Tre progetti di Israele per il 2022

Tawfiq Abu Shomar

27 dicembre 2021 – Monitor de Oriente

Il primo progetto: gli israeliani progettano di assorbire una possibile nuova ondata di immigrati dall’Ucraina e si aspettano che la Russia scateni una guerra contro quel Paese all’inizio del 2022, perché la Russia ha mobilitato 100 battaglioni sulla frontiera dell’Ucraina. Gli esperti raccomandano di prepararsi per questa grande massa di immigrati, per cui devono essere approvati finanziamenti speciali destinati a loro. Esiste anche la possibilità che ciò venga accompagnato da un’altra ondata di immigrati dalla stessa Russia, perché gli Stati Uniti e l’Europa applicheranno sanzioni economiche contro di essa, il che spingerà a emigrare anche migliaia di ebrei russi.

Lo scrittore Micha Levinson il 19 dicembre ha scritto sul Jerusalem Post [quotidiano israeliano in lingua inglese, ndtr.]: “Secondo l’American Jewish Year Book 2019 [annuario della comunità ebraica nordamericana, ndtr.], circa 200.000 ucraini possono essere ammessi all’alyià [la salita, ossia l’immigrazione in Israele, ndtr.] in base alla legge del Ritorno [norma che stabilisce i requisiti per aver diritto alla cittadinanza israeliana in quanto ebrei, ndtr.]. Benché la maggioranza non si identifichi come ebrea né lo sia in base alle leggi religiose, decine di migliaia di rifugiati potrebbero chiedere la cittadinanza israeliana.” Quindi, secondo Levinson, il governo di Naftali Bennett suggerisce di eliminare il monopolio dell’ebraizzazione imposto dal Gran Rabbinato, ortodosso, per concedere ai rabbini moderni e riformisti la possibilità di ottenerne l’ebraizzazione in modo rapido, perché c’è mezzo milione di immigrati dell’ex-Unione Sovietica e di altri Paesi che non sono ebrei in base ai criteri rabbinici, compreso il Gran Rabbino sefardita [di origine araba o di altri Paesi musulmani, ndtr.] Yitzhak Yosef, che l’anno scorso li ha definiti “comunisti ostili alla religione”. Secondo l’analisi del più importante demografo [israeliano], Sergio della Pergola, docente dell’Università Ebraica, essi rappresentano il 5% degli ebrei israeliani.

Il secondo progetto è comparso il 19 dicembre sul giornale Israel Hayom [quotidiano gratuito israeliano di estrema destra, ndtr.] e riguarda il metodo di repressione delle manifestazioni e delle rivolte del popolo palestinese che continua a resistere sulla sua terra dal 1948. Yoav Limor ha scritto: “Dopo l’operazione Guardiano delle Mura [l’attacco israeliano contro Gaza del maggio 2021, ndtr.] le IDF [Forze di Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndtr.] e la polizia israeliani hanno lavorato per ricavare lezioni dal conflitto per il futuro. Si è immediatamente deciso di trasferire alla polizia il comando delle unità della polizia di frontiera dell’esercito, così come di far ricorso alle truppe del comando del fronte interno per sostituire la polizia nella sicurezza delle basi e dei convogli delle IDF. Quanto alle nuove unità della polizia di frontiera, esse saranno formate da riservisti che finora prestavano servizio soprattutto nelle unità militari “regolari”, in genere di fanteria o nella difesa delle frontiere.

L’unità parteciperà alle attività operative in corso in Giudea e Samaria (la Cisgiordania occupata) e a Gerusalemme e, se necessario, opererà sotto il controllo della polizia israeliana per missioni di sicurezza interna, come la prevenzione di disordini violenti nelle città miste.” Queste città miste includono, tra le altre, Lydda, Nazaret, Haifa e San Giovani d’Acri.

Questa unità ha effettuato il suo primo addestramento qualche giorno fa nella città palestinese di Umm Al-Fahm e realizzerà interventi rapidi con il pretesto di mantenere la sicurezza e combattere il terrorismo palestinese e gli assassini giornalieri. Tuttavia l’obiettivo non dichiarato è di opprimere i palestinesi.

Quanto al terzo progetto, viene applicato fuori da Israele dal principale gruppo di pressione a favore di Israele negli Stati Uniti, il Comitato delle Questioni Pubbliche Americano-Israeliane (AIPAC). L’organizzazione progetta di trasformarsi nella lobby israeliana di appoggio ai candidati al Congresso, finanziando la campagna dei membri del Congresso e dei candidati alle elezioni favorevoli a Israele. Li appoggerà finanziariamente e logisticamente per attrarre i sostenitori di Israele sia del partito Democratico che di quello Repubblicano.

La presidentessa dell’AIPAC, Betsy Berns Korn, ha affermato: “In tutta la storia dell’AIPAC il consiglio di amministrazione ha adeguato costantemente la nostra strategia politica per garantire che potessimo continuare ad avere successo in una Washington in continuo mutamento. Il contesto politico del Distretto Federale ha conosciuto un profondo cambiamento. L’esasperazione nei rapporti tra i partiti, il notevole ricambio nel Congresso e la crescita esponenziale dei costi delle campagne elettorali ora dominano il panorama. Perciò il Consiglio ha deciso di introdurre questi due nuovi strumenti.” Ha aggiunto che il PAC [Piano di Accumulo del Capitale] dell’AIPAC “metterà in risalto e appoggerà gli attuali parlamentari democratici e repubblicani, così come i candidati al Congresso, che sostengono Israele. La creazione dei PAC fa parte di varie iniziative nuove che l’AIPAC ha lanciato negli ultimi due anni, inclusa una maggiore presenza sulle reti sociali, un’iniziativa digitale e una prossima applicazione dell’AIPAC. Finora le iniziative hanno aumentato significativamente il numero dei nostri aderenti a 1.5 milioni di membri e sta crescendo.”

L’ex-presidente democratico dell’AIPAC, Steven Grossman, ha commentato questo cambiamento affermando: “Avendo visto le modifiche e l’evoluzione della politica statunitense in quest’ultimo decennio circa, appoggio quello che ha detto l’AIPAC perché darà all’organizzazione e ai suoi membri un’opportunità ancora più significativa di svolgere un ruolo attivo nella vita politica statunitense nel momento in cui ciò è fondamentale.”

Concludo dicendo che mi piacerebbe che potessimo beneficiare dei sistemi israeliani nella pianificazione e nella preparazione del futuro, modificando la nostra lotta, ammettendo in primo luogo i nostri errori e poi facendo progetti per il futuro adeguati per cambiare la nostra strategia.

Ricordate: la politica è una partita a scacchi e si può vincere solo conoscendo i piani dell’avversario.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necesariamente la política editoriale di Monitor de Oriente.

(traduzione dallo spagnolo di Amedeo Rossi)




Un’app per evitare i taxisti arabi: poteva esistere solo nel regime israeliano di apartheid!

Nasim Hamed

24 febbraio 2020 – Middle East Monitor

Un’app israeliana per chiamare i taxi, che offre ai suoi clienti ebrei l’opzione che garantisce che non verranno trasportati da un taxista arabo, è stata denunciata da alcuni avvocati per i diritti umani. Gett, una multinazionale con utenti in quasi tutte le città più importanti, potrebbe dover sborsare $ 47 milioni in indennizzi per aver fornito una funzione che discrimina i non-ebrei.

Nella causa collettiva intentata questa settimana, la funzione extra di Gett, un servizio esclusivo noto come “Mehadrin” offerto a ebrei osservanti, è descritta da Asaf Pink, l’avvocato che lavora al caso, come “un servizio razzista che fornisce taxi con autisti ebrei.” Pink e il Centro di Azione Religiosa israeliano (un gruppo locale di attivisti) hanno presentato il caso dopo un’indagine privata che ha provato che il servizio era stato creato su misura per andare incontro alle necessità specifiche dei passeggeri ebrei, benché discriminatorio.

Nel corso dell’indagine del 2018, Herzl Moshe, il rappresentante di Gett a Gerusalemme, pare abbia affermato che non avrebbe mai assunto un autista arabo per il servizio speciale offerto agli ebrei, anche se avessero accettato le condizioni di Gett. “Lasciate che vi racconti un segreto.” ha detto in dichiarazioni registrate. “Gett Mehadrin non è per i religiosi [ebrei]. È per quelli che non vogliono un taxista arabo. Quando mia figlia vuole spostarsi, io le chiamo un Gett Mehadrin. A lei non importa se l’autista è religioso o no, perché quello che vuole è che sia ebreo.”

L’agenzia a cui hanno commissionato l’investigazione privata ha anche mandato un arabo a chiedere se poteva lavorare per il servizio, ma gli è stato detto di no. Moshe avrebbe detto: “Io ho 1500 autisti arabi e non uno di loro lavora, né lavorerà, per Mehadrin.”

Il caso ha scatenato un dibattito sulla natura del razzismo in Israele. Nonostante le sue molte somiglianze con il Sud Africa durante il periodo dell’apartheid, lo Stato sionista ha avuto un certo successo nel proteggersi dal tipo di stigma che abbatté il regime razzista nel 1991.

Parte di questo successo è dovuto al fatto che i legislatori israeliani hanno evitato di imporre quello che è spesso definito “il piccolo apartheid”. Questa pratica è il lato più visibile dell’apartheid e include la segregazione basata sulla razza nei servizi, come i luoghi pubblici di divertimento, parchi, gabinetti e trasporti pubblici. L’app di Gett rientrerebbe di sicuro in questa categoria.

Il “grande apartheid” si riferisce alle limitazioni imposte ai neri in Sud Africa e relative all’accesso alla terra e ai diritti politici. Queste includevano leggi che impedivano ai neri sud-africani persino di vivere nelle stesse aree dei bianchi. Negavano anche ai neri africani la rappresentanza politica e, nei casi più estremi, la cittadinanza in Sud Africa.

Anche se in Israele si possono trovare entrambe le forme di apartheid, non esistono cartelli come “Solo per bianchi” o, nel caso di Israele, “Solo per ebrei”. Per trovare esempi di entrambe le forme bisogna fare uno sforzo maggiore che semplicemente leggere un cartello su un bus.

Si vedono quotidianamente esempi di ‘grande apartheid’ nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza. Oltre cinque milioni di palestinesi sono tenuti da circa settant’anni in uno stato di occupazione senza il diritto al voto. Israele amministra un territorio dove la legge non è applicata equamente. Esistono sistemi legali e giudiziari separati per ebrei e non ebrei. Israeliani e palestinesi sono segregati anche in settori quali l’alloggio, l’istruzione, la salute, i trasporti e il welfare. Gli ebrei che vivono nei territori occupati sono considerati residenti dello Stato idonei a godere di tutti i diritti conferiti dallo Stato, ma la stessa legge non si applica ai loro vicini palestinesi.

Qualsiasi altro Paese in questa situazione sarebbe giustamente considerato uno Stato in apartheid, ma, per qualche motivo, questo è tollerato, presumibilmente perché l’occupazione è considerata una caratteristica temporanea di Israele. Va però fatto notare che il periodo di apartheid nella storia del Sud Africa è durato meno della cosiddetta “occupazione temporanea” della Palestina da parte di Israele.

La discriminazione nei territori occupati va molto più in profondità delle politiche razziste. Israele è un unicum nel modo in cui ha creato un modello di cittadinanza a vari livelli all’interno dello Stato con lo scopo di mantenerne il suo carattere ebraico. È stata emanata una serie di leggi per costruire lo Stato su una discriminazione istituzionalizzata. La Legge del Ritorno del 1950, per esempio, incorpora l’ideologia fondamentale del sionismo: tutti gli ebrei, indipendentemente da dove siano nati, hanno il diritto inalienabile di emigrare in Israele.

Intanto, la Legge sulla Cittadinanza del 1952 (meglio conosciuta come la Legge sulla Nazionalità) dà a tutte le persone a cui è concessa la nazionalità ebraica dalla succitata Legge del Ritorno il diritto di rivendicare automaticamente, senza alcuna procedura formale, la cittadinanza israeliana all’arrivo all’aeroporto Ben Gurion a Tel Aviv. Però la stessa legge stabilisce procedure specifiche per i non-ebrei che desiderano avere la cittadinanza.

Secondo il principio extraterritoriale israeliano di sovranità, la cittadinanza è concessa a chiunque condivida la stessa etnia o religione, indipendentemente da dove viva nel mondo. Nel caso di Israele, solo agli ebrei sono concessi i diritti di nazionalità, mentre i non ebrei residenti nello stesso territorio sono privati di tali diritti. In ciò Israele è un caso unico. Nessun Paese a maggioranza musulmana, per esempio, concede automaticamente la cittadinanza sulla base della religione o della propria “arabicità”. Allo stesso modo, nessuna democrazia occidentale concede la cittadinanza automatica solamente in base a razza e religione.

A differenza delle democrazie liberali in Occidente, Israele mantiene una distinzione imposta dalla costituzione tra “cittadinanza ” e “nazionalità”. Solo agli ebrei è concessa la nazionalità e solo loro possono godere completamente dell’intera gamma dei diritti riconosciuti dallo Stato. Questo ha generato un sistema odioso di concessioni di sussidi statali per dare l’impressione che Israele non stia discriminando i non ebrei.

Separando i servizi tra istituzioni “nazionali” e “governative”, Israele è in grado di convogliare legalmente le risorse per fornire i servizi solo ai cittadini ebrei. Per esempio, le istituzioni finanziate da gruppi sionisti come il Fondo Nazionale Ebraico possono discriminare, e lo fanno apertamente, a favore degli ebrei senza dare l’impressione di contaminare il governo, apparentemente democratico, con la puzza di razzismo.

Questo tipo di doppio binario di servizi pubblici fra ebrei e non ebrei nega ai cittadini non ebrei dello Stato l’accesso a fondi e servizi disponibili solo agli ebrei. Dato che il 92% della terra di Israele è “di proprietà” del Fondo Nazionale Ebraico, in gran parte espropriata ai palestinesi, inaccessibile ai cittadini israeliani non ebrei, questi sono impossibilitati per legge a possederli, affittarli, viverci o lavorarli.

Nonostante gli sforzi per limitare i casi di ‘piccolo apartheid’ e nascondere le discriminazioni sotto strati di sofismi, spesso erompono pratiche razziste come la segregazione sui trasporti pubblici, che ha una storia di condanne e innesca una spontanea reazione di sdegno.

Nel 2015 il governo israeliano si era trovato nella situazione imbarazzante di dover sospendere alcune nuove regole che avrebbero separato sugli autobus i passeggeri palestinesi dagli ebrei. L’anno scorso, tre ospedali israeliani hanno ammesso per la prima volta, di aver segregato le partorienti ebree dalle arabe. Nel 2018 i residenti di Afula, città nel nord di Israele, hanno fatto delle manifestazioni contro la vendita di una casa a una famiglia di cittadini palestinesi. La stessa città ha imposto ai palestinesi il divieto di entrare in un parco. Mesi prima, una piscina pubblica nel sud di Israele è stata denunciata per aver separato ebrei e palestinesi.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)