Le forze israeliane uccidono tre palestinesi in un attacco nella Cisgiordania occupata

Redazione di Al Jazeera

6 agosto 2023 – Al Jazeera

I soldati hanno aperto il fuoco su un veicolo vicino al campo profughi di Jenin, uccidendo tre passeggeri che secondo l’esercito israeliano stavano pianificando un attacco.

Le forze israeliane nella Cisgiordania occupata hanno ucciso a colpi di arma da fuoco tre palestinesi che secondo l’esercito stavano per compiere un attacco.

In un comunicato l’esercito ha affermato che domenica i soldati hanno aperto il fuoco su un veicolo e ucciso tre passeggeri.

Sostiene di aver eliminato una squadra di terroristi del campo profughi di Jenin identificata mentre si recava a compiere un attacco.

Tra i morti c’è Naif Abu Tsuik, 26 anni, che secondo l’esercito era un “importante esponente militare del campo profughi di Jenin.

L’esercito ha dichiarato che era “coinvolto in azioni militari contro le forze di sicurezza israeliane e in attività militari in fase avanzata dirette dai terroristi nella Striscia di Gaza”, l’enclave costiera controllata dall’organizzazione Hamas.

Secondo Quds News Network il veicolo è stato crivellato da più di cento proiettili.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha elogiato le forze di sicurezza e ha affermato che Israele “continuerà ad agire ovunque e in qualsiasi momento contro coloro che minacciano la nostra vita “.

Hazem Qasem, un portavoce di Hamas da Gaza, ha detto che le morti non rimarranno impunite.

“Il nemico, che ha assassinato tre dei nostri palestinesi, non eviterà di pagare il prezzo dei suoi crimini”, ha affermato in una dichiarazione.

In un reportage dalla Gerusalemme est occupata, Mohammed Jamjoom di Al Jazeera ha detto che il ministero della Salute palestinese ha confermato le morti nell’attacco a sud di Jenin.

“L’esercito israeliano ha detto di aver trovato nel veicolo anche un M-16 [arma d’assalto] “, ha affermato Jamjoom.

Tutto questo si aggiunge all’estrema tensione già presente in loco. Arriva 24 ore dopo un attacco avvenuto a Tel Aviv, in cui un giovane palestinese di Jenin ha sparato sulla gente. Ciò aggiunge molta preoccupazione per ciò che questo fatto potrebbe significare nei giorni a venire.

Mustafa Barghouti, capo del partito Iniziativa Nazionale Palestinese, ha affermato che l’uccisione dei tre palestinesi equivale a un “omicidio extragiudiziale”.

Quello che Israele ha fatto oggi è un altro atto di uccisione extragiudiziale di giovani palestinesi”, ha detto Barghouti ad Al Jazeera. “È un’esecuzione illegale di persone senza alcun tipo di processo giudiziario”.

L’anno più mortale

Più di 200 palestinesi sono stati uccisi quest’anno nei territori palestinesi occupati e le Nazioni Unite hanno avvertito che il 2023 è sulla buona strada per essere l’anno più mortale per i palestinesi da quando esse ha iniziato a registrare il numero delle vittime.

Barghouti ha affermato che queste uccisioni sono una “guerra del terrore” contro la popolazione civile palestinese, che continuerà finché continuerà l’occupazione israeliana.

“L’occupazione esiste da 56 anni, la pulizia etnica dei palestinesi esiste da 75 anni, e senza porre fine a questi due processi ovviamente non ci sarà mai pace in questa regione”, ha affermato.

Jenin è stata un punto critico e teatro di numerosi raid israeliani – molti mortali – negli ultimi mesi. Il più grande raid israeliano del campo in quasi 20 anni ha avuto luogo a giugno, uccidendo 12 palestinesi e costringendo migliaia di persone a fuggire dalle loro case.

Sabato 5 agosto, Kamel Abu Bakr, di Jenin, ha aperto il fuoco nel centro di Tel Aviv e ha ucciso un ispettore della polizia israeliana prima di essere ucciso da un agente che ha risposto al fuoco.

All’inizio di questa settimana, un violento attacco dei coloni nella Cisgiordania occupata ha ucciso il 19enne palestinese Qusai Jamal Maatan, mentre i soldati israeliani hanno sparato a un altro giovane palestinese, il 18enne Mahmoud Abu Sa’an, durante una delle loro incursioni notturne nella Cisgiordania occupata.

L’attacco dei coloni, ha detto Barghouti, è stato effettuato da un uomo che fa parte del governo israeliano.

Il leader politico ha aggiunto che quindi ciò che questo comporta riguardo al rapporto tra i coloni e l’attuale governo di estrema destra israeliano è che “questo governo israeliano è un governo fascista.”

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Gaza: le operazioni israeliane di uccisione mirata suscitano una richiesta di indagine

Bethan McKernan e Hazem Balousha da Gaza City

Lunedì 17 luglio 2023 – The Guardian

L’iniziativa fa seguito alla morte di civili durante la campagna israeliana di attacchi “Scudo e Freccia”

Nella via del centro di Gaza City in cui viveva la famiglia di Khalil al-Bahtini il contenuto della casa del comandante del Jihad Islamico palestinese e delle due abitazioni su entrambi i lati è ancora sparso in strada. I passanti devono districarsi tra le macerie e la carcassa accartocciata di un serbatoio per l’acqua, tra i detriti della vita di una famiglia distrutta: un orsacchiotto rosso, utensili da cucina, frammenti di libri e vestiti.

La famiglia Adas non era l’obiettivo degli attacchi aerei che hanno colpito la casa del loro vicino verso le 2 del mattino del 9 maggio, primo atto dell’operazione israeliana “Scudo e Freccia”, ma gli edifici distavano meno di un metro. La bomba GBU-39 che ha sfondato i tre piani della casa dei Bahtini fino alle fondamenta ha fatto saltare in aria anche un lato della casa degli Adas, uccidendo le due figlie adolescenti della famiglia. Dania, 19 anni, è morta sul colpo, mentre sua sorella Imam, 17 anni, si è aggrappata alla vita per due ore prima di soccombere alle ferite in ospedale.

L’esplosione ha scaraventato la porta della camera da letto verso di me e mia moglie mentre stavamo dormendo, poi sono corso in sala a cercare i bambini,” dice Alaa Adas, 55 anni, impiegato civile. “Mio figlio era lì, ma le mie figlie non rispondevano. Quando ho visto i loro capelli in mezzo alle macerie il cuore si è fermato.”

Scudo e Freccia”, un’operazione israeliana di bombardamento aereo a sorpresa che ha preso di mira il Jihad Islamico, la principale organizzazione armata dopo Hamas nella Striscia di Gaza assediata, è iniziata con l’omicidio mirato di Bahtini e la quasi contemporanea uccisione di altri due comandanti in un’altra zona della Striscia.

Israele sostiene di aver cercato di evitare vittime civili con “attacchi di precisione” che avrebbero preso di mira membri importanti delle fazioni di Gaza. Ma la tempistica e la ferocia dell’azione iniziale di “Scudo e Freccia” hanno portato a una nuova iniziativa delle associazioni israeliane per i diritti umani che sfida la Corte Suprema israeliana a iniziare indagini indipendenti riguardo alle vittime civili in base a una sentenza esistente, ma non applicata, sulla pratica delle uccisioni mirate.

Gli assassinii, avvenuti durante un cessate il fuoco, hanno portato il Jihad Islamico a rispondere con circa 1.500 razzi lanciati verso Israele nel corso di cinque giorni, prima che venisse negoziata una tregua con la mediazione dell’Egitto. La violenza ha lasciato a Gaza 33 vittime, tra cui almeno 10 donne e minori, e, secondo fonti ufficiali palestinesi, 103 abitazioni sono state distrutte e altre 2.800 danneggiate. Tre persone sarebbero state uccise da proiettili lanciati in modo errato dal Jihad Islamico all’interno della Striscia, e in Israele sono morti un’ottantenne e un lavoratore palestinese.

Dopo il cessate il fuoco il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha descritto “Scudo e Freccia” come “perfetta”, citandone i risultati militari.

Questo tipo di operazione israeliana è diventato più frequente. Da quando nel 2007 il movimento islamico si è impossessato del controllo sulla Striscia ci sono state quattro importanti guerre tra Hamas e Israele, l’ultima delle quali è stata combattuta per 11 giorni nel maggio 2021. Ma dal 2019 ci sono state anche tre operazioni minori, due delle quali sono state attacchi di sorpresa: in totale queste missioni più ridotte hanno ucciso circa 107 persone a Gaza, di cui almeno 42 erano civili.

Fonti ufficiali delle Israel Defence Forces [Forze di Difesa Israeliane(IDF)] affermano che le innovazioni tecnologiche e l’intelligenza artificiale permettono di far lavorare cellule di attacco che lavorano insieme a droni e aerei da guerra per individuare esattamente quali persone ed edifici dovrebbero essere presi di mira.

Ma per la popolazione di 2,2 milioni di persone intrappolate nella stretta Striscia queste operazioni a sorpresa stanno chiarendo che se un vicino è sulla lista nera di Israele anche altre famiglie sono in pericolo.

Non sapevo che ci fosse un comandante che viveva in questo edificio,” dice Abu Hamza, 55 anni, che abita in un grattacielo nel centro di Gaza City colpito a maggio e che ha ucciso un’importante figura del Jihad Islamico, Tareq Ezzedine, e i suoi figli di 12 e 8 anni, così come un dentista che viveva al piano inferiore, sua moglie e il figlio diciannovenne della coppia. “Se hanno queste armi così sofisticate, perché non possono colpire i bersagli quando sono in auto o da qualche altra parte, lontano da famiglie e persone innocenti che stanno dormendo?”

Organizzazioni palestinesi e israeliane per i diritti umani sostengono che le valutazioni di Israele riguardo all’accettabilità di vittime civili in attacchi aerei sono cambiate, nonostante una sentenza del 2006 della Corte Suprema israeliana affermi che le uccisioni mirate sono legali solo se vengono rispettate alcune condizioni, tra cui evitare il più possibile la morte di civili.

In passato fonti ufficiali israeliane hanno sostenuto di non sapere che donne e minori sarebbero rimasti uccisi in attacchi che prendevano di mira membri dei gruppi armati di Gaza. Ma durante “Scudo e Freccia” il linguaggio utilizzato dal governo e dalle IDF è sensibilmente cambiato, suggerendo che siano state invece prese delle misure per ridurre danni collaterali “necessari”.

Membri di estrema destra del nuovo governo israeliano hanno fatto campagna elettorale promettendo una “posizione più dura” nei confronti dei palestinesi e stanno anche cercando di indebolire i poteri della Corte Suprema, che gioca un importante ruolo di controllo ed equilibrio.

Il capo di stato maggiore dell’IDF Herzl Halevi ha affermato che l’aviazione ha effettuato “un’accurata azione che ha colpito obiettivi terroristi minimizzando il danno a terze parti. Se potessimo, avremmo agito senza colpire affatto persone non coinvolte, ma dobbiamo ricordare che i terroristi agiscono tra la popolazione civile e mettono in pericolo gli abitanti di Gaza.”

Le IDF sostengono che “Scudo e Freccia” è stata una risposta proporzionata contro la violenza proveniente dalla Striscia e che gli omicidi sono stati rinviati due volte per “garantire condizioni adeguate e minimizzare le vittime civili.”

Ma in base al fatto che la sentenza esistente della Corte Suprema sulle uccisioni mirate non viene applicata, la Commissione Pubblica contro la Tortura-Israele ( PCATI) e Yesh Gvul, una Ong che svolge un ruolo di controllo sull’esercito israeliano, recentemente hanno lanciato un esposto chiedendo al procuratore generale di Israele di avviare un’indagine indipendente sui danni ai civili di Gaza.

Se non viene formata una commissione indipendente per esaminare la legalità delle recenti azioni dell’esercito a Gaza, come previsto dalla Corte Suprema, Israele avrà reso evidente di non volere né essere in grado di rispettare le leggi internazionali e lo stato di diritto. Ciò consentirà l’intervento di istituzioni internazionali come la Corte Penale Internazionale,” afferma un comunicato delle due organizzazioni per i diritti umani.

Non solo Israele non ha finora condotto un’inchiesta indipendente, non ha neppure fornito alcuna prova che le persone prese di mira per l’omicidio rappresentassero un chiaro e imminente pericolo; per quanto ne sappiamo, le IDF non informano i vicini o i civili che si trovano nei pressi dell’imminente omicidio, né pare che cerchino attivamente di limitare i cosiddetti danni collaterali.”

In messaggi di commento via mail il portavoce del Ministero della Giustizia Efran Oren ha affermato che l’ufficio del procuratore generale ha ricevuto l’esposto e risponderà a tempo debito.

Tuttavia la questione delle uccisioni mirate ha una crescente importanza fuori dalla Striscia di Gaza. Nel 2022 e 2023 la Cisgiordania occupata ha assistito al maggior spargimento di sangue di qualunque altro periodo dalla Seconda Intifada, o rivolta palestinese, conclusasi nel 2005, e per la prima volta negli ultimi due decenni quest’anno Israele ha iniziato ad utilizzare droni armati e attacchi aerei nella città settentrionale di Jenin.

La Corte Suprema israeliana vede la sentenza [sulle indagini riguardo ai danni causati a civili dalle uccisioni mirate] come più applicabile alla Cisgiordania che a Gaza, in quanto non considera più Gaza come sotto occupazione,” afferma Michael Sfard, noto avvocato per i diritti umani, che ha presentato l’esposto alla procura generale per conto di PCAT e Yesh Gvul.

Quindi questo esposto è molto significativo. Ciò che interessa è che nel 2023 Israele sta utilizzando il pretesto di due decenni fa per fare i conti ora con la legalità e il diritto internazionale. Oggi sembra che il governo israeliano non finga più che le sue azioni siano in accordo con le sentenze di una magistratura indipendente… Non penso proprio che a questo governo importi.”

* Questo articolo è stato modificato il 19 luglio 2023. Una precedente versione affermava erroneamente che la descrizione di Benjamin Netanyahu di “Scudo e Freccia” come “perfetta” fosse “dovuta al basso numero di morti israeliani”. Il suo comunicato non cita il numero di morti israeliani (o le vittime civili palestinesi), ma riguarda l’uccisione di dirigenti del Jihad Islamico e la distruzione delle loro armi e centri di comando.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Adam, Fuad, Abdullah, Omar: i 28 ragazzini palestinesi uccisi quest’anno dalle forze armate israeliane

Amira Hass

12 giugno 2023-Haaretz

A Gaza Tamin di cinque anni è morto letteralmente di paura durante un’incursione aerea, Mustafa è stato colpito al cuore mentre assieme ai suoi amici tirava pietre a soldati distanti 50 metri

Le forze israeliane, di solito l’esercito, quest’anno hanno ucciso finora 28 minori in Cisgiordania e a Gerusalemme:

1° gennaio: Fuad Abed, 17 anni. Colpito all’addome e alla coscia durante un raid volto a demolire delle case nel villaggio di Kafr Dan vicino a Jenin, una punizione per un precedente attacco da parte di uno dei membri della famiglia. I giovani si stavano scontrando con gli invasori.

3 gennaio: Adam Ayyad, 15 anni. Colpito alla schiena e al braccio durante un raid nel campo profughi di Deheisheh vicino a Betlemme. I giovani lanciavano pietre e molotov contro gli invasori.

5 gennaio: Amer Zeitoun, 16 anni. Colpito alla testa, al braccio e alla gamba durante un’incursione nel campo profughi di Balata, vicino a Nablus. I giovani si stavano scontrando con i soldati invasori.

16 gennaio: Amru al-Khmour, 14 anni. Colpito alla testa durante un’incursione nel campo profughi di Deheisheh. I giovani lanciavano pietre e molotov.

25 gennaio: Wadia Abu Ramouz, 17 anni. Colpito al cuore durante scontri con la polizia di frontiera a Silwan, Gerusalemme. Il suo corpo è stato restituito alla famiglia il 2 giugno. La polizia di frontiera ha il compito di proteggere gli ebrei che si impossessano di terreni e case nel quartiere.

25 gennaio: Mohammed Ali, 16 o 18 anni. Ucciso durante un raid volto a demolire una casa nel campo profughi di Shoafat. Aveva in mano una pistola giocattolo, l’ha gettata via, è fuggito ed è stato colpito alla schiena. Alla famiglia è stato permesso di seppellirlo il 5 febbraio.

26 gennaio: Abdullah Moussa, 17 anni. Colpito al petto durante un raid nel campo profughi di Jenin e uno scontro con uomini armati.

26 gennaio: Waseem Abu Jaouz, 16 anni. Colpito durante un’incursione nel campo profughi di Jenin. È stato investito da una jeep dell’esercito mentre i soldati stavano lasciando il campo.

26 gennaio: Naif al-Awdat, 10 anni, di Nuseirat a Gaza. È morto per le ferite riportate durante un attacco aereo del 6 agosto sul villaggio di Abasan mentre tornava a casa di suo nonno da un negozio di alimentari.

7 febbraio: Hamza Ashkar, 16 anni. Colpito al petto durante un’incursione nel nuovo campo profughi di Askar, dopo aver lanciato una sbarra di ferro contro una jeep blindata mentre l’esercito si stava allontanando.

8 febbraio: Muntaser al-Shawa, 16 anni. Colpito alla testa dopo aver sparato contro l’esercito e fedeli ebrei che avevano invaso Nablus vicino al campo profughi di Balata.

13 febbraio: Qusai Waked, 14 anni. Colpito all’addome durante un’incursione nel campo profughi di Jenin.

14 febbraio: Mahmoud Ayyad, 17 anni. Colpito a un occhio durante un’incursione nel campo profughi di Far’a. Stava correndo con un ordigno esplosivo in mano.

22 febbraio: Mohammed Farid, 16 anni. Colpito durante un raid a Nablus.

3 marzo: Mohammed Salim, 17 anni. Colpito alla schiena durante un’incursione nella città di Azzun vicino a Qalqilyah, dopo che lui e altri avevano lanciato molotov sulla strada.

7 marzo: Waleed Nassar, 15 anni. Colpito all’addome mentre lanciava pietre contro i soldati che invadevano il campo profughi di Jenin.

10 marzo: Amir Odeh, 14 anni. Colpito al petto dopo aver scavalcato la barriera di separazione al checkpoint di Eyal a Qalqilyah. Ha anche lanciato una molotov contro una torre di guardia fortificata dell’esercito. Nessun soldato è rimasto ferito.

16 marzo: Omar Awadeen, 14 anni. Colpito alla schiena da forze speciali sotto copertura mentre pedalava sulla sua bicicletta a Jenin.

10 aprile: Mohammed Balhan, 17 anni. Colpito alla testa, al torace, all’addome e al bacino durante un’invasione del campo profughi di Aqabat Jabr, mentre venivano lanciate pietre lanciate contro gli invasori.

28 aprile: Mustafa Sabah, 15 anni. Colpito al cuore dopo che lui e i suoi amici avevano lanciato pietre contro i soldati a 50 metri di distanza mentre le truppe si avvicinavano al villaggio di Tekoa vicino a Betlemme.

1° maggio: Mohammed al-Lad’a, 17 anni. Colpito alla testa durante un raid nel campo profughi di Aqabat Jabr durante scontri con i soldati.

9 maggio: Mayar Ezzeddin, 11 e Ali Ezzeddin, 8. Uccisi in casa nella gigantesca prigione conosciuta come la Striscia di Gaza durante un attacco aereo. L’obiettivo: il loro padre.

9 maggio: Hajar al-Bahtini, 5 anni. Ucciso in un attacco aereo su Gaza. Il bersaglio: suo padre.

9 maggio: Eman Addas, 17 anni (e sua sorella di 19 anni). Uccise in un attacco aereo su Gaza. L’obiettivo: un loro vicino.

10 maggio: Layan Mdoukh, 10 anni. Ucciso durante un attacco aereo nel quartiere di al-Tufah a Gaza.

10 maggio: Tamim Daoud, 5 anni. Morto letteralmente di paura durante un attacco aereo su Gaza.

10 maggio: Yazen Elian, 16 anni. Ucciso in un attacco aereo su Gaza.

6 giugno: Mahmoud Tamimi, 2 anni. Colpito alla testa nel villaggio di Nabi Saleh vicino a Ramallah da una torre di guardia dell’esercito, posta lì per proteggere l’espansione della colonia di Neveh Tzuf, costruita sulla terra di Nabi Saleh

Questo elenco si basa sui dati raccolti dall’attivista di sinistra Adi Ronen Argov e dall’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, e sui resoconti dei media.

Dal 30 settembre 2000, inizio della seconda intifada, le forze israeliane hanno ucciso 2.252 minori palestinesi, 42 dei quali lo scorso anno. Il 44% dei 5 milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania e a Gaza (compresa Gerusalemme) ha meno di 18 anni.

Sono nati nella realtà violenta del potere militare che governa la loro esistenza e che si è insediato nella loro terra senza riguardo per le loro vite. Questi bambini maturano velocemente, vivendo senza alcuna speranza di normalità o di un presente o futuro decente.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Come l’Intelligenza Artificiale sta intensificando i bombardamenti israeliani su Gaza

Sophia Goodfriend

6 giugno 2023 – +972 Magazine

Con gli algoritmi che rendono più facile sostenere una guerra, le armi automatizzate hanno trasformato gli assalti israeliani contro i palestinesi assediati in un evento annuale.

“I cieli sopra Gaza sono pieni di bombe israeliane”, mi ha detto Anas Baba quando abbiamo discusso su WhatsApp qualche settimana fa, subito dopo che l’esercito israeliano e la Jihad islamica avevano raggiunto un labile cessate il fuoco successivamente all’ultima offensiva israeliana sulla Striscia bloccata, che ha ucciso 33 persone e ne ha ferite altre decine. Nonostante gli attacchi dei droni fossero cessati, persisteva il ronzio incessante degli UAV [droni, ndt.]. Il loro suono ricordava come ha detto Baba, un giornalista di Gaza che la guerra costituisce ormai un evento con cadenza annuale.

Nel corso dei 16 anni dall’inizio dell’assedio così tante famiglie palestinesi hanno perso la casa nei ripetuti bombardamenti della Striscia che la ricostruzione non ha mai fine ed è resa ancora più difficile dal coinvolgimento di numerose organizzazioni e governi che offrono una assistenza umanitaria limitata. E a causa dell’alto numero di persone interessate e della ingente quantità di fondi necessari per ricostruire, spiega Baba, le famiglie potrebbero trovarsi in lista d’attesa per anni.

I bombardamenti israeliani su Gaza stanno diventando più frequenti grazie alle innovazioni nell’intelligenza artificiale (AI) e a un esercito che si piega ai dettami di governi sempre più di destra. L’esercito si vanta che le unità di intelligence ora possono individuare obiettivi – un processo che richiedeva anni – in appena un mese. Anche se cresce il bilancio delle vittime nei territori occupati le evidenze di questa crisi umanitaria raramente fanno breccia nell’opinione pubblica ebraico-israeliana, barricata dietro censori militari, sistemi di difesa missilistica e semplice indifferenza. Invece, la violenza nella regione viene analizzata attraverso il linguaggio salvifico dell’innovazione tecnologica.

Sulla stampa israeliana queste guerre si svolgono secondo uno schema familiare. Nuove offensive militari su Gaza vengono annunciate come l’uscita di un tanto atteso videogioco della serie Call of Duty. L’esercito satura le pagine dei social media con immagini epiche di soldati armati, mentre nomi biblici evocano una potenza militare di proporzioni mitologiche. Poi i missili piovono su Gaza, spazzando via le infrastrutture, le case e le vite dei palestinesi, mentre le sirene d’allarme per i razzi invitano gli abitanti del sud di Israele a correre nei rifugi fortificati.

Nei giorni successivi all’accordo sul cessate il fuoco i generali fanno il loro giro dei media per parlare delle innovazioni nell’automazione, rivelate nel corso dell’ultimo assalto. Sciami di droni assassini diretti da algoritmi di supercalcolo, che possono sparare e uccidere con un minimo intervento umano, sono celebrati allo stesso modo in cui i CEO della Silicon Valley elogiano i chatbot [gli algoritmi alla base del funzionamento delle chat, ndt.]. Mentre il mondo fa i conti con gli sviluppi fuori controllo dell’AI, ogni guerra intrapresa contro Gaza dall’arsenale militare automatizzato di Israele illustra il costo umano di questi sistemi.

“Un moltiplicatore di forza”

La guerra è sempre stata un’occasione per i militari per il commercio di armi. Ma poiché i bombardamenti asimmetrici di Israele su Gaza sono diventati eventi con cadenza annuale l’esercito ha iniziato a definirsi una sorta di pioniere che esplora il territorio sconosciuto della guerra automatizzata. Le IDF [esercito israeliano,ndt.] hanno proclamato di aver condotto la “prima guerra AI al mondo” nel 2021 – l’offensiva di 11 giorni su Gaza denominata in codice Operation Guardian of the Walls” [Operazione Guardiano delle Mura, ndr.] che, secondo B’tselem, ha ucciso 261 palestinesi ferendone 2.200. I droni hanno spazzato via intere famiglie, danneggiato scuole e cliniche mediche e fatto esplodere grattacieli che ospitavano famiglie, aziende e uffici dei media lontani da qualsiasi obiettivo militare.

Mentre 72.000 palestinesi erano sfollati e altre migliaia piangevano i morti, i generali israeliani si vantavano di aver rivoluzionato la guerra. “L’intelligenza artificiale è stata un moltiplicatore di forza per le IDF”, si sono vantati gli ufficiali, descrivendo in dettaglio come sciami di droni robotici avessero accumulato dati di sorveglianza, individuato obiettivi e sganciato bombe con un intervento umano minimo.

Lo schema si è ripetuto poco più di un anno dopo. Nell’agosto 2022 le IDF hanno lanciato un’offensiva di cinque giorni contro Gaza, denominata “Operazione Breaking Dawn” [sorgere dell’alba, ndt.], che ha causato la morte di 49 palestinesi, inclusi 17 civili. Missili sono esplosi per le strade del campo profughi di Jabalia, uccidendo sette civili, fuori dalle loro case a causa delle interruzioni di corrente. I droni hanno colpito anche un vicino cimitero uccidendo dei bambini che giocavano in un raro lembo di spazio aperto.

Sulla scia della distruzione l’esercito ha lanciato un’altra curatissima campagna di pubbliche relazioni, infrangendo un divieto pluridecennale di discutere apertamente dell’uso nelle operazioni militari di droni basati sull’intelligenza artificiale. Il Brigadier Generale Omri Dor, comandante della base aerea di Palmachim, ha dichiarato al Times of Israel [quotidiano online israeliano, ndt.] che i droni dotati di intelligenza artificiale hanno conferito all’esercito una “precisione chirurgica” nell’assalto, consentendo alle truppe di ridurre al minimo “danni collaterali o danni a altre persone”.

Tuttavia, come tutte le autopromozioni, tali annunci sono un esercizio di autoesaltazione. Per cominciare, nel 2021 Israele non ha condotto la “prima guerra AI” al mondo. Droni, sistemi di difesa missilistica e guerra informatica sono stati usati per decenni in tutto il mondo e piuttosto che l’esercito israeliano sono gli Stati Uniti ad essere spesso considerati il vero pioniere.

Ad esempio in Vietnam sensori e centinaia di computer IBM hanno aiutato le truppe statunitensi a rintracciare, localizzare e uccidere i combattenti vietcong – e molti civili – in attacchi aerei letali. Quando i soldati statunitensi sono entrati in Iraq, lo stesso hanno fatto i robot armati di fucili e in grado di far saltare in aria esplosivi. Dalla fine degli anni 2000 la maggior parte dei governi ha incorporato nei propri arsenali militari e di sorveglianza sistemi di apprendimento automatico. Oggi sciami di droni automatizzati hanno ucciso militanti e civili nelle guerre in Libia e Ucraina.

È stato quindi un problema di saturazione del mercato a motivare l’esercito israeliano a trasformare gli attacchi contro Gaza in campagne pubblicitarie coordinate. Nel 2021 gli esperti di intelligenza artificiale hanno lanciato l’allarme sui droni assassini di fabbricazione turca che potrebbero sciamare e uccidere obiettivi senza intervento umano. La Cina è stata presa di mira per aver esportato sistemi d’arma automatizzati – da sottomarini robotici a droni invisibili – in Pakistan e Arabia Saudita.

Vedendo questo i trafficanti israeliani di armi hanno temuto che altri Paesi potessero eclissare il vantaggio competitivo della “nazione start-up” sulle esportazioni di armi a favore di regimi con sordidi primati a proposito di diritti umani. “E’ovvio che le cose sono cambiate e che Israele deve cambiare atteggiamento se non vuole perdere altri potenziali mercati”, ha detto un alto funzionario militare israeliano in una newsletter dell’industria della difesa dopo l’operazione dell’agosto 2022.

I loro sforzi sono stati ripagati: dopo Guardian of the Walls le esportazioni di armi di Israele hanno raggiunto nel 2021 il massimo storico. Tra i ripetuti bombardamenti su Gaza e con la guerra che infuria in Ucraina, quel numero probabilmente aumenterà.

Nuovi pericoli

L’ubiquità della guerra dell’IA non significa che questa tecnologia debba essere implementata senza salvaguardie e limitazioni. Gli algoritmi possono davvero rendere più efficienti molti aspetti della guerra, dalla guida dei missili all’esame delle informazioni al monitoraggio dei valichi di frontiera. Eppure gli esperti elencano una litania di pericoli posti da questi sistemi: dalla disumanizzazione digitale che riduce gli esseri umani a codici a barre per una macchina in grado di determinare chi dovrebbe vivere o morire, a un costo e una soglia ridotti per un sistema bellico che sostituisce le truppe di terra con algoritmi. Gran parte delle armi sul mercato sono piene di problemi tecnici, per cui si dice identifichino erroneamente gli obiettivi o siano pre-programmate per uccidere determinati gruppi demografici con maggiore frequenza. Anche se riducono il numero di civili uccisi in un singolo bombardamento, come affermano i loro sostenitori, i sistemi d’arma automatizzati rischiano di rendere le battaglie più frequenti e più facili da sostenere facendo sì che la guerra si trascini senza che se ne veda la fine.

Questo è il caso di Gaza. Come afferma Baba, il giornalista: Con una popolazione di 2,3 milioni di persone in un’area di meno di 45 chilometri, Gaza è uno dei luoghi più densamente popolati del mondo. Non importa quanto siano avanzate le tecnologie utilizzate, ogni bombardamento israeliano sulla Striscia uccide innumerevoli spettatori innocenti. “I civili sono spesso vittime del fuoco incrociato”, aggiunge.

Dal 2021, quando Israele ha iniziato a promuovere pubblicamente l’uso dell’intelligenza artificiale nelle operazioni militari, negli attacchi annuali di Israele oltre 300 palestinesi sono stati uccisi e altre migliaia sono stati feriti e sfollati; nei ripetuti assalti infrastrutture vitali come i sistemi fognari e le reti elettriche sono state irrimediabilmente danneggiate. L’automazione potrebbe aver consentito a Israele – se avesse potuto raccogliere le forze e il sostegno politico – di non inviare truppe di terra, impedendo perdite di vite umane dalla sua parte, ma soprattutto la tecnologia ha semplicemente reso più frequente la caduta delle bombe e l’uso di proiettili.

Gli esperti politici discutono spesso dei pericoli posti dai sistemi d’arma automatizzati nel futuro. Ma il costo umano è già evidente in tutta la Palestina. “Abbiamo assistito a lungo alle prove dell’uso da parte di Israele dei TPO [territori palestinesi occupati, ndt.], in particolare di Gaza, come laboratorio per testare e dispiegare tecnologie di armi sperimentali”, ha detto a +972 Omar Shakir, direttore per Israele e Palestina di Human Rights Watch.

Shakir sottolinea che tali armi utilizzate in Cisgiordania e a Gaza, dai droni alla biometria alle torrette potenziate dall’intelligenza artificiale, “servono ad automatizzare l’uso illegale della forza e dell’apartheid da parte di Israele contro i palestinesi”. Data la centralità di Israele nei mercati globali delle armi, Shakir ritiene che “è solo una questione di tempo prima che i sistemi d’arma schierati oggi da Israele finiscano negli angoli più remoti del globo”.

I sostenitori dei diritti digitali hanno anche avvertito che le armi sviluppate in Palestina causeranno il caos se esportate all’estero, sottolineando che questi sistemi provengono da contesti politici in cui il pregiudizio contro i palestinesi è fondamentale. Ad esempio, se l’esercito israeliano ha fornito agli operatori delle istruzioni secondo cui in attacchi con droni un certo numero di non combattenti potrebbe essere ucciso, come +972 ha riportato l’anno scorso, questo numero è replicato negli algoritmi che guidano i missili di precisione? Se i soldati israeliani che gestiscono posti di blocco hanno il compito di detenere temporaneamente uomini palestinesi di una certa età, i nuovi confini biometrici, come riportato di recente da Amnesty International, raccomanderanno la detenzione di tutti coloro che rientrano in questo gruppo demografico? Come ha spiegato Mona Shtaya, direttrice del sistema di patrocinio di 7amleh [associazione no profit che favorisce l’uso del digitale tra i palestinesi in particolare a sostegno dei loro diritti, ndt.]: “Se i dati sono distorti, il risultato finale del prodotto sarà sbilanciato contro i palestinesi”.

L’esercito israeliano non sembra preoccupato dal ritmo di tale sviluppo dell’IA. Cosa fa ChatGPT? Distilla la conoscenza, l’intuizione di cui hai bisogno “, ha affermato il colonnello Uri, comandante della nuova unità di ricerca e informazione sull’IA delle IDF, durante una rara intervista a febbraio. C’è un limite alle tue capacità come essere umano. Se stessi seduto una settimana per elaborare le informazioni potresti giungere alla stessa identica conclusione. Ma una macchina può fare in un minuto ciò che ti richiederebbe una settimana.

Questo tecno-ottimismo si ritrova in tutti i ranghi militari di Israele e lo ha aiutato a giustificare la guerra in corso. I comandanti delle unità di intelligence d’élite hanno volantini auto-pubblicati che esaltano una “sinergia uomo-macchina”. Altri occupano posizioni chiave in aziende di armi come Elbit Systems, desiderose di esportare sistemi d’arma automatizzati in tutto il mondo. Quando a febbraio 60 paesi, tra cui Cina e Stati Uniti, hanno stilato un “invito ad agire” in gran parte simbolico a sostegno dell’uso responsabile dell’IA militare Israele ha rifiutato di firmare la dichiarazione. Invece, i comandanti di alto rango paragonano i robot assassini alle chatbot, scimmiottando i dirigenti tecnologici della Silicon Valley che affermano che l’intelligenza artificiale potrà solo migliorare la vita umana.

La vastità della distruzione in una Gaza assediata rende sempre più difficile credere a tali affermazioni. Se l’ultimo bombardamento rivela qualcosa è che anche le armi tecnologicamente più avanzate non possono compensare il costo umano della guerra, non importa quanto sofisticati siano gli algoritmi.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




CPJ: Israele “non si assume alcuna responsabilità” per l’uccisione di giornalisti

AL JAZEERA

9 maggio 2023 – Aljazeera

L’impunità dell’esercito israeliano nell’uccisione di almeno 20 giornalisti negli ultimi 20 anni mina “gravemente” la libertà di stampa, afferma il rapporto del CPJ.

Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) afferma in un nuovo duro rapporto che l’esercito israeliano non si è assunto alcuna responsabilità per l’uccisione di almeno 20 giornalisti, 18 dei quali palestinesi, negli ultimi 20 anni.

Nel suo rapporto, Deadly Pattern, pubblicato martedì, questa organizzazione a tutela della libertà di stampa dichiara di aver riscontrato “uno schema sistematico nelle uccisioni di giornalisti da parte [dell’esercito israeliano]”.

“Nessuno è mai stato accusato o ritenuto responsabile di queste morti… minando con ciò gravemente la libertà di stampa”, aggiunge.

Il CPJ afferma che i palestinesi costituiscono l’80% dei giornalisti e degli operatori dei media uccisi dall’esercito israeliano.

Queste cifre riflettono in parte l’andamento generale del conflitto israelo-palestinese; secondo i dati delle Nazioni Unite negli ultimi 15 anni i sono stati uccisi 21 volte più palestinesi che israeliani, aggiunge il rapporto.

Inoltre il rapporto evidenzia che “gli ufficiali israeliani sminuiscono le prove e le affermazioni dei testimoni, e spesso sembrano scagionare i soldati per le uccisioni mentre le indagini sono ancora in corso”, e aggiunge che le indagini dell’esercito israeliano sulle uccisioni sono una “scatola nera”, con risultati tenuti segreti.

Nello svolgimento delle indagini l’esercito israeliano spesso impiega mesi o anni per investigare sugli omicidi, e le famiglie dei giornalisti, per lo più palestinesi, hanno poche risorse all’interno di Israele per perseguire la giustizia”, afferma il CPJ.

Hagai El-Ad, direttore esecutivo dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, afferma nel rapporto che l’esame da parte di Israele delle azioni dei suoi soldati è meno seria di una “rappresentazione teatrale di un’indagine”.

Vogliono renderla credibile. Eseguono gli atti, le procedure richiedono molto tempo, molte scartoffie”, riferisce a CPJ. “Ma alla fine … è l’impunità quasi totale per le forze di sicurezza”.

Il rapporto afferma che le organizzazioni per i diritti umani hanno costantemente sollevato preoccupazioni circa “la… lentezza di queste valutazioni totalmente riservate, che possono trascinarsi per mesi o anni”, durante le quali “i ricordi dei testimoni svaniscono, le prove possono scomparire o essere distrutte e i soldati coinvolti possono far coincidere le testimonianze”.

L’uccisione di Shireen Abu Akleh

Il rapporto arriva due giorni prima del primo anniversario dell’uccisione della giornalista veterana di Al Jazeera Shireen Abu Akleh da parte di un proiettile israeliano alla testa mentre l’11 maggio 2022 conduceva un reportage su un raid militare israeliano nella città occupata di Jenin in Cisgiordania.

Nel settembre 2022 un’indagine congiunta di Forensic Architecture, organizzazione di ricerca multidisciplinare, e dell’organizzazione per i diritti dei palestinesi Al-Haq ha rivelato che le prove confutavano la versione di Israele secondo cui Abu Akleh sarebbe stata uccisa per “errore”.

L’inchiesta ha esaminato l’angolo di tiro del cecchino israeliano e ha concluso che era in grado di vedere chiaramente che in quel luogo c’erano i giornalisti. Ha anche escluso la possibilità che in quel momento ci fossero degli scontri tra forze israeliane e palestinesi, che avrebbero potuto dar luogo ad un fuoco incrociato.

Secondo l’inchiesta, per la quale Al Jazeera ha fornito del materiale, il cecchino israeliano ha sparato per due minuti e ha preso di mira coloro che cercavano di soccorrere Abu Akleh.

I risultati sono arrivati lo stesso giorno in cui la famiglia della giornalista palestinese americana di 51 anni ha formalmente presentato una denuncia ufficiale alla Corte Penale Internazionale (CPI) chiedendo giustizia per la sua uccisione.

Israele ha dichiarato a settembre che c’era una “alta possibilità” che Abu Akleh fosse stata “accidentalmente colpita” dal fuoco dell’esercito israeliano, ma ha aggiunto che non avrebbe avviato un’indagine penale.

“Mancato rispetto” della stampa cercando di imporre false narrazioni

Come Abu Akleh, che quando è stata uccisa indossava un casco e un giubbotto protettivo blu con la scritta “Press”, la maggior parte dei 20 giornalisti uccisi al momento della loro morte erano “chiaramente identificabili come membri dei media o si trovavano all’interno di veicoli con insegne della stampa, si legge nel rapporto.

Il rapporto afferma anche che dopo che un giornalista viene ucciso dalle forze di sicurezza israeliane gli ufficiali israeliani “spesso inviano ai media una contro-narrazione” nel tentativo di allontanare ogni responsabilità dai loro soldati.

Il CPJ ha sottolineato che nel caso di Abu Akleh gli ufficiali israeliani hanno iniziato a incolpare dei palestinesi nonostante i testimoni e il ministero della salute palestinese affermassero che era stata uccisa dalle truppe israeliane. Israele ha anche accusato alcuni giornalisti palestinesi uccisi dai suoi sodati di “attività terroristica e militante”.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




L’esercito israeliano ha condotto un’azione psicologica online rivolta all’opinione pubblica israeliana durante la guerra di Gaza

Hagar Shezafand e Yaniv Kubovich

22 marzo 2023 Haaretz

L’esercito israeliano ha utilizzato falsi account di social media per diffondere il messaggio secondo cui stava “compiendo una dura rappresaglia contro Hamas”. Ha pubblicato decine di video #Gazaregrets [Gaza rimpiange] nei gruppi Facebook di Netanyahu taggando i politici di destra. Un alto ufficiale ha detto: “Questo è illegale, non si deve fare”, e l’esercito ha risposto: “Abbiamo sbagliato.”

Durante l’operazione Guardian of the Walls [Guardiano delle mura] nel maggio 2021 a Gaza l’Unità portavoce delle Forze di Difesa israeliane ha condotto un’operazione di guerra psicologica rivolta ai cittadini israeliani con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle manovre offensive dell’esercito israeliano e sul “prezzo” che queste iniziative avrebbero imposto ai palestinesi.

I militari hanno utilizzato falsi account di social media per nascondere l’origine della campagna. Hanno usato Twitter, Facebook, Instagram e TikTok per caricare immagini e clip degli attacchi dell’esercito a Gaza utilizzando l’hashtag #Gazaregrets con didascalie come “Perché mostrano solo Israele che viene attaccato invece dei nostri attacchi a Gaza? Dobbiamo dimostrare a tutti quanto siamo forti!” e “Condividi in modo che tutti possano vedere come reagiamo alla grande” o ” Facciamo in modo che Gaza si penta… Am Israel Chai [La Nazione israeliana è viva]”.

Haaretz ha appreso che questa “campagna di propaganda” è stata lanciata diversi giorni dopo l’inizio dei combattimenti, dopo che l’Unità portavoce dell’esercito israeliano ha ritenuto che l’opinione pubblica israeliana fosse più colpita dagli attacchi missilistici lanciati contro Israele da Gaza che dalle azioni dell’esercito israeliano all’interno della Striscia. Secondo il dibattito interno, l’uso da parte dell’Unità di account falsi – “bot” – aveva lo scopo di impedire che fossero “attribuiti” all’esercito. Questo, sperava l’esercito, li avrebbe fatti sembrare autentici, come se provenissero direttamente dall’opinione pubblica.

Per dare ulteriore voce alla campagna, l’Unità portavoce ha collaborato con discrezione con due popolari account Instagram israeliani – @idftweets e @pazam_gram – che hanno centinaia di migliaia di follower. Il primo giorno di questa campagna, @idftweets ha condiviso post e storie di un attacco dell’esercito israeliano con l’hashtag #Gazaregrets. Il contenuto ha ricevuto centinaia di like e commenti entusiasti come “uccideteli tutti” o “perché ci sono ancora degli edifici in piedi a Gaza?” @pazam_gram ha seguito l’esempio con altre storie sui propri account.

L’Unità portavoce dell’esercito intendeva utilizzare anche gli influencer dei social media per manipolare l’opinione pubblica israeliana.

Non è chiaro se l’esercito abbia pagato i titolari dell’account Instagram per i loro servizi. Secondo una fonte a conoscenza del funzionamento interno dell’Unità, questa non è l’unica volta in cui si è realizzata una simile collaborazione.

L’operazione Guardian of the Walls è stata lanciata il 10 maggio, dopo che Hamas aveva lanciato razzi contro Gerusalemme durante la Marcia delle Bandiere tenutasi in quella giornata di tensione, ed è stata seguita da una raffica di razzi puntati contro il centro di Israele. L’esercito israeliano ha risposto con massicci attacchi a Gaza, che hanno raso al suolo una serie di grattacieli. La campagna è durata 11 giorni e ha visto 4.000 razzi lanciati verso Israele, che hanno provocato la morte di dieci israeliani e tre cittadini stranieri. A seguito degli attacchi dell’esercito israeliano sono stati uccisi 350 abitanti di Gaza, la maggior parte dei quali miliziani di Hamas e della Jihad islamica.

Subito dopo l’inizio dei combattimenti, l’Unità portavoce dell’esercito ha deciso di lanciare la sua campagna di guerra psicologica contro i cittadini israeliani. Il 12 maggio ha aperto un falso account Twitter appartenente a “Moshe Vaknin” con la foto della bandiera israeliana.

Il soldato che gestiva l’account ha twittato 27 volte in sole tre ore. Con l’hashtag #Gazaregrets ogni post conteneva immagini degli attacchi israeliani a Gaza o della distruzione da essi prodotta. Per aumentarne la portata e la visibilità, ogni tweet è stato pubblicato come risposta a popolari account Twitter con decine di migliaia di follower: la maggior parte di questi account apparteneva a persone note per essere sostenitori del primo ministro Benjamin Netanyahu. I tweet hanno taggato anche politici di destra e personalità dei media.

In risposta a un tweet pubblicato dal parlamentare di estrema destra Itamar Ben-Gvir, che chiedeva di “trasformare in parcheggio il quartiere di Gaza con le ville di Hamas”, il soldato che gestiva il falso account ha risposto con l’immagine di un grattacielo crollato a Gaza e la didascalia “Itamar, condividilo subito in modo che tutto Israele possa vedere che #Gazaregrets”.

In risposta al tweet del conduttore televisivo israeliano di destra Yinon Magal, che prendeva in giro l’allora ministro della Difesa Benny Gantz, il falso “Moshe Vaknin” ha risposto con la foto di un attacco dell’esercito e la didascalia “Yinon #Gazaregrets condividi subito in modo che tutti possano vedere”.

Il 12 maggio è stato creato un altro account falso su Facebook con il nome Dana Lock e come immagine del profilo una ragazza drappeggiata con la bandiera israeliana. In due giorni l’account ha pubblicato otto video di attacchi israeliani con la didascalia “Non rimarremo in silenzio! Non siamo fessi! #Gazaregrets! Condividere!!”

Per raggiungere un pubblico più ampio, i video sono stati pubblicati su diversi gruppi Facebook di sostenitori di Netanyahu, per un totale di oltre 100.000 follower collegati.

Altri due falsi account su Instagram e TikTok hanno pubblicato 13 post simili.

Nel complesso, la campagna di propaganda ha coinvolto molto poco l’opinione pubblica israeliana: con l’eccezione di un solo video di TikTok che ha ricevuto alcune decine di like e commenti, il resto dei post sui social media non ha quasi provocato commenti, condivisioni o like. Fallito anche il tentativo di promuovere l’hashtag #Gazaregrets. Solo sei profili organici (cioè autentici) hanno utilizzato l’hashtag su Facebook, ma su altre piattaforme non si è visto alcun uso reale del tag.

Nonostante ciò, Haaretz ha appreso che una volta conclusa la guerra su Gaza del 2021 l’Unità ha ricevuto un premio per la “migliore campagna operativa” durante Guardian of the Walls. Il premio è stato assegnato al tenente colonnello Merav Stollar-Granot, capo del dipartimento media dell’Unità portavoce dell’esercito.

L’Unità Campagne del dipartimento opera come una sorta di ufficio stampa per l’esercito e organizza campagne interne ed esterne per aumentare la conoscenza delle diverse unità dell’esercito e le questioni militari. All’epoca era diretta da Yuval Horowitz, un civile assunto come attivista di marketing che ora lavora per Keshet Media [società di mass media israeliana privata il cui notiziario online è molto seguito, ndt.]. L’Unità è composta da riservisti che lavorano come pubblicitari e designer.

In risposta l’esercito ha dichiarato: “Durante la campagna Guardian of the Walls l’Unità portavoce ha diffuso filmati autentici dei combattimenti dall’interno della Striscia di Gaza, ottenuti dalle piattaforme dei social media. Tutti i contatti dell’esercito con gli influencer israeliani sui social media sono avvenuti a titolo ufficiale. Poiché il filmato è stato girato da palestinesi a Gaza, la sua diffusione non può essere attribuita all’esercito.

L’esercito ha infatti creato un certo numero di account falsi che hanno pubblicato il filmato sui social media al fine di massimizzare l’accesso del pubblico. In retrospettiva, l’uso di quegli account è stato un errore ed è stato limitato a 24 ore. Non vi è stato alcun ulteriore utilizzo negli ultimi due anni. L’Unità portavoce dell’esercito è impegnata nella verità ed esige rapporti affidabili e per quanto possibile accurati al fine di trasmettere informazioni all’opinione pubblica in modo corretto.”

Guerra psicologica

L’esercito ha impiegato per anni la guerra psicologica contro i nemici di Israele nel tentativo di sminuire le loro narrazioni, influenzare la popolazione (per esempio a Gaza, in Libano e in Iran) e pubblicizzare i propri risultati operativi. Un’unità di guerra psicologica è stata costituita nel 2005 sotto l’egida dell’intelligence militare. Come parte delle attività contro il “nemico”, l’intelligence israeliana ha raccolto informazioni che includevano l’opinione pubblica della popolazione nemica e le sue posizioni in quel momento sui governanti e sulla guerra. Ha anche cercato di influenzare il discorso pubblico dei nemici per seminare incertezza, minare la credibilità dei messaggi del potere dominante e incoraggiare la pressione dell’opinione pubblica sulla rispettiva leadership. La maggior parte di queste attività è stata condotta di nascosto e ha diffuso informazioni destinate ad essere utili in un modo o nell’altro a Israele.

Durante l’operazione Guardian of the Walls nel 2021 l’intelligence israeliana ha condotto una campagna sui social media in arabo diretta alla popolazione di Gaza con il titolo “Hamas sta uccidendo la Nazione” e “la colpa è di Hamas “.

L’intelligence militare poteva raggiungere le popolazioni civili a vari livelli. Tuttavia la legge israeliana vieta all’esercito di operare tali attività all’interno, il che significa che una guerra psicologica segreta contro i cittadini israeliani è illegale.

“Quelle competenze sono state sviluppate per identificare la mentalità dei Paesi nemici e per influenzarli dall’esterno – senza che l’esercito compaia – sulla situazione nazionale del popolo con cui Israele sta combattendo una guerra”, ha detto ad Haaretz un alto funzionario della Difesa. “Nessuna operazione di guerra psicologica è stata condotta contro cittadini israeliani. Questo è proibito dalla legge. [È una questione così delicata che] anche durante il COVID-19 l’esercito non è stato autorizzato a impiegare alcune di quelle competenze per individuare i casi conclamati”.

Durante il mandato dell’ex capo di stato maggiore Aviv Kochavi è stata data la massima priorità alla guerra psicologica, principalmente nei confronti dei palestinesi, e il nome dell’Unità è stato cambiato in Impact Division. Sebbene siano stati fatti tentativi per trasferirne l’autorità al portavoce dell’esercito – che si occupa del pubblico israeliano – rimane sotto la competenza dell’intelligence militare.

“Il tentativo è arrivato ai più alti livelli della dirigenza ma è fallito, almeno ufficialmente”, ha detto il funzionario. “Coloro che si sono opposti hanno ritenuto che la cosa potesse essere fatta solo da persone identificate come appartenenti all’esercito e in modo che fosse chiaro che il messaggio proveniva dall’esercito. È stato chiarito a tutti coloro che volevano cambiare la legge esistente che la cosa era inaccettabile”.

Questa fonte non era a conoscenza dell’operazione #Gazaregrets e si è stupita nello scoprire che fosse stata effettivamente condotta agli ordini dell’ex portavoce dell’esercito, il maggiore generale Hidai Zilberman, che Kochavi aveva nominato portavoce dell’esercito nel 2019. Prima di allora Zilberman aveva iniziato la sua carriera nel Corpo di artiglieria, e in seguito era diventato comandante senior nel Comando settentrionale e nella Direzione per la pianificazione dell’esercito. Nel 2021 è stato nominato addetto alla difesa e alle forze armate israeliane per gli Stati Uniti

Il quarto giorno dell’operazione Guardian of the Walls, l’esercito ha lanciato l’operazione Lightning Strike [Colpo di Fulmine], che mirava a utilizzare centinaia di aerei da combattimento per colpire la rete di tunnel di Hamas sulla base del presupposto che al momento la maggior parte del suo braccio armato e gli alti dirigenti di Hamas si trovassero lì.

Il portavoce dell’esercito ha ingannato i media riferendo che le forze di terra avevano iniziato a entrare a Gaza. L’idea era di far entrare rapidamente politici e combattenti di Hamas nei tunnel, dove sarebbero stati poi uccisi. L’operazione è fallita perché Hamas ha riconosciuto l’inganno per quello che era. Nonostante il lancio di centinaia di tonnellate di esplosivo, furono uccisi solo pochi giovani miliziani.

Tuttavia, quando è trapelata la notizia dell’inganno e solo per la stampa estera, la credibilità del portavoce e l’immagine mondiale di Israele sono state gravemente danneggiate.

Zilberman è stato costretto a scusarsi nel tentativo di ripristinare la fiducia dei media stranieri. È arrivato persino a scrivere una lettera al presidente dell’Associazione della stampa estera in cui diceva: “Mi scuso per l’errore. Il portavoce dell’esercito non intraprende guerre psicologiche, il suo ruolo è quello di riferire all’opinione pubblica nient’altro che la verità”.

Ciò che il portavoce dell’esercito non ha detto è che esattamente nello stesso momento i militari che prestavano servizio nell’Unità erano impegnati in un’operazione fraudolenta e senza precedenti nei confronti dell’opinione pubblica israeliana. “Non è meno scandaloso se l’operazione #Gazaregrets è uscita dall’ufficio del portavoce dell’esercito”, ha detto un alto funzionario della difesa quando gli sono state mostrate le prove raccolte da Haaretz. “Una cosa del genere non sarebbe dovuta accadere.”

Nonostante l’assicurazione di Zilberman che l’Unità portavoce dell’esercito non avesse preso parte alla guerra psicologica, tre mesi dopo un’indagine di Haaretz ha scoperto che l’esercito aveva assunto Gilad Cohen – che gestisce il canale Ali Express Telegram [canale di blog informativi, ndt.] – come consulente per la “guerra psicologica” sui social media. La censura militare ha inizialmente vietato la pubblicazione del suo nome, ma dopo diversi giorni ha cambiato la sua decisione.

Ali Express ha più di 100.000 follower ed è diventata negli ultimi anni una delle fonti più influenti in Israele sui temi della difesa e del mondo arabo. Propone servizi esclusivi, video e immagini in cui appare il suo logo, mentre molti giornalisti la usano come fonte citandola direttamente. Più di una volta il portavoce dell’esercito ha indirizzato ad Ali Express i giornalisti che chiedevano cosa stesse succedendo a Gaza, chiarendo che la notizia “non è stata fornita da alcun funzionario militare”.

Cohen ha ricevuto la nomina nel 2019, quando è iniziata la Marcia del Ritorno con gli scontri al confine di Gaza, da Herzl Halevi, che era allora a capo del comando meridionale dell’esercito ed è oggi Capo di Stato Maggiore. Cohen ha continuato a lavorare con il successore di Halevi, Eliez Toledano. Ali Express non conferma che il suo manager funga da consulente retribuito per il comando meridionale dell’esercito. Allo stesso modo l’esercito non riconosce pubblicamente di collaborare con Cohen.

In testi anonimi Ali Express attacca spesso l’affidabilità e la professionalità di eminenti giornalisti israeliani che hanno criticato le politiche dell’esercito nei confronti di Hamas. Attacca anche i politici, tra cui l’ex Ministro della Difesa Avigdor Lieberman, che aveva annunciato le sue dimissioni dall’incarico dopo un incidente in cui un’unità delle forze speciali dell’esercito era stata scoperta a Khan Yunis, a sud di Gaza. “Davvero non avresti potuto scegliere un momento migliore per dimetterti? Hamas ha regalato ai suoi cittadini un risultato incredibile, un incidente per cui Hamas è riuscito a far dimettere un Ministro della Difesa in carica”, scherza un post anonimo.

All’epoca l’esercito cercò di negare le attività di Cohen. Ma dopo aver saputo del problema creato nei confronti dei cittadini israeliani, l’esercito ha annunciato di aver rescisso il contratto.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Rachel Corrie venne uccisa a Gaza dall’esercito israeliano. 20 anni dopo i suoi genitori stanno ancora lottando per ottenere giustizia

Andrew Buncombe

17 marzo 2023, The Independent

Esclusivo: nei due decenni trascorsi dalla morte della loro figlia attivista per la pace Cindy e Craig Corrie non sono riusciti ad assicurare i responsabili alla giustizia. Ma non hanno rinunciato alle loro speranze di pace, dichiarano ad Andrew Buncombe

Non poteva esserci un modo adatto per ricevere una simile notizia.

La madre di Rachel Corrie, Cindy, ricorda la chiamata telefonica da parte dell’altra sua altra figlia, Sarah, e del marito. Era ovvio che qualcosa non andava.

Le fu detto che c’era una “notizia molto triste” e riguardava Rachel. La giovane attivista si era recata a Gaza due mesi prima per cercare di proteggere le vite e le case dei palestinesi.

È morta? Chiese subito sua madre. Pose la domanda in modo così lapidario, racconta, nella speranza di poter escludere subito il peggio. Ma non c’era modo di sfuggire alla verità. Sì, credevano che fosse morta. L’avevano visto al telegiornale.

Cindy prese il cordless e lo portò al padre di Rachel, Craig, che stava facendo il bucato in un’altra stanza, impegnato con le faccende quotidiane.

Fecero quindi una raffica di telefonate, principalmente ad altri membri della famiglia di Rachel, volendo rivelare personalmente i dettagli prima che vedessero anche loro le notizie in TV. Parlarono anche con il Dipartimento di Stato. Craig chiamò il suo principale. “Non ho idea di cosa sia successo nella mia vita”, gli disse. “Ma è completamente cambiata.”

Sono passati quasi 20 anni da quel terribile giorno, il 16 marzo 2003, quando seppero che la loro figlia era stata uccisa nel sud di Gaza, schiacciata da un bulldozer D9 da 60 tonnellate costruito da Caterpillar Inc e utilizzato dalle forze di difesa israeliane (IDF). Rachel aveva fatto parte di un gruppo di attivisti palestinesi e internazionali che cercavano di fermare la distruzione di proprietà palestinesi. Quel giorno avevano agito come scudi umani per fermare l’abbattimento di una casa nel campo profughi di Rafah occupata dalle famiglie di due fratelli, Khaled e Samir Nasrallah.

Il fatto che nei due decenni successivi siano morte tantissime migliaia di palestinesi – la maggior parte, sostengono i palestinesi, uccisi illegalmente dalle forze israeliane – ripugna ai genitori di Rachel. Sono consapevoli delle critiche secondo cui la visibilità concessa alla morte della figlia sia stata di gran lunga maggiore rispetto al caso in cui venga ucciso un palestinese. I due fatti aiutano a motivarli a continuare il loro lavoro presso la fondazione che hanno creato a nome della figlia.

In pochi giorni si resero conto che la morte della figlia li aveva portati su una strada diversa. Non si poteva tornare indietro. Non esisteva un trucco per viaggiare nel tempo e riportare indietro la loro “meravigliosa e premurosa” figlia, che aveva sognato di diventare una poetessa o una ballerina.

Era stata uccisa, ma dovevano trovare un modo per continuare a vivere, per il bene degli altri loro figli – Rachel aveva anche un fratello, Chris – per se stessi e per la causa per la quale Rachel aveva dato la vita.

Hanno aderito ad una associazione di cui nessuno vorrebbe far parte: di genitori o parenti di una persona cara persa troppo presto, a causa della violenza della polizia, di una sparatoria a scuola o di una malattia rara di cui il mondo sa poco. Fin da allora diffidavano del discorso super abusato riguardo “l’elaborazione del lutto“. Magari, sembrava loro più appropriato l’accertamento delle responsabilità penali, ma sono ancora lontani dall’ottenerlo.

Proprio come quegli individui che cercano un significato nella campagna per una maggiore regolamentazione delle armi o per la riforma della polizia, i Corrie hanno guadagnato l’attenzione cercando di continuare il lavoro della figlia e raccontando la sua storia. In tal modo, agiscono come la figlia ha loro espressamente richiesto.

Nell’ultima e-mail ai suoi genitori, inviata quattro giorni prima della sua morte, scrisse: Ciao papà, grazie per la tua e-mail. A volte mi sembra di passare tutto il mio tempo a parlare con mamma supponendo che ti riferisca le cose, quindi vieni trascurato. Non preoccuparti troppo per me, in questo momento sono molto preoccupata della nostra scarsa efficacia. Non mi sento ancora particolarmente a rischio. Ultimamente Rafah mi è sembrata più tranquilla”.

Aggiungeva: Grazie anche per aver intensificato il tuo impegno contro la guerra. So che non è facile da sostenere, e probabilmente molto più difficile dove sei tu rispetto a qui, dove mi trovo.

Dopo la sua morte alcuni degli scritti di Corrie furono raccolti dalla famiglia e pubblicati con il titolo Let Me Stand Alone: The Journals of Rachel Corrie [Lasciatemi stare da sola: i diari di Rachel Corrie, ndt.]. (Questi scritti avrebbero anche costituito la base di un’opera teatrale, My Name is Rachel Corrie, scritta dalla giornalista del Guardian Katherine Viner e dall’attore Alan Rickman. Rickman ha diretto l’opera teatrale quando è stata rappresentata a Londra.) Un’e-mail contenuta nella raccolta custodisce una lunga lettera che aveva scritto a sua madre il 27 febbraio 2003: Voglio proprio scrivere a mia madre e dirle che sto assistendo a questo genocidio cronico e strisciante e sono davvero spaventata, e sto mettendo in discussione la mia fede di fondo sulla bontà della natura umana. Questo deve finire. Penso che sia una buona idea per tutti noi lasciare ogni cosa e dedicare le nostre vite a fermare tutto questo. Non penso più che nel fare ciò ci sia qualcosa di estremista”.

I Corrie dicono di aver incontrato molti genitori che affrontano altre tragedie, a volte simili.

“Penso che la cosa più urgente per le famiglie, per i sopravvissuti, sia non sperimentare quel dolore provato da un’altra famiglia”, dice il padre di Corrie.

Il peso della scelta è stato superato dal fatto che la loro figlia ha chiesto loro in modo così inequivocabile di dedicarsi alla sua causa, e dal fatto che essi sono finanziariamente in grado di farlo. Come strumento per questo lavoro hanno istituito la Rachel Corrie Foundation.

In tale lavoro c’è una qualche forma di salvezza”, aggiunge. Devi lavorare su qualcosa. È meglio che non avere alcun senso dopo una perdita così grande.

Rachel Corrie nacque nell’aprile del 1979 ad Olympia, la capitale dello Stato occidentale di Washington. Era la più giovane di tre figli e avrebbe goduto di quelli che i suoi genitori dicevano fossero i vantaggi di uno stile di vita della classe media.

Studiò alla scuola statale e per l’istruzione superiore frequentò l’Evergreen State College, un’istituzione progressista dove gli studenti possono progettare i propri corsi di laurea. Fu lì che divenne politicamente consapevole e si unì agli Olympians for Peace and Solidarity, un gruppo affiliato all’International Solidarity Movement (ISM), un’organizzazione guidata dai palestinesi che utilizza azioni non violente per affrontare le tattiche dell’esercito israeliano.

Nel suo ultimo anno Rachel voleva vedere Gaza in prima persona. Anche se non ricevette crediti per i suoi scritti da lì e mentre viaggiava nel tempo libero, i suoi genitori consideravano ciò un’ampliamento della sua educazione.

Prima di partire scriveva: Siamo tutti nati e un giorno moriremo tutti. Molto probabilmente in una certa misura da soli”.

Aggiungeva: E se la nostra solitudine non fosse una tragedia? E se la nostra solitudine fosse ciò che ci permette di dire la verità senza avere paura? E se la nostra solitudine fosse ciò che ci permette di avventurarci – di sperimentare il mondo come una presenza dinamica – come qualcosa di mutevole e interattivo?”

Corrie e gli altri volontari accettarono di agire come scudi umani, ponendosi sulla traiettoria dei bulldozer corazzati utilizzati dalle IDF per sgomberare i palestinesi. Ciò accadde sullo sfondo di quella che divenne nota come la Seconda Intifada, una rivolta protrattasi per diversi anni contro ciò che i palestinesi consideravano gravi abusi. Comportò attentati suicidi e attacchi con razzi da parte di palestinesi, uccisioni mirate e bombardamenti aerei da parte delle IDF. Gran parte del mondo distolse lo sguardo. Alla fine di marzo 2003, pochi giorni dopo la morte di Corrie, gli Stati Uniti e il Regno Unito invasero l’Iraq col pretesto della ricerca di armi di distruzione di massa.

Quando Corrie fu uccisa, il 16 marzo 2003, tante altre persone assistettero alla sua morte, tra cui molti altri attivisti per la pace, che in seguito avrebbero testimoniato ciò che avevano visto. Un attivista, l’americano Greg Schnabel, avrebbe detto ai media che Rachel indossava una giacca arancione fluorescente ed era “chiaramente” visibile all’autista del bulldozer e ai soldati nel carro armato.

Rachel cadde sulle sue ginocchia in seguito al movimento del terreno. Il bulldozer andò avanti. Rachel cominciò ad essere ricoperta dalla terra. Eppure [il bulldozer] non si fermò”, ha riferito.

Aggiunge che non appena il bulldozer si allontanò, lui e altri attivisti si precipitarono verso di lei nel tentativo di prestare soccorso.

Era ovviamente in condizioni terribili. Il suo labbro superiore era spaccato e sanguinava”, dice, aggiungendo che chiamarono un’ambulanza. Stava respirando ma stava perdendo conoscenza rapidamente. Entro un minuto non era più in grado di darci il suo nome o parlare. Abbiamo continuato a parlarle, incoraggiandola, respirando con lei e dicendole che l’amavamo”.

Circa venti minuti dopo Rachel Corrie era morta.

L’autopsia è stata condotta dal primario patologo Yehuda Hiss. Il referto non venne reso pubblico ma una copia passata ai genitori di Corrie concludeva che era morta a causa di “una pressione sul torace (asfissia meccanica) con fratture delle costole, delle vertebre dorsali e delle scapole e lacerazioni nel polmone destro con emorragia nelle cavità pleuriche”.

I genitori di Corrie e altri attivisti incolparono subito le IDF. Ma Israele respinse quelle accuse di colpevolezza, dicendo che quanto accaduto era stato un incidente e mettendo persino in discussione i resoconti dei testimoni.

Nell’aprile 2003 un rapporto dell’IDF affermava: Contrariamente alle accuse, la signorina Corrie non è stata investita da un bulldozer, ma ha riportato ferite causate dalla terra e dai detriti caduti su di lei durante l’operazione del bulldozer. Al momento dell’incidente la signorina Corrie si trovava dietro un cumulo di terra e quindi nascosta alla vista dell’equipaggio del bulldozer. Accusava persino Corrie e altri membri dell’International Solidarity Movement di comportamento “illegale, irresponsabile e pericoloso”.

Una parte essenziale e tenace della lotta dei Corrie è stata quella di cercare di garantire i responsabili alla giustizia. Non possono riportare indietro la loro figlia. Ma credono che qualcuno o qualcosa – forse diverse persone, Paesi o organizzazioni – dovrebbero assumersi la responsabilità della morte della figlia. Hanno intentato azioni legali per cercare di incolpare sia i produttori del bulldozer che l’esercito israeliano. Quegli sforzi sono falliti.

Nel 2005 i genitori di Corrie, insieme a quattro famiglie palestinesi i cui parenti erano rimasti uccisi o feriti, intentarono un’azione civile contro la Caterpillar Inc. con sede in Texas. I bulldozer Caterpillar erano stati pagati dai contribuenti statunitensi e forniti a Israele come parte dei 3,3 miliardi di dollari che Israele riceve ogni anno da Washington. Accusarono Caterpillar di una serie di reati, inclusi crimini di guerra e uccisioni extragiudiziali.

Sostenevano che poiché Caterpillar sapeva che l’attrezzatura sarebbe stata utilizzata illegalmente era complice dei crimini per cui era stata utilizzata. Il caso venne archiviato da una corte d’appello nel 2007 senza che se ne esaminasse il merito, poiché la corte affermò di non poterlo prendere in esame senza un’indagine sulla liceità dell’invio da parte del governo di tali apparecchiature in Israele.

“Un tribunale non può dare ragione ai querelanti senza mettere implicitamente in discussione, e persino condannare, la politica estera degli Stati Uniti nei confronti di Israele”, sostenne la corte. “A questo proposito, siamo consapevoli di quale potenziale fonte di imbarazzo internazionale potrebbe costituire un tribunale federale nel caso compromettesse le decisioni di politica estera nel delicato contesto del conflitto israelo-palestinese”.

Caterpillar non ha risposto alle domande di The Independent. Anche le IDF e il ministero degli Esteri israeliano non hanno risposto. Un portavoce dell’ambasciata israeliana a Washington DC ha detto che le domande di The Independent sarebbero state trasmesse ai funzionari in Israele.

I Corrie hanno fatto cinque viaggi a Gaza per vedere dove è stata uccisa la loro figlia e rimangono in contatto non solo con altri attivisti che conoscevano Rachel, ma anche con la famiglia la cui casa stavano cercando di salvare. Hanno visto dei veicoli Caterpillar utilizzati dalle IDF.

La madre di Corrie dice che ora si sente “un po’ risentita” ogni volta che vede macchinari Caterpillar su una strada americana, non importa quale.

“A causa dell’impiego a cui ho assistito dei veicoli di quell’azienda – pagati dal nostro governo – “, precisa. Ricordo sempre: lo strumento usato per fare questo era un veicolo Caterpillar. E… nel corso degli anni, noi e molti altri abbiamo affrontato la Caterpillar Incorporated… perché hanno continuato a effettuare quelle vendite e probabilmente lo fanno ancora”.

In Israele i genitori ebbero un po’ più di fortuna. Nel 2010 citarono in giudizio le IDF e il ministero della difesa israeliano chiedendo una sentenza e un risarcimento.

L’autista del bulldozer, che il giudice ordinò non fosse identificato pubblicamente e che testimoniò da dietro uno schermo, affermò di non essere stato in grado di vedere la figlia.

Nel 2012 il giudice Oded Gershon si pronunciò contro i genitori, assolvendo l’esercito israeliano e l’autista da qualsiasi illecito. Affermò che la responsabile fu la stessa Corrie poiché si era messa per scelta in un posto così pericoloso. “Non si è allontanata come avrebbe fatto qualsiasi persona ragionevole”, disse il giudice. “Ma ha scelto di mettersi in pericolo… e così ha trovato la sua morte.”

Tale sentenza venne successivamente confermata dalla Corte Suprema della Nazione.

“Siamo delusi e non sorpresi dal verdetto”, disse all’epoca il padre di Corrie alla CNN. In questo verdetto, come in quello dei tribunali di primo grado, è stato del tutto ignorato il diritto umanitario internazionale”.

Ripensando ora alla sentenza i Corrie affermano di non essere riusciti a trovare qualcuno che potesse essere ritenuto responsabile della morte della loro figlia, o di quella che sostengono sia la “violenta occupazione” dei palestinesi da parte di Israele. Dicono di non essere stati nemmeno in grado di influenzare la politica americana nei confronti di Israele, che, con poche eccezioni, gode del sostegno indiscusso dei massimi rappresentanti governativi di entrambe i partiti.

La gente dirà che stavamo cercando di ottenere giustizia. Non so nemmeno più cosa significhi quella parola”, dice il padre di Corrie. “Penso che dovremmo cercare in Sud Africa alcune strade attraverso cui potremmo riuscire a ottenere giustizia”.

Ma dice che avverte come l’incapacità di trovare le responsabilità abbia lasciato il segno: “Tutto questo deve essere riconosciuto, e tra tutta questa violenza ora quello a cui penso stiamo assistendo è l’uccisione della speranza, e la speranza è in assoluto la prima cosa di cui abbiamo bisogno per sopravvivere.

L’anniversario della morte di Corrie giunge mentre le relazioni tra Israele e le autorità palestinesi sono quanto mai tese.

Donald Trump ha dato la priorità al rafforzamento del potere di Israele rispetto alle richieste dei palestinesi. Questa mossa ha portato agli Accordi di Abramo, una serie di intese per normalizzare le relazioni tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Questi accordi storici sono stati ampiamente accolti. Ma i palestinesi si sentono trascurati e Mahmoud Abbas, presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, è stato ampiamente messo da parte.

La violenza è continuata senza sosta ed è salita a livelli che non si vedevano da anni. L’anno scorso, mentre Israele lanciava l’operazione Breakwater, un’imponente azione repressiva, ha avuto luogo una serie di attacchi da parte dei palestinesi.

A gennaio un giorno ha visto la più letale operazione dell’esercito israeliano nella Cisgiordania occupata dal 2005. Le truppe hanno ucciso nove palestinesi, tra cui uomini armati e una donna di 61 anni, durante un raid contro dei sospettati nel campo profughi di Jenin. Altre decine di persone sono rimaste ferite.

La continua violenza ha provocato il più alto numero di vittime in Cisgiordania dal 2004. Secondo il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem l’anno scorso quasi 150 palestinesi sono stati uccisi dalle truppe israeliane. Questa cifra include la giornalista palestinese americana Shireen Abu Akleh, anche lei uccisa nel campo profughi di Jenin.

Gli osservatori affermano che la situazione è peggiorata dopo la rielezione lo scorso novembre di Benjamin Netanyahu come primo ministro israeliano a capo di un governo di coalizione di destra.

Tra i politici ora al governo che una volta erano considerati persino al di là della frangia estrema della politica israeliana c’è Itamar Ben-Gvir. Ben-Gvir ha chiesto l’espulsione dei palestinesi “sleali” nei confronti di Israele ed è un ex membro del partito fuorilegge Kach, considerato nella Nazione un’organizzazione “terrorista”. Netanyahu lo ha nominato ministro della sicurezza nazionale. La sua visita personale al sito religioso più sensibile di Gerusalemme, il complesso della moschea di Al-Aqsa, ha suscitato proteste e ha preceduto le recenti repressioni nel Paese.

***

I Corrie non hanno mai rivelato dove hanno collocato i resti della figlia. Ma c’è un suo memoriale all’interno dell’Evergreen State College, incentrato su un’opera creata da Matteson, artista internazionale e laureato all’Evergreen Ross. Si intitola Reflecting on Peace and Justice” ed è una rappresentazione in bronzo e acciaio lucido di una colomba sulla punta di una piramide.

All’inaugurazione del memoriale la madre di Corrie ha detto ai presenti che aveva rimandato il momento della visita fino al momento dell’apertura al pubblico.

Ho voluto condividere il mio primo incontro con il memoriale in questo luogo molto speciale con tutti voi, che siete venuti per inaugurare questo ricordo di Rachel e della sua dedizione al vincolo della pace con la giustizia e la compassione”, ha detto. E anche per esaltare l’appello alla consapevolezza e all’azione che il memoriale e la storia di Rachel ci inviano”.

I Corrie organizzano sempre qualche evento per celebrare l’anniversario della morte della figlia e cercano di includervi vari elementi: sia costruire una comunità che educare le persone. Sanno che il 20° anniversario sarà sentito con maggiore intensità.

Penso che per ciascuno dei membri della nostra famiglia sia diverso. Quella che facciamo è una riflessione molto personale”, dice la madre di Corrie. Gli eventi organizzati dalla fondazione forniscono un focus, aggiunge.

Il padre di Corrie dice che nel corso degli anni hanno conosciuto “purtroppo troppe famiglie” colpite dal conflitto israelo-palestinese. Hanno amici tra i palestinesi che hanno perso i propri cari e amici tra gli israeliani che hanno subito un lutto simile.

Afferma che ogni famiglia che conosce vuole impedire ulteriori morti: Ovviamente, se guardiamo all’ultimo mese, abbiamo tutti miseramente fallito in questo sforzo, è vero. Ma si deve provare. Si deve fare tutto il possibile e abbiamo sicuramente incontrato sulla nostra strada brave persone che cercano di farlo. E penso che questo sia ciò che ci unisce.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Durante i fatti di Hawara l’Autorità Nazionale Palestinese non si è vista da nessuna parte

Amira Hass

2 marzo 2023 –Haaretz

Sebbene le ben addestrate forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese non abbiano trovato un modo per proteggere i loro compatrioti dagli attacchi dei coloni, sono sempre lì quando si tratta di reprimere i loro concittadini.

Le cinque ore durante le quali centinaia di ebrei si sono scatenati senza ostacoli attraverso Hawara, attaccando persone e proprietà e appiccando incendi, sono il risultato di decenni di incoraggiamento alla violenza dei coloni e delle calcolate disattenzione e clemenza da parte dell’esercito israeliano, della polizia, dei pubblici ministeri, dei tribunali e dei successivi governi. Ma quelle cinque ore hanno anche dimostrato ancora una volta quanto l’Autorità Nazionale Palestinese sia compiacente con la divisione artificiale della Cisgiordania nelle aree A, B e C, stabilita dagli Accordi di Oslo – una divisione che doveva essere temporanea e scadere entro il 1999.

Questa è una ragione in più per cui l’opinione pubblica palestinese disprezza e detesta la leadership dell’Autorità palestinese. Sebbene le sue forze di sicurezza, addestrate nei paesi arabi e occidentali, non abbiano trovato un modo per proteggere dagli attacchi dei coloni i loro compatrioti, sono sempre presenti quando si tratta di reprimerli.

L’ “Iniziativa da 14 milioni”, che sta tentando di rivitalizzare l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e di indire le elezioni per un consiglio nazionale e un’assemblea legislativa di tutti i palestinesi, aveva programmato un mercoledì una conferenza stampa in diretta dallo studio televisivo Watan. Considerando la parola “elezione” come una minaccia nucleare, le forze di sicurezza dell’ANP hanno assediato l’edificio che ospita lo studio e hanno fatto irruzione negli uffici per impedire la conferenza stampa. Non era la prima volta che accadeva: le forze di sicurezza hanno interrotto un altro degli incontri dell’iniziativa a novembre.

La scorsa settimana le forze di sicurezza palestinesi hanno istituito posti di blocco alle uscite di diverse città della Cisgiordania per impedire agli insegnanti delle scuole statali, in sciopero dal 5 febbraio, di partecipare a una manifestazione unitaria a Ramallah. L’ANP e il sindacato degli insegnanti della scuola pubblica avevano firmato accordi per un modesto aumento salariale del 15% e l’organizzazione di elezioni sindacali libere e democratiche nel maggio 2022. Ciò ha fatto seguito a un’iniziativa guidata da diverse associazioni educative senza scopo di lucro, gruppi di genitori e dalla Commissione indipendente per i diritti umani (un organo quasi governativo). Come era da prevedere non si è mai tenuta un’elezione. All’inizio di febbraio gli insegnanti hanno appreso che, nonostante l’accordo, gli stipendi di gennaio non includevano l’aumento concordato; sono rimasti addirittura all’80% dei normali livelli salariali, come prima. Ciò ha portato allo sciopero, giunto alla sua quarta settimana, a cui hanno aderito 50.000 insegnanti e che ha tenuto a casa un milione di studenti. I leader dello sciopero mantengono un profilo basso per paura di essere arrestati, come è successo con le precedenti proteste degli insegnanti.

Anche se i figli sono a casa, le associazioni dei genitori sostengono le richieste degli insegnanti. La crisi finanziaria è reale: Israele continua a trattenere ogni anno centinaia di milioni di shekel [1 shekel = 0,26 €] dell’ANP, equivalenti alle indennità che l’ANP paga alle famiglie dei prigionieri detenuti da Israele, ma l’opinione pubblica non crede che non ci siano soldi per stipendi decenti agli insegnanti.

Quindi il messaggio dell’ANP è chiaro: continua a rispettare i suoi accordi con Israele (compreso il coordinamento per la sicurezza), ma non quello con gli insegnanti, uno dei settori più importanti per garantire il benessere comune.

Hawara (e la strada congestionata che la attraversa) è stata classificata più di 25 anni fa come area B [cioè sotto controllo amministrativo palestinese ma israeliano per la sicurezza, ndt.], nella quale ai poliziotti palestinesi è vietato operare e sostarvi armati o in divisa. L’esercito pesantemente armato e la polizia di frontiera, tuttavia, sono una presenza costante vicino a garage e minimarket, stazioni di servizio e bancarelle di falafel. Tutti sanno chi sono stati mandati a proteggere. Le colonie della zona sono note per la loro violenza: Yitzhar e i suoi avamposti, che spuntano febbrilmente come funghi dopo la pioggia; Itamar e i suoi avamposti in espansione; l’avamposto di Givat Ronen, vicino alla colonia di Har Bracha.

I villaggi palestinesi di Burin, Madama, Einabus, Urif, Aqraba, Beita, Yanun e altri vivono da diversi decenni sotto la minaccia del terrore rappresentato da questi intrusi. Alberi abbattuti, raccolti di olive rubati, incendi dolosi, colpi di arma da fuoco contro i contadini, palestinesi aggrediti nelle loro case, sorgenti del villaggio sfruttate [a favore dei coloni, ndt.]: questi non sono atti di “vendetta” compiuti dopo un attacco agli ebrei. Costituiscono un piano calcolato per impossessarsi di più terra palestinese attraverso la violenza e l’intimidazione. Tutto, sia allora che adesso, è stato ed è fatto sotto gli auspici del monopolio esercitato dall’IDF [esercito israeliano, ndt.] sulla sicurezza.

Ovviamente nessuna agenzia di sicurezza palestinese ha tentato di sfidare questa situazione al fine di proteggere gli abitanti dai loro assalitori recidivi. Invece di ringraziare l’Autorità Nazionale Palestinese per la sua obbedienza e lealtà, il governo Netanyahu-Smotrich-Ben-Gvir la incolpa per ogni morto israeliano in un’area sotto il pieno controllo israeliano, vale a dire l’intera Cisgiordania e Israele vero e proprio. Allo stesso tempo, Israele chiede all’ANP di controllare i giovani palestinesi disperati e senza addestramento militare che si sono armati in Cisgiordania. Non c’è da meravigliarsi che il pubblico palestinese ami e ammiri quei giovani uomini armati, anche se non sono capaci, addestrati o preparati a proteggerlo fisicamente dagli attacchi dei coloni o a sventare il furto delle loro terre.

La notte in cui gli ebrei imperversavano ad Hawara, molti dei suoi abitanti che si trovavano fuori città non potevano tornare a casa. Attraverso i social media gli abitanti di Nablus hanno offerto loro ospitalità. A questo si è aggiunto l’apparato di sicurezza nazionale palestinese, che ha aperto loro il suo quartier generale. Le reazioni sono state taglienti, ha detto ad Haaretz un abitante di Nablus. “Cosa siete, un ente di beneficenza?” hanno chiesto con sarcasmo le persone infuriate.

L’esperienza ci insegna che i soldati dell’IDF e i poliziotti di frontiera avrebbero sparato e persino ucciso qualsiasi palestinese avesse cercato di opporsi agli aggressori e difendere la propria famiglia, i vicini o la proprietà con una pistola, un bastone o un coltello. Oppure potrebbe essere stato arrestato e condannato in un tribunale militare prima di essere condannato a molti anni di prigione per possesso di un’arma illegale, aver sparato e messo in pericolo vite ebraiche.

Anche se i poliziotti dell’Autorità Nazionale Palestinese fossero potuti arrivare rapidamente ad Hawara per proteggere i loro connazionali dagli assalitori ebrei, l’esercito li avrebbe bloccati o addirittura uccisi o imprigionati e i giudici militari li avrebbero condannati a lunghe pene detentive senza ascoltare le spiegazioni dei loro avvocati. Qualsiasi tentativo locale di organizzare una difesa usando le armi sarebbe finito in uno spargimento di sangue, soprattutto da parte palestinese, e con un’escalation incontrollabile. È comprensibile, quindi, perché un tale intervento sia ancora oggi improbabile.

Ma al di là delle dichiarazioni, delle condanne e delle richieste che le Nazioni Unite forniscano protezione internazionale, per anni alti funzionari palestinesi si sono astenuti, come risposta alla violenza dei coloni, dall’alzare la testa, revocare un accordo, o stabilire condizioni chiare e ben definite per continuare il coordinamento della sicurezza con Israele.

Invece di inviare le sue forze di sicurezza ad impedire conferenze stampa e manifestazioni che invocano la democratizzazione, e di spiare la propria gente, l’Autorità Nazionale Palestinese avrebbe potuto dislocare permanentemente queste forze – disarmate e in borghese, ma addestrate al controllo antisommossa – nei villaggi frequentemente attaccati dai coloni. Avrebbe potuto informare Israele che lo stava facendo perché l’esercito e la polizia israeliani non stanno adempiendo ai loro doveri come dettato dal diritto internazionale e persino dagli Accordi di Oslo. Avrebbe potuto inviare i suoi comandanti di grado più alto in tournée regolari in questi villaggi, per partecipare all’aratura e alla raccolta delle olive, pascolare le pecore con gli abitanti del villaggio, mentre spiegava agli ufficiali israeliani di non essere disponibile per riunioni di coordinamento con l’IDF, lo Shin Bet e l’Amministrazione Civile, poiché era impegnata a proteggere la sua gente.

La conclusione ovvia è che le agenzie di sicurezza palestinesi e il loro comandante supremo Mahmoud Abbas considerano sacro non solo il coordinamento per la sicurezza con Israele, ma anche i confini dei Bantustan creati dalle divisioni temporanee e permanenti nelle aree A, B e C. Ecco come possono essere garantiti i ristretti interessi personali ed economici del gruppo dirigente, così slegato dal suo popolo.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Dopo aver aiutato le vittime del terremoto, un palestinese è stato ucciso dalla furia israeliana

Fayha Shalash

27 febbraio 2023 – Middle East Eye

Sameh al-Aqtash era appena tornato dal volontariato in Turchia quando i coloni hanno attaccato il suo villaggio in Cisgiordania

Quattro giorni fa Sameh al-Aqtash è tornato dalla Turchia, dove aveva sostenuto le vittime del terremoto come volontario. Domenica sera il 37enne palestinese è stato ucciso da coloni israeliani che si sono scatenati nel suo villaggio, Zatara, nella Cisgiordania occupata.

Zatara si trova a sud di Nablus, vicino a un famigerato checkpoint militare israeliano dove, secondo gli abitanti, i soldati vessano quotidianamente i palestinesi. A Zatara vivono solo 100 persone e sono tutti membri della stessa famiglia. La maggior parte di loro sono donne e bambini.

Gli attacchi dei coloni israeliani sono iniziati dopo che domenica pomeriggio un presunto palestinese armato ha ucciso due coloni vicino alla città di Huwwara. In risposta, centinaia di israeliani hanno attaccato città e villaggi palestinesi, ferendo quasi 300 persone e bruciando le case.

Nonostante Zatara si trovi a circa sei chilometri da Huwara, dove i coloni sono stati uccisi e la violenza della folla ha raggiunto il massimo, un gruppo di israeliani ha attaccato il villaggio e ha iniziato a tentare di rimuoverne il principale cancello di ingresso.

Abdel Moneim, il fratello di Aqtash, era con lui mentre si precipitavano a fermare il vandalismo dei coloni.

“Ci siamo affrettati tutti, incluso Sameh, e abbiamo fermato i coloni al cancello e impedito loro di entrare”, ha detto a Middle East Eye.

Ma dopo poco tempo i coloni hanno attaccato di nuovo, questa volta con la protezione dei soldati israeliani. I colpi di arma da fuoco hanno iniziato a prenderci di mira e poi Sameh è caduto a terra”.

Coloni e soldati stazionano insieme dopo la furia devastatrice. (Reuters)

Con i soldati israeliani e i coloni che bloccavano le strade, nessuna ambulanza ha potuto accedere a Zatara, così i fratelli di Aqtash hanno dovuto usare un veicolo privato e trasportarlo su una strada sterrata fino al vicino paese di Beita.

Mentre correvano lungo la strada accidentata, il sangue è uscito da un foro di proiettile nell’addome di Aqtash, che ha iniziato a perdere conoscenza.

Al centro medico di Beita i fratelli di Aqtash sono scoppiati in lacrime quando il medico ha detto loro che egli era morto per le ferite. Lascia tre figli, il più piccolo è una bambina di quattro mesi.

Abdel Moneim afferma: “Non c’erano scontri quando i coloni ci hanno attaccato. Sameh era una persona gentile che amava aiutare la gente: due giorni prima di essere ucciso aveva parlato con i capi dei consigli locali della nostra regione per raccogliere donazioni per le vittime del terremoto in Turchia e Siria”.

Città in fiamme

Le cicatrici degli attacchi senza precedenti dei coloni alle città e ai villaggi a sud di Nablus saranno difficili da cancellare. Case, negozi e automobili sono stati distrutti e incendiati. I coloni hanno massacrato il bestiame dei palestinesi.

Elias Dmaidi, un bambino di otto anni residente a Huwwara, ha detto che pensava che sarebbe stata l’ultima della sua vita.

“Non ho mai visto un attacco così grave: centinaia di coloni urlavano, insultavano, distruggevano tutto ciò che incontravano e davano fuoco alle case mentre le famiglie erano dentro”, ha detto Dmaidi ai giornalisti.

Huwwara, una città divisa da una strada principale frequentata da coloni e soldati israeliani, ha avuto una storia di conflitti crescenti.

La maggior parte delle sue terre sono state confiscate da Israele per costruire colonie ebraiche illegali, con varie strade ad uso esclusivo degli israeliani costruite per servirli e garantire la loro sicurezza.

Mentre il caos inghiottiva la città, l’esercito israeliano ha chiuso tutti i checkpoint intorno a Nablus, bloccando i palestinesi all’interno e all’esterno dell’area. Nonostante gli attacchi dei coloni, gli abitanti hanno aperto le loro case a tutti coloro che non potevano andarsene.

Al sorgere del mattino il sole ha rivelato l’entità dei danni. Nere strisce carbonizzate macchiavano case, negozi e alberi. Anche la scuola era stata attaccata. Temendo per la propria vita gli studenti lunedì sono rimasti a casa.

Palestinesi ispezionano i danni causati dalla furia dei coloni (AP)

Durante i disordini al personale medico e ai vigili del fuoco è stato impedito di raggiungere le aree colpite, con il risultato che centinaia di palestinesi feriti sono stati curati molto tempo dopo essere stati aggrediti.

Ahmed Jibril, direttore delle ambulanze e del dipartimento di emergenza della Mezzaluna Rossa palestinese, ha affermato che i medici sono stati oggetto di numerosi abusi durante l’attacco a Huwwara.

Ha proseguito: “I paramedici sono stati attaccati ed è stato impedito loro di entrare in città, anche le ambulanze sono state colpite. L’ aggressione non è stata opera solo dei soldati, ma anche dei coloni, che hanno aggredito il personale medico mentre cercava di trasportare un ferito”.

Bersagliati dentro casa

Anche Brin, una cittadina vicina che si trova accanto a blocchi di colonie, è stata oggetto di furiosi attacchi.

Ayman Soufan era a casa con moglie e figli quando i coloni li hanno attaccati e hanno dato fuoco alla loro casa.

Ha raccontato a Middle East Eye: “Più di 100 coloni ci hanno attaccati e si sono divisi in due gruppi, uno ha sfondato finestre e porte e l’altro ha rubato le nostre cose e le pecore dalla parte anteriore della casa”.

Poi le hanno dato fuoco. La famiglia di mio fratello e io siamo fuggiti dall’altra parte per proteggerci. Mio figlio è stato colpito alla spalla da una pietra lanciata dai coloni.”

Quasi ogni mese vengono attaccati da coloni. protetti dai soldati israeliani, che vogliono prendere la loro casa e rubare la loro terra per espandere gli insediamenti vicini.

Soufan prosegue: “I coloni hanno cercato di bruciarci vivi all’interno della nostra casa, se non fossimo riusciti a scappare ora saremmo morti. Nonostante l’enorme incendio, i vigili del fuoco non sono riusciti a raggiungerci perché i soldati li hanno ostacolati e il fuoco è rimasto acceso finché non si è spento da solo. Dal 2000 viviamo la stessa spirale di aggressione”.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele colpisce a morte un diciassettenne palestinese durante un’incursione

Redazione di MEMO

14 febbraio 2023 – Middle East Monitor

Le forze di occupazione israeliane hanno colpito a morte un ragazzo palestinese diciassettenne durante un’incursione nel campo profughi di Al-Faraa, nella citta di Tubas della Cisgiordania occupata.

Secondo l’agenzia di notizie Wafa, Mahmoud Majed Al-Aydi è stato colpito alla testa ed è stato portato in condizioni critiche in ospedale, dove è morto per le ferite ricevute.

Un numero elevato di forze israeliane di occupazione all’alba ha fatto una incursione nel campo profughi di Al-Faraa ed ha attaccato molti abitanti con proiettili e lacrimogeni, scatenando le proteste degli abitanti.

L’occupazione israeliana ha affermato che i soldati hanno sparato al ragazzo che si stava avvicinando a loro con un ordigno esplosivo mentre stavano facendo un arresto. Tuttavia non ci sono prove di quanto affermano.

Almeno cinque palestinesi sono stati feriti dopo essere stati colpiti da proiettili veri durante l’incursione e una persona è stata arrestata.

Mahmoud è il quarantottesimo palestinese ucciso dallo Stato di Israele dall’inizio dell’anno. La sua morte avviene due giorni dopo che il quattordicenne Qusai Radwan Waked è stato colpito a morte da un cecchino israeliano mentre giocava sul tetto della sua casa a Jenin.

Nei mesi scorsi c’è stato un incremento del numero delle incursioni israeliane in tutta la Cisgiordania occupata, insieme alle azioni violente dei coloni illegali che a volte hanno attaccato anche le forze israeliane.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)