Biden più vicino che mai alla rottura con Netanyahu sulla guerra a Gaza

Yasmeen Abutaleb, John Hudson e Tyler Pager

11 febbraio 2024 – The Washington Post

Con l’aumentare delle vittime alcuni assistenti esortano Biden a criticare apertamente il primo ministro israeliano

Secondo diverse persone che sono al corrente delle loro discussioni riservate, il presidente Biden e i suoi principali collaboratori sono più che mai vicini a una rottura con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dall’inizio della guerra di Gaza, poiché non lo considerano più un partner costruttivo che possa essere influenzato anche in via confidenziale.

Secondo sei persone che sono al corrente delle conversazioni e che hanno parlato a condizione di restare anonime per trattare di considerazioni riservate, la crescente frustrazione nei confronti di Netanyahu ha spinto alcuni degli assistenti di Biden a esortarlo a essere più critico in modo esplicito nei confronti del primo ministro sull’operazione militare del suo Paese a Gaza.

Secondo queste persone il presidente, un convinto sostenitore di Israele che conosce Netanyahu da più di 40 anni, è stato finora in gran parte riluttante a rendere pubblica la sua personale frustrazione. Ma vi si sta lentamente avvicinando, hanno detto, dato che Netanyahu continua a far infuriare i funzionari di Biden con umiliazioni pubbliche e arroganti rifiuti alle più elementari richieste degli Stati Uniti.

Netanyahu ha irritato i funzionari statunitensi in diverse occasioni negli ultimi giorni. Ha condannato pubblicamente un accordo sugli ostaggi mentre il segretario di Stato Antony Blinken era nella regione nel tentativo di mediare l’accordo. Ha annunciato che l’esercito israeliano si sarebbe spostato nella città di Rafah, nel sud di Gaza, una mossa a cui i funzionari statunitensi si sono pubblicamente opposti perché Rafah è occupata da circa 1,4 milioni di palestinesi che vivono in condizioni disumane e sono fuggiti lì su ordine israeliano.

Netanyahu ha anche affermato che Israele non smetterà di combattere a Gaza finché non otterrà la “vittoria totale”, anche se i funzionari statunitensi credono sempre più che il suo obiettivo dichiarato di distruggere Hamas sia irrealizzabile.

Per ora la Casa Bianca ha respinto le richieste di sospendere gli aiuti militari a Israele o di imporgli condizioni, affermando che ciò non farebbe altro che incoraggiare i nemici di Israele. Ma alcuni degli assistenti di Biden sostengono che criticare apertamente Netanyahu gli permetterebbe di prendere le distanze da un leader impopolare e dalle sue politiche di terra bruciata, ribadendo al contempo il suo sostegno di lunga data a Israele stesso.

La frustrazione personale di Biden nei confronti di Netanyahu – che è andata accumulandosi da mesi – è risultata evidente giovedì, quando ha affermato che la campagna militare di Israele a Gaza è stata “eccessiva”, il suo rimprovero finora più aspro.

Il presidente ha anche parlato in modo molto più dettagliato delle sofferenze dei palestinesi, nonché del tempo e delle energie che ha speso cercando di convincere israeliani ed egiziani a concedere maggiori aiuti ai 40 km. di enclave. “Molte persone innocenti stanno morendo di fame”, ha detto Biden. “Molte persone innocenti sono in difficoltà e stanno morendo. E questo deve finire”.

Un particolare punto critico è il piano di Israele di lanciare una campagna militare a Rafah, la città più meridionale di Gaza che confina con l’Egitto e che si è ingrandita fino a diventare più di quattro volte la sua dimensione originale. “Vivono già in tende e non ricevono abbastanza cibo e acqua e gli dicono di andare da qualche altra parte”, ha detto un consigliere esterno della Casa Bianca. “Dove? E come dovrebbero arrivarci?”

Questo articolo si basa su interviste con 19 alti funzionari dell’amministrazione e consulenti esterni, molti dei quali hanno parlato a condizione di anonimato per discutere di colloqui riservati.

Gli assistenti della Casa Bianca affermano pubblicamente che non c’è stato alcun cambiamento nella strategia o nel messaggio di Biden. Ma molti dei suoi alleati sostengono che anche un brusco cambiamento della retorica avrà scarso effetto, a meno che gli Stati Uniti non inizino a imporre condizioni per il loro sostegno a Israele.

Finché sostieni senza condizioni l’operazione militare di Netanyahu a Gaza, non fa assolutamente alcuna differenza quanto cambi il tenore delle tue dichiarazioni”, ha detto Ben Rhodes, vice consigliere per la Sicurezza Nazionale dell’ex presidente Barack Obama. “Fondamentalmente bisogna decidere di non dare a Bibi un assegno in bianco in aiuti.” (“Bibi” è il soprannome comune di Netanyahu.)

Israele ha lanciato la sua campagna militare punitiva in risposta al brutale attacco di Hamas del 7 ottobre, quando i miliziani hanno fatto irruzione attraverso la recinzione di confine tra Israele e Gaza e hanno ucciso 1.200 persone, molte delle quali civili, e hanno preso circa 253 ostaggi. Da allora, secondo il Ministero della Sanità di Gaza, gli attacchi aerei e i raid israeliani hanno ucciso più di 28.000 palestinesi e provocato lo sfollamento di oltre l’80% dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza, mentre l’assedio dell’enclave ha creato una vera catastrofe umanitaria.

La Casa Bianca ha fatto cauti passi negli ultimi giorni per segnalare la sua crescente frustrazione. Biden ha emesso un memorandum sulla sicurezza nazionale volto a garantire che i Paesi che ricevono armi statunitensi rispettino determinate linee guida, tra cui non ostacolare l’assistenza umanitaria.

All’inizio di questo mese Biden ha anche emesso un ordine esecutivo che impone sanzioni a quattro coloni della Cisgiordania per violenza contro i palestinesi, un’azione di cui Netanyahu si è lamentato durante un incontro privato con Blinken la scorsa settimana, hanno detto i funzionari. E giovedì il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale John Kirby ha detto che un’operazione israeliana a Rafah “sarebbe un disastro per la popolazione, e noi non la sosterremmo” – la critica più forte con cui la Casa Bianca si è opposta ad un’operazione militare israeliana.

Alcuni degli assistenti del presidente hanno sostenuto che Biden può ancora appoggiare Israele pur denunciando Netanyahu. Ma secondo diverse persone che hanno familiarità con il suo pensiero Biden, che gli assistenti dicono abbia un attaccamento viscerale allo Stato ebraico, ha la tendenza a vedere il primo ministro e lo Stato di Israele come la stessa cosa, e si è opposto all’idea di criticare un primo ministro in carica, soprattutto in tempo di guerra.

Secondo due ex funzionari di Obama, quando era vicepresidente Biden riteneva che Obama e Netanyahu fossero troppo spesso pubblicamente in disaccordo.

Eppure la pazienza di Biden si sta esaurendo, per il modo in cui Israele ha condotto la sua campagna militare, e il presidente sta anche pagando un crescente prezzo politico per il suo sostegno a Israele, mentre Netanyahu sembra desideroso di ottenere un tornaconto politico snobbando pubblicamente Biden. Mentre Biden si avvia verso una faticosa campagna di rielezione, i sondaggi mostrano che i giovani elettori, le persone di colore, i musulmani e gli arabi americani disapprovano fortemente la sua gestione della guerra.

Per mesi i funzionari statunitensi hanno esercitato pressioni sugli israeliani affinché consentissero l’arrivo a Gaza di maggiori aiuti umanitari, tra cui cibo, acqua e medicine, ma hanno dovuto affrontare ripetute resistenze da parte di Netanyahu e del suo governo. I manifestanti israeliani hanno anche bloccato l’ingresso dei camion degli aiuti attraverso il valico di frontiera con Gaza di Kerem Shalom.

Un alto funzionario dell’amministrazione che parla regolarmente con il presidente ha affermato che i commenti insolitamente taglienti di Biden giovedì riflettono ciò che ha detto a lungo in privato.

Non penso che qualcuno possa guardare a ciò che gli israeliani hanno fatto a Gaza e non dire che è esagerato”, ha detto il funzionario. “È tutto frustrante con gli israeliani. Hanno pensato a ciò che avverrà dopo a Gaza? No. Non si sono cimentati con le domande veramente difficili”.

Biden tiene profondamente a portare più aiuti umanitari a Gaza, ha detto il funzionario, aggiungendo che “ci pensa costantemente” ed è frustrato dagli ostacoli che Israele sta frapponendo. “Tutto è una continua lotta”, ha detto il funzionario.

Alla frustrazione dei funzionari statunitensi si aggiunge il loro profondo scetticismo sulla capacità di Israele di raggiungere l’obiettivo dichiarato della vittoria militare totale.

Come riportato per la prima volta dal New York Times, funzionari a conoscenza di un briefing a porte chiuse la scorsa settimana, dei funzionari dell’intelligence statunitense hanno detto ai parlamentari che, sebbene Israele abbia ridotto le capacità militari di Hamas, dopo più di 100 giorni dall’inizio della sua campagna non è vicino all’eliminazione del gruppo.

I leader statunitensi sono scettici nei confronti dell’affermazione di Netanyahu secondo cui avrebbe distrutto due terzi delle squadre combattenti di Hamas, e avvertono che l’alto livello di vittime civili sta garantendo che per decenni a venire accanto a Israele vivrà una popolazione radicalizzata.

Nell’immediato futuro i funzionari statunitensi sono quasi interamente concentrati sulla conclusione di un accordo che vedrebbe il rilascio di molti dei restanti 130 ostaggi israeliani a Gaza in cambio di prigionieri palestinesi e una pausa a lungo termine nei combattimenti.

Funzionari della Casa Bianca hanno affermato che un cessate il fuoco temporaneo consentirebbe loro di far arrivare a Gaza gli aiuti umanitari di cui c’è disperatamente bisogno. Sperano anche che possa fornire lo spazio per iniziare ad affrontare le questioni più difficili del futuro, tra cui chi governerà Gaza, come rendere possibile la nascita di uno Stato palestinese e come riformare l’Autorità Palestinese che governa alcune parti della Cisgiordania.

I funzionari della Casa Bianca sono sempre più vicini alla conclusione che Netanyahu sia concentrato sulla propria sopravvivenza politica a prescindere da qualsiasi altro obiettivo, e che sia ansioso di presentarsi come colui che tiene testa al sostegno di Biden per la soluzione a due Stati. Durante una conferenza stampa il mese scorso, Netanyahu ha rimproverato pubblicamente Biden per il suo sostegno allo Stato palestinese, affermando che un primo ministro israeliano deve essere “capace di dire no ai nostri amici”.

Netanyahu sta giocando la propria politica in patria, e se pensa che denigrare pubblicamente Biden lo possa aiutare, lo farà”, ha detto Frank Lowenstein, ex funzionario del Dipartimento di Stato che ha contribuito a condurre i negoziati israelo-palestinesi del 2014.

Gli assistenti dicono che uno dei motivi principali per cui Biden non ha criticato prima Netanyahu è il suo rapporto decennale con il primo ministro. Biden afferma spesso di dire a Netanyahu: “Ti voglio bene Bibi, anche se non ti sopporto”.

Talvolta Netanyahu ha contribuito a rafforzare la visione di Biden di Israele come un eroico baluardo contro l’antisemitismo globale. Secondo una persona presente allo scambio, che parla a condizione dell’anonimato per descrivere un colloquio privato, durante una visita quando Biden era vicepresidente Netanyahu gli mostrò foto di immagini grossolanamente antisemite provenienti da Hamas e sostenne che quella istigazione era la ragione per cui non si poteva fare la pace con i palestinesi.

Man mano che la frustrazione di Biden cresce, il presidente parla meno di frequente con il leader israeliano. Secondo un alto funzionario dell’amministrazione presente alla conversazione, la loro ultima conversazione, a metà gennaio, era stata in gran parte incentrata sul potenziale accordo sugli ostaggi.

Biden spingeva Netanyahu a “buttare giù un’offerta e mettere alla prova Hamas”, ha detto il funzionario. Il presidente ha poi parlato con il presidente egiziano Abdel Fatah El-Sisi e con l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani, esortandoli a fare pressione su Hamas affinché le due parti potessero avvicinarsi a un accordo.

In questo contesto, il presidente e i suoi collaboratori si sono arrabbiati quando la scorsa settimana Netanyahu ha pubblicamente rifiutato l’ultima proposta di Hamas sugli ostaggi poche ore dopo che Blinken, che era in Israele per la quinta volta dall’inizio della guerra, aveva dichiarato che era una proposta promettente.

La resa alle ridicole richieste di Hamas – che abbiamo appena sentito – non porterà alla liberazione degli ostaggi, e provocherà solo un altro massacro”, ha detto Netanyahu.

Ore dopo Blinken ha espresso le critiche sinora più acute sull’alto numero di vittime civili a Gaza, sulle restrizioni israeliane agli aiuti e sulla retorica incendiaria di Netanyahu e dei suoi ministri che, secondo lui, causano “profonde preoccupazioni” agli Stati Uniti.

Il pedaggio quotidiano che le sue operazioni militari continuano a infliggere a civili innocenti rimane troppo alto”, ha detto mercoledì Blinken ai giornalisti in una conferenza stampa a Tel Aviv. “Gli israeliani sono stati disumanizzati nel modo più orribile il 7 ottobre. Da allora gli ostaggi sono stati disumanizzati ogni giorno. Ma questa non può essere una licenza per privare altri della loro umanità”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Cosa implica per la guerra contro Gaza la sentenza provvisoria della CIG?

Justin Salhani

26 gennaio 2024 – Al Jazeera

Secondo alcuni esperti, se le misure provvisorie della CIG hanno evitato di chiedere un cessate il fuoco, potrebbero rendere più difficile per Israele continuare la guerra.

Venerdì la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso una serie di misure provvisorie che chiedono a Israele di rispettare la convenzione sul genocidio del 1948, consentire l’ingresso a Gaza di più aiuti umanitari e agire contro quanti esprimono affermazioni genocidarie.

La sentenza provvisoria della Corte Internazionale nella causa intentata dal Sudafrica, che accusa Israele di commettere un genocidio a Gaza, ha evitato di ordinare a Israele di sospendere o porre fine alla sua devastante guerra contro Gaza, che dal 7 ottobre ha ucciso più di 26.000 palestinesi nell’enclave.

Ma ha rigettato la tesi di Israele secondo cui la Corte non ha giurisdizione per imporre misure provvisorie e ha evidenziato che le sue conclusioni sono vincolanti.

L’Autorità Palestinese ha accolto positivamente la sentenza: “La decisione della CIG è un importante richiamo al fatto che nessuno Stato è al di sopra della legge e fuori dalla portata della giustizia,” ha affermato in un comunicato il ministro degli Esteri palestinese Riyadh Maliki. “Ciò infrange la radicata cultura israeliana di criminalità e impunità, che ha caratterizzato le sue pluridecennali occupazione, spoliazione, persecuzione e apartheid in Palestina.”

Mentre la Corte di per sé non ha il potere di imporre l’applicazione della sentenza provvisoria, e neppure il verdetto definitivo che emetterà sul caso, secondo alcuni analisti le sue decisioni di venerdì potrebbero influire sulla guerra a Gaza. Nelle scorse settimane sono aumentate le pressioni su Israele e sui suoi sostenitori americani, mentre continuano a guadagnare terreno gli appelli internazionali per un cessate il fuoco.

La sentenza di venerdì non stabilisce se Israele stia commettendo un genocidio, come ha sostenuto il Sudafrica. Ma la giudice Joan Donahue, attuale presidentessa della CIG, annunciando le misure provvisorie ha affermato che la Corte ha concluso che la “situazione catastrofica” a Gaza potrebbe peggiorare ulteriormente durante il periodo che passerà prima del verdetto finale, e ciò richiede misure transitorie.

“La sentenza invia il forte messaggio a Israele che la Corte vede la situazione come molto grave e che Israele dovrebbe fare quello che può per esercitare moderazione nel portare avanti la sua campagna militare,” afferma Michael Becker, docente di diritto internazionale umanitario al Trinity College di Dublino e che è stato anche un giurista associato presso la Corte Internazionale di Giustizia all’Aia dal 2010 al 2014.

La guerra può continuare?

Nei suoi provvedimenti provvisori la CIG non ordina a Israele di interrompere la campagna militare a Gaza. Nella sua richiesta di interventi temporanei il Sudafrica, citando la possibilità di un genocidio a Gaza, aveva sollecitato una decisione per la cessazione immediata.

Nel marzo 2022, un mese dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, la Corte aveva ordinato alla Russia di interrompere la sua guerra in Ucraina, ma Mosca ha ignorato quella sentenza.

Quindi Israele non violerebbe le indicazioni di venerdì della CIG continuando la guerra che, insiste ad affermare, proseguirà finché non avrà distrutto Hamas, il gruppo armato palestinese che il 7 ottobre ha attaccato Israele uccidendo circa 1.200 persone e rapito altre 240.

Tuttavia il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sarà probabilmente più che mai sottoposto a controllo riguardo alle azioni dei suoi soldati a Gaza e alle affermazioni dei suoi leader e generali.

In base alla sentenza della CIG, a Israele viene chiesto di sottoporre un rapporto entro un mese per dimostrare che sta rispettando le misure provvisorie. Il Sudafrica avrà la possibilità di smentire le affermazioni di Israele.

Israele darà seguito alla sentenza della CIG?

Quando, alla fine di dicembre, il Sudafrica ha presentato la sua denuncia alla CIG, i politici israeliani l’hanno liquidata come una “menzogna” e accusato i sudafricani di “ipocrisia”. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che Israele non si sarebbe lasciato influenzare da alcuna sentenza.

“Ripristineremo la sicurezza sia a sud che a nord,” ha scritto Netanyahu sulla piattaforma X, ex Twitter, dall’account ufficiale della presidenza del consiglio israeliana. “Nessuno ci fermerà, né l’Aia, né l’asse del male, né altri.”

Ma, anche se Israele decidesse di non rispettare la sentenza della CIG, ci saranno pressioni sui suoi sostenitori internazionali.

“I politici israeliani hanno già detto che ignoreranno l’ordine della CIG,” dice ad Al Jazeera Mark Lattimer, direttore esecutivo del Ceasefire Centre for Civilian Rights [Centro del Cessate il Fuoco per i Diritti dei Civili, ong britannica, ndt.]. “È molto più difficile, soprattutto per gli USA e gli Stati europei, compresa la Gran Bretagna, ignorare l’ingiunzione, perché essi hanno una storia molto più solida di sostegno e supporto alla Corte Internazionale di Giustizia.”

Alcuni giuristi prevedono che gli alleati occidentali di Israele, tra cui gli USA, rispetteranno la sentenza della CIG. Non farlo avrebbe gravi ripercussioni.

Ciò minerebbe la “credibilità dell’ordine internazionale basato sulle regole che gli USA sostengono di difendere,” afferma Lattimer. Aggiunge che ciò “rafforzerà anche una crescente divisione” tra gli USA e i Paesi occidentali nei confronti del Sud globale, che vede con scetticismo questa asserita “difesa dell’ordine internazionale”.

La sentenza accrescerà le pressioni internazionali per un cessate il fuoco?

Mentre la sentenza di per sé non chiede il cessate il fuoco, essa potrebbe rendere più difficile per gli alleati di Israele continuare a ostacolare i tentativi internazionali di porre fine alla guerra.

“La sentenza della CIG accentua notevolmente la pressione sugli USA e gli altri alleati occidentali perché portino avanti una risoluzione per il cessate il fuoco,” dice ad Al Jazeera Zaha Hassan, avvocata per i diritti umani e ricercatrice presso il Carnegie Endowment for International Peace [gruppo di ricerca indipendente sulla pace con sede a Washington, ndt.]. “Ciò rende molto più difficile agli USA, insieme a Israele, far accettare ai governi occidentali, che si preoccupano ancora molto della legittimità internazionale, di continuare a sostenere che a Gaza Israele sta agendo all’interno dei limiti delle leggi internazionali e per autodifesa.”

Alcune prove suggeriscono che lo sa anche Israele. Secondo alcuni esperti, poco dopo che il Sudafrica ha annunciato che avrebbe portato il caso davanti alla CIG, la strategia di Israele sul terreno ha iniziato a cambiare.

C’è stata “una corsa per eliminare ogni possibilità di un ritorno dei palestinesi nel nord di Gaza,” sostiene Hassan, evidenziando i bombardamenti mirati contro università e ospedali. “Una volta che hai tolto di mezzo gli ospedali hai reso impossibile alle persone restare durante una guerra. È parte di una strategia per obbligare la popolazione palestinese a trasferirsi e per uno sfollamento permanente.”

Ma questo dovrebbe essere la consapevolezza del fatto che il tempo a disposizione di Israele per portare avanti la sua campagna militare sta per scadere.

“C’è bisogno di una pressione internazionale sufficiente a creare sostanzialmente più incentivi per negoziare un cessate il fuoco,” afferma Lattimer. “L’ordinanza della CIG è un importante contributo.”

Compagni d’armi

Soprattutto gli USA hanno fornito l’aiuto militare su cui si basa Israele per continuare a condurre la guerra. Il presidente Joe Biden ha eluso il Congresso USA due volte in un mese per dare l’approvazione alla vendita d’emergenza di armi a Israele.

L’amministrazione Biden sostiene di aver chiesto a Israele di proteggere la vita dei civili, ma ciò non gli ha evitato pesanti critiche, anche interne, per non aver convinto Israele a prestare maggiore attenzione alle vite innocenti a Gaza.

“Questa amministrazione è preoccupata del crescente numero di membri del Congresso, soprattutto senatori democratici moderati che stanno dando segnali d’allarme contro l’uso scorretto delle armi americane e la possibile complicità degli USA se continuano a inviare rifornimenti incondizionati a Israele,” dice Hassan.

La sentenza della CIG potrebbe dare maggiore impulso alla promozione di un cessate il fuoco a Gaza e affinchè gli USA insistano per un maggiore livello di controllo quando si tratta delle azioni dell’esercito israeliano.

“Nel momento stesso in cui gli USA diranno ‘Non continueremo più a rifornirvi’ questa guerra contro Gaza finirà,” sostiene Hassan.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Perché gli USA temono Israele nonostante la condanna globale del loro sostegno al regime sionista?

Shaheryar Ali Khawaja

23 gennaio 2024 – Middle East Monitor

Il governo statunitense afferma di essere un campione di democrazia e diritti umani ed è sempre pronto a portare l’attenzione su atti efferati di discriminazione compiuti nel mondo. Tuttavia quando si tratta di denunciare i crimini di Israele e consegnarlo alla giustizia per le sue atrocità Washington è paralizzata e ammutolita. Per molti analisti tale doppiezza è incomprensibile, tenendo conto che Israele è totalmente dipendente dagli Stati Uniti non solo per le attrezzature militari e la tecnologia, ma anche per estrarre un enorme ammontare di aiuti economici per finanziare il suo deficit di bilancio e i crimini di guerra.

Perché, nonostante la dipendenza dagli USA, il regime israeliano è totalmente indifferente alle preoccupazioni degli statunitensi? Come può sentirsi autorizzato a dire agli Stati Uniti di farsi i fatti loro e ignorare le preoccupazioni riguardanti il massacro su larga scala dei civili palestinesi?

Per rispondere a tali interrogativi dobbiamo considerare il fatto che gli Stati Uniti non sono in realtà una vera democrazia: sono una plutocrazia, una dollaro-democrazia in cui i candidati alle cariche pubbliche fanno notevole affidamento su finanziamenti per le loro campagne elettorali. È qui che entrano in gioco gruppi lobbistici filorisraeliani come l’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) nel ruolo di grandi finanziatori che praticamente comprano la lealtà dei politici americani, che a loro volta sono quindi compromessi e facilmente manipolabili. Qualsiasi proposta governativa che l’AIPAC consideri sfavorevole alle posizioni israeliane ha poche possibilità di diventare legge. Inoltre a Israele è concesso un trattamento speciale, per esempio, come abbiamo visto recentemente, per evitare le conseguenze delle leggi esistenti sui diritti umani concernenti le forniture di armi.

Inoltre gli Stati Uniti hanno un’ampia base di elettori cristiani evangelici che spinge i politici ad appoggiare le imprevedibili azioni di Israele indipendentemente da quanto serie e complicate possano essere le conseguenze. Questi cristiani credono che la sopravvivenza di Israele sia fondamentale per la seconda venuta di Gesù e l’Apocalisse. La loro pressione sui politici americani fa sì che siano alleati con Israele; persino la minima simpatia per la causa palestinese è proibita.

Mentre il governo de facto in Yemen impone le proprie sanzioni contro Israele in solidarietà con i palestinesi che affrontano il genocidio a Gaza, e prende di mira la navigazione nel Mar Rosso se connessa in qualche modo con lo stato di occupazione, gli USA, invece di cercare di fermare il genocidio, riuniscono una coalizione navale internazionale per attaccare lo Yemen. Proteggere i commerci israeliani piuttosto che le vite palestinesi è un altro esempio lampante e spregevole dell’atteggiamento sottomesso di Washington verso Israele. La posizione apparentemente predefinita degli USA di sacrificare risorse e personale per la sicurezza di Israele è totalmente incomprensibile, tenendo presente che Israele non ha mai mandato le sue truppe per proteggere i beni degli americani da nessuna parte del mondo. Al contrario, nel lontano 1967 Israele attaccò la nave da guerra americana Liberty al largo delle coste del Sinai egiziano, uccidendo 34 membri dell’equipaggio e ferendone altri 173. Nessuna iniziativa venne intrapresa contro lo Stato di occupazione e da allora i sopravvissuti all’attacco hanno sostenuto che ci sia stato un insabbiamento da parte delle successive amministrazioni statunitensi.

Un’altra grande ingiustizia da parte degli USA è stata l’uso del loro diritto di veto al Consiglio di Sicurezza ONU per proteggere Israele dalla condanna della comunità globale. L’ex presidente Richard Nixon ha detto nel suo libro Beyond Peace che dalla fine della guerra fredda Israele non ha nessun significativo valore strategico per gli interessi americani, il che rende la loro protezione ancora più irrazionale.

In tutta questa storia i politici americani sanno che in America possono contare su media filoisraeliani compiacenti. Noi abbiamo visto giornalisti e conduttori di notiziari ripetere varie volte la narrazione israeliana dell’“autodifesa”. A sua volta questo non solo incoraggia i politici americani, ma anche Israele stesso, nella sua brutale occupazione militare della Palestina. Chiunque si opponga ai politici filoisraeliani finirà massacrato da articoli nelle testate più importanti. La demonizzazione dei deputati Ilhan Omar, Rashida Tlaib e Alexandria Ocasio-Cortez e altri ne è un esempio molto significativo.

E guardate cosa è successo al presidente George Bush Senior che, nonostante fosse sulla cresta dell’onda in quanto a popolarità dopo la guerra del Golfo del 1990-1991 contro l’Iraq, non riuscì a farsi rieleggere. Perché? Perché aveva negato a Israele delle garanzie sui prestiti per le sue colonie illegali nella Cisgiordania occupata. La lobby filoisraeliana si mobilitò contro di lui, cosa che gli costò il secondo mandato alla Casa Bianca.

Un altro esempio del costo dell’opporsi allo stato sionista fu quello pagato da Paul Findley, senatore dal 1960 al 1981. La sua posizione anti Israele alla fine gli costò il posto, come ha affermato nel suo libro They Dare To Speak Out.

La questione in gioco è la libertà per i politici americani di esercitare il proprio ruolo responsabilmente con la coscienza tranquilla e ritirare il loro supporto generalizzato a Israele e ritenerlo responsabile per la sua occupazione e la pulizia etnica della Palestina. Gli Stati Uniti hanno la forza di farlo con i propri aiuti militari e la copertura diplomatica all’ONU a favore di Israele. È ora che i politici americani di fronte al sionismo prendano il toro per le corna e, senza dubbio, salvino molte vite nelle guerre in Medio Oriente che mettono in pericolo tutto il mondo. Se lo faranno allora “Joe il genocida” alias il “macellaio Biden” lascerà un’eredità più onorevole che rendersi complice dell’omicidio di massa dei palestinesi, specialmente donne e bambini. Lo stesso vale per i politici di Regno Unito, Europa e altrove.

Il mondo ricorda e onora individui come Nelson Mandela molto di più che i presidenti americani che hanno sostenuto uno Stato fondato sul terrorismo, che ha ucciso e oppresso i palestinesi per oltre 75 anni. Questo sostegno indiscusso all’apartheid nello Stato di Israele non è solo costato agli USA miliardi di dollari, ma anche la reputazione internazionale. È ora di mollare il parassitario Israele prima che distrugga completamente gli ideali e le fondamenta su cui è stata costruita l’America.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Craig Murray: Attivare la Convenzione sul genocidio

Craig Murray

19 novembre 2023 – Consortium News

Non c’è dubbio che il bombardamento da parte di Israele dei civili palestinesi e la privazione di cibo, acqua e altre necessità vitali costituiscano motivo per appellarsi alla Convenzione sul genocidio del 1948.

Sono 149 gli Stati che aderiscono alla Convenzione sul Genocidio. Ognuno di loro ha il diritto di segnalare pubblicamente il genocidio in corso a Gaza e di denunciarlo alle Nazioni Unite.

Nel caso in cui un altro Stato contraente contesti laccusa di genocidio, e Israele, Stati Uniti e Regno Unito sono tutti Stati contraenti, allora la Corte internazionale di Giustizia è tenuta a pronunciarsi sulla responsabilità dello Stato per genocidio”.

Questi sono gli articoli salienti della Convenzione sul Genocidio:

Articolo VIII

Ogni Parte contraente può invitare gli organi competenti delle Nazioni Unite a intraprendere, ai sensi della Carta delle Nazioni Unite, le azioni che ritengono appropriate per prevenire e reprimere atti di genocidio o qualsiasi altro atto elencato nell’articolo III.

Articolo IX

Le controversie tra le Parti contraenti relative all’interpretazione, applicazione o adempimento della presente Convenzione, comprese quelle relative alla responsabilità di uno Stato per genocidio o per qualsiasi altro atto contemplato nell’articolo III, saranno sottoposte alla Corte internazionale di Giustizia su richiesta di una delle parti in causa”.

Si noti che qui parti in causa” significa gli Stati che contestano

le azioni genocidarie, non le parti coinvolte direttamente nel genocidio/conflitto. Ogni singolo Stato contraente può appellarsi alla convenzione.

Non c’è dubbio che le azioni di Israele equivalgano a un genocidio. Lo hanno affermato numerosi esperti di diritto internazionale e lintento genocida è stato espresso direttamente da numerosi ministri, generali e funzionari pubblici israeliani.

Definizione di Genocidio

Questa è la definizione di genocidio nel diritto internazionale in base alla Convenzione sul Genocidio:

Articolo II

Nella presente Convenzione per genocidio si intende qualsiasi dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale:

(a) Uccidere membri del gruppo;

(b) Causare gravi danni fisici o mentali a membri del gruppo;

(c) Infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita intese a provocarne la distruzione fisica totale o parziale;

(d) Imporre misure intese a impedire le nascite all’interno del gruppo;

(e) Il trasferimento forzato di bambini del gruppo in un altro gruppo”

Non vedo ragioni per mettere in dubbio che lattuale campagna israeliana di bombardamenti contro civili e di privazione di cibo, acqua e altri beni di prima necessità per i palestinesi equivalga a un genocidio ai sensi dell’articolo II a), b) e c).

Vale la pena considerare anche gli articoli III e IV:

Articolo III

Sono punibili i seguenti atti:

(a) Genocidio;

(b) Cospirazione per commettere un genocidio;

(c) Incitamento pubblico e diretto a commettere un genocidio;

(d) Tentativo di commettere un genocidio;

(e) Complicità nel genocidio.

Articolo IV

Saranno punite le persone che commettono un genocidio o uno qualsiasi degli altri atti elencati nellarticolo III, siano essi governanti costituzionalmente competenti, funzionari pubblici o privati”.

Esistono consistenti elementi di prova che le azioni degli Stati Uniti, del Regno Unito e di altri nel fornire apertamente sostegno militare diretto da utilizzare nel genocidio rappresentino complicità nel genocidio.

Il significato dellArticolo IV è che gli individui, e non solo gli Stati, sono responsabili. Quindi il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il primo ministro britannico Rishi Sunak hanno una responsabilità individuale. Lo stesso vale in realtà per tutti coloro che chiedono l’annientamento dei palestinesi.

L’attivazione della Convenzione sul genocidio sarebbe decisamente opportuna. Una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che dichiarasse Israele colpevole di genocidio avrebbe uno straordinario effetto diplomatico e causerebbe difficoltà interne nel Regno Unito e persino negli Stati Uniti nel continuare a sovvenzionare e armare Israele.

Rapporto tra CIG e CPI

La Corte Internazionale di Giustizia è la più rispettata delle istituzioni internazionali; mentre gli Stati Uniti non hanno riconosciuto la sua competenza vincolante, il Regno Unito non lo ha fatto e lUE la recepisce concretamente.

Se la Corte Internazionale di Giustizia stabilisce [il verificarsi di] un genocidio, allora la Corte Penale Internazionale non è tenuta a stabilire se il genocidio sia [o meno] avvenuto.

Questo è importante perché, a differenza della prestigiosa e indipendente CIG, la CPI è in gran parte unistituzione fantoccio dei governi occidentali che se possibile se ne terrà fuori.

Ma una decisione della Corte Internazionale di Giustizia in merito al genocidio e alla complicità nel genocidio ridurrebbe il compito della Corte Penale Internazionale all’individuazione dei responsabili. Questa è una prospettiva che può effettivamente modificare i calcoli dei politici.

C’è anche il fatto che un riferimento al genocidio costringerebbe i media occidentali ad affrontare la questione e a usare il termine, invece di limitarsi a diffondere della propaganda sul fatto che Hamas abbia basi di combattimento negli ospedali.

Inoltre una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia farebbe automaticamente scattare un dibattito allAssemblea Generale delle Nazioni Unite e non al Consiglio di Sicurezza, bloccato dal veto occidentale.

Tutto ciò solleva la questione del perché nessuno Stato si sia ancora appellato alla Convenzione sul Genocidio. Ciò è particolarmente significativo, in quanto la Palestina è uno dei 149 Stati che aderiscono alla Convenzione sul Genocidio, e a tal fine avrebbe potuto presentarsi davanti sia alle Nazioni Unite che alla CIG.

Temo che la questione riguardante il motivo per cui la Palestina non si sia appellata alla Convenzione sul Genocidio ci porti dentro oscuri meandri. Chiunque, come me e George Galloway, si sia fatto le ossa nella politica di sinistra di Dundee degli anni 70 ha fatto propria (una lunga) esperienza legata ai rapporti con Fatah, e le mie simpatie sono sempre state fortemente rivolte a Fatah piuttosto che ad Hamas.

Lo sono ancora, insieme allaspirazione a una Palestina democratica e laica. È Fatah ad occupare il seggio palestinese alle Nazioni Unite, e la decisione che la Palestina attivi la Convenzione sul genocidio spetta al presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Ogni giorno è sempre più difficile sostenere Abbas. Sembra straordinariamente passivo, ed è impossibile scacciare il sospetto che sia più interessato a impedire una guerra civile palestinese che ad opporsi al genocidio.

Appellandosi alla Convenzione sul Genocidio potrebbe rimettere se stesso e Fatah al centro della narrazione. Ma non fa nulla. Non voglio credere che le motivazioni di Mahmoud risiedano nella corruzione e nelle promesse da parte del segretario di Stato americano Antony Blinken di ereditare Gaza. Ma al momento non posso aggrapparmi a nessunaltra spiegazione a cui dar credito.

Ciascuno dei 149 Stati aderenti potrebbe appellarsi alla Convenzione sul Genocidio contro Israele e i suoi complici. Tra di loro ci sono Iran, Russia, Libia, Malesia, Bolivia, Venezuela, Brasile, Afghanistan, Cuba, Irlanda, Islanda, Giordania, Sud Africa, Turchia e Qatar. Ma nessuno di questi Stati ha denunciato il genocidio. Perché?

Non è perché la Convenzione sul genocidio sia lettera morta. Non è così. È stata invocata contro la Serbia dalla Bosnia-Erzegovina e la Corte Internazionale di Giustizia si è pronunciata contro la Serbia in merito al massacro di Srebrenica. Ciò ha portato immediatamente ai procedimenti giudiziari da parte della CPI.

Alcuni Stati potrebbero semplicemente non averci pensato. Per gli Stati arabi in particolare, il fatto che la stessa Palestina non si sia appellata alla Convenzione sul Genocidio può fornire una scusa. Gli Stati dellUE possono nascondersi dietro lunanimità del blocco [occidentale].

Ma temo che la verità sia che nessuno Stato si preoccupa delle migliaia di bambini palestinesi già uccisi e delle migliaia di altri che lo saranno a breve tanto da introdurre un altro fattore di contrasto nelle loro relazioni con gli Stati Uniti.

Proprio come nel vertice dello scorso fine settimana in Arabia Saudita, dove i Paesi islamici non sono riusciti a concordare un boicottaggio sul petrolio e gas nei confronti di Israele, la verità è che chi è al potere non ha davvero a cuore un genocidio a Gaza. Si preoccupa dei propri interessi.

È sufficiente che uno Stato faccia ricorso alla Convenzione sul Genocidio per cambiare la narrazione e le dinamiche internazionali. Ciò avverrà solo grazie al potere delle persone di imporre tale idea ai propri governi. Questo è il modo in cui tutti possono fare qualcosa per aumentare la pressione. Per favore, fate il possibile.

Tanto di cappello all’infaticabile Sam Husseini, il giornalista indipendente che ha insistito sulla Convenzione sul Genocidio alla Casa Bianca.

Craig Murray è un autore, conduttore televisivo e attivista per i diritti umani. È stato ambasciatore britannico in Uzbekistan dall’agosto 2002 all’ottobre 2004 e rettore dell’Università di Dundee dal 2007 al 2010. La sua attività giornalistica dipende interamente dal supporto dei lettori. Sono gradite sottoscrizioni per mantenere attivo questo blog.

Questo articolo è tratto da CraigMurray.org.uk.

Le opinioni espresse sono esclusivamente dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Consortium News.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Alcuni collaboratori dei politici statunitensi si pronunciano duramente contro la mancanza di umanità dei loro capi nei confronti dei palestinesi e chiedono il cessate il fuoco

Redazione di MEMO

14 novembre 2023 – Middle East Monitor

Un grande numero di collaboratori in servizio ed ex si sta pronunciando contro i loro capi e stanno sollecitando un cessate il fuoco a Gaza, evidenziando un netto divario generazionale presso Capitol Hill [il Campidoglio, sede del congresso statunitense, ndt].

Durante un drammatico sciopero senza precedenti al Campidoglio, giovani collaboratori hanno dichiarato di non poter più stare in silenzio mentre i loro capi ignorano gli elettori che stanno insistentemente chiedendo un allentamento dell’attacco israeliano contro Gaza. Sebbene molti parlamentari supportino la campagna militare israeliana e rifiutino le richieste per il cessate il fuoco, i loro giovani collaboratori si stanno mobilitando per la pace, lottando per conciliare le convinzioni personali con gli obblighi professionali.

Più di 100 collaboratori del Congresso, che indossavano tutti maschere per nascondere la loro identità, hanno organizzato uno sciopero per protestare contro i loro capi. “Noi siamo membri del personale del Congresso a Capitol Hill, e non ce la sentiamo più di stare in silenzio” hanno dichiarato tre collaboratori, i quali hanno tutti evitato di fornire il proprio nome. “I nostri elettori stanno chiedendo a gran voce un cessate il fuoco e noi siamo i collaboratori che rispondono alle loro chiamate. La maggior parte dei nostri capi al Campidoglio non sta ascoltando le persone che rappresentano. Noi chiediamo ai nostri capi di schierarsi: chiedere un cessate il fuoco, il rilascio di tutti gli ostaggi e una immediata riduzione degli attacchi adesso.”

I collaboratori hanno mostrato dissenso in molti modi. Oltre 550 hanno firmato una lettera aperta questo mese sollecitando il Congresso a supportare un cessate il fuoco, accusando i parlamentari di ignorare le morti dei civili palestinesi mentre esprimono solidarietà allo Stato di Israele. Decine hanno protestato fuori dal Congresso chiedendo azioni, nonostante la poca tolleranza per le critiche a Israele in Campidoglio.

Come discendenti di sopravvissuti alla schiavitù, all’Olocausto, al colonialismo, alla guerra e all’oppressione, ci sentiamo obbligati ad alzare le nostre voci in questo momento,” si afferma nella lettera. “Abbiamo apprezzato il fatto che quasi tutti i membri del Congresso abbiano espresso una rapida ed esplicita solidarietà con il popolo israeliano, ma siamo profondamente turbati che tali dimostrazioni di umanità siano state di rado estese al popolo palestinese.”

Secondo il New York Times, più o meno nello stesso momento 500 ex collaboratori della campagna del 2020 del presidente Biden, che si autodefiniscono gli Allievi di Biden per la Pace e la Giustizia, hanno scritto una lettera aperta chiedendo un cessate il fuoco. “Se tu non riesci ad agire rapidamente”, hanno avvisato, “il tuo lascito sarà la complicità di fronte ad un genocidio.”

Più di 400 ex collaboratori della campagna del 2020 della senatrice Elizabeth Warren hanno firmato una lettera simile diretta ai democratici del Massachusetts, così come hanno fatto ex collaboratori delle campagne del 2016 e 2020 del senatore Bernie Sanders.

Questa vera e propria rivolta pubblica riflette il divario tra il fermo supporto di lunga data allo Stato di Israele dei democratici e una nuova generazione che non crede che tale supporto sia sempre la cosa giusta da fare. I collaboratori normalmente influenzano la politica dietro le quinte, ma quelli attuali e gli ex adesso stanno dissentendo apertamente.

L’ex collaboratore del Senato Em Slevin secondo il New York Times avrebbe affermato: “Io non riesco a pensare a un’iniziativa simile o comparabile da parte dei collaboratori. E’ diverso da qualsiasi cosa abbiamo mai visto.”

Con il loro capi largamente schierati sulle posizioni di Biden, i giovani collaboratori si sentono in obbligo di dare voce al loro dissenso. Questa straordinaria ribellione alle regole sul posto di lavoro rivela un partito in conflitto con se stesso su Israele, con i valori progressisti che si scontrano con la rigidità istituzionale.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




La raccomandazione di un ministero del governo israeliano: espellere tutti i palestinesi da Gaza

Yuval Abraham

30 ottobre 2023 – +972 Magazine

Un documento del ministero israeliano dell’Intelligence reso pubblico da Local Call e +972 mostra come l’idea di un trasferimento della popolazione nel Sinai stia raggiungendo il dibattito a livello ufficiale.

Secondo un documento ufficiale rivelato integralmente per la prima volta ieri da Local Call, sito partner di +972, il ministero israeliano dell’Intelligence propone il trasferimento forzato e permanente nella penisola del Sinai, Egitto, dei 2,2 milioni di palestinesi che abitano nella Striscia di Gaza

Il documento di 10 pagine datato 13 ottobre 2023 reca il logo del ministero dell’Intelligence, un piccolo organismo governativo che sforna ricerche politiche e condivide le sue proposte con agenzie di intelligence, esercito e altri ministeri. Esso valuta tre alternative riguardanti il futuro dei palestinesi della Striscia nel quadro della guerra in corso e raccomanda un trasferimento totale della popolazione quale linea d’azione da privilegiare. Sollecita anche Israele a coinvolgere a sostegno dell’impresa la comunità internazionale. Il documento, la cui autenticità è stata confermata dal ministero, è stato tradotto in inglese e si trova integralmente sul sito di +972.

L’esistenza del documento non indica necessariamente che le sue raccomandazioni verranno prese in considerazione dalle istituzioni militari di Israele. Nonostante il suo nome, il ministero dell’Intelligence non è direttamente responsabile di nessun ente di intelligence, ma piuttosto prepara in modo indipendente studi e documenti programmatici che sono sottoposti all’esame di organismi governativi e di sicurezza israeliani, senza essere vincolanti. Il suo budget annuale è di 25 milioni di shekel (circa 5 milioni di euro) e la sua influenza è considerata relativamente limitata. È attualmente guidato da Gila Gamliel del Likud, il partito del primo ministro Benjamin Netanyahu.

Comunque il fatto che un ministero del governo israeliano abbia preparato una proposta così dettagliata nel corso di un’offensiva militare su larga scala contro Gaza, in seguito all’assalto mortale di Hamas e ai massacri nelle comunità nel sud di Israele il 7 ottobre, riflette come l’idea di un trasferimento forzato di popolazione abbia raggiunto il livello del dibattito politico ufficiale. Timori di un piano simile, che costituirebbe un grave crimine di guerra ai sensi del diritto internazionale, sono cresciuti nelle ultime settimane, specialmente dopo che l’esercito israeliano ha ordinato a circa 1 milione di palestinesi di evacuare la parte settentrionale della Striscia in previsione dell’escalation di bombardamenti e crescenti incursioni di terra.

Il documento raccomanda ad Israele di agire per “evacuare la popolazione civile nel Sinai” durante la guerra, di erigere tendopoli temporanee e in seguito città più permanenti nel Sinai settentrionale che assorbiranno la popolazione espulsa e poi creare “una zona cuscinetto di parecchi chilometri… in Egitto e [di impedire] il ritorno della popolazione ad attività/residenza vicino al confine con Israele.” Allo stesso tempo i vari governi nel mondo, capeggiati dagli Stati Uniti, devono essere mobilitati per realizzare lo spostamento.

Una fonte del ministero dell’Intelligence ha confermato a Local Call/+972 che il documento è autentico, che era stato distribuito ai settori della difesa da parte della divisione per le politiche del ministero e che “non sarebbe dovuto arrivare ai media.”

Chiarite che non c’è speranza di ritornare’

Il documento raccomanda inequivocabilmente ed esplicitamente il trasferimento di civili palestinesi da Gaza come risultato auspicato della guerra. L’esistenza del piano è stata per la prima volta riportata la scorsa settimana dal quotidiano di affari israeliano Calcalist e il testo completo del documento vi è pubblicato e tradotto.

Il piano di trasferimento consta di parecchi stadi. Nel primo stadio l’azione deve essere condotta in modo tale che la popolazione di Gaza “evacui verso sud,” mentre gli attacchi aerei si concentrano nella parte settentrionale della Striscia. Il secondo comincerà un’incursione via terra che porterà all’occupazione di tutta la Striscia da nord a sud, e la “pulizia dei bunker sotterranei dei combattenti di Hamas.”

Contemporaneamente alla rioccupazione di Gaza i civili palestinesi saranno spostati in territorio egiziano senza possibilità di ritorno. “È importante lasciare aperte le strade per raggiungere il sud e permettere l’evacuazione della popolazione civile verso Rafah,” afferma il documento.

Secondo un funzionario del ministero dell’Intelligence, dietro a tali raccomandazioni ci sarebbe il personale del ministero. La fonte sottolinea che la ricerca del ministero “non si fonda sull’intelligence militare” e serve solo come base per discussioni all’interno del governo.

Il documento propone di promuovere una campagna rivolta ai civili palestinesi a Gaza che “li motiverà ad accettare questo piano” e li porterà a rinunciare alla propria terra. “I messaggi dovrebbero essere incentrati sulla perdita di terra, chiarendo che non ci sarà speranza di ritornare nei territori che Israele presto occuperà, che questo sia vero o meno. Il messaggio deve essere: ‘Allah ha voluto che perdeste questa terra a causa dei leader di Hamas, non c’è altra scelta che trasferirsi in un altro posto con l’aiuto dei vostri fratelli mussulmani,’” dice il documento.

Inoltre esso invita il governo a condurre una campagna pubblica nel mondo occidentale per promuovere il piano di trasferimento “in modo che non inciti a denigrare Israele.” Per ottenere il sostegno internazionale ciò verrà fatto presentando l’espulsione come una necessità umanitaria e sostenendo che il trasferimento darà come risultato “un numero di vittime civili minore rispetto a quelle che ci sarebbero se la popolazione rimanesse.”

Il documento dice anche che gli Stati Uniti dovrebbero essere coinvolti nel processo per imporre una pressione sull’Egitto affinché accolga gli abitanti palestinesi di Gaza e che altri Paesi europei — in particolare Grecia e Spagna— ma anche Canada, dovrebbero contribuire ad accogliere e insediare i rifugiati palestinesi. il ministero dell’Intelligence ha detto che il documento non era ancora stato ufficialmente distribuito a funzionari USA, ma solo al governo e enti di sicurezza israeliani.

Una discussione politica più ampia

La scorsa settimana l’Istituto Misgav, un think tank di destra guidata da Meir Ben-Shabbat, stretto collaboratore del primo ministro Netanyahu ed ex direttore del Consiglio per la Sicurezza Nazionale di Israele, ha pubblicato una memoria ufficiale che suggeriva un simile trasferimento forzato della popolazione di Gaza nel Sinai. L’istituto ha recentemente rimosso il post da Twitter e dal suo sito web in seguito a una forte condanna internazionale.

Lo studio rimosso è stato scritto da Amir Weitmann, un attivista del Likud e, secondo fonti a lui vicine, uno stretto collaboratore della ministra dell’intelligence Gila Gamliel. La scorsa settimana, su una pagina Facebook intitolata “Il piano per reinserire Gaza in Egitto,” Weitmann ha intervistato il parlamentare del Likud Ariel Kallner che gli ha detto che “la soluzione che proponi di spostare la popolazione in Egitto è logica e necessaria.”

Questo non è il solo legame fra Likud, il ministero dell’Intelligence e il think tank di destra. Circa un mese fa il ministero dell’Intelligence ha promesso un trasferimento di circa 1 milione di shekel dal suo bilancio all’Istituto Misgav per condurre ricerche nei Paesi arabi. Che l’Istituto Misgav sia stato in un modo o in un altro coinvolto nella bozza delle raccomandazioni del ministero per il trasferimento dei gazawi, il suo logo comunque non appare sul documento.

Fonti presso il ministero dell’Intelligence dicono che il rapporto su Gaza è uno studio indipendente condotto dalla divisione delle politiche ministeriali senza un contributo esterno, ma non hanno confermato che recentemente il ministero abbia iniziato a lavorare con l’Istituto Misgav, sottolineando che l’ente governativo collabora con vari gruppi di ricerca con programmi politici diversi. L’Istituto Misgav non ha ancora risposto alle nostre domande per questo articolo.

Inoltre il documento è prima stato fatto trapelare a un piccolo gruppo interno WhatsApp di attivisti di destra che, insieme al sostenitore del Likud Whiteman, promuove il reinsediamento delle colonie israeliane nella Striscia di Gaza e il trasferimento dei palestinesi che ci vivono.

Secondo uno di questi attivisti il documento del ministero dell’Intelligence è arrivato a loro tramite la mediazione di una “fonte del Likud,” e la sua distribuzione pubblica è legata al tentativo di scoprire se “l’opinione pubblica israeliana è pronta ad accettare l’idea del trasferimento da Gaza.”

L’opzione preferita

Le possibilità di implementare completamente tale piano, che costituirebbe una totale pulizia etnica della Striscia di Gaza, sono molto scarse sotto molti aspetti. Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi ha dichiarato di opporsi fermamente all’apertura del valico di Rafah per assorbire la popolazione palestinese di Gaza. Ha affermato che il trasferimento dei palestinesi nel Sinai minaccerebbe la pace fra Israele ed Egitto e ha ammonito che porterebbe i palestinesi a usare il territorio egiziano come base per continuare gli scontri armati contro Israele. Un piano simile era stato presentato in passato da funzionari israeliani e, fino ad ora, non si è mai sviluppato in una seria discussione politica.

Inoltre, dopo settimane di segnalazioni che gli Stati Uniti stavano cercando di sollevare l’idea di spostare i palestinesi in Egitto quale parte di un “corridoio umanitario,” ieri Joe Biden ha affermato che lui e Sisi erano impegnati a “garantire che i palestinesi di Gaza non fossero evacuati in Egitto o in nessuna altra Nazione.”

Il documento del ministero afferma che l’Egitto avrà l’“obbligo ai sensi del diritto internazionale di permettere il passaggio della popolazione,” e che gli Stati Uniti possono contribuire al processo “esercitando una pressione su Egitto, Turchia, Qatar, Arabia Saudita, e gli EAU perché contribuiscano all’iniziativa, o con risorse o assorbendo rifugiati.” Propone anche di condurre una campagna pubblica specifica mirata al mondo arabo “che si concentri sul messaggio di assistere i fratelli palestinesi e di reinserirli, anche al costo di usare un tono che incolpi o persino danneggi Israele.”

In conclusione il documento evidenzia che “la migrazione su larga scala” di non combattenti da zone di combattimento è un “esito naturale e ambito” che si è anche verificato in Siria, Afghanistan e Ucraina, per poi concludere che solo l’espulsione della popolazione palestinese costituirà “una risposta appropriata [che] permetterà la creazione di una deterrenza significativa nell’intera regione.”

Il documento offre altre due opzioni su cosa fare degli abitanti di Gaza alla fine della guerra. La prima permette all’Autorità Palestinese (AP), guidata dal partito Fatah della Cisgiordania occupata, di governare Gaza sotto l’egida di Israele. La seconda è di far nascere un’altra “autorità locale araba” come alternativa ad Hamas. Entrambe le alternative, afferma il documento, per Israele sono indesiderabili da una prospettiva strategica e di sicurezza e non costituiranno un sufficiente messaggio di deterrenza, specialmente per Hezbollah in Libano.

Gli autori dello studio precisano inoltre che delle tre alternative quella di portare a Gaza l’AP sarebbe la più pericolosa, perché potrebbe portare all’insediamento di uno Stato palestinese. “La divisione tra la popolazione palestinese in Giudea e Samaria [cioè la Cisgiordania, ndt.] e quella di Gaza è oggi uno degli ostacoli principali alla formazione di uno Stato palestinese. È inconcepibile che il risultato di questo attacco [i massacri di Hamas del 7ottobre] sia una vittoria senza precedenti del movimento nazionale palestinese e un percorso per la creazione di uno Stato palestinese,” precisa il documento.

Esso continua affermando che un modello di governo militare israeliano e uno civile dell’AP, come in Cisgiordania, probabilmente a Gaza fallirebbe. “Non si può mantenere un’efficace occupazione militare a Gaza solo sulla base di una presenza militare senza colonie [israeliane] ed entro un breve lasso di tempo nascerebbe una pressione interna israeliana e una internazionale per il ritiro.”

Gli autori aggiungono che in tale situazione lo Stato di Israele “sarebbe considerato una potenza coloniale con un esercito di occupazione—simile alla presente situazione in Giudea e Samaria, o anche peggio.” Essi osservano che l’AP ha una scarsa legittimità presso l’opinione pubblica palestinese e che, basandosi sulla precedente esperienza di Israele, nel passaggio del controllo di Gaza all’AP l’eventuale presa di potere di Hamas, Israele non dovrebbe “ripetere lo stesso errore che ha portato alla situazione attuale.”

L’altra alternativa, la formazione di una leadership araba locale per rimpiazzare Hamas, secondo il documento non è desiderabile, perché non c’è un movimento locale di opposizione ad Hamas ed è possibile che una nuova leadership sarebbe più radicale. “Lo scenario più plausibile non è … uno spostamento ideologico ma piuttosto l’emergere di movimenti islamisti nuovi e forse persino più estremisti,” si dice. Gli autori menzionano la necessità di “creare un cambiamento ideologico” nella popolazione palestinese tramite un processo che paragona alla “denazificazione,” che richiederebbe che Israele “scrivesse i programmi scolastici e ne imponesse l’uso a un’intera generazione.”

In conclusione il documento sostiene che se la popolazione di Gaza rimanesse nella Striscia ci sarebbero “molte vittime arabe” durante la prevista rioccupazione del territorio, cosa che danneggerebbe l’immagine internazionale di Israele persino più dell’espulsione della popolazione. Per tutte queste ragioni, la raccomandazione del ministero dell’Intelligence è di promuovere il trasferimento permanente di tutti i civili palestinesi da Gaza al Sinai.

Al momento della pubblicazione di questo articolo né il ministero della Difesa, né l’ufficio del portavoce dell’esercito e neppure l’Istituto Misgav avevano ancora risposto alle richieste da parte di +972 di un commento. Ogni risposta ricevuta verrà aggiunta qui.

Yuval Abraham è un giornalista e attivista residente a Gerusalemme.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra Israele-Palestina: funzionari del Dipartimento di Stato preparano dispacci di dissenso contro l’assalto a Gaza

Azad Essa, New York e Umar A Farooq, Washington

25 ottobre 2023 – Middle East Eye

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha insediato l’Amministrazione più diversificata della storia, ma diversi funzionari ritengono di aver avuto solo incarichi simbolici.

Middle East Eye è a conoscenza del fatto che lo staff del Dipartimento di Stato americano sta preparando urgenti messaggi di dissenso sul sostegno di Washington all’incessante campagna di bombardamenti israeliani su Gaza.

Diverse fonti hanno riferito a MEE che allinterno del dipartimento le tensioni sono al culmine poiché i funzionari sono sempre più frustrati dallaperto sostegno dellamministrazione Biden a ciò che gli attivisti per i diritti umani chiamano crimini di guerra contro i palestinesi all’interno della Striscia di Gaza assediata.

MEE è venuta a conoscenza che diversi diplomatici sono combattuti tra restare al lavoro per cercare di influenzare la politica o andarsene per protestare contro il sostegno incondizionato di Biden ai bombardamenti israeliani e allimminente invasione di terra.

Da quando Israele ha iniziato il bombardamento aereo di Gaza in seguito allattacco del 7 ottobre da parte dei combattenti palestinesi provenienti da Gaza sono stati uccisi più di 6.000 palestinesi tra cui 2.000 minorenni.

Da quando i combattenti guidati da Hamas hanno sfondato la barriera che separa la Striscia di Gaza assediata da Israele sono stati uccisi circa 1.400 israeliani.

IIn una bozza di dissenso visionata da MEE i diplomatici scrivono che l’attacco di Hamas contro Israele non può essere usato come giustificazione per portare Israele a compiere l’uccisione indiscriminata di persone innocenti a Gaza.

La bozza chiede la cessazione immediata delle ostilità in Israele, a Gaza e nella Cisgiordania occupata e supplica Washington di promuovere messaggi pubblici veritieri ed equilibrati verso la risoluzione della crisi che sta lentamente andando fuori controllo.

“Fino a quando i funzionari israeliani non faranno distinzione tra Hamas e i civili di Gaza e gli attacchi prenderanno di mira o minacceranno istituzioni civili come luoghi di culto, scuole o strutture mediche – Israele dovrà lavorare il doppio per rientrare nella adesione alle norme internazionali che tanto orgogliosamente, e giustamente, predichiamo ad altre nazioni”, dice il messaggio.

Il messaggio di dissenso è un documento presentato attraverso un canale interno che consente ai diplomatici di sollevare preoccupazioni o questioni contro le dannose decisioni di politica estera degli Stati Uniti e fa seguito alle voci secondo cui all’interno del Dipartimento di Stato si sta preparando “un ammutinamento” a causa del fermo sostegno pubblico di Biden alle azioni di Israele a Gaza.

Contattato per un commento un portavoce del Dipartimento di Stato ha detto a MEE: “Come pratica generale, non commentiamo i resoconti delle comunicazioni interne del Dipartimento”.

“In linea generale il canale del dissenso è stato a disposizione dei dipendenti fin dalla guerra del Vietnam e siamo orgogliosi che il Dipartimento abbia una procedura consolidata che consente ai dipendenti di articolare i disaccordi politici direttamente all’attenzione dei principali dirigenti del Dipartimento senza timore di ritorsioni.”

“L’ultima chance prima delle dimissioni”

Un diplomatico del Dipartimento di Stato ha detto a MEE che c’è la sensazione che i normali metodi di elaborazione delle politiche nel dipartimento abbiano fallito.

Nonostante le proteste dei nostri stessi funzionari, le denunce provenienti dal territorio, dalle organizzazioni internazionali e dall’opinione pubblica americana, non c’è stato alcun cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti con Israele se non quello di aumentare il sostegno e i finanziamenti per continuare a uccidere civili palestinesi innocenti,” riferisce la fonte chiedendo di parlare sotto anonimato.

“Un messaggio di dissenso è una delle nostre ultime chance, a parte le dimissioni, per informare il Segretario della gravità di questa situazione e far sapere al Dipartimento di Stato e alla leadership della Casa Bianca che chiediamo con decisione un cessate il fuoco immediato.

“Per lo meno verrà ufficialmente registrato che ci sono e ci sono stati tentativi da parte di funzionari del Dipartimento di Stato di fermare il genocidio in modo che le generazioni future possano assicurarsi che ciò non si ripeta mai più”, aggiunge la fonte.

La settimana scorsa diversi funzionari hanno riferito all’HuffPost che c’era una frustrazione diffusa per il rifiuto del segretario di Stato americano Antony Blinken di prestare ascolto a critiche e preoccupazioni.

Un altro funzionario dellamministrazione Biden, che ha parlato anche lui a condizione di anonimato, ha affermato che i vari messaggi sono stati presi in considerazione separatamente piuttosto che come un grande messaggio unitario di dissenso.

“Sembra davvero che ci siano molteplici iniziative diffuse e ciò è piuttosto raro. Per quello che posso dire non circola un’istanza organizzativa unitaria”, afferma il funzionario.

“Ci sono molte persone che non sono d’accordo con l’attuale politica stabilita dai vertici.”

Solo voci simboliche

Alcuni giorni dopo l’attacco a Israele, Blinken è volato per offrire le sue condoglianze al popolo israeliano. Durante la sua visita, ha equiparato Hamas all’organizzazione dello Stato Islamico (ISIS), una mossa che secondo gli osservatori è stato interpretata come un via libera a Israele per ritorsioni con ogni mezzo necessario.

Lunedì Blinken ha tenuto un’audizione con rappresentanti di organizzazioni palestinesi e arabo-americane durante la quale si è discusso della loro crescente rabbia nei confronti di Biden per la sua gestione della guerra Israele-Gaza, ha riferito una fonte a The National.

Un articolo di Politico pubblicato martedì afferma che lamministrazione ha anche tenuto un’audizione con dipendenti musulmani, arabi e palestinesi.

Un funzionario ha detto a MEE che negli ultimi giorni c’è stato un maggior coinvolgimento tra i livelli più alti dellamministrazione e altri funzionari, compresi gli incaricati musulmani, più di 100 nellattuale amministrazione.

In precedenza Biden aveva pubblicizzato la sua amministrazione come la più diversificata nella storia degli Stati Uniti. Ma finora lamministrazione ha fatto ben poco per modificare il suo pieno sostegno agli sforzi bellici di Israele. Ha chiesto una pausa umanitaria per consentire l’ingresso degli aiuti a Gaza, ma ha detto che non sosterrà un cessate il fuoco.

Il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby ha detto martedì che Washington non sosterrà un cessate il fuoco e che “in futuro civili innocenti verranno colpiti” a Gaza.

“Ciò contro cui io e molti dei miei colleghi ci scontriamo è il fatto che queste persone vengono coinvolte per poter sentire le loro varie voci. Ma se non ti sforzi di ascoltarle, sono solo dei gesti simbolici“, sostiene il funzionario, aggiungendo che molti dei dipendenti hanno in mente di dimettersi.

“So che alcuni di loro sono alla ricerca di un altro impiego perché attualmente non si sentono a proprio agio nel rappresentare l’amministrazione”, dice il funzionario.

Le voci dissenzienti sono la maggioranza

Secondo il funzionario uno dei motivi è che alcuni individui che non sono d’accordo con la politica dell’amministrazione e cercano di esprimere la loro opposizione “non vengono presi in considerazione”.

Finora solo un funzionario si è dimesso affermando di non poter sostenere moralmente il sostegno incondizionato di Washington alle azioni militari di Israele.

“Vorrei essere chiaro: l’attacco di Hamas a Israele non è stato solo una mostruosità ma la peggiore delle mostruosità”, ha scritto in una nota Josh Paul che ha lavorato per più di un decennio presso l’Ufficio per gli affari politico-militari del Dipartimento di Stato.

“Ma credo nel profondo della mia anima che la risposta che Israele sta dando, e con essa il sostegno americano sia a quella risposta che allo status quo dell’occupazione, porterà solo a sofferenze maggiori e più profonde sia per gli israeliani che per il popolo palestinese, e questo non va nella direzione degli interessi americani”.

Inoltre lapproccio dellamministrazione Biden non sembra corrispondere alla visione della guerra da parte dell’opinione pubblica americana. Secondo un recente sondaggio condotto dallorganizzazione progressista Data for Progress, il 66% di tutti i probabili elettori sostiene un cessate il fuoco e una riduzione del conflitto.

Penso che le manifestazioni di dissenso siano importanti in questi tempi, soprattutto per quelle persone che sono al servizio di questa amministrazione”, ha detto a MEE Ahmad Abuznaid, direttore esecutivo della Campagna Statunitense per i Diritti dei Palestinesi.

“Ma ciò che mi colpisce è che sembra che questa volta in realtà sia la maggioranza a dissentire e che il presidente stia operando sulla base di una posizione sostenuta in effetti da una piccola minoranza di persone”, aggiunge.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Guerra Israele-Palestina: come i media statunitensi legittimano la barbarie di Israele contro i palestinesi

Gregory Shupak

20 ottobre 2023, Middle East Eye

Presentando la campagna terroristica di Israele contro i palestinesi come se fosse giustificabile, i media statunitensi fanno la loro parte nel farla continuare

I recenti editoriali apparsi sui principali giornali liberal statunitensi hanno regolarmente presentato l’incessante terrore di massa che Israele infligge ai palestinesi come legittimo.

I media hanno appoggiato l’assalto israeliano a Gaza e il finanziamento americano dell’attacco criticando allo stesso tempo coloro che propongono opinioni anche leggermente dissenzienti. La stampa americana ha ripetutamente conferito alla violenza israeliana un aspetto virtuoso, anche quando falcidia le persone – generosità non concessa alla controparte palestinese.

Il 12 ottobre il Washington Post ha pubblicato un editoriale in cui elogiava il presidente americano Joe Biden per la sua “condanna senza riserve del terrorismo di Hamas”, affermando: “A questo riguardo, le ferme parole di Biden sono anche in gradito contrasto con le ambiguità di un piccolo numero di membri di sinistra del suo stesso partito al Congresso che la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha espressamente sconfessato.”

Il collegamento alle parole di Jean-Pierre segnala che le “ambiguità” contestate dal Washigton Post sono le affermazioni che “suggeriscono che l’attacco di Hamas contro Israele dovrebbe essere considerato nel contesto delle precedenti azioni di Israele”, o che “si oppongono sui social media agli aiuti militari statunitensi per Israele e chiedono un immediato cessate il fuoco nel conflitto.”

Il giorno prima della pubblicazione di quest’editoriale le associazioni per i diritti umani Mezan, al-Haq e il Centro Palestinese per i Diritti Umani avevano documentato congiuntamente che solo nel periodo tra il mezzogiorno del 10 e dell’11 ottobre Israele aveva distrutto gli interi quartieri di al-Qarm, Ezbet Abdrabbo e al-Sikka, con le squadre di soccorso che “recuperano dozzine di corpi” mentre “altri sono ancora sotto le macerie”; “hanno preso di mira l’Università islamica di Gaza e hanno bombardato l’edificio del Programma di Borse di Studio Al-Fakhoura”, attacchi che hanno ucciso 57 palestinesi, tra cui 20 bambini. Hanno inoltre segnalato gli attacchi aerei e i bombardamenti di Israele sui terreni agricoli del Distretto dell’Area Centrale e sulle “aree residenziali, in particolare nei tre campi profughi densamente popolati di Al-Bureij, Al-Nusairat e Deir al-Balah”, uccidendo almeno 49 palestinesi 15 dei quali bambini.

Per il Post, “equivocare” sulla questione se gli Stati Uniti debbano finanziare tali atrocità o cercare di mettervi fine con un cessate il fuoco è “[in]accettabile”.

Giustificare il linguaggio “genocida”.

Nel suo editoriale più recente, il Washington Post esprime preoccupazione per i palestinesi ma continua a sostenere la campagna militare di Israele: “Dopo il massacro dei suoi civili, Israele – come qualsiasi altro Stato – ha tutto il diritto di rispondere militarmente”.

Per il Washington Post la violenza dell’occupante è giusta e quella degli occupati no: Israele può “rispondere militarmente” alle forze palestinesi che uccidono israeliani ma i palestinesi non hanno lo stesso diritto, anche dopo 75 anni di pulizia etnica, anche sotto un regime di apartheid.

Un editoriale del New York Times del 14 ottobre sostiene fermamente gli attacchi di Israele, affermando che Israele “è determinato a spezzare il potere di Hamas e in questo sforzo merita il sostegno degli Stati Uniti e del resto del mondo”. Gli autori proseguono affermando che “la fine del controllo di Hamas su Gaza è un passo essenziale”.

L’editoriale del New York Times contiene specificazioni quali: Israele “non dovrebbe perdere di vista il suo impegno a salvaguardare coloro che non hanno imbracciato le armi”.

Il comitato editoriale contraddice le proprie affermazioni sul presunto “impegno” di Israele a proteggere i civili citando il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant che definisce i palestinesi “animali umani”, cosa che gli autori giustificano dicendo che l’osservazione avviene “in un’atmosfera di intensa emozione”.

Naturalmente, Gallant non è l’unico funzionario israeliano ad usare un linguaggio genocida dopo l’escalation della guerra contro la Palestina. Il portavoce militare israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha affermato che Israele ha sganciato “centinaia di tonnellate di bombe” su Gaza e che “l’accento è sui danni e non sulla precisione”.

Il presidente israeliano Isaac Herzog ha detto: “C’è là un’intera nazione che è responsabile. Non è vera questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti. Non è assolutamente vera”. Ha aggiunto: “Stiamo difendendo le nostre case, stiamo proteggendo le nostre case, questa è la verità, e quando una nazione protegge la sua casa combatte e noi combatteremo finché non gli spezzeremo le reni”.

Non solo i leader israeliani hanno ripetutamente segnalato di non aver intenzione di “tutelare” i non combattenti, ma Israele li ha deliberatamente massacrati in massa.

Ad esempio il giorno prima della pubblicazione dell’editoriale il pluripremiato gruppo per i diritti umani Defense for Children International Palestine ha riferito che nell’attacco contro Gaza Israele aveva ucciso fino a quel momento quasi 600 bambini palestinesi, un terzo del bilancio complessivo delle vittime.

Affermazioni assurde

Anche se Israele respinge qualsiasi impegno a proteggere i civili sia nelle parole che nei fatti, il New York Times mette ripetutamente in buona luce la politica militare israeliana a fronte di quella delle forze palestinesi, scrivendo che “Israele si sta preparando a mandare i suoi giovani uomini e donne in battaglia, dove affronteranno un nemico che non rispetta le stesse regole di guerra a cui loro si sono impegnati.”

Dire che la violenza dello Stato israeliano è moralmente superiore a quella dei gruppi di resistenza palestinesi trasmette il chiaro messaggio che la prima è legittima mentre la seconda no.

Il New York Times ha fatto la stravagante affermazione secondo cui “Israele sta combattendo per difendere una società che valorizza la vita umana e lo stato di diritto”.

Dal momento che non viene fatta alcuna affermazione del genere sui “valori” palestinesi, il messaggio è che massacrare i palestinesi sia legittimo: se la società palestinese (o importanti settori di essa) valorizza la criminalità omicida, allora è implicito che sia auspicabile venga spazzata via da una forza che si presume più civile.

Nel frattempo, due giorni prima che l’editoriale andasse in stampa, Human Rights Watch (HRW) ha affermato che Israele aveva utilizzato il fosforo bianco – che, al contatto, può “bruciare le persone, termicamente e chimicamente, fino alle ossa” – sia sul porto di Gaza City che in aree rurali lungo la linea dell’armistizio tra Israele e il Libano.

HRW ha affermato che l’uso del fosforo bianco a Gaza, una delle aree più densamente popolate del mondo, “amplifica il rischio per i civili e viola il divieto del diritto umanitario internazionale di esporre i civili a rischi inutili”.

Come ha osservato HRW, Israele ha utilizzato quest’arma a Gaza anche nel 2009 e nell’attuale ciclo di combattimenti Israele ha “tagliato elettricità, acqua, carburante e cibo a Gaza in violazione al divieto del diritto umanitario internazionale contro la punizione collettiva”.

Per “una società che valorizza la vita umana e lo stato di diritto”, Israele compie un’enorme quantità di uccisioni e di violazioni della legge.

Una patina etica

Allo stesso modo il Los Angeles Times ha dichiarato che “Israele ha tutto il diritto di usare la forza militare per prevenire” attacchi come quelli compiuti da Hamas il 7 ottobre e che Israele “deve rimanere fedele ai suoi valori facendo tutto il possibile per ridurre al minimo le sofferenze degli innocenti residenti palestinesi di Gaza.”

Il pezzo applaude Biden per aver affermato che chiederà al Congresso “un pacchetto di sostegno senza precedenti per la difesa di Israele” e per aver vagamente suggerito a Israele di riflettere se l’uccisione di migliaia di palestinesi aiuterà a “raggiungere i [suoi] obiettivi”.

L’editoriale poi afferma: “Che Israele non prenda di mira i civili è di scarso conforto per le famiglie delle persone uccise o ferite”.

Forse gli autori ritengono che sia magnanimo menzionare le circa 3.000 vite palestinesi che Israele ha ucciso in 11 giorni. Ma tali simpatie sono peggio che inutili quando sono confezionate con una menzogna che giustifica tutte le uccisioni e crea alibi per tutte le uccisioni future: ad esempio, due giorni prima dell’editoriale l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) osservava: “Molti edifici residenziali in aree densamente popolate sono stati presi di mira e distrutti” da Israele, tra cui un “edificio residenziale a Jabalia, nel nord di Gaza, dove sono stati uccisi dieci palestinesi; un edificio residenziale nella zona Musabah di Rafah, dove almeno 11 palestinesi, tra cui donne e bambini, sono stati uccisi; e l’edificio di un’organizzazione di beneficenza a Rafah, dove sono stati uccisi 11 palestinesi e molti altri sono rimasti feriti. Il 16 ottobre, al mattino, secondo quanto riferito, le forze israeliane hanno preso di mira un edificio residenziale a Khan Yunis, uccidendo 22 palestinesi.”

Inoltre il 15 ottobre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato: “Quattro ospedali nel nord di Gaza non funzionano più a causa di danni e attacchi. 21 ospedali nella Striscia di Gaza hanno ricevuto istruzioni dalle forze israeliane di evacuare. L’OMS ribadisce che devono essere prese tutte le precauzioni per proteggere gli operatori sanitari e le strutture sanitarie, compresi i pazienti e i civili che vi trovano rifugio.”

Queste fantasie su un presunto risparmiare i civili da parte di Israele e sui suoi presunti “valori” umani presentano tutta la crudeltà – le uccisioni spietate, le raccapriccianti ferite fisiche e psichiche, il sadismo dell’assedio – come incidenti in buona fede lungo il percorso verso una giusta causa; è retorica intesa a mascherare la brutalità israeliana con una patina etica.

Ma la causa di Israele è la violenza coloniale. La violenza dell’espropriazione, della tortura e di un massacro dopo l’altro. Perché nessuno Stato etnico in cui i palestinesi rimangano una minoranza perseguitata nella propria patria è possibile senza una violenza spietata e incessante.

Presentando tutta questa barbarie come se fosse giustificabile, i media statunitensi stanno facendo la loro parte affinché continui.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Gregory Shupak insegna Inglese e Studi sui Media all’Università di Guelph-Humber a Toronto. È autore del libro The Wrong Story: Palestine, Israel, and the Media [La storia sbagliata: Palestina, Israele e i media].

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Guerra Israele-Palestina: deraglia la politica USA per il Medio Oriente Da quando è scoppiato il conflitto Washington ha fatto una serie di errori marchiani, portando la regione sull’orlo di una guerra più ampia

David Hearst

18 ottobre 2023 – Middle East Eye

Joe Biden non sta avendo una bella guerra. Tre giorni dopo l’attacco di Hamas il presidente USA ha pronunciato un discorso da far invidia persino a David Friedman, ex ambasciatore in Israele sotto la presidenza Trump e difensore dei coloni.

Biden ha erroneamente sostenuto l’affermazione che Hamas avrebbe decapitato neonati, con affermazioni che la Casa Bianca ha poi dovuto smentire; ha promesso il sostegno USA per dare a Israele tutto il necessario per “rispondere a questo attacco” e ha poi erroneamente asserito che i civili a Gaza erano usati come scudi umani.

In quei tre giorni la leadership di Israele ha reso chiarissimo che sarebbe andata giù pesante e che lo Stato nella sua risposta all’attacco di Hamas non avrebbe rispettato le regole di guerra.

Gli eventi si sono svolti di conseguenza e Israele in 10 giorni ha colpito Gaza con una potenza esplosiva equivalente a un quarto di una bomba nucleare.

Mentre Biden stava decollando per il suo ultimo viaggio in Medio Oriente, a Gaza le forze israeliane hanno colpito un ospedale che avevano attaccato pochi giorni prima, dopo aver avvertito di evacuarlo. Oltre 20 altri ospedali hanno ricevuto minacce simili.

Questa volta sono state uccise circa 500 persone. La carneficina all’al-Ahli, uno dei più vecchi ospedali di Gaza, ha fatto un tale piacere a Itamar Ben Gvir, il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, che se ne è prematuramente attribuito la responsabilità: “Fino a quando Hamas non libererà gli ostaggi l’unica cosa che si deve far entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivo lanciate dall’aeronautica militare, non un grammo di aiuti umanitari.”

Anche Hananya Naftali, che lavorava per il team digitale del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha postato su X: “ULTIMISSIME: l’aeronautica militare israeliana ha colpito una base terrorista di Hamas dentro un ospedale a Gaza.” Ha velocemente tolto il post.

Più tardi lo stesso giorno un portavoce dell’esercito israeliano ha detto che un “razzo nemico” lanciato contro Israele era uscito dalla traiettoria colpendo l’ospedale. Tali razzi non hanno una potenza esplosiva tale da uccidere 500 persone. Inizialmente l’esercito aveva pubblicato immagini che mostravano un razzo del Jihad Islamico, ma dopo la scoperta che questo video era di 40 minuti successivi al bombardamento, l’esercito ha rimosso il filmato.

Sembra che qualcuno stia facendo gli straordinari al suo laptop per cancellare le tracce dell’attacco contro l’ospedale. C’è persino un audio che rivelerebbe la discussione fra miliziani di Hamas che discuterebbero del fallito lancio, salvo il fatto che, secondo Channel 4 [notiziario britannico, ndt.], sarebbe un falso che usa tono, sintassi e accento sbagliati.

Semaforo verdissimo

Mercoledì, quando Biden è atterrato in Israele, gran parte del tour regionale pianificato era stato cancellato. Tale era la rabbia nella Cisgiordania occupata, in Giordania, Libano ed Egitto che nessun leader arabo per garantire la propria sicurezza ha voluto incontrarlo.

Con centinaia di persone radunate davanti alle ambasciate di USA e Israele in Giordania che invocavano l’espulsione dell’ambasciatore israeliano e la revoca del trattato di pace con Israele, la visita ad Amman è stata annullata. 

Ma poco dopo l’arrivo in Israele Biden si è scavato una fossa ancora più profonda quando ha detto a Netanyahu, a proposito dell’attacco all’ospedale: “Basandomi su quanto ho visto sembra che sia stato fatto dall’altra parte, non da voi.”

Dietro le quinte la politica USA per il Medio Oriente sembrava stesse deragliando.

Per essere chiari le azioni intraprese dagli USA dietro le quinte nel periodo immediatamente seguente all’attacco di Hamas ha spianato la strada alla crisi in cui si trova ora la regione. 

Gli USA non hanno solo dato il semaforo più verde possibile alla campagna di bombardamento mirante a spingere più di un milione di persone dalla metà settentrionale della Striscia di Gaza verso il confine egiziano. Non hanno solo dato a Israele, secondo funzionari della difesa, bombe guidate equipaggiate con il sistema JDAM e parecchie migliaia di proiettili di artiglieria 155 mm.

Secondo vari e credibili rapporti, inizialmente hanno anche cercato di persuadere l’Egitto ad accogliere un milione di rifugiati da Gaza. Al Akhbar [quotidiano in lingua araba pubblicato a Beirut, ndt.] all’inizio ha riferito che gli USA hanno cercato di coordinarsi con l’ONU e “organizzazioni internazionali che ricevono finanziamenti dall’ONU” per convincere il Cairo ad aprire il valico di Rafah. Naturalmente c’era di mezzo una bustarella.

Fonti hanno parlato della possibilità che gli USA dessero dei significativi finanziamenti all’Egitto, oltre 20 miliardi di dollari, se avesse accettato. Hanno menzionato una richiesta del Cairo di “facilitare il trasferimento di molte e numerose organizzazioni operanti nel settore del soccorso al confine con Rafah senza entrare a Gaza”.

Anche il sito egiziano Mada Masr ha riferito che funzionari egiziani si sono consultati sul trasferimento di una significativa parte della popolazione di Gaza. Tale affermazione così delicata ha fatto sì che le autorità egiziane intervenissero pesantemente sul sito: i direttori sono stati convocati e il Consiglio Supremo per la regolamentazione dei media ha iniziato un’indagine sulla pubblicazione di “notizie false”. 

Senza dubbio questi incontri si sono svolti prima che il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi si rendesse conto del pericolo per lui in un anno di rielezioni. 

L’11 settembre di Israele

Gli USA hanno commesso tre errori nella loro reazione all’attacco di Hamas. Hanno incoraggiato Israele a colpire senza limiti, hanno inizialmente contemplato lo scenario di un esodo di massa dei palestinesi in Egitto e hanno portato il Medio Oriente sull’orlo di una guerra regionale. 

Fin dall’inizio la narrazione usata da Israele e dagli USA è stata che per Israele l’attacco di Hamas era paragonabile all’11 settembre, che Hamas non era in alcun modo diverso dallo Stato Islamico e che Israele aveva il dovere morale non solo di rispondere all’attacco di Hamas ma anche di sradicare l’intero movimento.

Ciò ha permesso a Israele di pensare che avrebbe potuto usare raid aerei contro Gaza non solo per distruggere Hamas, ma anche per apportare modifiche strutturali all’equilibrio di potere nel Medio Oriente, cioè confrontarsi con Hezbollah e infine con l’Iran.

Sia Netanyahu che il leader dell’opposizione Benny Gantz hanno alluso a un piano che avrebbe, nelle parole di Gantz, “cambiato la situazione strategica e della sicurezza nella regione”. Non mi è chiaro se gli USA avrebbero permesso a Israele di procedere con un piano più ampio che contro Hamas e Gaza, ma chiaramente il piano c’era.

Michael Milshtein, capo del Forum di Studi Palestinesi presso il centro Moshe Dayan all’università di Tel Aviv scrive: “Questa guerra è molto di più di un conflitto fra Israele e Hamas. In Occidente si sta sviluppando l’idea che la guerra delle Spade di Ferro [nome dell’operazione militare israeliana contro Gaza, ndt.] sia un momento qualificante, un’opportunità unica di rimodellare l’architettura del Medio Oriente che ci si aspetta influenzerà anche i rapporti di potere in tutto il mondo.”

Per alcuni giorni sembrava che l’espulsione forzata di metà di Gaza travestita da corridori umanitari potesse funzionare. Il confine nord con il Libano è rimasto tranquillo. Inizialmente Hezbollah non ha reagito. I media occidentali hanno accettato il piano di conquistare Hamas e rioccupare Gaza.

La svolta è arrivata quando il Segretario di Stato USA Antony Blinken sembra si sia reso conto che un’altra Nakba delle dimensioni di quanto accadde nel 1948 sarebbe stata una linea rossa. 

Dopo un incontro di ministri degli esteri, Ayman Safadi, vice primo ministro giordano, ha detto che tutti i paesi arabi si impegnavano in un’azione collettiva contro ogni tentativo di espellere i palestinesi dalla loro patria. Lo stesso messaggio è arrivato dal re  di Giordania Abdullah II durante il suo recente viaggio europeo.

L’urlo di protesta levatosi da Giordania, Egitto, Turchia e Arabia Saudita è stato tale che Blinken ha dovuto ammettere che “non avrebbe avuto seguito”. Biden ha anche detto che la rioccupazione di Gaza sarebbe stato un “errore enorme”. Il Primo Ministro britannico Rishi Sunak ha detto che tutti dovrebbero evitare l’escalation. 

Tutto ciò è stato accompagnato da altri avvertimenti chiari. Hossein Amir-Abdollahian, ministro degli Esteri iraniano, ha messo in guardia che l’asse della resistenza avrebbe aperto “fronti multipli” contro Israele se gli attacchi contro Gaza fossero continuati, dicendo alla televisione nazionale iraniana: “Non c’è più molto tempo. Se i crimini di guerra contro i palestinesi non si fermano immediatamente, si apriranno altri fronti multipli e questo è inevitabile.”

Se gli USA non capiranno hanno solo da guardare fuori dalla finestra dove ci sono proteste di massa senza precedenti in tutta la regione.

Guerra regionale

All’arrivo di Biden in Israele mercoledì la regione era in ebollizione. A parte la questione morale, l’esercito USA è chiaramente impreparato per tale impresa avendo speso gli ultimi anni a ridurre le sue risorse militari.

Secondo il Wall Street Journal l’anno scorso ha ritirato più di otto batterie di missili Patriot da Iraq, Kuwait, Giordania e Arabia Saudita, oltre a un sistema Terminal High Altitude Area Defense [Difesa d’area terminale ad alta quota] (Thaad) dall’Arabia Saudita. Ha svuotato le scorte di munizioni da 155mm in Israele per mandarli in Ucraina. Ha spostato la marina nel Pacifico.

In poco tempo ha dovuto far marcia indietro. Nel Mediterraneo c’è già una portaerei e un’altra sta arrivando [in realtà è già arrivata. ndt.]. L’ultima volta che gli USA hanno impiegato due portaerei in Medio Oriente fu nel 2020. Insieme alle sue navi ha dovuto riportare nel Golfo gli aerei da attacco A-10 e i caccia F-15 e F-16. 

Tutto ciò dovrebbe costituire un deterrente per l’Iran. Non lo sarà. Non mi capita spesso di citare le analisi su Israele dell’editorialista Thomas Friedman [noto giornalista USA tradizionalmente schierato con Israele, ndt.] del New York Times, ma in questa occasione farò eccezione.

Friedman ha scritto: “Se Israele entra in Gaza adesso farà saltare gli Accordi di Abramo, destabilizzerà ancora di più due dei più importanti alleati dell’America (Egitto e Giordania) e renderà impossibile la normalizzazione con l’Arabia Saudita: una gigantesca battuta di arresto. Permetterebbe anche ad Hamas di incendiare veramente la Cisgiordania e fare partire una guerra di pastori fra i coloni ebrei e i palestinesi. Complessivamente farebbe il gioco della strategia iraniana di attrarre Israele verso una eccessiva espansione imperiale, indebolendo in tal modo la democrazia ebraica dall’interno.”

Hamas non ha bisogno di infiammare la Cisgiordania occupata, dato che ci sono enormi proteste in tutte le città principali per chiedere al Presidente Mahmoud Abbas di andarsene, dopo che le forze dell’Autorità Palestinese (AP) hanno usato proiettili veri contro i manifestanti. Ma sul punto strategico sono d’accordo con Friedman, anche se mi addolora dirlo.

Ha anche ragione a dire che un’invasione di terra di 360.000 soldati israeliani afflitti è la ricetta per massacri forse peggiori e di più vaste dimensioni di quelli mai visti fino ad ora.

Perdita del sostegno

C’è una discussione a Washington su come l’attacco di Hamas abbia cambiate la natura, la velocità e l’estensione del sistema del Medio Oriente sostenuto dagli USA. James Jeffrey, ex ambasciatore USA nella regione, ha detto a Middle East Eye: “La capacità di Hamas di sconfiggere l’intera difesa militare israeliana mette questa guerra sullo stesso piano della guerra dello Yom Kippur (la guerra in Medio Oriente del 1973). Nessun conflitto recente ha minacciato il sistema mediorientale sostenuto dagli USA tanto come questo, e tale lo considera l’amministrazione [Biden].”

Ma questa analisi fa partire il conto alla rovescia fino all’attacco stesso, non a tutti i segnali che l’hanno preceduto: il collasso dell’AP, gli sconfinamenti israeliani nella moschea di Al-Aqsa, l’impossibilità dei negoziati, i tentativi di stringere un accordo con l’Arabia Saudita passando sopra le teste dei palestinesi e l’impossibilità di tutti i palestinesi di uscire dalle gabbie collettive in cui sono rinchiusi.

Potrebbe anche essere che “il sistema mediorientale sostenuto dagli USA”, basato sul cieco supporto a Israele, non funzioni più? La lettera di dimissioni di Josh Paul, un funzionario ad alto livello del Dipartimento di Stato USA, dimissioni causate dalla posizione della sua amministrazione sulla guerra di Gaza, è una lettura interessante.

Paul ha definito l’attacco di Hamas la “mostruosità delle mostruosità”, ma poi continua: “La reazione di questa amministrazione e anche di gran parte del Congresso è una reazione impulsiva, basata su un pregiudizio confermato, sulla convenienza politica, sulla bancarotta intellettuale e sull’inerzia burocratica. Decenni con lo stesso approccio hanno mostrato che la sicurezza in cambio di pace non porta né alla sicurezza né alla pace. Il fatto che un supporto cieco a una parte sul lungo periodo è distruttivo per gli interessi dei popoli di entrambe le parti.”

Forse Biden ha capito il messaggio. Ma, avendo tolto 12 giorni fa il piede dal freno della rabbia collettiva di Israele, adesso avrà un compito difficile per rimettercelo.

Ho parlato prima di deragliamento, e in realtà è un traballante carro tirato da cavalli. Quello che gli scorsi dodici giorni hanno dimostrato più di ogni altra cosa è l’incapacità degli USA a essere un leader mondiale. Manca dei requisiti: capacità analitica, conoscenza della regione e capacità intellettuale. Spara commenti affrettati e solo dopo pensa alle conseguenze. E’ coinvolto in guerre per le quali è palesemente impreparata.

Accecata dal dogma, sempre entusiasta di dividere il mondo in opposizioni manichee: democrazia contro autocrazia, il mondo giudeo-cristiano contro l’Islam, l’America ha perso contatto con i valori che sostiene di difendere. Mentire a favore di Israele sui crimini di guerra che sta commettendo significa difenderlo?

Washington sta perdendo il sostegno dei suoi alleati. Vedendo le azioni degli USA nessuno può avere molta fiducia che siano state veramente meditate. Le conseguenze di questi 12 giorni e di quelli che seguiranno provocherà sconvolgimenti in lungo e in largo. 

Biden ha tutto l’interesse a chiudere l’episodio ora, fermando l’assalto via terra e costringendo a far entrare a Gaza gli aiuti umanitari essenziali. 

Solo allora potranno avvenire i negoziati con Hamas per uno scambio di prigionieri. Se non riesce a ottenere questi obiettivi base, anche lui scoprirà quali danni un Israele senza limiti può infliggere a sè stesso, alla regione, agli USA e invero al mondo. 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è cofondatore e capo-redattore di Middle East Eye. È commentatore e conferenziere sulla regione e analista dell’Arabia Saudita. Ha scritto di politica estera per il Guardian, è stato corrispondente da Russia, Europa e Belfast. È arrivato al Guardian da The Scotsman, dove era corrispondente per il settore dell’istruzione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Netanyahu e i funzionari israeliani negano il congelamento degli insediamenti dopo il vertice di Aqaba

Redazione di MEE

27 febbraio 2023 MiddleEastEye

La smentita arriva dopo che in una dichiarazione congiunta Israele aveva affermato di accettare di “interrompere il dibattito su qualsiasi nuova unità di insediamento” per quattro mesi

Poche ore dopo l’incontro tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese conclusosi con una dichiarazione congiunta che delineava l’impegno israeliano a sospendere le discussioni sui nuovi insediamenti nella Cisgiordania occupata, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che la costruzione degli insediamenti israeliani proseguirà.

Le note apparentemente contraddittorie hanno portato a confusione, visto che anche un certo numero di funzionari israeliani si è affrettato a negare il congelamento della costruzione di insediamenti in Cisgiordania.

All’incontro, che si è svolto domenica nella città giordana di Aqaba, sul Mar Rosso, hanno partecipato anche Egitto e Stati Uniti.

Secondo un comunicato congiunto rilasciato domenica dal Dipartimento di Stato americano, Israele si è impegnato a “interrompere la discussione su qualsiasi nuova unità di insediamento per quattro mesi e a bloccare l’autorizzazione di qualsiasi avamposto per sei mesi”.

Poco dopo la pubblicazione del comunicato, Netanyahu ha twittato che “non ci sarà alcun congelamento” nella costruzione degli insediamenti.

Secondo il diritto internazionale, gli insediamenti costruiti nei territori occupati sono illegali.

Molti ministri importanti di Israele hanno concordato, affermando che non vi è alcun impegno a congelare la costruzione di nuove unità di insediamento.

Il consulente del Consiglio di Sicurezza Nazionale israeliano Tzachi Hanegbi ha affermato che il governo israeliano non ritirerà la sua decisione di legalizzare nove avamposti in Cisgiordania e di costruire 9.500 ulteriori unità abitative nella Cisgiordania occupata.

“Contrariamente ai rapporti e ai tweet sull’incontro in Giordania, non vi è alcun cambiamento nella politica israeliana”, ha detto Hanegbi.

Il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha dichiarato su Twitter di non avere “la più pallida idea di che cosa si sia detto o non detto in Giordania”, aggiungendo che non ci sarebbe stato alcun congelamento degli insediamenti, “nemmeno per un giorno”.

Fonti a conoscenza dei colloqui hanno detto ad Haaretz che l’impegno a non discutere la costruzione di nuovi insediamenti per quattro mesi non costituisce una vera concessione, dato che il processo di pianificazione richiederà diversi mesi prima che possano essere approvate nuove ulteriori unità abitative.

In risposta alle dichiarazioni di Netanyahu e di altri ministri israeliani, lunedì il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha detto ai giornalisti: “Pensiamo che la dichiarazione parli da sola. Proprio come ci aspettiamo che i palestinesi mantengano i loro impegni, ci aspettiamo che gli israeliani facciano lo stesso”.

Nessuna pressione dagli Stati Uniti

Zaha Hassan, avvocato per i diritti umani e membro del Carnegie Endowment for International Peace [Fondo Carnegie per la Pace Internazionale, think tank apartitico con sede a Washington, ndt.] ha affermato che l’incontro è stato un altro segno che gli Stati Uniti non sono disposti a usare la loro influenza per spingere Israele al rispetto del diritto internazionale.

“Tenere riunioni ad Aqaba o Sharm El Sheikh rappresenta una grande photo opportunity, ma è tutto ciò che può esserci se gli Stati Uniti non mettono in campo il loro potere per raffreddare la situazione”.

Hassan afferma che gli Stati Uniti hanno chiarito che i legami bilaterali di Washington con Israele sono di fondamentale importanza, e che il presidente Joe Biden ha “considerato oltraggioso” suggerire di mettere condizioni agli aiuti militari al Paese.

Ha aggiunto: “Dire a Israele che gli aiuti e la copertura politica non saranno mai ritirati o sospesi è esattamente il motivo per cui i funzionari israeliani si sentono incoraggiati ad andare avanti con l’annessione della Cisgiordania”.

“È anche il motivo per cui i membri della Knesset israeliana si sentono liberi di parlare a sostegno dei coloni israeliani che attaccano e danno fuoco ai villaggi palestinesi”.

Domenica dei coloni israeliani con la protezione dei militari israeliani hanno dato fuoco a decine di case e auto palestinesi nella città di Huwwara, vicino alla città di Nablus nella Cisgiordania occupata. L’attacco è avvenuto dopo che un palestinese armato ha sparato uccidendo due coloni israeliani che attraversavano la città palestinese.

L’attacco alla città è stato appoggiato dai funzionari israeliani, tra cui Smotrich che ha chiesto di “colpire senza pietà le città del terrore e i suoi istigatori con carri armati ed elicotteri”.

Almeno 62 palestinesi sono stati uccisi dagli israeliani quest’anno, al ritmo di più di un decesso al giorno.

Ciò fa seguito a un forte aumento della violenza nel 2022, quando almeno 167 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania e Gerusalemme Est, il più alto numero di vittime in quei territori in un solo anno dalla Seconda Intifada.

Mentre i colloqui di Aqaba sono stati descritti come “un grande progresso” dal comunicato congiunto, il vertice è stato condannato da un certo numero di fazioni palestinesi.

Suhail al-Hindi, membro di spicco del movimento Hamas, ha affermato che l’incontro di Aqaba “mira a mettere in ginocchio il popolo palestinese”, mentre Maher Mezher, membro del gruppo di sinistra Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), ha affermato che al vertice il popolo palestinese non era rappresentato.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)