La censura militare israeliana blocca il più alto numero di articoli in oltre un decennio

Haggai Matar

20 maggio 2024 – +972 Magazine

Il brusco aumento della censura nei media nel 2023 si verifica mentre il governo israeliano pregiudica ulteriormente la libertà di stampa, soprattutto durante la guerra a Gaza.

Nel 2023 la censura militare israeliana ha bloccato la pubblicazione di 613 articoli di organi di informazione in Israele, segnando un nuovo record a partire da quando +972 Magazine ha iniziato a raccogliere dati nel 2011. La censura ha anche eliminato parte di ulteriori 2.703 articoli, la cifra più alta dal 2014. Complessivamente l’esercito ha impedito la pubblicazione di informazioni in media 9 volte al giorno.

Questi dati sulla censura sono stati forniti dal censore militare in risposta ad una richiesta sulla libertà di informazione avanzata da +972 Magazine e dal Movimento per la Libertà di Informazione in Israele.

La legge israeliana impone a tutti i giornalisti che lavorano in Israele o per una pubblicazione israeliana di sottoporre ogni articolo che abbia a che fare con “questioni di sicurezza” alla censura militare per il controllo preventivo alla pubblicazione, come previsto dai “regolamenti di emergenza” promulgati dopo la creazione di Israele e tuttora in vigore. Questi regolamenti consentono alla censura di eliminare totalmente o parzialmente gli articoli ad essa sottoposti, come anche quelli già pubblicati senza il suo controllo. In nessun’altra “democrazia occidentale” che si definisca tale esiste una simile istituzione.

Per evitare interferenze arbitrarie o politiche l’Alta Corte nel 1989 ha stabilito che la censura può intervenire solo quando vi sia “una quasi certezza che possa derivare un reale danno alla sicurezza dello Stato” dalla pubblicazione di un articolo. Tuttavia la definizione da parte della censura di “questioni di sicurezza” è molto ampia, dettagliata in 6 pagine fitte di sottotemi relativi all’esercito, alle agenzie di intelligence, al commercio di armi, ai detenuti amministrativi, ad aspetti degli affari esteri di Israele, ed altro ancora. Come riferito da The Intercept (agenzia no profit americana di informazioni online, ndtr.), all’inizio della guerra la censura ha distribuito linee guida più specifiche riguardo a quali tipi di nuovi argomenti debbano essere sottoposti al controllo prima della pubblicazione.

Cosa sottomettere alla censura è una scelta del direttore di una pubblicazione e gli organi di informazione non possono rivelare l’interferenza della censura – per esempio segnalando dove un articolo è stato censurato – cosa che lascia nell’ombra la maggior parte della sua attività. La censura ha l’autorità di incriminare i giornalisti e di multare, sospendere, chiudere o addirittura sporgere denunce penali contro organi di informazione. Tuttavia non vi sono casi conosciuti di tale attività negli ultimi anni e la nostra richiesta al censore di specificare le denunce presentate lo scorso anno non ha ricevuto risposta.

Per ulteriori informazioni sulla censura militare israeliana e sulla posizione di +972 Magazine nei suoi confronti si può leggere la lettera che abbiamo indirizzato ai nostri lettori nel 2016.

L’informazione relativa alla censura è di particolare importanza, soprattutto in periodi di emergenza”, ha detto a +972 l’avvocato Or Sadan del Movimento per la Libertà di Informazione. “Durante la guerra abbiamo osservato l’ampio divario tra gli organi di informazione israeliani e internazionali, come anche tra i media tradizionali e i social media. Benché sia ovvio che vi siano informazioni che non possono essere rivelate al pubblico in periodi di emergenza, è opportuno per il pubblico essere a conoscenza dell’ampiezza delle informazioni tenute nascoste.

La rilevanza di tale censura è chiara: c’è una gran quantità di informazioni che i giornalisti hanno ritenuto adatte alla pubblicazione, riconoscendo la loro importanza per il pubblico, che la censura ha scelto di non autorizzare”, continua Sadan. “Speriamo e crediamo che la rivelazione di questi numeri, anno dopo anno, creeranno qualche disincentivo all’uso incontrollato di questo strumento.”

Una tendenza in tempo di guerra

Anche se il censore ha respinto la nostra richiesta di fornire un’analisi delle cifre della censura per mese, per organo di informazione e per ambiti di interferenza, è chiaro che la ragione del picco dell’ultimo anno è l’attacco di Hamas del 7 ottobre e il conseguente bombardamento israeliano di Gaza. L’unico anno in cui vi è stato un analogo livello di censura è il 2014, quando Israele scatenò quello che allora fu il più vasto attacco alla Striscia: in quell’anno la censura intervenne in un numero maggiore di articoli (3.122), ma ne eliminò leggermente meno (597) rispetto al 2023.

L’anno scorso i rappresentanti della censura hanno anche effettuato visite di persona negli studi televisivi di notizie, come è accaduto precedentemente in periodi in cui il governo ha dichiarato lo stato di emergenza e continuava a monitorare le reti di informazione e social per violazioni della censura. Il censore ha rifiutato di dettagliare l’ampiezza del proprio coinvolgimento nelle produzioni televisive e il numero degli interventi retroattivi effettuati riguardo ad articoli pubblicati in precedenza.

Sappiamo comunque, grazie alle informazioni rivelate da The Seventh Eye (l’unica rivista israeliana indipendente che monitorizza la libertà di informazione, ndtr.), che nonostante l’attiva accondiscendenza dei media israeliani – il numero delle presentazioni alla censura è quasi raddoppiato l’anno scorso fino a 10.527 – il censore ha identificato ulteriori 3.415 articoli contenenti informazioni che avrebbero dovuto essere sottoposte a controllo e 414 che sono stati pubblicati in violazione delle sue disposizioni.

Anche prima della guerra il governo israeliano aveva sviluppato una serie di misure per indebolire l’indipendenza dei media. Questo ha portato Israele ad una discesa di 11 posti nell’annuale Indice Mondiale della Libertà di Stampa per il 2023, seguita da un’ulteriore discesa di quattro posti nel 2024 (adesso si trova al posto 101 su 180).

Da ottobre la libertà di stampa in Israele è peggiorata ulteriormente e il censore si è trovato nel mirino di battaglie politiche. Secondo i rapporti dell’emittente pubblica di Israele, Kan, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha spinto per una nuova legge che obbligherebbe il censore a bloccare in maniera più estesa le notizie ed ha anche suggerito che i giornalisti che pubblicano rapporti sul gabinetto di sicurezza senza l’approvazione della censura dovrebbero essere arrestati. Il capo della censura militare, general maggiore Kobi Mandelblit, ha anche sostenuto che Netanyahu gli aveva fatto pressione perché ampliasse la censura sui media, persino in casi che non avevano alcuna giustificazione in termini di sicurezza.

In altri casi le misure restrittive del governo israeliano sui media hanno interamente bypassato la censura e le sue attività. A novembre il ministro delle comunicazioni Shlomo Karhi ha escluso Al-Mayadeen dalla diffusione sulla TV israeliana e in aprile la Knesset ha approvato una legge per vietare le attività di media stranieri su raccomandazione delle agenzie per la sicurezza. Il governo ha applicato la legge all’inizio di questo mese quando il gabinetto ha votato all’unanimità per chiudere Al Jazeera in Israele e la chiusura sembra che sarà estesa anche alla Cisgiordania. Lo Stato sostiene che il canale qatariota metta in pericolo la sicurezza dello Stato e collabori con Hamas, cosa che il canale nega.

La decisione non danneggerà l’operatività di Al Jazeera al di fuori di Israele, né impedirà interviste con israeliani via Zoom (rivelazione: a volte chi scrive rilascia interviste a Al Jazeera via Zoom) e gli israeliani possono ancora accedere al canale tramite reti private virtuali e antenne satellitari. Ma i giornalisti di Al Jazeera non potranno più inviare corrispondenze dall’interno di Israele, cosa che ridurrà la possibilità del canale di dare rilievo a voci israeliane nei suoi reportage.

L’Associazione per i Diritti Civili in Israele e Al Jazeera hanno presentato una petizione all’Alta Corte contro la decisione e anche l’Unione dei Giornalisti ha rilasciato una dichiarazione contro la decisione del governo (rivelazione: chi scrive è membro del consiglio di amministrazione dell’Unione).

Nonostante questi attacchi ai media, le minacce più gravi poste dal governo e dall’esercito israeliano, in particolare durante la guerra, sono quelle ai giornalisti palestinesi. I dati sul numero di giornalisti palestinesi a Gaza uccisi dagli attacchi israeliani dal 7 ottobre vanno da 100 (secondo il Comitato per la Protezione dei Giornalisti) a oltre 130 (secondo il Sindacato dei Giornalisti Palestinesi). Quattro giornalisti israeliani sono stati uccisi negli attacchi del 7 ottobre.

L’aumentata interferenza del governo nei media israeliani non assolve la stampa ufficiale dalla mancanza di informazione sulla campagna dell’esercito di distruzione di Gaza. La censura militare non impedisce alle pubblicazioni israeliane di descrivere le conseguenze della guerra per i civili palestinesi a Gaza o di presentare il lavoro dei giornalisti palestinesi all’interno della Striscia. La scelta di negare al pubblico israeliano le immagini, le voci e le storie di centinaia di migliaia di famiglie in lutto, orfani, feriti, senza casa e persone affamate è una scelta che i giornalisti israeliani fanno in prima persona.

In collaborazione con Local Call

Haggai Matar è un giornalista israeliano vincitore di premi e un attivista politico ed è direttore esecutivo di +972Magazine.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




La spiaggia inglese di Bournemouth trasformata in un enorme memoriale per i minori uccisi da Israele a Gaza

Redazione di Middle East Monitor

6 febbraio 2024 – Middle East Monitor

L’agenzia Anadolu riferisce che in una commovente esposizione di solidarietà e commemorazione, la spiaggia di Bournemouth è diventata un telo funebre e per la sensibilizzazione che gli attivisti hanno composto per evidenziare il devastante prezzo delle morti di minori a Gaza.

Guidati dal gruppo di campagna politica “Guidati dagli asini”, volontari hanno trasformato cinque chilometri di spiaggia in un immenso memoriale, usando i commoventi simboli dei vestiti dei minori.

Dal 7 ottobre, quando 36 minori israeliani sono stati uccisi, Israele ha ucciso oltre 11.500 minori palestinesi a Gaza e in Cisgiordania. È impossibile immaginare questo numero. Ecco come appare. Una fila lunga 5 chilometri” ha affermato il gruppo su X [precedentemente Twitter, ndt.].

Magliette e pantaloni dei minori, sistemati meticolosamente lungo la spiaggia, servono come crudo promemoria del costo umano del conflitto.

Noi stiamo cercando di mostrare esattamente il livello di quanto sta accadendo, perché è molto difficile per le persone capire numeri di tali dimensioni. Così tanti minori sono stati uccisi a Gaza e i nostri politici e altri governi nel mondo non stanno davvero facendo nulla per fermarlo,” ha detto lunedì il portavoce del gruppo, James, a radio Bournemouth One.

Tocca a persone come noi cercare di costruire questa immagine molto potente per svegliare la gente e affermare che c’è bisogno di un cessate il fuoco,” ha aggiunto.

Israele ha lanciato un’offensiva letale contro la Striscia di Gaza in seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre, uccidendo almeno 27.585 palestinesi e ferendone 66.978, mentre si ritiene che circa 1.200 israeliani siano rimasti uccisi nell’attacco di Hamas.

Tuttavia in seguito è stato rivelato da Haaretz  che elicotteri e carri armati dell’esercito israeliano hanno di fatto ucciso molti dei 1.139 soldati e civili che Israele afferma essere stati uccisi dalla resistenza palestinese.

L’offensiva israeliana ha portato allo sfollamento interno dell’85% della popolazione di Gaza con grave carenza di cibo, acqua pulita e medicine, mentre secondo le Nazioni Unite il 60% delle infrastrutture dell’enclave è stato danneggiato o distrutto.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




La madre di un ostaggio dice che gas tossici provenienti da bombe israeliane hanno ucciso suo figlio. Ha ragione?

Yuval Abraham

31 gennaio 2024 – +972 magazine

Fonti dicono che l’esercito israeliano sa che le armi con cui ha preso di mira i tunnel di Gaza possono disperdere residui tossici che le famiglie temono possano aver ucciso tre ostaggi.

A metà dicembre l’esercito israeliano ha scoperto i corpi di tre degli ostaggi rapiti nel sud di Israele e portati nella Striscia di Gaza il 7 ottobre: i soldati Ron Sherman e Nik Beizer e il civile Elia Toledano. All’inizio le loro famiglie erano state informate che i tre uomini erano stati uccisi in prigionia da Hamas ma Maayan, la madre di Sherman, ha presto dichiarato che non è andata così.

Ron è stato assassinato,” ha scritto sulla sua pagina Facebook il 16 gennaio, ma “non da Hamas.” Ha asserito infatti che suo figlio è stato ucciso da “bombardamenti con gas tossici.”

Maayan ha fatto queste asserzioni dopo aver letto i risultati non definitivi di un’autopsia che le sono stati presentati da delegati del dipartimento vittime dell’esercito israeliano e dalla brigata 551, i cui soldati avevano rinvenuto il corpo di Sherman a Gaza. “I rappresentanti [dell’esercito] ci hanno riferito di non escludere [come causa della morte] un avvelenamento da gas conseguente ai bombardamenti dell’IDF, ma di non esserne certi,” ha detto a +972 e Local Call [edizione in ebraico di +972, ndt.].

Secondo due fonti israeliane della sicurezza che hanno parlato a +972 e Local Call a condizione di rimanere anonimi, questa non sarebbe la prima volta che gli attacchi aerei israeliani che hanno preso di mira la rete sotterranea di tunnel di Hamas a Gaza avrebbero ucciso delle persone in questo modo. L’esercito, dicono, è consapevole che, esplodendo nei tunnel, le bombe possono disperdere gas tossici come monossido di carbonio.

Per esempio a maggio 2021, nell’ambito di un suo vasto attacco chiamato “Operazione Guardiani delle Mura,” l’esercito israeliano aveva lanciato un assalto mirato contro la rete di tunnel di Hamas detto “Operazione fulmine.” Gadi Eizenkot, che era capo di stato maggiore dell’IDF quando fu pianificata l’operazione e che ora è un membro del gabinetto di guerra israeliano, ha detto in seguito che l’operazione mirava a “trasformare i tunnel in una trappola mortale” e uccidere centinaia di appartenenti ad Hamas. 

Durante quegli attacchi, che alla fine uccisero solo poche decine di militanti di Hamas, coloro che si erano nascosti nei tunnel furono ammazzati “non solo dalla bomba che li aveva colpiti, ma anche dal fatto che i bombardamenti rilasciano gas dentro i tunnel,” ha affermato una fonte a +972 e Local Call.

La fonte ha spiegato che l’esercito non ha usato una testata chimica o biologica, ma si è invece scoperto che, penetrando in un ambiente ristretto come i tunnel, certe bombe potrebbero rilasciare come effetto secondario gas tossici “a grande distanza”. Una seconda fonte l’ha confermato, aggiungendo che i test condotti a proposito dall’esercito hanno mostrato che inalare questi gas in spazi chiusi è letale.

+972 e Local Call non sono riusciti a confermare se il soffocamento con gas tossici sia una tattica deliberata usata dall’esercito israeliano in questo conflitto per uccidere membri di Hamas nascosti nei tunnel.

In risposta a queste accuse il portavoce dell’IDF ha detto a +972 e Local Call che l’esercito “usa solo mezzi di guerra legali, in ossequio al diritto internazionale. L’IDF non l’ha fatto nel passato e non lo fa ora, non usa gli effetti collaterali dei bombardamenti per colpire i suoi obiettivi.”

Gli israeliani e i palestinesi sono uguali — tutte le vite sono ignorate’.

All’inizio di questo mese l’esercito israeliano ha annunciato che i corpi di Ron Sherman e degli altri due ostaggi erano stati trovati vicino a un tunnel in cui il comandante della brigata di Hamas del nord di Gaza, Ahmed Ghandour, era stato assassinato da un attacco aereo israeliano a metà novembre. Maayan accusa l’esercito israeliano di aver ucciso intenzionalmente suo figlio nell’attacco per assassinare Ghandour.

Una fonte della sicurezza israeliana al corrente di informazioni sull’attacco ha detto a +972 e Local Call di non sapere se l’esercito avesse il dubbio che ostaggi israeliani erano tenuti vicino a Ghandour. Ma per uccidere un capo di Hamas, continua la fonte, l’esercito ha bombardato un edificio pieno di civili palestinesi, ben sapendo di ucciderne decine. 

 “Ghandour era sotto un grande edificio,” dice la fonte. “Noi abbiamo bombardato sapendo che l’intera struttura sarebbe crollata. Sono stati uccisi molti civili. Ma Ghandour non c’era. L’hanno mancato. C’è voluto un secondo bombardamento per ucciderlo, ma con moltissimi danni collaterali.”

Daniel Hagari, portavoce dell’IDF, ha affermato che “l’esercito israeliano non sapeva della presenza di ostaggi nell’area.” Ha fatto commenti simili dopo il rilascio di un video di Hamas in cui l’ostaggio Noa Argamani dice che due degli ostaggi con cui era detenuta erano stati uccisi in un attacco aereo: “Noi [l’esercito] non attacchiamo posti dove sappiamo potrebbero esserci degli ostaggi,” ha concluso Hagari. 

Tuttavia le affermazioni di Hagari sono difformi dalla testimonianza di una fonte apicale della sicurezza, che viene svelata qui per la prima volta. La fonte ha detto a +972 e Local Call che durante le prime settimane di guerra l’esercito israeliano ha preso sistematicamente di mira con i suoi bombardamenti i palestinesi definiti come “sequestratori” — coloro che avevano rapito israeliani nel corso dell’attacco di Hamas del 7 ottobre — nonostante il timore che ci fossero ostaggi trattenuti nelle vicinanze. Secondo la fonte i rapiti israeliani sono stati “sicuramente colpiti” in questi bombardamenti: solo in seguito questo modo di attuare è stato cambiato.

Noi abbiamo bombardato i palestinesi sospettati di essere i sequestratori,” ha detto la fonte. “Abbiamo trovato i sospettati e li abbiamo bombardati. Ed è stato surreale perché si vedeva dall’identificazione della persona che chi si stava bombardando era ‘uno dei sospetti rapitori di israeliani, il che significa che c’era la possibilità che ci fossero ostaggi vicino a lui. Col senno di poi sappiamo che molti israeliani erano tenuti sottoterra. Ma ovviamente si sono fatti degli errori e noi abbiamo bombardato ostaggi.”

La decisione di bombardare i sequestratori, sospetta la fonte, non è stata presa a livello militare. “Questa è [una decisione] a livello politico, secondo me,” ha spiegato. “Abbiamo bombardato molti rapitori. Più di alcune decine e meno di cento. Per assurdo qui i civili israeliani e palestinesi erano uguali —le vite di entrambi non sono mai state prese in considerazione.”

Solo in seguito nel corso del conflitto il dipartimento dell’esercito per i prigionieri di guerra e dispersi li ha informati delle zone che non avrebbero dovuto colpire per paura di mettere in pericolo gli ostaggi. “All’inizio della guerra questo non è successo,” ha detto la fonte. “Non c’era un protocollo sugli ostaggi. Non erano stati presi in considerazione.

Ricordo di aver lasciato la base militare per la prima volta due o tre settimane [dopo l’inizio della guerra], e di essermi accorto che c’erano delle manifestazioni sugli ostaggi e che qui tutti ne parlavano,” continua la fonte. “E per me è stato surreale perché non è stato che quando sono andato a casa che ho scoperto i loro nomi e quante persone erano state rapite.”

La fonte ha spiegato che i palestinesi presi di mira in quanto sospettati di essere i rapitori non stavano necessariamente tenendo israeliani nelle loro case, ma che ciò era probabile: non sono stati eseguiti dei controlli prima di colpirli. “All’inizio della guerra non ce ne siamo preoccupati,” ha detto. “L’atmosfera era molto addolorata e vendicativa. Avremmo bombardato tutti i sequestratori palestinesi.”

La testimonianza della fonte non è rilevante solo per le fasi iniziali del massacro israeliano a Gaza. Lo scorso mese in un’indagine di +972 e Local Call, tre fonti dell’intelligence hanno confermato che non ci sono stati bombardamenti dell’esercito quando era a conoscenza che avrebbero potuto uccidere ostaggi, ma in molti casi il quadro dell’intelligence era incompleto.

Lo Stato li ha sacrificati due volte’

Dopo le affermazioni iniziali dell’esercito israeliano che i tre ostaggi erano stati uccisi da Hamas, l’esame patologico sui corpi di Ron Sherman e Nik Beizer non ha trovato segni esterni di ferite da armi da fuoco o fratture ossee. Hagari stesso ha affermato che “a questo stadio non è possibile escludere o confermare che siano stati uccisi come risultato di soffocamento, strangolamento, avvelenamento o come conseguenza di un attacco dell’IDF o di un’operazione di Hamas.”

Maayan, la madre di Sherman, ha ricevuto una relazione dettagliata dall’esercito dopo l’esame del corpo del figlio che includeva anche una TAC. “Non c’erano fratture, ferite da arma da fuoco o da colpi secchi,” ha spiegato. Secondo Maayan, il 19 gennaio il capo della direzione del personale dell’IDF ha detto alla famiglia che “il caso è chiuso” e che l’esercito non avrebbe eseguito ulteriori indagini. 

Daniel Solomon, un medico che ha trattato pazienti affetti da trauma soffocati da gas o fumo, ha detto che, poiché è passato troppo tempo dal momento della morte e il ritrovamento dei corpi, sarebbe stato difficile identificare post-mortem segni di soffocamento da monossido di carbonio— come un edema alle corde vocali, ustioni alle vie respiratorie o danni ai tessuti. 

Katia, la madre di Beizer ha detto a +972 e Local Call che l’esercito li ha informati che tre uomini erano trattenuti nello stesso tunnel in cui si nascondeva Ghandour quando l’esercito ha eseguito l’attacco. “L’intelligence [militare] ci ha detto che [le loro morti] potevano essere la conseguenza della bomba che aveva ucciso Ghandour, a causa dei gas e dell’esplosione, ma che non lo sanno.

Io ho chiesto di continuare le indagini,” ha proseguito Katia. “Ho detto loro che non gli avrei permesso di fermarsi. Dopo tutto negli incontri con funzionari militare governativi ci dicono in continuazione che sospettavano che tenessero gli ostaggi vicino a leader di Hamas. Allora se sai e sospetti che ci siano degli ostaggi nelle vicinanze, anche se non sai esattamente chi, come è stato possibile che bombardi?”

Maayan ha detto che tre settimane dopo il rapimento del figlio ufficiali dell’intelligence hanno informato la famiglia che “c’erano indicazioni che era vivo e che sapevano dove fosse.” Durante la shiva (il periodo di lutto ebraico di sette giorni) che si è tenuta dopo il ritrovamento del corpo di Sherman a dicembre, il generale Ghassan Alian — capo del Coordinatore delle attività governative nei territori (COGAT) — le ha detto che lui e Nitzan Alon, incaricato dei prigionieri di guerra e delle persone scomparse, “sapevano in ogni momento dove fossero Ron e Nik,” e che quindi erano sorpresi nell’apprendere le loro morti.

Ecco perché Maayan accusa l’esercito di averle ucciso il figlio per poter uccidere Ghandour. “Qui qualcuno sta mentendo,” prosegue. “Mi è chiaro che mio figlio è stato sacrificato. Mi chiedo cosa avrebbero fatto se ci fosse stato il figlio di Bibi [Netanyahu], e non Ron. Abbiamo passato mesi di tormenti.”

La mia unica domanda è la causa della morte di mio figlio,” conclude Katia. “Io voglio sapere come è successo e quando è successo. Non sappiamo neppure le date. Lo Stato li ha sacrificati non una volta, ma due: prima quando sono stati rapiti dalla loro base militare, che si supponeva fosse un posto sicuro, e io ho chiamato tutti quelli che potevo e nessuno li ha salvati. E la seconda volta quando erano ostaggi e l’esercito non li ha riportati a casa vivi.”

In risposta alle accuse mosse in questo articolo il portavoce dell’IDF ha affermato: “L’esercito israeliano condivide il dolore delle famiglie per la dolorosa perdita e continuerà a sostenerle. Rappresentanti dell’IDF hanno fornito alle famiglie tutte le informazioni verificate che sono in possesso dell’IDF e continuerà a farlo.

Le vite dei sequestrati sono un valore fondamentale nelle considerazioni dei decisori e perciò l’IDF non attacca aree dove ci sono indicazioni o si stima che siano presenti degli ostaggi. Vorremmo sottolineare che al momento dell’attacco l’IDF non aveva informazioni sulla presenza di ostaggi nel tunnel del comandante della brigata nord di Hamas.

L’attacco in cui il comandante della brigata nord è stato eliminato è stato approvato in accordo con le procedure operative attinenti. Va sottolineato che la portata del danno stimato ai civili quale parte dell’attacco citato nella vostra richiesta è completamente infondata. Anche le affermazioni relative agli attacchi contro le case dei sequestratori sono false.”

Yuval Abraham è un giornalista e attivista basato a Gerusalemme.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Palestina contro Biden: ‘La mia famiglia viene uccisa a mie spese. Il presidente Biden potrebbe porre fine a tutto ciò’

Amira Hass

29 gennaio 2024 – Haaretz

L’inaccettabile accostamento delle parole “genocidio,” “Israele” e “Gaza” è emerso venerdì non solo all’Aia, ma anche in un tribunale federale a Oakland, in California.

La pratica sulla scrivania del giudice cita come querelanti il ramo palestinese del movimento di base Defense for Children International, il gruppo palestinese per i diritti umani Al Haq, Laila El-Haddad, Omar al-Najjar, Wael al-Bahisi (residenti di Gaza) e altri, tutti rappresentati dal Center for Constitutional Rights. Gli imputati sono il presidente americano Joe Biden, il Segretario di Stato Antony Blinken e il Ministro della Difesa Lloyd Austin.

La causa intentata il 16 novembre contro i più alti livelli dell’amministrazione americana chiede al tribunale di ordinare agli Stati Uniti di cessare la vendita di armi a Israele e di smettere di sostenere il genocidio, come definito dai querelanti, fra cui cittadini palestinesi negli Stati Uniti con famiglie a Gaza. Poche ore dopo, quando il giudice americano presso la Corte Internazionale di Giustizia ha osservato che la popolazione civile a Gaza resta estremamente vulnerabile e che il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha detto che la guerra sarebbe continuata per molto tempo, un altro giudice americano, Jeffrey White, ha ascoltato i querelanti e i loro avvocati a Oakland.

Egli deve decidere se accogliere la posizione dell’amministrazione presentata dal procuratore Jean Lin, che chiede l’archiviazione immediata del caso perché sarebbe un caso politico e non legale. Al contrario, Katherine Gallagher, avvocatessa del Center for Constitutional Rights, ha sostenuto che vendere armi a Israele viola la Convenzione sul Genocidio del 1948 e la legge americana del 1988 per la prevenzione del genocidio (introdotta niente meno che dall’allora senatore Joe Biden, come si legge sul sito del Congresso statunitense).

Il giudice ha fatto capire di avere dei dubbi sulla sua competenza a pronunciarsi sul caso, esprimendo le sue riserve sull’uso della definizione di “genocidio.” Ma di sua iniziativa ha cominciato la seduta con una lunga descrizione delle sofferenze dei civili di Gaza per gli attacchi aerei israeliani dopo, ha sottolineato, l’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Ha poi ascoltato attentamente i querelanti palestinesi che gli hanno parlato dei numerosi parenti uccisi o feriti in questi attacchi aerei, delle famiglie che stavano fuggendo dai bombardamenti, spostandosi da un rifugio all’altro e delle case distrutte. A un certo punto, sentendo la voce strozzata di Haddad, le ha offerto di fare una pausa. Non ne ho bisogno, ha risposto lei, ma ha accettato la sua offerta e bevuto un sorso d’acqua. È stato dopo aver detto al tribunale che i suoi bambini protestavano perché in questo periodo non si sta occupando abbastanza di loro.

Haddad, scrittrice e giornalista nata in Kuwait da genitori gazawi, si è trasferita a Gaza per alcuni anni per far crescere là il suo primogenito. Si è conquistata l’attenzione internazionale con la sua ricerca sulle tradizioni culinarie di Gaza, specialmente durante l’assedio israeliano.

Quando le è stato chiesto in tribunale del numero dei suoi familiari uccisi, per quanto ne sapesse lei, ha risposto: “Cinque da parte di mio padre, 84 da parte di mia madre, la famiglia al-Fara a Khan Yunis.” Sua zia paterna, una miniera di ricordi e ricette con cui aveva passato molto tempo quando aveva abitato a Gaza, è stata uccisa quando una bomba israeliana è caduta sulla sua casa nel quartiere di Sheikh Radwan.

In quell’attacco sono stati uccisi anche i cugini di Haddad: Houda, Wafa e Hani, e Vera, la moglie di suo cugino. Un cugino sopravvissuto, ha continuato Haddad, le ha raccontato di come avesse cercato di estrarre la famiglia dalle macerie. L’ha raccontato freddamente, con un leggero tremito nella voce. Ciò aveva significato raccogliere le parti smembrate di sua sorella e della metà del corpo di sua madre. Suo fratello è morto dissanguato fra le sue braccia, ha aggiunto.

Al-Najjar, un giovane dottore specializzando, ha parlato su Zoom da un ospedale a Rafah, dove al momento sta lavorando. È del villaggio di Khuza, ha detto, e il secondo giorno della guerra la sua famiglia è dovuta fuggire dagli attacchi aerei israeliani. Dalla TV israeliana sa che la sua casa e quella della sua famiglia sono state abbattute. Non esistono più. Ho perso dei professori e docenti che sono stati uccisi, ha continuato, quando l’università è stata bombardata. 

Ha parlato dei feriti e dei molti pazienti cronici che non possono essere curati perché non ci sono medicine, letti o personale. Ha detto della suocera di sua sorella, che si è sentita male durante un attacco aereo. È stato impossibile trasferirla in ospedale dalla zona di Muassi, dove erano fuggiti. È morta. Ha raccontato di una mamma che non ha potuto ricorrere a un parto cesareo quando programmato per mancanza di anestetici. il bambino è nato con una paralisi cerebrale. Ha raccontato al giudice, che ascoltava ogni singola parola, che la famiglia è originaria del villaggio di Salameh, vicino a Giaffa. “I miei nonni sono stati espulsi dai sionisti nel 1948,” ha concluso.

Alla fine di almeno cinque ore di udienza trasmessa in diretta e disponibile sul sito della Corte del tribunale, durante la quale sono state ascoltate entrambe le parti, il giudice ha detto che, per i fatti in questione e dal punto di vista giuridico, questo è stato il caso più difficile della sua intera carriera. Ha promesso di esaminarlo attentamente, con la stessa serietà con cui ha ascoltato Haddad dire: “La mia famiglia viene uccisa con i miei soldi. Il Presidente Biden potrebbe porre fine a tutto ciò con una sola telefonata.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)