Il prestigioso festival del documentario di Amsterdam deve affrontare boicottaggi e proteste a seguito delle dichiarazioni anti-palestinesi
Niloufar Nematollahi
16 novembre 2023 – Mondoweiss
Oltre 20 registi si sono ritirati dall’International Documentary Film Festival di Amsterdam in seguito alla condanna del discorso sulla liberazione della Palestina e al rifiuto di prendere posizione contro l’attacco genocida di Israele contro Gaza.
I registi stanno adottando delle iniziative contro l’International Documentary Film Festival di Amsterdam (IDFA) in seguito alla ingannevoli dichiarazioni nel corso della presentazione del festival, all’attacco allo slogan “From the River to the Sea Palestine Will be Free” [Dal fiume al mare la Palestina sarà libera, ndt.] e al rifiuto di solidarizzare con i palestinesi di fronte all’attacco genocida di Israele contro Gaza.
L’IDFA, il più grande festival internazionale del documentario al mondo, ha una tradizione di valorizzazione dei registi palestinesi. Ma le ultime dichiarazioni ed eventi del festival sono stati visti come un doloroso tradimento.
Come ha spiegato il regista di Gaza Mohammed Almughanni
durante uno dei suoi discorsi all’IDFA: “Se mi riconoscete come regista che mette sulla scena il dolore dei palestinesi ma non riconoscete che i palestinesi debbano avere una vita dignitosa la vostra attenzione per i miei film non significa nulla per me”. “I film non significano nulla per me se non avete a cuore una Palestina libera per i personaggi dei miei film”. In un altro discorso Almughanni ha reagito all’attacco dell’IDFA contro lo slogan “From the River to the Sea Palestine Will be Free” dicendo: “Se non volete che cantiamo per la libertà dal fiume al mare, allora da dove a dove? Da questo muro di ferro a quell’altro? Da questo filo spinato al successivo?”
Finora 21 registi hanno ritirato i loro film, e gli interventi di solidarietà con la Palestina continuano a dominare il festival.
Dichiarazioni dell’IDFA
Il 10 novembre l’IDFA ha rilasciato una dichiarazione in cui si scusava per l’esposizione di uno striscione con lo slogan “From the River to the Sea Palestine Will be Free” durante un evento organizzato in occasione dell’apertura del festival dall’organizzazione attivista Lavoratori per la Palestina (WFP), con sede nei Paesi Bassi. Nella dichiarazione l’IDFA manifestava gratitudine verso coloro che avevano espresso “il dolore provato” a cospetto dello slogan e dell’azione di protesta contro il silenzio iniziale del festival sul genocidio a Gaza. Nella dichiarazione viene citato il direttore artistico del festival Orwa Nyrabia, che definisce lo slogan “offensivo” e afferma che “non rappresenta l’IDFA e non ha avuto ne avrà la sua approvazione”.
All’inizio della giornata era stata resa nota una petizione a nome della comunità cinematografica e documentaristica israeliana che criticava gli “applausi calorosi” verso i manifestanti da parte di Nyrabia l’8 novembre, serata di apertura del festival. Anche se, secondo la legge olandese, lo slogan “From the River to the Sea Palestine Will be Free” non è considerato antisemita rientrando nelle libertà di espressione, la petizione fonde l’idea di liberazione palestinese con l’antisemitismo, sostenendo che “permettere e applaudire una dichiarazione significativa come “Dal fiume al mare la Palestina sarà libera” sarebbe un appello a favore dello sradicamento di Israele, della patria ebraica e degli ebrei in generale”.
In seguito alla dichiarazione dell’IDFA del 10 novembre i registi hanno iniziato a ritirare i loro documentari dal festival e a rilasciare dichiarazioni con la richiesta di un cessate il fuoco, condividendo il vero significato dello slogan criminalizzato ed esprimendo il loro sostegno all’azione di protesta condotta la sera dell’inaugurazione del festival. Anche i moderatori, gli artisti, i membri della giuria e lo staff del festival hanno presto iniziato a dimettersi e a criticare l’approccio del festival nei confronti del genocidio in Palestina e il modo in cui le voci dei manifestanti sono state messe a tacere. In una lettera condivisa con Mondoweiss, scritta da un gruppo di dipendenti del festival e rivolta ai direttori dell’IDFA, viene criticato l’uso da parte dell’IDFA nella sua dichiarazione del pronome “noi”, che sembrerebbe voler esprimere “la posizione dell’organizzazione nel suo insieme”, mentre molti membri dello staff del festival sono solidali con la Palestina e non riconoscono le proprie convinzioni riflesse nelle dichiarazioni dell’IDFA.
La regista palestinese Basma al-Sharif è stata una delle prime a ritirare il suo film e la sua partecipazione come membro della giuria dell’IDFA, criticando il festival per aver condannato lo slogan invece di “denunciare il genocidio che sta avendo luogo proprio adesso a Gaza”.
“Dal fiume al mare è la terra della Palestina storica che si estende dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo”, ha condiviso in una dichiarazione collettiva scritta da un gruppo di registi dell’IDFA allarmati dalla risposta del festival al suddetto slogan. “Dal fiume al mare i palestinesi sono soggetti alle condizioni dell’occupazione e dell’apartheid. Dal fiume al mare I palestinesi dovrebbero unirsi nella lotta per la libertà, la giustizia e l’autodeterminazione. Dal fiume al mare vogliamo che palestinesi ed ebrei, lavoratori stranieri e rifugiati, siano uguali e liberi”, aggiunge questo gruppo di documentaristi.
Maryam Tafakory, un’altra regista che si è ritirata dal festival, ha rilasciato in seguito una dichiarazione, affermando di sentirsi tradita e indignata dalla “dannosa calunnia” contro lo slogan da parte dell’IDFA e dall’enfasi della sua dichiarazione sul “sogno universale di un mondo pacifico”. “Per pace intendono solo il ritorno all’occupazione, al furto silenzioso della terra e all’omicidio” ha scritto. “Non esiste una via di mezzo in uno Stato di apartheid. Non c’è via di mezzo quando una parte ammette la pulizia etnica dell’altra”, ha aggiunto.
Tafakory ha anche preso di mira una seconda dichiarazione rilasciata dall’IDFA il 10 novembre, poche ore dopo la prima che condannava la dichiarazione sulla libertà della Palestina. Nella seconda dichiarazione l’IDFA ha chiesto “un cessate il fuoco immediato”, ma molti registi filo-palestinesi e palestinesi hanno ritenuto che il tono di scusa della seconda dichiarazione non riuscisse a esprimere una solidarietà con la lotta palestinese per la liberazione. La velleità dell’IDFA di presentare dei film di palestinesi rifiutandosi di fare una chiara dichiarazione di solidarietà con loro è una forma di sfruttamento commerciale della lotta palestinese e una manifestazione di un modello che non è esclusivo dell’IDFA ma una pratica endemica delle istituzioni artistiche occidentali che sfruttano lotte di emancipazione e popoli espropriandoli del loro pieno significato a scopo di profitto.
Protesta contro il silenzio del festival
Riflettendo sui discorsi, dichiarazioni e ritiri seguiti alla protesta durante la serata di apertura dell’IDFA, la produttrice e curatrice cinematografica Yara Yuri Safadi, che ha lavorato con il festival come moderatrice ma quest’anno ha deciso di dimettersi in seguito alla dichiarazione dell’IDFA, ha spiegato a Mondoweiss che nelle settimane precedenti il festival aveva aspettato che l’IDFA facesse un appello per un cessate il fuoco. Ma è arrivato il primo giorno del festival e l’IDFA ha mantenuto il silenzio.
“Ho deciso comunque di andare alla serata inaugurale”, afferma Safadi, “e ho aspettato che Orwa dicesse quelle poche parole: Gaza, Palestina, cessate il fuoco, liberazione”. Dal momento che il direttore artistico del festival non ha condiviso questi sentimenti durante il suo discorso di apertura Safadi, insieme ad altri manifestanti, ha tirato fuori due striscioni, uno con lo slogan “From the River to the Sea, Palestine will be Free” e un altro con la scritta: “Institutional silence is violence” [Il silenzio istituzionale è violenza, ndt.]. Safadi ha gridato “cessate il fuoco adesso” mentre altri hanno portato uno degli striscioni sul palco, appendendo l’altro alla balconata accanto a una bandiera palestinese e interrompendo il “business as usual” dell’evento. Safadi afferma che l’appello dei manifestanti per un cessate il fuoco è stato accolto con fischi dal consiglio dell’IDFA. “Chi può fischiare contro una richiesta di cessate il fuoco? Chi può vietarmi di chiedere di fermare un genocidio?” ha chiesto nel rievocare i fatti durante un discorso tenuto il 13 novembre.
Tuttavia durante l’azione gli altri partecipanti e lo staff dell’IDFA si sono alzati in piedi e hanno applaudito i manifestanti. Dopo aver diffuso il filmato di questo atto di protesta, Workers For Palestine, un gruppo di attivisti di recente costituzione che sostiene la liberazione della Palestina occupata all’interno delle istituzioni artistiche, sociali, accademiche e civiche dei Paesi Bassi, ha scritto: “Sembra che l’IDFA apprezzi i palestinesi solo quando servono come foglia di fico progressista per il loro istituto”, contrapponendo all’ammissione al festival di opere di registi palestinesi il doloroso silenzio dell’IDFA su Gaza e il suo attacco alle voci filo-palestinesi di fronte al colonialismo di insediamento israeliano e al genocidio in corso.
Ritiro del Palestine Film Institute
Dopo una prima ondata di ritiri il numero di registi che rifiutano di presentare i propri film all’IDFA continua a crescere. Il 12 novembre, il Palestine Film Institute (PFI) ha pubblicato una petizione in cui annunciava la propria solidarietà ai manifestanti che avevano interrotto l’inaugurazione del festival e il suo ritiro dall’IDFA. Il PFI, un istituto indipendente creato con lo scopo di sviluppare, promuovere e preservare il cinema palestinese, collabora con l’IDFA da sette anni, inclusa la creazione del Palestine Documentary Hub: un evento annuale di un giorno in cui i registi di documentari palestinesi presentano i loro progetti in corso per creare rapporti con l’industria cinematografica internazionale.
“Il giorno prima del Documentary Hub di quest’anno, con tutto ciò che sta accadendo all’IDFA, ci siamo chiesti: cosa significa presentare progetti sulla Palestina all’IDFA oggi?” Lo ha spiegato a Mondoweiss Mohanad Yaqubi, consulente e ideatore del programma pubblico del PFI. Alla fine il PFI ha deciso di procedere con le presentazioni da parte delle registe palestinesi Dalia Al-Kury, Elettra Bisogno e Noora Said come mezzo per rivendicare lo spazio del festival, rilasciando tuttavia la dichiarazione di ritiro dell’istituto da tutte le attività organizzate nello spazio di mercato all’IDFA. “Hanno fatto le loro presentazioni, ed è stato sorprendente perché il loro contenuto mostra le profonde connessioni tra ciò che sta accadendo oggi e la narrazione palestinese, il film documentario palestinese”, aggiunge Yaqubi.
Dopo il ritiro dal festival il PFI ha anche lanciato una petizione e ha invitato i registi a continuare ad agire in solidarietà con la Palestina. Il PFI ha esortato i registi a firmare la loro petizione, a ritirare i loro film dal festival e a criticare direttamente la risposta dell’IDFA alle proteste filo-palestinesi o a utilizzare domande e risposte, discorsi e sezioni d’incontro per concentrarsi sulla Palestina. I registi che si sono ritirati dal festival hanno anche chiesto all’IDFA di riconoscere la criminalizzazione dei contenuti delle voci e delle narrazioni palestinesi e di annunciare pubblicamente il motivo per cui le proiezioni sono state cancellate, cosa che il consiglio del festival si è fino ad ora rifiutato di fare.
Nonostante il tradizionale risalto concesso dall’IDFA ai registi palestinesi Yaqubi afferma che oggi si sente tradito dal tardivo appello del festival per un cessate il fuoco e dalla sua incapacità di mostrare solidarietà ai registi palestinesi. “I cineasti palestinesi hanno dovuto rivelare le loro emozioni, il che è un carico gravoso, davanti a persone e in spazi in cui confidavano per far capire all’IDFA che si tratta di 75 anni di occupazione”, ha detto a Mondoweiss. “Questo tradimento della fiducia è la parte più difficile.”
Il 13 novembre, il giorno dopo aver reso pubblico il proprio ritiro, il Palestine Film Institute ha annunciato una protesta davanti a una delle sedi principali del festival, il Teatro Internazionale di Amsterdam. “Non possiamo continuare a fare affari come al solito”, hanno scritto, invitando i registi e i membri del pubblico dell’IDFA a unirsi alla loro richiesta per “un cessate il fuoco immediato, la fine del genocidio e la fine dell’occupazione della Palestina”.
La solidarietà continua
Più di 50 manifestanti si sono radunati davanti alla sede dell’IDFA, dove sono state lette le dichiarazioni di ritiro scritte dai registi e dagli artisti, come Tafakory e Geo Wyex. Come ha spiegato Safadi a Mondoweiss, “voglio sottolineare che la maggior parte dei registi e dello staff IDFA che ci hanno sostenuto aderendo al ritiro o leggendo dichiarazioni prima e dopo le loro proiezioni e dedicando domande e risposte alla Palestina, provengono dal Sud del mondo, dal Sud Africa, Iran, o appartengono a popolazioni indigene e/o persone che si identificano come queer. Tutto il sostegno è arrivato da queste persone e dalle reti di solidarietà già esistenti che ci collegano”.
Le reti di solidarietà evidenziate da Safadi sono state verbalizzate anche in un discorso tenuto durante la protesta dal noto documentarista e membro del movimento di solidarietà con la Palestina in India, Anand Patwardhan. Dopo il suo discorso Patwardhan ha detto a Mondoweiss che, nonostante la scelta di alcuni registi di ritirarsi dall’IDFA, “dovrebbe essere chiaro che diversi palestinesi e loro sostenitori come me hanno deciso di non ritirare i loro film ma di utilizzare la piattaforma IDFA per amplificare la nostra opposizione al massacro in corso a Gaza. Mi congratulo con coloro che si sono ritirati dal festival e hanno acceso un dibattito internazionale. Mi congratulo con coloro che sono rimasti per innescare il dibattito dall’interno. Mi congratulo con coloro che ci hanno concesso lo spazio per farlo”. Come ha spiegato a Mondoweiss la regista palestinese Noora Said, “Il PFI ha suggerito diverse azioni, non solo il ritiro. E molti registi e artisti hanno reagito scegliendo una delle diverse azioni suggerite. A volte potrebbe essere più utile per i palestinesi e i loro sostenitori protestare in modi diversi dal ritiro”.
Uno dei gruppi che hanno espresso la loro solidarietà è stato il Queer Choir Amsterdam, che durante uno degli eventi dell’IDFA ha scandito “From the River to the Sea, Palestine will be Free”. Questo gruppo ha anche rilasciato una dichiarazione in cui sostiene che “l’IDFA trae costantemente profitto dalla programmazione di film sull’oppressione, la violenza e la decolonizzazione, ma non ha ancora avuto il coraggio di riconoscere e denunciare un genocidio in corso”.
Solidarietà alla causa palestinese è stata espressa anche durante il raduno organizzato dal PFI il 13 novembre dopo la manifestazione. Il suono dei manifestanti che gridavano “cessate il fuoco adesso” ha riempito i corridoi del Teatro Internazionale di Amsterdam mentre si dirigevano verso l’evento di solidarietà, tenutosi in uno degli spazi all’interno dell’edificio. Durante questo evento registi come Rehad Desai, Sky Hopinka e Niles Atallah hanno espresso solidarietà alla lotta palestinese per la liberazione.
Come ha spiegato Desai a Mondoweiss, “Sky, un regista nativo americano, e io, un regista sudafricano, abbiamo discusso su ciò a cui stiamo assistendo in Palestina, ovvero una riproduzione della storia coloniale, del palese sterminio dei nostri rispettivi popoli e della violenza di uno Stato illegittimo che viene equiparato a coloro che reagiscono o rispondono”.
Inoltre, in questo evento di solidarietà anche i registi palestinesi Mohammed Almughanni, Dalia Al-Kury, Mohammad Jabaly e Noora Said sono saliti sul palco per parlare delle loro esperienze come documentaristi in Palestina e dei loro sentimenti nei confronti dell’IDFA. Parlando della sua esperienza nella gestione della società di produzione video indipendente Sirdab Studio di Ramallah, dove vive, Noora Said ha parlato di come le sia vietato entrare a Gaza e di come la regista e giornalista di Gaza Roshdi Sarraj che gestiva la società sorella di Sirdab Studio, Ain Media, sia stata recentemente uccisa il 22 ottobre dagli attacchi aerei israeliani.
Durante un discorso sui suoi sentimenti nei confronti dell’IDFA Al-Kury si è rivolta “alle persone che stanno pagando per queste creazioni fantastiche”, dicendo: “Voi finanziate i nostri documentari, ma dubito che li guardiate davvero. Vi consiglio di guardare i nostri film perché se lo faceste, conoscereste la situazione della Palestina”. L’incontro si è concluso con le parole di Mohanad Yaqubi, che ha affermato: “Qui facciamo documentari, non affari. E che senso hanno i documentari se non cambiano il mondo?”
(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)