato colpito al braccio e alla gamba.

“Gli spari sono stati indiscriminati, la gente è stata colpita alla testa, ai piedi, allo stomaco”, ha detto. Un uomo è stato ucciso e travolto da un carro armato. “L’esercito israeliano ha accusato i palestinesi di essere responsabili di una calca di massa, affermando che: “I residenti hanno circondato i camion e hanno saccheggiato i rifornimenti consegnati. A causa delle spinte, dei calpestamenti e dell’investimento dei camion, decine di gazawi sono rimasti uccisi e feriti”. I video dall’alto mostrano la disperazione dei palestinesi accalcati intorno ai camion. Tuttavia, oltre alle testimonianze, i filmati mostrano chiaramente che durante l’incidente sono stati esplosi pesanti colpi d’arma da fuoco.

Fonti israeliane hanno riferito all’Agenzia France Press che le truppe hanno sparato contro i palestinesi, e una di esse ha detto che i soldati ritenevano che la folla “rappresentasse una minaccia”. Kamel Abu Nahel, il cui piede è stato travolto da uno dei camion, ha detto: ” Se volete mandare gli aiuti in questa maniera, non inviateli.” “Stiamo morendo per avere la farina per i nostri figli”, ha aggiunto. L’attacco arriva mentre il bilancio dei morti palestinesi nella guerra ha superato i 30.000, secondo il Ministero della Sanità palestinese. Reagendo all’attacco, da Oxfam hanno detto di essere “sconvolti” dalle notizie. “Israele prende deliberatamente di mira i civili dopo averli affamati [ed] è una grave violazione delle leggi umanitarie internazionali e della nostra umanità”, ha detto il gruppo di aiuto internazionale. “Il rischio di genocidio è reale.”

Ammar Helo, un palestinese di 30 anni sopravvissuto all’attacco, ha dichiarato a MEE che continuerà a scendere in strada ogni volta che arriveranno i camion degli aiuti, nonostante rischi la sua vita: “Non abbiamo pane, non abbiamo farina, abbiamo mangiato cibo per gli animali”, ha detto. I sopravvissuti hanno raccontato a MEE che anche il cibo per animali si sta esaurendo nel nord. “Giuro che tutta Gaza è distrutta, giuro che un terremoto divino sarebbe stato meglio”.

(Traduzione dall’inglese di Carlo Tagliacozzo)




Se l’esercito israeliano invade Rafah, cosa ne sarà dei più di 1,5 milioni di palestinesi che vi si sono rifugiati?

Amira Haas

10 febbraio 2024 – Haaretz

Un’invasione israeliana di Rafah porterà a un esodo di massa di circa un milione di palestinesi in preda al panico. L’IDF pianifica di conciliarlo con l’ordinanza della CIG secondo cui Israele deve prendere ogni misura per evitare atti di genocidio.

Dato che Yahya Sinwar, i suoi stretti collaboratori e i miliziani di Hamas non sono mai stati trovati, prima a Gaza City e poi neppure a Khan Younis, l’esercito israeliano sta prendendo in considerazione di estendere la sua campagna di terra nella città meridionale di Rafah a Gaza. L’esercito sta facendo questo perché ritiene che Sinwar e i suoi aiutanti si nascondano nei tunnel sotto questa zona del sud della Striscia di Gaza, presumibilmente insieme agli ostaggi israeliani che sono ancora in vita. La stragrande maggioranza degli abitanti della Striscia di Gaza, 1,4 milioni di persone, è concentrata a Rafah. Decine di migliaia stanno ancora fuggendo nella cittadina da Khan Younis, dove i combattimenti continuano. Il pensiero che Israele invaderà Rafah e che vi avranno luogo combattimenti in mezzo ai civili terrorizza gli abitanti della città e le persone che vi si trovano come sfollati interni. Il terrore che provano è acuito dalla conclusione che nessuno possa impedire a Israele di mettere in atto le sue intenzioni, neppure la sentenza della CIG che ordina a Israele di prendere ogni misura per evitare azioni di genocidio. I corrispondenti militari israeliani riportano e ipotizzano che l’esercito intenda ordinare agli abitanti di Rafah di spostarsi in una zona sicura. Da quando la guerra è iniziata l’esercito ha sventolato questo ordine di evacuazione come una prova che sta agendo per prevenire danni a “civili non coinvolti”. Tuttavia questa zona sicura, che è stata ed è ancora bombardata da Israele, si sta progressivamente stringendo. In realtà l’unica zona sicura che rimane e che ora l’IDF [l’esercito israeliano, ndt.] sta indicando alla massa di persone a Rafah è Al-Mawasi, un’area costiera del sud di Gaza di circa 16 km2. Non è ancora chiaro con quali formulazioni a parole l’IDF e i suoi esperti giuridici intendano conciliare il fatto di ammassare così tanti civili con le indicazioni impartite dalla CIG. “La zona umanitaria indicata dall’esercito è più o meno delle dimensioni dell’aeroporto internazionale Ben-Gurion (circa 16,3 km2),” hanno concluso i giornalisti di Haaretz Yarden Michaeli e Avi Scharf nel loro articolo all’inizio di questa settimana. Il reportage, intitolato “I gazawi scappano dalle loro case. Non hanno nessun posto a cui tornare,” ha svelato le estese distruzioni nella Striscia di Gaza riprese da immagini satellitari. Il paragone con l’aeroporto internazionale Ben-Gurion ci spinge a ipotizzare una densità al di là dell’immaginabile, ma i commentatori della televisione israeliana non vanno molto più in là dell’approfondita opinione secondo cui l’invasione di terra a Rafah in effetti “non sarà poi così semplice”. Anche se difficile, dobbiamo immaginare ciò che attende i palestinesi a Rafah se il piano dell’esercito verrà messo in pratica. Lo dobbiamo fare non tanto per considerazioni di carattere umanitario o morale, che dopo il 7 ottobre non sono così importanti per la maggioranza dell’opinione pubblica ebrea israeliana, ma a causa delle complicazioni di carattere militare, umanitario e, alla fine, giuridico e politico che sicuramente sono prevedibili se continuiamo su quella strada.

La compressione

Anche se “solo” circa un milione di palestinesi scapperanno per la terza o quarta volta ad Al-Mawasi, un’area che è già piena di gazawi sfollati, la densità sarà all’incirca di 62.500 persone per km2”. Ciò avverrà in una zona aperta senza grandi edifici per ospitare gli sfollati, dove non ci sono acqua corrente, privacy, mezzi di sostentamento, ospedali o ambulatori medici, pannelli solari né la possibilità di caricare i telefonini e tutto il resto, mentre le organizzazioni umanitarie dovranno attraversare o passare nei pressi delle zone di combattimento per distribuire quel poco di cibo che entra nella Striscia di Gaza. Pare che l’unica condizione in cui questa ristretta area potrebbe accogliere tutti quanti sarebbe se stessero in piedi o in ginocchio. Forse sarà necessario formare commissioni speciali che stabiliranno accordi per dormire a turno: qualche migliaio si sdraierà mentre gli altri continueranno a stare svegli in piedi. Sopra il ronzio dei droni e sotto i pianti dei bambini nati durante la guerra e le cui madri non avranno latte o non ne avranno abbastanza, questa sarà la snervante colonna sonora.dell’IDF e le battaglie a Gaza City e Khan Younis, è chiaro che l’operazione di terra a Rafah, se effettivamente ci sarà, durerà molte settimane. Israele crede che la CIG considererà la compressione di centinaia di migliaia o un milione di palestinesi in un piccolo fazzoletto di terra come una “misura” adeguata per evitare un genocidio?

La marcia per fuggire

Prima della guerra nel distretto di Rafah vivevano circa 270.000 palestinesi. Il milione e mezzo che attualmente vi si trova patisce fame e malnutrizione, sete, freddo, malattie ed epidemie, pidocchi nei capelli ed eruzioni cutanee; soffrono di esaurimento fisico e mentale e mancanza cronica di sonno.Si ammassano in scuole, ospedali e moschee, in quartieri di tende che sono spuntati dentro e attorno a Rafah, in alloggi che ospitano decine di famiglie di sfollati. Decine di migliaia di loro sono feriti, alcuni con arti amputati per gli attacchi dell’esercito o le operazioni chirurgiche che ne sono conseguite. Hanno tutti parenti o amici, bambini, neonati e genitori anziani, che sono stati uccisi negli ultimi 4 mesi.

Una delle tante tende di fortuna eretta a Rafah nel sud della Striscia. Foto: Ibraheem Abu Mustafa / Reuters

Le case della maggior parte di loro sono state distrutte o gravemente danneggiate. Tutto ciò che possedevano è andato perso. Il loro denaro è stato speso a causa del prezzo esorbitante del cibo. Molti sono sfuggiti alla morte solo per caso e hanno assistito a scene spaventose di cadaveri. Non hanno ancora pianto i morti perché il trauma continua. Insieme alle dimostrazioni di appoggio e solidarietà ci sono state anche discussioni e scontri. Alcuni hanno perso la memoria e la salute mentale per tutto quello che hanno subito. Come è stato fatto in altre zone della Striscia, per mantenere l’effetto sorpresa, l’IDF diffonderà un avvertimento circa due ore prima di un’invasione di terra a Rafah. Quel giorno ciò lascerà un lasso di tempo di qualche ora per evacuare la città. Immaginate questa carovana di sfollati e il panico di massa delle persone che scappano verso Al-Mawasi a ovest. Pensate agli anziani, ai malati, ai disabili e ai feriti che saranno “fortunati” ad essere trasportati su carri trainati da asini o da carretti improvvisati e in macchine che viaggiano con olio da cucina. Tutti gli altri, malati o sani, dovranno andarsene a piedi. Probabilmente dovranno lasciarsi dietro il poco che sono riusciti a raccogliere e portare con sé nei precedenti spostamenti, come coperte e teli di plastica come riparo, vestiti pesanti, un po’ di cibo e oggetti indispensabili come piccoli fornelli.

Distruzione a Rafah giovedì 8 febbraio 2024 a Rafah. Foto: Ibraheem Abu Mustafa / Reuters

Questa fuga forzata probabilmente attraverserà le rovine di alcuni edifici bombardati da Israele non molto tempo fa, o i crateri creati sulla strada dagli attacchi. Tutto il convoglio allora si fermerà ancora finché non avrà trovato una deviazione.Alcuni inciamperanno, un carretto rimarrà impantanato. E tutti,affamati e assetati, terrorizzati dall’imminente attacco o dal bombardamento incombente dei carrarmati, continuerà ad andare avanti. Bambini piangeranno e verranno persi. Persone si sentiranno male. Squadre mediche lotteranno per raggiungere chiunque abbia bisogno di cure. Solo 4 km separano Rafah da Al-Mawasi, ma ci vorranno ore per arrivarci. Le persone in marcia verranno tagliate fuori da ogni possibilità di comunicare, anche solo a causa della quantità di gente in marcia e del sovraffollamento. Nella zona dovranno lottare per trovare lo spazio dove sistemare una tenda. Dovranno lottare con chi riesce a stare più vicino possibile a un edificio o a un pozzo per l’acqua. Sveniranno per la sete e la fame. Questa immagine si ripeterà svariate volte nei prossimi giorni: una marcia di palestinesi affamati e terrorizzati inizia a scappare nel panico ogni volta che l’IDF annuncia un’altra zona i cui abitanti dovrebbero evacuare, mentre carrarmati e truppe di fanteria avanzano verso di loro. Il bombardamento e le truppe di terra saranno più vicini agli ospedali che stanno ancora funzionando. Carrarmati li accerchieranno e a tutti i pazienti e al personale medico verrà chiesto di andarsene nell’affollata zona di Al-Mawasi.

L’operazione di terra

È difficile sapere quanti di loro decideranno di non andarsene. Come abbiamo imparato da quello che è successo nei distretti settentrionali di Gaza e di Khan Younis, un numero significativo di abitanti preferisce rimanere in una zona che è destinata a un’operazione di terra. Tra loro ci saranno decine di migliaia di sfollati, gazawi malati e gravemente feriti che sono stati ricoverati negli ospedali, donne incinte e altri che decideranno di rimanere nelle proprie case e in quelle di parenti o nelle scuole trasformate in rifugi. Le poche informazioni che avranno dalle zone di concentrazione di Al-Mawasi saranno sufficienti a scoraggiarli dal raggiungerle. Soldati e comandanti dell’IDF, tuttavia, interpretano l’ordine di evacuazione in modo diverso: chiunque rimanga nella zona destinata all’invasione di terranon è considerato un civile innocente, non è considerato “non coinvolto”. Chiunque rimanga nella propria casa ed esca per prendere l’acqua da una struttura della città che stia ancora funzionando o da un pozzo privato, personale medico chiamato per curare un paziente, una donna incinta che cammina verso un ospedale vicino per partorire, tutti, come abbiamo visto durante la guerra e le scorse campagne militari, sono considerati criminali agli occhi dei soldati. Sparare e ucciderli segue le regole di ingaggio dell’IDF. Secondo l’esercito questi attacchi avvengono rispettando le leggi internazionali perché tali individui sono stati avvertiti che dovevano andarsene. Persino quando i soldati fanno irruzione in case durante i combattimenti i gazawi, per lo più uomini, rischiano la morte colpiti da armi da fuoco. Un soldato che spara a qualcuno perché si sente minacciato o segue gli ordini, non importa. È successo a Gaza City e può avvenire a Rafah. Così come le squadre di soccorso non sono autorizzate o non sono in grado di raggiungere il nord della Striscia di Gaza per distribuire cibo, non potranno distribuirlo nelle zone dei combattimenti a Rafah. Il poco cibo che gli abitanti sono riusciti a conservare gradualmente finirà. Chi rimane nella propria casa sarà obbligato a scegliere il minore tra due mali:o esce e rischia di essere colpito dal fuoco israeliano o muore di fame in casa. La maggior parte già soffre per la grave carenza nutrizionale. In molte famiglie gli adulti rinunciano al cibo in modo che i figli possano essere nutriti. C’è il concreto pericolo che molti muoiano di fame mentre sono a casa propria quando fuori i combattimenti infuriano.

I bombardamenti

Da quando è iniziata la guerra l’esercito ha bombardato edifici residenziali, zone aperte e auto di passaggio in ogni luogo che aveva definito come “sicuro” (ai cui abitanti non era stato chiesto di andarsene). Non importa se gli attacchi hanno preso di mira strutture di Hamas, i miliziani dell’organizzazione o altri membri che sono rimasti con le loro famiglie o che erano usciti dai nascondigli per andarli a trovare, i civili sono quasi sempre uccisi.I bombardamenti non sono ancora neppure finiti a Rafah. Giovedì notte due case sono state bombardate nel quartiere occidentale di Rafah, Tel al-Sultan a Rafah. Secondo fonti palestinesi 14 persone, tra cui 5 minori, sono state uccise.

Una scena di dolore per la morte di un bambino ucciso in un bombardamento a Rafah l’8 febbraio. Foto: Ibraheem Abu Mustafa / Reuters

Le fonti hanno anche affermato che il 7 febbraio una madre e la figlia sono state uccise in un attacco israeliano contro una casa nel nord di Rafah e che il giorno prima un giornalista è stato ucciso insieme a madre e sorella nella parte occidentale di Rafah. Sempre il 6 febbraio, secondo le fonti, sei poliziotti palestinesi sono stati uccisi in un attacco israeliano mentre stavano proteggendo un camion di aiuti nell’est di Rafah.Questi attacchi segnalano che i calcoli sui cosiddetti danni collaterali approvati dagli esperti giuridici dell’IDF e dall’ufficio del procuratore generale sono estremamente permissivi. Il numero di palestinesi non coinvolti che è “permesso” uccidere per colpire un bersaglio dell’esercito è più alto che in qualunque altra guerra. La gente di Rafah teme che l’IDF applicherà questi criteri permissivi anche ad Al-Mawasi e attaccherà anche là se nella zona c’è un obiettivo tra le centinaia di migliaia che vi si rifugeranno. È così che un riparo annunciato come sicuro diventerà una trappola mortale per centinaia di migliaia di persone.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Come Israele ha fatto di un insegnante un traditore

Oren Ziv

9 febbraio 2024 – +972 Magazine

I post sui social media relativi al 7 ottobre lo hanno fatto licenziare, arrestare e gettare in prigione. Ora, Meir Baruchin deve lottare per tornare in una scuola che vuole che se ne vada.

Immaginate la scena: un giorno un insegnante di scuola superiore di 62 anni entra nel cortile della scuola e viene accolto da una protesta premeditata da parte degli studenti che si rifiutano di frequentare la sua lezione. “Figlio di puttana!” uno studente gli urla contro. “Buffone!” grida un altro. “Puttana!” strilla un terzo, mentre altri studenti sputano per terra davanti a lui.

Questa è stata l’accoglienza che Meir Baruchin ha ricevuto il 19 gennaio, il giorno in cui è stato reintegrato nella scuola superiore Yitzhak Shamir della città di Petah Tivkah, nella zona centrale di Israele, dopo essere stato licenziato, arrestato e incarcerato per quattro giorni in condizioni di isolamento in una prigione di massima sicurezza. Il suo reato? Due post su Facebook l8 ottobre – il giorno dopo che i miliziani guidati da Hamas avevano massacrato oltre 1.100 persone nel sud di Israele e dopo che Israele aveva iniziato il bombardamento della Striscia di Gaza – in cui condivideva una foto di bambini palestinesi uccisi in un attacco aereo israeliano e implorava di fermare questa follia” e metteva in guardia contro il crescente spargimento di sangue in Cisgiordania.

In unudienza tenutasi 10 giorni dopo presso il Comune di Petah Tikvah, che assume tutti gli insegnanti delle scuole pubbliche della città, Baruchin è stato accusato di condannare i soldati delle IDF [l’esercito israeliano, ndt.], stigmatizzare lo Stato di Israele e sostenere atti terroristici” e licenziato dal suo incarico. Alla ricerca di ulteriori punizioni il Comune ha anche presentato alla polizia una denuncia riguardo alla condotta di Baruchin, che è stato arrestato meno di un mese dopo con laccusa di manifesta intenzione di tradire il Paese”.

Alla fine Baruchin è stato rilasciato su cauzione e il 15 gennaio il tribunale regionale del lavoro di Tel Aviv ha stabilito che era stato licenziato ingiustamente. Il Comune ha presentato ricorso contro la sentenza del tribunale e il procedimento legale è ancora in corso nonostante l’avvenuta reintegrazione il mese passato. E anche se per la preside della scuola, Rachel Barel, sarebbe stato necessario un intervento giuridicamente praticabile per impedire il suo ritorno”, nel frattempo la scuola ha concordato che Baruchin riceverà il suo stipendio insegnando a distanza, registrando le lezioni di educazione civica per gli studenti del 12° anno [in Israele l’ultimo anno delle superiori, ndt.] che si preparano per gli esami di maturità.

Mentre dallinizio della guerra i cittadini palestinesi di Israele hanno dovuto affrontare una persecuzione dilagante, il caso di Baruchin dimostra come, anche se in numero molto minore, anche gli ebrei israeliani di sinistra stanno cadendo vittime della repressione di Stato sulla libertà di espressione. In seguito alla rivolta suscitata dal suo breve ritorno a scuola +972 ha incontrato l’insegnante di storia e educazione civica nella sua casa di Gerusalemme per conoscere la sua esperienza degli ultimi mesi. L’intervista è stata modificata per motivi di lunghezza e chiarezza.

E’ rimasto sorpreso nel ritrovarsi in questa situazione, licenziato e persino arrestato per un post sui social media?

Insegno educazione civica e storia, due materie fortemente politiche. Le dimensioni politiche sono inevitabili, quindi non sono rimasto sorpreso da questa repressione. Non sono il primo ad essere arrestato senza motivi fondati – e se fossi stato palestinese sarebbe andata peggio – e sfortunatamente non credo che sarò lultimo.

Conosco centinaia di insegnanti che hanno paura di parlare apertamente, paura di perdere i propri mezzi di sostentamento. Il mio licenziamento è stato chiaramente un messaggio intenzionale. Lobiettivo è mettere a tacere chiunque sollevi delle critiche minacciandone i mezzi di sussistenza, denunciandolo pubblicamente, infamandolo nei principali media e mandandolo in prigione.

Un ministro del governo ha suggerito di sganciare una bomba atomica su Gaza. Un altro ha chiesto che Huwara [città palestinese in Cisgiordania] venga cancellata. Durante lindagine ho chiesto a chi mi interrogava se avessero convocato tutte le persone che avevano cantato o scritto sui muri Morte agli arabi” o che avevano chiesto che i villaggi palestinesi fossero dati alle fiamme. Che dire di Itzik Zarka [un importante attivista del Likud] che si è detto orgoglioso del fatto che 6 milioni di ebrei ashkenaziti siano stati inceneriti [nell’Olocausto]? Lo avete arrestato? Interrogato? È abbastanza evidente che ci troviamo di fronte ad unapplicazione selettiva delle leggi.

Non si tratta semplicemente di costruire una realtà. È anche una manipolazione deliberata delle coscienze. Attraverso il controllo del sistema educativo, dellesercito e dei media si acquisisce un potere enorme e si può manipolare la popolazione nel modo desiderato. Chi non si adegua è un traditore, un anti-israeliano, un nemico che va trattato come si tratta un nemico.

La sensazione è che come società oscilliamo costantemente tra nevrosi e psicosi. Siamo in uno stato di disintegrazione, incapaci di accogliere coloro che sono diversi da noi. Sono visti come nemici, creano un senso di minaccia. E quando si è minacciati si reagisce violentemente.

Alla base dell’indagine ci sono due post su Facebook scritti l’8 ottobre. Cosa ha detto in quei post?

In uno di essi ho condiviso limmagine dei cadaveri di cinque bambini palestinesi, della famiglia Abu Daqqah, avvolti in lenzuoli bianchi. Di solito non invio queste foto, ma ero così scioccato che volevo che gli israeliani vedessero cosa veniva fatto a loro nome. La maggioranza degli israeliani non se ne interessa. Ho visto che questa foto è stata pubblicata anche su siti web di destra con faccine che ridono ed emoji di applausi e commenti del tipo: “Molti altri così“.

Nel secondo post ho scritto che anche in Cisgiordania si stava verificando un massacro. Quel giorno erano stati uccisi circa cinque palestinesi, alcuni dei quali minori.

Unaltro elemento presentato come prova contro di lei è una schermata proveniente dal WhatsApp di un insegnante che mostra un messaggio in cui lei scrive: I soldati israeliani non hanno mai violentato donne palestinesi? Lo fanno dal 1948. Questo non è contenuto nei libri di testo [di storia]”. Mi parli di questa conversazione.

Il 7 ottobre nel gruppo c’è stato uno scambio di opinioni emotivamente intenso, giustamente. La gente era scioccata, e lo ero anchio. Molti insegnanti hanno scritto cose che esprimevano shock e dolore, e si è sviluppata una discussione sugli obiettivi della risposta israeliana. Hanno scritto che Gaza avrebbe dovuto essere rasa al suolo e Hamas sradicato. Quindi ho chiesto: Qual è il fine? Cosa vogliamo?”

Ho scritto che uccidendo un gran numero di donne e bambini stavamo facendo del male a persone innocenti, cosa impossibile da accettare. Allora qualcuno ha risposto che dopo quello che ci hanno fatto [i palestinesi] se lo meritavano e ha affermato che i nostri soldati non hanno mai violentato le donne palestinesi. Quindi ho corretto questa affermazione. Sul mio telefono ho delle schermate dei diari di David Ben Gurion e Yisraeli Galili [il Capo di Stato Maggiore del gruppo paramilitare sionista pre-statale dell’Haganah] che descrivono casi in cui nel 1948 i nostri soldati hanno violentato donne palestinesi. Da quando sono stato rilasciato ho raccolto ulteriori prove di questo.

Mi racconti del suo arresto e interrogatorio a novembre.

Giovedì 9 novembre intorno alle 14.30 ho ricevuto una telefonata dalla polizia che mi informava che ero convocato per un interrogatorio con l’accusa di istigazione. Quando sono arrivato alla stazione di polizia un detective mi si è avvicinato. Ha confiscato il mio telefono e mi ha portato in una stanza dove mi hanno immediatamente legato mani e piedi e mi hanno portato via l’orologio da polso. [L’orologio, il telefono, il computer portatile e le chiavette USB sono stati restituiti a Baruchin solo tre settimane dopo il suo rilascio.]

Hanno iniziato a setacciare il mio telefono e poi mi hanno mostrato un mandato di arresto e uno di perquisizione dicendomi che avrebbero perquisito la mia casa. Cinque investigatori mi hanno portato a casa mia e, in presenza di due testimoni di cui avevo chiesto la presenza, la hanno messa a soqquadro.

Quella sera sono stato riportato alla stazione di polizia per essere interrogato. L’interrogatorio è durato circa quattro ore. L’investigatrice mi ha mostrato una dozzina di post sulla mia pagina Facebook, ma solo uno di questi era successivo al 7 ottobre. C’erano post di quattro anni fa, alcuni di un anno e mezzo fa.

La sua tecnica era molto manipolatoria. Non mi ha fatto vere e proprie domande. Piazzava le risposte all’interno delle domande. Ad esempio, mi chiedeva qualcosa del tipo: Se giustificasse lo stupro delle donne da parte di membri di Hamas, cosa ne penserebbe di…” – come se avesse già deciso che io giustificavo lo stupro.

E poi è stato messo in cella?

Sì, verso le 23:00. Agli altri detenuti è stato detto di non avvicinarsi né di parlare con me [Baruchin era l’unico ebreo israeliano tra i “prigionieri in regime di sicurezza” del Russian Compound – il centro di detenzione di massima sicurezza a Gerusalemme]. Mi hanno dato due coperte che puzzavano di sigarette. Con una mi coprivo e usavo l’altra come cuscino. Non avevo portato niente con me. Ho indossato gli stessi vestiti per quattro giorni. Mi hanno portato via i lacci delle scarpe e la cintura. Non mi hanno nemmeno permesso di tenere un libro da leggere e ovviamente non potevo guardare la televisione.

Nella cella stavo quasi sempre sdraiato sul letto e fissavo le pareti. Per non impazzire facevo esercizio fisico ogni ora e mezza o due, ma non c’era quasi spazio per muovermi. Una volta al giorno mi lasciavano uscire dalla cella per andare nel cortile, che è un quadrato di cemento recintato su tutti i lati. Per i primi due giorni non sono stato in grado di mangiare nulla [a causa dello stress]. Solo il terzo giorno sono riuscito a mangiare un pezzo di pane con formaggio e cetriolo. L’acqua delle docce era fredda.

Sono stato sradicato da tutto ciò che fa parte della mia vita: la famiglia, gli amici, le attività, gli hobby. Avrei dovuto iniziare a insegnare ai bambini evacuati dai kibbutz che circondano Gaza. Il loro preside voleva che insegnassi cinque giorni alla settimana; ovviamente ciò non è accaduto e non ho avuto nemmeno modo di dire loro che non avrei potuto farlo.

Il secondo giorno del mio arresto c’è stata un’udienza [per il prolungamento della detenzione]. Non ero fisicamente presente in aula; mi hanno condotto in manette nella sala videoconferenze del centro di detenzione, dove riuscivo a malapena a sentire quello che dicevano nel video.

Il rappresentante della polizia ha raccontato una serie di bugie, tra cui il fatto che io avessi giustificato tutte le atrocità commesse da Hamas. Non solo non ho mai giustificato una cosa del genere, ma ho scritto un post in cui condannavo esplicitamente le azioni di Hamas e dicevo che ero scioccato e profondamente ferito dalle atrocità commesse da Hamas. Hanno del tutto ignorato quel post.

Nel corso dell’udienza il giudice è andato di fretta per tornare a casa prima dello Shabbat e non mi ha permesso di parlare. Ha prolungato la mia detenzione fino a lunedì a mezzogiorno, e la questione è finita lì.

Dopo di che è stato interrogato di nuovo: cosa è successo allora?

Domenica sera [il quarto giorno di detenzione] sono stato portato per un altro interrogatorio. Anche questo è durato circa quattro ore. L’interrogante mi ha chiesto di Hamas, cosa pensassi di loro e delle organizzazioni terroristiche in generale. Non sono caduto nella sua trappola. Ad un certo punto ha detto che i miei post erano come i Protocolli degli Anziani di Sion [un famigerato falso che descrive una cospirazione ebraica per conquistare il mondo]. Queste sono state le sue parole.

Sono un insegnante di storia. Ho letto i Protocolli degli Anziani di Sion decine di volte. Ho insegnato l’argomento. Le ho chiesto se avesse mai letto i Protocolli degli Anziani di Sion. Lei è rimasta in silenzio.

Dopo alcune ore ha constatato che non riusciva a ottenere da me ciò che voleva, così ha chiamato il suo comandante più anziano, che mi ha posto anche lui una serie di domande usando esattamente la stessa tecnica. Sapevano benissimo di non avere nulla contro di me.

Il mese scorso le è stato finalmente permesso di tornare al suo posto di insegnante, ma presto la situazione è diventata insostenibile. Cos’è successo al suo rientro?

Il mio primo giorno di rientro è stato un venerdì e il venerdì di solito insegno in due classi del 12° anno. Quella mattina la preside mi ha mandato una mail dicendomi che ci sarebbe stata una grande manifestazione e che sarebbe stata presente la polizia. La mattina mi ha accompagnato in classe. Tutti gli studenti si sono rifiutati di restare in classe, tranne uno che non aveva portato con sé il quaderno, per cui è uscito anche lui. Sono rimasto in classe da solo. Due ragazze di un’altra classe sono entrate per curiosità e abbiamo avuto una piacevole conversazione.

Poi sono andato nell’aula professori e durante la pausa decine di studenti hanno bussato alla porta e alle finestre. Gridavano: Figlio di puttana! Tua madre è una puttana! Che ti venga un cancro! Violenteremo tua figlia!” Nessuno ha cercato di fermarli: né la preside, né gli addetti alla sicurezza all’interno della scuola, né la guardia al cancello. Non è stato chiamato alcun agente di polizia. C’erano due genitori fuori dal cancello che hanno solo peggiorato le cose.

Nei giorni successivi sono rimasto sotto assedio nella sala professori. Decine di studenti non frequentavano le lezioni, in realtà con l’autorizzazione. Nell’aula docenti c’erano circa 12-15 insegnanti di cui due o tre mi si sono avvicinati per stringermi la mano esprimendo empatia. Uno di loro mi è rimasto vicino per tutta la giornata.

Poi, alla fine della giornata, decine di studenti si sono presentati alla porta dell’edificio che conduce all’aula professori. Volevo andare a casa e la preside e la guardia di sicurezza mi hanno scortato fino alla porta.

A 30 metri dal cancello della scuola c’erano decine di studenti che imprecavano e mi sputavano contro. Quando ho lasciato il portone della scuola i genitori e gli studenti mi hanno inseguito continuando a imprecare e sputare. La settimana successiva è accaduta la stessa cosa.

Come ha risposto la scuola?

Lunedì sera [22 gennaio], la preside ha inviato un messaggio al gruppo WhatsApp dei genitori dicendo che la scuola, educando alla tolleranza, non accettava alcuna violenza verbale. Ma la realtà si è dimostrata completamente diversa.

Al mio successivo rientro la preside mi aveva suggerito di entrare nella scuola dall’ingresso sul retro, ma ho rifiutato. Sarei entrato solo dall’ingresso principale. Avrebbero potuto imprecare, sputare, picchiarmi: non avrei risposto. Se un quindicenne pensa che sia giusto sputare addosso a un uomo di 62 anni, non ho niente da dire al riguardo.

Dopo aver perso in tribunale volevano rendermi la vita infelice e rendermi insopportabile il tempo trascorso a scuola. Pensavano che ciò mi avrebbe spezzato.

Perché è importante per lei postare sui social media su ciò che sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania?

Lopinione pubblica israeliana non sa cosa viene fatto in suo nome, né in Cisgiordania né a Gaza, per come lo Stato manipola la nostra coscienza. Non appare nei media, certamente non nei principali. E a quelli che lo sanno non importa. Nei miei post cerco di portarlo alla loro attenzione. E voglio mostrare nomi e volti: Guardateli! Guardateli! Alcuni di loro sono bambini! Guarda cosa stanno facendo in vostro nome! Potete convivere con questo?” Se i media facessero il loro lavoro, non dovrei farlo io.

Molte volte le persone mi hanno accusato di non scrivere di ciò che ci fanno i palestinesi. E io rispondo sempre che non hanno bisogno che lo faccia io: hanno tutti i media, la tv, la stampa, la radio, internet. Uso la mia pagina Facebook per scrivere di ciò che non sanno, non di ciò che sanno già. E c’è qualcosa che non va in loro se non capiscono che quello che è successo il 7 ottobre mi ha profondamente scioccato e ferito.

Qual è il suo approccio pedagogico, come insegnante di storia e di educazione civica che lavora in una società del genere?

Per me, leducazione ai valori” e linsegnamento vanno di pari passo. Non cerco di instillare i miei valori nei miei studenti: presento una serie di valori e lascio che i miei studenti, che hanno 16 o 17 anni, capiscano da soli quali saranno quelli a cui attenersi. Il punto non è che io sia soddisfatto ma che loro si sentano contenti di se stessi.

Insegno da 35 anni e nessuno studente ha cambiato ciò che pensava a causa di qualcosa che ho detto in classe. Se pensa che io abbia il potere di far cambiare loro idea, non sta rendendo sufficiente merito agli studenti. Non sono marionette e non sono io a tenere i fili. Spesso non sono d’accordo con me e può svilupparsi una conversazione rispettosa. Questa è la filosofia della mia professione e rende le lezioni interessanti. Anni dopo la laurea molti di loro restano in contatto e mi mandano messaggi del tipo: Sa, solo adesso capisco il significato di ciò di cui abbiamo parlato in classe”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La madre di un ostaggio dice che gas tossici provenienti da bombe israeliane hanno ucciso suo figlio. Ha ragione?

Yuval Abraham

31 gennaio 2024 – +972 magazine

Fonti dicono che l’esercito israeliano sa che le armi con cui ha preso di mira i tunnel di Gaza possono disperdere residui tossici che le famiglie temono possano aver ucciso tre ostaggi.

A metà dicembre l’esercito israeliano ha scoperto i corpi di tre degli ostaggi rapiti nel sud di Israele e portati nella Striscia di Gaza il 7 ottobre: i soldati Ron Sherman e Nik Beizer e il civile Elia Toledano. All’inizio le loro famiglie erano state informate che i tre uomini erano stati uccisi in prigionia da Hamas ma Maayan, la madre di Sherman, ha presto dichiarato che non è andata così.

Ron è stato assassinato,” ha scritto sulla sua pagina Facebook il 16 gennaio, ma “non da Hamas.” Ha asserito infatti che suo figlio è stato ucciso da “bombardamenti con gas tossici.”

Maayan ha fatto queste asserzioni dopo aver letto i risultati non definitivi di un’autopsia che le sono stati presentati da delegati del dipartimento vittime dell’esercito israeliano e dalla brigata 551, i cui soldati avevano rinvenuto il corpo di Sherman a Gaza. “I rappresentanti [dell’esercito] ci hanno riferito di non escludere [come causa della morte] un avvelenamento da gas conseguente ai bombardamenti dell’IDF, ma di non esserne certi,” ha detto a +972 e Local Call [edizione in ebraico di +972, ndt.].

Secondo due fonti israeliane della sicurezza che hanno parlato a +972 e Local Call a condizione di rimanere anonimi, questa non sarebbe la prima volta che gli attacchi aerei israeliani che hanno preso di mira la rete sotterranea di tunnel di Hamas a Gaza avrebbero ucciso delle persone in questo modo. L’esercito, dicono, è consapevole che, esplodendo nei tunnel, le bombe possono disperdere gas tossici come monossido di carbonio.

Per esempio a maggio 2021, nell’ambito di un suo vasto attacco chiamato “Operazione Guardiani delle Mura,” l’esercito israeliano aveva lanciato un assalto mirato contro la rete di tunnel di Hamas detto “Operazione fulmine.” Gadi Eizenkot, che era capo di stato maggiore dell’IDF quando fu pianificata l’operazione e che ora è un membro del gabinetto di guerra israeliano, ha detto in seguito che l’operazione mirava a “trasformare i tunnel in una trappola mortale” e uccidere centinaia di appartenenti ad Hamas. 

Durante quegli attacchi, che alla fine uccisero solo poche decine di militanti di Hamas, coloro che si erano nascosti nei tunnel furono ammazzati “non solo dalla bomba che li aveva colpiti, ma anche dal fatto che i bombardamenti rilasciano gas dentro i tunnel,” ha affermato una fonte a +972 e Local Call.

La fonte ha spiegato che l’esercito non ha usato una testata chimica o biologica, ma si è invece scoperto che, penetrando in un ambiente ristretto come i tunnel, certe bombe potrebbero rilasciare come effetto secondario gas tossici “a grande distanza”. Una seconda fonte l’ha confermato, aggiungendo che i test condotti a proposito dall’esercito hanno mostrato che inalare questi gas in spazi chiusi è letale.

+972 e Local Call non sono riusciti a confermare se il soffocamento con gas tossici sia una tattica deliberata usata dall’esercito israeliano in questo conflitto per uccidere membri di Hamas nascosti nei tunnel.

In risposta a queste accuse il portavoce dell’IDF ha detto a +972 e Local Call che l’esercito “usa solo mezzi di guerra legali, in ossequio al diritto internazionale. L’IDF non l’ha fatto nel passato e non lo fa ora, non usa gli effetti collaterali dei bombardamenti per colpire i suoi obiettivi.”

Gli israeliani e i palestinesi sono uguali — tutte le vite sono ignorate’.

All’inizio di questo mese l’esercito israeliano ha annunciato che i corpi di Ron Sherman e degli altri due ostaggi erano stati trovati vicino a un tunnel in cui il comandante della brigata di Hamas del nord di Gaza, Ahmed Ghandour, era stato assassinato da un attacco aereo israeliano a metà novembre. Maayan accusa l’esercito israeliano di aver ucciso intenzionalmente suo figlio nell’attacco per assassinare Ghandour.

Una fonte della sicurezza israeliana al corrente di informazioni sull’attacco ha detto a +972 e Local Call di non sapere se l’esercito avesse il dubbio che ostaggi israeliani erano tenuti vicino a Ghandour. Ma per uccidere un capo di Hamas, continua la fonte, l’esercito ha bombardato un edificio pieno di civili palestinesi, ben sapendo di ucciderne decine. 

 “Ghandour era sotto un grande edificio,” dice la fonte. “Noi abbiamo bombardato sapendo che l’intera struttura sarebbe crollata. Sono stati uccisi molti civili. Ma Ghandour non c’era. L’hanno mancato. C’è voluto un secondo bombardamento per ucciderlo, ma con moltissimi danni collaterali.”

Daniel Hagari, portavoce dell’IDF, ha affermato che “l’esercito israeliano non sapeva della presenza di ostaggi nell’area.” Ha fatto commenti simili dopo il rilascio di un video di Hamas in cui l’ostaggio Noa Argamani dice che due degli ostaggi con cui era detenuta erano stati uccisi in un attacco aereo: “Noi [l’esercito] non attacchiamo posti dove sappiamo potrebbero esserci degli ostaggi,” ha concluso Hagari. 

Tuttavia le affermazioni di Hagari sono difformi dalla testimonianza di una fonte apicale della sicurezza, che viene svelata qui per la prima volta. La fonte ha detto a +972 e Local Call che durante le prime settimane di guerra l’esercito israeliano ha preso sistematicamente di mira con i suoi bombardamenti i palestinesi definiti come “sequestratori” — coloro che avevano rapito israeliani nel corso dell’attacco di Hamas del 7 ottobre — nonostante il timore che ci fossero ostaggi trattenuti nelle vicinanze. Secondo la fonte i rapiti israeliani sono stati “sicuramente colpiti” in questi bombardamenti: solo in seguito questo modo di attuare è stato cambiato.

Noi abbiamo bombardato i palestinesi sospettati di essere i sequestratori,” ha detto la fonte. “Abbiamo trovato i sospettati e li abbiamo bombardati. Ed è stato surreale perché si vedeva dall’identificazione della persona che chi si stava bombardando era ‘uno dei sospetti rapitori di israeliani, il che significa che c’era la possibilità che ci fossero ostaggi vicino a lui. Col senno di poi sappiamo che molti israeliani erano tenuti sottoterra. Ma ovviamente si sono fatti degli errori e noi abbiamo bombardato ostaggi.”

La decisione di bombardare i sequestratori, sospetta la fonte, non è stata presa a livello militare. “Questa è [una decisione] a livello politico, secondo me,” ha spiegato. “Abbiamo bombardato molti rapitori. Più di alcune decine e meno di cento. Per assurdo qui i civili israeliani e palestinesi erano uguali —le vite di entrambi non sono mai state prese in considerazione.”

Solo in seguito nel corso del conflitto il dipartimento dell’esercito per i prigionieri di guerra e dispersi li ha informati delle zone che non avrebbero dovuto colpire per paura di mettere in pericolo gli ostaggi. “All’inizio della guerra questo non è successo,” ha detto la fonte. “Non c’era un protocollo sugli ostaggi. Non erano stati presi in considerazione.

Ricordo di aver lasciato la base militare per la prima volta due o tre settimane [dopo l’inizio della guerra], e di essermi accorto che c’erano delle manifestazioni sugli ostaggi e che qui tutti ne parlavano,” continua la fonte. “E per me è stato surreale perché non è stato che quando sono andato a casa che ho scoperto i loro nomi e quante persone erano state rapite.”

La fonte ha spiegato che i palestinesi presi di mira in quanto sospettati di essere i rapitori non stavano necessariamente tenendo israeliani nelle loro case, ma che ciò era probabile: non sono stati eseguiti dei controlli prima di colpirli. “All’inizio della guerra non ce ne siamo preoccupati,” ha detto. “L’atmosfera era molto addolorata e vendicativa. Avremmo bombardato tutti i sequestratori palestinesi.”

La testimonianza della fonte non è rilevante solo per le fasi iniziali del massacro israeliano a Gaza. Lo scorso mese in un’indagine di +972 e Local Call, tre fonti dell’intelligence hanno confermato che non ci sono stati bombardamenti dell’esercito quando era a conoscenza che avrebbero potuto uccidere ostaggi, ma in molti casi il quadro dell’intelligence era incompleto.

Lo Stato li ha sacrificati due volte’

Dopo le affermazioni iniziali dell’esercito israeliano che i tre ostaggi erano stati uccisi da Hamas, l’esame patologico sui corpi di Ron Sherman e Nik Beizer non ha trovato segni esterni di ferite da armi da fuoco o fratture ossee. Hagari stesso ha affermato che “a questo stadio non è possibile escludere o confermare che siano stati uccisi come risultato di soffocamento, strangolamento, avvelenamento o come conseguenza di un attacco dell’IDF o di un’operazione di Hamas.”

Maayan, la madre di Sherman, ha ricevuto una relazione dettagliata dall’esercito dopo l’esame del corpo del figlio che includeva anche una TAC. “Non c’erano fratture, ferite da arma da fuoco o da colpi secchi,” ha spiegato. Secondo Maayan, il 19 gennaio il capo della direzione del personale dell’IDF ha detto alla famiglia che “il caso è chiuso” e che l’esercito non avrebbe eseguito ulteriori indagini. 

Daniel Solomon, un medico che ha trattato pazienti affetti da trauma soffocati da gas o fumo, ha detto che, poiché è passato troppo tempo dal momento della morte e il ritrovamento dei corpi, sarebbe stato difficile identificare post-mortem segni di soffocamento da monossido di carbonio— come un edema alle corde vocali, ustioni alle vie respiratorie o danni ai tessuti. 

Katia, la madre di Beizer ha detto a +972 e Local Call che l’esercito li ha informati che tre uomini erano trattenuti nello stesso tunnel in cui si nascondeva Ghandour quando l’esercito ha eseguito l’attacco. “L’intelligence [militare] ci ha detto che [le loro morti] potevano essere la conseguenza della bomba che aveva ucciso Ghandour, a causa dei gas e dell’esplosione, ma che non lo sanno.

Io ho chiesto di continuare le indagini,” ha proseguito Katia. “Ho detto loro che non gli avrei permesso di fermarsi. Dopo tutto negli incontri con funzionari militare governativi ci dicono in continuazione che sospettavano che tenessero gli ostaggi vicino a leader di Hamas. Allora se sai e sospetti che ci siano degli ostaggi nelle vicinanze, anche se non sai esattamente chi, come è stato possibile che bombardi?”

Maayan ha detto che tre settimane dopo il rapimento del figlio ufficiali dell’intelligence hanno informato la famiglia che “c’erano indicazioni che era vivo e che sapevano dove fosse.” Durante la shiva (il periodo di lutto ebraico di sette giorni) che si è tenuta dopo il ritrovamento del corpo di Sherman a dicembre, il generale Ghassan Alian — capo del Coordinatore delle attività governative nei territori (COGAT) — le ha detto che lui e Nitzan Alon, incaricato dei prigionieri di guerra e delle persone scomparse, “sapevano in ogni momento dove fossero Ron e Nik,” e che quindi erano sorpresi nell’apprendere le loro morti.

Ecco perché Maayan accusa l’esercito di averle ucciso il figlio per poter uccidere Ghandour. “Qui qualcuno sta mentendo,” prosegue. “Mi è chiaro che mio figlio è stato sacrificato. Mi chiedo cosa avrebbero fatto se ci fosse stato il figlio di Bibi [Netanyahu], e non Ron. Abbiamo passato mesi di tormenti.”

La mia unica domanda è la causa della morte di mio figlio,” conclude Katia. “Io voglio sapere come è successo e quando è successo. Non sappiamo neppure le date. Lo Stato li ha sacrificati non una volta, ma due: prima quando sono stati rapiti dalla loro base militare, che si supponeva fosse un posto sicuro, e io ho chiamato tutti quelli che potevo e nessuno li ha salvati. E la seconda volta quando erano ostaggi e l’esercito non li ha riportati a casa vivi.”

In risposta alle accuse mosse in questo articolo il portavoce dell’IDF ha affermato: “L’esercito israeliano condivide il dolore delle famiglie per la dolorosa perdita e continuerà a sostenerle. Rappresentanti dell’IDF hanno fornito alle famiglie tutte le informazioni verificate che sono in possesso dell’IDF e continuerà a farlo.

Le vite dei sequestrati sono un valore fondamentale nelle considerazioni dei decisori e perciò l’IDF non attacca aree dove ci sono indicazioni o si stima che siano presenti degli ostaggi. Vorremmo sottolineare che al momento dell’attacco l’IDF non aveva informazioni sulla presenza di ostaggi nel tunnel del comandante della brigata nord di Hamas.

L’attacco in cui il comandante della brigata nord è stato eliminato è stato approvato in accordo con le procedure operative attinenti. Va sottolineato che la portata del danno stimato ai civili quale parte dell’attacco citato nella vostra richiesta è completamente infondata. Anche le affermazioni relative agli attacchi contro le case dei sequestratori sono false.”

Yuval Abraham è un giornalista e attivista basato a Gerusalemme.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Come la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia potrebbe alla fine rompere l’assedio di Gaza

David Hearst

26 gennaio 2024 – Middle East Eye

Se Israele continua a rinviare gli aiuti e a prendere di mira i civili palestinesi crescerà la pressione su Regno Unito e USA perché inizino a paracadutare cibo sul territorio.

La sentenza emessa venerdì dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) è più grande e più potente di un bulldozer D9 [bulldozer corrazzato usato dall’esercito israeliano per demolire le case, ndt] contro la posizione occidentale di sostegno all’invasione di Gaza che continua da quasi quattro mesi.

La sentenza stabilisce che ciò che sta avvenendo a Gaza non è una guerra con l’obbiettivo di smantellare un gruppo militante nemico, ma un’operazione che ha lo scopo di smantellare un popolo, e una nazione. Non ci può essere un giudizio legale più epocale nella storia del conflitto, certamente non in questo secolo.

Questa sentenza ristabilisce la moralità, l’imparzialità e il ruolo del diritto internazionale e mostrerà l’impunità di cui Israele ha goduto grazie ai suoi principali fornitori di armi e sostenitori per quello che è: una licenza di uccidere.

Non ci può essere colpo più grande inferto alla posizione di un’amministrazione USA che ha falsamente proclamato “la diplomazia è ritornata” e poi ha continuato a difendere e approvvigionare il più micidiale bombardamento nella storia recente di questo conflitto.

Israele è ora sul banco degli imputati con un’accusa di genocidio e sarà obbligato a riferire entro un mese alla Corte le misure intraprese per impedire l’incitamento al genocidio e il genocidio stesso, perché il suo accusatore, il Sudafrica, possa visionarle, e consentire l’ingresso di maggiori aiuti a Gaza.

Certo ci sarà delusione per il fatto che la CIG ha mancato di richiedere un immediato cessate il fuoco. La Corte lo ha fatto in base al presupposto legale che solo una delle parti in questa guerra è riconosciuta come Stato.

I palestinesi non hanno bisogno di una sentenza di tribunale che sancisca la loro sofferenza. Aspettavano una misura che mettesse fine a questo genocidio, invece di rimandare la palla nel campo di Israele perché agisca in un modo che chiunque sa che non farà. Ma Israele aveva già comunicato la sua intenzione di ignorare qualunque sentenza della CIG, perciò non è ad Israele che si dovrebbe guardare per cambiare questa situazione.

L’unico potere che ha la sentenza della CIG è modificare la politica occidentale che permette al Segretario di Stato USA Antony Blinken di torcersi le mani come se Washington fosse impotente a fermare il massacro quotidiano. Palesemente non lo è.

Urgenza manifesta

Una sentenza del genere inoltre fornisce la necessaria forza a diverse azioni giudiziarie in tutto il mondo che riguardano minori, ma altrettanto importanti, accuse di crimini di guerra. Se la definizione di apartheid è stata un gigantesco colpo ai tentativi di Israele di presentarsi come una normale democrazia occidentale, l’etichetta di genocidio sicuramente inchioda il coperchio della bara.

Chiaramente la Corte non ha creduto alla difesa di Israele e nell’emettere la sentenza la presidente della CIG Joan Donoghue ha fatto ampio uso delle prove fornite dal Sudafrica. Il team sudafricano ha ragione di cantare vittoria.

L’urgenza di questa sentenza è evidente a tutti. Secondo le Nazioni Unite più di 750.000 persone soffrono di una “fame catastrofica” a Gaza. La mancanza di acqua pulita sta portando ad un picco di malattie trasmesse con l’acqua, quali la diarrea che è un importante fattore di morte per i bambini.

Ci sono già quasi 158.000 casi e l’ONU ha avvertito che molte migliaia di bambini potrebbero morire di diarrea prima di morire di fame.

A Gaza funzionano solo 15 su 97 panetterie dopo tre mesi e mezzo di bombardamenti israeliani. Nel centro di Gaza la carenza di grano è così grave che la gente mescola nell’impasto cibo per gli uccelli e foraggio per animali.

Intanto i bulldozer dell’esercito lavorano assiduamente a maciullare i più fertili orti e campi di Gaza. Lo scopo immediato è creare una zona di sicurezza, ma l’obbiettivo strategico è assicurarsi che il territorio non sarà mai più in grado di sfamarsi.

Mentre David Cameron, il ministro degli esteri britannico, si filma mentre carica bancali di aiuti britannici su un aereo a Doha diretto in Egitto, gli israeliani all’altro capo della catena logistica fanno tutto ciò che possono per trasformare il flusso di aiuti in uno stillicidio.

Ci vogliono parecchie settimane di attesa perché i camion entrino a Gaza. Possono essere scaricati e caricati più volte. Se nel carico vengono trovate merci vietate il camion torna in fondo alla coda e l’intero processo ricomincia daccapo. Israele avrebbe respinto articoli come prodotti igienici femminili, kit per il test dell’acqua e disinfettanti per le mani.

Laddove gli aiuti umanitari riescono a passare, la gente affamata viene presa di mira da carrarmati e cecchini. Ci sono ad oggi così tanti casi registrati di ciò, che non si può più considerarlo accidentale.

Le persone fanno la fila nella zona per prendere i prodotti poiché non ci sono addetti che agevolino la distribuzione. Ci sono grandi quantità di persone là…quindi quando le forze israeliane attaccano l’area ci sono decine di morti”, dice un corrispondente a Gaza di Middle East Eye.

Le file di civili a Dawaar al-Kuwait vicino alla zona di Salah al-Din sono state recentemente attaccate dalle forze israeliane, che hanno ucciso 8 persone e ferite decine. Giovedì le forze israeliane hanno ucciso almeno 20 palestinesi e ferito altri 180 mentre aspettavano gli aiuti umanitari a Gaza City.

Ridere e sparare

Poco di tutto ciò è accidentale, o il risultato del caos della guerra. E’ stato calcolato e valutato a fondo. Succede di proposito.

Di fronte al rifiuto dell’Egitto di consentire un esodo di massa di palestinesi nel Sinai, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha incaricato Ron Dermer, Ministro per gli Affari Strategici, di escogitare un piano per “sfoltire” la popolazione di Gaza provocando una “fuga di massa” di palestinesi in Europa e Africa via mare.

Il piano, rivelato per la prima volta da Israel Hayom (quotidiano gratuito israeliano, ndtr.), è stato fatto circolare tra pochissime persone a causa della sua “ovvia carica esplosiva”. Il piano sostiene che se milioni di siriani, libanesi e tunisini possono salire sulle barche per fuggire la guerra civile e la povertà, perché non potrebbe essere lo stesso per i palestinesi?

Nonostante mesi di forti pressioni dietro le quinte da parte del presidente USA Joe Biden, non vi è segnale che né Netanyahu né l’esercito stiano deviando dal piano di rendere Gaza invivibile in modo permanente.

I due hanno obbiettivi differenti. Netanyahu vuole una guerra permanente sapendo che appena essa si fermasse la sua coalizione di estrema destra si spezzerebbe e lui si troverebbe in grossi guai, dovendo rispondere della grave falla nella sicurezza che ha permesso a Hamas di scatenarsi nel sud di Israele in ottobre. Solo un sostanziale esodo di palestinesi da Gaza potrebbe soddisfare l’estrema destra.

All’alto comando dell’esercito poco importa una occupazione permanente di Gaza e sta resistendo agli ordini di rioccupare il Corridoio Filadelfia (zona cuscinetto al confine tra Israele e Egitto, ndtr.) intorno al valico di Rafah con l’Egitto. Vuole recuperare l’onore perduto e ristabilire la deterrenza con Hamas. 

Ma per il momento stanno lavorando insieme. Non ci sono indicazioni che Israele stia rinunciando al piano strategico di svuotare Gaza di una parte sostanziale della sua popolazione. I soldati si riprendono in video esultanti mentre spianano intere aree del territorio.

Questo è lo spirito in Israele. Da un pezzo i soldati hanno smesso di “piangere e sparare”; oggi ridono e sparano.

L’imminente prospettiva di decine di migliaia di altri morti a Gaza per fame e malattie getta una luce tragica sul rifiuto della comunità internazionale di fare qualcosa per alleviare questa sofferenza di massa causata dall’uomo, che disprezza apertamente le Convenzioni di Ginevra e tutte le leggi di guerra e si configura come genocidio – sia che la CIG alla fine lo giudichi tale o no.

Netanyahu ignora apertamente le richieste di USA, Regno Unito e UE che non vi siano una rioccupazione di Gaza, corridoi di sicurezza lungo l’attuale confine con Israele e punizioni collettive della popolazione civile e che possano entrare cibo e acqua. Israele continua a restare impunito per questo comportamento.

Politica di facciata

Quanto a Cameron, c’è un netto sapore di nostalgia [imperiale, ndt] nel suo tentativo di spacciare le granate USA e le bombe intelligenti fornite a Israele tramite la base della RAF a Akrotiri a Cipro come un’impresa zelante, condivisa, amorevole.

Nessuno dovrebbe dimenticare il suo personale contributo a quel disastro di intervento militare in Medio Oriente che fu il rovesciamento di Muhammar Gheddafi in Libia e la guerra civile che provocò. Ma anche se il suo pubblico avesse avuto un tale attacco di amnesia, la sua politica riguardo a Gaza è una finzione.

Parlando sullo sfondo del suono dei motori dei jet rombanti nella base aerea al-Udeid in Qatar, Cameron ha detto che nessuno degli aiuti destinati a Gaza sarebbe stato utile se non ci fosse stata “un’immediata tregua nei combattimenti.”

Ricordatemi, per quante settimane dopo il 7 ottobre la Gran Bretagna si è opposta alle richieste di un cessate il fuoco immediato, in base all’assunto che Israele aveva il diritto di difendersi?

Cameron ha poi detto che una tregua nei combattimenti avrebbe dovuto trasformarsi in un sostenibile cessate il fuoco permanente. Ha sentito che cosa ha detto Netanyahu? “Nessuno ci fermerà – né l’Aja, né l’asse del male (guidato dall’Iran), né alcun altro”, ha specificato all’inizio del mese l’ufficio del ministro su Twitter/X.

Cameron non capisce che nel momento in cui Netanyahu deviasse da quella linea perderebbe il governo e probabilmente anche la libertà per le cause per corruzione pendenti in tribunale?

Cameron prosegue prescrivendo ciò che Hamas, che nel Regno Unito è classificata come organizzazione terrorista, dovrebbe fare: “Dovremmo vedere la leadership di Hamas uscire da Gaza.” Non lo farà mai.

Dovremmo vedere smantellati i dispositivi di Hamas in grado di lanciare razzi e attacchi terroristici su Israele.” L’Esercito Repubblicano Irlandese (IRA) ha smantellato il suo arsenale prima o dopo che fu negoziato l’Accordo del Venerdì Santo (nel 1998, ndtr.)? Quando mai un’insurrezione ha deposto le armi prima che fosse siglato un accordo di pace?

Dovremmo vedere una nuova Autorità Palestinese in grado di gestire il governo e i servizi non solo in Cisgiordania, ma anche a Gaza.” L’ANP è attualmente incapace di governare Nablus e Jenin, figuriamoci Gaza.

E soprattutto dovremmo avere un orizzonte politico in modo che il popolo palestinese e gli Stati arabi in questa regione possano vedere che esiste un percorso dal punto in cui siamo ora verso uno Stato palestinese.” Netanyahu si vanta che la missione della sua vita intende impedire proprio questa eventualità.

Cameron avrebbe ben dovuto dire dalla pista affollata di al-Udeid che, perché un tale piano veda la luce, è necessario niente di meno che un cambio di regime a Tel Aviv. E uscirebbe pulito riguardo alla sua responsabilità per questo massacro.

E’ stata la costante inazione riguardo ad uno Stato palestinese da parte di Cameron e dei suoi predecessori e successori – e del governo di cui ora fa parte che ancora non riconosce la Palestina come Stato – che ha creato l’impasse politico che ha condotto alla rinnovata insurrezione che vediamo oggi, non solo a Gaza ma in tutta la Cisgiordania occupata.

Il caso dei lanci aerei

Se Israele non rispetta la sentenza della CIG e continua a bloccare gli aiuti al confine e a prendere di mira i civili in coda per il cibo, come mi aspetto sicuramente che faccia, crescerà la pressione sul Regno Unito e sugli USA per iniziare lanci aerei di cibo sulla stessa Gaza.

La guerra non costituisce un impedimento. E’ stato fatto in Sud Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo e in Bosnia; perché non si potrebbe fare a Gaza? La Giordania e la Francia hanno dato l’esempio con limitati lanci aerei per sostenere un ospedale da campo giordano. Che cosa impedisce a Gran Bretagna e USA di fare lo stesso?

La risposta è ovvia: Israele. Facciamo chiarezza su che cosa è in gioco qui. Qualunque cosa accada, Israele non accetterà di perdere il suo monopolio sull’imposizione dell’assedio a Gaza che ha mantenuto per più di 16 anni.

L’assedio, che consente a Israele di regolare il grado di sofferenza che infligge ad ogni anima viva a Gaza, è l’arma più preziosa e diabolica nel suo arsenale. Se la perde, perde la guerra.

Ecco che cosa è in gioco nella sentenza della CIG – ed ecco perché questo è un punto di svolta.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è co-fondatore e caporedattore di Middle East Eye. E’ commentatore e relatore sulla regione e analista su Arabia Saudita. E’ stato l’editorialista per l’estero del Guardian e corrispondente in Russia, Europa e a Belfast. E’ arrivato al Guardian da The Scotsman (quotidiano britannico edito a Edimburgo, ndtr.), dove era corrispondente per l’istruzione.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Giustiziati nel sonno: come le forze israeliane hanno assassinato tre palestinesi durante un’incursione in un ospedale della Cisgiordania

SHATHA HANAYSHA

30 gennaio 2024 – Mondoweiss

Le forze israeliane travestite da operatori ospedalieri e civili sono entrate nell’ospedale Ibn Sina di Jenin e hanno assassinato tre palestinesi mentre dormivano. Questo sfrontato omicidio segna un’escalation senza precedenti nella guerra di Israele contro i palestinesi in Cisgiordania.

Abeer Al-Ghazawi è andata a dormire la scorsa notte sentendosi rassicurata, sapendo che suo figlio, Basel, era in un letto dell’ospedale Ibn Sina di Jenin, accompagnato da suo fratello Mohammed. Per lei l’ospedale rappresentava il posto più sicuro nella loro città natale, Jenin. Per mesi, l’esercito israeliano ha intensificato le sue operazioni nella città settentrionale della Cisgiordania e nel suo campo profughi, conducendo violenti raid e attacchi di droni che hanno ucciso decine di persone.

Basel, 19 anni, era in cura per un grave infortunio subito lo scorso ottobre quando un attacco di droni israeliani lo ha reso paraplegico, costretto su una sedia a rotelle. Ad accompagnarlo in ospedale c’erano il fratello maggiore Mohammed, 24 anni, e il loro amico Mohammed Jalamneh, 28 anni. Secondo testimoni, nelle prime ore del mattino di martedì 30 gennaio, i tre giovani dormivano nella stanza d’ospedale di Basel quando un’unità sotto copertura delle forze speciali israeliane è entrata nella loro stanza al terzo piano dell’ospedale e li ha giustiziati a bruciapelo, con armi da fuoco silenziate.

Una decina di membri delle forze speciali israeliane travestiti da operatori ospedalieri e civili palestinesi – tra cui soldati vestiti da donne palestinesi velate, uno con un marsupio per infanti e lavoratori dell’ospedale, e un altro travestito da paziente su sedia a rotelle – si sono infiltrati nell’unità di terapia intensiva dell’ospedale, aggredendo l’infermiera di turno.

Ripresi dalle telecamere a circuito chiuso, i soldati israeliani travestiti possono essere visti muoversi nel reparto ospedaliero con i fucili d’assalto spianati. Mentre alcuni soldati depongono i loro marsupi e altri travestimenti, si può vedere almeno un soldato che tiene sotto tiro un civile. Il civile è in ginocchio con le mani dietro la testa. Il soldato israeliano toglie la giacca all’uomo e poi gliela mette in testa.

Fuori dall’inquadratura delle riprese della telecamera di sorveglianza diffuse dall’ospedale Ibn Sina le forze speciali si sono fatte strada verso la stanza di Basel. Lì sono entrate nella stanza dove dormivano i tre giovani. I soldati hanno sparato cinque colpi, uccidendo Basel, suo fratello Mohammed e il loro amico Mohammed mentre dormivano. Nel giro di 10 minuti le forze si sono ritirate dalla scena.

Un testimone oculare e paziente dell’ospedale, che ha chiesto l’anonimato, ha informato Mondoweiss di aver sentito delle urla nel corridoio, di essere uscito e di aver visto tre persone armate davanti a lui. Uno dei soldati, ha raccontato il testimone, tratteneva l’infermiera di turno e “la picchiava continuamente sulla testa”.

I soldati hanno urlato all’uomo di tornare nella sua stanza. Ha detto a Mondoweiss che quando ha tentato di uscire di nuovo dalla sua stanza per vedere cosa stava succedendo i soldati hanno sparato verso la sua stanza.

Ha continuato affermando che, dopo che i soldati si erano ritirati, si è precipitato nella stanza in cui erano entrati solo per trovare i tre martiri “che giacevano nei loro letti, con il sangue che scorreva dalle loro teste”. Ha detto che l’operazione all’interno della stanza non è durata più di tre minuti e che si è reso conto, quando li ha sentiti parlare ebraico, che le persone che ha visto erano “musta’ribeen”, il termine arabo per le unità speciali delle forze israeliane che si travestono da palestinesi per effettuare rapimenti e omicidi nei territori palestinesi occupati.

Il testimone ha descritto quello che ha visto come “la scena più straziante” a cui aveva assistito in vita sua. Quando ha cercato di sdraiarsi e riposare dopo l’attacco ha detto che non riusciva a dormire, perché la scena orribile dei letti d’ospedale insanguinati gli scorreva nella mente.

Mondoweiss ha visitato la scena dell’assassinio poche ore dopo che ha avuto luogo. Il letto accessibile ai disabili dove dormiva Basel era macchiato di sangue. Il cuscino su cui giaceva era insanguinato e coperto di frammenti di cervello e cranio.

Accanto al letto di Basel c’erano i resti del suo ultimo pasto.

Inoltre il sangue di suo fratello e del loro amico era schizzato sulle pareti e sul pavimento della stanza dove dormivano.

Lo Shin Bet (Shabak), l’agenzia di intelligence interna israeliana, e l’esercito israeliano hanno riconosciuto in una dichiarazione congiunta di essere coinvolti nell’operazione all’interno dell’ospedale. Hanno dichiarato di aver “bloccato un gruppo di militanti di Hamas che si nascondevano nell’ospedale Ibn Sina nella città di Jenin mentre pianificavano di lanciare un attacco a breve”.

Mohammed Jalamneh è stato rivendicato da Hamas come un suo membro e i due fratelli, Basel e Mohammed, sono stati rivendicati come membri dal gruppo palestinese della Jihad islamica. Si dice che tutti e tre i giovani fossero combattenti della Brigata Jenin, un gruppo di resistenza palestinese all’interno di Jenin e nel campo profughi di Jenin che comprende più fazioni della resistenza.

Mentre Basel era effettivamente disabile e relegato su una sedia a rotelle, né lui né suo fratello o l’amico erano attivamente impegnati in un combattimento armato quando sono stati colpiti alla testa. Secondo l’ospedale quando sono stati assassinati i tre stavano dormendo.

Tuttavia, nonostante le gravi accuse secondo cui l’assassinio costituisce un crimine di guerra, i responsabili israeliani hanno festeggiato l’operazione.

“Mi congratulo vivamente con i commando della marina della polizia israeliana per la loro impressionante operazione di ieri sera in collaborazione con l’IDF e lo Shin Bet nel campo profughi di Jenin che ha portato all’eliminazione di tre terroristi”, ha dichiarato il Ministro della Sicurezza Nazionale israeliano Itamar Ben Gvir nel corso del video su X (ex Twitter).

Walid Jalamneh, padre del martire Mohammed, ha respinto e denunciato la dichiarazione ufficiale dell’esercito israeliano esprimendo il suo sgomento per l’intrusione nell’ospedale e la violazione della sacralità delle strutture mediche. Ha affermato che l’attacco è stato un “crimine evidente e una violazione delle leggi internazionali”.

Ha detto: “Sì, è vero che mio figlio è ricercato dagli occupanti [israeliani], ma l’irruzione nell’ospedale in questo modo mentre era in compagnia del suo amico e il suo fratello malato è un crimine

La Brigata Jenin, l’ala militare del Movimento della Jihad islamica, ha denunciato in un comunicato l’assassinio dei tre martiri all’interno dell’ospedale.

Il gruppo ha promesso di rispondere e ha affermato il proprio impegno a “continuare il cammino aperto dai martiri con il loro sangue puro”, sostenendo che questi omicidi non indeboliranno la loro determinazione.

Il Ministero della Sanità palestinese ha rilasciato una dichiarazione in cui invita urgentemente l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, le istituzioni internazionali e le organizzazioni per i diritti umani a porre tempestivamente fine alla “serie quotidiana di crimini commessi dall’occupazione contro le persone e i centri sanitari nella Striscia di Gaza” e in Cisgiordania” e ad offrire la “protezione necessaria alle strutture e al personale medico”.

La dichiarazione sottolinea inoltre che questo crimine è “parte di una serie di decine di crimini commessi dalle forze di occupazione contro strutture e personale medico” e ricorda che il diritto internazionale prevede una protezione generale e specifica per i luoghi civili, compresi gli ospedali, come stipulato nella Quarta Convenzione di Ginevra e Primo e Secondo Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1977, nonché dalla Convenzione dell’Aja del 1954.

Wesam Sbeihat, direttore del Ministero della Salute a Jenin, ha dichiarato a Mondoweiss: “L’intrusione nei reparti e nelle stanze dell’ospedale, così come l’esecuzione e l’assassinio all’interno dell’ospedale di un paziente e dei suoi compagni è un crimine che viene documentato e aggiunto all’elenco dei crimini dell’occupazione contro le équipe mediche e gli ospedali. L’occupazione deve essere ritenuta responsabile dei suoi crimini”.

Sbeihat ha proseguito: “Abbiamo anche il referto medico del paziente assassinato oggi; è stato sottoposto a riabilitazione medica per mesi contrariamente a quanto affermato dagli occupanti secondo cui si nascondeva all’interno dell’ospedale”.

Dal 2022 Israele tenta di eliminare la resistenza nel campo e nella città di Jenin attraverso vari mezzi, tra cui bombardamenti aerei, omicidi ed esecuzioni di militanti. Tuttavia questa è la prima volta che gli occupanti hanno invaso un ospedale ed effettuato un’operazione di assassinio al suo interno.

Questo fatto è anche successo pochi giorni dopo che la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che l’accusa di genocidio avanzata dal Sudafrica contro Israele era “plausibile”, ordinando a Israele di “prevenire atti di genocidio” a Gaza.

Dall’inizio della campagna militare israeliana nella Striscia di Gaza il 7 ottobre l’esercito e il governo israeliani hanno continuato a perpetuare la narrazione secondo cui i gruppi militanti palestinesi utilizzano gli ospedali per le loro operazioni. Nonostante la mancanza di prove concrete dell’esistenza di “centri di comando” di Hamas all’interno o sotto gli ospedali di Gaza, Israele ha continuato ad attaccare gli ospedali di Gaza mentre le sue forze di terra si facevano strada attraverso la Striscia.

Il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Herzi Halevi, ha commentato l’assassinio avvenuto in ospedale, sostenendo che i tre giovani erano “coinvolti in una cellula terroristica che pianificava un grave attacco contro civili israeliani”. Halevi ha affermato che l’esercito israeliano “non permetterà che gli ospedali diventino una copertura per il terrorismo”.

Ha continuato: “Non vogliamo trasformare gli ospedali in campi di battaglia. Ma siamo ancora più determinati a non permettere che gli ospedali a Gaza, in Giudea e Samaria [così chiamano la Cisgiordania, ndtr.], in Libano, in superficie o nei cunicoli dei tunnel e nei tunnel sotto gli ospedali, diventino un luogo che funge da copertura per il terrorismo e che consente ai terroristi di nascondere armi, riposarsi, uscire per sferrare un attacco”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Immagini e video satellitari rivelano che a Gaza almeno 16 cimiteri sono stati profanati dalle forze israeliane

Jeremy Diamond, Muhammad Darwish, Abeer Salman, Benjamin Brown e Gianluca Mezzofiore

20 gennaio 2024 – CNN

Un’indagine della CNN ha rivelato che nella sua offensiva di terra a Gaza lesercito israeliano ha profanato almeno 16 cimiteri distruggendo lapidi, devastando la terra e, in alcuni casi, abbandonando corpi dissotterrati.

A Khan Younis, nel sud di Gaza, dove allinizio di questa settimana i combattimenti si sono intensificati, le forze israeliane hanno distrutto un cimitero e riesumato i cadaveri nel corso di ciò che le forze di difesa israeliane (IDF) hanno definito in una dichiarazione alla CNN parte di una ricerca dei resti degli ostaggi sequestrati da Hamas durante gli attacchi terroristici del 7 ottobre.

La CNN ha esaminato le immagini satellitari e i filmati dei social media che mostrano la distruzione dei cimiteri che ha verificato direttamente nel corso di un viaggio in un convoglio delle IDF. Nel complesso le prove rivelano una pratica attuata sistematicamente dalle forze di terra israeliane nel corso della loro avanzata attraverso la Striscia.

La distruzione intenzionale di siti religiosi, come i cimiteri, viola il diritto internazionale, tranne in circostanze limitate relative al fatto che quel sito diventi un obiettivo militare, ed esperti di diritto hanno detto alla CNN che le azioni di Israele potrebbero costituire crimini di guerra.

Un portavoce delle IDF non è stato in grado di spiegare la distruzione dei 16 cimiteri dei quali la CNN ha fornito le coordinate, ma ha detto che lesercito a volte non ha altra scelta” se non quella di prendere di mira i cimiteri che, ha sostenuto, Hamas utilizzerebbe per scopi militari.

L’esercito ha affermato che il salvataggio degli ostaggi, il ritrovamento e la restituzione dei loro corpi è una delle sue missioni chiave a Gaza, motivo per cui dei corpi sarebbero stati rimossi da alcune tombe.

Il processo di identificazione degli ostaggi, condotto in un luogo diverso e sicuro, garantisce condizioni professionali ottimali e rispetto per il defunto”, ha detto un portavoce dellesercito alla CNN, aggiungendo che i corpi non ritenuti appartenere ad ostaggi sarebbero restituiti con dignità e rispetto”.

Ma in altri casi sembra che lesercito israeliano abbia utilizzato i cimiteri come avamposti militari. Lanalisi da parte della CNN delle immagini e dei video satellitari ha mostrato che i bulldozer israeliani hanno trasformato numerosi cimiteri in aree di sosta militari, livellando ampi spazi ed erigendo terrapieni per fortificare le posizioni.

Nel quartiere Shajaiya di Gaza City, dove un tempo sorgeva il cimitero, si potevano vedere veicoli militari israeliani circondati da terrapieni su tutti i lati. Secondo quanto riportato dai media locali la parte centrale del cimitero di Shajaiya è stata sgomberata prima della guerra. Ma le immagini satellitari hanno mostrato che altre parti sono state demolite più recentemente e che è visibile la presenza delle IDF dal 10 dicembre.

Il 18 dicembre l’esercito israeliano ha pubblicato una foto non datata di quello che ha affermato essere la conseguenza dell’impatto sul terreno del cimitero di Shajaiya di un razzo lanciato da Hamas. La CNN non ha potuto verificare in modo indipendente quando o dove sia stata scattata la foto.

È stato possibile vedere un’analoga scena di distruzione nel cimitero di Bani Suheila, a est di Khan Younis, dove le immagini satellitari hanno rivelato la deliberata e progressiva demolizione del cimitero e la creazione di fortificazioni difensive nel corso di almeno due settimane tra la fine di dicembre e linizio di gennaio.

Nel cimitero di Al Falouja nel quartiere di Jabalya, a nord di Gaza City, in quello di Al-Tuffah, a est di Gaza City, e in un cimitero nel quartiere di Sheikh Ijlin di Gaza City, lapidi distrutte e marcate impronte di pneumatici indicavano il passaggio sopra le tombe di veicoli pesantemente blindati o di carri armati.

La settimana scorsa il veicolo corazzato che trasportava una squadra della CNN ha attraversato direttamente il cimitero di New Bureij ad Al-Bureij, un campo profughi palestinese nel centro di Gaza, mentre usciva dalla Striscia. Su uno schermo all’interno del veicolo che mostrava delle riprese in tempo reale attraverso la sua telecamera anteriore erano visibili tombe su entrambi i lati della strada sterrata appena demolita. La CNN ha confermato l’ubicazione del cimitero geolocalizzando le riprese fatte quel giorno all’interno di Gaza e confrontandole con le immagini satellitari.

Altri cimiteri presi in esame dalla CNN nelle immagini satellitari hanno mostrato pochi o nessun segno di distruzione o di fortificazioni militari: tra questi due cimiteri dove sono sepolti i caduti della prima e della seconda guerra mondiale, tra cui cristiani e alcuni ebrei.

Il portavoce dellIDF non ha spiegato perché ampie aree di cimiteri siano state demolite con i bulldozer per convertirle in avamposti militari o perché dove un tempo c’erano le tombe si trovassero dei veicoli militari. Abbiamo un serio obbligo di rispettare i morti e non esiste alcuna prassi di convertire i cimiteri in postazioni militari”, ha detto il portavoce alla CNN.

Secondo le immagini satellitari, i video esaminati e le geolocalizzazioni della CNN, le forze israeliane hanno gravemente danneggiato il cimitero di Khan Younis tra lunedì notte e mercoledì mattina, mentre si muovevano nell’area circostante il complesso dell’ospedale Al Nasser e un ospedale da campo giordano.

Lesercito ha dichiarato alla CNN che quando vengono ricevute importanti informazioni d’intelligence o operative”, fanno seguitooperazioni precise di salvataggio di ostaggi nei luoghi specifici in cui sulla base delle informazioni potrebbero essere localizzati i loro corpi”.

Israele ha affermato che durante gli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre sono state prese in ostaggio 253 persone e ritiene che 132 ostaggi, di cui 105 vivi e 27 morti, si trovino ancora a Gaza.

Non sono riuscito a trovare la sua tomba”

Dina, la figlia di Munther al Hayek, è stata uccisa nella guerra contro Gaza del 2014. Allinizio di gennaio Munther ha visitato la tomba di Dina nel cimitero di Sheikh Radwan a Gaza City ma lei non c’era. Ha cercato la tomba di sua nonna. Non c’era neanche quella.

Le forze di occupazione le hanno distrutte e demolite”, ha detto alla CNN Hayek, portavoce dell’organizzazione di opposizione palestinese Fatah a Gaza. Le scene sono orribili. Vogliamo che il mondo intervenga per proteggere i civili palestinesi”.

Anche Mosab Abu Toha, un poeta di Gaza le cui opere sono state pubblicate sul New York Times e sul New Yorker, ha appreso che il cimitero dove sono sepolti suo fratello minore e suo nonno è stato gravemente danneggiato dall’esercito israeliano.

Ora al sicuro al Cairo, Abu Toha ha raccontato alla CNN come il 26 dicembre suo fratello lo abbia chiamato dal cimitero di Beit Lahia, nel nord di Gaza, mentre cercava i suoi cari senza riuscire a trovarli.

In una registrazione della loro videochiamata, vista dalla CNN, le macerie ricoprono il terreno dove un tempo sorgeva il cimitero. Nelle immagini satellitari il cimitero è solcato in lungo e in largo da impronte di pneumatici di veicoli militari pesanti.

Il bilancio delle vittime a Gaza cresce di giorno in giorno. Secondo il Ministero della Sanità di Gaza controllato da Hamas più di 24.000 palestinesi sono stati uccisi negli attacchi israeliani. Le sepolture spesso avvengono rapidamente secondo la pratica islamica e, dall’inizio della guerra, i morti sono stati spesso sepolti in fosse comuni.

Alla fine di dicembre Israele ha restituito le salme di 80 palestinesi uccisi nel corso della guerra, affermando di aver verificato che non si trattava di ostaggi israeliani catturati da Hamas. I resoconti dei media palestinesi di quel periodo affermavano che i cadaveri restituiti non erano identificabili. La CNN non può verificare in modo indipendente tali affermazioni.

Rispettare i morti

Esperti di diritto internazionale affermano che la profanazione dei cimiteri viola lo Statuto di Roma, il trattato del 1998 che ha istituito e regola la Corte Penale Internazionale (CPI) per giudicare crimini di guerra, genocidi, crimini contro lumanità e crimini di aggressione. Israele, che originariamente aveva sostenuto la creazione della Corte, non ha ratificato lo Statuto di Roma.

I cimiteri sono tutelati in quantobeni civili” ai sensi del diritto internazionale e vengono loro concesse protezioni speciali, con limitate eccezioni.

I cimiteri possono essere attaccati o distrutti solo se laltra parte in guerra li utilizzi per scopi militari o se ciò sia ritenuto una necessità militare e il vantaggio militare ottenuto sovrasti il danno ai beni civili.

Janina Dill, co-direttrice presso lIstituto di Etica, Diritto e Conflitti Armati dellUniversità di Oxford, ha detto alla CNN: La natura civile del cimitero rimane in una certa misura intatta. Quindi chi vuole attaccare un cimitero deve comunque tenere conto della caratteristica di uso civile delle tombe e dellimportanza civile del cimitero, e deve ridurre al minimo i danni alla funzione civile del cimitero”.

Il Sudafrica ha sollevato la questione della distruzione dei cimiteri di Gaza da parte delle IDF come parte della sua denuncia davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, sostenendo che Israele sta commettendo un genocidio. Israele nega laccusa, ma Dill afferma che, sebbene la sola distruzione dei cimiteri non equivalga a un genocidio, può tuttavia contribuire a dimostrare le intenzioni di Israele.

C’è un profondo significato simbolico nellidea che nemmeno i morti siano lasciati in pace”, dice Dill. Il diritto internazionale umanitario protegge la dignità di chi è estraneo al combattimento come di chi combatte, e tale protezione non termina con la morte”.

Ma in almeno due casi è chiaro che si è fatto di tutto per rispettare i morti – nei cimiteri dove i palestinesi non sono sepolti.

A nemmeno un chilometro di distanza dal cimitero distrutto di Al-Tuffah, a est di Gaza City, si trova in gran parte intatto un cimitero che conserva i corpi di soldati, per lo più britannici e australiani, morti durante la prima e la seconda guerra mondiale. Un cratere sul luogo di sepoltura appare nelle immagini satellitari tra l’8 e il 15 ottobre, ma per il resto non è stato toccato dalla guerra.

Un secondo cimitero amministrato dalla Commissione delle Tombe di Guerra del Commonwealth nel centro di Gaza offre un esempio ancora più evidente. Relitti di veicoli dilaniati e strade distrutte circondano il cimitero. Ma il cimitero in sé, che contiene soprattutto tombe di cristiani e di alcuni soldati ebrei della prima guerra mondiale, è intatto.

Dei soldati israeliani hanno persino posato con una bandiera israeliana accanto alla tomba di un soldato ebreo sepolto lì e unaltra immagine pubblicata sui social media mostra un carro armato fermarsi al confine del cimitero – rispettando la sacralità di quel terreno consacrato.

Il rispetto di alcuni morti, ma non di altri, è in violazione del diritto internazionale, ha detto alla CNN Muna Haddad, avvocatessa per i diritti umani e studiosa del culto dei morti, aggiungendo: Ciò che sta accadendo è una chiara violazione di queste regole fondamentali e ‘commettere oltraggio alla dignità personale’ è considerato un crimine di guerra ai sensi dello Statuto di Roma”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Dentro il campo di tortura israeliano per i prigionieri di Gaza

Yuval Abraham

5 gennaio 2024 – + 972 Magazine

I palestinesi arrestati nel nord della Striscia di Gaza descrivono gli abusi sistematici dei soldati israeliani sia sui civili che sui combattenti, dalle gravi deprivazioni alla crudele violenza fisica.

Allinizio di dicembre sono circolate in tutto il mondo immagini che mostravano decine di palestinesi nella città di Beit Lahiya, nel nord della Striscia di Gaza, mentre venivano svestiti e lasciati in mutande, fatti inginocchiare o sedere piegati in avanti, poi bendati e caricati come bestiame sul retro di camion militari israeliani. Come confermato in seguito da funzionari della sicurezza israeliani la stragrande maggioranza di questi uomini era costituita da civili senza affiliazione ad Hamas, portati via dallesercito senza che le loro famiglie venissero informate sul luogo di detenzione. Alcuni di loro non sono mai tornati.

+972 Magazine e Local Call hanno parlato con quattro dei civili palestinesi apparsi in quelle foto, o arrestati vicino al luogo del fatto e portati nei centri di detenzione militare israeliani, dove sono stati trattenuti per diversi giorni o addirittura settimane prima di essere rilasciati per tornare a Gaza. Le loro deposizioni, insieme a 49 testimonianze video pubblicate da vari media arabi di palestinesi arrestati nelle ultime settimane in circostanze simili nei distretti settentrionali di Zeitoun, Jabalia e Shujaiya, rivelano abusi e torture sistematiche da parte dei soldati israeliani contro tutti i detenuti, sia civili che militanti.

Secondo queste testimonianze i soldati israeliani hanno sottoposto i detenuti palestinesi a scosse elettriche, ustionato la loro pelle con gli accendini, sputato loro in bocca, li hanno privati del sonno, del cibo e dellaccesso ai bagni fino a costringerli a defecarsi addosso. Molti sono stati legati a una recinzione per ore, ammanettati e bendati per gran parte della giornata. Alcuni hanno testimoniato di essere stati picchiati su tutto il corpo e che gli sono state spente delle sigarette sul collo e sulla schiena. Si è saputo che in seguito a tali condizioni di detenzione diverse persone sono morte.

I palestinesi con cui abbiamo parlato hanno detto che la mattina del 7 dicembre, quando sono state scattate le foto a Beit Lahiya, i soldati israeliani sono entrati nel quartiere e hanno ordinato a tutti i civili di lasciare le loro case. Gridavano: Tutti i civili devono scendere e arrendersi’”, ha detto a +972 e Local Call Ayman Lubad, un ricercatore in legge presso il Centro Palestinese per i Diritti Umani, arrestato quel giorno insieme al fratello minore.

Secondo le testimonianze, i soldati hanno ordinato a tutti gli uomini di spogliarsi, li hanno riuniti in un unico luogo e hanno scattato le foto che sono state poi diffuse sui social media (alti funzionari israeliani hanno poi rimproverato i soldati per aver diffuso le immagini). Nel frattempo è stato ordinato a donne e bambini di recarsi all’ospedale Kamal Adwan.

Quattro diversi testimoni hanno riferito separatamente a +972 e Local Call che mentre erano seduti ammanettati per strada i soldati sono entrati nelle case del quartiere e appiccato il fuoco; +972 e Local Call hanno ottenuto le foto di una delle case bruciate. I soldati hanno detto ai detenuti che erano stati arrestati perché “non si erano trasferiti nel sud della Striscia di Gaza”.

Un numero imprecisato di civili palestinesi è rimasto nella parte settentrionale della Striscia nonostante gli ordini di espulsione israeliani che sin dalle prime fasi della guerra hanno portato centinaia di migliaia di persone a fuggire verso sud. Coloro con cui abbiamo parlato hanno elencato diversi motivi per cui non sono partiti: paura di subire il bombardamento da parte dell’esercito israeliano durante il viaggio verso sud o mentre vi si trovavano rifugiati; paura di essere presi di mira dai combattenti di Hamas; difficoltà motorie o disabilità tra i membri della famiglia e lincertezza della vita nei campi di sfollati nel sud. La moglie di Lubad, ad esempio, aveva appena partorito e loro temevano i rischi insiti nel lasciare casa con un neonato.

In un video girato sul posto a Beit Lahiya un soldato israeliano con in mano un megafono è di fronte agli abitanti prigionieri, disposti in fila nudi, in ginocchio e con le mani dietro la testa, e proclama: L’esercito israeliano è arrivato. Abbiamo distrutto Gaza [City] e Jabalia a vostro discapito. Abbiamo occupato Jabalia. Stiamo occupando tutta Gaza. E’ questo quello che volete? Siete dalla parte di Hamas?” I palestinesi ribattono che sono dei civili.

“La nostra casa è bruciata davanti ai miei occhi”, ha detto a +972 e Local Call Maher, uno studente dell’Università Al-Azhar di Gaza, che appare in una fotografia dei prigionieri a Beit Lahiya (ha chiesto di usare uno pseudonimo per paura che lesercito israeliano si vendichi contro i suoi familiari, ancora reclusi in un centro di detenzione militare). Testimoni oculari hanno detto che il fuoco si è diffuso in modo incontrollabile, la strada si è riempita di fumo e i soldati hanno dovuto spostare i palestinesi legati a qualche decina di metri dalle fiamme.

“Ho detto al soldato: ‘La mia casa è andata a fuoco, perché state facendo questo?’ E lui ha risposto: ‘Dimentica questa casa’”, ricorda Nidal, un altro palestinese presente anche lui in una fotografia a Beit Lahiya che ha chiesto di usare uno pseudonimo per gli stessi motivi.

“Mi ha chiesto dove mi faceva male e poi mi ha colpito con violenza”

Si sa che attualmente sono detenuti nelle carceri israeliane più di 660 palestinesi di Gaza, la maggior parte dei quali nella prigione di Ketziot nel deserto del Naqab/Negev. Un ulteriore numero, che l’esercito si rifiuta di rivelare ma potrebbe arrivare a diverse migliaia, è detenuto in diverse basi militari tra cui quella di Sde Teyman vicino a Be’er Sheva, dove si presume avvengano gran parte degli abusi sui prigionieri.

Secondo le testimonianze, i detenuti palestinesi di Beit Lahiya sono stati caricati su camion e portati su una spiaggia. Sono stati lasciati lì legati per ore e un’altra loro foto è stata scattata e diffusa sui social media. Lubad racconta come una delle soldatesse israeliane abbia ordinato a diversi detenuti di ballare e poi li abbia filmati.

I prigionieri, ancora in mutande, sono stati poi portati in un’altra spiaggia all’interno di Israele, vicino alla base militare di Zikim, dove, secondo le loro testimonianze, i soldati li hanno interrogati e picchiati duramente. Secondo quanto riportato dai media, i primi interrogatori sono stati condotti da membri dell’Unità 504 dell’esercito, un corpo di intelligence militare.

Maher ha raccontato la sua esperienza a +972 e Local Call: Un soldato mi ha chiesto: Come ti chiami?e ha iniziato a darmi pugni allo stomaco e calci. Mi ha detto: Fai parte di Hamas da due anni, dimmi come ti hanno reclutato”. Gli ho risposto che ero uno studente. Due soldati mi hanno aperto le gambe e mi hanno dato un pugno lì e in faccia. Ho iniziato a tossire e mi sono reso conto che non riuscivo a respirare. Ho detto loro: Sono un civile, sono un civile”.

“Ricordo di aver fatto allungato la mano lungo il corpo e di aver sentito qualcosa di pesante”, continua Maher. Non mi ero reso conto che era la mia gamba. Non riuscivo più a sentire il mio corpo. Ho detto al soldato che mi faceva male e lui si è fermato e ha chiesto dove; gli ho risposto allo stomaco e allora mi ha colpito forte allo stomaco. Mi hanno detto di alzarmi. Non riuscivo a sentire le gambe e non potevo camminare. Ogni volta che cadevo mi picchiavano di nuovo. Sanguinavo dalla bocca e dal naso e sono svenuto”.

I soldati hanno interrogato alcuni prigionieri in questo stesso modo, li hanno fotografati, hanno controllato le loro carte d’identità e poi li hanno divisi in due gruppi. La maggior parte, compresi Maher e il fratello minore di Lubad, sono stati rimandati a Gaza dove hanno raggiunto quella stessa notte le loro case. Lo stesso Lubad faceva parte di un secondo gruppo di circa 100 prigionieri di Beit Lahiya che quel giorno sono stati trasferiti in una struttura di detenzione militare all’interno di Israele.

Mentre erano lì i prigionieri sentivano regolarmente aerei che decollavano e atterravano”, quindi è probabile che fossero trattenuti nella base di Sde Teyman accanto a Beer Sheva, che comprende un aeroporto; secondo lesercito israeliano questo è il luogo in cui i prigionieri di Gaza vengono trattenuti per essere esaminati, vale a dire per decidere se devono essere classificati come civili o combattenti illegali”.

Secondo lufficio del portavoce dellesercito israeliano, le strutture di detenzione militare sono destinate solo agli interrogatori e allo screening iniziale dei prigionieri, prima che vengano trasferiti al servizio carcerario israeliano o fino al loro rilascio. Le testimonianze dei palestinesi trattenuti allinterno della struttura, tuttavia, dipingono un quadro completamente diverso.

Siamo stati torturati per l’intera giornata”

All’interno della base militare, i palestinesi sono stati trattenuti in gruppi di circa 100 persone. Secondo le testimonianze, sono rimasti ammanettati e bendati per tutto il tempo, e potevano riposare solo tra mezzanotte e le 5 del mattino.

Uno dei detenuti di ciascun gruppo, scelto dai soldati in base alla conoscenza dell’ebraico e denominato “Shawish” (un termine gergale per servitore o subordinato), era l’unico senza benda sugli occhi. Gli ex detenuti hanno spiegato che i soldati che li sorvegliavano avevano delle torce laser verdi che usavano per indicare chiunque si muovesse, cambiasse posizione a causa del dolore o emettesse un suono. Gli Shawish portavano questi detenuti dai soldati che si trovavano dalla parte opposta della rete di filo spinato che circondava la struttura per essere puniti.

Secondo le testimonianze, la punizione più comune consisteva nell’essere legati ad una recinzione e costretti a tenere le braccia sollevate per diverse ore. Chiunque le abbassasse veniva portato via dai soldati e picchiato.

“Siamo stati torturati per tutto il giorno”, riferisce Nidal a +972 e Local Call. Stavamo inginocchiati, a testa bassa. Quelli che non ci riuscivano venivano legati alla recinzione, [per] due o tre ore, finché il soldato non decideva di lasciarli andare. Sono rimasto legato per mezz’ora. Tutto il mio corpo era coperto di sudore; le mani sono diventate insensibili.

A proposito delle regole Lubad ricorda: Non puoi muoverti. Se ti muovi, il soldato punta un laser verso di te e dice allo Shawish: Portalo fuori, sollevagli le braccia. Se abbassi le braccia lo Shawish ti porta fuori e i soldati ti picchiano. Sono stato legato alla recinzione due volte. E ho tenuto le mani alzate perché c’erano persone intorno a me che erano state ferite. Una persona è tornata con una gamba rotta. Si sentivano i colpi e le urla provenire dall’altro lato della recinzione. Hai paura di guardare o sbirciare attraverso la benda. Se ti vedono guardare, c’è una punizione. Portano fuori anche te o ti legano alla recinzione”.

Un altro giovane rilasciato dalla detenzione ha detto ai media dopo essere tornato a Gaza che le persone venivano torturate continuamente. Sentivamo le urla. Loro [i soldati] ci hanno chiesto: Perché siete rimasti a Gaza, perché non siete andati a sud?” E io ho risposto: Perché dovremmo andare a sud?” Le nostre case sono ancora in piedi e non siamo legati ad Hamas”. Ci hanno detto: ‘andate a sud; il 7 ottobre avete festeggiato [per lattacco guidato da Hamas]”.

In un caso, dice Lubad, un prigioniero che si rifiutava di inginocchiarsi e abbassava le braccia invece di tenerle alzate è stato portato ammanettato dietro la rete di filo spinato. I prigionieri sentivano le percosse, poi hanno sentito il detenuto imprecare contro un soldato e poi uno sparo. Non sanno se il detenuto sia stato effettivamente colpito né se sia vivo o morto; in ogni caso non è tornato per il resto del tempo in cui sono stati trattenuti lì coloro con cui abbiamo parlato.

Nelle interviste con i media arabi degli ex prigionieri hanno testimoniato che altri reclusi sono morti accanto a loro. Lì dentro sono morte delle persone. Un prigioniero aveva una malattia cardiaca. Lo hanno buttato fuori, non volevano prendersi cura di lui”, ha riferito una persona ad Al Jazeera.

Anche diversi prigionieri che si trovavano insieme a Lubad gli hanno raccontato di questa morte. Hanno detto che prima del suo arrivo un uomo anziano del campo profughi di Al-Shati, che era malato, è morto nella struttura a causa delle condizioni di detenzione. I detenuti hanno deciso di iniziare uno sciopero della fame per protestare per la sua morte e hanno restituito ai soldati le razioni di formaggio e pane. I prigionieri hanno riferito a Lubad che di notte i soldati sono entrati e li hanno picchiati duramente mentre erano ammanettati, e poi hanno lanciato contro di loro bombolette di gas lacrimogeno. I detenuti hanno smesso di scioperare.

L’esercito israeliano ha confermato a +972 e Local Call che dei prigionieri provenienti da Gaza sono morti nella struttura. “Sappiamo di casi di morte di persone recluse nel centro di detenzione”, ha detto il portavoce dell’esercito. Secondo le procedure, per ogni morte di un detenuto viene condotta un’indagine che comprende una verifica sulle circostanze della morte. I corpi dei prigionieri vengono trattenuti in conformità con l’ordinamento militare”.

Nelle testimonianze video i palestinesi rilasciati a Gaza descrivono casi in cui i soldati spegnevano sigarette sui corpi dei prigionieri e davano loro persino scosse elettriche. “Sono stato detenuto per 18 giorni”, ha detto un giovane ad Al Jazeera. [Il soldato] vede che ti addormenti, prende un accendino e ti brucia la schiena. Mi hanno spento delle sigarette sulla schiena un paio di volte. Uno dei ragazzi [che era bendato] ha detto [al soldato]: ‘Voglio dell’acqua da bere‘, e il soldato gli ha detto di aprire la bocca e poi ci ha sputato dentro”.

Un altro detenuto riferisce di essere stato torturato per cinque o sei giorni. Racconta che gli veniva detto: “Vuoi andare in bagno? Proibito”. [Il soldato] ti picchia. Ma io non sono Hamas, di cosa ho la colpa? Ma continua a dirti: ‘Tu sei Hamas, tutti quelli che rimangono a Gaza [City] sono Hamas. Se non fossi stato Hamas saresti andato a sud. Ti avevamo detto di andare a sud.'”

Shadi al-Adawiya, un altro prigioniero poi rilasciato, ha riferito a TRT [l’azienda radiotelevisiva di Stato turca, ndt.] in una testimonianza videoregistrata: Ci spegnevano le sigarette sul collo, sulle mani e sulla schiena. Ci prendevano a calci nelle mani e in testa. E c’erano le scosse elettriche”.

Non puoi chiedere nulla”, ha detto ad Al Jazeera un altro detenuto rilasciato dopo essere arrivato in un ospedale di Rafah. Se dici: Voglio bere, ti picchiano su tutto il corpo. Non c’è differenza tra vecchi e giovani. Ho 62 anni. Mi hanno colpito alle costole e da allora ho difficoltà a respirare”.

“Ho provato a togliermi la benda e un soldato mi ha dato una ginocchiata in fronte”

I palestinesi arrestati da Israele a Gaza, siano essi combattenti o civili, sono detenuti ai sensi della Legge sui combattenti illegali” del 2002. Questa legge israeliana consente allo Stato di trattenere combattenti nemici senza concedere loro lo status di prigioniero di guerra e di trattenerli per lunghi periodi di tempo senza regolari procedimenti legali. Israele può impedire ai detenuti di incontrare un avvocato e rinviare l’esame giudiziario fino a 75 giorni o, su approvazione di un giudice, fino a sei mesi.

Dopo lo scoppio dellattuale guerra in ottobre questa legge è stata modificata: secondo la versione approvata dalla Knesset il 18 dicembre, Israele può trattenere tali detenuti anche fino a 45 giorni senza emettere un ordine di detenzione: una disposizione che comporta preoccupanti conseguenze.

Scompaiono per 45 giorni”, ha detto a +972 e Local Call Tal Steiner, direttore esecutivo del Comitato Pubblico Contro la Tortura in Israele. Le loro famiglie non vengono informate. Durante questo periodo le persone possono morire senza che nessuno lo venga a sapere. [Si deve] provare che sia successo davvero. Tante persone possono semplicemente scomparire”.

L’ONG israeliana per i diritti umani HaMoked ha ricevuto chiamate da persone di Gaza riguardanti 254 palestinesi detenuti dall’esercito israeliano e i cui parenti non hanno idea di dove si trovino. Alla fine di dicembre HaMoked ha presentato una petizione allAlta Corte israeliana chiedendo che lesercito pubblichi informazioni sugli abitanti di Gaza detenuti.

Una fonte del Servizio Carcerario Israeliano ha detto a +972 e Local Call che la maggior parte dei detenuti prelevati da Gaza sono trattenuti dai militari e non sono stati trasferiti nelle carceri. È probabile che lesercito israeliano stia cercando di ottenere informazioni di intelligence dai civili utilizzando la legge sui combattenti illegali per tenerli prigionieri.

I detenuti che hanno parlato con +972 e Local Call hanno affermato di essere stati trattenuti nella struttura militare insieme a persone che sapevano essere membri di Hamas o della Jihad islamica. Secondo le testimonianze, i soldati israeliani non fanno distinzioni tra i civili e i membri di queste organizzazioni e trattano tutti allo stesso modo. Alcuni degli arrestati in uno stesso gruppo a Beit Lahiya quasi un mese fa non sono stati ancora rilasciati.

Nidal descrive come, oltre alla violenza subita dai detenuti, le condizioni di detenzione fossero estremamente dure. “La toilette è una sottile apertura tra due pezzi di legno”, dice. Ci mettevano lì ammanettati e bendati. Entravamo e facevamo pipì vestiti. Ed è sempre lì che bevevamo”.

I civili rilasciati dalla base militare israeliana hanno raccontato a +972 e Local Call che dopo pochi giorni sono stati portati da una struttura all’altra per essere interrogati. La maggior parte ha affermato di essere stata picchiata durante gli interrogatori. È stato loro chiesto se conoscevano agenti di Hamas o della Jihad islamica, cosa pensavano di quanto accaduto il 7 ottobre, quale dei loro familiari fosse un agente di Hamas, chi fosse entrato in Israele il 7 ottobre e perché non fossero fuggiti a sud come ordinato.”

Tre giorni dopo Lubad è stato portato a Gerusalemme per l’interrogatorio. “L’inquirente mi ha dato un pugno in faccia e alla fine mi hanno portato fuori e mi hanno bendato”, dice. Ho provato a togliermi la benda perché mi faceva male e un soldato mi ha dato una ginocchiata in fronte, quindi l’ho lasciata.

“Mezz’ora dopo hanno portato un altro prigioniero, un professore universitario”, continua Lubad. A quanto pare non ha collaborato con loro durante linterrogatorio. Lo hanno picchiato davvero senza pietà accanto a me. Gli hanno detto: ‘Stai difendendo Hamas, non rispondi alle domande. Mettiti in ginocchio, alza le mani.Ho sentito due persone venire verso di me. Pensavo che fosse il mio turno di essere picchiato e nell’attesa ero contratto in tutto il corpo. Qualcuno mi ha sussurrato allorecchio: Di’ cane”. Ho detto che non capivo. Mi ha risposto: Di‘: il giorno verrà per ogni cane’”, intendendo morte o punizione.

Lubad è stato poi riportato nella cella di detenzione. Secondo lui le condizioni a Gerusalemme erano migliori che nella struttura a sud. Per la prima volta non è stato ammanettato né bendato. “Avevo così tanto male ed ero così stanco che mi sono addormentato, e basta”, dice.

Siamo stati trattati come galline o pecore”

Il 14 dicembre, una settimana dopo essere stato portato via dalla sua casa a Beit Lahiya dove aveva lasciato moglie e tre figli, Lubad è stato messo su un autobus per tornare al valico di Kerem Shalom tra Israele e la Striscia di Gaza. Ha contato 14 autobus e centinaia di prigionieri. Lui e un altro testimone hanno riferito a +972 e Local Call che i soldati hanno detto loro di scappare e che chiunque si guarderà indietro, gli spareremo”.

Da Kerem Shalom i prigionieri si sono recati a Rafah, una città che nelle ultime settimane si è trasformata in un gigantesco campo profughi dovendo ospitare centinaia di migliaia di palestinesi sfollati. I prigionieri rilasciati indossavano pigiami grigi e alcuni hanno mostrato ai giornalisti palestinesi ferite ai polsi, alla schiena e alle spalle, esito evidente della violenza subita durante la reclusione. Indossavano braccialetti numerati che avevano ricevuto appena arrivati al centro di detenzione.

Euro-Med Monitor, un’organizzazione per i diritti umani con sede a Ginevra con diversi ricercatori sul campo a Rafah, ha dichiarato a +972 e Local Call che si stima che nelle ultime settimane almeno 500 abitanti di Gaza siano stati rilasciati e rientrati in città dopo essere stati trattenuti in centri di detenzione israeliani, riportando testimonianze di feroci torture e abusi.

I prigionieri hanno detto ai giornalisti che a Rafah non sapevano dove andare o dove fossero le loro famiglie. Molti di loro erano scalzi. “Sono rimasto bendato per 17 giorni”, ha riferito uno di loro. Siamo stati trattati come galline o pecore”, ha detto un altro.

Uno dei detenuti arrivati a Rafah ha detto a +972 e Local Call che dal momento del suo rilascio due settimane fa vive in una tenda di nylon. “Solo oggi ho comprato delle scarpe”, dice. A Rafah, ovunque guardi, vedi tende. Da quando sono stato rilasciato, per me è stata psicologicamente molto dura. Un milione di persone sono stipate qui, in una città di 200.000 abitanti [prima della guerra]”.

Lubad appena arrivato a Rafah ha chiamato sua moglie. Era felice di sapere che lei e i suoi figli erano vivi. «In carcere continuavo a pensare a loro, a mia moglie che si trova in una situazione difficile, sola con il nostro bambino appena nato», spiega.

Ma al telefono ha capito che c’era qualcosa che i suoi familiari non gli dicevano. Alla fine, Lubad ha scoperto che unora dopo che suo fratello minore era tornato dalla prigionia a Zikim Beach era stato ucciso da un proiettile israeliano che ha colpito la casa di un vicino.

Ricordando l’ultima volta che aveva visto suo fratello, Lubad dice: “Vedevo come eravamo seduti lì in mutande, e faceva un freddo terribile, e gli ho sussurrato: ‘Va bene, va tutto bene, tornerai sano e salvo.’

Durante la sua detenzione la moglie di Lubad ha detto ai figli che lui era in viaggio allestero; Lubad non è sicuro che ci credessero. Quel giorno suo figlio di 3 anni lo ha visto per strada senza vestiti. Mio figlio desiderava tanto andare allo zoo, ma a Gaza non c’è più nessuno zoo. Allora gli ho detto che durante il mio viaggio avevo visto una volpe a Gerusalemme – e in effetti la mattina, durante il mio interrogatorio, passavano alcune volpi. Gli ho promesso che, quando tutto sarebbe finito, avrei portato anche lui a vederle.

In risposta alle affermazioni fatte in questo articolo secondo cui i soldati israeliani avrebbero bruciato le case dei palestinesi arrestati a Beit Lahiya, il portavoce dellesercito ha commentato che le accuse saranno prese in esame”, aggiungendo che negli appartamenti delledificio sono stati trovati documenti appartenenti ad Hamas e una grande quantità di armi” e che dalledificio sarebbero stati sparati colpi contro le forze israeliane.

Il portavoce dellesercito ha affermato che i palestinesi di Gaza sarebbero stati arrestati per coinvolgimento in attività terroristiche” e che ai detenuti che risultano non coinvolti in attività terroristiche e per i quali un prolungamento della detenzione non è giustificato viene permesso di tornare nella Striscia di Gaza alla prima occasione.”

Per quanto riguarda le accuse di maltrattamenti e torture il portavoce dell’esercito ha affermato che tutte le accuse di condotta impropria nella struttura di detenzione vengono indagate approfonditamente. I detenuti vengono ammanettati in base al loro livello di rischio e alle condizioni di salute, secondo una valutazione quotidiana. Una volta al giorno la struttura di detenzione militare offre ai detenuti che la richiedano una consulenza medica per verificarne le condizioni di salute”.

Tuttavia, i prigionieri che hanno parlato con +972 e Local Call hanno affermato di essere stati visitati da un medico solo al loro arrivo nella struttura e di non aver ricevuto alcun trattamento medico successivo nonostante le ripetute richieste.

Yuval Abraham è un giornalista e attivista che vive a Gerusalemme.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Guerra tra Israele e Palestina: alcuni sopravvissuti all’attacco del 7 ottobre contro il rave fanno causa alle forze di sicurezza israeliane

Redazione di MEE

2 gennaio 2023 – Middle East Eye

Alcuni spettatori del festival musicale Supernova intentano una causa per 56 milioni di dollari contro le autorità israeliane accusandole di “negligenza ed errori madornali”

Un gruppo di feriti sopravvissuti all’attacco guidato da Hamas il 7 ottobre nel sud di Israele contro il festival musicale hanno denunciato le forze di sicurezza israeliane per presunta negligenza.

Lunedì quarantadue parti lese che avevano partecipato al rave Supernova, nei pressi della Striscia di Gaza assediata, hanno avviato una causa civile per 56 milioni di dollari presso un tribunale di Tel Aviv contro l’esercito, la polizia, il Ministero della Difesa e il servizio di sicurezza Shin Bet israeliani.

Tre mesi fa il festival è stato tra i vari luoghi attaccati dai combattenti palestinesi in un assalto che ha ucciso circa 1.140 persone, in grande maggioranza civili. Circa altre 240 sono state portate come ostaggi a Gaza.

“Hamas ha ucciso 364 partecipanti alla festa e ne ha portati a Gaza come ostaggi 40, alcuni dei quali sono stati rilasciati e altri sono scomparsi. Molti sono rimasti feriti fisicamente o mentalmente, compresi i denuncianti” si legge nell’azione civile.

“Una semplice telefonata da parte di ufficiali delle IDF [Forze di Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndt.] al comandante responsabile della festa perché venisse immediatamente sospesa alla luce del prevedibile pericolo avrebbe salvato vite ed evitato ferite fisiche e mentali a centinaia di partecipanti, tra cui le parti lese,” continua la denuncia.

“La negligenza e gli errori madornali sono andati oltre ogni immaginazione.”

La denuncia include richieste per mancati guadagni attuali e futuri, dolore e sofferenza e spese mediche.

Cita resoconti secondo cui importanti funzionari israeliani avevano manifestato preoccupazione riguardo all’evento, e qualcuno si era persino opposto alla sua realizzazione.

Nella notte tra il 6 e il 7 ottobre si sono tenute almeno due perizie dell’IDF a causa di incidenti inconsueti sul confine della Striscia di Gaza, una verso mezzanotte e un altro controllo verso le 3 del mattino, parecchie ore prima dell’attacco di Hamas,” sostiene la denuncia.

Aggiunge che le parti lese sono state scioccate dal fatto che, nonostante timori tra i funzionari della sicurezza che combattenti palestinesi potessero effettuare un attacco, non ci siano stati ordini di annullare l’evento.

Ridottissima presenza della polizia

In più la denuncia aggiunge che la sicurezza dell’esercito israeliano per l’evento è stata inadeguata a causa della festa religiosa di Simchat Torah [Gioia per la Torah]. Afferma che solo 27 agenti di polizia erano stati distaccati alla festa.

“L’evento si è tenuto a poca distanza dal confine con la Striscia. Il rumore della festa è stato sentito dagli abitanti di Gaza e i partecipanti sono stati un facile bersaglio dell’attacco terroristico,” ha affermato Shimon Buchbut, un comandante dell’aviazione in congedo citato nella denuncia.

Il mese scorso il New York Times aveva informato che oltre un anno prima che avvenisse ufficiali israeliani avevano ottenuto un piano dell’attacco del 7 ottobre, ma lo avevano ignorato in quanto troppo ambizioso.

Gli ufficiali avevano ricevuto un documento di 40 pagine, denominato da Israele “Mura di Gerico”, che tracciava con dettagli precisi i piani dell’attacco.

Il piano non stabiliva una data per l’aggressione, ma includeva “dettagli sulla localizzazione e le dimensioni delle forze militari israeliane, sui centri di comunicazione e altre informazioni sensibili.”

Specificava poi l’uso di attacchi con i razzi per distrarre i soldati israeliani, di droni per disattivare le misure di sicurezza e invadere la base militare israeliana nel kibbutz di Re’im, vicino a dove si teneva il rave party.

Il rapporto affermava che a luglio un’analista dell’Unità 8200 israeliana [specializzata nello spionaggio informatico, ndt.] aveva avvertito che Hamas stava effettuando un’esercitazione durata un giorno intero simile ai piani delineati in “Mura di Gerico”.

L’analista affermava che ciò includeva una simulazione dell’abbattimento di un velivolo israeliano e dell’occupazione di un kibbutz e di una base per l’addestramento militare e l’uccisione di tutte le reclute presenti.

Un ufficiale dell’esercito nella divisione israeliana responsabile di contrastare le minacce da Gaza si sarebbe congratulato con l’analista ma l’avrebbe definito uno scenario “totalmente fantasioso”.

Circa 22.000 palestinesi di Gaza, in grande maggioranza donne e minori, sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani dall’inizio della guerra circa tre mesi fa.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)