Sionismo contro Sionismo: Ben-Gvir e l’accelerazione del crollo di Israele

Ramzy Baroud

3 settembre 2024-Middle East Monitor

Il 26 agosto il ministro della sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben-Gvir ha giurato di costruire una sinagoga all’interno del Nobile Santuario di Al-Aqsa, il luogo sacro musulmano noto come Al-Haram Al-Sharif. Come rappresentante della potente tendenza del sionismo religioso di Israele nel governo e nella società in generale, Ben-Gvir è stato sincero riguardo ai suoi progetti nella Gerusalemme Est occupata e nel resto della Palestina. Ha sostenuto una guerra di religione, chiedendo la pulizia etnica dei palestinesi, la morte per fame o l’esecuzione dei prigionieri palestinesi e l’annessione della Cisgiordania.

Nella sua veste di ministro nel governo altrettanto estremista di Benjamin Netanyahu, Ben-Gvir ha lavorato duramente per tradurre il suo linguaggio in azione. Ha fatto irruzione ripetutamente nella moschea di Al-Aqsa e ha implementato le sue politiche di affamare i detenuti palestinesi, arrivando persino a difendere lo stupro nei campi di detenzione militari israeliani e a chiamare i soldati accusati di un crimine così atroce “i nostri migliori eroi”.

Inoltre i suoi sostenitori hanno compiuto centinaia di aggressioni e decine di pogrom contro le comunità palestinesi in Cisgiordania. Secondo il Ministero della Salute palestinese almeno 670 palestinesi sono stati uccisi nella Cisgiordania occupata dall’inizio della guerra di Gaza lo scorso ottobre. Un gran numero di persone uccise e ferite sono state vittime di coloni ebrei illegali.

Tuttavia non tutti gli israeliani nelle istituzioni politiche e di sicurezza sono d’accordo con il comportamento e le tattiche di Ben-Gvir. Ad esempio, il 22 agosto, il capo dello Shin Bet israeliano, Ronen Bar, ha messo in guardia contro i danni causati a Israele dalle azioni di Ben-Gvir a Gerusalemme Est.

Il danno allo Stato di Israele, soprattutto ora… è indescrivibile: delegittimazione globale, anche tra i nostri più grandi alleati”, ha scritto Bar in una lettera a diversi ministri israeliani.

La sua lettera può sembrare strana. Lo Shin Bet è stato determinante nell’uccisione di numerosi palestinesi in nome della sicurezza israeliana. Bar stesso è un forte sostenitore degli insediamenti coloniali illegali, tanto aggressivo quanto richiesto a una persona che guida un’organizzazione così famigerata. Il conflitto di Bar con Ben-Gvir, tuttavia, non è di sostanza, ma di stile.

Questo conflitto è solo l’espressione di una molto più estesa guerra ideologica e politica tra le principali istituzioni di Israele. Questa guerra “Sionismo contro Sionismo”, tuttavia, è iniziata prima dell’attacco del 7 ottobre e della guerra e del genocidio israeliani in corso a Gaza.

Sette mesi prima dell’inizio dell’attuale guerra a Gaza il presidente israeliano Isaac Herzog ha dichiarato in un discorso televisivo che “Coloro che pensano che una vera guerra civile… sia un confine che non attraverseremo, non ne hanno idea”.

Il contesto della sua dichiarazione era il “vero e profondo odio” tra gli israeliani derivante dai tentativi da parte di Netanyahu e dei suoi partner di coalizione del governo estremista di minare il potere della magistratura. La lotta per la Corte Suprema, tuttavia, era semplicemente la punta dell’iceberg. Il fatto che in Israele ci siano volute cinque elezioni in quattro anni per avere un governo stabile nel dicembre 2022 è esso stesso indicativo del conflitto politico senza precedenti di Israele.

Forse il nuovo governo è risultato “stabile” in termini di equilibri parlamentari, ma ha destabilizzato il Paese su tutti i fronti, provocando proteste di massa che hanno coinvolto la potente, ma sempre più emarginata classe militare.

L’attacco del 7 ottobre è avvenuto in un momento di vulnerabilità sociale e politica probabilmente senza precedenti dalla fondazione di Israele sulle rovine della Palestina storica nel maggio 1948.

La guerra, e in particolare il fallimento nel raggiungere uno qualsiasi dei suoi obiettivi, ha aggravato il conflitto esistente. Ciò ha portato ad avvertimenti da parte di politici e militari che il Paese stava crollando.

Il più chiaro di questi avvertimenti è venuto da Yitzhak Brik, un ex comandante militare israeliano di alto rango. Ha scritto su Haaretz il 22 agosto che il “paese… sta galoppando verso l’orlo di un abisso” e che “crollerà entro un anno al massimo”.

Sebbene Brik, tra le altre cose, abbia incolpato Netanyahu per la guerra persa a Gaza, la classe politica anti-Netanyahu ritiene che la crisi risieda principalmente nel governo stesso. La soluzione, secondo i recenti commenti di Herzog, è che il kahanismo debba essere rimosso dal governo.

Il Kahanismo si riferisce al partito Kach del [defunto, n.d.t.] rabbino Meir Kahane. Sebbene ora vietato, il Kach è riemerso in numerose forme, incluso il partito Otzma Yehudit di Ben-Gvir. Come discepolo di Kahane Ben-Gvir è pronto a realizzare la visione del rabbino estremista: la completa pulizia etnica del popolo palestinese.

Ben-Gvir e i suoi seguaci sono pienamente consapevoli dell’opportunità storica ora a loro disposizione, poiché sperano di innescare la tanto desiderata guerra di religione. Sanno anche che se la guerra a Gaza finisce senza far progredire il loro piano principale di colonizzare il resto dei territori occupati l’opportunità potrebbe non presentarsi mai più.

La corsa dell’estrema destra di Ben-Gvir per realizzare l’agenda religiosa sionista contraddice la forma tradizionale del colonialismo israeliano, basata sul “genocidio graduale” dei palestinesi e sulla lenta pulizia etnica delle comunità palestinesi di Gerusalemme Est e della Cisgiordania.

I militari israeliani ritengono che gli insediamenti illegali siano essenziali, ma percepiscono queste colonie nel linguaggio strategico come una zona cuscinetto di “sicurezza” per Israele.

I vincitori e gli sconfitti della guerra ideologica e politica in Israele emergeranno molto probabilmente dopo la fine della guerra di Gaza, i cui esiti determineranno altri sviluppi, tra cui il futuro stesso dello Stato di Israele, secondo le valutazioni dello stesso generale Yitzhak Brik.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Il ministro israeliano Ben-Gvir dice che costruirebbe una sinagoga sul complesso di Al-Aqsa

Redazione Al Jazeera

26 agosto 2024  Al Jazeera

Molte critiche ai commenti “pericolosi” del Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir che sfidano lo status quo

Un ministro israeliano di estrema destra ha suscitato indignazione dicendo che, se potesse, costruirebbe una sinagoga ebraica nel complesso della moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata, rafforzando la narrazione secondo cui il luogo sacro musulmano e simbolo nazionale palestinese è in pericolo.

Il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, che ha più volte ignorato il divieto del governo israeliano che da tempo proibisce agli ebrei di pregare in quel luogo, ha detto lunedì alla radio dell’esercito che se fosse possibile costruirebbe una sinagoga nel complesso di Al-Aqsa, noto agli ebrei come il Monte del Tempio.

Il complesso di Al-Aqsa è il terzo luogo più sacro dell’Islam e un simbolo dell’identità palestinese. Gli ebrei lo considerano anche il sito del Primo e del Secondo Tempio, quest’ultimo distrutto dai Romani nel 70 d.C.

“Se potessi fare tutto ciò che voglio metterei una bandiera israeliana sul sito”, ha detto Ben-Gvir nell’intervista.

Alla ripetuta domanda da parte del giornalista se, nel caso fosse di sua competenza, costruirebbe una sinagoga in quel luogo, Ben-Gvir alla fine ha risposto: “Sì”.

Secondo lo status quo pluridecennale garantito dalle autorità israeliane, agli ebrei e ad altri non musulmani è consentito visitare il complesso nella Gerusalemme est occupata durante orari specifici, ma non è loro consentito pregare lì o esporre simboli religiosi.

Ben-Gvir è stato criticato anche da alcuni ebrei ortodossi che considerano il sito un luogo troppo sacro perché gli ebrei possano entrarvi. Secondo i principali rabbini, è vietato a qualsiasi ebreo entrare in qualsiasi parte di Al-Aqsa a causa della sua santità.

Negli ultimi anni le restrizioni al complesso sono state violate sempre più spesso da nazionalisti religiosi radicali come Ben-Gvir, provocando talvolta scontri con i palestinesi.

Considerata un tempo un movimento marginale, la campagna per costruire un “Terzo Tempio” su Al-Aqsa sta crescendo in Israele, e molti palestinesi vedono parallelismi con quanto accaduto a Hebron, dove la Moschea Ibrahimi, conosciuta anche come la Grotta dei Patriarchi, è stata ripartita.

Da quando nel dicembre 2022 è entrato in carica come Ministro della Sicurezza Nazionale, Ben-Gvir ha visitato il luogo santo almeno sei volte, suscitando severe condanne.

Il complesso della moschea di Al-Aqsa è amministrato dalla Giordania, ma di fatto l’accesso al sito è controllato dalle forze di sicurezza israeliane.

Ben-Gvir ha detto alla radio dell’esercito che agli ebrei dovrebbe essere permesso di pregare nel complesso.

“Gli arabi possono pregare dove vogliono, quindi gli ebrei dovrebbero poter pregare dove vogliono”, ha detto, sostenendo che “la politica attuale consente agli ebrei di pregare in quel luogo”.

Diversi politici ebrei ultra-ortodossi hanno già denunciato i tentativi di Ben-Gvir di incoraggiare la preghiera ebraica ad Al-Aqsa.

Uno di loro, il Ministro degli Interni Moshe Arbel, ha precedentemente definito “blasfemia” i commenti di Ben-Gvir sull’argomento, aggiungendo che “il divieto della preghiera ebraica sul Monte del Tempio è la posizione di tutti i grandi uomini di Israele da generazioni”.

“Pericoloso”

La Giordania ha risposto alle ultime osservazioni di Ben-Gvir.

“Al-Aqsa e i luoghi santi sono un luogo di culto solo per i musulmani”, ha detto in una nota il portavoce del Ministero degli Esteri giordano Sufian Qudah.

“La Giordania prenderà tutte le misure necessarie per fermare gli attacchi ai luoghi santi” e “sta preparando i documenti legali necessari per agire nei tribunali internazionali contro gli attacchi ai luoghi santi”, ha detto Qudah.

Anche diversi funzionari israeliani hanno condannato Ben-Gvir, mentre una dichiarazione dell’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu afferma che “non vi è alcun cambiamento” nella politica attuale.

“Sfidare lo status quo del Monte del Tempio è un atto pericoloso, non necessario e irresponsabile”, ha detto il Ministro della Difesa Yoav Gallant su X.

“Le azioni di Ben-Gvir mettono in pericolo la sicurezza nazionale dello Stato di Israele”.

Il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid ha detto su X che i ripetuti commenti di Ben-Gvir dimostrano che “Netanyahu ha perso il controllo del suo governo”.

Il portavoce della presidenza palestinese Nabil Abu Rudeineh ha avvertito che “Al-Aqsa e i luoghi santi sono una linea rossa che non permetteremo assolutamente venga toccata”.

Hamas, con cui Israele è impegnato in un’aspra guerra nella Striscia di Gaza, ha affermato che i commenti del Ministro sono “pericolosi” e ha invitato i paesi arabi e islamici “ad assumersi la responsabilità di proteggere i luoghi santi”.

Il Ministero degli Esteri egiziano ha invitato Israele a rispettare i suoi obblighi come potenza occupante e a fermare le dichiarazioni provocatorie volte ad aumentare le tensioni, ha riferito Egyptian Ahram Online.

“Queste dichiarazioni ostacolano gli sforzi per raggiungere una tregua e un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e rappresentano una seria minaccia per il futuro di una soluzione definitiva della questione palestinese, basata sulla soluzione dei due Stati e sulla creazione di uno Stato palestinese indipendente lungo i confini del 4 giugno 1967, con Gerusalemme Est come capitale”, si legge nella nota.

I commenti di lunedì sono arrivati ​​meno di due settimane dopo che Ben-Gvir aveva suscitato indignazione – anche in influenti rabbini israeliani – visitando il complesso con centinaia di sostenitori, molti dei quali sembravano pregare apertamente in violazione alle norme dello status quo.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Secondo un’organizzazione non governativa Israele ha allestito strutture adibite alla tortura dei palestinesi

Redazione di Al Jazeera

6 Agosto 2024 – Al Jazeera

Secondo un rapporto dell’ONG israeliana B’Tselem le testimonianze di 55 ex detenuti palestinesi rivelano che più di una dozzina di campi di prigionia israeliani allestiti dopo il 7 ottobre sono dedicati a violenze nei confronti delle persone in custodia

L’organizzazione non governativa israeliana che si occupa di diritti umani B’Tselem ha raccolto le testimonianze di 55 palestinesi, di cui 21 provenienti dalla Striscia di Gaza, che sono stati trattenuti in prigioni israeliane, che raccontano in dettaglio le torture cui sono stati sottoposti.

Il rapporto di B’Tselem, intitolato “Benvenuti all’inferno”, ha rivelato martedì [6 agosto n.d.t.] che dall’inizio dell’attacco israeliano contro Gaza più di una dozzina di strutture carcerarie israeliane sono state convertite in una rete di campi “dedicati alle violenze nei confronti dei detenuti”.

“Tali spazi, in cui ogni detenuto è deliberatamente condannato a subire sofferenze gravi e incessanti, operano di fatto come campi di tortura,” vi si legge.

Le violazioni includono “frequenti atti di violenza grave e arbitraria, aggressioni sessuali, umiliazioni e degrado, fame deliberata, condizioni igieniche forzate, privazione del sonno, divieti e misure punitive contro le pratiche religiose, confisca di tutti gli effetti personali e collettivi e negazione di cure mediche adeguate”.

B’Tselem ha riferito che dal 7 ottobre almeno 60 palestinesi sono morti sotto custodia israeliana, di cui circa 48 provenienti da Gaza.

Secondo il rapporto le testimonianze dei detenuti dimostrano “una politica istituzionale sistematica basata su maltrattamenti e torture costanti di tutti i prigionieri palestinesi”.

Questa politica, si legge, è applicata sotto la direzione del Ministro per la Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, con il pieno sostegno del Primo Ministro Benjamin Netanyahu.

“Data la gravità degli atti, l’entità delle violazioni della legge internazionale e il fatto che tali violazioni prendono di mira quotidianamente e per un prolungato periodo di tempo l’intera popolazione carceraria palestinese, l’unica possibile conclusione è che nel compiere questi atti Israele sta commettendo torture che equivalgono a un crimine di guerra e persino a un crimine contro l’umanità”, afferma il rapporto in conclusione.

Richiesta di indagine da parte della Corte Penale Internazionale

Il rapporto fa appello alla Corte Penale Internazionale affinché indaghi “i singoli individui sospettati di organizzare, dirigere e commettere questi crimini”, argomentando che tali indagini non sono state possibili in Israele “poiché tutti i sistemi statali, incluso quello giudiziario, sono stati mobilitati a sostegno di questi campi di tortura”.

B’Tselem ha anche osservato che dall’inizio della guerra contro Gaza il numero di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane è raddoppiato, raggiungendo i 9.623.

“Ci appelliamo a tutte le nazioni e a tutte le istituzioni e gli organismi internazionali affinché facciano tutto ciò che è in loro potere per mettere immediatamente fine alle crudeltà inflitte ai palestinesi dal sistema carcerario israeliano, e affinché riconosca il regime israeliano che gestisce tale sistema come un regime di apartheid che deve finire”, conclude l’organizzazione.

Da parte delle autorità israeliane non c’è stata alcuna reazione immediata al rapporto.

(traduzione dall’inglese di Giacomo Coggiola)




I palestinesi raccontano gli abusi mortali nelle prigioni israeliane: “È Guantánamo”

Loveday Morris e Sufian Taha

29 luglio 2024 – The Washington Post

Il Post ha parlato con ex prigionieri e avvocati palestinesi e ha esaminato i referti delle autopsie, rivelando la violenza e le privazioni incontrollate nel sistema carcerario israeliano.

Un detenuto palestinese è morto con la milza spappolata e una frattura delle costole dopo essere stato picchiato dalle guardie carcerarie israeliane.

Un altro è andato incontro ad una fine straziante in seguito ad una malattia cronica non curata.

Un terzo ha urlato chiedendo aiuto per ore prima di morire.

I dettagli della morte dei prigionieri sono stati raccontati da testimoni oculari e corroborati da medici di Physicians for Human Rights Israel [Medici per i diritti umani Israele], (PHRI) che hanno assistito alle autopsie, i cui risultati sono stati condivisi con le famiglie e ottenuti dal Washington Post. I tre uomini fanno parte degli almeno 13 palestinesi della Cisgiordania e di Israele morti nelle carceri israeliane dal 7 ottobre, secondo PHRI. Tra i morti anche un numero imprecisato di prigionieri provenienti dalla Striscia di Gaza.

Organizzazioni per i diritti umani affermano che dopo gli attacchi di Hamas a Israele le condizioni nelle sovraffollate prigioni israeliane sono gravemente peggiorate. Ex prigionieri palestinesi hanno descritto pestaggi di routine, spesso su intere celle o blocchi, solitamente con manganelli e talvolta con i cani. Hanno affermato che è stato negato loro cibo e cure mediche a sufficienza e di essere stati sottoposti ad abusi psicologici e fisici.

Il Post ha parlato con 11 ex prigionieri e una mezza dozzina di avvocati, ha esaminato i verbali dei tribunali e i referti delle autopsie, scoprendo violenze e deprivazioni incontrollate, a volte con esito mortale, da parte delle autorità carcerarie israeliane.

Mentre l’attenzione e la condanna internazionale si sono concentrate sulla difficile situazione dei detenuti di Gaza, in particolare nel famigerato sito militare di Sde Teiman, i sostenitori dei diritti affermano che nel sistema penale israeliano esiste una crisi sistemica più profonda.

“La violenza è pervasiva”, ha affermato Jessica Montell, direttrice esecutiva dell’organizzazione per i diritti israeliana HaMoked, che lavora da anni con i detenuti palestinesi. “Esiste un gran sovraffollamento. Tutti i prigionieri che abbiamo incontrato hanno perso circa 15 kg.”.

Tal Steiner, direttore esecutivo del Public Committee Against Torture in Israel [Comitato Pubblico Contro la Tortura in Israele], attribuisce gli abusi in parte ad un clima di vendetta in Israele dopo l’assalto di Hamas del 7 ottobre. “È una combinazione di sentimenti individuali molto negativi e violenti, di sostegno ai decisori politici e di mancanza di senso di responsabilità”, ha affermato.

A Sde Teiman il caos è scoppiato lunedì dopo che l’esercito israeliano ha arrestato nove riservisti per interrogarli per abusi nei confronti di un prigioniero. Almeno un membro della Knesset e manifestanti di estrema destra hanno fatto irruzione nella base per protestare contro la detenzione dei riservisti, provocando una condanna da parte dell’esercito israeliano.

Interrogati sui prigionieri morti dietro le sbarre dal 7 ottobre, così come sulle altre accuse dettagliate in questo articolo, il servizio carcerario israeliano ha dichiarato: “Non siamo a conoscenza di quanto da voi descritto e, per quanto ne sappiamo, non si sono verificati eventi del genere. Tuttavia, prigionieri e detenuti hanno il diritto di presentare una denuncia che sarà esaurientemente esaminata e indagata dalle autorità ufficiali”.

“Tutti i prigionieri sono detenuti nel rispetto della legge”, continua la dichiarazione. “Tutti i diritti fondamentali necessari sono pienamente applicati da guardie carcerarie professionalmente formate”.

La Corte Penale Internazionale sta valutando mandati di arresto per il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant per la condotta di Israele a Gaza. Le condizioni nelle carceri del Paese potrebbero portare a ulteriori azioni legali internazionali, ha avvertito il capo dell’intelligence israeliana Ronen Bar in una lettera alle autorità carcerarie del 26 giugno.

“Israele sta incontrando difficoltà a respingere le accuse, almeno alcune delle quali sono ben fondate”, ha scritto in una lettera visionata dal Post e pubblicata per la prima volta da Ynet [maggior sito israeliano di informazione in inglese, ndt.].

Nella lettera si legge che il sistema carcerario, costruito per 14.500 detenuti, ne ospita 21.000, senza includere circa 2.500 prigionieri di Gaza, la maggior parte dei quali detenuti in strutture militari.

“La crisi carceraria crea minacce alla sicurezza nazionale di Israele, alle sue relazioni estere e alla capacità di realizzare gli obiettivi di guerra prefissati”, conclude Bar.

L’agenzia di intelligence interna di Israele, lo Shin Bet, non ha risposto alle richieste di commento sulla lettera di Bar.

Ma Itamar Ben Gvir, Ministro della Sicurezza Nazionale di estrema destra di Israele che supervisiona il sistema carcerario, non si è scusato per la sua “guerra” contro i detenuti palestinesi. In un post su X di questo mese in risposta a Bar, si è vantato di aver “ridotto fortemente” il tempo dedicato alla doccia e introdotto un “menù risicato“.

La soluzione più semplice al sovraffollamento delle carceri, ha detto, sarebbe la pena di morte.

L’ufficio di Ben Gvir non ha risposto a una richiesta di commento.

Tora Bora

Per Abdulrahman Bahash, 23 anni, la permanenza in prigione è diventata una condanna a morte.

La sua famiglia ha dichiarato che era un membro delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, considerate un gruppo terroristico da Israele e dagli Stati Uniti, ed è stato arrestato in relazione agli scontri armati con le forze israeliane nella città di Nablus, in Cisgiordania.

Il servizio carcerario israeliano ha affermato di non essere in grado di specificare quali accuse, se presenti, fossero state mosse nella vicenda contro Bahash o gli altri prigionieri.

Due dei compagni di cella di Bahash nella prigione di Megiddo, una struttura nel nord di Israele dove da ottobre sono morti almeno tre prigionieri, hanno collegato il suo omicidio a un pestaggio particolarmente violento nel loro blocco da parte delle guardie a dicembre. Entrambi hanno parlato a condizione di mantenere l’anonimato per paura di rappresaglie.

Secondo un prigioniero di 28 anni detenuto nella stessa sezione i militari hanno fatto irruzione in tutte le celle dell’ala e hanno ammanettato i detenuti prima di picchiarli. Ha detto che durante la sua prigionia tali pestaggi avevano luogo due volte a settimana.

Le guardie li hanno attaccati “in modo pazzesco”, racconta il prigioniero. “Hanno usato i manganelli, ci hanno preso a calci… su tutto il corpo”.

Dopo il pestaggio, afferma, Bahash e altri membri della sua cella sono stati portati in un’area di celle di isolamento soprannominata “Tora Bora”, dalla denominazione della rete di grotte afghane di al-Qaeda.

“Il chiasso delle urla riempiva tutto il blocco”, dice. Bahash è tornato con contusioni profonde, e si lamentava temendo di avere le costole rotte. Quando ha chiesto assistenza medica, il suo compagno di prigione dice che è stato rimandato indietro con l’Acemol, un semplice antidolorifico.

“Alla fine non era più in grado di stare in piedi”, ricorda. “Lo aiutavamo a camminare come si fa con un bambino”.

Circa tre settimane dopo, il 1° gennaio, Bahash è morto.

Un’autopsia “ha rivelato segni di lesioni traumatiche al torace destro e all’addome sinistro, che hanno causato fratture multiple alle costole e lesioni alla milza, presumibilmente il risultato di un’aggressione”, si legge in un rapporto di Daniel Solomon, un medico del PHRI a cui le autorità carcerarie hanno dato il permesso di assistere all’autopsia.

Sono state indicate come potenziali cause di morte lo shock settico e l’insufficienza respiratoria a seguito delle lesioni. I risultati ufficiali dell’autopsia così come il corpo di Bahash sono stati tenuti nascosti alla famiglia.

Il servizio carcerario israeliano non ha risposto alle domande sul perché il corpo non sia stato restituito ai parenti.

Saeb Erekat, suo cognato, ha affermato che prima della prigionia il giovane era in ottima forma fisica. Ha descritto Megiddo come un “cimitero”.

L’autopsia di Bahash è stata una delle cinque a cui i medici del PHRI hanno potuto assistere per conto delle famiglie dei prigionieri dopo aver richiesto il permesso ai tribunali.

Abdul Rahman al-Maari, 33 anni, è morto a Megiddo il 13 novembre. Falegname e padre di quattro figli, secondo suo fratello Ibrahim Maari si trovava in prigione da febbraio 2023, dopo essere stato arrestato a un posto di blocco temporaneo e accusato di affiliazione ad Hamas e possesso di un’arma da fuoco.

I parenti hanno perso i contatti con lui dopo il 7 ottobre, quando le visite dei familiari sono state interrotte. Stanno ancora cercando di ricostruire i dettagli della sua morte.

Un rapporto sulla sua autopsia del medico del PHRI Danny Rosin ha rilevato che “sono stati osservati lividi sul torace sinistro, con fratture alle costole e alla parte inferiore dello sterno. … Sono stati osservati lividi anche sulla schiena, sui glutei, sul braccio e sulla coscia sinistri e sul lato destro della testa e del collo”.

Khairy Hamad, 32 anni, detenuto nello stesso blocco, ha detto che Maari è stato gettato giù ammanettato da una rampa di circa 15 scalini di metallo, una punizione per aver fatto delle osservazioni alle guardie mentre i detenuti venivano spogliati e picchiati nel corso di una perquisizione della cella.

Hamad riferisce che lui e i suoi compagni di cella erano stati portati al piano terra e Maari è piombato a terra a circa cinque metri di distanza da lui. Era cosciente, dice, ma sanguinava dalla testa. Anche Maari è stato trasferito in isolamento a Tora Bora. Dalla cella accanto l’avvocato 53enne Sariy Khourieh lo ha sentito lamentarsi per ore a causa del dolore.

Ha urlato tutto il giorno e la notte”, afferma Khourieh. “Ho bisogno di un dottore”, ricorda che urlava, ripetutamente.

Alla fine, alle 4 del mattino, è rimasto in silenzio.

Al mattino Khourieh ha sentito le guardie scoprire il corpo senza vita e chiamare un medico. Ha sentito che cercavano di rianimare Maari con un defibrillatore, poi ha visto che lo portavano fuori in un sacco per cadaveri.

In una società moderna non dovrebbero succedere cose del genere”, ha detto suo fratello.

Sovraffollamento e negligenza

I resoconti di assistenza medica negata sono onnipresenti nelle testimonianze degli ex prigionieri. Secondo Rosin del PHRI, che ha assistito all’autopsia, la morte di Muhammed al-Sabbar, 21 anni, il 28 febbraio avrebbe potuto essere evitata se la sua condizione cronica fosse stata curata correttamente.

La famiglia di Sabbar ha affermato che è stato arrestato per istigazione in relazione a dei post pubblicati online. Soffriva fin dall’infanzia della malattia di Hirschsprung, una condizione che causa gravi e dolorose ostruzioni intestinali. Aveva bisogno di una dieta speciale e di farmaci.

Lo stomaco di Sabbar ha iniziato a gonfiarsi a ottobre dopo che gli sono stati negati i farmaci, ha affermato Atef Awawda, 54 anni, uno dei suoi compagni di cella. Un medico della prigione gli aveva fatto una singola iniezione all’inizio di quel mese, ricorda Awawda, ma aveva detto a Sabbar di non dirlo a nessuno. “Quella è stata l’ultima volta che abbiamo ricevuto medicine”, dice.

“La morte di Mohammed avrebbe potuto essere evitata con una più rigorosa aderenza alle sue esigenze mediche”, si legge nella lettera di Rosin alla sua famiglia, in cui descrive il suo colon come dilatato e pieno di una grande quantità di materia fecale.

Quando è stato portato d’urgenza al pronto soccorso, “le sue condizioni erano già tali che le possibilità di salvarlo erano scarse”, conclude il rapporto.

Secondo Addamer, un’organizzazione per i diritti dei prigionieri palestinesi, a maggio è stata trattenuta nelle prigioni israeliane una quantità record di 9.700 prigionieri palestinesi. Circa 3.380 erano detenuti amministrativi, afferma l’organizzazione, trattenuti senza accusa o processo. I numeri non includono i prigionieri di Gaza; le autorità israeliane non riveleranno quanti esattamente sono stati imprigionati o dove sono detenuti.

Ex detenuti hanno affermato che le celle per sei persone a volte ne contenevano il doppio, con materassi posizionati sul pavimento.

Alcuni hanno riferito che in inverno venivano rimosse le imposte dalle finestre delle celle per esporre al freddo i detenuti. Altri hanno detto che veniva suonato incessantemente a volume alto l’inno nazionale israeliano; le luci venivano lasciate accese di notte per disturbare il sonno.

A novembre, secondo il suo avvocato e i verbali del tribunale esaminati dal Post, un prigioniero palestinese è stato picchiato a cospetto di un giudice mentre si apprestava a seguire un’udienza tramite collegamento video.

“Ora possiamo sentire in sottofondo le grida delle persone che vengono picchiate”, si legge nei verbali del tribunale. Le grida si sono interrotte quando è intervenuto il giudice.

“Ho il naso rotto”, ha detto l’imputato, il cui nome è stato censurato nei verbali del tribunale. “Chiedo che l’udienza non finisca senza che promettano di non picchiarmi”.

“Politica della fame”

Violenza e negligenza medica erano accompagnate dalla privazione del cibo, raccontano gli ex prigionieri. Ognuno ha detto di aver perso molto peso in prigione, tra 13 e 22 kg.

Il giornalista Moath Amarneh, 37 anni, imprigionato per sei mesi a Megiddo per aver filmato delle dimostrazioni in Cisgiordania, ha detto che durante la sua permanenza la sua cella per sei persone è arrivata ad ospitarne 15.

I detenuti condividevano per colazione un piatto di verdure e yogurt. Per pranzo, ogni prigioniero riceveva mezza tazza di riso e la cella, indipendentemente dal numero di uomini che vi erano dentro, divideva un piatto di pomodori o cavolo a fette. Nei giorni buoni potevano esserci salsicce o fagioli. La cena consisteva in un uovo e un po’ di verdure, dice.

È appena il sufficiente per sopravvivere”, ha detto l’avvocato Aya al-Haj Odeh, che ha riferito che alcuni clienti hanno raccontato di aver ricevuto appena tre fette di pane al giorno o qualche cucchiaio di riso e di avere avuto un accesso limitato all’acqua potabile.

Ad aprile l’Associazione per i Diritti Civili in Israele ha presentato una petizione alla Corte Suprema per quella che ha definito una “politica della fame”. Ben Gvir ha scritto all’organizzazione prendendosi il merito di tale politica, dicendo che stava lavorando per “peggiorare le condizioni” dei prigionieri in modo da “creare deterrenza”, ha affermato l’ACRI.

Muazzaz Obayat, 37 anni, quando la scorsa settimana ha lasciato Ktzi’ot, nel sud di Israele, riusciva a malapena a camminare. È stato arrestato dopo il 7 ottobre con l’accusa di legami con Hamas, ma non è mai stato incriminato.

I suoi capelli neri ricci e la barba erano incolti; gli zigomi sporgevano e gli occhi erano infossati.

In una clinica nella città di Beit Jala, in Cisgiordania, dove stava ricevendo cure mediche, ha detto che non sapeva bene quanti anni avesse o quanti ne avessero i suoi cinque figli.

“Non so niente se non della prigionia”, ha detto.

Un tempo culturista dilettante, ha detto di aver perso più di 45 kg. in nove mesi.

Ha descritto bisbigliando come una guardia lo avesse violentato con una scopa. I medici hanno detto che soffriva di stress post-traumatico e malnutrizione.

È Guantánamo”, ha detto.

Hanno contribuito a questo articolo Hajar Harb da Londra e Lior Soroka da Tel Aviv.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele: un alto funzionario responsabile del rilascio del porto d’armi si dimette per le politiche sconsiderate di Ben-Gvir

Redazione di MEMO

5 dicembre 2023 – Middle East Monitor

Domenica il direttore del dipartimento per il rilascio del porto d’armi presso il ministero israeliano della Sicurezza Nazionale, Yisrael Avisar, ha rassegnato le dimissioni come segno di protesta per gli sconsiderati regolamenti delle licenze applicati su indicazione del ministro estremista Itamar Ben-Gvir, che ha accelerato [il rilascio di] migliaia di permessi per armi ai civili dichiarando che ciò rafforza la sicurezza pubblica.

Avisar, che ha lavorato in quell’incarico per sei anni, ha affermato che Ben-Gvir ha attribuito a 82 dei suoi collaboratori più stretti l’“autorità temporanea” di approvare le richieste di porto d’armi, anche ai suoi collaboratori personali impiegati della Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] e giovani donne che stanno effettuando il servizio civile nazionale volontario. Avisar ha spiegato che in condizioni normali un collaboratore deve effettuare un addestramento di un mese prima di ottenere un permesso per il porto d’armi, ma con la politica di Ben-Gvir il periodo è solo di un giorno.

La scorsa settimana Avisar ha distrutto la “sconsiderata” politica di Ben-Gvir di rilascio del porto d’armi durante due sessioni tenutesi alla Knesset.

Ha spiegato che i collaboratori del ministro di estrema destra hanno creato una “stanza operativa” negli uffici del ministero e ha avvertito che le licenze sono state concesse a richiedenti che non rispettavano i criteri del ministero. “I funzionari addetti al rilascio del porto d’armi devono esaminare le capacità mentali e fisiche dei candidati di portare un’arma, in aggiunta ad altre caratteristiche”, ha aggiunto.

Avisar ha anche espresso il timore che alcuni postulanti abbiamo avuto un trattamento di favore.

Il quotidiano israeliano Haaretz ha riportato le dichiarazioni di un funzionario della sicurezza secondo cui questa è “una ricetta per il disastro.”

Stanno distribuendo armi come se fossero caramelle, ma un porto d’armi non è un giocattolo per bambini. La supervisione è quasi nulla nel ministero” ha affermato la fonte.

Da quando si è insediato, Ben-Gvir ha lavorato senza sosta per facilitare le condizioni per il rilascio del porto d’armi, situazione che è drammaticamente peggiorata dal 7 ottobre.

Da allora, il numero delle richieste per ottenere un’arma ha raggiunto il numero di 255.000 e circa 20.000 sono state accolte.

In risposta alle dimissioni di Avisar, ieri il ministro della Sicurezza Nazionale ha affermato che “un’arma salva le vite e la politica del ministero verrà estesa e non ridotta.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




I soldati israeliani che hanno ucciso i terroristi a Gerusalemme hanno colpito a morte anche un civile

Nir Hasson

30 novembre 2023 – Haaretz

Nel video dellattacco alla fermata dellautobus di Gerusalemme pubblicato sui social media, si vede Yuval Doron Kastelman alzare le mani e implorare i soldati israeliani di non sparare dopodiché gli sparano e cade a terra

In base alle riprese dell’attacco pubblicate sui social media i soldati israeliani che giovedì hanno ucciso due terroristi alla periferia di Gerusalemme hanno sparato e ucciso sul posto anche un civile.

La vittima si chiamava Yuval Doron Kastelman, 38 anni di Mevasseret Tzion, un avvocato che lavorava per la Commissione sul Servizio Civile. Secondo la sua famiglia stava andando al lavoro quando ha notato l’aggressione dall’altra parte della strada. È sceso dal suo veicolo, armato della sua arma da fuoco autorizzata, per fronteggiare i terroristi.

Nel video si vede Kastelman alzare le mani e implorare i soldati di non sparare, dopodiché gli sparano e cade a terra.

Il filmato mostra chiaramente che è stato colpito allo stomaco. È stato portato d’urgenza in ospedale in condizioni critiche e in seguito è morto per le ferite. La polizia ha affermato di essere a conoscenza della situazione e che sono in corso indagini.

Un’altra ripresa della scena dell’attacco mostra colpi di arma da fuoco contro un civile che ha appena sparato a uno dei terroristi da distanza ravvicinata.

Nel video si vede il civile gettare via la sua arma dopo aver sparato al terrorista, alzare le mani e togliersi il cappotto per dimostrare che è disarmato. Non è chiaro se si tratti dello stesso civile ferito o di qualcun altro.

Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha annunciato sul luogo dell’attacco che la sua soluzione al terrorismo è continuare la politica di distribuzione di armi ai civili. “Mi rivolgo ai cittadini di Israele, i poliziotti non sono ovunque, quindi dove i cittadini sono in possesso di armi, ciò può salvare vite umane”, ha detto Ben-Gvir.

Dallo scoppio della guerra migliaia di armi da fuoco sono state distribuite ai civili e sono state rilasciate più di 20.000 nuove licenze per il porto d’armi. Una delle principali preoccupazioni sul possesso delle armi da parte di civili non addestrati è che ciò potrebbe portare ad episodi di fuoco incrociato, come è accaduto oggi.

Nell’attacco a Gerusalemme tre israeliani sono stati uccisi e altri sei sono rimasti feriti. I terroristi, due fratelli palestinesi del quartiere di Gerusalemme Est, sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. L’attacco è stato rivendicato da Hamas.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Armando migliaia di israeliani Ben -Gvir gioca con il fuoco

Eyal Lurie-Pardes

3 novembre 2023 – Dawnmena

All’indomani dell’orrendo attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre, Itamar Ben-Gvir, il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, di estrema destra, continua a premere per realizzare il suo programma suprematista ebraico rischiando nuove tensioni e ulteriore violenza tra ebrei israeliani e palestinesi. La sua priorità è rendere meno rigide le norme sulle armi per semplificarne l’acquisto da parte dei cittadini israeliani, invocando un riarmo di massa degli ebrei in Israele. Secondo Ben-Gvir i fucili sono essenziali per la sicurezza pubblica e per prepararsi a uno “scenario di Guardiano delle Mura 2.0,in riferimento ai disordini e alle violenze intercomunitarie nelle città israeliane a popolazione mista ebraico-araba scoppiati durante le proteste nel maggio 2021 a causa dell’espulsione di palestinesi da Gerusalemme Est e delle operazioni militari israeliane a Gaza.

Ora che Israele è consumato da rabbia nazionalista, ostilità e paura nei confronti dei palestinesi in seguito agli attacchi di Hamas, la nuova politica delle armi—armare migliaia di israeliani, inclusi i coloni—aumenta il rischio di innescare questo scenario da incubo.

Da lungo tempo Ben-Gvir propone il possesso delle armi [da parte dei civili]. Da quando è entrato nel governo israeliano nella coalizione del primo ministro Benjamin Netanyahu, il numero delle licenze di porto d’armi è aumentato considerevolmente. Come parte della risposta del ministero della Sicurezza Nazionale all’attacco di Hamas, Ben-Gvir ha adottato modifiche ai requisiti per il porto d’armi intese a estendere l’idoneità e velocizzarne il rilascio. Attraverso un nuovo processo di selezione da remoto, con queste nuove norme un permesso viene rilasciato dopo solo una settimana a chiunque soddisfi i nuovi criteri per l’autodifesa. Sono anche state prorogate le date di scadenza degli attuali permessi ed è stato raddoppiato il numero delle pallottole che è possibile acquistare. Dal 7 ottobre oltre 120.000 persone hanno fatto domanda per il porto d’armi.

In generale le leggi israeliani sulle armi discriminano i non ebrei, rendendo quasi impossibile per loro l’ottenimento di un permesso. Per esempio, le norme concedono una certa discrezione ai funzionari del ministero riguardo alla richiesta ai richiedenti di fornire prova di “sufficiente padronanza dell’ebraico.” Il nuovo criterio per l’autodifesa al centro di tali norme meno rigorose sulle armi è ancora più discriminatorio. Include due requisiti principali: aver prestato il servizio militare o nazionale in determinate unità e la residenza in una “città eleggibile.” I cittadini palestinesi in Israele sono collettivamente esentati dal servizio militare. Anche se soddisfacessero tale requisito sarebbe probabilmente loro negato il porto d’armi in base al luogo di residenza, perché le “città eleggibili” designate sono a gran maggioranza ebraiche. Le norme vanno anche a favore dei coloni ebrei, in particolare in Cisgiordania, dato che l’eleggibilità favorisce le città considerate “pericolose” anche oltre la Linea Verde del 1967. Di 100 città e paesi con il numero più alto di porto d’armi in Israele, 86 sono colonie ebraiche in Cisgiordania.

Un’altra componente della politica sulle armi di Ben-Gvir è istituire più squadre di risposta rapida—conosciute in ebraico come kitat konenut —che da lungo tempo fanno parte delle forze di sicurezza israeliane nelle zone rurali, specialmente in Cisgiordania. Sono gruppi di civili, abitanti di un villaggio o kibbutz, che in caso d’emergenza agiscono come forza volontaria di difesa fino all’intervento della polizia o dell’esercito. Hanno giocato un ruolo chiave nel combattere Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre, quando villaggi e kibbutz sotto attacco hanno aspettato che arrivassero i soldati per molte ore, talvolta anche più a lungo.

Nelle settimane seguenti l’attacco di Hamas, il ministero della Sicurezza Nazionale si è attivato per creare 600 nuove squadre di risposta rapida nelle aree urbane e rurali. Simili ai criteri per il porto d’armi, queste squadre sono autorizzate principalmente nelle città ebraiche ed è richiesto aver fatto il servizio militare, per cui discriminano i cittadini palestinesi di Israele. A differenza delle zone rurali, dove c’è il rischio che passi molto tempo prima che arrivi la polizia durante una crisi, tali forze volontarie di difesa hanno meno senso nelle aree urbane più densamente abitate, se la sicurezza, e non qualcos’altro, è veramente l’obiettivo principale. Queste unità armate di civili sono ancora meno giustificabili in zone con una significativa comunità palestinese e un influsso di coloni israeliani, come a Gerusalemme Est, dove le tensioni sono sempre alte e gli scontri frequenti.

In pratica queste squadre creano un ulteriore percorso per armare gli ebrei israeliani. Come ha segnalato Daniel Seidemann, un avvocato israeliano e fondatore e direttore dell’ong Terrestrial Jerusalem, potrebbero finire per assomigliare alle “milizie private di Ben-Gvir.” Per esempio, recentemente a Gerusalemme Est sono state fondate due squadre a Ir David e Nof Zion, piccoli avamposti ebraici composti da coloni di estrema destra nel cuore dei quartieri palestinesi di Silwan e Jabel Mukaber.

In Israele, a differenza della maggior parte delle politiche di mantenimento dell’ordine pubblico, che sono determinate dalla polizia indipendentemente dal ministero della Sicurezza Nazionale, le normative e la gestione delle armi ricadono interamente sotto l’autorità del ministero—che Ben-Gvir sta usando per i propri scopi politici. Facilitando la distribuzione di più fucili agli israeliani, inclusi molti coloni, Ben-Gvir—lui stesso un colono—sta sperando di promuovere la propria immagine pubblica militarista e scatenare un’isteria anti-palestinese ancora maggiore. Ha trasformato la distribuzione pubblica di fucili in un circo mediatico, talvolta offrendo armi persino lui di persona davanti alle telecamere e pubblicizzando foto e video sui social.

Recentemente queste foto pubblicitarie hanno messo in allarme i funzionari USA, che hanno espresso preoccupazione sul fatto che le armi da loro fornite ad Israele siano usate per armare civili e per far pubblicità a Ben-Gvir invece di essere consegnate all’esercito o alla polizia come previsto. Dopo che gli USA hanno minacciato di sospendere la consegna di 20.000 fucili che il ministero della Sicurezza Nazionale aveva acquistato da fornitori americani, il governo israeliano si è ufficialmente impegnato con Washington a fare in modo che tali fucili vengano distribuiti solo dalla polizia o dall’esercito. Tuttavia le armi potrebbero ancora essere date alle squadre di risposta rapida, perché esse dipendono dalla polizia israeliana.

Una politica di armare così tanti israeliani non potrà far altro che alimentare le tensioni già alte fra ebrei e palestinesi entro la Linea Verde e Gerusalemme Est. A differenza di quanto avvenuto nel maggio 2021, nelle ultime settimane non ci sono stati gravi disordini nelle città miste arabo-ebraiche o scontri a Gerusalemme Est. Ma questa relativa calma è fragile, specialmente in un momento in cui molti israeliani descrivono ogni palestinese come “il nemico”. Questa rabbia contro i palestinesi è evidente nei gruppi di destra che hanno attaccato studenti e attivisti di sinistra palestinesi in Israele. In una situazione così esplosiva armare così tanti israeliani che non hanno ancora di un sufficiente addestramento per usare un’arma potrebbe alimentare una nuova ondata di disordini su scala nazionale.

Rendere meno rigida la normativa sulle armi è dannoso specialmente in Cisgiordania, dove la violenza dei coloni è aumentata dal 7 ottobre e dove durante gli attacchi sono stati uccisi almeno 115 palestinesi, feriti oltre 2.000 e rimossi con la forza dalle proprie case circa 1.000 palestinesi. La violenza dei coloni era già in aumento l’anno scorso. Armare praticamente ogni colono come vuole Ben-Gvir porterà solo altra violenza. Dopo l’attacco di Hamas il capo del consiglio regionale di Binyamin, il municipio con circa 50 colonie e avamposti nella Cisgiordania centrale, ha affermato che “ogni arabo che si avvicina a una colonia e mette a rischio gli abitanti” è un obiettivo legittimo.

Ben-Gvir sta giocando con il fuoco. Una nuova fase di violenza intercomunitaria peggiore del maggio 2021—”Guardiano delle Mura 2.0,” come si è espresso Ben-Gvir —potrebbe diventare una profezia che si autoavvera. Persino quando finirà questa guerra a Gaza tutte queste armi in eccesso e le nuove squadre di difesa simili a milizie creeranno una nuova pericolosa situazione in tutto Israele.

Eyal Lurie-Pardes è professore-ospite presso l’Istituto per gli studi sul Medio Oriente (Washington) per il programma sulla Palestina e sugli affari palestinesi-israeliani.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




I veri architetti e attuatori del regime di supremazia ebraica in Israele

Hagai El-Ad

2 settembre 2023,  Haaretz

La gran parte di quelli che sono così sprezzanti nei confronti di Ben-Gvir convivono molto bene con l’apartheid israeliano – semplicemente non lo proclamano ai quattro venti

Nei mesi trascorsi da quando il deputato Itamar Ben-Gvir (Sionismo religioso/Otzma Yehudit) è stato nominato Ministro della Sicurezza Nazionale di Israele non c’è stata settimana in cui un general maggiore dell’esercito o della polizia in pensione non abbia sommerso di profondo disprezzo il “ministro della distruzione”, la nullità che non capisce nulla e ha ancor meno esperienza, il “sospetto” dello Shin Bet che è diventato il “ministro rompiballe” e chi più ne ha più ne metta. La rabbia è così pervasiva che ci si può solo fermare e chiedersi: che cosa si sta cercando di nascondere dietro tutto questo?

Perché, dopo tutto, è doveroso e persino logico disprezzare Ben-Gvir per le politiche violente, piene di odio e razzismo che promuove. Ma qual è il significato di questo profondo disprezzo? Anni fa (ai bei vecchi tempi, quando era semplicemente un “sospetto”), il servizio di sicurezza dello Shin Bet lo giudicava “persona acuta, brillante e astuta”. Verso la fine del 2022, dopo le elezioni per l’attuale XXV Knesset, Ben-Gvir è riuscito a sfruttare la forza politica della sua piccola fazione alla Knesset (i sei parlamentari di Otzma Yehudit) e gli è stato assegnato il portafoglio ministeriale che aveva richiesto.

Da allora il ministro rompiballe si è lavorato il commissario di polizia e i suoi pezzi grossi come se fossero palle da impasto a temperatura ambiente.

Per non parlare del percorso che la nullità ha superato dall’essere una persona con la quale il primo ministro Benjamin Netanyahu rifiutava di farsi fotografare a persona che non molto tempo fa è stata complice nella manovra di Netanyahu per annullare il principio di ragionevolezza [per cui l’atto legislativo si deve adeguare ad un canone di razionalità per evitare decisioni arbitrarie ed irrazionali, ndt.] dell’Alta Corte. Tutto ciò sembrerebbe sottintendere l’esistenza di una certa dose di saggezza pratica e di acume politico. Forse non si dovrebbe essere meno automaticamente sprezzanti nei confronti di chi ha raggiunto tutto questo?

Invece di affrontare seriamente una tale figura politica e l’agenda che persegue, molti preferiscono deglutire e rallegrarsi del fatto che il gabinetto di sicurezza non venga convocato (per paura che Ben-Gvir possa ottenere delle informazioni) e che vengano prese decisioni importanti sopra la sua testa (perché è una superflua nullità). Una nullità talmente superflua che sta guidando un movimento ben radicato a plasmare un discorso pubblico che normalizza la supremazia ebraica e la grida ai quattro venti – e sono proprio quei quattro venti l’essenza della questione.

In effetti, la grande maggioranza di coloro che sono così sprezzanti nei confronti di Ben-Gvir convivono molto bene con un Israele di supremazia ebraica – semplicemente non lo gridano ai quattro venti, il cielo non voglia. Questo è il metodo su cui si fonda il regime israeliano: garantire “l’assoluta uguaglianza dei diritti”, come previsto dalla Dichiarazione di Indipendenza (e poi imporre un regime militare ai cittadini palestinesi e saccheggiare le loro terre); consentire ai sudditi palestinesi presenti nei territori di presentare ricorso all’Alta Corte di Giustizia (che a sua volta convalida la tortura, le demolizioni di case, l’incarcerazione senza processo e il furto di terre); avviare un’indagine quando i soldati uccidono palestinesi (e poi chiudere il caso senza incriminazioni); essere una “nazione startup” (e utilizzare la tecnologia avanzata qui sviluppata per migliorare il controllo sui palestinesi); parlare quando necessario del “processo di pace” (e nel frattempo continuare a costruire colonie).

In breve: supremazia ebraica? Fantastico. Ma Otzma Yehudit (potere ebraico) al governo? Orrore. Tutto – uccidere, espropriare, opprimere – solo non alla luce del sole, in modo da mantenere una legittimità internazionale, in modo da non diventare come il Sud Africa durante il regime dell’apartheid – pur nel pieno di una assennata realizzazione dell’apartheid. Anche se questo metodo necessita di più tempo, richiede pazienza e una certa abilità, se si guarda ai risultati di 100 anni di sionismo è impossibile mettere in dubbio il fatto che, almeno finora, ha avuto successo. Un buon trucco: praticare l’apartheid ed essere considerati, agli occhi del mondo – e ai nostri stessi occhi – una democrazia.

Affinché la faccenda funzioni, ogni apparato statale deve adempiere al proprio compito: Knesset ed esercito, ministeri e tribunali. Questi ultimi – i tribunali, che sono stati al centro del discorso pubblico degli ultimi mesi, attaccati da destra e difesi da sinistra – hanno effettivamente svolto un ruolo centrale nel convalidare il regime di supremazia ebraica.

E non solo per quanto riguarda la situazione nei territori occupati, ma per l’intero territorio governato da Israele: basti ricordare la legge sui Comitati di Ammissione, che consente alle comunità costruite su suolo pubblico di respingere le domande di residenza di candidati “non idonei” – leggi “arabi”. (Nel 2014 l’Alta Corte si era rifiutata di intervenire; proprio di recente la Knesset ha esteso l’applicazione della legge con il sostegno dei membri dell’opposizione), o la Legge fondamentale di Israele come Stato-nazione del popolo ebraico (nel 2021, l’Alta Corte ha respinto le istanze contro la legge – 10 giudici ebrei contro l’unico dissenso del giudice arabo, George Karra). Coloro che non ne sono ancora convinti dovrebbero ascoltare ciò che l’ex presidente della Corte Suprema, Dorit Beinisch, ha affermato solo pochi mesi fa sul ruolo della Corte: “La Corte Suprema non ha mai deciso che le colonie non sono legali, che è un principio fondamentale nel diritto internazionale.”

No. Siamo parte del sistema. Se Israele sta dando battaglia sulla scena internazionale, non intralciamo, al contrario: sosteniamo.

La Corte Suprema è tanto lontana dal ministro rompiballe quanto l’est è dall’ovest. Questo è ovvio. Ma quale dei due ha contribuito maggiormente a far avanzare il progetto delle colonie e al suo successo? In realtà, la risposta a questa domanda è banale: è la Corte Suprema, un gioco da ragazzi. Ma emotivamente, è una risposta che – per la maggior parte dei sostenitori della nostra “democrazia”– è intollerabile.

Lo stesso discorso vale quando si tratta di un elemento cruciale della capacità di Israele di governare i palestinesi: la necessità di insabbiare così tante uccisioni di palestinesi e nel contempo conservare una facciata di legittimità per la violenza di Stato. Israele lo fa da anni con grande abilità. Dopo le ultime elezioni, Ben-Gvir ha cercato di promuovere una “legge sull’immunità” per il personale delle forze di sicurezza, ma alla fine è stato convinto (per il momento) ad abbandonare l’idea. Presumibilmente perché ha capito che, in pratica, l’immunità che Israele concede ai membri delle sue forze di sicurezza è quasi assoluta, e che è preferibile andare avanti così fino in fondo, anche se a volte implica aspettarsi ciò che a prima vista sembrano “indagini”.

Chi ha maggiormente contribuito alla creazione di questo stato di cose, in cui l’inutile teatrino delle indagini serve con successo a Israele sulla scena internazionale e gli consente di continuare a uccidere palestinesi senza assumersene alcuna responsabilità? L’avvocato generale-procuratore generale-Alta Corte di Giustizia militare (nota anche come “élite giudiziaria”), o Ben-Gvir? Ancora una volta, la risposta è banale: la faccenda dell’immunità è frutto del lavoro di quegli stessi onesti giuristi; Ben-Gvir non vi ha parte. Si potrebbero citare molti altri esempi, non ultimo il ricco campo delle modalità “legali” con cui la terra palestinese è stata saccheggiata ai suoi originari proprietari e passata nelle mani dello Stato dal 1948 ad oggi. Ma ormai il metodo è chiaro.

Arriviamo così al 2023, e ai quattro venti: molti ebrei in Israele hanno deciso di non voler più stare a questo gioco, per quanto vincente e intelligente possa essere. Vogliono di più e più velocemente. Possono essere definiti estremisti o messianici, ma questo non spiega nulla. Come è successo? Sul piano emotivo è impossibile non distinguere la necessità di colmare il divario tra un’ideologia chiara e comprensibile a tutti e la sua attuazione eccessivamente complessa. Perché se va bene la “supremazia ebraica”, perché non il “Piano di vittoria” (di Bezalel Smotrich), o “Lasciate vincere le forze di difesa israeliane” e tutto il resto? A livello pratico, secondo loro, è possibile e auspicabile portare avanti il progetto di supremazia ebraica tra il fiume e il mare con più forza, meno parole, e una maggiore dose di grettezza, potere e violenza. Sì, palesemente, ai quattro venti.

La verità è che non c’è motivo di stupirsi se gradualmente sempre più ebrei abbiano deciso di seguire la strada lastricata da tutte quelle sedicenti persone ragionevoli e di arrivare a conclusioni che stanno ora scioccando le persone ragionevoli.

Ecco cosa sta succedendo ora: volenti o nolenti, lo stiamo sentendo sempre più gridato ai quattro venti. Vediamo che qualcuno grida la supremazia ebraica in tutte le direzioni. In realtà quel qualcuno non è Ben-Gvir. Quella figura è il primo ministro (che nel 2016 ha telefonato al padre del sergente Elor Azaria [che uccise un palestinese ferito incapace di nuocere, ndt.]), il presidente della Corte Suprema (che proclama che la Legge Fondamentale dello Stato-Nazione non vìola l’uguaglianza), il comandante dell’aeronautica (con più di 500 bambini palestinesi uccisi a Gaza nell’estate 2014) e il capo dello Shin Bet (che invoca la “difesa di necessità” per la tortura, e, meraviglia delle meraviglie, ogni palestinese finisce per confessare). Gli artefici della supremazia ebraica e i suoi attuatori. Sono loro che non solo sono d’accordo con Ben-Gvir sul principio della supremazia ebraica, ma sono anche quelli che ci hanno portato a questo punto e sono stupiti e furiosi quando lui e i suoi simili vogliono andare oltre.

Questi sono i fatti. Ma sono emotivamente insopportabili. Cosa fare? Trasformare Ben-Gvir in una sorta di clown marginale, svilirlo per non dover affrontare la persona che grida ai quattro venti, che è la persona nello specchio. Bandire le prove. Ben-Gvir è tutto ciò che non siamo. E poi potremo gridare “De-mo-cra-zia” fino a diventare rauchi.

Ma qui la democrazia non è mai esistita. Anche se potessimo tornare al novembre 2022, senza Ben-Gvir e con il principio della ragionevolezza, saremmo comunque uno Stato di apartheid. È questo ciò che vogliamo? Le prossime elezioni forse rafforzeranno Ben-Gvir o forse, al contrario, lo metteranno effettivamente da parte, ma la strada aperta dagli architetti della supremazia ebraica – la strada aperta dal sionismo così come è stato messo sin qui in pratica – resterà aperta. Se non Ben-Gvir, altri la percorreranno.

E qui sta la vera difficoltà: sebbene l’apartheid con il trucco del rossetto burocratico sia uno stratagemma intelligente, ad un certo punto cesserà di persuadere. Dopotutto, c’è la realtà, ci sono i fatti, c’è la vita stessa. Il fatto è che anche dopo 100 anni di sionismo, metà della popolazione tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo è palestinese. Se veramente ci importa della vita, dobbiamo trovare una risposta ad una domanda sensata: che tipo di vita costruiremo qui tutti insieme?

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




L’assassinio di un giovane palestinese da parte di coloni israeliani è il più recente tentativo di escalation

Amira Hass

6 agosto 2023 – Haaretz

I coloni israeliani assassini saranno probabilmente liberati o dichiarati innocenti per legittima difesa, i palestinesi attaccati saranno processati per tentato omicidio. Ma la violenza organizzata ha un altro obiettivo.

Ci sono vari possibili scenari in seguito all’assassinio del giovane palestinese Qosai Mi’tan nel suo villaggio di Burqa, a est di Ramallah: la polizia lascerà libero di tornare a casa sua l’ebreo incarcerato in seguito alle affermazioni del suo avvocato che ha agito per legittima difesa dopo che il suo amico era stato ferito. In seguito a proteste crescenti da parte dei parlamentari del (partito) Sionista Religioso che l’esercito sta abbandonando i coloni, l’esercito e lo Shin Bet arresteranno in quel villaggio i palestinesi indiziati per aver attaccato con armi il sospettato (ferito e portato in ospedale), e anche i suoi amici.

Il pubblico ministero chiuderà la pratica contro i due sospettati dato che sarà convinto che si stavano difendendo o potrebbe cambiare l’accusa con una per uso improprio di armi. I giudici a Gerusalemme saranno indulgenti e condanneranno entrambi ai servizi sociali, come lavorare in un asilo nell’avamposto di Pnei Kedem autorizzato di recente.

I palestinesi devono rispondere davanti al tribunale militare di Ofer dell’accusa di aver attaccato pastori ebrei la vigilia dello Shabbat. La loro detenzione sarà estesa fino alla fine di tutti i procedimenti legali. Saranno accusati di tentato omicidio e condannati a vari anni di carcere. “Una disputa sui pascoli non dovrebbe finire in un attacco contro pastori innocenti che volevano solo che le loro pecore e capre brucassero l’erba che cresce su questa terra fertile,” dirà poeticamente il giudice, un tenente colonnello.

Delirante? Non in Israele, come provano i commenti domenica mattina di Itamar Ben-Gvir [ministro di ultradestra per la sicurezza nazionale, ndt.] in cui afferma che ai due sospettati si dovrebbe dare un’onorificenza. Nel giugno 2022 (durante il governo Bennett-Lapid-Gantz), un colono dell’avamposto autorizzato di Nofei Nehemia ha ucciso il ventisettenne Ali Harb del villaggio di Iskaka, a sud di Nablus. Il colono stava partecipando a un’invasione organizzata delle terre del villaggio con lo specifico intento di fondarci un nuovo avamposto. Quando gli abitanti di Iskaka hanno tentato di fermare gli invasori uno di loro ha tirato fuori un coltello con cui ha ucciso Harb. Il pubblico ministero ha archiviato il caso certo che il colono avesse agito per difendersi.

L’invasione dei campi di Burqa da parte di un gruppo di coloni e delle loro greggi è stata prontamente definita dai media come un “conflitto sui pascoli”. Questa formula ingannevole ignora il modello fisso di una crescente violenza dei coloni contro i palestinesi attuata principalmente da “pastori ebrei” ben armati. Dall’inizio dell’anno al 24 luglio ci sono stati 581 attacchi, senza contare assalti e intimidazioni che non sono finiti con danni a proprietà o persone.

Noi non lavoriamo nel vuoto normativo,” ha detto giovedì scorso il giudice Uzi Fogelman, valutando i ricorsi contro la legge che impedisce che Netanyahu venga dichiarato inabilitato a governare. Egli stava difendendo l’autorità della corte a rivedere persino le leggi fondamentali [Basic Laws]. Il giorno prima, lui e i suoi colleghi Esther Hayut e Yael Willner hanno davvero lavorato nel vuoto normativo com’è loro inviolabile abitudine quando si tratta delle colonie in Cisgiordania. Hanno respinto un ricorso presentato dagli abitanti di un altro villaggio chiamato Burqa (questo è vicino a Nablus), che chiedevano fosse loro permesso di lavorare la propria terra senza gli attacchi di coloni e divieti ai propri spostamenti imposti dall’esercito.

La petizione è stata respinta poiché la scuola ebraica, la yeshiva illegale in quella località, era stata spostata in una piccolissima enclave designata come “terra demaniale,” nel bel mezzo di terreni privati palestinesi. Il fatto che i coloni si spostino in questa terra privata e che questa sia la ricetta infallibile per continue molestie e attacchi contro palestinesi non è stata presa in considerazione dai giudici. Proprio come il pubblico ministero che ha liberato l’accoltellatore di Nofei Nehemia ha ignorato l’intenzione illegale a priori di costruire un avamposto invasivo su terreni palestinesi (pubblici o privati fa lo stesso agli occhi del diritto internazionale). Entrambe le decisioni incoraggiano i pogromisti ebrei.

L’assassinio di Mi’tan non è avvenuto in un vuoto. I dettagli precisi saranno chiariti grazie a indagini indipendenti nei prossimi giorni. Ma noi possiamo già riconoscere alcuni degli schemi che saranno seguiti:

1. Collaborazione tra coloni e istituzioni statali. L’avamposto di Migron, a sud di Burqa, fu costruito nel 1999 sui terreni di Burqa. Dopo una battaglia legale intrapresa dagli abitanti del villaggio insieme all’organizzazione Peace Now [Ong progressista pacifista israeliana, ndt.] i coloni furono estromessi dall’avamposto nel 2012, ma l’esercito proibì ai palestinesi, proprietari legali, di ritornare ai propri appezzamenti, coltivarli e svilupparli secondo le proprie necessità. Questo divieto è stato un invito a quelli che 3 anni fa hanno iniziato un allevamento di pecore detto Ramat Migron sulla stessa collina. I contadini e pastori palestinesi della zona spesso denunciano violenti attacchi da questo avamposto. Le autorità hanno trasferito parecchie volte i coloni che, per nulla scoraggiati, ci ritornano continuamente.

2. Anche isolare il villaggio dal circondario, al punto da soffocarlo economicamente e sociale sembra essere sistematico. Burqa giace a meno di 10 chilometri a est di Ramallah. All’inizio degli anni ’80 una strada diretta alla città fu bloccata a vantaggio della colonia di Psagot. Una seconda strada fu bloccata agli inizi del 2000, quando l’avamposto di Giv’at Assaf fu costruito sui terreni del villaggio di Beitin, di fronte all’uscita nord da Burqa. Questa uscita è ancora bloccata.

Invece di meno di 10 minuti per raggiungere Ramallah gli abitanti di Burqa devono fare una lunga deviazione attraverso villaggi adiacenti che richiede dai 30 ai 45 minuti. I costi connessi e la perdita di tempo hanno un impatto diretto sulla difficile situazione economica del villaggio. Anche se nel 2014 l’esercito ha detto al gruppo per i diritti umani B’Tselem che per quanto lo concerne l’uscita non era bloccata, blocchi di cemento e sassi sono piazzati là e non permettono il passaggio delle auto. I pedoni non si azzardano ad andarci. L’avamposto di Oz Zion, ripetutamente demolito e ricostruito, si trova nelle vicinanze della strada bloccata. 

Anche questo è un metodo usato dai coloni: bloccare strade e sentieri usati dagli abitanti dei villaggi palestinesi. L’esercito sta a guardare. Perciò i coloni hanno bloccato l’uscita diretta da Qaryut alla superstrada 60 o la strada dal villaggio di Sinjil ai propri terreni.

3. L’obiettivo comune condiviso dallo Stato e dai coloni assalitori resta quello di occupare i terreni dei palestinesi. Circa 1.000 dunam (100 ettari) di terreni di Burqa, in maggioranza agricoli, sono intrappolati dentro colonie che si sono iniziate a costruire nella zona negli anni ’80, o vicino a strade che portano a quelle colonie. Gli abitanti non hanno accesso alle proprie terre. La maggior parte delle terre rimanenti è nell’Area C (sotto completa autorità israeliana), una definizione degli accordi di Oslo che avrebbe dovuto essere temporanea, ma è diventata permanente. Israele impedisce al villaggio di costruire sulle proprie terre e di svilupparle come sembra opportuno.

Secondo una relazione del 2014 di Iyad Haddad, un ricercatore sul campo di B’Tselem [principale ong israeliana per i diritti umani, ndt.], sugli altri terreni la sistematica violenza da parte dei cittadini israeliani dal 2000 e la conseguente paura impediva agli abitanti di accedere a ulteriori 1.200 dunam. La stessa relazione fece notare che un quarto degli abitanti del villaggio aveva subito attacchi dai coloni. I più noti sono incendiare la moschea e prendere a pietrate i pastori e i raccoglitori di olive.

4. Persino le greggi di capre e le mandrie di bovini servono come arma contro i palestinesi. In tutta la Cisgiordania decine di avamposti di pastori mandano le loro greggi affamate nei villaggi, negli accampamenti di tende, nei campi e frutteti palestinesi per sabotarne i raccolti e impedire agli abitanti di coltivare le proprie terre. Oltretutto questa è una tattica usata per permettere a coloni israeliani armati, spesso scortati dall’esercito, di invadere comunità palestinesi e sconvolgere le loro vite.

Questa violenza organizzata e ben finanziata ha un altro obiettivo: creare provocazioni che portino a un’escalation militare. Dopo tutto i palestinesi non potranno contenere tanto a lungo gli attacchi crescenti contro di loro, commessi con il favore di polizia, esercito e pubblico ministero. Se i palestinesi cercano di difendersi o reagire, esercito e Shin Bet intraprendono delle azioni contro di loro.

Questo obiettivo è stato espresso da Elisha Yered, uno dei due sospetti dell’omicidio di Mi’tan. Yered, un abitante dell’avamposto di Ramat Migron, ha scritto un testo pubblicato il 5 luglio dal Jewish Voice: “Come cittadini cosa ci resta da fare? Non possiamo ridurre neppure per un momento le nostre richieste per una vasta e profonda operazione militare… in tutti i villaggi di Giudea e Samaria. L’obiettivo di tale operazione deve esse la vittoria riconosciuta dal nemico e non una serie di conflitti sanguinosi ogni due o tre mesi …

La recente mini operazione (a Jenin) è stata il risultato di proteste diffuse da parte degli abitanti di Giudea e Samaria [la Cisgiordania, ndt.], a cui più tardi si sono uniti parlamentari e figure pubbliche … noi scenderemo in piazza e protesteremo persino per eventi ‘minori’ come il lancio di pietre e gli attacchi con bombe incendiari e chiariremo agli apparati di sicurezza che non resteremo in silenzio se continua questa politica di contenimento.”

Tutti i rami del movimento dei coloni sono coordinati. Non sorprende quindi che al momento il capo del Comando Centrale, Yehuda Fuchs, sia nel mirino dei rappresentanti dei coloni nella Knesset, che lo accusano di essere debole e di permettere libertà di movimento ai palestinesi. L’opposto del “contenimento” è la guerra. A favore della guerra sono i sostenitori dell’espansionismo e delle annessioni, perché in guerra è più facile commettere crimini irreversibili su larga scala.

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




Il ministro di estrema destra afferma che le visite al luogo santo di Gerusalemme ricadono sotto le decisioni israeliane

Ben Lynfield

21 maggio 2023 – The Guardian

Tra crescenti tensioni i commenti di Itamar Ben-Gvir suscitano la condanna dei palestinesi

Il ministro della sicurezza israeliano di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, ha visitato un luogo a Gerusalemme sacro sia per i musulmani che per gli ebrei e ha dichiarato che Israele ne era “responsabile”, attirandosi la condanna dei palestinesi dopo mesi di crescenti tensioni e violenze.

La visita di primo mattino al sito, venerato dagli ebrei come il Monte del Tempio e dai musulmani come il complesso che ospita la moschea di al-Aqsa, ha anche suscitato denunce da parte di due dei partner di pace arabi di Israele, la Giordania e l’Egitto.

È successo pochi giorni dopo che gruppi di giovani ebrei si sono scontrati con palestinesi e hanno intonato slogan razzisti durante una marcia nazionalista attraverso la Città Vecchia.

Sono felice di salire sul Monte del Tempio, il luogo più importante per la nazione di Israele”, ha detto Ben-Gvir durante la sua visita al complesso, il luogo più controverso tra musulmani ed ebrei a Gerusalemme e teatro di ripetuti scontri. “La polizia sta facendo un lavoro fantastico qui ricordando di nuovo chi è il padrone di casa a Gerusalemme. Non serviranno tutte le minacce di Hamas. Noi siamo i padroni di Gerusalemme e di tutta la terra d’Israele”.

Secondo le disposizioni in vigore da quando Israele ha occupato il sito insieme al resto di Gerusalemme Est durante la guerra del 1967, gli ebrei possono visitare il posto ma solo i musulmani possono pregare lì. Dagli ebrei è venerato come il sito degli antichi templi, mentre i musulmani lo considerano come il luogo da cui il profeta Maometto ascese al cielo.

Negli ultimi anni le visite e gli appelli alla preghiera ebraica sono aumentati, alimentando i timori musulmani che ci possa essere un’espropriazione. Allo stesso tempo, la polizia è diventata sempre più negligente nel far rispettare il divieto di culto ebraico e spesso non ha impedito agli ebrei di pregare nell’angolo orientale del complesso. Lo fanno leggendo dai loro telefoni cellulari, piuttosto che dai libri di preghiere, che è quello che ha fatto Ben-Gvir domenica. Il momento è stato ripreso in video.

Ben-Gvir, che è stato eletto lo scorso novembre promettendo di sostenere la preghiera ebraica sul sito [di al-Aqsa,ndt], è considerato da molti il politico israeliano più estremista e ha una lunga storia di provocazioni rivolte agli arabi. Per molti anni ha esposto in bella vista nella sua casa una foto di Baruch Goldstein, un israeliano armato che uccise 29 palestinesi durante le preghiere della moschea a Hebron nel 1994.

Ben-Gvir ha anche chiesto maggiori finanziamenti per consentire a un ministero controllato dal suo partito Jewish Power (Potere Ebraico) di aumentare il numero di ebrei in parti di Israele con consistenti popolazioni arabe, il Negev e la Galilea. “Dobbiamo agire lì, dobbiamo essere i padroni anche del Negev e della Galilea”, ha detto.

Ahmad Majdalani, membro del comitato esecutivo dell’OLP, ha affermato che la visita ha offeso i musulmani di tutto il mondo e ha previsto che potrebbe destabilizzare la regione rafforzando i fondamentalisti islamici.

Majdalani, che è anche ministro palestinese per lo sviluppo sociale, ha definito la visita di Ben-Gvir “un’espressione provocatoria del governo israeliano nel suo insieme, non solo un’espressione individuale di Ben-Gvir. È politica ufficiale ferire i sentimenti dei musulmani in tutto il mondo, in particolare dei palestinesi. Avvertiamo che se continua così, la situazione cambia da un conflitto politico a uno religioso che non può essere controllato. Il pericolo di ciò per la regione non può essere sopravvalutato”.

La Giordania, a cui è stato affidato un ruolo speciale riguardo ai siti islamici a Gerusalemme nel suo trattato di pace con Israele del 1994, è stata dura nella sua condanna. “L’assalto alla moschea di al-Aqsa e la violazione della sua santità da parte di un ministro del gabinetto israeliano sono atti da condannare e provocatori”, ha affermato il portavoce del Ministero degli Affari Esteri e degli espatriati Sinan Majali. “Rappresentano una palese violazione del diritto internazionale, nonché dello status quo storico e giuridico a Gerusalemme e nei suoi luoghi santi”.

Israele ha occupato la Città Vecchia di Gerusalemme, che comprende al-Aqsa e l’adiacente Muro Occidentale, un luogo sacro di preghiera per gli ebrei, durante la guerra in Medio Oriente del 1967.

Da allora Israele ha annesso Gerusalemme Est, con una iniziativa non riconosciuta dalla comunità internazionale, e considera l’intera città come la sua capitale eterna e indivisa. I palestinesi vogliono Gerusalemme Est come capitale di uno Stato futuro.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)