La rivista Foreign Affairs conferma i fatti riguardanti l’apartheid israeliano e la supremazia ebraica

Nasim Ahmed

17 aprile 2023 – Middle East Monitor

La scorsa settimana la notevole velocità con cui il termine “apartheid” è passato dai margini al centro del dibattito israeliano-palestinese è apparsa evidente. La prestigiosa rivista statunitense Foreign Affairs, unanimemente considerata una delle più influenti riguardo alla politica internazionale e che plasma il pensiero di Washington, ha aggiunto il proprio peso a favore dell’affermazione secondo cui Israele ha imposto un regime di apartheid che discrimina sistematicamente i non-ebrei.

In un articolo intitolato “La realtà israeliana di uno Stato unico” gli autori Michael Barnett, Nathan Brown, Marc Lynch e Shibley Telhami evidenziano il cambiamento epocale in corso oggi nei circoli che guidano la politica. Descrivendo la situazione in Palestina e come Israele sia arrivato a praticare l’apartheid, affermano che quello che una volta era “indicibile” ora è “innegabile”.

Una soluzione a Stato unico non è un’eventualità del futuro, esiste già indipendentemente da quello che chiunque possa pensare,” affermano gli autori, tutti studiosi di Medio Oriente. “Tra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano un solo Stato controlla l’ingresso e l’uscita di persone e cose, supervisiona la sicurezza e ha la capacità di imporre le proprie decisioni, leggi e politiche su milioni di persone senza il loro consenso.”

Israele, sostengono gli autori, “ha imposto un sistema di supremazia ebraica, in cui i non-ebrei sono strutturalmente discriminati o esclusi, in uno schema caratterizzato da più livelli: alcuni non-ebrei hanno molti, ma non tutti, i diritti degli ebrei, mentre la maggioranza dei non-ebrei vive soggetto a una dura segregazione, separazione e dominazione.” Significativamente essi affermano che questa situazione è “ovvia” per chiunque vi abbia prestato attenzione. Per varie ragioni Washington e i sostenitori di Israele hanno preferito mettere la testa nella sabbia e calunniare come antisemita chiunque abbia indicato la verità riguardo al sistema di apartheid israeliano. “Fino a poco tempo fa la situazione di uno Stato unico raramente era riconosciuta da attori importanti, e quanti dicevano la verità a voce alta sono stati ignorati o puniti per averlo fatto,” evidenzia l’articolo. “Tuttavia, con una notevole rapidità, l’indicibile si è notevolmente avvicinato al senso comune.”

Chiunque segua da vicino il dibattito sull’apartheid israeliano sarà a conoscenza di molti dei punti evidenziati dagli autori. Dal 2021 importanti organizzazioni per i diritti umani, tra cui Human Rights Watch e Amnesty International, B’Tselem e molte altre hanno utilizzato il termine per descrivere Israele. Così hanno fatto molti accademici: secondo un recente sondaggio su studiosi del Medio Oriente membri di tre grandi associazioni accademiche, il 65% di quanti hanno risposto ha descritto la situazione in Israele e nei territori palestinesi come la “realtà di uno Stato unico con diseguaglianze simili all’apartheid.”

Oltre a ripetere fatti ben noti riguardo a come Israele ha creato un regime di supremazia ebraica, l’articolo di Foreign Affairs si distingue per l’enfasi sulle responsabilità di Washington e di altre potenze straniere per aver consentito la creazione di un regime di apartheid. Secondo gli autori, i principali alleati di Israele sono responsabili di un “pensiero magico”. Per decenni soprattutto gli USA hanno difeso l’appoggio a Israele sulla base di una pia illusione, credendo che Israele condividesse gli stessi valori dell’Occidente. “Gli Stati Uniti non hanno ‘valori condivisi’ e non dovrebbero avere ‘legami inscindibili’ con uno Stato che discrimina o prevarica su milioni di abitanti in base alla loro etnia e religione.” Gli autori sostengono che è difficile tenere insieme l’impegno nei confronti del liberalismo con l’appoggio a uno Stato che offre i benefici della democrazia agli ebrei, ma li toglie esplicitamente alla maggioranza dei suoi abitanti non-ebrei.

Mentre è diventato di moda accusare il primo ministro Benjamin Netanyahu dello spostamento di Israele verso l’apartheid, si sostiene che l’attuale situazione che garantisce la supremazia ebraica sulla Palestina storica è fortemente radicata nel pensiero e nella pratica sionista. Iniziò a conquistarsi sostenitori poco dopo l’occupazione israeliana dei territori palestinesi nel 1967. Gli autori affermano che, benché non sia ancora una “visione egemonica”, essa può essere plausibilmente descritta come condivisa dalla maggioranza della società israeliana e non più essere definita una posizione estremista. Vale la pena di tenere a mente che Netanyahu, il primo ministro israeliano più a lungo in carica, ha scritto che “Israele non è uno Stato di tutti i suoi cittadini”, ma piuttosto “del popolo ebraico, e solo questo.” Il leader del Likud è stato anche accusato di aver cancellato i palestinesi e la loro storia, un fatto che alcuni membri dell’attuale coalizione di governo appoggiano.

I sostenitori di Israele che rifiutano la situazione di uno Stato unico sono invitati a cambiare occhiali per poter vedere l’apartheid per quello che è. Gli alleati di Israele sono soliti fare una distinzione tra i territori occupati e Israele vero e proprio e a pensare che la sovranità israeliana sia limitata al territorio che controllava prima del 1967. A questo proposito gli autori sostengono che Stato e sovranità non sono la stessa cosa. “Lo Stato è definito da quello che controlla, mentre la sovranità dipende dal fatto che gli altri Stati riconoscano la legittimità di quel controllo.” L’errore consiste nel confondere le due cose senza comprendere che Israele come Stato controlla ogni palmo della Palestina, benché agli occhi della comunità internazionale lo Stato occupante non abbia diritto alla sovranità sul territorio.

Si consideri Israele attraverso le lenti di uno Stato. Ha il controllo sul territorio tra il fiume e il mare, ha il quasi totale monopolio dell’uso della forza, utilizza il proprio potere per mantenere un blocco draconiano di Gaza e controlla la Cisgiordania con un sistema di posti di blocco, il mantenimento dell’ordine pubblico e l’espansione delle colonie,” affermano gli autori, chiarendo la distinzione rispetto alla sovranità. Spiegando come Israele sia stato in grado di sfruttare la situazione, l’articolo sostiene che “non formalizzando la sovranità, Israele può essere democratico per i suoi cittadini, ma non responsabile nei confronti di milioni di suoi abitanti.” Secondo gli autori questa situazione ha consentito a molti sostenitori di Israele di continuare a fingere che tutto ciò sia temporaneo, che Israele continui a essere una democrazia e che un giorno i palestinesi eserciteranno il loro diritto all’autodeterminazione.

Per quanto le politiche USA abbiano contribuito a rafforzare la situazione dello Stato unico, la normalizzazione con gli Stati arabi in base agli accordi di Abramo ha ulteriormente cementato il sistema di apartheid israeliano. La tradizionale posizione araba era che la normalizzazione sarebbe stata offerta in cambio del completo ritiro israeliano dai territori occupati. Il punto di partenza per i negoziati era che la pace con il mondo arabo avrebbe richiesto una soluzione del problema palestinese. Gli accordi di Abramo hanno rifiutato questo assunto e in cambio hanno premiato Israele per le sue pratiche di colonialismo di insediamento. “Separare la normalizzazione con gli arabi dalla questione palestinese ha avuto un impatto notevole per il rafforzamento della situazione di uno Stato unico.”

Ammonendo i poteri autoritari del Medio Oriente, gli autori spiegano efficacemente che la questione palestinese ha una grande risonanza tra la popolazione araba. “I governanti arabi possono non interessarsi dei palestinesi, ma il loro popolo lo fa, e quei governanti non si preoccupano di altro se non di mantenere il proprio potere.” Abbandonare totalmente i palestinesi dopo più di mezzo secolo di un appoggio quanto meno a parole rappresenterebbe un rischio per la loro autorità. “I dirigenti arabi non temono di perdere le elezioni, ma ricordano fin troppo bene le rivolte arabe del 2011,” affermano gli autori, sostenendo che abbandonare la causa palestinese potrebbe innescare una rivolta popolare.

Dopo aver elencato i passi concreti che dovrebbero essere intrapresi, gli autori affermano che i decisori politici e gli analisti che ignorano la realtà dello Stato unico saranno condannati al fallimento e all’irrilevanza, non facendo molto più che fornire una cortina fumogena per il rafforzamento dello status quo. Per porre fine alla profonda complicità di Washington nel creare una situazione di Stato unico, gli USA sono invitati a prendere misure “radicali”, tra cui l’imposizione di sanzioni contro Israele e, soprattutto, che l’Occidente guardi alle sue risposte all’invasione russa dell’Ucraina come un modello per difendere le leggi internazionali e il sistema basato sulle regole che sostiene di difendere.

Le opinioni espresse nell’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)