La Russia sta utilizzando la religione per rafforzare la propria influenza tra i palestinesi

Adnan Abu Amer

 1 febbraio 2020 – Middle East Monitor

Questa settimana il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha ricevuto il suo collega russo Vladimir Putin a Betlemme e non a Ramallah. La scelta della sede ha dato all’incontro un carattere inequivocabilmente cristiano, un fattore che è stato utilizzato recentemente dalla Russia nei suoi rapporti internazionali.

Lo scorso mese Putin si è incontrato con il patriarca della Chiesa greco-ortodossa di Gerusalemme, Teofilo III, per discutere delle difficoltà che i cristiani devono affrontare in Medio Oriente. Ha manifestato il suo appoggio per la salvaguardia delle proprietà della Chiesa ortodossa nella città e la protezione dei cristiani della regione. In novembre la Russia ha annunciato l’intenzione di proteggere i cristiani del Medio Oriente dopo che Putin ha incontrato il patriarca di Mosca con una delegazione dell’Autorità Nazionale Palestinese.

La politica estera “religiosa” è significativa anche perché Israele si prepara a concedere alla Russia la proprietà di una chiesa a Gerusalemme come parte di un accordo per il rilascio di una donna israeliana arrestata a Mosca. L’edificio si trova nel complesso russo della Città Vecchia occupata. La chiesa di Sant’Aleksandr Nevsky e altri immobili vennero venduti nel XIX secolo allo zar Alessandro III.

I rapporti russo-palestinesi si sono di recente sviluppati a vari livelli politici ed economici. Ciò che rappresenta una novità è la loro dimensione religiosa, che fornisce ai russi un ulteriore punto di vista riguardo alle questioni palestinesi.

L’interesse di Putin per i tentativi di conservare e sostenere le proprietà ortodosse a Gerusalemme pare essere in parte dovuto all’intenzione di evitare che coloni ebrei li comprino o li occupino. Il patriarca ha ringraziato il presidente russo per il suo sostegno e la donazione del 2016 per il restauro della chiesa della Natività a Betlemme.

Guarda caso questa settimana la Corte Suprema israeliana ha ribaltato una decisione presa lo scorso giugno per la vendita di una proprietà del patriarcato della Chiesa greco-ortodossa nella Città Vecchia di Gerusalemme all’associazione dei coloni Ateret Cohanim. I palestinesi sono preoccupati di simili transazioni commerciali perché la Chiesa ortodossa ha il principale portafoglio immobiliare in Palestina, secondo solo ai beni religiosi islamici. Abbas non si è scontrato con la Chiesa per la vendita delle sue proprietà ai coloni, nonostante le proteste dei cristiani arabi, probabilmente per il fatto che per tali vendite è necessario l’avvallo russo. Tuttavia la Chiesa non sembra essere troppo preoccupata di disporre delle sue proprietà in questo modo.

I palestinesi parlano di complicità con le autorità occupanti da parte di alcune personalità ortodosse che concedono le proprietà ai coloni per ricavarne un guadagno personale. Altri parlano di una vera e propria corruzione all’interno della leadership della Chiesa. Anche la Russia potrebbe non essere estranea alle transazioni immobiliari con gruppi di coloni.

Turisti cristiani russi visitano la Palestina per visitare le chiese ortodosse, le proprietà storiche e i resti archeologici a Gerusalemme, Hebron, Gerico e Betlemme. Ciò potrebbe spiegare il crescente interesse di Putin, anche se l’ANP non ha la capacità di bloccare la perdita di proprietà cristiane a favore dei coloni perché Israele impone la propria sovranità su Gerusalemme.

Fonti della chiesa palestinese mostrano che l’1% dei palestinesi nei territori occupati sono cristiani. Si tratta di circa 450.000 persone distribuite in Cisgiordania, Gerusalemme est e Israele. Di questi il 51% sono appartenenti alla Chiesa greco-ortodossa e il resto è distribuito tra sette denominazioni, le più importanti delle quali sono la cattolica romana e protestanti.

Le ragioni principali del terribile calo del numero dei palestinesi cristiani che vivono nella culla della Cristianità sono la loro emigrazione a causa della continua occupazione israeliana, la cattiva situazione economica e il desiderio di vivere in un Paese sicuro. Lo scorso anno Putin ha detto che la situazione dei cristiani in Medio Oriente è “catastrofica” e il leader russo ha descritto il suo intervento militare in Siria nel 2015 come una guerra santa per proteggervi i cristiani.

Ciò significa che la Russa sta tornando alle sue radici cristiane precedenti al comunismo? Almeno in Palestina la religione sembra essere utilizzata per rafforzare l’influenza di Mosca.

A ottobre Putin ha manifestato il proprio parere negativo riguardante l’“accordo del secolo” statunitense ed ha affermato di aver proposto negoziati tra israeliani e palestinesi a Mosca, ma senza successo. Ciò è stato visto dai palestinesi come un appoggio nei loro confronti di fronte alle pressioni USA perché accettassero l’accordo.

La posizione russa è che la causa della violenza nella regione è dovuta al fatto di non aver risolto la questione palestinese. Tuttavia la Russia ha stretti rapporti con Israele, dove vive un milione e mezzo di ebrei sovietici/russi.

Il sostegno dei palestinesi per le recenti posizioni della Russia non significa che essi siano interessati a passare dalla mediazione esclusivamente statunitense a quella russa. Vogliono una mediazione internazionale e la posizione di Putin sull’“accordo” incoraggia i palestinesi a continuare a rifiutarlo. Ciò isola ancor più gli USA e incrementa la sua ostilità verso i legittimi diritti dei palestinesi.

È evidente il desiderio della Russia di riempire il vuoto lasciato da Washington in Medio Oriente e il suo uso della questione palestinese per aumentare la propria influenza. I palestinesi possono trarre vantaggio dalla polarizzazione tra Washington e Mosca, spingendo quest’ultima a schierarsi con la loro causa. Tuttavia i russi hanno posizioni relativamente equidistanti, dato che condividono anche interessi strategici con Israele.

Comunque i palestinesi hanno accolto positivamente la collaborazione con i russi, senza voltare le spalle agli americani. Sperano che entrambi siano più equilibrati quando si tratta dei diritti dei palestinesi. I contatti con la Russia implicano che il mondo non è governato esclusivamente dagli USA e contribuiscono a conservare la visibilità dei palestinesi a livello internazionale. Tali contatti possono anche contribuire a contrastare l’“accordo del secolo” reso pubblico questa settimana a Washington.

Oltretutto la Russia, a differenza degli americani, è uno dei pochi Paesi al mondo ad avere rapporti con tutte le principali fazioni palestinesi, il che dovrebbe renderla più rappresentativa nel cercare di mediare. Tuttavia Israele non vuole far riferimento a nessun altro Paese che non siano gli USA dalla sua parte, il che può bloccare o rallentare i progressi di Mosca a questo proposito.

Secondo i palestinesi la Russia sta estromettendo gli USA dal dossier palestinese utilizzando la sua alleanza con potenze regionali in contrasto con Washington, come Iran e Turchia. Mosca punta anche sui suoi successi politici e militari in Siria, che l’hanno incoraggiata a intervenire altrove.

Come membro del consiglio di Sicurezza dell’ONU con diritto di veto, il coinvolgimento positivo della Russia nella vicenda palestinese può contribuire a trovare un equilibrio di fronte alla parzialità degli USA a favore di Israele. È un’ulteriore ragione per cui Israele vuole trattare solo attraverso Washington.

Tuttavia per il momento il ruolo della Russia si limita a ricevere delegazioni politiche e a fare dichiarazioni diplomatiche, senza trasformarle in azioni concrete. Mentre c’è una chiara dimensione cristiana della politica estera russa sul conflitto israelo-palestinese, questa è presente anche nell’appoggio americano a Israele, soprattutto la forte influenza degli evangelici sionisti che sostengono sempre e comunque Israele.

Pertanto, data l’ovvia influenza degli ebrei, dei cristiani ortodossi e dei cristiani evangelici, non c’è da stupirsi che il mondo rifiuti qualunque tentativo palestinese di legare il conflitto con Israele alle proprie credenze ideologiche basate sull’Islam.

Le opinion esposte in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’Autorità Nazionale Palestinese annuncia la chiusura di tutti i rapporti con Israele e gli Stati Uniti

Redazione di Middle East Eye

1 febbraio 2020 MEE

Il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas ha affermato che “che non ci sarà più alcun rapporto” con Israele e gli Stati Uniti

Sabato Mahmoud Abbas ha dichiarato che l’Autorità Nazionale Palestinese ha interrotto tutti i rapporti con Stati Uniti e Israele dopo aver respinto la controversa proposta di Trump per Israele e Palestina.

“Abbiamo informato la controparte israeliana … che non ci sarà più alcun rapporto con loro e con gli Stati Uniti, nemmeno gli accordi sulla sicurezza”, ha detto Abbas in una riunione straordinaria della Lega Araba al Cairo in cui ha ribadito il suo “totale” rifiuto del piano.

Sabato, anche la Lega Araba ha respinto il piano. Il piano prevede la creazione di uno Stato palestinese smilitarizzato, con ampie aree della Cisgiordania occupata annesse a Israele.

Negoziato tra Israele e gli Stati Uniti, il piano non contiene contributi palestinesi.

L’ANP aveva stretto accordi sulla sicurezza con Israele con cui collabora nelle aree controllate della Cisgiordania occupata che sono sotto il controllo palestinese. Anche gli accordi di condivisione dell’intelligence stipulati dall’ANP con la CIA potrebbero ora essere in pericolo.

Alla riunione del Cairo, alla quale hanno partecipato i ministri degli esteri arabi, Abbas ha dichiarato di essersi rifiutato di discutere il piano con Trump. “Mi hanno detto che Trump voleva inviarmi l’accordo del secolo perché lo leggessi, ho detto che non lo avrei fatto”, ha detto sabato Abbas alla riunione dei ministri degli Esteri della Lega Araba.

“Trump mi ha chiesto di parlargli al telefono, ma io ho detto ‘no’ e che voleva mandarmi una lettera, e mi sono rifiutato di riceverla.”La reazione al piano da parte dei paesi arabi non è stata univoca; alcuni Stati del Golfo hanno partecipato alla presentazione a Washington e altri, come la Giordania, lhanno decisamente rifiutato. Il capo della Lega araba, Ahmed Aboul-Gheit, ha dichiarato mercoledì che il piano “ha ignorato i legittimi diritti dei palestinesi nei territori”.

Ad agosto, l’ANP ha minacciato di interrompere le relazioni con Israele per via delle demolizioni [israeliane] nella cittadina occupata di Sur Bahir, nella Gerusalemme Est occupata, che hanno prodotto decine di sfollati palestinesi.

(Traduzione dall’inglese di Carlo Tagliacozzo)




I palestinesi mettono in guardia Israele e gli USA mentre Trump sta discutendo il nuovo ‘piano per la pace’

24 gennaio 2020 – Al Jazeera

I palestinesi respingono l’incontro tra gli USA e Netanyahu affermando di non riconoscere il piano di pace che si prevede favorisca Israele.

L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha messo in guardia Israele e gli Stati Uniti dal “valicare le linee rosse” promettendo che non riconoscerà il piano di pace per il Medio Oriente che aveva già respinto in precedenza mentre il Presidente USA Donald Trump si prepara a presentare il piano nei prossimi giorni.

Giovedì Trump ha detto che probabilmente rivelerà il tanto atteso progetto prima della visita a Washington, DC, di Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, la prossima settimana.

“Probabilmente lo renderò noto un po’ prima” ha detto il leader degli USA ai reporter che andavano con lui in Florida a bordo dell’Air Force One, riferendosi all’incontro di martedì alla Casa Bianca.

“È un ottimo piano. È un piano che funzionerà davvero” ha aggiunto.

I palestinesi, che non sono stati invitati alla Casa Bianca per l’incontro con Netanyahu, hanno immediatamente respinto le trattative che si svolgono negli USA, in quanto respingono il piano in sé che è stato elaborato dal 2017. La sua presentazione è stata più volte rimandata.

La parte economica del piano è stata rivelata a giugno e prevede 50 miliardi di dollari di investimenti internazionali nei territori palestinesi e nei Paesi arabi vicini per 10 anni.

I palestinesi hanno respinto i tentativi di pace di Trump dopo il suo controverso riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e lo spostamento dell’ambasciata USA a maggio 2018.

Come ha riferito la WAFA, l’agenzia stampa ufficiale palestinese, Nabil Abu Rudeineh, un portavoce del presidente palestinese, ha dichiarato che i leader palestinesi respingeranno ogni atto USA che infranga le leggi internazionali. 

“Se questo accordo viene presentato con quelle premesse che sono state già respinte, i leader annunceranno una serie di misure volte a garantire i nostri legittimi diritti e pretenderemo che Israele si assuma tutte le responsabilità quale potenza occupante” ha detto Abu Rudeineh.

Sembrava fare riferimento alle minacce, spesso reiterate, di sciogliere l’Autorità Nazionale Palestinese, che ha un’autonomia limitata in alcune parti della Cisgiordania occupata da Israele. Ciò costringerebbe Israele ad assumersi la responsabilità di fornire servizi essenziali a milioni di palestinesi.

“Noi vogliamo mettere in guardia Israele e l’amministrazione USA dal valicare le linee rosse” ha detto Abu Rudeineh che ha ripetuto la richiesta di porre fine all’occupazione israeliana dei territori palestinesi e detto che dovrebbe essere costituito uno Stato palestinese indipendente con capitale Gerusalemme.

‘Si parla solo di Israele’

In aereo, giovedì, Trump si è detto contento che Netanyahu e il suo principale rivale alle elezioni, Benny Gantz, capo del partito di centro Blu Bianco, avrebbero fatto visita alla Casa Bianca nel mezzo della campagna per le elezioni in Israele del 2 marzo.

“Verranno entrambi i candidati, una cosa mai successa!” ha detto Trump.

Alla domanda se avesse contattato i palestinesi, Trump ha detto: “Abbiamo parlato brevemente con loro, ma lo faremo fra poco.

E loro hanno molti incentivi a farlo. Sono sicuro che forse all’inizio reagiranno negativamente, ma per loro è davvero molto positivo.”

Husam Zomlot, il capo della missione palestinese nel Regno Unito, ha detto all’agenzia di stampa AFP [agenzia di stampa francese, N.d.T] che il fatto che Trump abbia invitato i due leader israeliani e nessun palestinese dimostra che il meeting intende influire sulla politica interna israeliana più che essere un vero tentativo di pace. 

“Questa è la conferma di quella che è stata dall’inizio la loro politica fin dall’inizio – si parla solo di Israele.”

Si prevede che il progetto sia fortemente a favore di Israele e che gli offra il controllo di vaste zone della Cisgiordania.

I palestinesi vorrebbero invece che l’intero territorio, conquistato da Israele nel 1967, diventasse il cuore di un futuro Stato indipendente, parte della soluzione dei due Stati sostenuta dalla maggior parte della comunità internazionale.

Netanyahu ha detto che intende annettere sia la Valle del Giordano occupata che gli insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania, ponendo così fine a ogni possibilità di creare uno Stato palestinese sostenibile.

Netanyahu ha tentato di fare di questa promessa la chiave di volta della sua campagna per la rielezione in seguito al testa a testa senza precedenti dopo le ultime elezioni dell’anno scorso che lo ha lasciato in virtuale pareggio con Gantz, ma senza che nessuno dei due fosse in grado di formare una coalizione di governo.

‘L’accordo del secolo’ di Trump

Trump, la cui squadra sta da tempo lavorando sul progetto di un piano di pace segreto, si è ripetutamente vantato di essere il presidente USA più pro-israeliano della storia.

Abbas ha tagliato ogni rapporto con gli USA dal dicembre 2017, dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele con cui Trump ha rotto decenni di consenso internazionale.

I palestinesi considerano la parte orientale della città la capitale del loro futuro Stato e le potenze mondiali concordano da tempo che il destino di Gerusalemme dovrebbe essere deciso con una soluzione negoziata.

Trump è salito al potere nel 2017 promettendo di mediare la pace tra israeliani e palestinesi, che aveva chiamato “l’accordo del secolo “.

Ma da allora ha preso una serie di decisioni che hanno indignato i palestinesi, incluso il taglio di centinaia di milioni di dollari di aiuti e la dichiarazione che gli USA non considerano più illegali le colonie israeliane in Cisgiordania.

Si ritiene che il suo piano per porre fine al conflitto israelo-palestinese ruoti attorno alla promozione di enormi investimenti economici.

Dopo molti rinvii, l’iniziativa di pace era prevista parecchi mesi fa, ma è stata rimandata dopo che le elezioni in Israele a settembre si sono dimostrate inconcludenti e non si pensava che sarebbe stata resa nota fino a dopo il voto del 2 marzo.

I media israeliani hanno discusso quella che dicono siano le linee generali dell’accordo trapelate giovedì, sostenendo che gli USA sono d’accordo su molte delle principali richieste israeliane.

L’incontro a Washington, DC, si terrà circa un mese prima delle nuove elezioni, con i sondaggi che mostrano un testa a testa fra la destra del Likud di Netanyahu e il partito di Gantz, il Blu e Bianco.

Il meeting di martedì coincide con una seduta del parlamento [israeliano] prevista per discutere la possibile immunità di Netanyahu per l’imputazione in una serie di casi di corruzione.    

I media israeliani sospettano che Trump abbia scelto di annunciare l’evento per sostenere il tentativo di rielezione di Netanyahu, il terzo in un anno.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Nuovo sondaggio: più del 60% dei palestinesi vuole che Abbas lasci

The Palestine Chronicle – 18 settembre 2019

Secondo un sondaggio, il 60% dei palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza vuole che il Presidente Mahmoud Abbas si dimetta.
Felesteen.ps riferisce che, da una ricerca condotta dal Centro Palestinese di Ricerca Politica e Sondaggi tra l’11 e il 14 settembre, emerge che il 50% dei palestinesi vorrebbe tornare all’Intifada armata, data la mancanza di passi avanti nel processo di pace, mentre il 40% chiede lo scioglimento dell’Autorità Palestinese.

Tra il 32 e il 50% degli intervistati ritiene che i risultati del governo siano peggiori di quelli del suo predecessore.
Il 56% è contrario alla soluzione dei due Stati, con il 37% che preferisce la resistenza armata e il 32% a favore di una soluzione nonviolenta della questione palestinese.

I contrari all’accordo di pace USA, l’“Accordo del Secolo”, raggiungono il 69% e il 72% boccia il coinvolgimento americano nella risoluzione della crisi dei rifugiati palestinesi.


Circa i tre quarti – il 72% – chiedono che si tengano elezioni legislative e presidenziali e vogliono che l’Autorità Palestinese tolga le sanzioni che ha imposto alla Striscia di Gaza sotto assedio.
Il sondaggio ha rilevato che il 63% dei palestinesi di Gaza si sente al sicuro, rispetto al 52% della Cisgiordania; a Gaza, il 43% ha dichiarato di sentirsi libero di criticare Hamas, mentre in Cisgiordania è il 36% che si sente libero di criticare Fatah.

(Middle East Monitor, PC, Social Media)

 

(Traduzione di Elena Bellini)




Il giorno dopo: che succede se Israele annette la Cisgiordania?

Ramzy Baroud

24 giugno, 2019 – Middle East Monitor

Gli inviti all’annessione della Cisgiordania occupata sono all’ordine del giorno sia a Tel Aviv che a Washington. Ma Israele e i suoi alleati americani dovrebbero stare attenti riguardo a ciò che auspicano. Annettere i Territori Palestinesi Occupati non farà che rafforzare l’attuale ripensamento della strategia palestinese, invece di risolvere i problemi che Israele stesso si provoca.

Incoraggiati dalla decisione dell’amministrazione di Donald Trump di spostare l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, i dirigenti del governo israeliano ritengono che questo sia il momento giusto per annettere l’intera Cisgiordania.

Infatti, “non vi è momento migliore di questo” è stata la frase esatta usata dall’ex Ministra della Giustizia israeliana Ayelet Shaked, quando ha sostenuto l’annessione in una recente conferenza a New York.

Certo, in Israele è nuovamente una stagione elettorale, poiché il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu non è riuscito a formare un governo dopo le ultime elezioni di aprile. Durante queste campagne politiche si assiste a molte dimostrazioni di forza, dato che i candidati fanno la voce grossa in nome della ‘sicurezza’, della lotta al terrorismo, eccetera.

Ma i commenti di Shaked non possono essere liquidati come effimere scaramucce elettorali. Rappresentano molto di più, se considerati all’interno di un più ampio contesto politico.

Sicuramente, da quando Trump è arrivato alla Casa Bianca, per Israele le cose non sono mai – e ripeto, mai – andate così bene. È come se il programma più radicale del governo di destra fosse diventato una lista dei desideri per gli alleati di Israele a Washington. Questa lista include il riconoscimento USA dell’annessione illegale da parte di Israele della Gerusalemme est palestinese occupata, delle Alture del Golan siriane occupate e l’abbandono totale del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi.

Ma non è tutto. Affermazioni fatte da influenti dirigenti USA indicano un iniziale interesse per la completa annessione della Cisgiordania occupata o almeno di larga parte di essa. L’ultimo di questi auspici è stato fatto dall’ambasciatore USA in Israele David Friedman.

Israele ha il diritto di annettere parte…della Cisgiordania”, ha detto Friedman in un’intervista, citata dal New York Times l’8 giugno.

Friedman è molto coinvolto nel cosiddetto accordo del secolo, uno stratagemma politico sostenuto soprattutto dal primo consigliere e genero di Trump, Jared Kushner. La palese idea che sorregge questo ‘accordo’ è cancellare le fondamentali richieste dei palestinesi, rassicurando al contempo Israele sulla sua ricerca di maggioranza demografica e sulle preoccupazioni riguardo alla ‘sicurezza’.

Altri dirigenti USA che spalleggiano gli sforzi di Washington a favore di Israele sono l’inviato speciale USA in Medio Oriente, Jason Greenblatt, e l’ex ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, Nicki Haley. In una recente intervista al giornale di destra israeliano ‘Israel Hayom’ Haley ha detto che il governo israeliano “non dovrebbe preoccuparsi” riguardo ai dettagli dell’accordo del secolo, che devono essere ancora del tutto svelati.

Conoscendo l’amore di Haley – e la sua sfrontata difesa – per Israele presso le Nazioni Unite, non dovrebbe essere troppo difficile capire il sottile ed ovvio significato delle sue parole.

Ecco perché il richiamo di Shaked all’annessione della Cisgiordania non può essere liquidato come un banale discorso da periodo elettorale.

Ma Israele può annettere la Cisgiordania?

In pratica sì, lo può fare. È vero che sarebbe una flagrante violazione del diritto internazionale, ma questo concetto non ha mai disturbato Israele, né gli ha impedito di annettere territori arabi o palestinesi. Per esempio, ha occupato Gerusalemme est e le Alture del Golan rispettivamente nel 1980 e 1981.

Inoltre in Israele il clima politico è sempre più disponibile a compiere un simile passo. Un sondaggio condotto dal quotidiano israeliano Haaretz lo scorso marzo ha rivelato che il 42% degli israeliani è favorevole all’annessione della Cisgiordania. Questa percentuale è destinata a crescere nei prossimi mesi, dato che Israele continua a spostarsi a destra.

È anche importante notare che diversi passi sono già stati compiuti in questa direzione, compresa la decisione della Knesset [parlamento israeliano, ndtr.] di applicare ai coloni ebrei illegali in Cisgiordania le stesse leggi civili applicate a chi vive in Israele.

Ma è qui che Israele si trova di fronte al suo più grande dilemma.

Secondo un sondaggio condotto congiuntamente dall’università di Tel Aviv e dal Centro palestinese per la Politica e la Ricerca nell’agosto 2018, più del 50% dei palestinesi si rende conto che la cosiddetta soluzione dei due Stati non può più reggere.

Inoltre un crescente numero di palestinesi ritiene anche che la coesistenza in un unico Stato, in cui ebrei israeliani e arabi palestinesi (sia musulmani che cristiani) vivano fianco a fianco, sia la sola formula possibile per un futuro migliore.

La dicotomia per i dirigenti israeliani che cercano di mantenere una maggioranza demografica ebraica e la marginalizzazione dei diritti dei palestinesi, è che non hanno più alternative valide.

Anzitutto comprendono che l’occupazione senza fine dei territori palestinesi non può essere sostenibile. La perdurante resistenza palestinese all’interno e la nascita del movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) all’estero stanno minacciando la stessa legittimità politica di Israele in tutto il mondo.

In secondo luogo, devono anche tenere conto del fatto che, dal punto di vista dei dirigenti ebrei israeliani, l’annessione della Cisgiordania con milioni di palestinesi moltiplicherà proprio la “minaccia demografica” che hanno temuto per molti anni.

Terzo, la pulizia etnica di intere comunità palestinesi – la cosiddetta opzione “trasferimento” – come quella che fece Israele alla sua fondazione nel 1948, e nuovamente nel 1967, non è più possibile. Né i Paesi arabi apriranno le loro frontiere per i genocidi utili a Israele, né i palestinesi se ne andranno, per quanto il prezzo sia alto. Il fatto che gli abitanti di Gaza siano rimasti là, nonostante anni di assedio e di feroci guerre, ne è un esempio.

Al di là delle messinscene politiche, i dirigenti israeliani capiscono che non sono più al posto di comando e, nonostante la loro superiorità militare e politica rispetto ai palestinesi, sta diventando evidente che la potenza di fuoco ed il cieco sostegno di Washington non sono più sufficienti a determinare il futuro del popolo palestinese.

È altresì chiaro che il popolo palestinese non è, e non è mai stato, un soggetto passivo del proprio destino. Se Israele mantiene la sua occupazione da 52 anni, i palestinesi continueranno a resistere. Quella resistenza non verrà indebolita o domata da alcuna decisione di annettere la Cisgiordania, in parte o del tutto, esattamente come la resistenza palestinese a Gerusalemme non è cessata dopo la sua illegale annessione da parte di Tel Aviv quarant’anni fa.

Infine, l’annessione illegale della Cisgiordania può solo contribuire alla irreversibile consapevolezza tra i palestinesi che la loro lotta per la libertà, i diritti umani, la giustizia e l’uguaglianza può essere meglio sostenuta attraverso una battaglia per i diritti civili all’interno dei confini di un unico Stato democratico.

Nella sua cieca arroganza, Shaked e la sua genia di destra non fanno che accelerare la scomparsa di Israele come Stato etnico e razzista, mentre avviano una fase di possibilità migliori della continua violenza e apartheid.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)