Il marchio di articoli sportivi PUMA è sollecitato a smettere di sponsorizzare il calcio nell’Israele dell’apartheid

Yvonne Ridley

11 febbraio 2022 – Middle East Monitor

Il principale produttore europeo di articoli sportivi, Adidas, ha posto fine al suo redditizio accordo [di sponsorizzazione] per le sue scarpe con il calciatore francese Kurt Zouma dopo che il giocatore della Premier League inglese è stato visto picchiare e prendere a sberle il suo gatto in un video pubblicato sulle reti sociali da suo fratello. Da allora il difensore del West Ham ha subito moltissime critiche per la sua crudeltà.

In effetti la società di calcio ha multato Zouma per una somma pari al compenso di due settimane – addirittura 250.000 sterline [quasi 300.000 euro] -, egli ha perso il suo contratto di sponsorizzazione a sei zeri con Adidas e una compagnia di assicurazioni ha sospeso la sua sponsorizzazione del West Ham. Questa vicenda continua a comparire sui media e pare che stia costando al giocatore e al suo club un sacco di soldi. Fortunatamente i due gatti di Zouma sono stati presi in carico dall’ente benefico per la protezione degli animali RSPCA, ma è ancora possibile che venga avviata un’indagine penale.

Data la lodevole risposta di Adidas al fatto che un animale innocente sia stato picchiato, mi chiedo cosa stia facendo l’impresa concorrente PUMA riguardo ai suoi rapporti con Israele. Le forze di sicurezza dello Stato che pratica l’apartheid – sia poliziotti che soldati – picchiano e prendono a calci sistematicamente uomini, donne e bambini palestinesi innocenti. E non si dimentichino le vite innocenti perse quando studenti vengono presi di mira e uccisi da cecchini e bombe israeliani. La brutalità dell’occupazione israeliana della Palestina viene messa a nudo alla vista di tutti noi sulle reti sociali.

Eppure PUMA continua a sponsorizzare l’Associazione Calcistica Israeliana. Decine di migliaia di persone in Gran Bretagna hanno già firmato una petizione a PUMA chiedendo che l’impresa ponga fine all’accordo di sponsorizzazione dell’IFA, che governa e appoggia squadre che giocano nelle illegali colonie israeliane costruite su terra palestinese occupata. Oltretutto i calciatori palestinesi vengono trattati in modo terribile dalle autorità occupanti israeliane.

Tuttavia ciò non basta per obbligare PUMA a cambiare la sua politica di sponsorizzazione. Purtroppo in Occidente la reazione dell’opinione pubblica nei confronti di minorenni palestinesi innocenti che vengono maltrattati ed uccisi non è altrettanto forte di quando si tratta della crudeltà nei confronti degli animali. Entrambe dovrebbero essere viste e condannate allo stesso modo e dovrebbe essere rapidamente fatta giustizia contro l’oppressore.

Forse ciò cambierà sabato, quando ci sarà una giornata internazionale di azione fuori dai negozi e distributori PUMA per spingere l’impresa a porre fine al suo appoggio all’apartheid israeliano. Ciò potrebbe spostare l’ago della bilancia.

Secondo un comunicato stampa della Palestine Solidarity Campaign [Campagna di Solidarietà con la Palestina] (PSC), una nota interna fatta filtrare rivela che PUMA ha ammesso che i suoi testimonial e i suoi soci commerciali stanno mettendo in discussione il suo appoggio all’apartheid israeliano. Un legale dell’impresa ha detto alla PSC che ciò sta rendendo la vita “impossibile” a PUMA.

Il suo contratto con la IFA termina in giugno, ma invece di attendere la sua fine “naturale”, PUMA dovrebbe tagliare i rapporti con l’apartheid israeliano ora e far sapere alla gente in Israele che la crudeltà e la brutalità dell’occupazione ne sono la ragione. Se Adidas può interrompere la sponsorizzazione di una stella del calcio a 48 ore da quando ha picchiato un gatto, allora PUMA può sicuramente tagliare ogni rapporto e interrompere la sua disgustosa sponsorizzazione dell’Israel Football Association senza ulteriori indugi. PUMA, è una rete a porta vuota. Non mancarla.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)