Per scongiurare una grave crisi alimentare la Palestina richiede un’attenzione immediata

Ramzy Baroud

19 aprile 2022 – Middle East Monitor

Mohammed Rafik Mhawesh, un giovane giornalista di Gaza e mio amico, mi ha detto che nel territorio assediato nelle ultime settimane il costo del cibo è salito alle stelle. Le famiglie già impoverite faticano a mettere insieme il pranzo con la cena. Ha spiegato che “I prezzi dei generi alimentari hanno subito una notevole impennata, specialmente dall’inizio della guerra Russia-Ucraina.”

Il costo di alimenti essenziali come grano e carne è raddoppiato. Quello dei polli, per esempio, che comunque solo una piccola frazione degli abitanti Gaza poteva permettersi, è aumentato da 20 shekel (circa 5.70 euro) a 45 shekel (quasi 13 euro).

Tale impennata sarebbe forse gestibile in alcune parti del mondo, ma in una società già poverissima che da 15 anni subisce un assedio ermetico da parte dell’esercito israeliano si tratta di una imminente e grave crisi alimentare.

L’ong internazionale Oxfam l’ha segnalata l’11 aprile, quando ha comunicato che i prezzi dei generi alimentari nella Palestina occupata erano saliti del 25% e, cosa più allarmante, le scorte di farina nei Territori Palestinesi Occupati potrebbero “esaurirsi in tre settimane “.

L’impatto della guerra Russia-Ucraina si fa sentire in tutto il mondo, in alcuni luoghi più che in altri. I Paesi africani e mediorientali che da anni combattono contro povertà, fame e disoccupazione sono i più colpiti.

Comunque la Palestina è tutta un’altra storia. È un Paese occupato che dipende quasi interamente dai provvedimenti della potenza occupante, Israele, che si rifiuta di rispettare il diritto internazionale e quello umanitario. Il problema dei palestinesi è complesso, ma, in un modo o nell’altro, quasi ognuno dei suoi vari aspetti è collegato a Israele.

Da molti anni Gaza è soggetta al blocco economico imposto da Israele. La quantità di cibo a cui Israele permette di entrare nella Striscia è razionata e manipolata dallo Stato occupante e usata come punizione collettiva. Amnesty International nel suo rapporto sull’apartheid in Israele pubblicato a febbraio ha dettagliato le restrizioni israeliane sulle derrate palestinesi e le riserve di carburante. Secondo l’organizzazione dei diritti umani Israele usa “formule matematiche per determinare quanto cibo far entrare a Gaza”, limitando le provviste a ciò che Tel Aviv giudica “essenziale per la sopravvivenza della popolazione civile”.

A parte i molti problemi infrastrutturali derivanti dall’assedio, come la quasi totale mancanza di acqua potabile, elettricità e attrezzature agricole, Gaza ha per esempio anche perso gran parte della sua terra coltivabile, destinata ad essere una zona di esclusione militare israeliana stabilita lungo il confine nominale intorno alla Striscia.

La Cisgiordania non sta molto meglio. La maggior parte dei palestinesi nei Territori Occupati, oltre all’impatto devastante della pandemia da Covid-19 e alle debolezze strutturali nell’Autorità Palestinese, afflitta da corruzione e malgoverno, sta patendo l’oppressione crescente dell’occupazione israeliana.

Secondo Oxfam l’ANP importa il 95% del suo grano e non possiede nessuna struttura di stoccaggio. Tutte queste importazioni passano attraverso Israele, che controlla ogni accesso alla Palestina dal mondo esterno. Dato che Israele stesso importa quasi metà del suo grano e cereali dall’Ucraina, i palestinesi sono ostaggio di questo particolare meccanismo dell’occupazione.

Comunque Israele ha ammassato riserve di cibo ed è in massima parte indipendente per l’energia, mentre i palestinesi sono in difficoltà a tutti i livelli. Mentre l’ANP ha parte della colpa per aver investito nel suo elefantiaco apparato di “sicurezza” a spese della sicurezza alimentare, Israele ha in mano quasi tutte le chiavi della sopravvivenza dei palestinesi.

A causa delle centinaia di checkpoint nella Cisgiordania occupata posti dall’esercito israeliano e che separano le comunità una dall’altra e i contadini dalle proprie terre, in Palestina l’agricoltura sostenibile è quasi impossibile. Questa complessa situazione è ulteriormente aggravata da due grossi problemi: gli oltre 700 kilometri del cosiddetto “Muro di Separazione” che non “separano” per niente gli israeliani dai palestinesi, ma privano illegalmente i palestinesi di ampie aree delle loro terre, quasi tutte zone agricole, e il vero e proprio furto di acqua palestinese dalle falde acquifere della Cisgiordania. Mentre molte comunità palestinesi in estate non hanno acqua potabile, Israele non ha mai scarsità di acqua in nessun periodo dell’anno.

La cosiddetta Area C determinata dagli Accordi di Oslo costituisce quasi il 60% dell’area totale della Cisgiordania ed è sotto completo controllo militare israeliano. Sebbene sia relativamente poco popolata, contiene la maggior parte dei terreni agricoli dei Territori Palestinesi Occupati, specialmente le zone della fertilissima valle del Giordano. A causa della pressione internazionale Israele ha rimandato la sua annessione ufficiale dell’Area C, ma essa è comunque praticamente avvenuta e i palestinesi sono lentamente cacciati via e rimpiazzati da una popolazione crescente di coloni illegali ebrei-israeliani.

I prezzi dei generi alimentari in rapida crescita stanno danneggiano proprio quei contadini e allevatori che sono impegnati a riempire l’enorme voragine causata dall’insicurezza alimentare globale risultante dalla guerra. Secondo Oxfam, in Cisgiordania i costi dei mangimi sono saliti del 60%, problema che va ad aggiungersi al “presente fardello” che gli allevatori devono affrontare, come l’”inasprimento dei violenti attacchi dei coloni israeliani” e “lo sfollamento forzato”, un eufemismo usato per definire la pulizia etnica, parte delle politiche di annessione di Israele.

La fine della guerra Russia-Ucraina probabilmente porterebbe un parziale miglioramento, ma persino questo non porrebbe fine all’insicurezza alimentare della Palestina dato che il problema è provocato e prolungato da specifiche politiche israeliane. Nel caso di Gaza infatti la crisi è totalmente creata da Israele con in mente specifici obiettivi politici. L’infame commento dell’ex consigliere del governo israeliano Dov Weisglass che nel 2006 spiegava i motivi dell’assedio di Gaza resta il principio guida dell’atteggiamento di Israele verso la Striscia: “L’idea è di mettere i palestinesi a dieta, ma di non farli morire di fame.”

Perciò, per scongiurare una grave crisi alimentare, la Palestina ha bisogno di un’attenzione immediata. L’estrema e prolungata povertà e l’elevata disoccupazione a Gaza non lasciano alcun margine per altre disastrose limitazioni. Comunque qualsiasi cosa si faccia ora sarebbe solo un rimedio a breve termine. Si deve tenere un dibattito serio, che coinvolga i palestinesi, i Paesi arabi, la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) e altri organismi per discutere e risolvere l’insicurezza alimentare palestinese. Per la gente della Palestina occupata questa è la vera e concreta minaccia esistenziale.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)