ESCLUSIVA: LA CENSURA MILITARE ISRAELIANA VIETA DI RIFERIRE SU QUESTI OTTO ARGOMENTI

Ken Klippenstein, Daniel Boguslaw

23 dicembre 2023, The Intercept

Un insolito ordine in lingua inglese sulla guerra di Gaza rompe la segretezza e l’informalità con cui normalmente funziona la censura dell’Esercito israeliano.

Armi usate dalle forze di difesa israeliane, fughe di notizie dal gabinetto di sicurezza, storie di persone tenute in ostaggio da Hamas… sono alcuni degli otto argomenti di cui, secondo un documento ottenuto da The Intercept, in Israele ai media è vietato parlare.

Il documento, un ordine di censura indirizzato ai media dall’esercito israeliano come parte della guerra contro Hamas, non era stato segnalato in precedenza. Il promemoria, scritto in inglese, è stata una mossa insolita per la censura dell’IDF che fa parte dell’esercito israeliano da più di settant’anni.

“Non ho mai visto istruzioni come queste inviate dalla censura, a parte avvisi generali che invitavano i media a conformarsi, e anche allora erano inviati solo a determinate persone”, ha detto Michael Omer-Man, ex redattore capo della rivista israeliana +972 Magazine e oggi direttore della ricerca su Israele-Palestina presso Democracy in the Arab World Now, o DAWN, un gruppo di pressione statunitense.

Intitolato “Direttiva del Capo Israeliano della censura ai media per l’Operazione ‘Spade di Ferro’”, l’ordine non è datato ma il suo riferimento all’Operazione Spade di Ferro – il nome dell’attuale operazione militare israeliana a Gaza – chiarisce che è stato emesso qualche tempo dopo l’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre. L’ordine è firmato dal capo censore delle forze di difesa israeliane, Generale di Brigata Kobi Mandelblit. (Il censore militare israeliano non ha risposto a una richiesta di commento sul promemoria.)

Il documento è stato fornito a The Intercept da una fonte che ne ha avuto una copia dall’esercito israeliano. Un documento identico appare sul sito web del governo israeliano.

“Alla luce dell’attuale situazione di sicurezza e dell’intensa copertura mediatica, desideriamo incoraggiarvi a sottoporre alla censura tutto il materiale riguardante le attività delle Forze di difesa israeliane (IDF) e delle forze di sicurezza israeliane prima che sia reso pubblico”, dice l’ordine. “Si prega di informare il proprio staff sul contenuto di questa lettera, con particolare attenzione alla redazione e ai giornalisti sul campo.”

L’ordine elenca otto argomenti di cui è vietato ai media riferire senza previa approvazione da parte della censura militare israeliana. Alcuni degli argomenti toccano questioni politiche scottanti in Israele e a livello internazionale, come rivelazioni potenzialmente imbarazzanti sulle armi usate da Israele o catturate da Hamas, discussioni sulle riunioni del gabinetto di sicurezza e sugli ostaggi israeliani a Gaza – una questione per la cui cattiva gestione il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato ampiamente criticato.

La nota vieta inoltre di riferire su dettagli di operazioni militari, intelligence israeliana, attacchi missilistici che abbiano colpito luoghi sensibili in Israele, attacchi informatici e visite di alti ufficiali militari sul campo di battaglia.

Le preoccupazioni circa una politicizzazione della censura militare non sono meramente ipotetiche. Il mese scorso, secondo quanto riferito, il censore israeliano si è lamentato del fatto che Netanyahu gli stesse facendo pressione affinché reprimesse alcuni media senza una ragione legittima. Netanyahu ha negato l’accusa.

Autocensura e segretezza

La Censura Militare Israeliana è un’unità situata all’interno della Direzione dell’Intelligence Militare dell’IDF. L’unità è comandata dal capo censore, un ufficiale militare nominato dal Ministro della Difesa.

Guy Lurie, ricercatore presso l’Israel Democracy Institute con sede a Gerusalemme, ha detto a The Intercept che da quando è iniziata la guerra di Israele contro Hamas più di 6.500 nuovi articoli sono stati completamente o parzialmente censurati dal governo israeliano.

Per contestualizzare la cifra, Lurie ha affermato che si tratta di circa quattro volte in più rispetto a prima della guerra, citando un articolo del quotidiano israeliano Shakuf sulle richieste di libertà di informazione. Il numero di contributi sottoposti alla censura, tuttavia, è significativamente più alto in questo momento di intenso conflitto, e Lurie ha osservato che le notizie sono sottoposte a un normale livello di censura considerando il totale dei contributi.

Il numero effettivo di nuovi articoli sottoposti a censura, tuttavia, non potrà mai essere quantificato. A causa di un sistema di strette relazioni e di una certa consapevolezza su cosa aspettarsi, i giornalisti israeliani finiscono per autocensurarsi.

“Le persone si autocensurano, non provano nemmeno a riferire le storie che sanno che non passeranno”, ha detto Omer-Man. “E questo è dimostrato proprio adesso da quanto poco i comuni israeliani sappiano dalla stampa ciò che sta accadendo a Gaza ai palestinesi”.

Sono questi modi di censura non ufficiale che danno potere alla censura in Israele, dicono gli esperti.

Nel 2022 un rapporto del Dipartimento di Stato sui diritti umani in Israele e nei territori palestinesi occupati ha affrontato la censura militare, selezionando due giornali in lingua araba nella Gerusalemme est occupata. Pur sottolineando che il censore dell’IDF non controllava gli articoli, il Dipartimento di Stato ha affermato: “I redattori e i giornalisti di quelle pubblicazioni, tuttavia, hanno riferito di essersi autocensurati per paura di ritorsioni da parte delle autorità israeliane”.

Un tempo la censura aveva un Comitato Editoriale composto da tre membri: uno della stampa, uno dell’esercito e un membro eletto pubblicamente che fungeva da presidente. Sebbene il Comitato Editoriale non esista più ufficialmente, un organismo simile, anche se informale, mantiene ancora una certa influenza.

Anche se la legge che istituisce la censura gli conferisce ampi poteri, il censore è rispettato in Israele perché è politicamente indipendente ed agisce con moderazione, soprattutto in confronto a altri paesi della regione.

“Se vedi la legge che governa la censura, è davvero draconiana in termini di autorità formali di cui dispone il censore”, ha detto Lurie a The Intercept. “Ma è mitigata da quell’accordo informale”.

Quasi tutto avviene in segreto: le discussioni del Comitato sono confidenziali, così come la maggior parte dei comunicati tra i media e la censura.

Alla domanda sul perché i procedimenti siano così segreti e perché anche le testate giornalistiche non ne parlino apertamente, un giornalista occidentale con sede in Israele e Palestina, che ha chiesto l’anonimato per evitare ritorsioni, ha dato una valutazione schietta: “Perché è imbarazzante”.

La stampa straniera e la censura

Il fatto che la nota di direttive per l’attuale guerra israeliana a Gaza sia in inglese suggerisce che sia destinato ai media occidentali. I giornalisti stranieri che lavorano in Israele devono ottenere il permesso del governo, inclusa una dichiarazione che rispetteranno la censura.

“Per ottenere un visto come giornalista devi ottenere l’approvazione del GPO (Ufficio stampa del governo) e quindi devi firmare un documento in cui dichiari che rispetterai la censura”, ha detto Omer-Man. “Questo è di per sé probabilmente contrario alle linee guida etiche di molti giornali.”

Nondimeno molti giornalisti firmano il documento. Mentre l’Associated Press, ad esempio, non ha risposto alla domanda di The Intercept sulla sua collaborazione con la censura militare, il News Wire in passato ha parlato della questione, ammettendo anche di attenersi alla direttiva.

“L’Associated Press ha accettato, come altre organizzazioni, di rispettare le regole della censura, che è una condizione per ricevere il permesso di operare come organizzazione di informazione in Israele”, ha scritto l’agenzia in un articolo del 2006. “Ci si aspetta che i giornalisti si censurino e non riportino alcun materiale proibito.”

Alla domanda se rispettasse le linee guida della censura militare israeliana e se la sua ottemperanza fosse cambiata dall’inizio della guerra, Azhar AlFadl Miranda, direttore delle comunicazioni del Washington Post, ha dichiarato a The Intercept in una e-mail: “Non possiamo condividere informazioni”, aggiungendo che “non discutiamo pubblicamente le nostre decisioni editoriali”.

Il New York Times ha dichiarato a The Intercept: “Il New York Times riporta in modo indipendente l’intero spettro di questo complicato conflitto. Non sottoponiamo le nostre corrispondenze alla censura militare israeliana”. (Reuters non ha risposto alle domande di The Intercept.)

La stampa estera che collabora con la censura è soggetta allo stesso sistema: molti articoli non passano attraverso la censura, ma alcuni argomenti prevedono che gli articoli vengano sottoposti.

“Sanno che devono trasmettere alla censura gli articoli su determinati argomenti che vogliono pubblicare “, ha detto Lurie. “Ci sono argomenti per cui i media sanno di dover ottenere l’approvazione della censura.”

Una delle cose che rende insolito l’ordine di censura scritto in lingua inglese, tuttavia, è il riferimento esplicito alla guerra con Hamas. “Non l’ho mai visto per una guerra specifica”, ha detto Lurie.

“Ci sono argomenti per cui i media sanno di dover ottenere l’approvazione della censura.”

Un argomento noto come sensibile in Israele è l’arsenale nucleare segreto del paese. Nel 2004, il giornalista della BBC Simon Wilson aveva intervistato Mordechai Vanunu, un informatore sul programma nucleare che era appena stato rilasciato dal carcere. La censura israeliana richiese copie dell’intervista, ma Wilson non accettò.

A Wilson è stato quindi impedito il rientro e il governo israeliano ha richiesto delle scuse. Inizialmente, la BBC si rifiutò di fornirne, ma alla fine il colosso mondiale dell’informazione cedette.

“[Wilson] Conferma che dopo l’intervista a Vanunu è stato contattato dalla censura e gli è stato chiesto di consegnare loro le cassette. Non lo ha fatto. Si rammarica delle difficoltà che ciò ha causato”, ha affermato la BBC nelle scuse. “Si impegna a rispettare le norme in futuro e comprende che qualsiasi ulteriore violazione comporterà la revoca del suo visto.”

Le scuse, come gran parte del lavoro della censura, sarebbero dovute rimanere segrete secondo un articolo del Guardian del 2005, ma la BBC le pubblicò accidentalmente sul suo sito web prima di rimuoverle rapidamente.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il caso di al-Shifa: indagine sull’attacco al più grande ospedale di Gaza

Louisa Loveluck, Evan Hill, Jonathan Baran, Jarrett Ley, Ellen Nakashima

21 dicembre 2023, Washington Post

Un’analisi del Washington Post su immagini open source e satellitari fa luce sulle affermazioni delle forze di difesa israeliane dell’uso da parte di Hamas dell’ospedale al-Shifa a Gaza City.

GERUSALEMME – Settimane prima che Israele inviasse truppe nell’ospedale al-Shifa, il suo portavoce iniziò a montare un caso.

Le affermazioni erano straordinariamente specifiche: che cinque edifici ospedalieri sarebbero stati direttamente implicati nelle attività di Hamas; che gli edifici si troverebbero sopra i tunnel sotterranei utilizzati dai militanti per dirigere attacchi missilistici e comandare i combattenti e che ai tunnel fosse possibile accedere dall’interno dei reparti ospedalieri. Le affermazioni sarebbero supportate da “prove concrete”, ha affermato il portavoce delle forze di difesa israeliane Daniel Hagari esponendo il caso in un briefing del 27 ottobre.

Dopo aver preso d’assalto il complesso il 15 novembre, l’IDF ha pubblicato una serie di fotografie e video che, secondo loro, ne dimostrerebbero la tesi centrale.

I terroristi venivano qui a dirigere le loro operazioni”, ha detto Hagari in un video pubblicato il 22 novembre, accompagnando gli spettatori attraverso un tunnel sotterraneo, illuminando stanze buie e vuote sotto al-Shifa.

Secondo l’analisi del Washington Post di immagini open source, satellitari e di tutti i materiali dell’IDF rilasciati pubblicamente, le prove presentate dal governo israeliano non riescono a dimostrare che Hamas utilizzasse l’ospedale come centro di comando e controllo. La cosa solleva interrogativi critici, dicono gli esperti legali e umanitari, sul fatto se i danni ai civili causati dalle operazioni militari israeliane contro l’ospedale – l’accerchiamento, l’assedio e infine il raid nella struttura e nel tunnel sottostante – fossero proporzionati alla minaccia stimata.

L’analisi del Post dimostra che:

Le stanze collegate alla rete di tunnel scoperte dalle truppe dell’IDF non offrono prove dirette di un uso militare da parte di Hamas.

Nessuno dei cinque edifici ospedalieri indicati da Hagari sembra essere collegato alla rete di tunnel.

Non ci sono prove che sia possibile accedere ai tunnel dall’interno dei reparti ospedalieri.

Ore prima che le truppe dell’IDF entrassero nel complesso, l’amministrazione Biden aveva desecretato le valutazioni dell’intelligence statunitense che supportavano le affermazioni di Israele. All’indomani del raid, i funzionari israeliani e statunitensi sono rimasti fedeli alle loro dichiarazioni iniziali.

“Abbiamo totale fiducia nell’intelligence… che Hamas lo stesse usando come nodo di comando e controllo”, ha detto la settimana scorsa al Post un alto funzionario dell’amministrazione statunitense, parlando a condizione di restare anonimo per discutere risultati sensibili. “Hamas aveva tenuto gli ostaggi nel complesso dell’ospedale fino a poco prima che Israele entrasse”.

Il governo degli Stati Uniti non ha reso pubblico il materiale desecretato e il funzionario non ha voluto condividere i dati su cui si basava questa valutazione.

“L’IDF ha pubblicato prove ampie e inconfutabili che indicano l’uso strumentale del complesso ospedaliero di Shifa da parte di Hamas per scopi terroristici e attività terroristiche clandestine”, ha detto al Post un portavoce dell’IDF.

Quando è stato chiesto se fossero disponibili ulteriori prove su al-Shifa, il portavoce ha detto: “Non possiamo fornire ulteriori informazioni”. Il 24 novembre l’esercito israeliano ha annunciato in un comunicato di aver distrutto il tunnel nell’area dell’ospedale; subito dopo le truppe si sono ritirate.

All’inizio ero convinto che [al-Shifa] fosse il luogo in cui si svolgevano le operazioni”, ha detto al Post un membro senior del Congresso americano, parlando a condizione di restare anonimo a causa della delicatezza della questione. Ma ora, ha detto, “Penso ci debba essere un nuovo livello di chiarimenti. A questo punto vorremmo avere più prove”.

Il fatto che un alleato degli Stati Uniti abbia preso di mira un complesso che ospita centinaia di pazienti malati e morenti e migliaia di sfollati non ha precedenti negli ultimi decenni. L’avanzata su al-Shifa ha causato il collasso delle operazioni dell’ospedale. Mentre le truppe israeliane si avvicinavano e i combattimenti si intensificavano finiva il carburante, i rifornimenti non potevano entrare e le ambulanze non riuscivano a raccogliere le vittime dalle strade.

Citando il personale ospedaliero, le Nazioni Unite hanno riferito che, prima che le truppe entrassero nel complesso, i medici avevano scavato una fossa comune per circa 180 persone. L’obitorio aveva cessato di funzionare da tempo. Diversi giorni dopo, quando i medici dell’OMS arrivarono per evacuare le persone ancora all’interno, dissero che il luogo della guarigione era diventato una “zona di morte”. Almeno 40 pazienti – tra cui quattro bambini prematuri – erano morti nei giorni precedenti il raid e per le sue conseguenze, hanno detto le Nazioni Unite.

Nelle settimane successive altri ospedali di Gaza sono stati attaccati in modo simile a quanto accaduto ad al-Shifa, facendone non solo un momento spartiacque nel conflitto, ma un fondamentale case study del rispetto di Israele della legislazione di guerra.

Status protetto

Il complesso medico di al-Shifa era l’ospedale più avanzato e meglio attrezzato di Gaza. Dopo che Israele ha lanciato la sua devastante campagna di attacchi aerei in rappresaglia per il brutale attacco di Hamas del 7 ottobre, al-Shifa è diventato il cuore pulsante del vacillante sistema sanitario dell’enclave, nonché un luogo di rifugio per decine di migliaia di sfollati di Gaza che temevano sarebbero stati uccisi nelle loro case.

Le strutture mediche godono di una protezione speciale – anche in tempo di guerra – perdendo il loro status solo “se vengono utilizzate al di fuori della loro funzione medica per commettere atti dannosi per il nemico”, ha affermato Adil Haque, professore di diritto alla Rutgers University.

Senza una conoscenza completa dei dati dell’intelligence israeliana e dei suoi piani di battaglia, la legalità delle operazioni militari israeliane contro al-Shifa rimane una questione aperta.

Ma nel suo briefing del 27 ottobre, Hagari ha fornito un quadro chiaro di ciò che pensava le forze israeliane avrebbero trovato, mostrando un video animato di ciò che presumibilmente si trovava sotto la struttura. Nel film militanti mascherati pattugliavano un livello collegato a un labirinto di stanze più sotterranee con computer portatili e zone notte.

“La legge riguarda ciò che l’aggressore avesse in mente nel momento in cui ha pianificato ed eseguito la missione rispetto sia al danno collaterale che si aspettava di causare sia al vantaggio militare che prevedeva di ottenere”, ha affermato Michael Schmitt, professore emerito presso il Naval War College degli Stati Uniti.

L’IDF non ha voluto commentare il vantaggio militare cercato o ottenuto.

Qual era l’urgenza? La cosa non è ancora stata dimostrata”, ha affermato Yousuf Syed Khan, avvocato senior presso Global Rights Compliance, lo studio legale che ha redatto i documenti delle Nazioni Unite sulla guerra d’assedio.

Anche se il tunnel sotterraneo scoperto dalle forze israeliane dopo il raid indicasse una possibile presenza di militanti sotto l’ospedale in un qualche momento, non prova che un nodo di comando operasse lì durante la guerra.

Stiamo avendo una comprensione più dettagliata e tridimensionale dell’ospedale al-Shifa e dei tunnel sottostanti”, ha affermato Brian Finucane, ex consulente legale del Dipartimento di Stato e ora consulente senior presso Crisis Group [ONG indipendente impegnata a prevenire e risolvere i conflitti, ndt.]

Ciò che manca davvero qui è una conoscenza affidabile e sicura della quarta dimensione, che è il tempo. Quando sono stati utilizzati in un determinato modo i vari elementi dell’ospedale? E i tunnel sotto il complesso ospedaliero?

La conferenza stampa del 27 ottobre ha provocato soprassalti di paura nell’ospedale, e il personale l’ha vista come il pretesto per un’azione militare. Poche ore dopo le reti di comunicazione dell’enclave si sono interrotte. “Dopodiché, sono iniziati i bombardamenti sugli edifici circostanti al-Shifa”, ricorda Ghassan Abu Sitta, un chirurgo anglopalestinese che lavorava all’ospedale quella notte. “Il bombardamento era molto vicino e l’edificio tremava violentemente.”

All’inizio di novembre migliaia di civili terrorizzati erano rimasti intrappolati all’interno dell’area dell’ospedale mentre l’operazione militare israeliana isolava di fatto il complesso dal mondo esterno.

Almeno due bambini prematuri sono morti l’11 novembre quando l’ospedale è rimasto senza elettricità per alimentare le incubatrici, ha detto il personale.

Diverse decine di altri pazienti in terapia intensiva sono morte nei giorni successivi, hanno riferito i medici. La Mezzaluna Rossa Palestinese ha detto che non ha più potuto inviare ambulanze per assistere o evacuare i feriti.

Nelle prime ore del 15 novembre l’IDF ha dichiarato che stava effettuando una “operazione precisa e mirata” contro Hamas in un’area specifica del complesso e che aveva ucciso un certo numero di militanti all’esterno del complesso “prima di entrare. “

Nella tarda mattinata i medici all’interno della struttura e i funzionari del Ministero della Sanità di Gaza hanno affermato che le forze israeliane ne avevano preso il completo controllo. Le truppe erano andate di stanza in stanza interrogando il personale e i pazienti e chiedendo ad alcuni di riunirsi nel cortile, non lontano dalla fossa comune dove i morti venivano sepolti senza nessuna cerimonia.

Il Post ha analizzato le immagini satellitari e le fotografie sui social media per mappare i danni all’ospedale e localizzare la fossa comune, appena dentro i cancelli orientali del complesso ospedaliero.

“Si è trattato di un’operazione militare molto precisa e mirata che Israele ha condotto con molti sforzi per ridurre le vittime civili”, ha detto l’alto funzionario dell’amministrazione americana.

Quando il 18 novembre sono arrivati gli operatori umanitari dell’OMS, medici e pazienti hanno implorato la squadra di fornire un passaggio sicuro, ha riferito l’organizzazione.

Nel pronto soccorso diverse decine di bambini prematuri piangevano, come hanno mostrato i video e detto i medici. Altri due erano morti prima dell’arrivo dei mezzi per l’evacuazione dell’OMS.

Emergono le prove

Durante l’occupazione di al-Shifa da parte dell’IDF, durata più di una settimana, l’IDF ha pubblicato numerose serie di foto e video che mostravano presunte prove dell’attività militare di Hamas all’interno e sotto l’ospedale.

Meno di 24 ore dopo che le forze israeliane erano entrate nel complesso, l’IDF ha diffuso un filmato che mostrava il portavoce Jonathan Conricus mentre attraversava l’unità di radiologia. Dietro una macchina per la risonanza magnetica indica quella che lui chiama una “pesca miracolosa” contenente un fucile tipo kalashnikov e un caricatore di munizioni.

Le foto rilasciate dai militari più tardi lo stesso giorno mostravano l’intero bottino di armi recuperate in ospedale: circa 12 fucili tipo kalashnikov oltre a caricatori di munizioni e diverse granate e giubbotti antiproiettile.

Il Post non è stato in grado di verificare in modo indipendente a chi appartenessero le armi o come fossero finite all’interno dell’unità di radiologia.

Nei giorni successivi sarebbero emerse prove più ampie che sembravano indicare l’attività dei militanti sotto la struttura. Il 16 novembre i militari israeliani hanno diffuso immagini che mostrano l’ingresso di un tunnel nell’angolo nord-est del complesso ospedaliero, vicino all’edificio della chirurgia specialistica.

Le immagini satellitari indicavano che le truppe israeliane avevano trovato l’ingresso all’interno di un piccolo edificio che avevano demolito.

In seguito i militari hanno pubblicato video delle loro truppe e di Hagari mentre esploravano la rete di tunnel collegata al pozzo d’ingresso. Il filmato mostrava un lungo tunnel che si estendeva a est dal pozzo e correva a sud sotto l’unità di chirurgia specialistica; un’altra sezione si dirigeva a nord, lontano dal complesso dell’ospedale. Dai video non è stato possibile determinare la distanza o la direzione finale della sezione nord del tunnel.

È bloccato e sigillato; sanno che saremmo venuti qui da più di un mese e l’hanno sigillato”, ha detto Hagari in un video.

Il Post ha mappato il percorso del tunnel geolocalizzando i siti scavati all’interno di al-Shifa e analizzando i video fotogramma per fotogramma per determinare la direzionalità e la lunghezza della rete. Il Post ha poi sovrapposto i percorsi dei tunnel sulla mappa originale rilasciata dall’IDF il 27 ottobre, che secondo loro mostrava l’intera estensione dell’infrastruttura di comando e controllo di Hamas.

Nessuno dei cinque edifici evidenziati dall’IDF sembra collegarsi ai tunnel, e non è stata prodotta alcuna prova che dimostri che si potesse accedere ai tunnel dall’interno dei reparti dell’ospedale, come aveva affermato Hagari.

Il Post ha analizzato le prove visive dell’IDF che mappano il tunnel sotto al-Shifa e le ha confrontate con le affermazioni iniziali dei militari.

In una sezione sotto l’edificio dell’ambulatorio sono collegati al tunnel due piccoli bagni, un lavandino e due stanze vuote. Hagari ha detto che le stanze e il tunnel ricevevano elettricità, acqua e aria condizionata da al-Shifa. Una stanza, ha detto Hagari, era una “sala operativa”, e l’ha detto dando il cablaggio elettrico come prova.

Le stanze spoglie, piastrellate di bianco, non mostravano alcuna prova immediata di utilizzo, per comando e controllo o altro. Non ci sono segni di abitazione recente come rifiuti, contenitori per cibo, vestiti o altri oggetti personali.

Questa stanza è stata evacuata e tutta l’attrezzatura è stata evacuata. Immagino che sia stato evacuato quando hanno saputo o capito che saremmo entrati nell’ospedale di Shifa”, ha detto Hagari nel video.

Non ha spiegato quando si pensa che i militanti avessero operato nel tunnel o quando sarebbe avvenuta la loro presunta partenza. L’IDF non ha risposto alle richieste di chiarimenti.

“Se alla fine non trovi quello che avevi detto che avresti trovato è legittimo essere scettici sul fatto che la tua valutazione del valore militare dell’operazione fosse fondata o meno”, ha detto Geoffrey Corn, professore di diritto alla Texas Tech University ed ex consigliere senior per la legislazione di guerra dell’esercito degli Stati Uniti. “Non è certamente decisivo. La domanda finale è se, date le circostanze, la valutazione del vantaggio militare fosse ragionevole”.

In una dichiarazione del 18 novembre Hamas ha descritto le affermazioni sul suo utilizzo di al-Shifa come parte di una “campagna di palesi bugie”. I funzionari non hanno risposto a una richiesta di commenti sul presunto utilizzo dei tunnel da parte del gruppo.

Il giorno successivo l’IDF ha pubblicato un’ulteriore prova: il filmato di una telecamera di sicurezza che mostrava militanti armati condurre attraverso l’ospedale due ostaggi dei circa 240 catturati durante l’assalto al sud di Israele il 7 ottobre. Uno sembrava ferito ed è su una barella. Non è chiaro se gli ostaggi siano stati portati in ospedale per cure mediche o per altri scopi.

La presa di ostaggi è un crimine secondo il diritto internazionale. Ma “l’uso improprio dell’ospedale cinque settimane prima dell’operazione dell’IDF non chiarisce la legalità dell’operazione dell’IDF”, ha detto Haque.

Gli ospedali come obiettivi

Mentre la polvere si depositava su al-Shifa, gli esperti mettevano in guardia sul precedente che aveva creato.

Penso che ci sia il rischio che ciò che Israele ha cercato di fare qui sia scusare in anticipo le future operazioni contro gli ospedali. Non si dovrebbe presumere che gli ospedali possano in genere essere presi di mira in base a ciò che Israele ha ipotizzato riguardo a Shifa”, ha affermato Finucane.

Al momento dell’operazione militare del 15 novembre quasi la metà delle principali strutture mediche nel nord di Gaza era stata presa di mira o danneggiata nei combattimenti, secondo un’analisi che il Post ha fatto dei dati di Insecurity Insight, un gruppo di ricerca senza scopo di lucro.

Nel mese seguente una serie di altri ospedali hanno chiuso o ridotto le operazioni al punto di essere a malapena funzionanti, mentre gli attacchi aerei continuano e le vittime aumentano.

Il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato domenica di essere “sconvolto dall’effettiva distruzione” dell’ospedale Kamal Adwan nel nord di Gaza, che ha causato la morte di almeno otto pazienti e messo fuori servizio la struttura.

Martedì, dopo aver arrestato il direttore dell’ospedale Ahmed al-Kahlot, Israele ha diffuso un video di interrogatorio in cui Kahlot ammetteva di essere un membro di Hamas e affermava che l’ospedale era sotto il controllo delle Brigate Izzedine al-Qassam, il braccio armato del gruppo. In risposta, il Ministero della Sanità di Gaza ha affermato che la dichiarazione è stata fatta “sotto la forza dell’oppressione, della tortura e dell’intimidazione” per “giustificare i successivi crimini [di Israele], soprattutto contro il sistema sanitario”.

L’ospedale Al-Awda, tra gli ultimi ospedali funzionanti nel nord, è stato assediato dalle truppe israeliane all’inizio di questo mese mentre i medici continuavano a curare i loro pazienti e carburante e cibo scarseggiavano, come hanno detto medici e Medici Senza Frontiere (MSF).

Cerchiamo di essere chiari: Al-Awda è un ospedale funzionante con personale medico e molti pazienti in condizioni vulnerabili”, ha affermato in una nota il capo missione di MSF, Renzo Fricke.

Martedì MSF ha affermato che le forze israeliane avevano preso il controllo della struttura. Uomini e ragazzi sopra i 16 anni, compresi i medici, sono stati portati fuori e spogliati, legati e interrogati. C’erano ancora dozzine di pazienti nei reparti, ha aggiunto l’organizzazione, ma le scorte di anestetici e ossigeno erano finite.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Quello che sappiamo finora dell’attacco mortale ad un ospedale di Gaza

Redazione di Al Jazeera

18 ottobre 2023 – Al Jazeera

Funzionari palestinesi affermano che almeno 500 persone sono state uccise in un raid aereo israeliano sull’ospedale arabo Al-Ahli a Gaza.

Almeno 500 persone sono state uccise in un attacco aereo israeliano contro l’ospedale arabo Al-Ahli nella Striscia di Gaza assediata, hanno detto funzionari palestinesi.

Il ministero della Sanità di Gaza ha affermato che l’esplosione nell’ospedale è stata causata da un raid aereo israeliano. Israele ha attribuito l’esplosione ad un lancio difettoso di un razzo da parte del gruppo armato della Jihad islamica palestinese (PIJ). La PIJ ha negato l’accusa.

Al Jazeera non è stata in grado di verificare in modo indipendente i resoconti.

Mentre la tensione continua a crescere, ecco cosa sappiamo finora dell’esplosione:

Centinaia di morti

Il ministero della Sanità di Gaza afferma che almeno 500 persone sono state uccise nell’esplosione, di gran lunga il più alto numero di vittime di qualsiasi singolo incidente avvenuto a Gaza durante l’attuale guerra tra Israele e Hamas.

Il ministero ha detto che centinaia di altre vittime sono rimaste sotto le macerie.

Hamas ha affermato che l’esplosione ha ucciso soprattutto sfollati.

Il ministro della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mai Alkaila, ha accusato Israele di aver compiuto “un massacro”.

Situato nel centro di Gaza l’ospedale, gestito dalla diocesi episcopale di Gerusalemme, è stato colpito mentre era ultra affollato da migliaia di palestinesi in cerca di rifugio nel mezzo di una campagna di brutali attacchi aerei israeliani su gran parte della Striscia di Gaza assediata.

Come ha reagito il mondo?

I leader mondiali hanno denunciato il bombardamento e i leader di tutto il Medio Oriente hanno rilasciato le dichiarazioni più ferme.

Inoltre proteste sono scoppiate in tutto il Medio Oriente compresa la Giordania e la Cisgiordania occupata da Israele dove le proteste palestinesi si sono scontrate con le forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese.

La Giordania ha annullato il vertice previsto nella capitale Amman con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e i leader arabi.

Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha affermato che l’incontro si terrà in un momento in cui tutti i presenti potranno concordare di lavorare per porre fine alla “guerra e ai massacri contro i palestinesi”.

Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi, che avrebbe dovuto partecipare al vertice, ha dichiarato di condannare “nei termini più forti possibili” il bombardamento israeliano dell’ospedale di Gaza.

Anche l’Arabia Saudita ha rilasciato una ferma dichiarazione, condannando “nei termini più forti possibili l’atroce crimine commesso dalle forze di occupazione israeliane con il bombardamento dell’ospedale battista Al Ahli a Gaza”.

I leader occidentali non hanno incolpato Israele per l’attacco, il presidente francese Emmanuel Macron ha affermato in un post sui social media che “niente può giustificare un attacco contro un ospedale” e ha aggiunto che “bisogna far luce sulle circostanze”.

Biden in un comunicato ha espresso “le più sentite condoglianze per le vite innocenti perse nell’esplosione dell’ospedale di Gaza”.

Cosa dice Israele?

Le autorità israeliane hanno detto che l’ospedale è stato colpito da un razzo vagante lanciato dalla Jihad islamica palestinese che opera all’interno della Striscia di Gaza.

“Un’analisi compiuta dai sistemi operativi dell’IDF [l’esercito israeliano] indica che una raffica di razzi è stata lanciata da terroristi a Gaza, passando in prossimità dell’ospedale Al Ahli di Gaza nel momento in cui è stato colpito”, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in un post sui social media.

Le informazioni provenienti da molteplici fonti che in nostro possesso indicano che la Jihad islamica è responsabile del fallito lancio di un razzo che ha colpito l’ospedale di Gaza”.

Il portavoce militare israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha detto ai giornalisti che i razzi lanciati dalla PIJ sono passati vicino all’ospedale al momento dell’attacco che, secondo lui, ha colpito il parcheggio della struttura.

Hagari ha affermato che non c’è stato alcun attacco diretto sulla struttura e che le riprese dei droni militari hanno mostrato “una sorta di impatto nel parcheggio”.

Ha detto che in effetti nel momento dell’esplosione all’ospedale i militari avevano un’operazione dell’aeronautica israeliana in corso nell’area “ma è stato impiegato un tipo diverso di munizioni che non… si adatta al filmato che abbiamo [dell’] ospedale”.

Cosa dice PIJ?

La PIJ ha respinto l’accusa israeliana secondo cui sarebbe stata responsabile dell’attacco.

In un comunicato ha affermato: “Il nemico sionista sta facendo del suo meglio per eludere le proprie responsabilità per il brutale massacro commesso con il bombardamento dell’Ospedale nazionale arabo battista di Gaza attraverso la sua consueta fabbricazione di bugie e puntando il dito contro il movimento della Jihad islamica in Palestina”.

Il comunicato prosegue: “Affermiamo quindi che le accuse avanzate dal nemico sono false e infondate”

Imran Khan, giornalista di Al Jazeera, ha notato che alcuni osservatori hanno messo in dubbio la versione israeliana degli eventi e inoltre hanno sottolineato che Israele ha una lunga storia di false attribuzioni degli atti compiuti dalle sue stesse forze a gruppi armati palestinesi.

Martedì Khan ha affermato; “Abbiamo già visto questo tipo di cose da parte degli israeliani”.

Prendiamo ad esempio l’uccisione della nostra collega Shireen Abu Akleh. All’inizio gli israeliani hanno incolpato i combattenti all’interno del campo di Jenin per la sua morte. Solo più tardi hanno ammesso che era stato uno di loro”.

(Traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Dei coloni ebrei hanno rubato la mia casa. Non è colpa mia se sono ebrei

Mohammed el Kurd 

 26 SEtTEMBre 2023, Mondoweiss

Ai palestinesi viene detto che le parole che usiamo minimizzano i decenni di violenza messa in atto contro di noi dall’autoproclamato Stato ebraico. Un drone va bene, ma gli stereotipi… uno stereotipo è inaccettabile. Ora basta.

Mentre crescevamo nella Gerusalemme occupata, le persone che cercavano di espellerci dal nostro quartiere erano ebrei e le loro organizzazioni spesso avevano “ebraico” nel nome. Lo stesso vale per le persone che ci hanno rubato la casa, buttato i nostri mobili per strada e bruciato la culla della mia sorellina. Anche i giudici che battevano il martelletto a favore della nostra espulsione erano ebrei, così come lo erano i legislatori le cui leggi facilitavano e sistematizzavano la nostra espropriazione.

Il burocrate che rilasciava – e talvolta revocava – le nostre carte d’identità blu era un ebreo, e io lo detestavo soprattutto perché un tratto della sua penna si frapponeva tra mio padre e la città dei suoi avi. Per quanto riguarda i soldati che ci perquisivano per controllare quei documenti, alcuni di loro erano drusi, altri musulmani, la maggior parte ebrei, e tutti loro, secondo mia nonna, erano “bastardi senza Dio”. Quelli che gestivano i fucili e le manette, quelli che redigevano meticolosi e sanguinari piani urbanistici erano … avete indovinato.

Non era un segreto. Vivevamo sotto il dominio dell’autoproclamato “Stato ebraico”. I politici israeliani hanno abusato di questa storia mentre i loro colleghi internazionali annuivano. L’esercito si è dichiarato esercito ebraico e ha marciato sotto quella che ha chiamato bandiera ebraica. I consiglieri comunali di Gerusalemme si vantavano di “prendere casa dopo casa” perché “la Bibbia dice che questo paese appartiene al popolo ebraico”, e i membri della Knesset intonavano canti simili. Quei legislatori non erano marginali o di estrema destra: la legge israeliana sullo Stato nazionale sancisce esplicitamente “l’insediamento ebraico” come un “valore nazionale… da incoraggiare e promuovere”.

Tuttavia, sebbene questo non fosse un segreto, ci veniva detto di trattarlo come tale, a volte dai nostri genitori, a volte da attivisti solidali ben intenzionati. Ci è stato detto di ignorare la Stella di David sulla bandiera israeliana e di distinguere gli ebrei dai sionisti con precisione chirurgica. Non importava che i loro stivali fossero sul nostro collo e che i loro proiettili e manganelli ci colpissero. Il nostro essere apolidi e senzatetto erano irrilevanti. Ciò che contava era il modo in cui parlavamo dei nostri guardiani, non le condizioni in cui ci tenevano – bloccati, circondati da colonie e avamposti militari – o il fatto stesso che ci tenessero.

Il linguaggio era un campo minato peggiore del confine tra la Siria e le alture del Golan occupate, e noi, all’epoca bambini, dovevamo aggirarlo, sperando di non calpestare accidentalmente uno stereotipo esplosivo che ci avrebbe screditato. Usare le “parole sbagliate” aveva la magica capacità di far scomparire le cose:gli stivali, i proiettili,i manganelli e i lividi diventano tutti invisibili se dici un qualcosa per scherzo o con rabbia. Ancora più pericoloso credere nelle “cose sbagliate”: ti rende meritevole di quella brutalità. La cittadinanza e il diritto alla libertà di movimento non erano gli unici privilegi che ci venivano derubati, anche la mera ignoranza era un lusso.

Come palestinesi comprendiamo fin da giovani che la violenza semantica che pratichiamo con le nostre parole fa impallidire decenni di violenza sistemica e materiale messa in atto contro di noi dall’autoproclamato Stato ebraico. Va bene un drone, ma uno stereotipo… lo stereotipo è inaccettabile. Impariamo a interiorizzare la museruola.

Quindi ho dato ascolto a quei messaggi – cos’altro dovrebbe fare un bambino di 10 anni? – e ho imparato a conoscere Hitler e l’Olocausto, ho imparato a riconoscere gli stereotipi del naso, i pozzi avvelenati, i banchieri, i vampiri, i serpenti e le lucertole (ho appena scoperto la piovra), e ho imparato che, quando parlo con i diplomatici in visita a quello zoo che è un nostro quartiere, i coloni che occupano casa nostra devono essere argomento secondario nella mia esposizione, dopo un’accalorata denuncia dell’antisemitismo globale. E quando mia nonna ottantenne si rivolgeva a quei visitatori stranieri, la interrompevo per correggerla ogni volta che descriveva i coloni ebrei in casa nostra come, be’, ebrei.   

Più di un decennio dopo non è cambiato molto. Lo stivale resta lì, lo stesso vale per i proiettili e i manganelli (e sarei negligente se non parlassi del genio creativo delle armi da fuoco robotiche azionate dall’Intelligenza Artificiale recentemente aggiunte all’arsenale dello Stato ebraico).

Il governo chiama il suo progetto in Galilea “l’ebreizzazione della Galilea” e le sue quasi-istituzioni fanno lo stesso. Per quanto riguarda i membri del consiglio che hanno promesso di prendere “casa dopo casa”, oltre al loro successo nel rubare case a Sheikh Jarrah, nella Città Vecchia, a Silwan e altrove, marciano regolarmente nelle nostre città con megafoni e bandiere cantando “vogliamo una Nakba ora.” I giudici continuano a battere martelletti per garantire la continuazione di questa Nakba, governano ancora a favore della supremazia ebraica. E, nonostante il disaccordo con la Corte Suprema su vari aspetti, i parlamentari legiferano in conformità con questo atteggiamento suprematista. Alcuni affermano apertamente che la vita ebraica è semplicemente “più importante della [nostra] libertà” (e talvolta sono anche così gentili da scusarsi con i presentatori televisivi arabi mentre gli comunicano questa dura verità).

Più di un decennio dopo lo status quo rimane immutato. E noi, e mi si spezza il cuore, continuiamo a ballare tra le mine. Continuiamo a puntare sulla moralità e sull’umanità così come loro puntano sulle loro armi.

Qualche settimana fa 16 agenti di polizia israeliani hanno spento le loro telecamere e hanno marchiato, intendo dire inciso fisicamente, la Stella di David sulla guancia del 22enne Orwa Sheikh Ali, un giovane arrestato nel campo profughi di Shufat.

Sempre poche settimane fa, MEMRI, un gruppo di controllo dei media co-fondato da un ex ufficiale dell’intelligence militare israeliana, ha pubblicato filmati del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas che affermava che gli europei “hanno combattuto [gli ebrei] a causa della loro posizione sociale” e dell’ ”usura” e “non a causa della loro religione”.

In risposta, un gruppo di rinomati intellettuali palestinesi, molti dei quali ammiro e rispetto, ha pubblicato una lettera aperta “condannando senza mezzi termini” – indovinate un po’? – i “commenti moralmente e politicamente riprovevoli” di Abbas.

Forse si può definire la loro dichiarazione congiunta una mossa “strategica” per confutare la convinzione che i palestinesi nascano intolleranti. Altri potrebbero dire che rappresenti ciò che significa avere un “codice morale coerente”. Sono certo che alcuni firmatari credono che la nostra cosiddetta autorità morale ci imponga di deplorare il revisionismo storico “rispetto all’Olocausto” e di dare l’esempio nel rifiutare ogni forma di razzismo, non importa quanto retorica.

Sia quel che sia, quando l’ho letta ho provato un senso di deja vu. Eccoci qui, presi ancora una volta in una crisi sconclusionata, a rispondere precipitosamente di crimini che non abbiamo commesso. La strategia di difenderci dall’accusa infondata di antisemitismo ci ha storicamente avvicinato ad essa. E soprattutto un simile impulso eleva inconsapevolmente la storia della sofferenza ebraica, che è certamente studiata e addirittura glorificata, molto al di sopra della nostra sofferenza odierna, una sofferenza negata e dibattuta.

Anche se i firmatari della lettera, alcuni dei quali criticavano l’Autorità Palestinese da prima che io nascessi, hanno denunciato “il governo sempre più autoritario e draconiano dell’Autorità Palestinese” e hanno preso atto delle “forze occidentali e filo-israeliane” che sostengono il mandato presidenziale scaduto di Abbas, nessuna di queste circostanze è servita da catalizzatore per quella che sembra essere la prima dichiarazione congiunta di condanna per Mahmoud Abbas. La lettera non menzionava nel titolo la sua collaborazione con il regime sionista, né la brutalizzazione di manifestanti e prigionieri politici, per non parlare dell’omicidio di Nizar Banat [militante e attivista per le libertà assassinato dalle Forze di Sicurezza Palestinesi, ndt.]

Il catalizzatore qui sono state le parole. Solo parole. Ed è sempre così. Ancora una volta, un drone va bene, ma uno stereotipo è vietato.

Ironicamente, sia la lettera congiunta che il discorso di Abbas cercavano di prendere le distanze dall’antisemitismo. Verso la fine del filmato, Abbas ha voluto “chiarire” che ha detto ciò che ha detto riguardo “gli ebrei d’Europa che non hanno nulla a che fare con il semitismo” perché dovremmo “sapere chi dobbiamo accusare di essere nostro nemico”. “

Che impeto impegnativo. Non solo viviamo nella paura di essere evacuati per mano di un colonialismo che si professa ebraico, non solo il nostro popolo è bombardato da un esercito che marcia sotto quella che sostiene essere la bandiera ebraica, e non solo i politici israeliani enunciano ossessivamente l’ebraicità delle loro azioni, ci viene detto di ignorare la Stella di David che sventola sulla loro bandiera – la Stella di David che incidono sulla nostra pelle.

Questo impeto è vecchio di decenni, se non di un secolo. Nella trascrizione manoscritta di un discorso tenuto al Cairo nell’ottobre 1948, lo studioso palestinese Khalil Sakakini cancellò un frammento di frase che diceva “… la lotta tra arabi ed ebrei” per sostituirla con “la lotta tra noi e gli invasori .” Gli accademici palestinesi, l’Istituto per gli studi sulla Palestina e il Centro di Ricerca sulla Palestina dell’OLP (che fu saccheggiato e bombardato ripetutamente negli anni ’80) hanno dedicato articoli, libri e volumi allo studio dell’antisemitismo, delle sue radici europee e delle sue manifestazioni, europee e non – e la sua fusione con l’antisionismo.

Il popolo palestinese ha continuamente chiarito che il nostro nemico è l’ideologia colonialista e razzista del sionismo, non gli ebrei. La nostra capacità di cogliere tale distinzione è ammirevole e impressionante, considerando la mano pesante con cui il sionismo tenta di farsi sinonimo di ebraismo.

Tuttavia, questa distinzione non è nostra responsabilità e, personalmente, non è fra le mie priorità. Il risentimento provato da un palestinese non ha il sostegno di una Knesset che lo codifichi in legge. Gli stereotipi non sono droni, né si possono convertire le teorie della cospirazione in armi nucleari. Siamo oltre i primi del ‘900. Le cose sono diverse, il potere è cambiato. Le parole non ammazzano.

Nei giorni trascorsi tra il gesto di 16 soldati che marchiano la Stella di David sul volto di un uomo e la pubblicazione della lettera congiunta, un soldato israeliano ha ucciso un adolescente disabile vicino a un posto di blocco militare a Qalqilya; un altro ha sparato alla testa a un bambino a Silwan; un giovane già colpito durante un raid israeliano nel campo profughi di Balata è morto per le ferite riportate; un cecchino ha sparato alla testa di un giovane palestinese a Beita; un diciassettenne è stato ucciso a colpi di arma da fuoco a sud di Jenin; un altro giovane è morto a causa delle ferite riportate in seguito all’invasione del campo profughi; famiglie di palestinesi i cui cadaveri sono trattenuti dalle autorità di occupazione avevano marciato con bare vuote a Nablus; un soldato ha ucciso un uomo vicino a Hebron; la polizia ha giustiziato un ragazzo di 14 anni a Sheikh Jarrah tra gli applausi di centinaia di coloni; la polizia ha poi lanciato gas lacrimogeni sulla sua famiglia a Beit Hanina; un palestinese è stato ucciso dopo aver speronato soldati israeliani a Beit Sira uccidendone uno; nel nord di Gerico un palestinese è stato ucciso e un soldato è rimasto ferito in uno scontro a fuoco; un soldato ha sparato alla testa a un uomo a Tubas, uccidendolo – e questa è solo la punta dell’iceberg.

Quale di questi eventi ha causato un ampio dibattito? Nessuno. C’è stato molto dibattito in televisione riguardo all’affermazione di Itamar Ben-Gvir secondo cui la vita ebraica è “più importante della libertà [palestinese]”, molto meno riguardo al marchio della Stella di David e, naturalmente, Mahmoud Abbas ha ricevuto la reazione più rumorosa di tutte. (Questo vale in generale, non solo nel caso della lettera aperta).

Tutti e tre questi esempi riguardano l’estetica. Le dichiarazioni di Ben-Gvir erano concrete e vere: la vita ebraica vale più della nostra sotto il dominio israeliano, ma è stata la sua esplicita orazione a scatenare l’indignazione, piuttosto che le politiche istituzionalizzate che hanno reso le sue osservazioni razziste la realtà materiale sul campo. Anche la deformazione fisica del volto di un palestinese è risultata degna di nota solo per ciò che l’incisione simboleggiava, non per l’incisione stessa: se i soldati avessero inciso dei segni senza significato sulla sua guancia dubito del tutto che la cosa avrebbe attirato l’attenzione.

Per quanto riguarda la morte dei palestinesi, è quotidiana e trascurabile. Se siamo fortunati, i nostri martiri vengono comunicati in cifre sulle pagine dei resoconti di fine anno. Il “revisionismo”, d’altro canto, merita una cacofonia di condanne.

E questa è la mia posizione. C’è un ebreo che vive – con la forza – in metà della mia casa a Gerusalemme, e lo fa per “decreto divino”. Molti altri risiedono – con la forza – in case palestinesi mentre i loro proprietari restano nei campi profughi. Non è colpa mia se sono ebrei. Non ho alcun interesse nel ripetere a memoria o chiedere scusa per i luoghi comuni secolari creati dagli europei, o nel dare alla semantica più peso di quanto gli spetti, soprattutto quando milioni di noi affrontano un’oppressione reale e tangibile, vivendo dietro muri di cemento, o sotto assedio, o in esilio, e convivendo con pene troppo grandi per essere riassunte. Sono stanco dell’impulso a prendere preventivamente le distanze da qualcosa di cui non sono colpevole, e particolarmente stanco del presupposto che io sia intrinsecamente fazioso. Sono stanco della pretesa fintamente inorridita secondo cui se tale animosità esistesse, la sua esistenza sarebbe inspiegabile e senza radici. Soprattutto, sono stanco della falsa equivalenza tra violenza semantica e violenza sistemica.

So che questo saggio è già di per sé un campo minato. Che verrà estrapolato dal contesto e divulgato, ma io non sarò mai la vittima perfetta: non si può sfuggire all’accusa di antisemitismo. È una battaglia persa e, cosa ancora più importante, un’evidente diversivo. Ed è ora di riconsiderare questa tattica. Ci sono cose migliori da fare: abbiamo delle bare da trasportare. Abbiamo dei parenti nelle camere mortuarie israeliane che dobbiamo seppellire.

Questo saggio è stato ispirato dallo storico articolo di James Baldwin del 1967 “I negri sono antisemiti perché sono anti-bianchi”.

Mohammed el-Kurd (1998-) è uno scrittore e poeta palestinese che risiede a Sheikh Jarrah, Gerusalemme Est. Prima della crisi Israele-Palestina del 2021 stava conseguendo un master negli Stati Uniti ma è tornato per protestare contro lo sfratto dei palestinesi dalle loro case a Gerusalemme Est da parte di Israele.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Un fotoreporter ferito dal fuoco israeliano è stato sottoposto a un’operazione chirurgica in Turchia

Redazione di MEMO

19 settembre 2023 – Middle East Monitor

L’agenzia Anadolu riferisce che un fotoreporter palestinese che ha subito una grave ferita alla mano mentre stava coprendo una protesta a Gaza ha subito un intervento chirurgico in Turchia.

Ashraf Amra, un freelance per Anadolu, l’agenzia di notizie ufficiale turca, è arrivato dal Cairo ad Istanbul lunedì su un volo della Turkish Airlines.

Venerdì stava coprendo una dimostrazione di protesta di palestinesi vicino alla barriera [di separazione tra Gaza e Israele, ndt.] nella regione di Khan Yunis a Gaza quando i soldati [israeliani, ndt.] hanno aperto il fuoco per disperdere la folla.

Dodici palestinesi sono stati feriti dall’esercito israeliano con l’uso di pallottole vere, proiettili ricoperti di gomma e candelotti lacrimogeni.

Amra è stato sottoposto ad un intervento chirurgico di due ore presso l’ospedale Basaksehir Cam e Sakura ad Istanbul.

Il dottor Okyar Altas, lo specialista della chirurgia della mano che ha effettuato l’operazione, ha affermato che essa ha avuto successo.

Da parte sua Amra ha ringraziato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e Anadolu per averlo accolto ad Istanbul.

Spero che le mie dita guariranno e che non ci sarà bisogno di amputarle.”

Egli ha aggiunto che i soldati che hanno visto che aveva in mano una macchina fotografica gli hanno deliberatamente sparato contro.

Anche il vicedirettore generale e caporedattore di Anadolu Yusuf Ozhan ha fatto visita ad Amra in ospedale, dove i dottori lo hanno ragguagliato sullo stato di salute del fotoreporter.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




L’esercito israeliano ammette di aver sparato per errore a palestinesi innocenti

Redazione di MEMO

12 settembre 2023 – Middle East Monitor

Ieri l’esercito israeliano ha riconosciuto che il mese scorso i soldati dell’occupazione hanno aggredito e imprigionato per errore tre palestinesi innocenti, lasciandoli con.lesioni permanenti.

Secondo il Times of Israel l’esercito israeliano ha dichiarato che i soldati dell’occupazione hanno sparato a molti palestinesi che si supponeva avessero tirato degli ordigni esplosivi artigianali da un veicolo in movimento verso una vicina postazione militare vicino alla città di Jenin, nella Cisgiordania occupata.

Tre dei palestinesi feriti sono stati arrestati dai soldati, mentre una quarta vittima è stata portata in un ospedale di Jenin da medici palestinesi in seguito alle gravi ferite che ha subito.

La rete israeliana Kan ha riferito che Wasim Herzallah, di 30 anni, ha riportato una ferita da arma da fuoco a una gamba ed è stato dimesso da un ospedale israeliano dopo essere stato curato. La seconda vittima, Ali Assan di 19 anni, è al momento paralizzato dalla vita in giù e ha subito ferite a una spalla. Egli è sottoposto a riabilitazione nell’ospedale di Tel Hashomer.

Secondo quanto riferito dalla rete Kan, lo zio di Hassan, Saleh ‘Atara, ha affermato:

Un soldato che ci ha accompagnati all’ospedale nei primi giorni si è scusato per la sparatoria”.

La rete Kan ha citato il fatto che il terzo sospetto ferito, Hassan Qassem Suleiman, rimane sotto sedazione e intubato in seguito a una grave ferita alla testa da un colpo sparato dai soldati israeliani.

Mentre l’unità del portavoce dell’esercito israeliano non ha fornito un commento immediato sull’incidente, una fonte militare ha riconosciuto che i militari hanno sparato per errore al veicolo sbagliato e che l’incidente è stato esaminato “dai ranghi più alti.”

La fonte ha affermato che “terroristi in un veicolo hanno tirato una bomba ai soldati che si trovavano nella postazione militare e un altro reparto che stava operando vicino alla postazione ha aperto il fuoco contro il veicolo. Dopo un‘indagine iniziale, si è capito che il veicolo che aveva effettivamente tirato la bomba si era rapidamente allontanato dalla strada. Uno dei militari che ha aperto il fuoco ha per sbaglio identificato un altro veicolo che è risultato non coinvolto.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




In attacchi separati alcuni coloni hanno aggredito attivisti palestinesi e israeliani di sinistra in Cisgiordania

Hagar Shezaf

11 settembre 2023 – Haaretz

Nel primo incidente i coloni hanno colpito un pastore palestinese con una mazza, rompendogli una mano. Nel secondo i coloni hanno aggredito attivisti di sinistra arrestati dalla polizia. “È stato il peggio incidente in cui sia mai stato coinvolto,” afferma uno degli attivisti.

Sabato in Cisgiordania coloni israeliani hanno aggredito e ferito un palestinese e attivisti di sinistra in due incidenti separati

La prima aggressione è avvenuta nel nord della Valle del Giordano, dove coloni mascherati si sono avvicinati e hanno colpito con una mazza un pastore palestinese, rompendogli una mano.

Il secondo incidente si è svolto sulle Colline Meridionali di Hebron, nei pressi della colonia di Otniel, dove i coloni hanno attaccato militanti di sinistra mentre venivano arrestati dalla polizia. Secondo gli attivisti i coloni hanno colpito anche il poliziotto che si trovava sul luogo.

Due coloni sono stati arrestati in quanto sospettati di essere coinvolti nel secondo incidente, ma sono stati rilasciati dopo essere stati interrogati.

Nella Valle del Giordano, Ahmad e suo figlio sono usciti dalla loro casa nei pressi di Ein al-Sakut nel pomeriggio per portare le loro pecore a pascolare con tre militanti di sinistra che li accompagnavano per proteggerli.

Mentre stavano camminando hanno visto un gruppo di circa 10 uomini mascherati diretto verso di loro dalla colonia di Shadmot Mehola. Ahmad “ha visto un gruppo comparso improvvisamente, come in un film dell’orrore, con magliette bianche, tzitzit (frange rituali ebraiche tradizionalmente portate dagli uomini) e con in mano delle mazze,” dice Gali Hendin, una degli attivisti che facevano da scorta e testimone oculare dell’incidente.

Mentre gli attivisti cercavano di contattare l’esercito e la polizia, “Ahmad è corso avanti, perché stavano cercato di prendere alcune delle sue pecore. È stato colpito con una sbarra di ferro, e poi siamo corsi avanti e li abbiamo fronteggiati.” Ahmad racconta ad Haaretz che uno degli uomini lo ha colpito con una mazza. “In passato ci avevano spaventati, ma non era mai successo niente del genere,” aggiunge Hendin.

Gli attivisti hanno registrato lo scontro con gli uomini mascherati. Nella registrazione uno degli uomini dice: “Questa è casa mia. Andatevene dalla mia casa. Via. Io l’ho comprata.”

Ahmad è stato portato all’ospedale nella città palestinese di Tubas, dove gli è stata diagnosticata una frattura alla mano. Due degli attivisti hanno detto che un’ambulanza israeliana è arrivata sul posto e lo ha portato via, ma, poiché è palestinese e di conseguenza non gli è consentito entrare nella colonia, dichiarata area militare chiusa, l’ambulanza ha dovuto viaggiare su strade sterrate sconnesse per portarlo all’ospedale.

Hanno aggiunto che anche il responsabile della sicurezza della colonia ha assistito all’incidente, ma non ha fatto niente.

C’è una guardia che li lascia andare e venire,” dice Ahmad, commentando altri incidenti. “Ora sono a casa. All’ospedale mi hanno detto che non posso uscire al pascolo per 40 giorni, e i miei figli non possono andare a scuola perché sono io che li accompagno.”

Questo è stato il peggior incidente da sempre in cui siamo stati coinvolti,” afferma Herdin. “Ciò che mi dà più fastidio è come il loro contesto lo accetta. Ci sono persone di Shadmot Mehola che dicono che forse era successo qualcosa prima. È arrivata una soldatessa e ha detto lo stesso. Quella che è inquietante è la normalizzazione della situazione.”

La polizia ha affermato che “appena ricevuta l’informazione sull’incidente agenti e forze militari sono arrivati sul posto ed è stata aperta un’inchiesta, che è ancora in corso.”

Nel secondo incidente, nelle Colline Meridionali di Hebron, un militante che ha chiesto di rimanere anonimo ha affermato di essere arrivato sul posto, nei pressi di Otniel, insieme ad altri attivisti e a palestinesi dopo aver ricevuto l’informazione che coloni avevano piazzato tende su terra palestinese proprietà di un privato.

Poi si sono presentati dei soldati che hanno mostrato agli attivisti un ordine in cui si dichiarava la terra zona militare chiusa, e hanno sparato granate stordenti e lacrimogeni, che hanno appiccato un incendio. Ma secondo gli attivisti i soldati non hanno cacciato i coloni che si trovavano sul posto. Hanno invece arrestato due militanti e li hanno consegnati a un poliziotto arrivato dopo.

L’agente “ci ha detto di andare con lui alla sua macchina per portarci alla stazione di polizia,” afferma l’attivista. “Lungo il percorso, mentre stavamo camminando con lui, sono arrivati quattro o cinque coloni e chissà perché hanno iniziato a martellarci di colpi micidiali. Tutto ciò è avvenuto dopo che eravamo stati arrestati, ci trovavamo sotto la protezione della polizia e l’agente era a circa mezzo metro da noi.” E continua: “Il poliziotto ha afferrato il giovane che guidava l’aggressione,” aggiungendo che il colono ha colpito anche l’agente. L’attivista ha subito una ferita alla testa.

Successivamente i militanti arrestati sono stati portati alla stazione di polizia e interrogati in quanto sospettati di aver violato l’ordine che dichiarava il luogo zona militare chiusa. Uno è stato rilasciato a condizione che si tenga lontano dalla zona, mentre il ferito è stato rilasciato senza condizioni e portato allo Shaare Zedek Medical Center di Gerusalemme, dove è stato visitato e poi dimesso.

La polizia afferma che durante l’incidente quattro israeliani, due coloni e due militanti di sinistra, sono stati arrestati. Secondo il comunicato tutti e quattro sono stati rilasciati dopo essere stati interrogati.

Il portavoce dell’Israeli Defence Forces [Forze di Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndt.] afferma che “vari israeliani e palestinesi si sono scontrati con alcuni abitanti dell’insediamento di Otniel, sottoposto alla giurisdizione della brigata della Giudea. I militari delle IDF che sono arrivati sul posto hanno chiesto ai presenti di andarsene, e quando questi non hanno acconsentito è stato usato equipaggiamento per il controllo dell’ordine pubblico. A causa di ciò sul luogo è scoppiato un incendio, ma è stato spento subito dopo.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Soldatesse israeliane costringono delle donne palestinesi a spogliarsi utilizzando un cane da combattimento

Amira Hass

5 settembre 2023 – Haaretz

Durante un raid a Hebron cinque donne della stessa famiglia sono state costrette a spogliarsi sotto la minaccia di un cane dell’unità cinofila e dei fucili dei soldati

A luglio nella città di Hebron in Cisgiordania due soldatesse israeliane mascherate, armate di fucili e con un cane da attacco, hanno costretto cinque donne facenti parte di una famiglia palestinese a spogliarsi, ognuna separatamente. Le soldatesse hanno minacciato di liberare il cane se le donne non avessero obbedito, dichiara la famiglia.

Durante lirruzione nella casa i soldati hanno perquisito i maschi della famiglia ma non hanno chiesto loro di togliersi i vestiti.

I militari erano in possesso di informazioni secondo cui in quella casa sarebbero state presenti delle armi e il portavoce dellunità delle forze di difesa israeliane ha detto ad Haaretz che sono stati trovati un fucile M16 e munizioni, il che ha richiesto una ulteriore perquisizione degli occupanti.

Un totale di 26 persone, tra cui 15 minori dai 4 mesi ai 17 anni, vivono in tre appartamenti adiacenti nella casa della famiglia Ajluni, nella zona sud di Hebron. La famiglia dice che il 10 luglio all’1:30 di notte circa 50 soldati con almeno due cani hanno circondato la casa.

Secondo la famiglia circa 25 – 30 soldati hanno preso posizione all’interno degli appartamenti passando da una stanza all’altra dopo aver svegliato gli occupanti con torce elettriche, forti colpi alle porte e minacce di sfondarle.

La maggior parte dei soldati erano mascherati e si vedevano solo gli occhi. Uno, che sembrava essere l’ufficiale in comando ed era senza maschera, indossava pantaloni militari ma una normale camicia a maniche corte. Le donne non sapevano chi fosse.

Alle 5:30 del mattino, i soldati hanno lasciato la casa, portando con sé il primogenito della famiglia, Harbi, che hanno arrestato. La famiglia ha subito scoperto che i gioielli d’oro che il fratello più giovane, Mohammed, aveva acquistato in vista del suo matrimonio, erano scomparsi. Valevano 40.000 shekel [9.800 euro, ndt.]. Gli uomini si sono precipitati alla stazione di polizia israeliana nel vicino insediamento di Kiryat Arba per sporgere denuncia.

La polizia ha detto che non era stato rubato nulla, ma il giorno successivo un agente ha telefonato a Mohammed e gli ha detto di venire a ritirare il suo oro. Gli è stato detto che i soldati avevano pensato che si trattasse di proiettili. Lunità del portavoce delle IDF [esercito israeliano, ndt.] afferma che i gioielli si trovavano in una borsa nera chiusa con del nastro adesivo, aperta successivamente in una stanza investigativa.

La moglie di Harbi, Diala, ha scoperto che mancavano anche 2.000 shekel che si trovavano in un cassetto, ma il denaro non è stato restituito. I portavoce dell’esercito affermano di non essere a conoscenza di tale accusa.

Costretta a spogliarsi davanti ai suoi figli

Le donne costrette a denudarsi sono Ifaf, 53 anni, sua figlia Zeinab, 17 anni, e le tre nuore di Ifaf: Amal, Diala e Rawan, che hanno circa 20 anni. Una dopo laltra sono state portati nella cameretta rosa e viola dei figli di Amal; ,un orsacchiotto rosa faceva la guardia.

La prima a essere chiamata nella stanza è stata Amal, 25 anni, costretta a spogliarsi in presenza di tre dei suoi quattro figli, che si erano appena svegliati. Piangendo, urlando e terrorizzati dal cane e dai fucili, hanno visto delle soldatesse mascherate ordinare a gesti e in un arabo stentato ad Amal di togliersi l’abito da preghiera.

Amal se lo è sfilato. Quindi le è stato chiesto di togliersi il resto dei vestiti. Lei ha protestato, facendo presente che non poteva avere nulla nascosto sotto i pantaloncini e la canottiera. Racconta che allora hanno liberato il grosso cane, che le si è avvicinato ma senza toccarla.

I bambini atterriti urlavano per tutto il tempo. Amal ha detto alle soldatesse di tirare indietro il cane perché i bambini ne avevano paura; poi si è tolta il resto dei vestiti. I bambini hanno anche dovuto assistere all’ordine dato alla madre, una volta denudata, di voltarsi, mentre singhiozzava per l’umiliazione. Circa 10 minuti dopo lei e i bambini sono stati portati fuori dalla stanza pallidi e tremanti.

La seconda ad essere chiamata è stata Ifaf, la più anziana della famiglia. Non ha voluto parlare molto del suo calvario, anche se ha raccontato che le soldatesse le hanno ordinato con gesti e in un arabo stentato di togliersi i vestiti. Basta, voltati, rivestiti.

Nel frattempo gli altri membri della famiglia venivano trattenuti in altre due stanze dello stesso appartamento. Le donne e i bambini erano in una stanza e gli uomini nell’altra. Due o tre soldati armati erano appostati davanti alla porta di ogni stanza e ordinavano agli Ajluni di non parlare.

Di tanto in tanto compariva un altro soldato e riferiva qualcosa ai colleghi. Mentre erano tenuti prigionieri nelle stanze i membri della famiglia hanno sentito le urla di Amal e dei figli, seguite da quelle delle altre donne.

Sentivano anche i soldati frugare negli appartamenti adiacenti, dare colpi, aprire i cassetti e lasciarli cadere sul pavimento, oltre alle loro risate.

Silenzio sul trauma

Non sono molte le segnalazioni riguardanti donne palestinesi costrette a denudarsi durante un raid dellesercito nella loro casa. Manal al-Jabari nei suoi 15 anni nel ruolo di ricercatrice sul campo a Hebron per l’organizzazione israeliana per i diritti BTselem ha registrato circa 20 casi simili. Ma ritiene che tali episodi svoltisi sotto la minaccia del fucile siano aumentati negli ultimi mesi. La maggior parte delle donne rifiuta di essere intervistata dai giornalisti sul trauma subito, dice Jabari.

Ma le donne della famiglia Ajluni hanno accettato di essere identificate per nome a patto di non essere fotografate. Alla stessa Jabari è stato intimato di togliersi tutti i vestiti durante una massiccia perquisizione notturna delle case a Hebron dopo l’uccisione il 21 agosto di una donna nel vicino insediamento coloniale di Beit Hagai. Jabari ha notato una telecamera sulla fronte di una soldatessa e si è rifiutata di spogliarsi.

In seguito alle mie insistenze la soldatessa ha rimosso la telecamera. Comunque mi sono rifiutata di spogliarmi. Hanno ceduto, forse perché faccio parte di BTselem”, afferma. Ma i soldati hanno saccheggiato la sua casa, rotto diversi oggetti e lasciato un tale disordine che Jabari non sapeva da dove cominciare a rimettere tutto a posto. Questo è quello che fanno spesso i soldati ed è quello che hanno fatto a casa degli Ajluni.

Parlando ad Haaretz il 27 agosto, le donne della famiglia Ajluni hanno sentito da Jabari, anche lei presente, il racconto della sua personale disavventura. A quel punto hanno ricordato di aver visto anche loro qualcosa sulla fronte delle soldatesse, ma di non sapere cosa fosse. Ora, oltre al trauma della perquisizione, erano tormentate dal dubbio che le soldatesse le avessero filmate mentre erano nude.

L’esercito ha sostenuto con una dichiarazione che le soldatesse non indossavano telecamere, al contrario del cane, ma [hanno aggiunto che] quella era spenta.

In un primo momento le donne hanno detto di non essere sicure se le soldatesse fossero mascherate, ma poi hanno concluso che dovevano esserlo. “Quando ciascuna di noi entrava nella stanza, le soldatesse spostavano un po’ i loro berretti… così abbiamo potuto notare che avevano i capelli lunghi, il che significava che erano donne”, ricordano Diala e Zeinab, completando a vicenda il racconto.

Delle cinque donne costrette a spogliarsi solo Amal non era a casa quando le altre hanno parlato con Haaretz. Era andata a comprare degli oggetti per il matrimonio. La vita riprendeva, l’anno scolastico era iniziato e poco a poco il sorriso tornava sui volti delle donne e dei loro bambini.

Jabari, la ricercatrice sul campo di BTselem, ha registrato i resoconti delle donne un giorno dopo il raid, descrivendo il terrore e lo shock che le Ajluni avrebbero ancora provato settimane dopo. Per circa quattro settimane i bambini si svegliavano spaventati nel cuore della notte e bagnavano il letto. Spesso le donne avevano la sensazione che i soldati fossero ancora in casa e sussultavano ogni volta che sentivano un rumore provenire da fuori.

Soldati davanti alla casa

La notte del raid Diala, 24 anni, si è svegliata sentendo suo marito, Harbi, litigare con qualcuno e chiedere che non entrassero in camera da letto perché lì c’era sua moglie. “Mi sono resa conto che erano soldati e mi sono alzata velocemente per coprirmi e mi sono vestita in fretta con un abito da preghiera”, ha detto.

Continua dicendo che in quel momento hanno fatto irruzione nella stanza i soldati e due grossi cani con la museruola. Le tre ragazze che dormivano nella camera dei genitori si sono svegliate e hanno visto i fucili, i cani e gli occhi che scrutavano da sopra le maschere.

Mio marito ha urlato ai soldati, in ebraico e arabo, di allontanarsi e di portare via i cani. Le mie figlie strillavano, piangevano e tremavano di paura. Lujin, che ha 4 anni, se l’è fatta addosso. I soldati hanno ordinato a mio marito di non parlare con me, gli hanno puntato i fucili alla testa e lo hanno trascinato in cucina”, racconta Diala.

Lo avrebbe rivisto solo diversi giorni dopo, al tribunale militare di Ofer, dove la sua detenzione è stata prolungata più volte. È sospettato di possedere un’arma, dice.

La notte del raid lei e le figlie sono state lasciate in camera da letto per 10 – 15 minuti; poi i soldati le hanno ordinato di attraversare il cortile per recarsi dove era stata obbligata a raccogliersi tutta la famiglia. Era l’appartamento di suo cognato Abdullah e di sua moglie Amal. Diala ha chiesto di poter prendere i soldi dal cassetto, ma lufficiale in maniche corte non lo ha permesso, dice.

Il cortile è solo parzialmente asfaltato ed è pieno di sassi, spine e pezzi di vetro. Lufficiale non le ha permesso di mettere le scarpe alle figlie e ha fatto segno che dovevo portarle in braccio”, dice Diala. Ma lei ha preso in braccio solo Ayla, di 17 mesi e mentre uscivano Lujin e Lida, che ha 5 anni, rimanevano aggrappate alla loro mamma.

“Stavo morendo di paura quando sono passata accanto al cane”, ha detto. Le sue figlie le saltellavano accanto, scalze e piangenti. Ha pensato che nel cortile ci fossero anche altri cani.

A quel punto Abdullah ha chiesto il permesso di recarsi nell’appartamento in cui suo fratello Mohammed si sarebbe trasferito dopo il matrimonio. Abdullah voleva prendere i gioielli d’oro, ma i soldati hanno rifiutato. Lui si è ribellato, quindi lo hanno ammanettato da dietro, bendato e portato nella cucina di Diala e Harbi.

Hanno fatto lo stesso con suo cugino di 17 anni, Yamen. Le donne li hanno trovati in cucina dopo che i soldati sono andati via con Harbi. Hanno tagliato le manette di plastica con un coltello.

Dopo la perquisizione intima di Ifaf, è stata la volta di Diala. Un soldato è entrato nel soggiorno e le ha detto di andare con lui. “Sono entrata in una stanza e, avendo tanta paura del grosso cane, sono rimasta vicino alla porta e ho cercato di uscire”, racconta. Le soldatesse mi hanno urlato contro e mi hanno ordinato di restare nella stanza”.

Quando si è rifiutata di togliersi gli indumenti sotto l’abito da preghiera la soldatessa con il cane ha minacciato di liberare l’animale. Anche Diala una volta nuda ha dovuto girare intorno a se stessa in presenza delle soldatesse, e anche lei ha pianto.

La diciassettenne Zeinab si è ribellata. Quando i soldati hanno chiesto a tutti di consegnare i propri telefoni lei è riuscita a nascondere il suo sotto un cuscino. Ha raccontato che, mentre i membri della famiglia erano ancora seduti in soggiorno con i bambini, un soldato mi ha indicato e mi ha detto [in arabo] Tu, vieni e mi ha condotto nella stanza dei bambini.

Le soldatesse mi hanno mostrato i capelli per farmi capire che erano donne e mi hanno ordinato di mettermi in un angolo della stanza. Poi il soldato ha aperto con rabbia la porta, ha sbirciato dentro, ha agitato il mio telefono, ha sollevato il fucile e lo ha puntato contro di me. Era arrabbiato perché non lo avevo consegnato quando me lo ha detto. Ho urlato. Per fortuna non mi ero ancora tolto lhijab”.

(A quel punto Diala interviene dicendo che le altre donne l’hanno sentita urlare e non sapendo cosa stesse succedendo erano molto preoccupate.)

“Pensavo che ci avrebbero esaminato con apparecchiature elettromagnetiche”, dice Zeinab. Quando la soldatessa mi ha ordinato in un arabo stentato di spogliarmi sono rimasta sorpresa. Ho detto: “Cosa?”. Lei ha risposto: “I vestiti”. Ho detto: “Non voglio”. E lei mi ha intimato: “Togliti tutto”.

Ho deciso di urlare mostrando che non avevo niente addosso e lei ha insistito perché mi togliessi tutto. Quando mi sono opposta si sono avvicinate a me in modo minaccioso con il cane. Ho sentito Diala urlarmi dall’esterno della stanza di fare quello che diceva la soldatessa.

Dopodiché mi sono spogliata. La soldatessa mi ha detto di voltarmi. Mi sono voltata solo a metà e allora lei ha avvicinato di nuovo il cane. Tremavo e piangevo”.

Ad un certo punto i bambini sono stati lasciati soli in soggiorno, senza le loro madri e in presenza dei soldati armati. Dopo essere state perquisite, le madri sono state condotte in un corridoio adiacente. I bambini erano spaventati e piangevano.

I soldati hanno in parte accolto le richieste delle madri e hanno permesso loro di prendere i due bambini più piccoli. Ifaf e uno dei suoi nipoti raccontano che i soldati hanno cercato di calmare i bambini rimasti soli in soggiorno. Hanno fatto il batti pugno con i pugnetti di alcuni di loro.

Il portavoce dell’unità delle IDF ha dichiarato: Secondo lintelligence è stato trovato un lungo M16, oltre a munizioni e un caricatore. Dopo il ritrovamento dell’arma è stato necessario controllare le altre persone presenti nell’abitazione per escludere la possibilità di trovare altre armi. Secondo le istruzioni degli investigatori della polizia di Hebron le soldatesse [dell’unità cinofila] hanno perquisito le donne presenti nella casa in una stanza chiusa, ognuna individualmente. Le soldatesse non indossavano telecamere.

Il cane, che non era presente nella stanza durante l’ispezione, aveva una telecamera montata sulla schiena per scopi operativi e in quel momento non era accesa. Nel corso delle perquisizioni è stata rinvenuta e portata via insieme all’arma una borsa nera nascosta, chiusa con del nastro adesivo. La borsa è stata aperta nella stanza delle indagini e si è capito che si trattava di gioielleria.

Il giorno dopo la perquisizione è venuto il fratello dellarrestato, ha firmato [una dichiarazione secondo cui] si trattava di gioielli di famiglia e se li è ripresi. Non siamo a conoscenza dell’affermazione relativa ai 2.000 shekel. Non ci risulta alcuna lamentela riguardo al caso. Qualora pervenga verrà presa, come di consueto, in considerazione”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Sempre più sionisti stanno infine ammettendo l’apartheid israeliano, ma poi cosa succede?

Jonathan Ofir

14 agosto 2023 – Mondoweiss

Il generale israeliano in pensione Amiram Levin e il giornalista sudafricano Benjamin Pogrund sono gli ultimi a intervenire sull’apartheid israeliano. Adesso sorge la domanda: che cosa intendono fare in proposito?

Ora che vi è consenso all’interno della comunità dei diritti umani sul fatto che Israele sia uno Stato di apartheid, molti incominciano ad ammetterlo, persino alcuni insigni israeliani e apologeti di Israele. Ma anche se affermano ciò che è evidente, cercano comunque di limitare il danno e al tempo stesso di celare la propria personale responsabilità e provare a circoscrivere i possibili rimedi.

E’ cominciato forse all’inizio di quest’anno, quando lo storico giornalista israeliano di centro Ron Ben Yishai ha messo in guardia dall’incombente apartheid come il principale obbiettivo delle riforme giudiziarie dell’attuale governo. Ora il generale israeliano in pensione Amiram Levin ha rilasciato un’intervista alla radio Kan in Israele in cui ha fatto riferimento al “totale apartheid” nella Cisgiordania occupata:

Da 56 anni non vi è democrazia. Vige un totale apartheid. L’IDF (esercito israeliano), che è costretto a gestire il potere in quei luoghi, è in disfacimento dall’interno. Osserva dal di fuori, sta a guardare i coloni teppisti e sta iniziando a diventare complice dei crimini di guerra.”

In Israele Levin è considerato un liberale ed ha un passato scandalosamente razzista. In passato ha minacciato di “fare a pezzi i palestinesi” e “cacciarli in Giordania”, ha detto che “i palestinesi hanno meritato l’occupazione” e che nella maggioranza i palestinesi sono “nati per morire comunque, noi semplicemente li aiutiamo a farlo”. Eppure sì, egli vede un “totale apartheid”.

L’intervista viene sulla scia di una recente lettera agli ebrei americani che li rimprovera di ignorare l’apartheid, l’“elefante nella stanza”. Molti accademici e personaggi pubblici israeliani hanno firmato questa lettera che al momento ha ottenuto più di 1500 firme. Tra i firmatari vi sono anche convinti sionisti come Benny Morris. La lettera contiene suggerimenti di azione, compresa una richiesta al governo USA di sanzionare Israele:

Si chiede che i leader eletti negli Stati Uniti agevolino la fine dell’occupazione, impediscano che gli aiuti militari americani vengano usati nei Territori Palestinesi Occupati e mettano fine all’impunità israeliana alle Nazioni Unite e in altre organizzazioni internazionali.”

Un chiaro appello all’azione che, volutamente o no, riecheggia gli appelli che gli attivisti del BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) lanciano da quasi 20 anni. Ma non tutti approvano che il BDS si rafforzi come naturale risposta a questo apartheid.

La settimana scorsa Benjamin Pogrund, che è stato giornalista nel Sudafrica dell’apartheid, ha scritto un articolo su Haaretz intitolato “Per decenni ho difeso Israele dalle accuse di apartheid. Non posso più farlo.” Pogrund spiega di essere stato interpellato nel 2001 dall’allora Primo Ministro israeliano Ariel Sharon per far parte della delegazione governativa di Israele alla Conferenza Mondiale Contro il Razzismo a Durban: “Il governo Sharon mi invitò a causa della mia esperienza di un quarto di secolo come giornalista in Sudafrica; la mia specializzazione era riferire in dettaglio sull’apartheid.” Ma dice di non poterlo più difendere. Cita la legge razzista dello ‘Stato-Nazione’ del 2018, che codifica i diritti esclusivi per chi ha nazionalità ebrea. Poi c’è l’occupazione:

Israele non può più addurre la sicurezza come motivo del nostro comportamento in Cisgiordania e dell’assedio di Gaza. Dopo 56 anni la nostra occupazione non può più essere definita temporanea in attesa di una soluzione del conflitto con i palestinesi. Stiamo andando verso l’annessione, con la richiesta di raddoppiare i 500.000 coloni israeliani già presenti in Cisgiordania.”

Purtroppo Pogrund ha già “annesso” Gerusalemme est, che fa parte della Cisgiordania, che aggiungerebbe circa 250.000 persone al numero di coloni citati. Ma la sua osservazione sulla temporaneità è valida – è una parte importante del perché non può essere definita occupazione, che si presume essere temporanea. E poi, sorprendentemente, si scaglia contro il movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni per quello che definisce “ignoranza e/o malevolenza”:

In Israele sono ora testimone dell’apartheid in cui sono cresciuto. Israele sta facendo un regalo ai suoi nemici del movimento Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni e ai loro alleati, soprattutto in Sudafrica, dove la negazione dell’esistenza di Israele è forte tra molti neri, nei sindacati e negli ambienti comunisti e musulmani. Gli attivisti del BDS continueranno a lanciare le loro accuse, frutto di ignoranza e/o malevolenza, diffondendo menzogne su Israele. Hanno trasformato ciò che è già negativo in grottesco, ma ora lo rivendicano. Israele gli sta dando ragione.”

Pogrund è stizzito. Questi attivisti BDS sono arrivati prima di lui nel chiedere di redarguire Israele, ma vuole avere il controllo su quando definire qualcosa apartheid e quando no, quando difenderlo e quando no. Gli attivisti BDS utilizzano una strategia consolidata per isolare lo Stato dell’apartheid. Pogrund non vuole che ciò accada, ma sa che è destinato ad accadere, perché Israele alla fine li legittimerà.

Che prospettiva confusa.

Sia Pogrund che Levin sono arrabbiati, ma è chiaro che la loro rabbia non è dovuta al crimine contro l’umanità che si compie contro i palestinesi, ma a ciò che accade a loro. Levin, un veterano dell’apparato di sicurezza di Israele e responsabile proprio del sistema che ora critica, si scaglia contro l’attuale governo. Non addita le proprie responsabilità e fa di tutto per dire che non sta esprimendo preoccupazione per i palestinesi.

Non sto dicendo questo perché mi importa dei palestinesi. Mi importa di noi. Ci stiamo uccidendo dall’interno. Stiamo disfacendo l’esercito, stiamo disfacendo la società israeliana”, dice. Ed è tutta colpa di “Bibi” (il soprannome di Netanyahu). “Bibi ha fallito”.

Ciò è estenuante: il tipico narcisismo israeliano. Non ci importa dei palestinesi. Guardate che cosa provoca a noi questa occupazione. 

E’ interessante come si stia diffondendo il riconoscimento dell’apartheid, ma dobbiamo stare attenti ai sionisti che cercano di prendere il controllo della narrazione e limitare il dibattito. L’apartheid israeliano non è qualcosa che accade “da qualche parte”. E’ l’apartheid dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo); è dovunque. E queste risposte sono anche un buon promemoria del perché la supremazia ebraica non porrà fine a sé stessa dall’interno, l’unica risposta è dall’esterno.

Jonathan Ofir

Musicista israeliano, conduttore e blogger che vive in Danimarca.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Rapporto OCHA del periodo 25 luglio – 7 agosto 2023

1). Nel corso di quattro attacchi, tentati o presunti attacchi, condotti in Cisgiordania e Israele da parte di palestinesi, un poliziotto israeliano è stato ucciso e otto israeliani sono rimasti feriti. Negli stessi episodi sono stati uccisi sei palestinesi, tra cui un minore e due sono rimasti feriti (seguono dettagli).

Il 25 luglio, in seguito a uno scontro a fuoco avvenuto nei pressi del cancello del Monte Garizim, nella città di Nablus, forze israeliane hanno ucciso a colpi di arma da fuoco tre palestinesi; i tre uomini avevano aperto il fuoco sui soldati da un veicolo. Non sono stati segnalati feriti o vittime tra le forze israeliane.

Il 1° agosto, nell’insediamento di Ma’ale Adummim (Gerusalemme), un palestinese ha sparato ferendo sei israeliani prima di essere ucciso da un agente di polizia israeliano fuori servizio. In seguito all’episodio, forze israeliane hanno condotto un’operazione di ricerca-arresto nella vicina Al ‘Eizariya (Gerusalemme), dove viveva l’aggressore, arrestando due suoi fratelli.

Lo stesso giorno, 1 agosto, sulla strada 317, vicino all’insediamento israeliano di Shim’a, prossimo alla città di As Samu’ (Hebron), forze israeliane hanno sparato a un ragazzo palestinese di 15 anni. Secondo fonti israeliane, il ragazzo aveva tentato di accoltellare due soldati israeliani che aspettavano l’autobus alla fermata vicino all’insediamento e un soldato israeliano gli ha sparato.

Il 5 agosto, a Tel Aviv, un palestinese della Cisgiordania ha sparato, uccidendo un poliziotto israeliano e ferendo altre due persone; è stato colpito e ucciso sul posto. Successivamente, le forze israeliane hanno fatto irruzione a Rummana (Jenin), da dove proveniva l’autore del reato ed hanno fatto il sopralluogo della sua casa di famiglia; secondo quanto riferito in preparazione della demolizione punitiva. Alla fine del periodo in esame, le autorità israeliane hanno trattenuto i corpi dei sei palestinesi, compreso il minore.

2). Forze israeliane hanno ucciso sette palestinesi, tra cui due minori, in tre diverse operazioni che hanno comportato uno scontro a fuoco (seguono dettagli).

Il 26 luglio, forze israeliane hanno circondato un edificio residenziale nel Campo profughi di Ein Beit el Mai a Nablus ed hanno arrestato un palestinese. È stato segnalato uno scontro a fuoco con palestinesi: un palestinese è stato ucciso e altri due, tra cui una donna, sono rimasti feriti.

Il 4 agosto, forze israeliane hanno effettuato un’operazione militare a Tulkarm e nel suo Campo profughi; le forze israeliane hanno sparato proiettili veri contro palestinesi che, secondo quanto riferito, hanno lanciato contro di loro bottiglie incendiarie. Durante tali scontri, le forze israeliane hanno sparato, uccidendo un ragazzo palestinese di 17 anni e ferendo altri due palestinesi. Il 6 agosto, un’unità sotto copertura delle forze israeliane ha sparato uccidendo tre palestinesi, tra cui un ragazzo di 15 anni; i palestinesi si trovavano all’interno del loro veicolo nei pressi di ‘Arraba (Jenin). Secondo l’esercito israeliano, i tre erano in procinto di compiere un attacco armato contro israeliani. Alla fine del periodo di riferimento i corpi delle persone uccise risultavano ancora trattenuti.

Il 7 agosto, un ragazzo palestinese di 17 anni è morto per le ferite riportate il 2 agosto, quando una guardia dell’insediamento israeliano gli sparò con proiettili veri, vicino al villaggio di Silwad (Ramallah). Secondo fonti israeliane, il ragazzo palestinese aveva lanciato una bottiglia incendiaria contro l’insediamento israeliano di Ofra prima di essere ferito, con arma da fuoco, dalla guardia dell’insediamento. Il numero di palestinesi uccisi (167) nel 2023, in Cisgiordania e in Israele, da forze israeliane, ad oggi, ha superato il numero totale di palestinesi uccisi da forze israeliane in tutto il 2022 (155); anno che aveva già registrato il maggior numero di vittime in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, dal 2005.

3). Durante un attacco di coloni nel villaggio di Burqa (Ramallah), un colono israeliano ha sparato uccidendo un palestinese e ferendone altri due (seguono dettagli).

Il 4 agosto, coloni israeliani armati sono entrati a Burqa (Ramallah) con le loro pecore. I palestinesi hanno lanciato pietre contro di loro e i coloni hanno lanciato pietre e sparato proiettili veri, provocando l’uccisione di un palestinese e il ferimento di altri. Le forze israeliane sono arrivate sul posto e, secondo quanto riferito, hanno arrestato due coloni, compreso uno che è stato successivamente posto agli arresti domiciliari. Secondo i media israeliani, uno dei coloni arrestati è rimasto ferito. In Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, dall’inizio del 2023, fino al 7 agosto, coloni israeliani hanno ucciso sette palestinesi; tre delle vittime erano autori, o presunti autori, di attacchi contro israeliani.

4). A Qalqilya un minore palestinese è morto in un’operazione di ricerca-arresto israeliana. Il 27 luglio, un ragazzo palestinese di 13 anni è morto per le ferite riportate dall’esplosione incontrollata di un ordigno artigianale.

5). In Cisgiordania, durante il periodo in esame, 276 palestinesi, tra cui almeno 60 minori, sono stati feriti da forze israeliane, tra cui nove colpiti da proiettili veri. Novantanove (99) feriti sono stati segnalati durante manifestazioni contro l’espansione degli insediamenti a Deir Istiya (Salfit) e le restrizioni di accesso all’insediamento a Kafr Qaddum (Qalqilya). Altri 21 feriti si sono verificati durante 13 operazioni di ricerca-arresto e altre operazioni condotte da forze israeliane in tutta la Cisgiordania. In altri tre casi, forze israeliane hanno ferito 118 palestinesi a Nablus e Hebron. Questi sono stati conseguenti all’intrusione di coloni israeliani, accompagnati da forze israeliane, nel villaggio di Asira al Qibliya (Nablus), e al loro ingresso nella tomba di Giuseppe nella città di Nablus e nella tomba di Othniel nell’area controllata dai palestinesi della città di Hebron. Nell’episodio registrato nel villaggio di Asira al Qibliya, coloni israeliani avevano appiccato il fuoco a terreni agricoli, provocando danni a proprietà palestinesi. I residenti palestinesi hanno lanciato pietre e le forze israeliane hanno sparato proiettili veri e lacrimogeni. Durante l’episodio registrato nella città di Nablus, si è verificato uno scontro a fuoco tra palestinesi e forze israeliane. In questa circostanza, secondo quanto riferito, forze israeliane hanno impedito ai palestinesi l’accesso alla parte orientale della città, scavando la strada e creando cumuli di terra. Nel caso occorso nella città di Hebron, i palestinesi hanno lanciato pietre e le forze israeliane hanno sparato proiettili di gomma e lacrimogeni. Venticinque feriti aggiuntivi sono stati segnalati durante due casi di demolizione a Beita (Nablus) e Al Mughayyir (Ramallah). I restanti 13 feriti palestinesi sono stati registrati quando palestinesi hanno lanciato pietre contro forze israeliane posizionate all’ingresso di Beit Ummar (Hebron) e Tuqu’ (Betlemme). Complessivamente, 242 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, nove sono stati colpiti da proiettili veri, 15 sono stati feriti da proiettili di gomma, due da schegge, sei sono stati feriti da granate assordanti o lacrimogeni e due sono stati aggrediti fisicamente. In Cisgiordania, dall’inizio dell’anno, un totale di 683 palestinesi sono stati feriti da forze israeliane con proiettili veri; più del doppio rispetto al periodo equivalente del 2022 (307).

6). In Cisgiordania sei palestinesi, tra cui un minore, sono stati feriti da coloni israeliani, e persone conosciute come coloni, o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi in altri 14 casi. Ciò si aggiunge alle vittime palestinesi da parte di coloni e forze israeliane nei già citati episodi relativi a coloni (seguono dettagli).

Il 27 luglio, coloni, secondo quanto riferito provenienti da Sdeh Boaz, hanno aggredito fisicamente un palestinese che stava lavorando la propria terra vicino al villaggio di Al Khadr (Betlemme) e gli hanno sguinzagliato contro i loro cani che lo hanno morso.

Lo stesso giorno, il 27 luglio, un palestinese è stato aggredito fisicamente e ferito da coloni israeliani (accompagnati da forze israeliane) che hanno lanciato pietre, hanno aggredito fisicamente i residenti di Asira al Qibliya (Nablus) e hanno dato fuoco a terreni agricoli e veicoli.

Il 27 luglio, migliaia di israeliani, compresi coloni, hanno marciato attraverso la Città Vecchia di Gerusalemme, scandendo slogan anti-palestinesi, molestando i residenti e aggredendo fisicamente e ferendo un anziano palestinese. Questo è avvenuto nelle vicinanze della moschea Al Aqsa, nella Città Vecchia di Gerusalemme, in seguito alla visita del ministro israeliano della sicurezza nazionale, accompagnato da membri della Knesset e da migliaia di israeliani.

Il 28 luglio, un palestinese è rimasto ferito vicino al villaggio di Al Mughayyir (Ramallah), quando coloni israeliani hanno lanciato pietre contro il suo veicolo.

Il 4 agosto, nell’area H2 della città di Hebron, un minore palestinese è stato investito e ferito da un colono israeliano.

Lo stesso giorno, un palestinese è stato ucciso da proiettili veri (vedi sopra) e un altro ferito da schegge mentre coloni israeliani entravano nel villaggio palestinese di Burqa (Ramallah). Residenti e coloni palestinesi si sono lanciati pietre reciprocamente e coloni hanno sparato proiettili veri.

In sei episodi registrati a Umm ad Daraj (Hebron), Azzun (Qalqiliya), Burin (Nablus), Silat adh Dhahr (Jenin), Sarta (Salfit) e Ein al Hilwa (Tubas) coloni sono entrati nelle Comunità, causando danni a una struttura di sostentamento, un ricovero per animali, colture e due abitazioni; inoltre, presumibilmente, hanno rubato bestiame e serbatoi d’acqua, oltre a ferire capi di bestiame. In altri sei casi segnalati in Cisgiordania, coloni israeliani hanno lanciato pietre, danneggiando nove veicoli palestinesi.

7). Nove israeliani, tra cui una donna, sono stati feriti da palestinesi in quattro distinti episodi registrati tra la Cisgiordania e Israele (seguono dettagli).

Il 1° agosto, un palestinese ha aperto il fuoco all’interno dell’insediamento israeliano di Ma’ale Adummim e ha ferito sei coloni israeliani, prima di essere colpito e ucciso da un agente di polizia israeliano fuori servizio (vedi sopra).

Il 2 agosto, una donna israeliana è rimasta ferita e la sua auto ha subito danni, dopo che un aggressore, ritenuto palestinese, è uscito dal suo veicolo e ha sparato contro il veicolo con targa israeliana. Il 5 agosto, a Tel Aviv, un palestinese della Cisgiordania ha sparato uccidendo un poliziotto israeliano e ferendo due israeliani prima di essere colpito e ucciso sul posto.

In altri due casi registrati il 6 e il 7 agosto, vicino all’insediamento di Beit El (Ramallah) e ad Al ‘Isawiya (Gerusalemme Est), palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani, provocando, secondo fonti israeliane, il ferimento di un israeliano e il danneggiamento di due veicoli.

8). A Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania le autorità israeliane hanno demolito, confiscato o costretto le persone a demolire 56 strutture, comprese sei case, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, che sono quasi impossibili da ottenere. Di conseguenza, 23 palestinesi, tra cui 12 minori, sono stati sfollati e sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di oltre 3.500 altri. Sei delle strutture colpite erano state fornite da donatori in risposta a una precedente demolizione nella Comunità beduina di Az Za’ayyem nel governatorato di Gerusalemme, durante la quale erano state demolite un totale di 35 strutture in una unica circostanza. Cinquantatre (53) delle strutture interessate sono state demolite in Area C, compresa l’infrastruttura di un parco pubblico a servizio della Comunità di Al Mughayyir (Ramallah). Le restanti tre strutture sono state demolite a Gerusalemme est, provocando lo sfollamento di quattro famiglie, comprendenti 16 persone, tra cui sette minori. Tutte le strutture demolite a Gerusalemme Est sono state demolite dai proprietari per evitare il pagamento di multe alle autorità israeliane.

9). Le residue famiglie di Al Baqa’a e Ras nelle Comunità di pastori di Tin nel governatorato di Ramallah hanno lasciato la loro Comunità; questo a causa della violenza dei coloni e la perdita dell’accesso ai pascoli (seguono dettagli).

In seguito alla creazione di un insediamento israeliano nella Comunità palestinese di Al Baqa’a (Gerusalemme) il 20 giugno, una delle due famiglie palestinesi rimanenti, composta da otto persone, tra cui cinque minori e una donna incinta, il 28 luglio ha lasciato la Comunità. Stessa sorte era toccata a 36 persone della stessa Comunità che, all’inizio di luglio, hanno smantellato le loro case e strutture di sostentamento, trasferendosi in un luogo più sicuro. Il 4 agosto, 12 famiglie a Ras al Tin (Ramallah) comprendenti 89 persone, tra cui 39 minori, hanno smantellato le loro strutture residenziali e di sostentamento, hanno lasciato le loro Comunità e si sono trasferite in luoghi più sicuri. Secondo le famiglie, la loro decisione era dovuta all’aumento della violenza e delle molestie da parte di coloni, seguite alla creazione di nuovi avamposti di insediamenti agricoli. I coloni si sono impadroniti di pascoli appartenenti alla Comunità e hanno piantato vigneti, riducendo l’area di pascolo necessaria ai pastori palestinesi per sostenere le proprie greggi. Nel 2022, 100 membri della stessa Comunità sono stati sfollati in circostanze simili. Circa 477 persone, tra cui 261 minori, sono partite da Ras al Tin, Wadi as Seeq, Ein Samiya e Al Baqa’a (tutte nel governatorato di Ramallah), Lifjim (Nablus) e Wedadie e Khirbet Bir al ‘Idd (entrambe a sud di Hebron ) tra il 2022 e il 2023, adducendo come ragioni principali la violenza dei coloni e la perdita dell’accesso ai pascoli. Di conseguenza, tre di queste sette Comunità sono state interamente svuotate, mentre nelle altre rimangono solo poche famiglie.

10). Nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, in almeno 14 casi, forze israeliane hanno aperto il “fuoco di avvertimento”. Questi episodi hanno interrotto il lavoro di agricoltori e pescatori. Un pescatore è rimasto ferito e due barche hanno subito danni.

11). Il 4 agosto, a Deir Al Balah, un ragazzo palestinese di 16 anni è rimasto ferito dalla esplosione di un ordigno che stava maneggiando.

12). Il 30 luglio e il 4 agosto, nella Striscia di Gaza, migliaia di palestinesi hanno manifestato per protestare contro le interruzioni di corrente e il peggioramento della situazione economica. I manifestanti hanno lanciato pietre contro la polizia palestinese ed hanno dato fuoco a pneumatici; sono stati segnalati 12 feriti e almeno 23 persone sono state arrestate dalle Autorità de facto di Gaza. Il 1° agosto, la centrale elettrica di Gaza ha acceso la sua quarta turbina dopo che il governo del Qatar ha fornito ulteriore carburante. L’impianto elettrico è attualmente in funzione a pieno regime, con una produzione aumentata da 65 a 100 megawatt. Nel mese di luglio i blackout giornalieri hanno superato mediamente le 12 ore, a causa dell’aumento stagionale della domanda. Ciò ha gravemente condizionato la vita quotidiana e la fornitura di servizi sanitari e WASH. Secondo l’Health Cluster, l’ospedale Kamal Odwan aveva trasferito i pazienti in un’altra struttura, a causa di un guasto ai generatori di energia di riserva.

Ultimi sviluppi

Questa sezione si basa su informazioni iniziali provenienti da diverse fonti. Ulteriori dettagli confermati saranno forniti nel prossimo rapporto.

– Il 10 agosto, forze israeliane sotto copertura hanno fatto irruzione a Zawata (Nablus); ne è seguito uno scontro a fuoco con palestinesi e un palestinese di 23 anni è rimasto ucciso.

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Note a piè di pagina

1 – Vengono conteggiati separatamente i palestinesi uccisi o feriti da persone che non fanno parte delle forze israeliane, ad esempio da civili israeliani o da razzi palestinesi malfunzionanti, così come quelli la cui causa immediata di morte o l’identità dell’autore rimangono controverse, poco chiare o sconosciute. In questo periodo di riferimento viene conteggiato un palestinese ucciso da un colono israeliano.

2 – Le vittime israeliane in questi rapporti includono persone che sono state ferite mentre correvano ai rifugi durante gli attacchi missilistici palestinesi. I cittadini stranieri uccisi in attacchi palestinesi e le persone la cui causa immediata di morte o l’identità dell’autore rimangono controverse, poco chiare o sconosciute, vengono conteggiate separatamente.

La protezione dei dati dei civili da parte dell’OCHA include incidenti avvenuti al di fuori dei Territori Palestinesi Occupati

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