Come i cristiani evangelici rischiano di incendiare il Medio Oriente

Jonathan Cook

8 luglio 2019 – Middle East Eye

TB Joshua è l’ultimo di una serie di predicatori filo-sionisti che si interessano a Israele – e i palestinesi ne pagheranno le conseguenze

Il recente arrivo del più popolare telepredicatore evangelico africano, TB Joshua, per rivolgersi a migliaia di pellegrini stranieri a Nazareth, ha prodotto un insieme di costernazione e di rabbia nella città dell’infanzia di Gesù.

C’è stata un’opposizione generalizzata da parte di movimenti politici di Nazareth, così come tra i gruppi comunitari e i leader religiosi, che hanno invocato un boicottaggio dei suoi due raduni. Si è aggiunto anche il consiglio dei mufti [autorità religiosa islamica, ndtr.], che ha descritto gli eventi come “una linea rossa per la fede nei valori religiosi.”

I raduni di Joshua, che includono episodi di esorcismo in pubblico, hanno avuto luogo in un anfiteatro all’aria aperta su una collina sopra Nazareth originariamente costruita per i fedeli del papa. Il luogo è stato utilizzato da papa Benedetto nel 2009.

Il pastore nigeriano, che ha milioni di seguaci in tutto il mondo e si autodefinisce un profeta, ha sollevato l’ostilità locale non solo perché il suo modello di cristianesimo si allontana di molto dalle più tradizionali dottrine delle chiese mediorientali. Rappresenta anche una tendenza dei cristiani stranieri, guidati da una lettura apocalittica della Bibbia, che si intromettono ancor più esplicitamente in Israele e nei territori palestinesi occupati – e in un modo che aiuta direttamente le politiche del governo israeliano di estrema destra.

Incremento del turismo di cui c’è molto bisogno

Nazareth è la più grande comunità palestinese in Israele sopravvissuta alla Nakba, o catastrofe, del 1948, che cacciò la maggioranza della popolazione autoctona da gran parte della propria patria e la sostituì con uno Stato ebraico. Oggi un quinto dei cittadini israeliani è palestinese.

La città e le sue immediate vicinanze includono la più alta concentrazione di palestinesi cristiani della regione. Ma ha a lungo patito dell’ostilità delle autorità israeliane, che hanno privato Nazareth di risorse per impedire che diventasse una capitale politica, economica o culturale della minoranza palestinese.

La città praticamente non ha terre su cui espandersi o zone industriali per ampliare le proprie risorse economiche, e Israele ha rigidamente limitato le sue possibilità di sviluppare un’adeguata industria turistica. La maggioranza dei fedeli vi passa brevemente per visitare la basilica dell’Annunciazione, il luogo in cui l’angelo Gabriele avrebbe detto a Maria che avrebbe portato in grembo Gesù.

Le autorità municipali di Nazareth hanno approfittato dell’occasione di sfruttare la pubblicità, e le entrate, fornite dalla visita di Joshua. La speranza a lungo termine del Comune è che, se la città potesse attirare almeno una piccola parte dei più di 60 milioni di cristiani evangelici degli USA e gli altri milioni in Africa ed Europa ciò fornirebbe un’enorme spinta all’economia della città.

Dati recenti mostrano che il turismo evangelico verso Israele è costantemente aumentato, rappresentando ora circa un settimo di tutti i visitatori dall’estero.

Giocare con il fuoco

Ma, come indicano le conseguenze negative della visita di Joshua, Nazareth potrebbe giocare con il fuoco incoraggiando questo tipo di pellegrini a interessarsi maggiormente alla regione. La maggior parte dei cristiani locali comprende che gli insegnamenti di Joshua non sono rivolti a loro – e, di fatto, probabilmente li danneggiano.

Il pastore nigeriano ha scelto Nazareth per diffondere il suo messaggio, ma si è trovato di fronte la viva opposizione di quanti credono che stia utilizzando la città solo come scenario per la sua più grande missione – che appare totalmente indifferente al dramma dei palestinesi, sia di quelli che vivono in Israele in luoghi come Nazareth o di quelli sotto occupazione.

A Nazareth le fazioni politiche hanno sottolineato i “legami di Joshua con circoli di estrema destra e dei coloni in Israele.” Egli avrebbe avuto incontri riguardo al fatto di avviare attività nella Valle del Giordano, il luogo in cui si ritiene che sia stato battezzato Gesù, ma anche la spina dorsale agricola della Cisgiordania. L’area è presa di mira dal governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu per l’espansione delle colonie e la possibile annessione, condannando di conseguenza i tentativi di creare uno Stato palestinese.

Una visione dell’Apocalisse

Durante la sua visita in Israele, Joshua ha anche avuto modo di parlare con figure importanti del governo, come Yariv Levin, uno stretto alleato di Netanyahu, che è stato titolare di due ministeri considerati fondamentali dalla comunità evangelica: quello del turismo e quello dell’integrazione in Israele di nuovi ebrei immigrati dagli USA e dall’Europa.

Nella comunità evangelica molti, compreso Joshua, pensano che sia loro dovere incoraggiare gli ebrei a spostarsi dai loro Paesi d’origine alla Terra Promessa per anticipare la fine del mondo, che sarebbe stata profetizzata dalla Bibbia.

Questa è l’Assunzione in cielo, quando Gesù ritornerà per costruire il suo regno sulla terra e i buoni cristiani prenderanno il loro posto al suo fianco. Tutti gli altri, compresi gli ebrei che non si saranno pentiti, è implicito, bruceranno nel fuoco eterno dell’inferno.

Il dirupo sulla valle di Megiddo, dove Joshua e i suoi discepoli si sono riuniti, offre una veduta su Tel Megiddo, il nome attuale del sito biblico di Armageddon, dove molti evangelici credono avverrà presto la fine del mondo.

Accelerare la seconda venuta

Questi cristiani non sono semplici osservanti di un progetto divino rivelato, sono parte attiva, cercando di avvicinare la fine del mondo.

Difatti i traumi del conflitto israelo-palestinese – i decenni di spargimenti di sangue, colonizzazione ed espulsione violenta dei palestinesi – non possono essere compresi separandoli dall’influenza dei dirigenti cristiani dell’Occidente in Medio Oriente nello scorso secolo. Essi hanno progettato in molti modi l’Israele che oggi conosciamo.

Dopotutto i primi sionisti non furono ebrei, ma cristiani. Un forte movimento cristiano-sionista – noto allora come “restaurazionismo” – sorse all’inizio del XIX° secolo, anticipando e influenzando pesantemente la sua successiva controparte ebraica.

La particolare lettura “restaurazionista” della Bibbia comportava che essi credessero che la seconda venuta del Messia avrebbe potuto essere accelerata se il popolo eletto da dio, gli ebrei, fosse tornato alla Terra Promessa dopo 2.000 anni di presunto esilio.

Charles Taze Russell, un pastore USA della Pennsylvania, viaggiò in tutto il mondo dagli anni ’70 dell’Ottocento in poi implorando gli ebrei di fondare un focolare nazionale per sé stessi in quella che allora era la Palestina. Produsse persino un progetto su come uno Stato ebraico potesse essere creato là. Lo fece circa 20 anni prima che il giornalista ebreo viennese Theodor Herzl pubblicasse il suo famoso libro che delineava uno Stato Ebraico.

Il laico Herzl non si interessava molto di dove questo Stato ebraico sarebbe stato fondato. Ma i suoi seguaci – profondamente consapevoli della presa del sionismo cristiano nelle capitali occidentali – concentrarono la propria attenzione sulla Palestina, la Terra Promessa biblica, nella speranza di conquistarsi potenti alleati in Europa e negli USA.

Parola d’ordine per i seguaci di Herzl

L’appoggio dell’impero britannico era particolarmente prezioso. Nel 1840 Lord Shaftesbury, che grazie a sua moglie era in rapporto con Lord Palmerston, in seguito primo ministro, pubblicò sul “London Times” un’inserzione che sollecitava il ritorno degli ebrei in Palestina.

Il sionismo cristiano fu un importante fattore che influenzò il governo inglese nel 1917 per l’emanazione della Dichiarazione Balfour – di fatto un impegno della Gran Bretagna che divenne la matrice per la creazione di uno Stato ebraico sulle rovine della patria della popolazione autoctona.

Scrivendo a proposito della dichiarazione, lo storico israeliano Tom Segev ha osservato: “Gli uomini che l’hanno prodotta erano cristiani e sionisti e, in molti casi, antisemiti.” Ciò perché i cristiani sionisti partivano dal presupposto che gli ebrei non si potessero integrare nei loro Paesi d’origine. Invece avrebbero potuto servire come strumenti del volere di dio, spostandosi in Medio Oriente in modo che i cristiani potessero essere redenti.

Edwin Montagu fu l’unico ministro del governo britannico ad opporsi alla Dichiarazione Balfour, ed era anche l’unico membro ebreo. Avvertì – per buone ragioni – che il documento si sarebbe “dimostrato un terreno comune per gli antisemiti in ogni Paese al mondo.”

Lotta fino all’Assunzione”

Mentre un secolo fa gli ebrei sionisti guardavano alla potenza imperiale britannica perché li appoggiasse, oggi il loro patrono sono gli USA. I portabandiera del sionismo cristiano hanno goduto di una crescente influenza a Washington a partire dalla guerra dei Sei Giorni del 1967.

Questo processo ha raggiunto il suo apice sotto la presidenza di Donald Trump. Si è circondato di una miscela di estremisti ebrei e cristiani sionisti. Il suo ambasciatore in Israele, David Friedman, e il suo inviato in Medio Oriente, Jason Greenblatt, sono ferventi sostenitori ebrei delle colonie illegali. Ma, a quanto pare, alla Casa Bianca ci sono anche importanti cristiani, come il vice presidente Mike Pence e il segretario di Stato Mike Pompeo.

Prima che entrasse nel governo, Pompeo era stato chiaro riguardo alla sua fede evangelica. Nel 2015 ha detto a una congregazione: “È una lotta senza fine…fino all’Assunzione in cielo. Siatene parte. Partecipate alla lotta.”

Lo scorso marzo ha appoggiato l’idea che Trump possa essere stato mandato da dio per salvare Israele da minacce come l’Iran. “Confido che dio stia lavorando qui,” ha detto alla Rete Televisiva Cristiana [CBN una rete televisiva americana di produzione religiosa evangelica molto conservatrice ndtr].

Nel contempo Pence ha affermato: “La mia passione per Israele sgorga dalla mia fede cristiana…È veramente il più grande privilegio della mia vita essere il vicepresidente di un presidente che si preoccupa così profondamente del nostro più prezioso alleato.”

Il gigante addormentato si risveglia.

Lo scorso anno lo spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme da parte di Trump, svuotando di significato qualunque accordo negoziato del conflitto israelo-palestinese, era inteso a compiacere la sua base cristiana sionista. Circa l’80% degli evangelici bianchi ha votato per lui nel 2016 ed egli avrà bisogno del loro appoggio di nuovo nel 2020 se spera di essere rieletto.

Non a caso la nuova ambasciata USA a Gerusalemme è stata consacrata da due importanti telepredicatori evangelici, John Hagee e Robert Jeffress, noti per il loro appoggio fanatico a Israele – così come per i loro occasionali accessi antisemiti.

Più di un decennio fa Hagee, fondatore di “Cristiani Uniti per Israele”, disse ai delegati di una conferenza organizzata dall’AIPAC, principale gruppo lobbystico di Israele a Washington: “Il gigante addormentato del sionismo cristiano si è svegliato. Ci sono 50 milioni di cristiani che applaudono in piedi lo Stato di Israele.”

Le attività del gruppo di Hagee includono pressioni sul Congresso per dure leggi a favore di Israele, come la recente legge “Taylor Force” che taglia drasticamente il finanziamento USA all’Autorità Nazionale Palestinese, il governo provvisorio palestinese. Il gruppo è anche attivo nel contribuire a far pressione a favore di leggi a livello statale e federale che penalizzino chiunque boicotti Israele. Per gli evangelici USA e altrove Israele è sempre più una questione fondamentale. Un sondaggio del 2015 mostrava che circa i tre quarti credono che avvenimenti in Israele siano stati profetizzati nel Libro dell’Apocalisse della Bibbia.

Molti si aspettano da Trump che completi una catena di eventi messi in movimento da politici britannici un secolo fa – e in numero sempre maggiore sono direttamente coinvolti nella speranza di accelerare il processo.

Legami più stretti con i coloni

La visione israeliana di una “riunificazione degli esiliati” – incoraggiando gli ebrei di tutto il mondo a spostarsi nella regione in base alla “legge del ritorno” – corrisponde perfettamente alla fede dei cristiani sionisti in un progetto divino per il Medio Oriente.

Anche gli sforzi dei coloni estremisti ebrei di colonizzare la Cisgiordania, la maggior parte di un qualunque futuro Stato palestinese, si accorda con la concezione dei cristiani sionisti della Cisgiordania come il “cuore biblico”, un’area che gli ebrei devono possedere prima che Gesù ritorni.

Per queste ragioni gli evangelici stanno sviluppando rapporti sempre più stretti con gli estremisti religiosi ebrei israeliani, soprattutto nelle colonie. Recenti iniziative hanno incluso programmi di studio della Bibbia, on line e presenziali, condotti da ebrei ortodossi, spesso coloni, destinati specificamente a cristiani evangelici. I seminari sono disegnati per rafforzare la narrazione dei coloni, così come per demonizzare i musulmani e, per estensione, i palestinesi.

Il corso più popolare offerto da “Root Source” [Sorgente Principale], una di queste iniziative, è intitolato “Islam: idee e inganni”. Utilizza il Vecchio e il Nuovo Testamento per sostenere l’argomentazione secondo cui l’Islam “è estremamente pericoloso”.

Pochi mesi fa Haaretz, il principale giornale progressista israeliano, ha pubblicato un’inchiesta sul crescente afflusso di volontari e finanziamenti evangelici nelle colonie illegali in Cisgiordania – il principale ostacolo per raggiungere una soluzione dei due Stati.

Una sola organizzazione USA, “Hayovel”, ha portato più di 1.700 volontari cristiani negli ultimi 10 anni per contribuire a una colonia nei pressi di Nablus, nel cuore della Cisgiordania.

Affluisce denaro degli evangelici

Un crescente numero di iniziative simili è stato agevolato da nuove norme introdotte lo scorso anno dal governo israeliano per finanziare gruppi cristiani sionisti come Hayovel perché promuova all’estero le colonie.

È molto più difficile sapere esattamente quanto denaro degli evangelici affluisca nelle colonie, a causa della mancanza di trasparenza riguardo alle donazioni USA fatte da chiese e istituzioni benefiche. Ma l’inchiesta di Haaretz stima che nell’ultimo decennio siano stati investiti più di 65 milioni di dollari.

Dieci anni fa Ariel, una colonia posta nel pieno centro della Cisgiordania, ha ricevuto da John Hagee Ministries [Sermoni di John Hagee] 8 milioni di dollari per un centro sportivo. Un altro gruppo evangelico, “J. H. Israel”, vi ha speso 2 milioni di dollari per un centro per una leadership nazionale.

Altre associazioni benefiche cristiane che storicamente hanno finanziato progetti in Israele stanno sempre più prendendo in considerazione anche l’assistenza alle colonie.

Se un piano di pace di Trump, che dovrebbe essere reso pubblico alla fine di quest’anno, sostenesse l’annessione di parti della Cisgiordania, come ampiamente previsto, probabilmente scatenerebbe un nuovo e anche maggiore flusso di denaro degli evangelici nelle colonie.

Immune alla ragione

Proprio questo è il problema per i palestinesi, e per il Medio Oriente in generale. I cristiani sionisti si stanno ancora una volta immischiando, che si tratti di funzionari del governo, leader o comunità di una chiesa. L’influenza degli evangelici si può riscontrare dagli USA e il Brasile all’Europa, all’Africa e al Sudest asiatico.

I governi europei generalmente hanno preoccupazioni più concrete e pressanti che realizzare profezie bibliche per giustificare politiche di divide et impera in Medio Oriente. Vogliono soprattutto il controllo sulle risorse petrolifere della regione, e possono garantirsele solo attraverso il potere militare per impedire che Nazioni rivali vi si affermino.

Ma l’acritico sostegno di decine di milioni di cristiani in tutto il mondo, la cui passione per Israele è immune alla ragione, fanno il lavoro per quei governi accettando come niente fosse guerre e furto di risorse.

Sia Israele che l’Occidente hanno tratto beneficio dall’aver creato l’immagine di un impavido Stato ebraico circondato da barbari arabi e musulmani decisi a distruggerlo. In conseguenza di ciò, Israele ha goduto di una sempre crescente integrazione nel blocco delle potenze occidentali, mentre ai governi occidentali sono stati offerti facili pretesti per interferire nella regione, direttamente o delegando questa intromissione a Israele.

La ricompensa per Israele è stata l’appoggio incondizionato da parte degli USA e dell’Europa, mentre opprime ed espelle dalle loro terre i palestinesi.

Con una base evangelica dietro di lui, Trump non ha la necessità di offrire argomenti plausibili prima di agire. Può spostare l’ambasciata USA a Gerusalemme o approvare l’annessione della Cisgiordania, o attaccare l’Iran.

Schierarsi contro i nemici di Israele

Da questo punto di vista qualunque nemico Israele sostenga di avere – i palestinesi o l’Iran – diventa automaticamente acerrimo nemico di decine di milioni di cristiani evangelici. Netanyahu comprende la crescente importanza di questa acritica lobby straniera, mentre la posizione sua e di Israele precipita tra gli ebrei USA progressisti, inorriditi dalla deriva verso destra dei governi che vi si susseguono.

Nel 2017 Netanyahu ha detto a una folla di evangelici a Washington: “Quando dico che non abbiamo migliori amici dei sostenitori cristiani di Israele, so che siete sempre stati con noi.” Per i palestinesi questa è una brutta notizia. La maggior parte di questi evangelici, come T.B. Joshua, sono in larga misura indifferenti o ostili al destino dei palestinesi – anche dei palestinesi cristiani, come quelli di Nazareth.

Un recente editoriale di Haaretz ha evidenziato che Netanyahu e i suoi politici stanno ora “adoperandosi per rendere gli evangelici – che appoggiano il rifiuto radicale di Israele riguardo ai palestinesi – l’unica base dell’appoggio americano per Israele.”

La verità è che questi cristiani sionisti vedono la regione attraverso un unico, esclusivo prisma: qualsiasi cosa contribuisca all’imminente arrivo del messia è ben accetta. L’unico problema è tra quanto tempo il “popolo eletto” da dio si riunirà nella Terra Promessa.

Se i palestinesi ostacolano Israele, queste decine di milioni di cristiani stranieri saranno assolutamente contenti di vedere la popolazione autoctona di nuovo cacciata – come lo è stata nel 1948 e nel 1967.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Jonathan Cook

Jonathan Cook è un giornalista britannico residente dal 2001 a Nazareth. È l’autore di tre libri sul conflitto israelo-palestinese. È stato vincitore del Martha Gellhorn Special Prize for Journalism.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Nove ragioni per cui Israele non è un ‘paradiso progressista’

Hamzah Raza

6 marzo 2018, Mondoweiss

Dal 4 al 6 marzo a Washington si è riunita la conferenza politica dell’“American Israel Public Affairs Committee” [Comitato per gli Affari Pubblici Americano-Israeliano] (AIPAC). Questa riunione per l’AIPAC, il principale braccio della lobby americana filo-israeliana, è la più partecipata dell’anno.

L’AIPAC rappresenta una delle lobby più potenti degli Stati Uniti, con un’influenza pari a quella dell’NRA [associazione USA dei produttori di armi, ndt.]. L’ex presidente dell’AIPAC, Steven J. Rosen, una volta ha detto ad un giornalista: “Vede questo tovagliolo? In ventiquattr’ore su questo tovagliolo possiamo avere le firme di settanta senatori.”

Eppure negli ultimi anni l’AIPAC ha perso appoggi nel partito Democratico. A causa dell’influenza di gruppi di centro come JStreet [gruppo di ebrei liberal moderatamente critici con il governo israeliano, ndt.], un fiorente movimento per il disinvestimento [contro Israele] nei campus e l’approvazione incondizionata di Donald Trump nei confronti del governo israeliano, l’AIPAC continua a perdere influenza tra i democratici.

Un sondaggio di PEW [centro di ricerche indipendente con sede a Washington, ndt.] ha evidenziato che i democratici ‘liberal’ simpatizzano più per i palestinesi in una misura vicina a due filopalestinesi per ogni filoisraeliano. Lo stesso sondaggio ha scoperto che è probabile che nel loro complesso i democratici simpatizzino più per i palestinesi che per gli israeliani.

Questo sondaggio è molto diverso da quelli realizzati in passato sull’appoggio dei democratici ad Israele. Nel 2009 il 42% dei democratici simpatizzava più per Israele rispetto al 27% dei democratici di oggi. Ciò ha portato Philip Weiss di Mondoweiss a definire Israele come una “ quotazione in ribasso” tra i democratici.

Tentando di salvaguardare quella quotazione, l’AIPAC ha messo al centro della sua conferenza di quest’anno l’obiettivo di tendere la mano ai progressisti. Nello stesso discorso in cui ha chiesto un lungo applauso per Donald Trump, il presidente dell’AIPAC Mort Fridman ha affermato che “dobbiamo abbracciare e coinvolgere molti più ebrei americani…la causa dei progressisti per Israele è impellente tanto quanto quella dei conservatori.”

Jennifer Granholm, ex governatrice democratica del Michigan, ha promesso solennemente “di appoggiare l’AIPAC…(e) di garantire che Israele rimanga una questione bipartisan,” ed ha anche affermato che “c’è una forte posizione filo-israeliana all’interno del partito democratico.” Granholm ha anche definito Israele come un “paradiso progressista” che è un “modello da seguire per altre Nazioni, compresa l’America.”

L’Israele da favola di Granholm è il contrario della situazione sul terreno. Il fatto che i progressisti si stiano rendendo conto della realtà dello Stato di Israele è proprio la ragione per cui i democratici stanno continuando a simpatizzare sempre più per i palestinesi. Ho deciso di compilare un breve elenco di nove ragioni per cui Israele non è un “paradiso progressista”.

  1. Il blocco di Gaza

La situazione a Gaza rappresenta una crisi umanitaria. L’esercito israeliano ha imposto un blocco terrestre, navale e aereo che ha impedito l’ingresso a 1.6 milioni di palestinesi. A causa del blocco ci sono state limitazioni e la proibizione della fornitura di beni essenziali come pasta, biscotti, latte in polvere, ministre, shampoo, libri di testo e carta da lettera.

A causa del blocco, necessità basilari per la vita come cibo ed acqua rimangono di difficile reperimento per i palestinesi. In seguito a ciò, il 95% dei gazawi è obbligato a bere acqua inquinata e il 54% della popolazione non sa dove riuscirà a procurarsi i pasti. Nel tentativo di “prosciugare” i fondi per Hamas, il governo israeliano ha anche tagliato l’elettricità per Gaza. Ciò significa che il gazawi medio dispone di quattro ore di elettricità al giorno, con particolari rischi per persone come i pazienti in dialisi.

Noam Chomsky ha definito le condizioni di Gaza come quelle di “una prigione a cielo aperto”. Descrivendo la logica che sta dietro al blocco, Dov Weisglas, un ex-consigliere del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha detto: “L’idea è di mettere a dieta i palestinesi, ma non di farli morire di fame.”

In seguito al bombardamento di Gaza da parte del governo israeliano nel 2014, anche le infrastrutture di Gaza sono state completamente distrutte. Con la frequenza con cui sta entrando attualmente il materiale [per la ricostruzione], si stima che ci vorranno 100 anni per ricostruire Gaza.

Il 13,2% dei bambini di Gaza soffre di ritardi dello sviluppo dovuti a malnutrizione. Il costo psicologico per i bambini di Gaza è stato grave tanto quanto quello fisico. Il 70% dei bambini di Gaza soffre di incubi e il 75% di enuresi, a causa delle strazianti condizioni di vita che devono sopportare.

Un gruppo di 50 organizzazioni della solidarietà internazionale, comprese l’Organizzazione Mondiale della Salute e Oxfam, hanno chiesto la fine del blocco di Gaza affermando:

Per oltre cinque anni a Gaza più di 1.6 milioni di persone sono stati sottoposti a un blocco che viola le leggi internazionali. Più di metà di queste persone sono bambini. Le organizzazioni firmatarie dicono con un’unica voce: “Ponete subito fine al blocco.”

Anche il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha affermato:

Tutta la popolazione civile di Gaza viene punita per azioni di cui non ha nessuna responsabilità. Di conseguenza il blocco costituisce una punizione collettiva imposta in evidente violazione degli obblighi di Israele in base alle leggi umanitarie internazionali.”

2)Israele è uno Stato colonialista di insediamento

Israele è uno Stato fondato da ebrei europei che hanno colonizzato la terra e, nel 1948, hanno perpetrato un genocidio e un’espulsione di massa della popolazione indigena palestinese che vi viveva. Il senatore [americano ed ex candidato alle primarie presidenziali, ndt.] Bernie Sanders ha paragonato questo atto di colonialismo di insediamento a quello degli europei arrivati nelle Americhe.

Nel 2017 Sanders ha affermato che “come per il nostro Paese, la fondazione di Israele ha comportato l’espulsione di centinaia di migliaia di persone che già vi vivevano, il popolo palestinese. Oltre 700.000 persone sono state trasformate in rifugiati. Il riconoscimento di questo doloroso fatto storico non delegittima Israele, non più di quanto il riconoscimento del “Trail of Tears” [il “Sentiero delle Lacrime”, lungo il quale 18.000 nativi americani furono costretti a marciare per 2.000 miglia, e un terzo di loro morì lungo il cammino, ndt.] delegittimi gli Stati Uniti d’America.

La creazione dello Stato di Israele ha dato come risultato la creazione della più grande popolazione di rifugiati al mondo. Mentre gli israeliani fanno riferimento alla nascita di Israele come al “Giorno dell’Indipendenza israeliana” (anche se non è chiaro da chi si sarebbero resi indipendenti), i palestinesi definiscono questo giorno come la “nakba”, ossia la catastrofe.

Si stima che circa il 40% dei rifugiati al mondo siano palestinesi che furono espulsi dalle loro case in conseguenza della creazione dello Stato di Israele. Le Nazioni Unite ribadiscono regolarmente, in particolare con dichiarazioni come la Risoluzione 192 delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Internazionale dei diritti dell’uomo, il diritto dei palestinesi e dei loro discendenti a tornare nelle case da cui furono espulsi. Eppure Israele continua a negarglielo.

3) Israele pratica l’apartheid

Nello Stato di Israele l’identità etnica di una persona ne determina i diritti. Sottomettere differenti gruppi di persone a differenti insiemi di leggi costituisce letteralmente la definizione di apartheid.

Mentre i palestinesi che vivono sotto il controllo israeliano in Cisgiordania sono sottoposti alla legge militare, i coloni israeliani che vi abitano sono cittadini di Israele a tutti gli effetti, sottoposti alla legge civile. Possono votare alle elezioni, mentre i palestinesi che vi vivono non sono neppure considerati cittadini. I cittadini non ebrei di Israele sono sottoposti a leggi discriminatorie che li rendono cittadini di serie B.

Sudafricani che hanno vissuto sotto l’apartheid hanno descritto Israele come del tutto simile alla situazione che hanno affrontato sotto l’apartheid. L’African National Congress, il partito di Nelson Mandela, che ha combattuto l’apartheid in Sud Africa, ha etichettato Israele come uno Stato dell’apartheid. L’ex-presidente dell’ANC, Baleka Mbete, ha definito Israele “molto peggio del Sudafrica dell’apartheid.”

Desmond Tutu [arcivescovo sudafricano e premio Nobel per la pace, ndt.] ha affermato che “Israele è uno Stato dell’apartheid…Sono andato ed ho visitato la Terra Santa e ho visto cose che sono un’immagine speculare di ciò che ho vissuto sotto l’apartheid.”

Anche il governo sudafricano dell’apartheid nel 1978 rese pubblico un rapporto in cui affermava che “Israele e Sud Africa hanno una cosa in comune su tutte: entrambi si trovano in un contesto prevalentemente ostile popolato da persone di colore.”

Il capo militare del Sudafrica dell’apartheid, Constand Viljeon, era un ammiratore dei posti di blocco israeliani nella Palestina occupata. Dopo averli visitati, sostenne:

L’accuratezza con cui Israele conduce questo controllo è sorprendente. Come minimo porta via ad ogni arabo che li attraversa circa un’ora e mezza. Quando il traffico è intenso, ci vogliono da quattro a cinque ore.”

4) Incarcerazioni di massa dei palestinesi

Il 40% della popolazione maschile palestinese è stata incarcerata dai tribunali militari israeliani, che hanno una percentuale di condanne per i palestinesi del 99,74%.

Uno dei palestinesi incarcerati da questi tribunali è stato Issa Amro, un uomo che molti definiscono come il “Gandhi palestinese”. Amro è impegnato in azioni non violente contro la costruzione di colonie israeliane nella Cisgiordania occupata, che sono illegali in base alle leggi internazionali. Amro ha affrontato il carcere con 18 imputazioni, da “insulti a un soldato” ad “aggressione”. Amnesty International ha denunciato che “il diluvio di imputazioni contro Issa Amro non regge in nessun modo,” definendo le accuse “infondate e motivate da ragioni politiche”. Issa Amro è solo uno delle centinaia di migliaia di uomini palestinesi che sono stati gettati nelle prigioni israeliane sulla base di imputazioni infondate.

Allo stesso modo le donne palestinesi non rappresentano un’eccezione a questo sistema di incarcerazione. Il 18 dicembre 2017, l’esercito israeliano ha fatto irruzione in piena notte nella casa della famiglia Tamimi ed ha arrestato la sedicenne Ahed Tamimi. Hanno picchiato suo padre, sua madre, i fratelli maggiori e minori ed hanno confiscato tablet, telefoni e videocamere della famiglia. Tamimi è stata imputata per aver “schiaffeggiato un soldato” e tuttora è in carcere.

Human Rights Watch ha documentato gli abusi dell’esercito israeliano contro minori palestinesi in un rapporto intitolato “Minori dietro le sbarre”:

Secondo la sezione di “Difesa Internazionale dei Minori/Palestina”, ogni anno Israele arresta, imprigiona e processa nel sistema dei tribunali militari circa da 500 a 700 minori palestinesi sospettati di reati penali nella Cisgiordania occupata. Israele è l’unico Paese che processa automaticamente minori nei tribunali militari. Nel 2015 “Human Rights Watch” ha riscontrato che le forze di sicurezza israeliane hanno utilizzato una forza eccessiva per arrestare o detenere bambini palestinesi di 11 anni a Gerusalemme est e in Cisgiordania, ed ha preso per il collo, picchiato, minacciato e interrogato minori detenuti senza la presenza di genitori o avvocati.”

5) Islamofobia

Israele è uno Stato che ha cercato il sostegno pubblico dipingendosi come una sorta di conflitto di civiltà tra “l’Islam e l’Occidente”. È simile all’islamofobia sostenuta dagli ideologi della Destra in tutto il mondo, compreso Donald Trump, che notoriamente ha affermato che “l’Islam ci odia” ed ha promosso un bando contro i musulmani.

Anche l’AIPAC ha spinto quest’ondata di islamofobia. Lo scorso anno è trapelato che l’AIPAC ha fatto una donazione al ““Center for Security Policy” [Centro per le Politiche di Sicurezza] (CSP), un centro studi di estrema destra guidato da Frank Gaffney, che è stato classificato come un gruppo che provoca l’odio dal “Southern Poverty Law Center” [Centro per la Legge sulla Povertà del Sud, associazione per la difesa dei diritti civili con sede in Alabama, ndt.]. Anche l’”Unione dei Conservatori Americani” e l’” Anti-Defamation League” [Lega contro la Diffamazione, importante gruppo della lobby filoisraeliana negli USA, ndt.] hanno denunciato il CSP come organizzazione che promuove l’odio contro i musulmani attraverso ingannevoli teorie cospirative. Riguardo ai musulmani, Frank Gaffney afferma che “fondamentalmente essi, come termiti, scavano nella struttura della società civile e in altre istituzioni con il proposito di creare le condizioni in base alle quali la jihad possa avere successo.”

Gaffney ha anche sostenuto che lo stratega repubblicano Grover Norquist, l’attuale parlamentare e vice presidente del Comitato Nazionale Democratico Keith Ellison e l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama sono agenti segreti della Fratellanza Musulmana. Ha anche accusato Barack Obama di essere coinvolto nel “più grande inganno dai tempi di Adolf Hitler.”

La “Conservative Political Action Conference” [Conferenza dell’Azione Politica Conservatrice] (CPAC) ha bandito Gaffney per le sue teorie politiche cospirative islamofobe, mentre l’AIPAC gli ha fornito supporto finanziario per far circolare queste teorie cospirative. Discorsi come quelli di Gaffney, come paragonare i musulmani a termiti e insinuare che la Fratellanza Musulmana sta tentando di controllare il governo degli USA, sono simili a quelli anti-ebraici, utilizzati nel passato e in epoca contemporanea, secondo cui “gli ebrei controllano il governo”.

6)Scuole Separate

Le scuole israeliane sono segregate sia in base alla religione che alla razza. Gli studenti ebrei frequentano scuole in base alla loro denominazione religiosa mentre i palestinesi frequentano le loro scuole. Meno dell’1% dei bambini frequentano la manciata di scuole integrate a cui è consentito andare agli ebrei israeliani ed ai palestinesi con cittadinanza di serie B. Le scuole palestinesi ricevono anche meno fondi del governo per alunno di quelle ebraiche, con il risultato che meno studenti che nelle scuole ebraiche frequentano le superiori.

La città di Tel Aviv ha anche costruito scuole separate per bambini di immigrati africani non ebrei richiedenti asilo. Il “Daily Beast” [sito web statunitense, ndt.] lo ha dettagliato in un articolo intitolato “La città più progressista di Israele ha introdotto la segregazione razziale negli asili”, in cui si afferma:

La città costruisce le nuove scuole per bambini neri dopo che abitanti ebreo-israeliani della zona del centro hanno minacciato di tenere a casa i propri figli piuttosto che consentire loro di imparare a contare, a disegnare e a giocare sull’altalena accanto ai loro coetanei eritrei e sudanesi.”

7) Deportazioni di massa

Molti rifugiati africani da Paesi come Eritrea e Sudan sono scappati in Israele dopo aver affrontato guerre nei loro Paesi. Aspettandosi la democrazia liberale di cui parlano i rappresentanti dell’AIPAC, i rifugiati hanno invece incontrato la resistenza di massa degli israeliani che li definiscono “infiltrati”. Israele ha chiesto ai rifugiati africani di scegliere tra l’arresto in una prigione israeliana e la deportazione in un Paese africano terzo.

Michael Ben Ari, membro del parlamento israeliano, ha spiegato che questa infiltrazione è semplicemente il risultato della loro esistenza come non ebrei all’interno di uno Stato ebraico. Ben Ari ha affermato che “il nostro Paese è diverso dagli altri. Il nostro è uno Stato ebraico…Uno Stato ebraico e democratico…In qualche caso le due cose sono in contraddizione tra loro. Se porti dentro un milione di africani, non sarà più ebraico.”

In precedenza l’attuale primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha messo in guardia che se la popolazione non-ebraica in Israele raggiungesse il livello del 30% ciò metterebbe a rischio “il carattere ebraico” dello Stato di Israele.

Ha persino annunciato un progetto di espulsione di 40.000 migranti africani non ebrei, definendo i richiedenti asilo “infiltrati”, la cui esistenza rappresenta una minaccia per il “carattere ebraico” di Israele. I progetti di Netanyahu arrivano dopo anni di proteste contro i neri in Israele, in cui politici israeliani di tutto lo spettro politico hanno fatto dichiarazioni riferendosi agli immigrati africani come un “cancro”, che “emettono un pessimo fetore” e “probabilmente causano ogni sorta di malattie”.

8) Israele ammette di aver sterilizzato a forza donne ebree etiopi contro la loro volontà

Benché la popolazione ebrea etiope viva sotto la legge civile, godendo quindi dei benefici della cittadinanza, ancora soffre di molte discriminazioni in Israele, pur essendo ebrea. Ci sono informazioni sulla brutalità della polizia israeliana contro gli ebrei etiopi, oltre alle discriminazioni sul lavoro e nell’impiego pubblico. Nel 2013 si è scoperto che la Croce Rossa israeliana gettava via il sangue donato dagli ebrei etiopi. Quando Pnina Tamano-Shata [prima deputata ebrea di origine etiope, eletta al parlamento israeliano nelle liste del partito di centro “Yesh Atid”, ndt.] ha offerto di donare il proprio sangue nell’ambito di una campagna della Croce Rossa israeliana, questa ha rifiutato la donazione del suo sangue sulla base del fatto che è etiope. Quello stesso anno il governo israeliano ha ammesso di aver iniettato in donne ebree etiopi un farmaco per il controllo delle nascite chiamato Depo-Provera.

Gal Gabbay, una giornalista israeliana, ha informato che molte donne sono state sottoposte a iniezioni per il controllo delle nascite quando stavano immigrando in Israele dall’Etiopia. Gabbay riporta:

In base al programma, mentre le donne erano ancora nei campi di transito in Etiopia a volte sono state intimidite o minacciate perché accettassero l’iniezione. ‘Ci dicevano che si trattava di vaccinazioni,’ ha detto una delle donne intervistate. ‘Ci hanno detto che la gente che partorisce di frequente soffre. Lo abbiamo preso ogni tre mesi. Abbiamo detto che non lo volevamo.’”

La sterilizzazione forzata corrisponde alla definizione delle Nazioni Unite di genocidio da “imposizione di misure intese a impedire la riproduzione all’interno di un gruppo”. In seguito a queste sterilizzazioni forzate, il tasso di nascite degli ebrei etiopi è caduto del 50% tra il 2003 ed il 2013.

9) Israele ha fornito armi a governi genocidi in tutto il mondo

Israele è stato un esportatore di armi a molti regimi repressivi in tutto il mondo. Oltre ad aver venduto ordigni nucleari al Sud Africa dell’apartheid, Israele è stato il suo maggiore fornitore di armi. Israele ha fornito armi anche al governo birmano quando era impegnato nel genocidio della popolazione rohingya. Israele ha anche fornito al governo ruandese armamenti mentre era impegnato nel genocidio dei tutsi, che è considerato il più rapido genocidio occorso nella storia umana. Israele ha anche fornito armi al governo serbo mentre era impegnato nella pulizia etnica dei bosniaci.

Lungi dall’essere un “paradiso progressista”, Israele è in realtà uno Stato etno-religioso che viola i diritti umani dei palestinesi, di altre minoranze etniche e religiose all’interno dei suoi confini, aiutando al contempo anche l’islamofobia e il genocidio su scala globale. È per questa ragione che una parte significativa e sempre maggiore del partito Democratico sta alzando la voce per la giustizia in Palestina. Finché Israele continuerà ad opprimere, l’appoggio ad Israele continuerà ad essere una “quotazione in ribasso” all’interno del partito Democratico. Nessun ex governatore democratico può cambiare ciò con affermazioni false.

Su Hamzah Raza

Hamzah Raza è un professore incaricato alla Vanderbilt University. Il suo articolo è stato pubblicato su Huffington Post, Alternet, Raw Story, LeMuslim Post e Tennessean.

(traduzione di Amedeo Rossi)