Il 7 ottobre un generale israeliano ha ucciso suoi concittadini per poi mentire al riguardo

Ali Abunimah e David Sheen

24 dicembre 2023 – The Electronic Intifada

Dei video e resoconti di testimoni recentemente pubblicati da media israeliani rivelano nuovi dettagli su come il 7 ottobre l’esercito israeliano abbia ucciso i propri civili nel Kibbutz Beeri.

La settimana scorsa il Canale 12 israeliano ha diffuso dei filmati inediti di un carro armato israeliano che spara contro un’abitazione civile all’interno dellinsediamento coloniale, a poche miglia a est di Gaza.

Le nuove prove mostrano che il comandante israeliano presente sul posto, il generale di brigata Barak Hiram, ha mentito a una famosa giornalista israeliana su ciò che è accaduto nel kibbutz quel giorno dopo il lancio da parte dei combattenti della resistenza palestinese di un assalto su larga scala contro basi militari e insediamenti coloniali israeliani oltre il confine di Gaza.

Si tratta di un tentativo di insabbiamento da parte di un alto ufficiale militare con la complicità dei media.

Ma lungi dallessere ritenuto in alcun modo responsabile, Hiram sta per assumere il suo nuovo ruolo di comandante della Divisione Gaza, la brigata dellesercito israeliano sconfitta il 7 ottobre dalle forze palestinesi.

Hiram abita nell’insediamento di Tekoa, costruito in violazione del diritto internazionale vicino alla città di Betlemme nella Cisgiordania occupata.

Il 26 ottobre in unintervista con Ilana Dayan, conduttrice del prestigioso programma investigativo Uvda del canale israeliano Channel 12, Hiram ha fornito un falso resoconto dei tentativi di salvare i civili a Beeri.

Ha anche propagandato false atrocità, sostenendo che i combattenti palestinesi, all’interno del kibbutz, avessero immobilizzato e giustiziato a sangue freddo 10 civili, otto dei quali minorenni.

Questo tipo di storie raccapriccianti – amplificate dai leader israeliani e inoltrate direttamente alla Casa Bianca e ai media mondiali – hanno avuto un ruolo diretto nel provocare il sostegno dei governi e dell’opinione pubblica occidentali alla risposta genocida da parte di Israele.

Lintervista di Hiram da parte di Dayan è stata trasmessa più di 10 giorni dopo che Yasmin Porat aveva fornito la propria testimonianza alla radio di Stato israeliana – un resoconto molto diverso da quello di Hiram e molto meno lusinghiero per le forze israeliane.

Porat era tra i 15 civili trattenuti dai combattenti palestinesi nella casa colpita da un carro armato come si osserva nel nuovo video, la casa di Pessi Cohen, residente nel kibbutz Be’eri, anch’egli rimasto lì ucciso.

Nella sua intervista del 15 ottobre alla radio israeliana, diventata virale dopo la traduzione di The Electronic Intifada, Porat ha descritto come lei e il suo compagno Tal Katz si trovassero al rave Supernova quando la mattina presto di sabato 7 ottobre è iniziato il lancio di razzi da Gaza.

La coppia è salita in macchina ed è fuggita a Be’eri dove ha bussato alla porta di Adi e Hadas Dagan, abitanti del kibbutz.

Sono rimasti nascosti insieme ai Dagan finché i combattenti palestinesi non li hanno trovati e portati in un’altra casa vicina dove altri civili erano tenuti prigionieri da diverse decine di combattenti di Hamas.

I primi rapporti affermavano erroneamente che questi eventi avevano avuto luogo nella sala da pranzo del kibbutz.

Secondo Porat, in casa di Pessi Cohen i combattenti palestinesi hanno trattato umanamente” una decina di civili israeliani e li hanno rassicurati sul fatto che non avrebbero subito ulteriori danni.

I palestinesi hanno fornito loro acqua e li hanno lasciati uscire sul prato per difendersi dal caldo.

Secondo Porat i combattenti volevano che i militari israeliani, che pensavano fossero già ammassati nella zona, garantissero loro un passaggio sicuro per un ritorno a Gaza, dove avrebbero poi rilasciato i civili al confine.

Le richieste dei combattenti sono state comunicate a Porat tramite Suhayb al-Razim, un autista palestinese di minibus della Gerusalemme Est occupata, anch’egli catturato e costretto a fungere da interprete in ebraico.

Al-Razim era stato catturato all’inizio della giornata mentre trasportava i partecipanti israeliani alla festa da e verso il rave Supernova.

Su richiesta dei combattenti palestinesi Porat ha chiamato la polizia israeliana per far sì che i militanti negoziassero una via d’uscita.

Dopo numerose telefonate con la polizia gli ostaggi e i loro rapitori hanno aspettato l’arrivo delle forze israeliane. Porat ha affermato che quando finalmente i soldati sono arrivati a ridosso della casa di Pessi Cohen hanno iniziato a sparare senza preavviso.

Uccisi dai loro

Eravamo fuori e allimprovviso c’è stata una raffica di proiettili contro di noi da parte dellunità [israeliana] YAMAM. Abbiamo iniziato tutti a correre per trovare un riparo”, ha detto Porat a Canale 12.

Nello scontro a fuoco che ne è seguito un comandante palestinese, in seguito identificato come Hasan Hamduna, ha trattato la propria resa con le forze israeliane. Gli hanno detto di spogliarsi e di uscire con Porat.

Appena fuori Porat ha chiesto agli israeliani di smettere di sparare, cosa che hanno fatto. Poi ha visto diversi abitanti del kibbutz stesi a terra – persone che, con una sola eccezione, sarebbero risultate morte.

Alla domanda se possano essere state le forze israeliane ad ucciderli, Porat ha risposto: senza dubbio”.

Hanno eliminato tutti, compresi gli ostaggi. Perché c’è stato un fuoco incrociato molto, molto pesante”, ha detto Porat. Sono stato liberata verso le 17:30. I combattimenti sarebbero finiti alle 20:30. Dopo un folle fuoco incrociato due proiettili di carro armato sono stati sparati contro la casa”.

Tra le persone uccise dai proiettili del carro armato c’erano Adi Dagan e il compagno di Porat, Tal Katz.

Hadas Dagan è rimasta ferita ma è sopravvissut, l’unica israeliana oltre a Porat a uscire viva dalla battaglia.

In un’altra intervista del mese scorso Porat ha rivelato che, secondo Hadas Dagan, il bombardamento del carro armato avrebbe ucciso anche Liel Hatsroni, una ragazza di 12 anni che i fautori della propaganda israeliana sostenevano fosse stata assassinata dai palestinesi.

Allinizio di questo mese, Hadas Dagan ha rilasciato la sua prima intervista, confermando i punti salienti del racconto di Porat.

Fa parte di un servizio di mezz’ora di Channel 12 andato in onda il 9 dicembre che presenta insieme a Porat anche i familiari di altri prigionieri israeliani uccisi nello stesso incidente.

È ovvio che questo episodio solleva un dilemma morale molto pesante. Non voglio che qualcuno utilizzi il complicato dilemma morale presente nella storia per puntare un dito accusatorio contro lesercito”, dice Dagan nel rivelare la causa immediata della morte di suo marito. “Per me è molto chiaro che io e Adi siamo stati feriti dalle schegge del proiettile del carro armato perché è successo proprio in quel momento.”

Descrive l’orribile esperienza vissuta nell’osservare suo marito sanguinare su di lei da una ferita nel collo lunga diversi centimetri, fino al momento in cui ha smesso di muoversi.

Sono arrabbiata, sono molto arrabbiata. Sono arrabbiata per il fatto che siamo stati abbandonati, che siamo stati traditi, che siamo stati soli, soli, soli, per così tante ore”, dice. “Adi, finire la sua vita in quel modo, massacrato.”

“All’improvviso ho visto un carro armato”

Un video girato quasi al livello del suolo mostra un carro armato che attraversa il kibbutz il 7 ottobre, mentre le riprese aeree da un elicottero israeliano mostrano un carro armato che spara un proiettile contro la casa di Pessi Cohen alle 17:33. I combattenti israeliani presenti lo hanno descritto come un colpo di avvertimento.

Il carro armato ha poi subito danni, forse a causa di un razzo RPG, sparato dall’interno della casa dai combattenti di Hamas: “Successivamente il carro armato è stato danneggiato e ne è arrivato un altro che ha completato la missione”, ha riferito Channel 12.

Nel rapporto del 9 dicembre Hadas Dagan conferma il resoconto di Yasmin Porat sui prolungati negoziati con i combattenti palestinesi prima che le forze israeliane arrivassero e iniziassero a sparare.

Canale 12 ha riprodotto l’audio delle telefonate fatte da Porat in cui lei, i gemelli israeliani dodicenni Liel e Yanai Hatsroni e il comandante palestinese Hasan Hamduna, parlano con i servizi di emergenza.

Hamduna dice all’ufficiale israeliano che vuole che l’esercito garantisca loro il passaggio verso Gaza, sostenendo che i palestinesi tengono prigionieri circa 50 israeliani.

Come ha spiegato Porat, Hamduna stava deliberatamente esagerando il numero dei prigionieri israeliani, evidentemente nel tentativo di indurre la polizia e l’esercito a trattare la situazione con maggiore urgenza.

C’è un video girato dopo che Hamduna si era arreso uscendo insieme a Porat in cui, sotto custodia israeliana, nudo, bendato e ammanettato, invita anche i suoi compagni ad arrendersi, dicendo loro attraverso un megafono che gli israeliani li avrebbero trattati umanamente e avrebbero curato le loro eventuali ferite.

Mentre era in corso questo tentativo di ripresa delle trattative è scoppiato uno scambio a fuoco ininterrotto, ha dichiarato Porat il 6 dicembre alla televisione di Stato israeliana Kan.

Alla fine è arrivato un secondo carro armato israeliano, probabilmente sotto la guida del comandante del battaglione corazzato, il tenente colonnello Salman Habaka, ucciso qualche settimana dopo a Gaza.

Io stesso sono arrivato a Beeri e ho fatto rapporto al generale di brigata Barak Hiram”, ha detto Habaka in un video prodotto dallesercito israeliano nei giorni successivi alla battaglia di Beeri.

“La prima cosa che mi ha ordinato: sparare un proiettile contro la casa.”

Quando un canale di un social media israeliano gli ha chiesto di raccontare come “è riuscito a salvare una famiglia”, Habaka non ha fornito alcuna informazione.

Ha detto invece che la sua missione era localizzare e annientare i terroristi”, e se fossero stati trovati in casa avremmo annientato i terroristi prima di inviare la fanteria per portare fuori le persone”.

Larrivo di tali armamenti ha immediatamente suscitato i timori di Yasmin Porat.

Allimprovviso ho visto un carro armato”, ha detto a Kan. Ricordo, ho detto a uno degli agenti di polizia: Ma cosa? Vuoi sparare con un proiettile da carro armato? Fuori ci sono degli ostaggi”.

“E lui mi ha risposto: ‘No, è solo per consentire alle unità di entrare in casa, stanno abbattendo i muri'”, ha aggiunto Porat.

Ma quelle non erano le uniche armi pesanti usate dalle forze israeliane a Beeri.

I principali media di tutto il mondo hanno trasmesso filmati sulle conseguenze del disastro nel kibbutz, dove intere file di case sono state ridotte in macerie.

Ma nessuno si è posto lovvia domanda: come hanno potuto i combattenti di Hamas armati solo di fucili dassalto AK-47 e qualche RPG aver causato danni così ingenti?

La risposta, ovviamente, è che non lo hanno fatto da soli. La televisione di Stato israeliana ha riferito che nel loro contrattacco per riconquistare Beeri le forze israeliane hanno utilizzato oltre ai carri armati anche elicotteri da combattimento.

Allinizio di questo mese due veterani della squadra di soccorso tattico d’élite dellesercito israeliano, lUnità 669, nel ruolo di soccorritori volontari, hanno raccontato a Kan ciò a cui hanno assistito a Beeri il 7 ottobre.

La situazione era questa: te ne stai seduto in un kibbutz nello Stato di Israele dove nei fine settimana portiamo i bambini ad andare in bicicletta. Ogni secondo un missile ti cade addosso. Ogni minuto”, dice Erez Tidhar, uno dei volontari. “All’improvviso vedi un missile lanciato da un elicottero che spara sul kibbutz.”

Un elicottero dellesercito israeliano spara contro un kibbutz israeliano”, aggiunge Tidhar costernato, e poi vedi un carro armato che avanza lungo le strade del kibbutz, spara con il cannone e spara un proiettile contro una casa. Queste sono cose che non puoi comprendere del tutto.”

Tidhar, nello specifico, è il capo della direzione nazionale della cyber sicurezza informatica di Israele.

Si sapeva già che il 7 ottobre gli elicotteri Apache israeliani di costruzione americana erano stati schierati in gran numero in tutta la regione e che avevano lanciato enormi quantità di devastanti missili Hellfire e proiettili di cannone esplosivi uccidendo sia palestinesi che civili israeliani.

Questa feroce potenza di fuoco ha incenerito a morte centinaia di persone in modo così devastante che le autorità israeliane non hanno potuto dire per settimane se si trattasse di combattenti palestinesi o civili israeliani.

La confusione ha portato Israele il 10 novembre a ridurre il proprio bilancio delle vittime a 1.200, attraverso lalto portavoce del governo israeliano Mark Regev che ha ammesso che 200 dei morti originariamente contati come israeliani erano in realtà combattenti palestinesi.

Autorizzazione a sparare”

Ma non è così che Barak Hiram, il generale di brigata presente sul posto, ha descritto gli eventi di Beeri.

Hiram ha descritto sé stesso nell’entrare eroicamente in una situazione caotica, assumendo il comando, combattendo coraggiosamente i terroristi e salvando ostaggi civili.

Ha anche raccontato storie di atrocità rivelatesi bugie grazie ai resoconti delle due sopravvissute, Yasmin Porat e Hadas Dagan.

Sabato mattina, quando abbiamo capito che era in corso uninvasione nellarea intorno a Gaza, molti soldati ed ex soldati provenienti da tutto Israele si sono uniti per sconfiggere i terroristi e salvare le famiglie israeliane nelle loro case”, ha detto Hiram l’11 ottobre al canale israeliano i24News.

Due settimane dopo, nella sua intervista del 26 ottobre con Ilana Dayan di Channel 12, ha ampliato la sua versione.

A un certo punto è arrivato anche Nissim Hazan, comandante di brigata nella mia divisione”, spiega Hiram.

Come Hiram, anche Hazan risiede in una colonia nella Cisgiordania occupata.

“È arrivato come comandante carrista su un unico carro armato che è riuscito a riparare dopo che aveva subito dei danni, ed è stato il nostro primo carro armato ad entrare nell’insediamento”, dice Hiram.

“E gli ho dato l’autorizzazione a sparare con mortai contro gli edifici solo per bloccare i terroristi”, aggiunge Hiram.

Parlando della situazione degli ostaggi, Hiram dice che mentre un commando israeliano noto come YAMAM stava ripulendo” uno dei quartieri, uno dei cittadini è riuscito a fuggire da una casa”.

Questa frase sembra riferirsi alluscita negoziata di Porat dalla casa Cohen insieme al combattente palestinese Hasan Hamduna.

“E ciò porta ad una situazione o sensazione secondo cui i terroristi barricati lì all’interno dell’isolato [di case] avrebbero potuto essere pronti a discutere o qualcosa del genere”, ricorda Hiram.

Secondo Hiram sarebbe arrivata sulla scena una squadra speciale di negoziatori che avrebbe cercato di comunicare con i combattenti all’interno.

Le distorsioni e le bugie di Hiram

Fino a questo punto il racconto di Hiram coincide più o meno con quello di Porat ma poi, con la complicità di Ilana Dayan, si trasforma in una spirale di distorsioni e di vere e proprie invenzioni.

Hanno risposto?” Dayan chiede riguardo agli sforzi di negoziazione. “Ci hanno risposto con un razzo RPG”, replica Hiram.

“A questo punto ho autorizzato il comandante della forza YAMAM a irrompere all’interno e cercare di salvare i cittadini intrappolati in quegli edifici”, afferma Hiram.

“Quindi la forza YAMAM ha ingaggiato una battaglia davvero eroica facendo irruzione all’interno”, impreziosisce Dayan. “C’era qualche speranza che ci fossero ancora degli ostaggi da salvare?”

“Credo che in quell’isolato ci fossero circa 20 abitanti e che le forze YAMAM siano riuscite a salvarne circa quattro”, afferma Hiram.

Tutti gli altri sono stati assassinati”, continua Dayan.

“Tutti gli altri sono stati assassinati a sangue freddo”, risponde Hiram. “E lì abbiamo trovato otto bambini legati insieme e fucilati e una coppia, marito e moglie, legati insieme e fucilati.”

Menzogne mortali ascoltate a Washington

Il racconto di Hiram costituisce probabilmente la fonte delle affermazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu giunte subito dopo direttamente al presidente degli Stati Uniti Joe Biden, secondo cui Hanno preso decine di bambini, li hanno legati, bruciati e giustiziati”.

Il quotidiano israeliano Haaretz ha confutato le affermazioni, riferendo allinizio di questo mese che non ci sono prove che bambini di diverse famiglie siano stati assassinati insieme”.

Ciò vale anche per le famiglie tenute in ostaggio nell’abitazione di Pessi Cohen, come confermano gli unici prigionieri scampati alla morte.

Hadas Dagan non ha mai affermato che gli ostaggi fossero stati legati e Yasmin Porat ha precisato in un’intervista del 12 ottobre a Channel 12 che il suo compagno Tal Katz, ucciso anche lui dal bombardamento decisivo del carro armato, era l’unico nel loro gruppo di 15 ostaggi che i combattenti di Hamas avevano ammanettato.

Dagan non ha mai affermato che vi siano state esecuzioni e Porat ha insistito sul fatto che ciò non è avvenuto.

Nella stessa intervista del 12 ottobre Porat ha affermato che, sebbene tutti i combattenti palestinesi fossero ben provvisti di armi, non li ha mai visti sparare ai prigionieri o minacciarli.

Non ci hanno maltrattato. Ci hanno trattato in modo molto umano”, ha detto Porat tre giorni dopo nella sua ormai famosa intervista radiofonica con Kan.

«Con questo intendo dire che ci sorvegliavano. Di tanto in tanto ci davano qualcosa da bere. Quando vedevano che eravamo nervosi ci calmavano”, ha aggiunto. “È stato molto terrificante, ma nessuno ci ha trattato con violenza. Fortunatamente non mi è successo niente di simile a quello che ho sentito dai media”.

Inoltre, né Porat né Dagan hanno mai riferito, né è emerso alcun video, di commando israeliani che avessero fatto irruzione nella casa nel tentativo di salvare i prigionieri.

E contrariamente alla descrizione fatta da Hiram si sono svolte delle trattative, come ha descritto Porat.

Alcuni giorni dopo la messa in onda da parte di Channel 12 dell’intervista con Hiram Channel 13 ha trasmesso le registrazioni delle chiamate ai servizi di emergenza in cui i combattenti palestinesi cercavano di negoziare un passaggio sicuro per il loro ritorno a Gaza.

Anche un resoconto degli eventi di Beeri pubblicato sul New York Times il 22 dicembre descrive Hiram come un uomo che aveva fretta di usare la forza, nonostante altri ufficiali pensassero che i negoziati avrebbero potuto produrre risultati migliori.

“Mentre si avvicinava il crepuscolo il comandante dello SWAT [commando] e il generale Hiram hanno iniziato a discutere”, riferisce il Times. Il comandante della SWAT pensava che altri rapitori avrebbero potuto arrendersi. Il generale voleva che la situazione fosse risolta prima della notte.

“Qualche minuto dopo, secondo il generale e altri testimoni, i militanti avrebbero lanciato una granata con un lanciarazzi”, afferma il giornale.

Le trattative sono finite”, avrebbe detto Hiram al comandante del carro armato, secondo il Times. Irrompete anche a costo di vittime civili”.

Invece di salvare quattro persone come riferito a Ilana Dayan, ordinando di sparare proiettili contro la casa, Hiram ha fatto sì che tutti sul campo di battaglia tranne Hadas Dagan fossero uccisi e che almeno altri tre – Liel Hatsroni, la sua zia e tutrice Ayala Hatsroni e Suhayb al-Razim – fossero quasi completamente inceneriti sul posto.

I parenti chiedono un’inchiesta

I parenti delle persone uccise a Beeri, tenendo conto delle bugie di Hiram, si pongono domande su ciò che è accaduto ai loro cari.

Raccogliamo frammenti di informazioni, nessuno ci parla in modo chiaro”, dice Naama Ben Ami, la cui madre Hava è stata uccisa a Beeri. “Non sappiamo davvero cosa sia successo qui.”

Ben Ami e altri parenti sono stati intervistati tra le rovine di Beeri nel corso dello stesso servizio di Channel 12 del 9 dicembre in cui Hadas Dagan ha parlato per la prima volta.

“Penso che qui ci siano molte questioni inquietanti sulla gestione delle operazioni”, dice Omri Shifroni, nipote di Ayala Hatsroni e cugino dei gemelli dodicenni da lei allevati, Liel e Yanai Hatsroni, tutti morti nel massacro di Be’eri.

“Come sono arrivati ​​qui? Quando hanno aperto il fuoco, chi ha sparato? Non so chi li abbia uccisi”, dice Shifroni.

Poi fa un riferimento esplicito alle affermazioni di Hiram fatte nellintervista con Dayan.

“Non ne aveva idea!” Shifroni dice del generale di brigata. Anche quando ha parlato, e questo è successo due settimane dopo [gli eventi del 7 ottobre], non aveva idea di cosa fosse successo qui. Nessun indizio, perché non era la verità.

“Questo è qualcosa su cui devono indagare”, dice Sharon Cohen, la nuora di Pessi Cohen. “Devono farlo.”

Stavano parlando specificamente dei loro stessi parenti, ma ciò che è accaduto al kibbutz Beeri non è stata l’unica circostanza in cui Israele ha ucciso la propria gente, sia per sconsiderata incompetenza sia intenzionalmente.

La verità trapela

Finora la verità ha cominciato a trapelare solo un po’ alla volta.

A novembre una fonte della polizia israeliana ha ammesso che elicotteri militari hanno sparato contro i civili al rave Supernova – la festa musicale nel deserto vicino a Beeri a cui avevano partecipato Yasmin Porat e il suo compagno.

Nof Erez, un colonnello dellaeronautica israeliana, è arrivato addirittura a definire la risposta israeliana al 7 ottobre un Annibale di massa” – unapplicazione su larga scala della dottrina militare israeliana che consente luccisione deliberata della sua stessa gente piuttosto che consentire che vengano fatti prigionieri.

Nello stesso mese Israele ha rivelato che centinaia di corpi bruciati in modo irriconoscibile, ritenuti appartenenti ai suoi stessi civili, erano in realtà di combattenti di Hamas: una chiara ammissione di fuoco indiscriminato su vasta scala.

Allinizio di questo mese lesercito israeliano ha ammesso un’“immensa” quantità di cosiddetti incidenti di fuoco amico verificatisi il 7 ottobre, ma ha affermato che non sarebbe moralmente sano” indagare su di essi, come ha riportato il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth.

Israele ha inoltre dovuto affrontare un enorme imbarazzo internazionale e rabbia in patria dopo che il suo esercito ha ammesso di aver ucciso tre prigionieri israeliani che erano riusciti a scappare dai loro sequestratori a Gaza.

Il mostro” palestinese

Mentre luccisione il 7 ottobre di civili israeliani – uomini e donne, giovani e anziani – da parte dei combattenti palestinesi è stata ampiamente riportata, quella di civili israeliani da parte delle forze israeliane, avvenuta nello stesso giorno, è stata insabbiata dallo Stato israeliano.

Nel frattempo, i media israeliani e i loro simpatizzanti allestero diffondono con grande enfasi affermazioni non verificate e bugie per distrarre o giustificare il genocidio di Gaza.

Tra queste le famigerate bugie sui bambini ebrei giustiziati e appesi a un filo per il bucato, decapitati e persino cotti in un forno.

Ma in un Israele più entusiasta che mai di annientare i palestinesi, sono poche le voci che chiedono una reale assunzione di responsabilità su ciò che è accaduto il 7 ottobre e dopo.

Si prenda Ilana Dayan per esempio.

Nella veste di una delle più importanti reporter “investigative” israeliane, ha cercato di scagionare Barak Hiram dalla responsabilità del bombardamento del carro armato che ha ucciso a Be’eri dei cittadini israeliani affermando: “Per quanto le notizie riportano un incidente con degli ostaggi a Be’eri, purtroppo in realtà non cerano ostaggi”.

Ecco come ha spiegato cosa sarebbe successo quel giorno in una recente puntata del podcast Unholy, condotto da Yonit Levy di Channel 12 e Jonathan Freedland di The Guardian: “C’è un mostro che è cresciuto dall’altra parte della recinzione, dall’altra parte del confine.”

Per quanto molto spigliata nel riferire esagerazioni e invenzioni Dayan non ha espresso alcun interesse per ciò che Israele fa da oltre 75 anni ai palestinesi in tutto il Paese, e soprattutto a Gaza, tanto da averli indotti a lanciare un attacco armato su vasta scala contro Israele.

Quando le è stato chiesto se gli israeliani un giorno avrebbero dovuto fare i conti con lorribile portata di morte, sofferenza e devastazione che il loro esercito sta infliggendo ai civili a Gaza, Dayan ha risposto indignata.

È possibile capire che una nazione con il cuore spezzato è troppo distrutta per avere un minimo di empatia per laltro, per il nemico?” ha chiesto Dayan. Cosa si aspettava Hamas quando ha lanciato questa atrocità brutale, sadica, terribile, mostruosa? Cosa si aspettavano?”

E alla domanda se agli israeliani dovesse essere mostrata questa realtà, Dayan ha risposto: Non siamo giornalisti stranieri, siamo giornalisti israeliani. Non è il momento per noi di fare valutazioni su entrambe le parti”.

Ciò potrebbe spiegare perché Dayan abbia voluto aiutare Barak Hiram e assecondare il suo fantasioso racconto della battaglia di Beeri, seppellendo la verità su come Israele abbia ucciso lì i suoi stessi cittadini.

Tuttavia, ciò non spiega perché i media, le organizzazioni e i governi internazionali, comprese le Nazioni Unite, continuino ad accettare le bugie di Israele e non abbiano richiesto indagini credibili e indipendenti su ciò che è realmente accaduto il 7 ottobre.

Il prezzo di questa complicità lo sta pagando il popolo di Gaza.

Ali Abunimah è il direttore esecutivo di The Electronic Intifada.

David Sheen è lautore di Kahanism and American Politics: The Democratic Partys Decades-Long Courtship of Racist Fanatics [Kahanismo e politica americana: il corteggiamento decennale dei fanatici razzisti da parte del Partito Democratico, ndt.].

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele arresta quasi tanti palestinesi quanti ne ha rilasciati durante la tregua

Zena Al Tahhan

28 novembre – Al Jazeera

Nei primi quattro giorni dello scambio di prigionieri tra Israele e Hamas, Israele ha rilasciato 150 palestinesi e ne ha arrestati 133

Ramallah, Cisgiordania occupata – Mentre si svolgeva lo scambio di prigionieri con Hamas, il gruppo armato con sede a Gaza, Israele ha continuato ad arrestare decine di palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est.

Nei primi quattro giorni della tregua tra Israele e Hamas, iniziata venerdì, Israele ha rilasciato 150 prigionieri palestinesi – 117 minori e 33 donne.

Hamas ha rilasciato 69 prigionieri: 51 israeliani e 18 persone di altre nazionalità.

Negli stessi quattro giorni, secondo le associazioni dei prigionieri palestinesi, Israele ha arrestato almeno 133 palestinesi a Gerusalemme Est e in Cisgiordania.

Finché ci sarà occupazione, gli arresti non si fermeranno. La gente deve capirlo perché questa è una politica fondamentale dell’occupazione contro i palestinesi per schiacciare qualsiasi tipo di resistenza”, dice ad Al Jazeera Amany Sarahneh, portavoce della Associazione dei Prigionieri Palestinesi.

“E’ una pratica quotidiana, non solo dopo il 7 ottobre”, aggiunge. “Ci aspettavamo che durante questi quattro giorni arrestassero più persone”.

La tregua mediata dal Qatar è arrivata dopo 51 giorni di incessanti bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza assediata, iniziati il 7 ottobre, il giorno in cui Hamas ha lanciato un attacco a sorpresa sul territorio israeliano uccidendo circa 1.200 persone.

Da allora Israele ha ucciso più di 15.000 palestinesi nella Striscia di Gaza, la maggior parte dei quali donne e minorenni.

Lunedì la tregua, originariamente di quattro giorni, è stata prorogata di altri due, durante i quali si prevede che verranno rilasciati altri 60 palestinesi e 20 ostaggi.

Dall’occupazione militare israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, che dura da 56 anni, le forze israeliane effettuano incursioni notturne nelle case palestinesi arrestando da 15 a 20 persone nelle giornate “tranquille”.

Nelle prime due settimane dopo il 7 ottobre Israele ha raddoppiato il numero dei palestinesi in detenzione, passando da 5.200 a più di 10.000. Il numero include 4.000 lavoratori di Gaza che lavoravano in Israele e sono stati detenuti prima di essere successivamente riportati a Gaza.

Avvocati dei prigionieri palestinesi e gruppi di monitoraggio hanno registrato 3.290 arresti in Cisgiordania e Gerusalemme Est dal 7 ottobre. A metà novembre, Eyad Banat, 35 anni, è stato arrestato mentre trasmetteva in diretta su TikTok. Successivamente è stato rilasciato.

Nessuna garanzia con l’occupazione”

Dall’inizio della tregua le strade di Ramallah si sono riempite di persone che accolgono i prigionieri liberati.

Ma la preoccupazione per i prigionieri palestinesi non finisce dopo il loro rilascio. La maggior parte delle persone liberate in genere viene nuovamente arrestata dalle forze israeliane nei giorni, nelle settimane, nei mesi e negli anni successivi al loro rilascio.

Decine di coloro che erano stati rilasciati in uno scambio di prigionieri tra Israele e Hamas nel 2011 sono stati nuovamente arrestati e la loro pena è stata confermata.

Sarahneh afferma che non è ancora chiaro se Israele abbia fornito garanzie che non arresterà nuovamente coloro che sono stati rilasciati.

Non ci sono garanzie con l’occupazione. Queste persone rischiano di essere nuovamente arrestate in qualsiasi momento. L’occupazione riarresta sempre le persone che sono state rilasciate”, sostiene.

“La prova più evidente che queste persone potrebbero essere nuovamente arrestate è che la maggior parte delle persone ora detenute sono prigionieri già liberati”, aggiunge.

Dal 7 ottobre le condizioni dei palestinesi agli arresti o in detenzione sono gravemente peggiorate. Molti hanno denunciato pestaggi, mentre sei prigionieri palestinesi sono morti durante la custodia israeliana.

Molte delle donne e dei minori rilasciati durante la tregua hanno testimoniato degli abusi subiti nelle carceri israeliane.

Nelle ultime settimane hanno circolato anche diversi video di soldati israeliani che picchiano, calpestano, maltrattano e umiliano palestinesi detenuti che sono bendati, ammanettati e parzialmente o interamente denudati. Molti utenti dei social media hanno affermato che le scene hanno riportato alla mente le tecniche di tortura utilizzate dalle forze statunitensi nella prigione irachena di Abu Ghraib nel 2003.

Oltre ai violenti pestaggi, secondo le associazioni per i diritti, le autorità carcerarie israeliane hanno sospeso le cure mediche ai prigionieri palestinesi almeno per la prima settimana dopo il 7 ottobre, anche a quelli che sono stati picchiati. Le visite dei familiari e le visite di routine degli avvocati sono state interrotte, dicono le associazioni.

Secondo i gruppi per i diritti umani in precedenza ai prigionieri venivano concesse tre o quattro ore fuori dalle celle nel cortile, ma ora hanno meno di un’ora.

Le celle sovraffollate spesso ospitano il doppio del numero di detenuti per cui sono state costruite, molti dormono sul pavimento senza materassi, affermano.

Le autorità carcerarie israeliane hanno anche tagliato l’elettricità e l’acqua calda, condotto perquisizioni nelle celle, portato via tutti i dispositivi elettrici inclusi televisori, radio, piastre da cucina e bollitori, e chiuso la mensa, che i prigionieri usano per acquistare cibo e beni di prima necessità, come il dentifricio.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Lo scambio di prigionieri di Hamas e la guerra genocida di Israele: il contesto è cruciale

Iqbal Jassat

24 novembre 2023 – The Palestine Chronicle

In questa situazione è perfettamente logico che Hamas ricorra a mezzi creativi per spezzare la paralisi dell’assedio.

Storicamente la resistenza o la lotta armata da parte dei movimenti di guerriglia impegnati in combattimenti asimmetrici contro regimi canaglia hanno sempre catturato soldati nemici da impiegare come merce di scambio per ottenere vantaggi militari.

È fondamentale comprendere il contesto dell’operazione lanciata da Hamas il 7 ottobre, che l’estrema destra israeliana ha utilizzato come pretesto per lanciare un implacabile bombardamento via terra, mare e aria della popolazione civile di Gaza assediata.

* Gaza non è uno stato indipendente;

* È un campo di concentramento a cielo aperto per rifugiati palestinesi sotto occupazione militare israeliana;

* È sottoposto a un crudele blocco militare che lo isola dal mondo esterno;

* Non possiede un esercito, né aerei da caccia militari, né elicotteri e carri armati;

* Non ha nemmeno un aeroporto o un porto navale.

Quindi definire con disinvoltura il massacro di migliaia di persone da parte di Israele come una “Guerra contro Gaza”, come fanno alcuni media e commentatori, è fuorviante.

Ciò implica ingannevolmente che la guerra sia tra due Stati uguali, mentre la realtà è che Gaza si può definire solo come un’enclave “bantustan” che fa parte del territorio palestinese occupato.

Inoltre una componente importante della responsabilità della potenza occupante nei confronti dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza ai sensi del diritto internazionale è sorprendentemente assente nel discorso pubblico.

La potenza occupante deve garantire un trattamento umano della popolazione e provvedere ai suoi bisogni primari, compresi cibo e assistenza medica.

Purtroppo, come sottolineato dal professor Abdelwahab El-Affendi in un recente articolo su Al Jazeera, i sostenitori di ieri della dottrina della “responsabilità di proteggere” sono oggi i maggiori sostenitori dell’assalto genocida di Israele a Gaza.

La considerazione fondamentale è che Israele occupa la Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza, che collettivamente costituiscono i Territori Palestinesi Occupati (Opt), dal 1967. Contrariamente a quanto sostiene il regime israeliano, il ritiro da parte di Israele delle sue forze di terra non ha posto fine all’occupazione di Gaza.

Un altro elemento di confusione deliberatamente generato da Israele riguarda il valico di Rafah con l’Egitto. L’impressione che il Cairo ne abbia la piena sovranità è fuori luogo. La realtà è che Israele monitora tutte le attività al valico dalla sua base militare di Kerem Shalom. Decide quando l’Egitto può aprirlo, per quanto tempo e a chi e cosa è consentito entrare o uscire da Gaza.

La capacità dell’Egitto di esercitare la propria volontà diventa una buffonata se le forze di sicurezza israeliane supervisionano le liste dei passeggeri – decidendo chi può attraversare – e monitorano le operazioni e possono negare il “consenso e la cooperazione” necessari per mantenere aperto il valico.

In questo contesto è perfettamente logico che Hamas, in quanto movimento di liberazione indigeno, non solo ricorra a mezzi creativi per rompere la paralisi dell’assedio, ma anche per resistere al progressivo genocidio da parte degli occupanti.

La Resistenza palestinese è quindi in grado di assicurarsi di mantenere la superiorità morale avendo offerto il rilascio di civili tenuti come “ospiti” – qualche settimana fa – ma l’offerta è stata respinta da un intransigente gabinetto di guerra israeliano sostenuto dagli Stati Uniti.

Ora che un “accordo” è stato raggiunto, in netto contrasto con gli obiettivi di Netanyahu di eliminare Hamas, è importante notare che molti nel mondo, soprattutto tra i media, sono ora costretti a concentrarsi sul fatto che i prigionieri palestinesi in attesa di rilascio hanno nomi e identità degni di menzione – non sui profili anonimi preferiti dal carceriere per descriverli come terroristi.

I minori e le donne che fanno parte dei 150 da rilasciare sono stati incarcerati senza processo, in violazione del giusto processo e, a volte, tenuti per decenni in condizioni che possono essere definite come tortura

Grazie alla Resistenza saranno finalmente liberi; in verità molte altre migliaia di persone imprigionate in Israele semplicemente per aver fatto valere i propri diritti meritano la libertà.

Lo scambio simboleggia per i palestinesi in molti modi una svolta verso il raggiungimento della agognata libertà dalle grinfie di un’occupazione oppressiva e inflessibile che non riesce a imparare la lezione del Sud Africa: apartheid, razzismo, occupazione militare, negazione dei diritti umani sono insostenibili e destinati a fallire – con o senza il sostegno occidentale.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)