Palestinese ucciso dopo essere stato pugnalato al cuore da un colono israeliano

Shatha Hammad

21 giugno 2022 – Middle East Eye

Ali Hassan Harb, 27 anni, è stato accoltellato al cuore vicino al villaggio palestinese di Iskaka, afferma il Ministero della Salute

Il Ministero della Salute palestinese riferisce che un palestinese è stato ucciso martedì dopo essere stato pugnalato al cuore da un colono israeliano.

Ali Hassan Harb, 27 anni, è stato dichiarato morto quando è arrivato all’ospedale Martyr Yasser Arafat di Salfit, nella Cisgiordania occupata, ha detto il Ministero della Salute.

Lo zio della vittima, Naim Harb, presente sulla scena dell’incidente quando è avvenuto, dichiara a Middle East Eye che la famiglia ha ricevuto una telefonata secondo cui un gruppo di coloni stava attaccando la terra della famiglia, che è adiacente all’insediamento israeliano di Ariel e che stavano distruggendo un capanno di legno che la famiglia vi aveva costruito.

Harb ha aggiunto che la famiglia e un certo numero di abitanti del villaggio – circa 10, tra cui Ali – si sono precipitati su quel terreno per difenderlo.

I coloni se ne sono andati quando li hanno visti avvicinarsi, ma sono tornati pochi istanti dopo accompagnati da membri della sicurezza dell’insediamento, che hanno iniziato a sparare in aria. Con loro è arrivato anche un soldato israeliano.

“Lo scontro all’inizio era leggero. Abbiamo cercato di mantenere le distanze e di non avvicinarci troppo a loro. Abbiamo cercato di controllarci”.

I coloni hanno quindi ripreso i loro attacchi, aggredendo gli uomini palestinesi prima che improvvisamente uno dei coloni si avvicinasse ad Ali e lo pugnalasse direttamente al cuore.

Naim conferma che l’esercito israeliano ha trattenuto Ali per circa mezz’ora e ha impedito alla famiglia di trasportarlo in ospedale, provocandone la morte.

Aggiunge a MEE: “Tutto ciò è successo sotto la protezione dell’esercito israeliano e degli agenti della sicurezza dell’insediamento, che hanno assistito all’assalto dei coloni e non li hanno fermati”, ha detto a MEE.

“I coloni e l’esercito sono una macchina per uccidere diretta contro noi palestinesi”.

Gli uliveti della famiglia Harb, parte dei quali sono stati confiscati, sono adiacenti al recinto dell’insediamento di Ariel. Naim ha sottolineato che la famiglia ha lavorato su quella terra per anni e ancora la gestisce come principale fonte di reddito.

Aggiunge che Ali era un tecnico elettrico che aveva terminato i suoi studi alla Al-Quds University tre anni fa. Aveva un lavoro come tecnico ma lavorava ancora nella terra di famiglia quando aveva tempo.

“Questa è una terra che abbiamo ereditato di nonno in padre. La lavoriamo e la custodiamo costantemente e la difendiamo e la nostra presenza su di essa oggi è il segno dell’appartenenza a questa terra”.

Riafferma che le azioni dei coloni hanno costituito una pericolosa escalation contro i palestinesi di Iskaka: “Quello che speriamo oggi è di unirci come palestinesi contro l’occupazione israeliana e di schierarci con la resistenza e di affrontare i coloni che hanno versato il nostro sangue e rubato le vite dei nostri giovani”.

“Teppisti assetati di sangue.

Hanan Ashrawi, ex membro del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ha condannato l’omicidio, affermando su Twitter che mentre Harb è stato accoltellato, le guardie armate dell’insediamento israeliano di Ariel hanno sparato ai palestinesi che cercavano di raggiungerlo

Ashrawi ha definito i coloni che hanno accoltellato Harb “teppisti assetati di sangue”.

La violenza dei coloni in Cisgiordania ha visto un aumento “allarmante” dal 2021, secondo gli esperti delle Nazioni Unite.

Nel 2021 sono stati registrati circa 370 attacchi di coloni che hanno causato danni alla proprietà e altri 126 attacchi hanno causato vittime.

Finora quest’anno sono state documentate più di 541 ferite ai palestinesi causate dai coloni. La violenza perpetrata dai coloni include l’uso di munizioni vere, aggressioni fisiche, attacchi incendiari e lo sradicamento degli ulivi.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




La morte della giornalista palestinese mette in evidenza l’inconsistenza delle indagini dell’esercito israeliano

Bethan McKernan

14-giugno-2022 –The Guardian

L’uccisione con armi da fuoco di Shireen Abu Aqleh a maggio solleva nuove preoccupazioni per le inchieste militari sulla morte dei palestinesi.

Nell’agosto 2020 la 23enne Dalia Samoudi è stata uccisa quando un proiettile è entrato dalla finestra della sua casa a Jenin, nella Cisgiordania occupata, durante un raid delle forze di difesa israeliane (IDF) in una casa vicina.

Al Jazeera riferì dell’incidente: i testimoni affermarono che era stata uccisa da un soldato dell’IDF che sparava in direzione di palestinesi che lanciavano pietre. Due anni dopo la rete televisiva avrebbe riferito della morte della sua corrispondente di lunga data, Shireen Abu Aqleh, quasi nello stesso luogo.

Ancora una volta i testimoni hanno affermato che il fuoco mortale proveniva dai soldati israeliani, sebbene questa volta fossero presenti solo giornalisti e personale dell’IDF. Abu Aqleh, 51 anni, che indossava un giubbotto protettivo e un elmetto con la scritta “stampa”, è stata colpita da un colpo di arma da fuoco sotto l’orecchio.

Le cifre [dei militari israeliani messi sotto inchiesta, ndt] mostrano che i meccanismi investigativi dell’esercito non sono adatti allo scopo, ha affermato Dan Owen, un ricercatore di Yesh Din [Volontari per i diritti umani è un’organizzazione israeliana che lavora in Israele e in Cisgiordania, ndtr.].

Ha aggiunto: “Per definizione l’esercito non può fare un lavoro adeguato perché sta indagando su se stesso. Le condanne sono di solito per cose come l’uso illegale della forza o il maneggio errato di un’arma, piuttosto che per omicidio o omicidio colposo, e i soldati possono scontare la loro pena facendo lavori umili per alcuni mesi nelle basi militari”.

“Ogni anno vediamo che l’esercito presenta dati leggermente migliori e c’è una possibilità leggermente più alta che la denuncia di un palestinese porti a un atto d’accusa che verrà elaborato più rapidamente. Ma lo scopo generale di questo sistema non è la giustizia: è respingere le critiche interne e internazionali».

L’IDF afferma che in Cisgiordania le prime indagini operative vengono iniziate in tutti i casi in cui un palestinese viene ucciso, a meno che la morte non sia avvenuta in combattimento. Sulla base di questi risultati, e in conformità con la legge israeliana, l’avvocato militare decide se un’indagine penale è giustificata.

“La morte di un palestinese in [Cisgiordania] in genere susciterà la presunzione di sospetto di attività criminale, il che attiverebbe un’indagine penale immediata… Se non ci sono indagini penali immediate, attendiamo i risultati dell’esame operativo e raccogliamo ulteriori materiali e in seguito rivalutiamo se esiste un ragionevole sospetto di un crimine”, ha affermato un alto funzionario del sistema giuridico israeliano.

Nel caso della cittadina palestinese americana Abu Aqleh l’esercito israeliano ha affermato che poiché la giornalista è stata uccisa in una “situazione di combattimento attivo” non sarebbe stata avviata un’indagine penale immediata, anche se si sarebbe proceduto con un’indagine operativa. Israele ha anche criticato la decisione dell’Autorità Nazionale Palestinese di non collaborare a un’indagine congiunta o di non consegnare prove, come il proiettile che l’ha uccisa.

L’amministrazione Biden e il consiglio di sicurezza dell’Onu hanno chiesto un’indagine trasparente. Alla fine di maggio la morte di Abu Aqleh si è aggiunta a una denuncia legale presentata alla Corte penale internazionale che sostiene che le forze di sicurezza israeliane prendono di mira sistematicamente i giornalisti palestinesi in violazione del diritto umanitario internazionale.

Secondo il Centro palestinese per lo sviluppo e le libertà dei media dal 2000 30 giornalisti sono stati uccisi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza dal fuoco israeliano, ma non sono mai state presentate accuse contro i soldati.

“Non capita spesso di avere un caso di alto profilo come Shireen”, dice Owen. “A meno che un omicidio non sia stato ripreso dalla telecamera senza alcun dubbio su chi l’ha commesso è altamente improbabile che venga indagato… Detto questo, i nostri dati mostrano più e più volte che anche quando l’esercito indaga, ciò non conduce alla giustizia”.

Nonostante conosca le basse probabilità di successo, il marito di Samoudi, Bassam, si rifiuta di rinunciare alle indagini dell’IDF sulla sua morte. Sta ancora sperando in risposte su come e perché sua moglie è morta.

Le prove sono così forti. Ovviamente sono preoccupato per il basso tasso di condanne, ma in questo caso può esserci solo un risultato”, ha detto. “Questa è l’unica opzione che ho, quindi devo usarla.”

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Effetti di un attacco israeliano a Gaza simili a quelli di armi chimiche, rileva il rapporto di una ONG

Bethan McKernan, Gerusalemme e Hazem Balousha, Gaza City

Lunedì 30 maggio 2022 – The Guardian

I proiettili sparati contro un magazzino agrochimico hanno creato una nube tossica che ha causato problemi di salute agli abitanti

Secondo un rapporto che analizza il bombardamento e i suoi effetti, un attacco aereo israeliano contro un magazzino agrochimico durante la guerra dell’anno scorso a Gaza ha rappresentato un equivalente dell’ “impiego indiretto di armi chimiche”.

Il 15 maggio dello scorso anno i proiettili incendiari sparati dalle Forze di difesa israeliane (IDF)  hanno colpito il grande magazzino di prodotti farmaceutici e agricoli di Khudair nel nord della Striscia di Gaza dando fuoco a centinaia di tonnellate di pesticidi, fertilizzanti, plastica e nylon. L’impatto ha creato una nube tossica che ha investito un’area di 5,7 kmq e ha lasciato i residenti locali alle prese con problemi di salute, tra cui due segnalazioni di aborti spontanei, e indicazioni di danni ambientali.

L’indagine approfondita, che ha comportato l’analisi di filmati di telefoni cellulari, droni e telecamere a circuito chiuso, dozzine di interviste con i residenti e l’analisi di esperti di munizioni e dinamica dei fluidi, ha utilizzato un modello in 3D del magazzino per determinare le circostanze dell’attacco.

È la prima pubblicazione da parte dell’unità investigativa di architettura forense della ONG palestinese per i diritti umani Al-Haq, una collaborazione unica nel suo genere in Medio Oriente con Forensic Architecture, un’agenzia di ricerca con sede presso la Goldsmiths University of London, che svolge analisi territoriali e dei media per le ONG e nei casi internazionali riguardanti i diritti umani.

Esperti legali hanno concluso in base alle risultanze di Al-Haq che, sebbene nell’attacco siano state usate armi convenzionali, il bombardamento del magazzino, con la consapevolezza della presenza all’interno di sostanze chimiche tossiche, equivale all’uso indiretto di armi chimiche. Tali atti sono chiaramente vietati… e perseguibili sulla base dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale”.

Chris Cobb-Smith, un esperto di munizioni, avrebbe affermato: Non c’è alcuna giustificazione militare per l’uso in quel luogo di [proiettili fumogeni avanzati]. Il loro impiego in un contesto urbano è intrinsecamente scorretto e inappropriato.

Duecentocinquantasei persone a Gaza e 14 in Israele sono morte nella guerra di 11 giorni del maggio dello scorso anno tra Israele e Hamas, il gruppo militante palestinese che controlla la striscia assediata. Al-Haq ha affermato che l’attacco al magazzino di Khudair è stato il primo di una serie di attacchi mirati deliberatamente alle infrastrutture economiche e industriali di Gaza, con il bombardamento sistematico di una mezza dozzina di altre fabbriche e magazzini.

Nel 2019 la Corte Penale Internazionale (CPI) ha aperto un’indagine su presumibili crimini di guerra da parte delle forze israeliane e dei militanti palestinesi in territorio palestinese. Israele contesta la giurisdizione della CPI.

Le IDF hanno dichiarato che l’anno scorso in risposta alla serie di attacchi di Hamas Israele ha “effettuato una serie di bombardamenti contro obiettivi militari legittimi nella Striscia di Gaza” durante quella che in Israele è nota come Operazione guardiano delle mura.

Le IDF prendono tutte le precauzioni possibili per evitare di danneggiare i civili durante l’attività operativa”, ha detto un portavoce, aggiungendo che “l’evento in questione” è stato oggetto di indagine da parte di un’inchiesta interna delle IDF “per esaminare se ci fossero deviazioni dalle regole vincolanti e operare necessarie modifiche sulla base delle lezioni apprese”.

Israa Khudair, 20 anni, che vive con il marito e due figli a 40 metri dal sito del magazzino agrochimico, ha subito un aborto spontaneo al quinto mese di gravidanza, otto settimane dopo l’attacco.

“Per mesi l’odore è stato insopportabile, come quello del motore di un’auto misto con olio bruciato, liquame e gas da cucina, quindi ovviamente sapevamo che poteva essere dannoso”, ha detto suo marito, Ihab, 26 anni.

Da allora ho avuto eruzioni cutanee come la maggior parte delle persone qui. Abbiamo lavato la casa cinque volte, insieme ai mobili, ma l’odore è rimasto. Era come un olio sui muri… alla fine in inverno la pioggia ne ha spazzato via gran parte dalle macerie del magazzino.

Ora siamo preoccupati per la nostra salute. Di recente uno dei miei cugini, che ha solo 19 anni, e anche mia zia, si sono ammalati di cancro e pensiamo che sia correlato a quello che è successo qui”.

I combattimenti dell’anno scorso hanno costituito il ​​terzo conflitto su vasta scala tra lo Stato israeliano e Hamas da quando il gruppo ha preso il controllo di Gaza nel 2007, dopo di che Israele ed Egitto hanno imposto un blocco punitivo. Da allora le infrastrutture idriche, fognarie ed elettriche della striscia sono quasi collassate, lasciando i 2 milioni di abitanti di Gaza impegnati ad affrontare crescenti livelli di inquinamento dell’aria,  del suolo e dell’acqua.

Anche Al-Haq, che opera a Gaza e in Cisgiordania, è stata attaccata dalle autorità israeliane: l’anno scorso la ONG è stata una delle sei principali organizzazioni della società civile e dei diritti umani che operano nei territori palestinesi occupati ad essere designate come organizzazioni terroristiche. La decisione è stata ampiamente condannata dalle Nazioni Unite, dai governi occidentali e da importanti organizzazioni internazionali come Amnesty International.

Rula Shadeed, la responsabile del dipartimento di monitoraggio e documentazione di Al-Haq, ha dichiarato: Senza la nostra documentazione professionale basata su standard giuridici [i palestinesi] non possono chiedere accertamenti di responsabilità e giustizia. L’introduzione di nuove metodologie per migliorare e completare la documentazione standard e la presentazione del nostro lavoro è molto importante.

“Siamo molto orgogliosi del fatto che, nonostante gli attacchi illegali e i tempi difficili che la società civile palestinese sta affrontando, riusciamo ancora a continuare e ad avanzare nel nostro lavoro, grazie alla nostra ferma convinzione nell’importanza di denunciare le violazioni contro il nostro popolo e di chiamare a rispondere i colpevoli”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Giovane donna palestinese muore in seguito alle ferite subite vicino a Jenin

International Middle East Media Center

19 aprile, 2022 – IMEMC (International Middle East Media Center) News

Fonti mediche palestinesi hanno riferito che lunedì sera una giovane donna palestinese è morta a causa delle gravi ferite infertele dai soldati palestinesi che il 9 aprile avevano invaso un villaggio vicino a Jenin, nel nord della Cisgiordania occupata.

La fonte ha affermato che la giovane donna, Hanan Mahmoud Khdour, di 18 anni, è stata colpita all’addome da un proiettile vero dopo che l’esercito ha sparato parecchi colpi contro un’automobile in cui si trovava quando i soldati hanno invaso la città di Jenin.

E’ stata immediatamente ricoverata all’ospedale specializzato Ibn Sina di Jenin ed è rimasta in condizioni critiche finché è morta per le ferite.

Stava andando a scuola a Jenin quando i soldati hanno aperto il fuoco contro l’auto durante l’invasione della città.

Centinaia di palestinesi hanno partecipato al suo corteo funebre a Jenin prima di dirigersi verso il suo villaggio, Faqqu’a, ad est di Jenin.

Il giorno in cui è stata ferita i soldati israeliani hanno sparato ad almeno 10 palestinesi e ucciso un giovane, Ahmad Nasser Sa’adi, di 21 anni, nel campo profughi di Jenin.

In aprile sono stati uccisi dall’esercito israeliano 19 palestinesi, compresi tre donne e tre minori:

    1. Aprile 18, 2022: Hanan Mahmoud Khdour, 18 anni.
    2. Aprile 15, 2022: Shawkat Kamal ‘Aabed, 17 anni
    3. Aprile 14, 2022: Mustafa Faisal Abu ar-Rob, 31anni
    4. Aprile 14, 2022: Sha’s Fuad Kamamji, 29 anni
    5. Aprile 14, 2022: Fawwaz Ahmad Hamayel, 45 anni
    6. Aprile 13, 2022: Omar Mohammad Elyan, 20 anni
    7. Aprile 13, 2022: Qussai Fuad Hamamra, 14 anni
    8. Aprile 13, 2022: Mohammad Hasan Assaf, 34° anni
    9. Aprile 12, 2022: Abdullah Tayseer Mousa Srour, 41 anni
    10. Aprile 11, 2022: Mohammad Hussein Zakarna, 17anni
    11. Aprile 10, 2022: Mohammad Ali Ghneim, 21anni
    12. Aprile 10, 2022: Ghada Ibrahim Ali Sabateen, 48 anni
    13. April 10, 2022: Maha Kathem Zaatari, 24 anni
    14. Aprile 9, 2022: Ahmad Nasser Sa’adi, 21 anni
    15. Aprile 8, 2022: Ra’ad Fathi Hazem, 29 anni
    16. Aprile 2, 2022: Saif Hifthy Abu Libda, 25 anni
    17. Aprile 2, 2022: Khalil Mohammad Tawalba, 24 anni
    18. Aprile 2, 2022: Sa’eb Tayseer Abahra, 30 anni
    19. Aprile 1, 2022: Ahmad Younis al-Atrash, 29 anni

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




‘Non è più un problema’: sempre più porosa la barriera di separazione tra Cisgiordania e Israele

Bethan McKernan e Quique Kierszenbaum a Shuweika, Cisgiordania

21 marzo 2022 – The Guardian

Ci si interroga sui suoi scopi poiché Israele, per motivi economici, chiude un occhio sui molti varchi 

 

Sono le sei del mattino e la macchina dell’espresso borbotta in una nuova e strana attività commerciale.

Tre settimane fa Mohammed ha messo su il suo chiosco per la colazione vicino alla città cisgiordana di Shuweika e per ora l’attività sta andando bene: ogni giorno centinaia di persone ci passano davanti andando al lavoro e, oltre a caffè e sigarette, comprano pane, cetrioli e pomodori.

Due anni fa i soldati israeliani avrebbero sparato ai palestinesi che entravano in questa area larga 200 metri detta “zona di collegamento”, fra la barriera che separa Israele e Cisgiordania e la linea dell’armistizio del 1949. L’esercito pattuglia ancora appena pochi metri di distanza. Ma in una luminosa mattinata di marzo un flusso costante di pendolari passa vicino al nuovo baracchino di Mohammed per infilarsi in una vicina breccia nella recinzione, in maggioranza diretto a lavori illegali nell’edilizia, nelle pulizie e in agricoltura che si trovano in comunità israeliane dall’altra parte.

Non è più un problema,” dice un trentenne. “Sono felice di aver trovato un buon lavoro. Per anni ho fatto soldi in modi molto più pericolosi.”

Riesco a guadagnare $100 al giorno lavorando là,” dice un ragazzo con i capelli ricci che non ha voluto dirci il nome dato che attraversava illegalmente. “Ovvio che ci vado.”

Israele cominciò i lavori al controverso muro di separazione in Cisgiordania vent’anni fa per arginare gli attacchi terroristici dei palestinesi durante la seconda intifada, ma oggi la situazione del progetto, costato vari miliardi di dollari, è più fluida di come sembra.

I palestinesi sono sempre riusciti a entrare in Israele, nonostante muri e le recinzioni. Anche se non ci sono dati, negli ultimi anni dalla Cisgiordania la gente aveva cominciato ad attraversare in numeri crescenti alla ricerca di lavori pagati meglio. Ciò significava partecipare a un gioco mortale al gatto e topo con le Forze di Difesa Israeliane (IDF) [l’esercito israeliano, ndtr.], ma dall’inizio della pandemia la situazione sembra essere più tranquilla.

Dror Etkes [uno dei maggiori esperti israeliani di colonie, ndtr.] documenta per la sua ONG Kerem Navot [organizzazione che controlla e ricerca la politica fondiaria israeliana in Cisgiordania, ndtr.] costruzioni israeliane illegali nei territori palestinesi occupati e passa molto tempo attraversando la Cisgiordania in un vecchio catorcio cinese. Egli stima che al momento ci siano centinaia di brecce nella barriera che un numero sconosciuto di persone usa ogni giorno. Dice che le IDF ogni tanto scavano un nuovo fossato per fermare i veicoli, ma non hanno fatto niente per riparare nessuna di queste recinzioni.

Aggiunge: “Agli israeliani questo muro era stato venduto come una misura di sicurezza necessaria. Per come la vedo io, c’è stato un cambiamento di politica e dai soldati ci si aspetta che chiudano un occhio quando i palestinesi lo oltrepassano”.

Israele sa che deve alleviare la pressione economica in Cisgiordania e che si avvantaggia della manodopera a basso costo. Il che solleva la domanda: se [il muro] è solo una costruzione arbitraria, cosa ci sta a fare qui?”

A oggi è stato completato solo circa il 65% del percorso pianificato della barriera: la costruzione si è bloccata da molto tempo per una combinazione di giochi politici interni, battaglie legali e critiche internazionali. La maggior parte di quella costruita fino ad ora è dentro i confini della Cisgiordania, non in Israele o sulla linea dell’armistizio.

Per proteggere le colonie illegali israeliane alcune sezioni penetrano per 22 km in territorio palestinese, dividendo comunità e facendo sì che i contadini dipendano dai permessi israeliani per accedere alle proprie terre. La maggior parte della zona cuscinetto è abbandonata, coperta di immondizie e usata per discariche illegali.

In posti densamente popolati come Gerusalemme la barriera si presenta come un muro di cemento alto otto metri sormontato da filo spinato e telecamere. Però in zone più rurali è spesso costituita da strade pattugliate dall’esercito tra recinzioni metalliche parallele, talvolta rafforzate da filo spinato, fossati e strisce di sabbia per individuare le orme.

Dopo l’incontro con Mohammed, il Guardian ha visitato cinque altri punti lungo 35 km della barriera che attraversano l’angolo in alto a sinistra della Cisgiordania. Qui sono state praticate delle brecce nella recinzione per facilitare l’accesso al Triangolo, una manciata di cittadine e villaggi a maggioranza arabo-israeliana che confinano con la Linea Verde.

Tutti i varchi sono abbastanza grandi da permettere a un adulto di passare comodamente; stranamente alcuni sono accanto a cancelli chiusi o a checkpoint e telecamere visibili. Alcune persone dicono di avere permessi validi, ma che scelgono di usare i varchi nelle recinzioni perché è più veloce e facile che far la coda ai posti di blocco ufficiali, dove i soldati possono far domande e perquisirli.

In un comunicato le IDF affermano: “Danneggiare la recinzione di sicurezza per creare passaggi che permettono infiltrazioni non sorvegliate in territorio israeliano è una minaccia alla sicurezza e una chiara violazione della legge.

I soldati dell’ IDF sono schierati lungo la recinzione di sicurezza a seconda della valutazione della situazione. Le truppe usano una varietà di mezzi ai sensi delle regole di ingaggio.”

Né il ministero della difesa israeliano, responsabile della manutenzione della barriera di separazione, né il Coordinatore delle Attività del Governo nei Territori (Cogat) che implementa le politiche governative israeliane nelle zone della Cisgiordania sotto il suo controllo, hanno risposto alle domande del Guardian.

Nella zona cuscinetto vicino a Khirbat al-Aqaba una coppia di anziani su una vecchia Corolla aspetta il figlio in arrivo dall’altra parte per prendere sacchi di verdure per il ristorante dove lavora legalmente. Nella città araba di Baqa, divisa in due dopo la creazione di Israele, una signora di mezza età vestita nei suoi abiti migliori si infila con cautela dentro un varco nella recinzione e attraversa su un ponte di pallet un rivoletto fangoso per andare a trovare la sorella che vive sul lato israeliano.

E vicino a Umm al-Fahm, la breccia nella recinzione giù dalla collina dove sembra esserci un checkpoint improvvisato controllato da un gruppo di uomini del posto non responsabili della sicurezza di cittadini israeliani, è abbastanza grande da essere attraversato dalle macchine. Tracce di pneumatici nella sabbia suggeriscono che venga usata proprio a quello scopo.

Pochissimi hanno il coraggio di attraversare quando vedono le IDF pattugliare nelle vicinanze e ci sono ancora pericoli. Nel maggio 2020 dei soldati hanno attaccato alcuni lavoratori che cercavano di attraversare vicino a Faroun, gambizzando otto persone.

Ma la facilità con cui ora la gente usa le brecce nella recinzione e l’atteggiamento disinvolto mostrato da quasi tutti è un cambiamento sorprendente. Un signore anziano che cercava di passare da un lato all’altro di Baqa ha persino litigato con un’unità di pattuglia delle IDF. Invece di arrestarlo gli hanno detto di portare i suoi documenti al checkpoint ufficiale.

Fino almeno al 2019 c’erano meno varchi e di solito si attraversava pagando qualcuno: chi entrava in Israele doveva correre attraverso punti pericolosi, arrampicandosi su muri, sotto filo spinato e dentro tubature di scarico, tutto con il favore delle tenebre.

Il livello di disoccupazione in Cisgiordania ha fluttuato per parecchi anni intorno al 25% e i salari sono molto più bassi che in Israele. Una volta arrivati, molti lavoratori restavano in Israele per una settimana o più, evitando la polizia o chiunque potesse denunciarli, fino a quando non guadagnavano abbastanza da rischiare di nuovo il viaggio per tornare a casa. Anche lavorando senza diritti talvolta in condizioni pericolose valeva comunque la pena rischiare.

La pandemia ha ridotto la possibilità di arrivare in Israele anche a lavoratori asiatici e dell’Europa dell’est impiegati nei servizi e nell’edilizia, e quindi è aumentato l’appetito degli imprenditori israeliani per manodopera palestinese con paghe basse nonostante il rischio di irruzioni, blocchi del lavoro e multe per i datori di lavoro che vengono scoperti.

Un tale ampio flusso di persone pone un’innegabile sfida alla sicurezza. Alcuni dei lavoratori illegali che attraversano si chiedono se la tecnologia israeliana di sorveglianza sia abbastanza sofisticata da sorvegliare persone sospette provenienti da lontano o se alcuni dei palestinesi che fanno gli ambulanti, i guardiani di parcheggi improvvisati e i taxisti e che ora lavorano intorno alle brecce siano informatori dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interna israeliano.

Per adesso i più sembrano contenti di approfittare delle opportunità economiche create dalla barriera sempre più porosa. Su un altopiano spazzato dal vento sopra Zemer, un comune in Israele creato dalla fusione di quattro villaggi palestinesi, Mohammed Bakir, suo figlio e parecchi dipendenti cisgiordani con permesso di lavoro stanno spianando con i bulldozer la terra vicino a casa nella zona cuscinetto sperando di coltivarla.

Dopo l’evasione dal carcere di Gilboa lo scorso settembre tutti i varchi sono stati chiusi e i suoi operai non hanno potuto entrare in Israele per parecchi giorni mentre le autorità davano la caccia ai sei evasi. La famiglia sa che lo status quo può cambiare e che potrebbero dover abbandonare il progetto, ma crede che valga comunque la pena.

Dall’alto dell’altopiano fangoso si vedono i bianchi boccioli di mandorli e biancospini volteggiare sull’immondizia e la spazzatura vicino alla recinzione sottostante. La barriera serpeggia a destra e sinistra, uno strano serpente grigio che divide il paesaggio tra un prima e un dopo.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Una tiratina d’orecchi ai soldati che hanno ucciso un palestinese-americano: l’amministrazione Biden ‘non è soddisfatta’

Yumna Patel

7 febbraio 2022 – Mondoweiss

L’amministrazione Biden ha richiesto una ” approfondita indagine penale e (l’assunzione della) piena responsabilità” dopo l’inchiesta dell’esercito israeliano sulla morte di Omar Asaad, palestinese con cittadinanza americana. 

La scorsa settimana l’esercito israeliano ha concluso la propria indagine sulla morte di Omar Asaad, un ottantenne con doppia cittadinanza palestinese-americano che è stato ucciso a gennaio nel corso di un violento raid israeliano contro la sua città natale nella Cisgiordania occupata. 

Il 12 febbraio Asaad ha avuto un infarto dopo esser stato trascinato fuori dalla sua auto nel cuore della notte da soldati israeliani che l’hanno poi legato, imbavagliato e lasciato per ore al freddo in un magazzino abbandonato. 

Nella sua indagine interna, arrivata dopo crescenti pressioni da parte di funzionari USA, l’esercito ha concluso che la morte di Asaad è stata un “evento serio e grave risultante da fallimento morale e decisioni errate da parte dei soldati.”

Nel riepilogo dell’inchiesta l’esercito afferma che Asaad è stato fermato nel “quadro” di “attività di controterrorismo” ad Jiljilya, sua città natale nella Cisgiordania settentrionale. 

Sostenendo che Asaad non avesse con sé un documento di identità e si “fosse rifiutato di cooperare con i controlli di sicurezza,” l’esercito dice che i soldati hanno “risposto” ammanettandolo e imbavagliandolo per “un breve lasso di tempo.” L’esercito afferma che dopo mezz’ora è stato “rilasciato e liberato da manette e bavaglio”.

Però alcuni testimoni, tra cui quelli che erano stati ammanettati accanto a lui, al momento avevano detto che Asaad era stato trascinato e picchiato dai soldati, cosa di cui non c’è traccia nella relazione dell’esercito. Alcune persone del posto sostengono che quando Asaad è stato trovato giaceva sul pavimento ancora bendato e legato. 

L’indagine ha determinato che al suo rilascio i soldati non avevano notato segni di sofferenza o altri indicatori sospetti riguardo alle condizioni di salute di Assad. I soldati hanno ritenuto che Assad fosse addormentato e non volevano svegliarlo,” dice la relazione dell’esercito. 

I due palestinesi fermati con lui hanno detto al Washington Post che Asaad era “privo di sensi e non respirava più quando i soldati se ne sono andati.”

Nella dichiarazione dell’esercito si dice che la morte di Asaad viola “uno dei valori fondamentali dell’IDF [Forze di Difesa israeliane, l’esercito israeliano, ndtr.]: proteggere la vita umana.”

Nel 2021 l’esercito israeliano ha ucciso 341 palestinesi, inclusi 86 minori, e nel 2022 fino ad oggi ha ucciso sei palestinesi. 

Parole vuote’

Nelle conclusioni dell’inchiesta l’esercito israeliano dice di “rammaricarsi profondamente per la morte” di Asaad che definisce “un chiaro errore di giudizio morale.” 

L’esercito afferma che il comandante responsabile dell’unità sarà “redarguito,” e che il plotone coinvolto e ai comandanti della compagnia “non verranno assegnati incarichi di comando per due anni.”

Tuttavia il Dipartimento di Stato USA ha detto di non essere soddisfatto delle conclusioni dell’esercito né dei provvedimenti disciplinari presi contro alcuni soldati e che si aspetta che gli ufficiali israeliani svolgano una “esaustiva indagine penale.” 

Gli Stati Uniti si aspettano un’accurata indagine penale e una piena assunzione di responsabilità in questo caso e gradirebbero ricevere ulteriori informazioni relative a queste iniziative il prima possibile,” dice in una dichiarazione il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price.

E mentre l’esercito sostiene che l’uccisione di Asaad vada “contro i valori dell’IDF,” B’Tselem, gruppo israeliano per i diritti umani, fa notare che l’esercito israeliano raramente ritiene i propri soldati responsabili delle violazioni dei diritti umani contro palestinesi nei territori occupati. 

Persino quando i militari sono ripresi in filmati mentre compiono gravi violazioni dei diritti umani è molto raro che vengano condannati a pene detentive. B’Tselem condanna l’inchiesta dell’esercito dicendo che: “‘fallimento morale’ è solo un’espressione vuota quando accompagnata, come prevedibile, con il più flebile dei rimproveri.”

In realtà il fallimento morale di base è che le alte sfere israeliane guidano un regime di supremazia ebraica in cui la vita dei palestinesi non ha alcun valore,” conclude l’associazione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Nel caso della morte di un anziano palestinese l’esercito israeliano ignora la questione principale

Amos Harel

1 febbraio 2022 – Haaretz

Il battaglione Netzah Yehuda, i cui soldati hanno lasciato morire al freddo un uomo di 80 anni, ha un passato preoccupante ed un’ideologia estremista – e qualcosa in comune con l’incidente di fuoco amico che ha ucciso due ufficiali israeliani

Le decisioni prese lunedì dal capo di stato maggiore dell’IDF [Israeli Defence Force, le forze armate israeliane, ndt] Aviv Kochavi erano assolutamente necessarie. Sono arrivate in seguito alla morte, dopo essere stato arrestato dai soldati del battaglione Netzah Yehuda, di Omar Abdalmajeed As’ad, un anziano palestinese. I risultati delle successive indagini – da parte dei media e dell’esercito israeliano – su quanto accaduto tra As’ad e i membri del battaglione ultraortodosso richiedevano una risposta adeguata.

Kochavi ha descritto il comportamento dei soldati come “insensibile” e ha ordinato che i comandanti del battaglione fossero rimproverati. Ha anche rimosso dai loro incarichi altri due giovani ufficiali che si trovavano sul posto. Un’indagine parallela della polizia militare è ancora in corso.

Tuttavia, si può ritenere che, data la gravità dell’incidente, il capo di stato maggiore avrebbe potuto permettersi di fare qualche passo in più. Innanzitutto la rimozione dei comandanti del plotone e della compagnia contiene una strana clausola: saranno esclusi dai ruoli di comando per due anni. E poi? Se, nel frattempo, non saranno coinvolti nella morte di altri anziani, agli occhi dell’IDF saranno nuovamente idonei al comando?

E in secondo luogo, l’esercito si è astenuto dall’utilizzare la discussione sul caso per mettere in discussione l’esistenza stessa del battaglione Netzah Yehuda, anche se le sue prestazioni nel corso degli anni sono state mediocri e costellate di gravi violazioni dell’etica militare.

I risultati dell’indagine del Comando Centrale confermano quanto già riportato da Haaretz: una delle compagnie del battaglione ha allestito un posto di blocco a sorpresa nel cuore della notte fuori dal villaggio di Jiljilya, a nord di Ramallah, e ha fermato i conducenti palestinesi per perquisire i loro veicoli. As’ad, che era già agitato, quando è stato fermato si è messo a discutere con i soldati. I soldati poi lo hanno sopraffatto con la forza, lo hanno ammanettato e, per un po’ di tempo lo hanno trattenuto e gli hanno coperto la bocca.

È stato messo a terra, al freddo gelido, accanto ad altri fermati. Poco tempo dopo, quando gli altri conducenti palestinesi sono stati rilasciati, As’ad non ha risposto ed è rimasto prono a terra. I soldati, che in seguito hanno sostenuto di pensare che stesse dormendo, anche se hanno consentito agli altri di andarsene, lo hanno lasciato lì. Dopo la partenza dei soldati, gli abitanti del posto hanno chiamato un medico palestinese, che ha scoperto che As’ad era morto per un infarto.

Questa è un’orribile catena di eventi che dimostra, come alti ufficiali hanno dichiarato in seguito all’evento, che questi soldati non vedevano As’ad come un essere umano. Hanno ignorato il fatto che un uomo, che avrebbe potuto essere il loro nonno, non rappresentava una minaccia, lo hanno trattato con eccessiva rudezza e poi lo hanno lasciato morire, nonostante fosse evidente che c’era un problema.

Martedì mattina, il Magg. Gen. Yehuda Fuchs, a capo del comando centrale, ha descritto la condotta dei comandanti e dei soldati sulla scena come “ottusa” e ha affermato che hanno mostrato “scarsa capacità di giudizio”. È dubbio che queste affermazioni siano adeguate alla situazione.

La versione dei fatti dei soldati – di non aver picchiato As’ad e di non aver notato il deterioramento delle sue condizioni – non sembra convincente. L’ottusità non finisce a livello di compagnia o di plotone.

Noia e “burnout”

Poiché si tratta di mantenere l’occupazione, il battaglione Nahal Haredi, come si suole definire Netzah Yehuda, si trova in fondo alla piramide. Il battaglione trascorre nove o dieci mesi all’anno in Cisgiordania e riceve un addestramento minimo; altri battaglioni di fanteria trascorrono circa la metà del loro tempo in addestramento. L’esercito evita persino di spostarlo da un’area operativa della Cisgiordania all’altra. Il risultato per le truppe è la noia e il burnout che gli ufficiali cercano di mitigare con missioni di loro iniziativa. Così è nato un posto di blocco a sorpresa nel bel mezzo di un villaggio.

Un’operazione come questa può avere senso quando l’esercito è alla ricerca di una cellula terroristica dopo un attacco a fuoco. È molto meno necessario quando tutte le persone fermate in tale operazione hanno, secondo testimoni palestinesi, più di 50 anni.

Il tentativo di variare un po’ le missioni delle truppe ha creato un altro problema: ai soldati è stato detto di agire “clandestinamente”. Per farlo, hanno dovuto far tacere As’ad. Lo hanno fatto mettendogli una striscia di tessuto sulla bocca (l’IDF dice che è stata rimossa o è caduta dopo poco tempo).

Come già riportato da Haaretz, questo non è un incidente particolarmente insolito per il battaglione. Il suo mix di giovani che hanno abbandonato le istituzioni educative Haredi [degli Haredim, ebrei ultra ortodossi, ndt] e giovani coloni della cima delle colline [gruppo di coloni particolarmente violenti, ndtr.] ha creato un clima ideologico estremista tra i soldati, che né i vertici dell’esercito né gli ufficiali del battaglione hanno fatto molto per affrontare. Ciò si è trasformato in incidenti frequenti come picchiare i palestinesi, che in alcuni casi hanno portato a incriminazioni.

Il flusso costante di incidenti ha dato origine a raccomandazioni, sia all’interno che all’esterno dell’IDF, di sciogliere il battaglione o almeno spostarlo fuori dalla Cisgiordania in un’altra area operativa. Negli ultimi anni l’IDF ha sciolto o ridotto le sue unità su base etnica, come i battaglioni beduini e drusi. Ma sembra che il ministero della Difesa e il capo di stato maggiore temano entrambi che qualsiasi cambiamento riguardante Netzah Yehuda avrebbe un prezzo politico.

Lo scioglimento del battaglione, soprattutto dopo che una commissione interna dell’IDF ha scoperto che l’esercito per anni ha visto aumentare il numero di reclute ultra-ortodosse, potrebbe far notizia alla Knesset e nel governo. D’altra parte, i gruppi di destra potrebbero vederlo come una vessazione nei confronti dei soldati per motivi ideologici.

Ma c’è un’altra considerazione sullo sfondo che l’esercito è restio ad ammettere: Netzah Yehuda è una unità molto numerosa e i suoi soldati sono altamente motivati ​​a prestare servizio in Cisgiordania. La sua presenza lì libera battaglioni di qualità superiore per l’addestramento bellico. Questa è una risorsa a cui l’IDF è restio a rinunciare, nonostante tutti i segnali di pericolo.

Sulla vicenda le indagini della polizia militare non sono ancora terminate. Se il procuratore militare decidesse di processare alcune delle persone coinvolte, possiamo aspettarci che ne deriverebbe una tempesta politica. Questo è l’effetto a lungo termine del processo contro Elor Azaria [il soldato che a Hebron nel 2016 sparò in testa a un palestinese ferito a terra uccidendolo, ndt.]: ogni atto d’accusa che coinvolge la condotta dei soldati nei confronti dei palestinesi rischia di provocare uno tsunami da parte della destra indipendentemente dalla gravità delle accuse.

Ma un giorno, se Canale 12 News [televisione privata israeliana, ndt.] invitasse in studio la madre di uno dei soldati accusati per l’affare As’ad, ricordiamoci le circostanze del caso. Secondo gli stessi risultati dell’indagine dell’esercito, quei soldati hanno lasciato un uomo di 80 anni a morire al freddo con la risibile scusa che pensavano stesse dormendo.

Risposte sproporzionate

Questa non è l’unica indagine rilevante arrivata questa settimana sulla scrivania del capo di stato maggiore. Kochavi è nel mezzo di una settimana impegnativa durante la quale ha tenuto una serie di incontri sull’incidente avvenuto alla base di Nabi Musa, dove due ufficiali dell’unità Egoz sono stati uccisi accidentalmente da un collega. Un comitato di esperti guidato dal Magg. Gen. (della riserva) Noam Tibon sta indagando sull’incidente, così come la stessa Egoz, che è un reparto speciale assegnato al Comando Centrale.

Come è stato riportato dopo l’incidente, il caso di fuoco amico ha messo in luce una serie di gravi carenze. Ad esempio, l’unità ha lasciato la base senza coordinarsi e senza ricetrasmittenti. Non ha operato seguendo la procedura prescritta e l’intera esercitazione di addestramento è stata particolarmente disordinata. Si scopre inoltre, come verificato da articoli di Haaretz, che nelle settimane precedenti l’incidente c’erano stati diversi furiosi inseguimenti di persone sospettate di aver rubato attrezzature in quei campi di addestramento.

Alcuni degli informatori degli articoli non sono d’accordo sulle quali questioni siano più rilevanti: gli errori commessi all’interno dell’unità Egoz o i fallimenti più ampi riscontrati in altre unità di fanteria che indicano una cultura organizzativa problematica. C’era anche la questione di quanto i cambiamenti nei regolamenti dell’esercito su quando aprire fuoco – e la confusione riguardo alle misure da adottare – abbiano contribuito all’incidente mortale. Due maggiori – Ofek Aharon e Itamar Elharar – sono rimasti uccisi nell’incidente.

È probabile che seguiranno altre polemiche su quali modifiche dovrebbero essere apportate a livello di comando in risposta a tali eventi. Al momento sembra che il comandante di Egoz, il tenente colonnello A., rischi di essere rimosso dal suo incarico. A., che è stato descritto come un eccellente ufficiale, ha avuto una menzione per il coraggio mostrato sotto il fuoco a Gaza. La prossima estate avrebbe dovuto essere promosso colonnello e nominato comandante di un battaglione della riserva. A causa degli errori rivelati dai risultati delle indagini molto probabilmente sarà punito.

Ma, come nel caso dell’indagine su Netzah Yehuda, sembra che ci siano implicazioni più profonde nell’affare Egoz che vanno oltre l’unità stessa. Si può anche trovare un comune denominatore tra i due episodi: N., il comandante della squadra di Egoz che ha sparato i colpi, si è messo alla ricerca di ladri d’armi nel deserto della Giudea con la pallottola in canna, come se stesse preparandosi a tendere imboscate a terroristi nel Libano meridionale. I soldati di Netzah Yehuda hanno trattato l’anziano As’ad come se fosse un pericoloso terrorista. È probabile che il “segreto” che era stato loro ordinato di mantenere nell’ambito dell’operazione abbia contribuito alla sua morte.

In entrambi gli incidenti, i soldati e i loro comandanti diretti hanno agito in modo sproporzionato, adottando misure eccessive rispetto alle missioni di scarsa rilevanza loro assegnate. Ciò ha portato, direttamente o indirettamente, alla perdita assolutamente inutile di vite umane.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Centinaia di feriti, uno grave, per l’attacco di coloni e soldati ai villaggi di Nablus, Jenin e Tulkarem

25 dicembre 2021 – IMEMC News

Sabato notte la Mezzaluna Rossa (Croce Rossa) palestinese ha riferito che centinaia di palestinesi sono stati feriti, di cui uno con una grave ferita da arma da fuoco alla testa, quando centinaia di coloni illegali e soldati israeliani hanno sferrato ripetuti attacchi contro case palestinesi a Burqa, Beita, Sebastia, Bazaria, Silat ath-Thaher e altre aree a Nablus, Jenin e nel nord della Cisgiordania.

La Mezzaluna Rossa ha dichiarato che i soldati israeliani hanno ferito più di 135 palestinesi di cui almeno dieci sono stati colpiti da proiettili veri, trentacinque da proiettili d’acciaio ricoperti di gomma e almeno novantacinque hanno subito gravi conseguenze dall’inalazione di gas lacrimogeno; tra i feriti ci sono molte donne, anziani e bambini, compresi neonati.

Ha aggiunto che una donna incinta ha subito gravi conseguenze dall’inalazione di gas lacrimogeno prima di essere portata d’urgenza in ospedale con le doglie.

Anche due giornalisti palestinesi, identificati in Ehab Dmeiri e Fadi Yassin, sono stati feriti a Bazaria, a nord-ovest di Nablus.

Ehab, corrispondente dell’agenzia di stampa [dell’Autorità Nazionale Palestinese, ndtr.] WAFA, è stato colpito da un proiettile d’acciaio rivestito di gomma, mentre Fadi, cameraman che lavora per la TV palestinese, ha subito i gravi conseguenze dall’inalazione di gas lacrimogeno oltre a ferite da taglio e contusioni.

Le moschee di zona a Jenin e Nablus hanno invitato i palestinesi a radunarsi per proteggere le famiglie di Burqa e Beita, in particolare dopo che decine di coloni israeliani illegali hanno attaccato case e famiglie, causando molti feriti e gravi danni alle proprietà.

Decine di palestinesi hanno poi lanciato pietre contro i coloni e i soldati invasori, ferendo un soldato al volto.

I soldati hanno anche preso di mira direttamente, sparando proiettili e candelotti lacrimogeni, molti giornalisti palestinesi a Tulkarem mentre riprendevano in diretta le invasioni in corso.

L’attacco ha ferito due fotoreporter identificati in Fadi Yassin e Hazem Bleidi.

Militanti della resistenza hanno anche avuto uno breve scontro a fuoco con i soldati invasori vicino al raccordo di Burqa a Nablus.

Inoltre, decine di coloni hanno attaccato molte case nella città di Sebastia, a nord di Nablus, e sparato proiettili veri contro i palestinesi accorsi in aiuto delle famiglie.

L’esercito israeliano ha affermato che vicino a Nablus molti proiettili veri sono stati sparati contro una postazione militare da un’auto palestinese in corsa.

Nel frattempo, i soldati israeliani hanno chiuso molte strade e incroci e imposto severe restrizioni alla libertà di movimento dei palestinesi, consentendo allo stesso tempo a centinaia di coloni fanatici di marciare nell’area e dirigersi verso il sito dell’ex colonia di Homesh, dove hanno iniziato a ricostruire e predisporsi a ristabilire la colonia sulle terre palestinesi rubate.

Anche vicino a Sebastia i soldati hanno sparato contro i palestinesi una raffica di candelotti lacrimogeni, bombe a concussione [a combinazione ionica/protonica; creano un globo di 6 metri con una forza d’urto che smembra chi è vicino, ndtr.] e molti proiettili veri, causando molti feriti.

Massicce proteste hanno avuto luogo anche in varie aree di Jenin e Nablus, prima che i soldati sparassero proiettili veri, candelotti lacrimogeni e bombe a concussione.

Notizie simili riferiscono di massicce proteste nella città di Silwan, a sud della moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme occupata, dopo che l’esercito ha occupato il quartiere di Batn al-Hawa e invaso le case.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




L’esercito israeliano modifica le regole di ingaggio riguardo a quando sparare, ora chi lancia pietre è un bersaglio

Redazione di PC

21 dicembre 2021– Palestine Chronicle

Media israeliani hanno informato che l’esercito ha modificato le regole per aprire il fuoco, consentendo ai soldati di sparare a manifestanti palestinesi che lancino pietre contro auto dei coloni israeliani nella Cisgiordania occupata anche se non rappresentano più una minaccia immediata.

Questa politica sarebbe stata inaugurata circa un mese fa, ma all’epoca l’esercito israeliano aveva evitato di renderla pubblica.

Un portavoce dell’esercito israeliano ha confermato lunedì le modifiche al quotidiano Times of Israel [quotidiano israeliano in lingua inglese, ndtr.] solo dopo notizie riguardo alle regole per aprire il fuoco pubblicate dai media.

Citando media israeliani RT [Russia Today, rete televisiva russa finanziata dallo Stato, ndtr.] ha informato che, in base alle nuove norme, le forze di occupazione israeliane hanno il permesso di mettere in atto l’intero protocollo di arresto, compreso l’uso di forza letale contro palestinesi “sospetti”, se li vedono lanciare pietre e bottiglie molotov contro veicoli, anche se non hanno più alcun oggetto in mano.

In precedenza ai soldati israeliani dell’occupazione era consentito in teoria sparare a palestinesi solo quando, durante l’arresto, stavano ancora lanciando pietre o bombe incendiarie. Tuttavia nella pratica spesso i giovani palestinesi sono stati colpiti in vario modo e si è indagato ben poco riguardo a vittime palestinesi uccise o ferite dall’esercito israeliano.

RT ha anche informato che, secondo il portavoce militare israeliano, le modifiche sono state necessarie perché in molti casi le precedenti regole di ingaggio consentivano a presunti aggressori palestinesi di evitare di pagare per le proprie azioni.

I cambiamenti introdotti dall’esercito israeliano sono già stati contestati da alcuni giuristi. Liron Libman, ex-capo della procura militare, ha detto a Times of Israel che “una persona che sta scappando non rappresenta una minaccia” e che l’uso della forza letale dovrebbe “essere solo una misura estrema.”

Eliav Lieblich, docente di diritto all’università di Tel Aviv, afferma che le nuove regole contravvengono alle leggi internazionali sui conflitti armati dato che non è in corso un conflitto in Cisgiordania, così come le leggi sui diritti umani, in quanto non rispondono alle esigenze di autodifesa.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




I coloni hanno un nuovo obiettivo da attaccare: le scuole palestinesi

Gideon Levy, Alex Levac

 16 dicembre 2021 Haaretz

I soldati israeliani impediscono con la forza ai bambini palestinesi di raggiungere la scuola e sparano lacrimogeni nelle aule. I coloni li maledicono, li picchiano e umiliano i loro insegnanti. Immaginate che specie di sentimenti vi ribollano.

Nessuno riceve lezioni migliori sulle teorie dell’occupazione e dell’apartheid dei bambini di Lubban al-Sharqiyah, un villaggio di 4.000 persone situato a 15 chilometri a sud di Nablus. Non è difficile indovinare che tipo di sentimenti vi si stiano sviluppando e quali generazioni usciranno in futuro dalle due scuole elementari, una maschile e una femminile, di Lubban e di altri due villaggi. Gli edifici si trovano entrambi vicino all’autostrada 60, la strada più trafficata della Cisgiordania, utilizzata sia dai coloni che dai palestinesi, dove si sono verificati molti incidenti con lancio di pietre da parte di bambini palestinesi.

I bambini di questo villaggio hanno visto di tutto. Hanno visto soldati israeliani impedirgli con la forza di raggiungere la scuola e coloni che li maledicevano e li picchiavano. Hanno patito il soffocamento a causa dei gas lacrimogeni e sono stati colpiti da proiettili di metallo ricoperti di gomma sulla strada per la scuola e ritorno. Hanno visto i loro insegnanti umiliati – secondo le testimonianze, i soldati hanno costretto più volte di fronte ai loro alunni gli insegnanti a inginocchiarsi– e hanno visto soldati lanciare lacrimogeni nelle aule e nei cortili delle scuole.

A Lubban al-Sharqiyah, i genitori mandano a scuola i figli la mattina senza sapere in quale stato torneranno. In verità il capo del Consiglio locale, Yakub Iwassi, racconta che arriva all’ingresso del villaggio ogni mattina alle 6:30 per accompagnare i bambini a scuola e garantire loro sicurezza. Sebbene si siano verificati incidenti con lancio di pietre sull’autostrada, secondo il capo del Consiglio, sono un ricordo del passato. Non ci sono stati incidenti da più di due settimane, aggiunge Iwassi, e lui e il suo staff stanno facendo tutto il possibile per prevenirli. Recentemente gruppi di genitori si sono offerti volontari per filmare e documentare ciò che accade vicino alle scuole.

L’insegnante di religione della scuola femminile, Iman Daragme, è madre di Ziyad, 14 anni, che frequenta la scuola maschile. L’alunno frequenta la terza media ed è stato ferito ad un occhio durante l’ultimo giorno di disordini vicino alla scuola, il 17 novembre. Quella mattina, racconta Ziyad, è uscito come al solito ma quando è arrivato all’incrocio appena fuori dal villaggio, ha visto dozzine di coloni lungo la strada che porta alle scuole – pensa che fossero in 200 – e soldati dell’Esercito Israeliano in piedi accanto a loro. I coloni stavano protestando contro il lancio di pietre sull’autostrada e i soldati hanno impedito ai bambini di avanzare. Ma Ziyad dice che quel giorno non c’era stato alcun lancio di pietre.

Sua madre si occupa molto di lui. Al momento ha un braccio fasciato, ma non a causa degli eventi di quel giorno: domenica se l’è rotto cadendo dalla bicicletta.

Erano le 7:30 di quel mercoledì mattina, qualche settimana fa. La situazione iniziava a surriscaldarsi. I bambini si sono affrettati verso la scuola, i coloni hanno continuato la loro manifestazione e i soldati hanno iniziato a sparare lacrimogeni e proiettili ricoperti di gomma per disperdere i bambini e costringerli a tornare al villaggio. Per quanto lo riguarda Ziyad è sicuro che i coloni stiano rendendo impossibile la vita agli scolari come parte di un piano: “I coloni vogliono chiudere la scuola in modo da impadronirsene”, ci dice. “Hanno già occupato il vecchio mercato vicino al villaggio”.

Gli scontri sono continuati sulla strada per la scuola sino al tardo pomeriggio. La maggior parte degli abitanti del villaggio è arrivata all’incrocio, il posto sembrava un campo di battaglia. Secondo un membro del Consiglio del villaggio, Falastin Noubani, quel giorno 60 bambini hanno patito in qualche modo il gas lacrimogeno e non sono mai arrivati a scuola; 40 sono stati feriti da proiettili ricoperti di gomma, quasi tutti in modo non grave. Ma un ragazzo, Ziyad Salame, 11 anni, è stato colpito alla testa da un proiettile di metallo rivestito di gomma. Inizialmente si è temuto per la sua vita, a causa di un ematoma cerebrale. Alla fine l’emorragia si è fermata e il pericolo è passato. E Ziyad Daragme, il figlio dell’insegnante, è stato colpito all’occhio da una scheggia o da qualcos’altro. È stato portato a Salfit all’ospedale governativo Yasser Arafat Martire, e da lì è stato inviato all’ospedale oftalmico Hugo Chavez a Turnus Aya, vicino a Ramallah, dove è stato curato.

L’Unità Portavoce dell’Esercito Israeliano in settimana ha emanato questa vaga risposta sulla situazione di Lubban al-Sharqiya: “Alla luce dei recenti eventi di scontri e disordini nelle vicinanze del villaggio, che ricade sotto la giurisdizione della Brigata territoriale Binyamin, alcune misure sono state prese dall’Esercito Israeliano in coordinamento con i rappresentanti del villaggio per arginare il problema. A seguito di queste misure, gli scontri nell’area sono notevolmente diminuiti”.

Le due scuole di Lubban sono vicine l’una all’altra ed entrambe si trovano proprio a ridosso della Strada Statale 60, a circa due chilometri dal centro del paese. Nel 2014 l’Amministrazione Civile, un ramo del governo militare in Cisgiordania, ha costruito una barriera lungo l’autostrada per proteggere gli scolari dalle auto in corsa, e per loro ha costruito anche un marciapiede. Ai palestinesi è proibito costruire qualsiasi cosa in quest’area: l’autostrada è nell’Area C, amministrata da Israele. Prima di queste migliorie, nel corso degli anni circa 20 bambini erano stati uccisi in incidenti stradali sulla strada per la scuola e ritorno.

Gli alunni iscritti alle due scuole sono 661: 421 nella scuola maschile e 240 nella femminile. La scuola maschile è stata costruita nel 1944, quella femminile nel 1971, molto prima di tutti gli insediamenti che stanno ora soffocando il paese da ogni lato; alcuni sono stati costruiti su terreni di proprietà del villaggio.

In una conversazione nel suo ufficio, Iwassi, capo del Consiglio, un uomo d’affari di 58 anni tornato nella sua casa in Cisgiordania dopo aver trascorso 15 anni a Tampa in Florida, ci racconta che negli ultimi mesi è stato minacciato dai soldati dell’Esercito Israeliano che brandivano fucili mentre accompagnava i bambini a scuola. Dice che è stato colpito due volte con proiettili rivestiti di gomma e aggiunge che due settimane fa i soldati hanno afferrato un ragazzo che stava andando a scuola e lo hanno arrestato. Quando Iwassi ha protestato, i soldati gli hanno detto che il ragazzo, Muayid Hussam, 11 anni, aveva lanciato pietre sull’autostrada tre giorni prima mentre andava a scuola. Hussam è stato preso in custodia e rilasciato quattro ore dopo. Iwassi ha indagato sulla vicenda e ha scoperto che il giovane sospettato quel giorno non era nemmeno andato a scuola.

Il capo del Consiglio ci dice che per salvaguardare i bambini ha messo un insegnante ogni 100 metri lungo il percorso che porta alle scuole. In alcuni casi, dice, i coloni si piazzano sul ciglio della strada e minacciano i ragazzi. Gli hanno riferito, per esempio, che un colono aveva gridato che le loro scuole sarebbero passate ai coloni, e addirittura diceva ai bambini che erano stati scelti nuovi nomi: “Brooklyn” per la scuola femminile, “Bnei Yisrael” per quella maschile.

Issawi conserva nel suo cellulare le informazioni che ha raccolto nell’ultimo anno. L’esercito ha fatto irruzione nelle scuole otto volte mentre si teneva lezione; le truppe hanno impedito agli alunni di raggiungere le scuole 76 volte. I droni sono stati avvistati nell’area cinque volte: non è chiaro se li abbiano lanciati l’esercito o i coloni, ma hanno disturbato e spaventato i bambini. Sono stati lanciati gas lacrimogeni nelle aule sette volte e ogni volta gli edifici hanno dovuto essere evacuati. Gli alunni sono stati picchiati 13 volte, ma non hanno riportato ferite. Tredici alunni sono stati fermati per qualche ora o per alcuni giorni. L’Esercito Israeliano ha chiuso i cancelli delle scuole 15 volte. I coloni hanno attaccato violentemente gli alunni sette volte. E ci sono stati circa 100 incidenti, dice Issawi, in cui soldati o coloni stavano minacciosamente vicino agli ingressi delle scuole.

“Con quale diritto i coloni armati vengono al cancello di una scuola?” chiede il capo del Consiglio. “Sai, se mi capitasse di camminare per strada armato, verrei arrestato immediatamente. In tutto il mondo i civili non possono andare in giro armati, solo la polizia e le forze di sicurezza. Allora perché i coloni possono farlo? A volte i coloni urinano davanti alle ragazze. Ho parlato con i soldati, ma non hanno fatto nulla. I coloni gridano ai bambini: ‘Questa è la nostra terra. Qui vivranno solo ebrei. Siete degli animali. Siete cani. Questa terra appartiene solo a noi. Morte agli arabi!’ “

“Questa non è vita”, continua. “I nostri figli non pensano ad imparare, ma solo a tornare a casa sani e salvi. Gli insegnanti hanno paura per gli alunni. Questa non è vita”. Noubani, membro del Consiglio, aggiunge: “I nostri figli hanno il diritto di camminare lungo il ciglio della strada per andare a scuola. Nessuno ci può dettare dove debbano camminare i nostri figli”.

Verso la scuola, da un’altra direzione, c’è anche un sentiero sterrato ma non raggiunge tutti gli abitanti del villaggio.

Iwassi: “Dobbiamo salvaguardare questo percorso, perché ci sono bambini che vengono dall’altra parte della strada. L’esercito può dirmi quali bambini stanno creando problemi e io mi occuperò di loro. Tutto ciò che vogliamo è che i nostri figli possano studiare in pace”.

Noubani racconta che negli ultimi anni gli attacchi da parte dei coloni sono stati continui, ma non erano mai arrivati alle scuole: “Che i coloni vadano lì è una novità. Vengono da tutta la zona, non solo dalle colonie vicine. Eravamo abituati al fatto che abbattessero i nostri alberi, ma gli attacchi ai nostri figli sono una novità”.

Iwassi è d’accordo, e osserva che anche se ci sono sempre stati attacchi da parte di soldati e coloni, non sono mai stati tanti quanti nell’anno passato. Perché pensa che la situazione sia peggiorata, gli chiediamo. “Perché questo governo è un governo di coloni. Questo è il problema. Quando il primo ministro è amico dei coloni, questo è il risultato. Questa è la direttiva. Il governo precedente era meno un governo dei coloni di questo”.

Nel corso degli anni, sono stati sottratti a Lubban circa 5.000 dunam (1.250 acri) di terra con la costruzione delle vicine colonie di Ma’aleh Levona, Eli, Shiloh e Givat Harel.

“Tagliano i nostri alberi e bruciano i campi”, dice Iwassi. “Ti alzi la mattina e tutti i tuoi ulivi sono stati abbattuti. Vogliono una scuola vuota e un villaggio vuoto e un paese senza palestinesi”.

L’ultimo giorno del Ramadan di quest’anno Ahmed Daragme, 34 anni, residente nel villaggio, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco dai soldati all’incrocio di Tapuah mentre tornava a casa dopo aver acquistato dei dolci per la festa. I soldati pensavano che avesse in mano una pistola, ma non ce n’era traccia. Il suo amico Mohammed Noubani, 28 anni, che era con lui in macchina, è stato ferito gravemente e da allora è su una sedia a rotelle.

Abbiamo chiesto a Iman, insegnante di religione, qual è la cosa peggiore degli incidenti nelle scuole: “Le maledizioni che i nostri alunni si sentono lanciare dai coloni. E anche quando i soldati a volte stanno vicino alle finestre delle aule. Questo spaventa i bambini”.

Sul muro della scuola femminile c’è il disegno di un’insegnante con degli alunni. “Insegnaci l’aritmetica e non le botte”, dicono gli alunni all’insegnante con un gioco di parole in arabo.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)