CPJ: Israele “non si assume alcuna responsabilità” per l’uccisione di giornalisti

AL JAZEERA

9 maggio 2023 – Aljazeera

L’impunità dell’esercito israeliano nell’uccisione di almeno 20 giornalisti negli ultimi 20 anni mina “gravemente” la libertà di stampa, afferma il rapporto del CPJ.

Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) afferma in un nuovo duro rapporto che l’esercito israeliano non si è assunto alcuna responsabilità per l’uccisione di almeno 20 giornalisti, 18 dei quali palestinesi, negli ultimi 20 anni.

Nel suo rapporto, Deadly Pattern, pubblicato martedì, questa organizzazione a tutela della libertà di stampa dichiara di aver riscontrato “uno schema sistematico nelle uccisioni di giornalisti da parte [dell’esercito israeliano]”.

“Nessuno è mai stato accusato o ritenuto responsabile di queste morti… minando con ciò gravemente la libertà di stampa”, aggiunge.

Il CPJ afferma che i palestinesi costituiscono l’80% dei giornalisti e degli operatori dei media uccisi dall’esercito israeliano.

Queste cifre riflettono in parte l’andamento generale del conflitto israelo-palestinese; secondo i dati delle Nazioni Unite negli ultimi 15 anni i sono stati uccisi 21 volte più palestinesi che israeliani, aggiunge il rapporto.

Inoltre il rapporto evidenzia che “gli ufficiali israeliani sminuiscono le prove e le affermazioni dei testimoni, e spesso sembrano scagionare i soldati per le uccisioni mentre le indagini sono ancora in corso”, e aggiunge che le indagini dell’esercito israeliano sulle uccisioni sono una “scatola nera”, con risultati tenuti segreti.

Nello svolgimento delle indagini l’esercito israeliano spesso impiega mesi o anni per investigare sugli omicidi, e le famiglie dei giornalisti, per lo più palestinesi, hanno poche risorse all’interno di Israele per perseguire la giustizia”, afferma il CPJ.

Hagai El-Ad, direttore esecutivo dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, afferma nel rapporto che l’esame da parte di Israele delle azioni dei suoi soldati è meno seria di una “rappresentazione teatrale di un’indagine”.

Vogliono renderla credibile. Eseguono gli atti, le procedure richiedono molto tempo, molte scartoffie”, riferisce a CPJ. “Ma alla fine … è l’impunità quasi totale per le forze di sicurezza”.

Il rapporto afferma che le organizzazioni per i diritti umani hanno costantemente sollevato preoccupazioni circa “la… lentezza di queste valutazioni totalmente riservate, che possono trascinarsi per mesi o anni”, durante le quali “i ricordi dei testimoni svaniscono, le prove possono scomparire o essere distrutte e i soldati coinvolti possono far coincidere le testimonianze”.

L’uccisione di Shireen Abu Akleh

Il rapporto arriva due giorni prima del primo anniversario dell’uccisione della giornalista veterana di Al Jazeera Shireen Abu Akleh da parte di un proiettile israeliano alla testa mentre l’11 maggio 2022 conduceva un reportage su un raid militare israeliano nella città occupata di Jenin in Cisgiordania.

Nel settembre 2022 un’indagine congiunta di Forensic Architecture, organizzazione di ricerca multidisciplinare, e dell’organizzazione per i diritti dei palestinesi Al-Haq ha rivelato che le prove confutavano la versione di Israele secondo cui Abu Akleh sarebbe stata uccisa per “errore”.

L’inchiesta ha esaminato l’angolo di tiro del cecchino israeliano e ha concluso che era in grado di vedere chiaramente che in quel luogo c’erano i giornalisti. Ha anche escluso la possibilità che in quel momento ci fossero degli scontri tra forze israeliane e palestinesi, che avrebbero potuto dar luogo ad un fuoco incrociato.

Secondo l’inchiesta, per la quale Al Jazeera ha fornito del materiale, il cecchino israeliano ha sparato per due minuti e ha preso di mira coloro che cercavano di soccorrere Abu Akleh.

I risultati sono arrivati lo stesso giorno in cui la famiglia della giornalista palestinese americana di 51 anni ha formalmente presentato una denuncia ufficiale alla Corte Penale Internazionale (CPI) chiedendo giustizia per la sua uccisione.

Israele ha dichiarato a settembre che c’era una “alta possibilità” che Abu Akleh fosse stata “accidentalmente colpita” dal fuoco dell’esercito israeliano, ma ha aggiunto che non avrebbe avviato un’indagine penale.

“Mancato rispetto” della stampa cercando di imporre false narrazioni

Come Abu Akleh, che quando è stata uccisa indossava un casco e un giubbotto protettivo blu con la scritta “Press”, la maggior parte dei 20 giornalisti uccisi al momento della loro morte erano “chiaramente identificabili come membri dei media o si trovavano all’interno di veicoli con insegne della stampa, si legge nel rapporto.

Il rapporto afferma anche che dopo che un giornalista viene ucciso dalle forze di sicurezza israeliane gli ufficiali israeliani “spesso inviano ai media una contro-narrazione” nel tentativo di allontanare ogni responsabilità dai loro soldati.

Il CPJ ha sottolineato che nel caso di Abu Akleh gli ufficiali israeliani hanno iniziato a incolpare dei palestinesi nonostante i testimoni e il ministero della salute palestinese affermassero che era stata uccisa dalle truppe israeliane. Israele ha anche accusato alcuni giornalisti palestinesi uccisi dai suoi sodati di “attività terroristica e militante”.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Sei importanti sviluppi che hanno segnato il 2022 per i palestinesi

Zena Al Tahhan e Maram Humaid

26 dicembre 2022 – Al Jazeera

L’ONU ha definito il 2022 l’anno più luttuoso degli ultimi 16 per i palestinesi nella Cisgiordania occupata dagli israeliani. Ecco alcuni degli eventi più importanti dell’anno.

Ramallah, Cisgiordania occupata e Gaza. Conflitti, incursioni e l’uccisione di una delle giornaliste più rispettate in Palestina sono alcuni degli eventi più importanti in Israele e Palestina nel 2022.

Le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2022 l’anno più letale per i palestinesi nella Cisgiordania occupata dal 2006, a riprova di un aumento dell’uso della forza da parte di Israele, a fronte di un ulteriore spostamento verso l’estrema destra del Paese.

Ecco sei degli sviluppi più importanti del 2022 per i palestinesi.

Conflitto a Gaza, di nuovo

Meno di 15 mesi dopo il precedente bombardamento israeliano della Striscia di Gaza, il territorio sottoposto al blocco è stato attaccato da aerei da guerra israeliani per tre giorni agli inizi di agosto, causando la morte di almeno 49 palestinesi, tra cui 17 minori.

L’arresto in Cisgiordania del leader del Jihad Islamico Palestinese (PIJ) da parte delle forze israeliane ha sollevato timori di un’escalation, causando un’intensificazione della presenza militare israeliana lungo il confine tra Israele e Gaza.

Il 5 agosto gli aerei da guerra israeliani hanno lanciato un’ondata di attacchi aerei contro Gaza a cui il PIJ ha risposto lanciando razzi contro Israele.

Se c’era un reale timore che lo scoppio dei combattimenti avrebbe portato a un conflitto prolungato, specialmente dopo l’uccisione dei comandanti del PIJ lo scontro alla fine è terminato dopo tre giorni in seguito all’entrata in vigore di una tregua mediata dall’Egitto.

Una delle ragioni principali della mancata escalation del conflitto è stata la decisione di Hamas, che governa Gaza da 15 anni, di tenersi fuori dallo scontro.

Nonostante ciò ci sono stati danni considerevoli a Gaza, che era appena stata ricostruita dopo il conflitto nel 2021 durato 11 giorni. Non è inoltre scomparsa la minaccia di un altro scoppio di violenza prolungata, lasciando i palestinesi a Gaza costantemente preoccupati per quello che molti pensano sia un’inevitabile guerra futura.

Crescita della resistenza armata palestinese

Uno dei cambiamenti principali in Cisgiordania nel 2022 è stato la crescita di piccoli gruppi di resistenza armata concentrati nelle città settentrionali di Jenin e Nablus.

Il fenomeno è iniziato nel settembre 2021 con la formazione del primo gruppo, le Brigate di Jenin, nel campo profughi della città dopo l’uccisione a giugno da parte di Israele del combattente Jamil al-Amouri.

Ha fatto seguito nel 2022 la creazione delle Brigate di Nablus, della Fossa dei Leoni, delle Brigate di Balata, delle Brigate di Tubas e delle Brigate di Yabad. Mentre i gruppi già esistenti sono formati da membri di varie fazioni tradizionali palestinesi, questi nuovi si rifiutano di allinearsi con una specifica fazione o movimento.

Dato che i gruppi hanno limitate capacità, si sono concentrati in scontri con le forze israeliane in risposta ai loro raid quasi giornalieri e si sono anche impegnati in sparatorie contro checkpoint militari israeliani. Inoltre hanno rivendicato la responsabilità di attacchi che hanno ucciso soldati e coloni israeliani.

Con l’emergere di questi gruppi è la prima volta dalla seconda Intifada (2000-05) che formazioni organizzate hanno combattuto le forze israeliane in Cisgiordania. Alla fine di quell’Intifada, o rivolta, la maggior parte delle armi nel territorio era sotto il controllo dell’Autorità Palestinese (ANP).

Raid quotidiani e uccisioni

In seguito a una serie di attacchi individuali in Israele iniziati a marzo, Israele ha lanciato una campagna militare detta “Break the Wave” (Spezza l’ondata) con raid, arresti di massa e uccisioni quasi ogni giorno in Cisgiordania, focalizzati a Jenin e Nablus.

Con assassinii mirati e durante gli scontri armati, sono stati uccisi sia i civili che durante gli attacchi si sono scontrati con l’esercito israeliano e degli astanti non coinvolti, che dei combattenti palestinesi.

Secondo il ministero palestinese della Salute, in Cisgiordania e nella Gerusalemme Est occupata nel 2022 le forze israeliane hanno ucciso circa 170 palestinesi, inclusi più di 30 minori, e almeno altri 9.000 sono stati feriti.

Molte delle uccisioni hanno causato una particolare indignazione fra i palestinesi, inclusa recentemente quella del 12 dicembre, quando una sedicenne di Jenin è stata ferita a morte mentre dal tetto di casa sua osservava un attacco dell’esercito. Il 2 dicembre è stato ucciso in pubblico da un soldato israeliano anche un ventitreenne palestinese. L’uccisione è stata filmata e i palestinesi l’hanno descritta come “un’esecuzione”.

Nel corso di quest’anno osservatori, diplomatici e organizzazioni per i diritti umani hanno espresso “preoccupazione” circa l’uso eccessivo di forza letale da parte di Israele in Cisgiordania che ha causato l’elevato numero di uccisioni.

L’Ufficio dell’Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani aveva in precedenza osservato che le forze israeliane “spesso usano armi da fuoco contro i palestinesi per un semplice sospetto o come misura precauzionale, in violazione dei principi internazionali”.

Uccisione di Shireen Abu Akleh

L’undici maggio le forze israeliane hanno ucciso Shireen Abu Akleh, giornalista veterana di Al Jazeera mentre stava seguendo un’operazione dell’esercito nel campo profughi di Jenin.

Abu Akleh, 51 anni, corrispondente televisiva palestinese-americana per Al Jazeera Arabic ha seguito l’occupazione israeliana dei territori palestinesi per oltre 25 anni. La sua uccisione ha sollevato una protesta internazionale e scosso il mondo intero.

La reporter è stata onorata nel corso di una processione funebre durata tre giorni con esternazioni di dolore e rispetto mentre il corpo veniva traslato da Jenin a Gerusalemme.

A Gerusalemme Est le forze israeliane hanno attaccato le persone in lutto che portavano la sua bara. Nonostante gli sforzi delle autorità israeliane, migliaia di palestinesi si sono riversati nelle strade di Gerusalemme per il funerale.

Varie indagini hanno ritenuto Israele responsabile della sua uccisione e a settembre Israele ha infine ammesso che con “molta probabilità” uno dei suoi soldati ha ucciso Abu Akleh. Comunque le autorità israeliane si sono rifiutate di avviare un’indagine penale.

A dicembre Al Jazeera ha presentato una richiesta formale alla Corte Penale Internazionale (ICC) per indagare e processare i responsabili dell’uccisione di Abu Akleh.

Ascesa dell’estrema destra

Nel 2022 si è svolta la quinta elezione parlamentare in Israele in meno di quattro anni. Se i risultati sembrano avere temporaneamente messo fine alla prolungata impossibilità di formare un governo stabile in Israele, ha tuttavia dato come risultato la creazione del governo di destra più estrema nella storia dei 74 anni del Paese.

Benjamin Netanyahu, primo ministro designato, e il suo partito Likud hanno formato un’alleanza con Sionismo Religioso e i partiti ultraortodossi, ottenendo una maggioranza di 64 seggi sui 120 parlamentari che costituiscono la Knesset.

Il terzo blocco per grandezza risultante dalle elezioni è l’alleanza Sionismo Religioso, una fusione tra il partito con lo stesso nome guidato da Bezalel Smotrich e Potere Ebraico, capitanato da Itamar Ben-Gvir.

I due personaggi controversi sono noti per i loro frequenti incoraggiamenti alla violenza contro i palestinesi e hanno pubblicamente dichiarato le proprie intenzioni di voler espandere la fondazione di colonie illegali israeliane in Cisgiordania.

L’anno scorso Smotrich ha detto che i palestinesi in Israele “sono qui per errore, perché [l’ex premier] Ben-Gurion non aveva finito il lavoro” di cacciarli nel 1948.

Nel contempo Ben-Gvir, che aveva in precedenza chiesto la deportazione di cittadini palestinesi “giudicati sleali verso Israele”, ha invitato i coloni a portare armi e ha regolarmente criticato l’esercito israeliano e il governo poiché non usano misure più rigide contro i palestinesi.

Le politiche e le opinioni dei politici che stanno per essere incaricati della sicurezza in Cisgiordania sono destinati a innescare ulteriormente la già tesa situazione sul posto.

Aumento degli attacchi dei coloni

Nel 2022 gli attacchi dei coloni israeliani contro i palestinesi in Cisgiordania sono aumentati, diventando più audaci e coordinati.

Quest’anno sono stati uccisi almeno tre palestinesi. Alcuni di questi attacchi sono avvenuti sotto gli occhi dell’esercito israeliano.

Prove inquietanti circa le forze israeliane che frequentemente facilitano, sostengono e partecipano agli attacchi dei coloni rendono difficile distinguere tra la violenza dei coloni israeliani e quella dello Stato,” ha sostenuto in un comunicato del 15 dicembre un funzionario dell’ONU.

Il 2022 è il sesto anno consecutivo in cui il numero di attacchi dei coloni israeliani nella Cisgiordania occupata è aumentato,” continua il documento. “Coloni israeliani armati e mascherati attaccano i palestinesi nelle loro case, aggrediscono i bambini che vanno a scuola, distruggono proprietà, bruciano oliveti e terrorizzano intere comunità nella totale impunità.”

Tra i 600.000 e i 750.000 coloni israeliani vivono in almeno 250 colonie illegali sparse in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israeliani, prendete atto: la resistenza armata all’occupazione è legale, non è terrorismo

Orly Noy

13 settembre 2022 – Middle East Eye

Nonostante ciò che afferma il diritto internazionale, l’opinione pubblica israeliana ha interiorizzato la nozione secondo cui, per definizione, non esiste una legittima lotta palestinese per la liberazione nazionale.

È improbabile che più di una manciata di ebrei in Israele sappia riferire correttamente quante incursioni abbia effettuato l’esercito israeliano la settimana scorsa in città palestinesi della Cisgiordania, quanti arresti abbia compiuto, o quante persone abbia ucciso.

Al tempo stesso è improbabile che vi sia stata più di una manciata di israeliani che non fosse a conoscenza della sparatoria su un autobus di soldati nella Valle del Giordano, avvenuta domenica 4 settembre.

Spari di palestinesi contro soldati israeliani –invece che israeliani che sparano a palestinesi – non è solo un inquietante episodio di “un uomo che morde un cane”, che ribalta l’ordine consueto richiedendo di essere raccontato dettagliatamente; in tutti quei reportage l’evento è stato definito come attacco terroristico ed i palestinesi armati come terroristi.

Non una parola sul fatto che gli spari erano rivolti contro un esercito occupante e sono avvenuti in una terra occupata.

I media israeliani hanno un ruolo chiave nel formare l’opinione pubblica al servizio della macchina di propaganda del potere, mantenendo l’opinione pubblica israeliana nella totale ignoranza dei fatti più importanti.

L’opinione pubblica israeliana, in generale, ha completamente interiorizzato la nozione secondo cui, per definizione, non esiste una lotta palestinese per la liberazione nazionale che sia legittima.

Analogamente alla radicale rimozione dalla coscienza israeliana della linea dell’armistizio del 1949, conosciuta anche come Linea Verde – al punto che la sola menzione della sua esistenza da parte della municipalità di Tel Aviv provoca minacce del Ministero dell’Educazione – anche la costante etichettatura di ogni lotta palestinese come terrorismo occulta l’importante distinzione ai sensi del diritto internazionale tra un’azione che prende di mira dei combattenti ed una diretta contro civili.

Un diritto legittimo

Il fatto è che il diritto internazionale riconosce il diritto legittimo di un popolo di lottare per la propria libertà e per la “liberazione dal controllo coloniale, dall’apartheid e dall’occupazione straniera con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata”, come confermato, per esempio, dalla Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 1990.

L’uso della forza per ottenere la liberazione è legittimo. Il modo in cui viene usata la forza è disciplinato dalle leggi di guerra, il cui scopo principale è proteggere i civili non coinvolti da entrambe le parti.

I colpi sparati nella Valle del Giordano non erano diretti contro civili e non possono essere considerati un’azione terroristica. Sono stati un atto di resistenza contro un potere occupante, in una terra occupata.

Il regime israeliano e i suoi ossequiosi portavoce, i media israeliani, trattano ogni azione contro le forze di occupazione in una terra occupata esattamente come se fossero azioni contro civili nel cuore di Tel Aviv: atti terroristici perpetrati da terroristi.

Questa equiparazione non solo nega un fondamento legale o morale all’azione; è anche contraria agli interessi dei cittadini di Israele.

Le leggi di guerra pertinenti sono finalizzate anzitutto e soprattutto a proteggere i civili che non partecipano al ciclo di violenza e a circoscrivere tale violenza a chi effettivamente combatte.

Tuttavia Israele non riconosce la categoria di combattenti palestinesi: dal punto di vista israeliano ogni forma di resistenza, anche nonviolenta, alla sua occupazione ed oppressione costituisce un pericolo alla sicurezza che è facilmente riconosciuto come terrorismo, come quando recentemente Israele ha dichiarato che le sei più importanti ONG palestinesi sono organizzazioni terroristiche.

Questa è una doppia distorsione da parte di Israele. Se da un lato tratta tutte le azioni palestinesi, anche quelle dirette contro soldati, come atti di terrorismo, dall’altra Israele descrive ogni azione israeliana contro i palestinesi come legittima, anche quando quei palestinesi sono civili.

Tipica brutalità

Come esempio particolarmente vergognoso di questa politica, considerate le conclusioni finali pubblicate dall’esercito israeliano riguardo all’uccisione di Shireen Abu Akleh. L’esercito ha inizialmente sostenuto che Abu Akleh è stata uccisa da colpi d’arma da fuoco palestinesi, una palese menzogna che è stata smascherata da una serie di organi di stampa che hanno esaminato minuziosamente le prove. La versione riveduta che l’esercito ha pubblicato in seguito è anch’essa lontana dall’essere coerente con le prove.

Il Procuratore Generale dell’esercito ha annunciato che non sarebbe stata aperta alcuna inchiesta, nonostante l’agghiacciante ammissione che Abu Akleh, che indossava un giubbotto che la identificava chiaramente come giornalista, è stata colpita a morte da un soldato che usava un fucile di precisione con mirino telescopico – che ingrandisce il bersaglio di quattro volte.

Altrettanto deprecabile la risposta israeliana alla richiesta americana davvero modesta di “riconsiderare” le procedure dell’esercito in Cisgiordania riguardo a quando è consentito aprire il fuoco.

Non che l’esercito smetta di assassinare persone innocenti, Dio non voglia, né che interrompa le incessanti irruzioni nelle città della Cisgiordania, gli arresti di massa, i prelevamenti notturni dei bambini dai loro letti – soltanto che si sforzi un po’ di più, se non è troppo difficile, di evitare altri casi simili.

I potenti Stati Uniti preferiscono non trovarsi coinvolti in casi del genere perché può succedere che la vittima abbia cittadinanza americana, come nel caso di Abu Akleh.

Israele, che ha risposto con la solita brutalità, non è disposto neppure all’atto formale di accettare a parole questa modesta richiesta. Il Primo Ministro Yair Lapid si è affrettato a dire agli americani che “nessuno ci imporrà le regole di ingaggio”.

Con lo stesso spirito il Ministro della Difesa Benny Gantz ha affermato: “Il capo di stato maggiore, e lui solo, decide e continuerà a decidere le politiche di ingaggio.”

In altri termini, Israele mette sull’avviso gli americani, in realtà il mondo intero: nessuno dirà mai a Israele quanti, chi, quando, dove o come uccideremo. E la questione è chiusa, fino alla prossima volta.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye

Orly Noy è la direttrice di B’Tselem – Centro israeliano di Informazione per i Diritti Umani nei territori occupati.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)