Il “Piano di pace” di Trump per Gaza: il buono, il brutto e il cattivo

Ramzy Baroud e Romana Rubeo

29 settembre 2025 The Palestine Chronicle

Questa analisi esamina il “Piano di pace” di Trump per Gaza, delineandone i potenziali vantaggi, le insidie ​​e le contraddizioni di fondo

È ancora troppo presto per emettere un verdetto definitivo sulla proposta del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per porre fine alla guerra e al genocidio israeliani a Gaza.

Da diversi giorni circolano sui media indiscrezioni sulla natura della proposta, per lo più attribuite a funzionari statunitensi anonimi. Lunedì la Casa Bianca ha finalmente rivelato i punti principali del piano. L’idea è stata presentata dallo stesso Trump durante una conferenza stampa a Washington congiunta con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Anche lì hanno continuato a emergere contraddizioni. Ad esempio, l’ultima versione della proposta richiede che la Resistenza palestinese “abbandoni le armi”, mentre precedenti indiscrezioni si riferivano specificamente alla rinuncia di Hamas alle “armi d’attacco”, un termine vago e indefinito.

Finora né Hamas né alcun altro partito all’interno della Resistenza Palestinese ha rilasciato una risposta formale. In precedenza tuttavia un alto funzionario di Hamas, Husam Badran, aveva dichiarato ad Al-Jazeera che l’ex Primo Ministro britannico Tony Blair – che si vociferava avrebbe avuto un ruolo in qualsiasi meccanismo di ricostruzione o di transizione – non era benvenuto a Gaza in nessuna circostanza.

Alla luce di tutto ciò ecco alcuni commenti iniziali sulla proposta e sulla sua capacità di soddisfare– o meno – le aspettative di Israele e della Resistenza Palestinese.

Il Buono

Per prima cosa Israele non occuperà né annetterà la Striscia di Gaza.

Se sia Washington che Tel Aviv fossero sinceri su questo punto, si tratterebbe di un risultato importante per la Resistenza palestinese. Fin dall’inizio del genocidio le organizzazioni palestinesi hanno ripetutamente affermato che non si permetterà a Israele di occupare un solo centimetro di Gaza.

Inoltre Netanyahu ha dichiarato innumerevoli volte che l’obiettivo finale di Israele è il controllo totale della Striscia e che non cederà su questo punto. Se il piano di Trump lo costringesse a farlo, questo segnerebbe una battuta d’arresto decisiva per gli obiettivi bellici di Israele.

In secondo luogo nessuno sarà costretto a lasciare Gaza e coloro che se ne andranno avranno il diritto di tornare.

Anche questo è un risultato notevole per i palestinesi, considerando che l’obiettivo a lungo termine di Israele è lo spopolamento di Gaza. Leader e funzionari israeliani hanno già apertamente e ripetutamente proposto il trasferimento di massa dei cittadini di Gaza in Egitto e in altri paesi.

I palestinesi sono ben consapevoli che una seconda Nakba distruggerebbe il loro progetto nazionale. Gaza è il cuore pulsante della resistenza palestinese; una pulizia etnica qui azzopperebbe il più ampio movimento di liberazione palestinese e consentirebbe a Israele di spostare completamente la sua attenzione sulla Cisgiordania. Impedire questo risultato è quindi un successo strategico.

In terzo luogo gli aiuti potranno entrare a Gaza senza ostacoli attraverso le Nazioni Unite e le sue agenzie affiliate.

Questo è un’altra importante conquista non solo per i palestinesi ma anche per la comunità internazionale, che ha costantemente respinto i tentativi di Stati Uniti e Israele di emarginare l’UNRWA e sostituirla con entità sospette come la cosiddetta Gaza Humanitarian Foundation (GHF).

Se questa proposta venisse attuata invertirebbe la campagna pluriennale di Israele contro l’UNRWA e riaffermerebbe la centralità delle Nazioni Unite nella fornitura di aiuti umanitari ai palestinesi.

Il Cattivo

Per prima cosa l’istituzione del Board of Peace [Consiglio di Pace], un nuovo organismo internazionale che supervisionerebbe la ricostruzione di Gaza. Secondo quanto riferito l’organismo sarebbe presieduto dallo stesso Trump con il coinvolgimento dell’ex primo ministro Blair [processato per crimini di guerra legati all’invasione dell’Iraq del 2003, ndt.], del genero di Trump Jared Kushner e dei partner regionali.

Dati i noti precedenti di Blair in Medio Oriente, il suo incrollabile sostegno a Israele e i suoi stretti legami con Netanyahu, un simile scenario distorcerebbe quasi certamente gli sforzi di ricostruzione a favore degli interessi israeliani e rafforzerebbe gli attori opportunisti all’interno di Gaza. Fonti locali hanno già espresso il timore che possano coinvolgersi reti criminali e uomini d’affari affiliati a figure di delinquenti come Yasser Abu Shabab [militante palestinese e leader delle Forze popolari, un gruppo armato anti-Hamas nella Striscia di Gaza autorizzato e finanziato da Israele, ndt.vedi Zeitun]

Questo è un punto spinoso e sarà difficile, se non impossibile, da valutare. Tecnicamente la Resistenza depone le armi in assenza di una guerra importante o di un’escalation militare, e le riprende – a parte poche eccezioni – solo quando Israele lanci una grave aggressione alla Striscia.

Poiché le fazioni palestinesi non operano apertamente né conservano le loro armi in arsenali pubblicamente noti non è chiaro come osservatori “indipendenti” possano anche solo iniziare a verificare un simile processo. In linea di principio tuttavia questa condizione darebbe a Netanyahu un pretesto per presentare la proposta come una vittoria, anche se niente fosse concretamente cambiato sul campo.

Terzo, l’ultimatum di 72 ore e il graduale ritiro israeliano.

Secondo la proposta i palestinesi devono rilasciare tutti i prigionieri israeliani entro 72 ore, senza alcuna garanzia che Israele rispetti i propri obblighi, tra cui il ritiro completo e il rilascio di migliaia di prigionieri palestinesi.

Data la lunga storia di violazioni degli accordi di cessate il fuoco da parte di Netanyahu, è altamente improbabile che la Resistenza accetti questa clausola alla lettera. Per loro, il rischio di cedere la loro merce di scambio più forte senza ricevere garanzie vincolanti sarebbe troppo grande.

Il Brutto

Il contesto generale rende la proposta ancora più dubbia. Il genocidio israeliano a Gaza è stato reso possibile – militarmente, politicamente e finanziariamente – da due successive amministrazioni statunitensi. Washington ha permesso a Israele di violare ripetutamente il cessate il fuoco di gennaio-marzo, rendendo inutili le garanzie statunitensi.

Inoltre gli Stati Uniti non sono riusciti a frenare l’escalation regionale di Israele. Israele ha esteso il conflitto a Libano, Yemen, Siria e Iran, senza alcuna reale resistenza da parte degli Stati Uniti, anzi con il loro totale sostegno.

Il 9 settembre gli Stati Uniti hanno persino permesso a Netanyahu di bombardare nella più totale impunità il loro più stretto alleato al di fuori della NATO, il Qatar, nonostante le forze americane fossero di stanza vicino all’area presa di mira da Israele.

In questo contesto è difficile considerare gli Stati Uniti come un garante neutrale e affidabile. Questa proposta potrebbe invece essere una manovra politica per ottenere attraverso la diplomazia ciò che Israele non è riuscito a ottenere militarmente: l’indebolimento o l’eliminazione della Resistenza palestinese.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Per la prima volta associazioni israeliane per i diritti umani affermano che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza e chiedono l’intervento internazionale

Nir Hasson

28 luglio 2025 – Haaretz

Un tentativo di genocidio in corso”: secondo i rapporti di B’Tselem e di Physicans for Human Rights – Israel l’attacco israeliano contro Gaza ha provocato “massicci e indiscriminati bombardamenti di centri abitati” e “mancanza di cibo per più di due milioni di persone come metodo di guerra” contro i palestinesi.

Lunedì le associazioni israeliane per i diritti umani B’Tselem e Physicians for Human Rights – Israel [Medici per i Diritti Umani – Israele] hanno pubblicato due rapporti secondo i quali nella Striscia di Gaza Israele sta commettendo contro i palestinesi il crimine di genocidio, come definito dalle leggi internazionali.

È la prima volta che associazioni per i diritti umani israeliane sostengono ufficialmente che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza. Le associazioni chiedono ora alla comunità internazionale di agire contro il governo israeliano per fermare queste atrocità.

Il rapporto di B’Tselem inizia con una forte condanna dell’attacco di Hamas del 7 ottobre contro Israele, notando che l’aggressione dell’organizzazione ha incluso numerosi crimini di guerra e probabilmente crimini contro l’umanità. Il rapporto afferma anche che la risposta di Israele è stata estremamente brutale, provocando indiscriminate uccisioni, distruzioni, espulsioni e privazione di cibo su vasta scala.

Secondo il rapporto di B’Tselem l’attacco israeliano ha provocato “massicci e indiscriminati bombardamenti di centri abitati” e “mancanza di cibo per più di due milioni di persone come metodo di guerra” contro i palestinesi.

Sostiene che gli attacchi israeliani contro Gaza hanno causato “uccisioni di massa, sia con attacchi diretti che attraverso la creazione di condizioni di vita catastrofiche che continuano a far crescere l’enorme bilancio di vittime; gravissimi danni fisici e mentali all’intera popolazione della Striscia; distruzioni su vasta scala di infrastrutture; distruzione del tessuto sociale, comprese le istituzioni educative e i siti culturali palestinesi.”

Secondo il rapporto Israele ha anche messo in pratica “arresti di massa e maltrattamenti di detenuti nelle prigioni israeliane, che sono di fatto diventate campi di tortura per migliaia di palestinesi detenuti senza processo,” così come “deportazioni di massa, compresi tentativi di pulizia etnica, diventata un obiettivo ufficiale della guerra; un attacco all’identità palestinese attraverso la distruzione deliberata di campi profughi e tentativi di sabotare l’United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees [UNRWA, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi, ndt.].”

“Le dichiarazioni di importanti governanti israeliani riguardo alla natura dell’attacco contro Gaza hanno manifestato intenzioni genocidarie,” aggiunge.

Il rapporto cita le affermazioni dell’ex-ministro della Difesa Yoav Gallant riguardo alla popolazione di Gaza come “animali umani”, la dichiarazione del primo ministro Benjamin Netanyahu del 28 ottobre 2023, secondo cui si tratta di una guerra contro “Amalec”, un riferimento alla vicenda biblica in cui Dio comanda agli israeliti di annichilire il popolo amalecita, così come affermazioni sul genocidio fatte da giornalisti e figure pubbliche.

Il rapporto conclude che l’insieme della situazione a Gaza e delle dichiarazioni di importanti politici israeliani porta “all’inequivocabile conclusione che Israele ha intrapreso azioni coordinate per distruggere intenzionalmente la società palestinese nella Striscia di Gaza … e sta commettendo un genocidio contro i palestinesi.”

Il rapporto di B’Tselem si basa su una serie di interviste con abitanti di Gaza e su rapporti di organizzazioni per i diritti umani, agenzie ONU, inchieste giornalistiche e opinioni di esperti internazionali. Riguardo ai dati sulle vittime il rapporto si basa sulle cifre del ministero della Sanità di Gaza gestito da Hamas.

Gli autori del rapporto notano che questi dati “sono universalmente considerati attendibili e sono stati adottati da numerose organizzazioni e ricercatori. Oltretutto sono generalmente considerati prudenziali rispetto al reale numero di vittime provocate dall’attacco (israeliano).”

Gli autori citano anche uno studio pubblicato a febbraio dalla rivista medica The Lancet, che ha rilevato come la speranza di vita durante il primo anno di guerra a Gaza sia caduta del 51% per gli uomini e del 38% per le donne, con l’età media di morte che ha raggiunto i 40 anni per gli uomini e i 47 per le donne.

Il rapporto include anche testimonianze estremamente strazianti di gazawi, compresa quella di una madre che ha visto i due figli e il marito schiacciati da un carrarmato, un padre che ha visto il figlio bruciato vivo e un paramedico che è stato obbligato ad abbandonare in un’ambulanza bombardata vari corpi, tra cui una donna e un neonato agonizzanti. Secondo il rapporto quando è tornato il giorno dopo il paramedico ha scoperto che cani randagi avevano mangiato parti dei cadaveri, ma il neonato era sopravvissuto.

Il rapporto include anche la testimonianza di Muhammad Ghrab, un abitante di Gaza City sfollato a Muwasi, a est di Khan Younis, nel sud della Striscia. In un racconto per B’Tselem Ghrab ha descritto un bombardamento aereo israeliano a cui ha assistito il 13 luglio 2024. L’attacco, che secondo Israele aveva preso di mira due importanti miliziani di Hamas, compreso Muhammed Deif [uno dei principali capi militari di Hamas, più volte preso di mira da Israele, ndt.], è consistito in due bombardamenti successivi ed è stato il più letale ad al-Mawasi durante quel periodo, uccidendo 90 gazawi e ferendone altri 300.

“Improvvisamente si è formato un anello di fuoco,” racconta Ghrab. “Il cielo era completamente coperto di nubi, polvere e terra. La gente ha iniziato a correre in ogni direzione […] Quando siamo entrati nelle tende rimaste in piedi abbiamo visto che erano piene di corpi, per lo più di donne e bambini.”

“Quello che abbiamo visto quel giorno, in quel momento, era come l’incarnazione della follia,” afferma. “Qualcosa di inconcepibile. Sembrava che pezzi di inferno fossero piovuti in terra. È davvero impossibile descriverlo. Mancano le parole. Non possono trasmettere gli orrori a cui abbiamo assistito. Quello che sto descrivendo è solo una piccola parte dell’orrore che è avvenuto […] Da quel giorno ho sempre paura. Continuo ad aspettarmi che le tende vengano bombardate e che io e la mia famiglia moriamo in un attacco simile.”

Gli autori del rapporto notano anche che l’alto numero di vittime a Gaza ha creato “la maggior crisi di orfani della storia contemporanea,” evidenziando che circa 40.000 minori hanno perso uno o entrambi i genitori e che il 41% delle famiglie ora si prende cura dei figli di altri.

Inoltre mettono in rapporto quelli che descrivono come atti genocidari di Israele a Gaza con l’incremento della violenza contro i palestinesi in Cisgiordania e persino all’interno di Israele, manifestando la profonda preoccupazione che il genocidio possa estendersi ad altre aree in cui vivono i palestinesi.

“Questo è il momento di salvare quelli che non sono ancora stati persi per sempre e usare ogni mezzo a disposizione in base al diritto internazionale per fermare il genocidio israeliano dei palestinesi,” conclude [il rapporto].

Un altro rapporto reso pubblico lunedì da Physicians for Human Rights –Israel presenta un’analisi giuridica degli aspetti dell’attacco israeliano contro Gaza relativi alla salute. Questo rapporto conclude che Israele sta commettendo il crimine di genocidio come definito dalla Convenzione per la Prevenzione e la Punizione del Crimine di Genocidio.

“Le prove dimostrano la deliberata e sistematica distruzione dei sistemi sanitari e vitali di Gaza attraverso attacchi mirati contro ospedali, intralcio al soccorso sanitario e alle evacuazioni e l’uccisione e detenzione di personale sanitario,” afferma il rapporto di PHRI.

Il rapporto aggiunge che le azioni di Israele “non sono connesse al conflitto ma parte di una politica deliberata che prende di mira i palestinesi come gruppo.”

PHRI identifica tre “azioni principali” che corrispondono ad altrettante azioni principali definite nella Convenzione sul Genocidio: “Uccidere membri di un gruppo, provocare loro gravi danni fisici e mentali e infliggere deliberatamente condizioni di vita concepite per determinare la distruzione parziale o totale del gruppo.”

“Nonostante sentenze legali internazionali, Israele non ha rispettato i suoi obblighi e la loro applicazione a livello internazionale rimane debole,” afferma il rapporto, aggiungendo che “PHRI sollecita le istituzioni internazionali e gli Stati a rispettare il loro obbligo di porre fine al genocidio in base all’Articolo 1 della Convenzione sul Genocidio.” Afferma che “l’organizzazione chiede anche alle comunità internazionali della salute e dei diritti umani di agire, in quanto la distruzione del sistema sanitario di Gaza non è solo una violazione delle leggi ma una catastrofe umanitaria che richiede un’urgente solidarietà e una risposta a livello mondiale.”

Finora numerose organizzazioni ed esperti di diritto hanno concluso che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza. Tra quanti sono giunti a questa conclusione ci sono Amnesty International, il Centro Europeo per i Diritti Umani, la Federazione Internazionale per i Diritti Umani e Medici Senza Frontiere. Anche Human Rights Watch ha affermato in un rapporto che Israele sta commettendo il crimine di sterminio che può rappresentare un genocidio.

Sono arrivati a queste conclusioni anche vari giuristi e studiosi di genocidio israeliani, compresi tra gli altri gli esperti in Olocausto e genocidio Daniel Blatman, Omar Bartov, Shmuel Lederman, Amos Goldberg e Raz Segal, il giurista Itamar Raz e gli storici Lee Mordechai e Adam Raz.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’ONU avverte che 14.000 bambini potrebbero morire se gli aiuti non dovessero entrare a Gaza in 48 ore

Redazione di MEMO

20 maggio 2025 – Middle East Monitor

Il responsabile del settore umanitario dell’ONU Tom Fletcher ha affermato oggi alla BBC che circa 14.000 bambini potrebbero morire a Gaza in 48 ore se gli aiuti non dovessero raggiungerli in tempo.

Sebbene Israele abbia detto che avrebbe permesso [l’ingresso] degli “aiuti di base” a Gaza, solo cinque camion sono entrati ieri nell’enclave, due dei quali trasportavano sudari per aiutare a seppellire i palestinesi uccisi dalle bombe israeliane. Altri erano [entrati] a Gaza, ma sono stati bloccati delle forze di occupazione e non hanno raggiunto i palestinesi. Questa è stata la prima consegna di aiuti dal 2 marzo, quando Israele ha completamente sigillato l’enclave.

Questa, ha spiegato Fletcher, è una “goccia nell’oceano” e totalmente inadeguata per la popolazione di oltre 2,3 milioni e per la quale non è stato permesso l’ingresso di alcun aiuto da 80 giorni.

Tonnellate di cibo sono bloccate al confine [di Gaza]” da Israele, ha affermato ieri Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Questo avviene solo qualche settimana dopo che l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA) ha avvisato che centinaia di migliaia di palestinesi mangiano un solo pasto al giorno ogni due o tre giorni a causa del devastante blocco israeliano.

In una intervista alla TV Al-Ghad il portavoce dell’UNRWA Adnan Abu Hasna ha affermato che “più di 66.000 minori a Gaza stanno soffrendo una grave malnutrizione.”

Secondo l’ONU Gaza ha bisogno di almeno 500 camion di aiuti al giorno per soddisfare i bisogni di base della popolazione.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




“Umiliante e doloroso”: testimonianze dalle evacuazioni di massa nella Cisgiordania settentrionale  

Qassam Muaddi  

11 febbraio 2025 Mondoweiss

L’evacuazione forzosa di oltre 40.000 persone nella Cisgiordania settentrionale sta riproponendo scene viste a Gaza e alimenta il timore di una pulizia etnica. “La cosa più importante è restare a casa nostra”, dice a Mondoweiss una residente del campo profughi di al-Far’a

Israele ha esteso la sua offensiva nella Cisgiordania settentrionale dal campo profughi di Jenin ai campi profughi di Nur Shams a Tulkarem e di al-Far’a a Tubas. Denominato “Operazione Muro di Ferro”, secondo una dichiarazione dell’UNRWA di lunedì, l’attacco israeliano è in corso da tre settimane, ha ucciso almeno 25 palestinesi ferendone oltre 100 e costringendo 40.000 persone a lasciare le loro case. “Lo sfollamento forzato delle comunità palestinesi nella Cisgiordania settentrionale sta aumentando a un ritmo allarmante”, ha affermato l’UNRWA. “L’uso di attacchi aerei, bulldozer blindati, esplosioni controllate e armi avanzate da parte delle forze israeliane è diventato una cosa normale, una ricaduta della guerra a Gaza”.

La settimana scorsa le forze israeliane hanno fatto esplodere 20 edifici residenziali nel campo profughi di Jenin, una delle più grandi demolizioni in Cisgiordania degli ultimi anni. I residenti locali e le fonti dei media hanno paragonato l’effetto della distruzione alla strategia della “cintura di fuoco” impiegata a Gaza da Israele, che prevede il bombardamento concentrato e ripetuto di piccole aree che distrugge interi isolati residenziali. L’offensiva di Israele in Cisgiordania è in corso da metà gennaio, di fatto l’invasione militare più lunga e di più ampia portata dalla Seconda Intifada. Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha affermato che l’offensiva si estenderà al resto della Cisgiordania con le invocazioni dei politici israeliani di estrema destra di trasferire la guerra da Gaza alla Cisgiordania prima di annetterla ufficialmente. Si prevede che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump farà presto un annuncio sulla possibilità che gli Stati Uniti sostengano una simile mossa.

“È stato umiliante e doloroso”

Come conseguenza i palestinesi della Cisgiordania hanno visto le loro vite paralizzate e sconvolte dalla repressione israeliana. Le chiusure e i blocchi stradali israeliani sono diventati una pratica quotidiana, rendendo gli spostamenti tra città e paesi carichi di incertezze per centinaia di migliaia di palestinesi. Questi fatti hanno trasformato la Cisgiordania in una zona di guerra, soprattutto nei campi profughi. “Prima di essere costretti a lasciare la nostra casa con mio marito e i miei figli abbiamo trascorso due giorni senza acqua, poiché le forze di occupazione hanno tagliato l’acqua all’intero campo”, ha detto a Mondoweiss Nehaya al-Jundi, residente del campo profughi di Nur Shams e direttrice del locale Centro di Riabilitazione per Disabili.

“I soldati dell’occupazione andavano di casa in casa e costringevano la gente ad andarsene, mentre io e la mia famiglia abbiamo aspettato due giorni che arrivasse il nostro turno”, ha continuato al-Jundi. “La mia vicina, Sundos Shalabi, incinta all’ottavo mese, ha deciso con suo marito di andarsene domenica per paura di dover partorire durante l’assedio del campo”. La straziante tragedia di Sundos Shalabi ha fatto notizia all’inizio di questa settimana. “Suo marito stava guidando sulla strada verso la città di Bal’a, appena fuori dal campo profughi, quando i soldati dell’occupazione hanno aperto il fuoco contro l’auto”, ha raccontato al-Jundi. “Lui è stato ferito e ha perso il controllo, quindi l’auto si è ribaltata e Sundos e il suo bambino non ancora nato sono rimasti entrambi uccisi. Suo marito è ancora in terapia intensiva nell’ospedale di Tulkarem”.

“Lunedì i soldati hanno demolito il muro esterno della mia casa, poi con gli altoparlanti hanno invitato tutti i residenti del quartiere ad andarsene”, ha continuato al-Jundi. “Ho preso un po’ di cose necessarie e qualche cambio di vestiti, poi abbiamo chiuso a chiave le porte di casa e ci siamo uniti agli altri residenti in strada, mentre i soldati dell’occupazione separavano gli uomini dalle donne”. “Ci hanno perquisito e interrogato, e ci hanno fatto andare dieci alla volta in una certa direzione”, ha ricordato. “Camminavamo per le strade piene di buche e distrutte in mezzo a pozze di acqua piovana. Alcuni inciampavano e cadevano, uomini e donne, bambini e anziani. Alcuni piangevano. È stato molto umiliante e doloroso”.

La cosa più importante è restare nella nostra casa”

Dopo aver bloccato per dieci giorni gli ingressi del campo profughi ad al-Far’a a Tubas l’esercito israeliano ha intensificato le sue operazioni. Martedì i residenti hanno riferito che le forze israeliane stavano iniziando a demolire negozi e case all’interno del campo.

Avevamo sperato che oggi l’occupazione si sarebbe ritirata dal campo, ma siamo rimasti senza parole nel vederli demolire e in alcuni casi far esplodere i negozi nelle strade interne, senza sosta dalla mattina”, ha detto martedì a Mondoweiss Lara Suboh, una residente di al-Far’a di circa venti anni.

Per dieci giorni non abbiamo avuto acqua, perché la prima cosa che hanno fatto le forze di occupazione è stata di far saltare le tubature dell’acqua e noi dipendiamo dalle cisterne di riserva idrica sui nostri tetti”, ha spiegato. “Alcune persone se ne sono andate subito perché hanno familiari malati o disabili, ma altre persone sono state costrette ad andarsene ieri. I soldati dell’occupazione hanno intimato loro di andarsene entro dieci minuti”.

“Nella nostra strada non l’hanno ancora fatto”, ha aggiunto. “Siamo in cinque in casa, con i miei due fratelli e entrambi i miei genitori. Stiamo sopravvivendo con il cibo che avevamo comprato prima che iniziasse l’assedio, sperando che l’offensiva finisse prima del nostro cibo e della nostra acqua. La cosa più importante per me è che restiamo nella nostra casa, anche se la distruggono e distruggono tutto il resto, possiamo ricostruirla più tardi. Ma non voglio che la mia famiglia e io veniamo sfollati”. In una dichiarazione di martedì il Comitato di Emergenza del campo profughi di al-Far’a ha detto che le forze israeliane hanno già sfollato 3.000 persone su una popolazione del campo di 9.000. A Tulkarem il Comitato di Emergenza del campo profughi di Nur Shams ha affermato che metà della popolazione del campo è stata sfollata e che le forze israeliane hanno distrutto completamente 200 case e “parzialmente” altre 120.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Cosa significa per milioni di palestinesi la messa al bando dell’UNRWA da parte di Israele: i numeri

Marium Ali e Mohamed A. Hussein

29 gennaio 2025 – Al Jazeera

Israele ordina all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA), pilastro degli aiuti umanitari per i palestinesi, di cessare le operazioni entro giovedì.

Diversi paesi hanno dichiarato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di “deplorare profondamente” la decisione del parlamento israeliano di “abolire” le operazioni dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est, che entrerà in vigore giovedì.

Belgio, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Slovenia e Spagna hanno condannato in una dichiarazione congiunta il ritiro di Israele dall’accordo del 1967 tra Israele e UNRWA, nonché ogni tentativo di ostacolare la capacità dell’agenzia di funzionare e adempiere al mandato assegnatole dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Philippe Lazzarini, commissario generale dell’UNRWA, ha dichiarato martedì al Consiglio di Sicurezza che il divieto “accrescerà l’instabilità ed esaspererà la disperazione nel territorio palestinese occupato in un momento critico”.

La Knesset approva le proposte di legge per fermare gli aiuti dell’UNRWA

Il parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato a ottobre due disegni di legge che prendono di mira le operazioni dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei rifugiati palestinesi nel vicino oriente.

Il primo vieta all’UNRWA di condurre attività all’interno dei confini di Israele, mentre il secondo rende illegale per i funzionari israeliani avere qualsiasi contatto con l’UNRWA. La legge entrerà in vigore giovedì[30 gennaio ndt].

Juliette Touma, portavoce dell’UNRWA, ha espresso preoccupazione per le possibili conseguenze del divieto, dichiarando ad Al Jazeera: “Se il divieto entrerà in vigore e non saremo in grado di operare a Gaza, il cessate il fuoco, che include anche l’ingresso di forniture umanitarie per l’agenzia e per le persone bisognose, potrebbe crollare”.

La prima fase del cessate il fuoco, iniziata il 19 gennaio, prevede un aumento degli aiuti nell’enclave fino a 600 camion al giorno.

Il divieto di Israele renderebbe impossibile per l’agenzia ottenere permessi di ingresso per operare in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza – entrambe sotto controllo israeliano – di fatto paralizzando la capacità dell’agenzia di adempiere al suo mandato.

Cos’è l’UNRWA e dove opera?

L’UNRWA è stata istituita dall’Assemblea Generale nel 1949 per fornire assistenza umanitaria a 750.000 rifugiati palestinesi sfollati dalle loro terre durante la creazione di Israele nel 1948, un evento noto ai palestinesi come la Nakba, o “catastrofe”.

L’organizzazione – che impiega 30.000 dipendenti, principalmente rifugiati palestinesi insieme a un piccolo numero di dipendenti internazionali – fornisce soccorso di emergenza, istruzione, assistenza sanitaria e servizi sociali ad almeno 5,9 milioni di palestinesi in Palestina e nei paesi vicini.

L’UNRWA gestisce 58 campi profughi, tra cui:

  • Cisgiordania: 19 campi che ospitano 912.879 rifugiati registrati;

  • Gaza: 8 campi che ospitano 1,6 milioni di persone;

  • Giordania: 10 campi con 2,39 milioni di persone;

  • Libano: 12 campi, in cui risiedono 489.292 persone;

  • Siria: 9 campi con 438.000 persone.

Il ruolo dell’UNRWA a Gaza e in Cisgiordania

Per generazioni, l’UNRWA è stata il principale fornitore di servizi sanitari ed educativi per milioni di palestinesi che vivono sotto l’occupazione israeliana a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est occupata.

Secondo Lazzarini: “Il divieto paralizzerebbe l’intervento umanitario a Gaza e priverebbe milioni di rifugiati palestinesi dei servizi essenziali in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est. Eliminerebbe anche uno scomodo testimone delle innumerevoli atrocità e ingiustizie che i palestinesi hanno subito per decenni”.

In Palestina, l’UNRWA offre istruzione primaria e secondaria gratuita a più di 300.000 bambini, tra cui:

  • 294.086 bambini a Gaza, ovvero la metà di tutti gli studenti dell’enclave;

  • 46.022 bambini in Cisgiordania.

L’UNRWA offre anche assistenza sanitaria primaria gratuita, servizi di salute materna e infantile a:

  • 1,2 milioni di persone a Gaza – più della metà della popolazione;

  • 894.951 persone in Cisgiordania.

Inoltre, l’UNRWA fornisce cibo a:

  • 1,13 milioni di persone a Gaza, ovvero la metà della popolazione;

  • 23.903 persone in Cisgiordania.

L’UNRWA svolge anche un ruolo cruciale nel fornire opportunità di lavoro, programmi di microfinanza e sostegno per iniziative generatrici di reddito.

Colonna portante delle operazioni umanitarie” a Gaza

Tra le regioni sotto il mandato dell’UNRWA, la Striscia di Gaza, con una popolazione di 2,3 milioni di persone, ha la più alta dipendenza dai servizi dell’agenzia per la sopravvivenza.

Mentre altre organizzazioni delle Nazioni Unite come UNICEF, l’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari, il Programma Alimentare Mondiale e l’Organizzazione Mondiale della Sanità forniscono tutte servizi essenziali per la vita, l’UNRWA è la “colonna portante delle operazioni umanitarie” a Gaza, ha dichiarato Touma ad Al Jazeera.

“Tutte le agenzie delle Nazioni Unite dipendono fortemente dall’UNRWA per le operazioni umanitarie, compreso l’ingresso di forniture e carburante. Siamo la più grande agenzia umanitaria a Gaza”, ha detto ad Al Jazeera.

A gennaio 2024 le autorità israeliane hanno accusato i dipendenti dell’UNRWA di aver partecipato agli attacchi del 7 ottobre 2023 guidati da Hamas nel sud di Israele. Ciò ha portato diversi paesi a tagliare i finanziamenti all’organizzazione.

Tuttavia, dopo un’indagine delle Nazioni Unite e il licenziamento di nove dipendenti, tutti i donatori tranne Stati Uniti e Svezia hanno ripreso i finanziamenti.

Da quando Israele ha iniziato il suo genocidio contro i palestinesi a Gaza, il suo esercito ha ucciso almeno 47.354 persone e ne ha ferite almeno 111.563. Coloro che sono sopravvissuti al conflitto hanno perso quasi tutto.

Durante i 15 mesi di guerra, l’UNRWA ha fornito:

  • assistenza alimentare: cibo distribuito a 1,9 milioni di persone che soffrono la fame estrema;

  • assistenza sanitaria: consultazioni sanitarie primarie a 1,6 milioni di individui;

  • supporto psicologico: sostegno psicologico e psicosociale a 730.000 persone;

  • acqua: accesso all’acqua pulita per 600.000 persone;

  • gestione dei rifiuti: raccolta di oltre 10.000 tonnellate di rifiuti solidi dai campi.

Secondo un rapporto dell’UNRWA, 272 membri del personale UNRWA sono stati uccisi in 665 attacchi israeliani e 205 strutture dell’UNRWA sono state danneggiate.

Cosa succederà una volta che il divieto entrerà in vigore?

Nonostante il divieto di Israele e l’ambiente di lavoro già ostile, Lazzarini ha ribadito l’impegno dell’UNRWA a “rimanere e fare il proprio dovere”.

La prima legge approvata dalla Knesset vieta qualsiasi presenza o attività dell’UNRWA all’interno di Israele, colpendo direttamente centinaia di migliaia di palestinesi a Gerusalemme Est occupata, che Israele ha annesso nel 1980 in violazione del diritto internazionale.

“Poi c’è una seconda legge, che impedisce qualsiasi contatto tra funzionari israeliani e funzionari dell’UNRWA. La legge non dice di fermare l’attività in Cisgiordania o a Gaza, ma impedisce qualsiasi contatto – però il fatto è che se non hai relazioni burocratiche o amministrative, il tuo ambiente operativo risulta ancora più difficile”, ha detto Lazzarini.

Il divieto limiterà anche il movimento del personale non palestinese dell’UNRWA, anche se i dipendenti palestinesi saranno ancora autorizzati a svolgere il loro lavoro.

“L’agenzia rimane determinata a fare tutto il possibile per adempiere al suo mandato e fornire servizi critici per alleviare le sofferenze dei rifugiati palestinesi”, ha sottolineato Lazzarini.

I principali donatori dell’UNRWA

Nel 2023, l’UNRWA ha ricevuto 1,46 miliardi di dollari in stanziamenti totali, con i maggiori contributi provenienti da Stati Uniti (422 milioni di dollari), Germania (212,9 milioni di dollari) e Unione Europea (120,2 milioni di dollari).

Esigenze di finanziamento per il 2025

L’UNRWA afferma di aver bisogno di 1,7 miliardi di dollari per affrontare le esigenze umanitarie più critiche di 1,9 milioni di persone a Gaza e 275.000 persone in Cisgiordania e Gerusalemme Est.

Tale cifra comprende:

  • cibo (568,5 milioni di dollari): quasi la metà della popolazione di Gaza dipende dagli aiuti alimentari dell’UNRWA. Questo finanziamento sosterrà la distribuzione di cibo a 1,13 milioni di persone a Gaza e oltre 23.000 persone in Cisgiordania.

  • Acqua e servizi igienici (282,6 milioni di dollari): questi fondi andranno a garantire l’accesso all’acqua pulita e a servizi igienici adeguati, specialmente a Gaza, dove la guerra ha devastato le infrastrutture idriche.

  • Coordinamento e gestione (202,3 milioni di dollari): sono necessari fondi per mantenere il personale, la logistica e il coordinamento per fornire aiuti in modo efficace.

I finanziamenti sono essenziali per sostenere le operazioni salvavita dell’UNRWA. Senza di essi, potrebbero venire meno servizi critici come gli aiuti alimentari, l’assistenza sanitaria e l’accesso all’acqua, aggravando la crisi umanitaria.

(traduzione dall’inglese di Giacomo Coggiola)




Rapporto Human Right Watch – un picco del 300% di aborti spontanei: non ci sono gravidanze sicure a Gaza finché l’assalto israeliano continua

Redazione di MEMO

29 gennaio 2025 – Middle East Monitor

Un rapporto accusatorio pubblicato ieri dalla ong Human Rights Watch (HRW) rivela il catastrofico impatto dell’offensiva militare israeliana sulle donne incinte e sui neonati a Gaza, documentando gravi carenze di cure mediche, allarmanti incrementi di aborti spontanei e condizioni devastanti per i parti.

Il rapporto di 50 pagine, intitolato “Cinque neonati in una incubatrice: violazioni dei diritti delle donne incinte durante l’assalto israeliano a Gaza”, evidenzia come l’assedio israeliano e gli attacchi alle strutture sanitarie abbiano creato delle condizioni potenzialmente letali per le donne durante la gravidanza e il parto.

Dall’inizio delle ostilità a Gaza le donne e le ragazze stanno affrontando la gravidanza in mancanza di assistenza sanitaria di base, misure igieniche, acqua e cibo” ha affermato Belkis Wille, il direttore associato per le crisi, i conflitti e le armi di Human Right Watch. “Esse e i loro neonati sono a rischio costante di una morte evitabile.”

Il rapporto dipinge un quadro fosco dell’assistenza sanitaria alla maternità al collasso. Solo 7 sui 18 ospedali parzialmente funzionanti possono adesso fornire cure ostetriche di emergenza, contro le 20 strutture presenti prima del 7 ottobre 2023. In alcuni casi i dottori sono obbligati a mettere fino a cinque neonati prematuri in una sola incubatrice a causa della grave carenza di apparecchiature mediche.

La situazione ha portato ad un drammatico aumento di complicanze durante la gravidanza. Secondo gli esperti di salute delle donne in gravidanza citati nel rapporto dal 7 ottobre 2023 il tasso degli aborti spontanei è cresciuto del 300%. Un sondaggio ONU fra le donne ha evidenziato che il 68% delle donne incinte ha sperimentato complicanze, con il 92% che ha riportato infezioni del tratto urinario e il 76% che ha sofferto di anemia.

Le terribili condizioni hanno obbligato gli ospedali a dimettere le donne poche ore dopo il parto. “Io ero esausta e non potevo camminare,” ha detto una madre ad HRW dopo essere stata dimessa solo quattro ore dopo il parto. “Tenevo in braccio il neonato e con mio marito e altri tre figli abbiamo dovuto cercare qualcuno che ci portasse [in macchina].”

Il rapporto evidenzia anche il devastante impatto della malnutrizione, con oltre 48.000 donne incinte che hanno sperimentato emergenze e una catastrofica mancanza di cibo sino a dicembre 2024. Il Fondo per la Popolazione dell’ONU (UNICEF) ha riportato che da dicembre inoltrato 8 bambini e neonati sono morti per ipotermia a causa della mancanza di un semplice riparo.

HRW ha osservato che a ottobre la Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] ha approvato due leggi entrate in vigore nel gennaio 2025 che minacciano di aggravare ulteriormente le condizioni di salute delle mamme e dei neonati. Queste nuove leggi vietano all’Agenzia ONU per il Soccorso e il Lavoro per i Rifugiati Palestinesi nel Medio Oriente [United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA)] di operare in Israele e a Gerusalemme Est occupata e vietano al governo dello Stato occupante di mantenere rapporti con l’UNRWA, cosa che renderebbe impossibile all’agenzia ONU di fornire aiuto nella Cisgiordania occupata o a Gaza o di ottenere permessi o visti per il proprio personale.

Israele ha inoltre ordinato all’UNRWA di lasciare tutte le sedi a Gerusalemme Est occupata e di interrompere le sue attività entro domani. L’UNRWA fornisce acqua, cibo, rifugio e altri servizi vitali a centinaia di migliaia di palestinesi a Gaza, incluse donne incinte, madri che allattano e neonati.

HRW ha chiesto agli alleati di Israele, inclusi gli USA, di effettuare azioni immediate per porre fine a queste violazioni. L’ONG ha sollecitato i governi a interrompere l’assistenza militare e a fare pressione su Israele per garantire che siano soddisfatti i bisogni delle donne incinte, dei neonati e di quanti hanno bisogno di cure mediche.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




“Cinque neonati in una incubatrice”: HRW sul pericolo per le donne incinte e i neonati a Gaza

Redazione di Al Jazeera

28 gennaio 2025- Al Jazeera

Human Rights Watch denuncia che Israele viola i diritti delle ragazze e delle donne incinte, senza che si intraveda la fine di questi crimini.

In un nuovo rapporto pubblicato martedì Human Rights Watch (HRW) afferma che i 15 mesi di guerra di Israele contro Gaza, così come le severe restrizioni imposte al flusso di aiuti umanitari, gli attacchi delle forze israeliane alle strutture sanitarie e gli attacchi contro gli operatori sanitari hanno portato a un “pericolo mortale” per le donne incinte e i neonati. Nonostante il cessate il fuoco in corso, è improbabile che le condizioni precarie in cui le donne a Gaza partoriscono migliorino, poiché si prevede che la legislazione israeliana che entrerà in vigore questa settimana e che prende di mira l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) limiterà gravemente la consegna di aiuti umanitari al territorio devastato.

L’organizzazione denuncia che le donne di Gaza sono state portate via in tutta fretta dagli ospedali sovraffollati, a volte a poche ore dal parto, per fare spazio alle vittime di guerra. Anche l’assistenza neonatale è stata gravemente colpita: un medico della clinica ostetrica al-Helal al-Emirati di Rafah afferma che la struttura ha così poche incubatrici e così tanti neonati prematuri che i dottori sono stati costretti a mettere “quattro o cinque neonati in un’unica incubatrice”.

“La maggior parte di loro non sopravvive”, ha aggiunto il medico. Diversi neonati sono morti per la mancanza di riparo a causa delle temperature gelide.

Nel rapporto di 56 pagine HRW conclude che Israele, in quanto potenza occupante a Gaza, ha violato i diritti delle ragazze e delle donne incinte, tra cui il diritto a cure dignitose durante la gravidanza, il parto e il periodo post-parto, nonché il diritto all’assistenza neonatale.

L’organizzazione ha anche sottolineato che due leggi approvate dalla Knesset israeliana l’anno scorso e in vigore da martedì minacciano di “aggravare ulteriormente il danno alla salute materna e neonatale”. Le leggi, che vietano all’UNRWA di operare in Israele e nella Gerusalemme Est occupata e al governo israeliano di avere rapporti con l’agenzia, rendono di fatto impossibile all’UNRWA ottenere permessi per il suo personale e consegnare gli aiuti tanto necessari a Gaza.

Belkis Wille, direttore associato di HRW per le crisi, i conflitti e l’uso delle armi, ha detto ad Al Jazeera che “anche se il cessate il fuoco potrebbe fornire un’opportunità per iniziare a ripristinare il sistema sanitario di Gaza, a causa delle leggi che vietano le operazioni dell’UNRWA appena entrate in vigore la realtà è che le prossime settimane potrebbero portare le donne incinte e i neonati a soffrire ancora di più di quanto sia già avvenuto.” Wille ha aggiunto: “Le disposizioni del cessate il fuoco non affrontano realmente nessuna delle necessità significative delineate nel rapporto.”

Secondo il rapporto a partire da questo mese l’assistenza ostetrica e neonatale di emergenza è disponibile solo in sette dei 18 ospedali parzialmente funzionanti di Gaza, in quattro degli 11 ospedali da campo e in un centro sanitario di comunità. Tutte le strutture mediche che operano a Gaza affrontano “condizioni antigieniche e sovraffollate” e gravi carenze di forniture sanitarie essenziali, tra cui medicinali e vaccini. Gli operatori sanitari, “affamati, oberati di lavoro e talvolta sotto attacco militare”, si stanno prodigando allo stremo per prendersi cura delle vittime degli attacchi e affrontano allo stesso tempo innumerevoli casi di malattie dovute all’acqua e infettive, aggiunge il rapporto.

HRW ha condotto a Gaza durante la guerra interviste con donne incinte, operatori sanitari gazawi e personale medico internazionale che lavora con organizzazioni umanitarie internazionali e agenzie che gestiscono equipe mediche a Gaza. Le interviste dipingono un quadro orribile dell’impatto della guerra sull’accesso alle cure di base durante la gravidanza e il parto.

Sono disponibili poche informazioni sul tasso di sopravvivenza dei neonati o sul numero di donne che hanno avuto gravi complicanze o sono morte durante la gravidanza, il parto o il post-parto, nota HRW. Ma l’organizzazione fa riferimento alla testimonianza di esperti di salute riproduttiva che hanno riferito che il tasso di aborto spontaneo a Gaza è aumentato fino al 300% dall’inizio della guerra il 7 ottobre 2023. Ha anche fatto riferimento ai rapporti delle Nazioni Unite secondo cui almeno otto neonati e bambini sono morti per ipotermia a causa della mancanza di un riparo sufficiente.

La guerra di Israele ha portato a uno sfollamento senza precedenti di circa il 90% degli abitanti di Gaza, molti dei quali sono stati costretti a fuggire più volte. Ciò ha reso impossibile per le donne incinte accedere in sicurezza ai servizi sanitari, ha rilevato il rapporto, notando che madri e neonati non hanno avuto quasi nessun accesso alle cure postnatali. Verso la fine dell’anno scorso Human Rights Watch ha concluso in un altro rapporto che Israele stava commettendo “atti di genocidio” negando acqua pulita ai palestinesi di Gaza. Ha anche denunciato che l’uso da parte di Israele della “fame come metodo di guerra” ha portato a una grave insicurezza alimentare.

Le donne incinte sono state particolarmente colpite dalla mancanza di accesso a cibo e acqua, con conseguenze critiche per la loro salute e per lo sviluppo fetale. Molte donne incinte hanno segnalato disidratazione o impossibilità di lavarsi, afferma il rapporto. “Le palesi e ripetute violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani da parte delle autorità israeliane a Gaza hanno avuto un impatto particolarmente acuto sulle ragazze e donne incinte e sui neonati”, afferma Wille. “Il cessate il fuoco da solo non porrà fine a queste condizioni orribili. I governi dovrebbero fare pressione su Israele affinché garantisca urgentemente che le esigenze delle ragazze e delle donne incinte, dei neonati e di altri che necessitano di assistenza sanitaria siano soddisfatte”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Perché l’UE non divorzierà da Israele

David Cronin

7 novembre 2024The Electronic Intifada

Ora che il suo mandato come responsabile della politica estera dell’Unione Europea sta per concludersi Joseph Borrell si sta trasformando in Mister Rabbia. In un commento recente ha sostenuto che è “giunto il momento” di porre fine all'”occupazione illegale” della Cisgiordania e di Gaza.

Borrell non ha nulla da perdere nell’essere schietto e preciso.

<<La situazione a Gaza e nei Territori Occupati peggiora di ora in ora, con sofferenze insopportabili per i civili. Nessuno sembra essere in grado o disposto a fermarla.

I coloni violenti seminano distruzione, gli ospedali sono assediati, le attività dell’UNRWA sono sempre più a rischio.>>

Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) 4 novembre 2024

Non c’è alcuna prospettiva di una rapida riconciliazione tra lui e il governo israeliano, che ha infondatamente diffamato Borrell come antisemita. E se qualcuno si lamenta di come lui definisca l’occupazione “illegale”, Borrell può fare riferimento a una sentenza emessa dalla Corte Internazionale di Giustizia a luglio.

Tuttavia occorrerà più di qualche aspro commento per compensare il modo in cui Borrell ha favorito relazioni più strette con Israele durante gran parte del suo mandato quinquennale.

Ha ottenuto un certo successo in tal senso. Nel 2022 è stato risuscitato il Consiglio di Associazione UE-Israele, un forum di dialogo di alto livello, dopo essere stato messo in naftalina per un decennio.

Né la rabbia di Borrell dovrebbe nascondere il modo in cui la burocrazia di Bruxelles ha continuato a fare affari con Israele mentre massacra persone a Gaza e in Libano.

Il mese scorso l’UE ha annunciato che avrebbe dato un marchio di missione” a Eilat, una città in Israele. Il marchio – che dovrebbe aiutare le autorità locali ad avere un maggiore accesso ai finanziamenti – premia i piani volti a raggiungere la “neutralità climatica”.

Elogiare un’istituzione israeliana per la “neutralità climatica” è uno scherzo di cattivo gusto considerando che la guerra contro Gaza è stata un disastro ambientale. Secondo una stima la quantità di carbonio rilasciata durante i primi 120 giorni ha superato quella che 26 paesi poco inquinanti emetterebbero in un anno intero.

Grossolana incoerenza

Un altro esempio di grossolana incoerenza può essere il modo in cui l’UE ha recentemente approvato una sovvenzione per la ricerca scientifica per un progetto sulla pancreatite gestito dall’Università Ebraica di Gerusalemme.

La sovvenzione è stata firmata il 21 ottobre, solo pochi giorni dopo che Israele ha attaccato due dei tre ospedali ancora funzionanti (anche se a malapena) nel nord di Gaza.

Perché l’UE è pronta a sostenere progetti medici israeliani nello stesso momento in cui Israele sta annientando il sistema sanitario palestinese?

Un indizio può essere trovato in un documento informativo interno all’UE che ho ottenuto tramite una richiesta di accesso alle informazioni. Risale al dicembre 2021 e sostiene che la partecipazione di Israele a Horizon Europe, il programma scientifico dell’UE, è preziosa.

“Come UE noi beneficiamo dell’eccellenza, della capacità di innovazione di prim’ordine di Israele nelle nostre aree prioritarie chiave (verde, digitale, salute pubblica), nonché di un sostanziale contributo finanziario”, afferma.

Il contributo finanziario era “molto importante” all’epoca “vista l’incertezza” sul coinvolgimento della Gran Bretagna in Horizon Europe, aggiunge il documento (vedi sotto).

Queste poche frasi sono rivelatrici. I paesi che prendono parte a Horizon Europe da fuori UE pagano per farlo.

Dopo che la Gran Bretagna ha lasciato l’Unione Europea nel 2020 non è più stata coinvolta nelle attività di ricerca dell’UE per alcuni anni.

La Gran Bretagna alla fine è entrata a far parte di Horizon Europe nel gennaio 2024. Durante la sua assenza, alcuni addetti ai lavori di Bruxelles hanno evidentemente visto Israele come sostituto della Gran Bretagna, almeno per quanto riguarda il programma di ricerca, un cardine della spesa dell’UE.

Josep Borrell è il secondo spagnolo a ricoprire la carica di capo della politica estera dell’UE.

Quando il suo connazionale Javier Solana stava per concludere il suo mandato in quel ruolo ha definito Israele “un membro dell’Unione Europea senza esserne membro istituzionale”.

Nell’ottobre 2009 Solana ha definito la cooperazione nella ricerca scientifica con Israele come “molto importante”.

Da allora gli addetti ai lavori dell’UE hanno continuato a sostenere lo stesso argomento.

Per parecchie persone a Bruxelles la relazione con Israele è considerata una specie di matrimonio. Non importa a quale barbarie si riduca Israele, la gerarchia dell’UE non osa pensare a un divorzio.

(traduzione dall’ inglese di Giuseppe Ponsetti)




Perché Israele ha messo fuori legge l’UNRWA e cosa questo potrebbe significare per i rifugiati palestinesi

Qassam Muaddi  

29 ottobre 2024 Mondoweiss 

Israele ha vietato il lavoro dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi come parte di una campagna in corso per cancellare i diritti dei rifugiati palestinesi. Il commissario generale dell’UNRWA ha affermato che la legge sacrificherà “un’intera generazione di bambini”.

Lunedì 28 ottobre la Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato un disegno di legge che mette al bando ed espelle l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e il Lavoro dei rifugiati palestinesi (UNRWA) da Israele e da Gerusalemme Est. Il disegno di legge è stato presentato da due membri della Knesset, Dan Illouz, nato in Canada, del partito Likud [il partito di Netanyahu, ndt.], e Yulia Malinovski, nata in Ucraina, del partito Yisrael Beiteinu [partito nazionalista di destra, ndt.]. Era stato approvato in prima battuta dalla Commissione per la Sicurezza e gli Affari Esteri della Knesset a metà ottobre. La Knesset, che conta 120 seggi, lunedì ha votato il disegno di legge in scrutinio finale con una schiacciante maggioranza di 92 voti a favore e solo 10 contrari, trasformandolo in legge. Dovrebbe entrare in vigore tra 90 giorni.

La legge proibisce tutte le attività dell’UNRWA, incluso il provvedere servizi essenziali ai rifugiati palestinesi. Vieta inoltre a tutti i funzionari israeliani di comunicare con l’UNRWA, ordina la chiusura dei suoi uffici e revoca tutte le esenzioni fiscali, lo status diplomatico e i visti d’ingresso all’UNRWA e al suo personale. La legge proibisce specificamente le attività dell’UNRWA “nel territorio di Israele”. Le attività dell’UNRWA sono principalmente in Cisgiordania e a Gaza, e i suoi uffici principali sono a Gerusalemme Est, tutti luoghi che secondo il diritto internazionale non fanno parte del territorio di Israele. Tuttavia Israele ha annesso Gerusalemme Est nel 1981, il che rende la legge applicabile agli uffici e alle strutture dell’UNRWA che sono lì.

Comunque Israele controlla effettivamente anche la Cisgiordania e Gaza e tratta la Cisgiordania come parte del suo territorio, sebbene non l’abbia ancora ufficialmente annessa. In altre parole, cosa significhi questa legge per le principali attività dell’UNRWA in queste aree resta poco chiaro. “Se Israele decidesse di applicare questa legge in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza significherebbe che più di 2,9 milioni di palestinesi in circa 30 campi profughi non avrebbero più scuole, assistenza medica, raccolta dei rifiuti e altri servizi municipali”, ha detto a Mondoweiss Lubna Shomali, direttrice di BADIL, Centro Risorse per la Residenza Palestinese e i Diritti dei Rifugiati.

Poiché Israele continua la sua campagna per spopolare forzatamente la parte settentrionale di Gaza, e i suoi leader chiedono apertamente l’annessione ufficiale della Cisgiordania, è plausibile che Israele possa applicare il suo bando dell’UNRWA anche in quelle aree. Questa decisione porrebbe fine a gran parte del lavoro dell’UNRWA e ai servizi che ha fornito per 76 anni, e metterebbe a rischio milioni di rifugiati palestinesi.

La campagna israeliana contro l’UNRWA

La legge arriva dopo mesi di sforzi israeliani per screditare l’UNRWA, tra cui l’accusa che 12 dei suoi dipendenti avrebbero partecipato agli attacchi del 7 ottobre. Il comitato indipendente delle Nazioni Unite che ha esaminato le accuse di Israele e il capo degli affari umanitari dell’UE hanno rilevato che Israele non ha fornito alcuna prova a sostegno delle sue accuse. Tuttavia Israele ha comunque esercitato pressioni diplomatiche sui paesi membri delle Nazioni Unite affinché tagliassero i fondi all’UNRWA.

La campagna contro l’UNRWA ha toccato anche gli Stati Uniti. Nel 2018 l’amministrazione Trump ha ufficialmente tagliato i fondi statunitensi all’UNRWA come parte di una serie di mosse che hanno preso di mira elementi fondamentali della causa palestinese, tra cui il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, il riconoscimento degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e il riconoscimento dell’annessione da parte di Israele delle alture del Golan siriane occupate, tutto in contraddizione con il diritto internazionale e le antiche posizioni degli Stati Uniti. L’amministrazione Biden ha ripristinato parte dei finanziamenti tagliati da Trump ma non li ha riportati al livello precedente. Gli attacchi all’UNRWA durante l’amministrazione Trump sono apparsi come un tentativo di indebolire il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi. Gli Stati Uniti hanno ripreso le affermazioni israeliane secondo cui i rifugiati palestinesi ottengono il loro status di rifugiati dall’UNRWA e quindi l’eliminazione dell’Agenzia annullerebbe anche quei diritti.

“Lo status di rifugiati è indipendente dall’esistenza dell’UNRWA e, secondo il diritto internazionale, dà ai rifugiati il ​​diritto di scegliere tra ritorno, reinsediamento o integrazione, ma finché non esercitano la libertà di scelta il loro status rimane valido e hanno diritto all’assistenza umanitaria, e questo vale per tutti i rifugiati nel mondo”, ha spiegato Shomali di BADIL a Mondoweiss. “Questo diritto è collettivo per tutti i rifugiati palestinesi perché, nel caso dei palestinesi, è collegato al loro diritto nazionale all’autodeterminazione. Ma è anche un diritto umano individuale e fondamentale che nessun compromesso politico da parte di alcuna autorità può annullare. L’UNRWA rappresenta il riconoscimento internazionale di questa realtà legale e politica, ed è per questo che Israele cerca da tanto tempo di liquidare l’UNRWA “, ha sottolineato.

In reazione al voto della Knesset il commissario generale dell’UNRWA Philippe Lazzarini ha inviato una lettera al presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Philemon Yang, chiedendo all’Assemblea di intervenire per fermare l’applicazione della legge. La lettera segnala che la legge avrebbe un impatto “pericoloso” sugli sforzi umanitari a Gaza, dove tutta la popolazione è stata sfollata e dipende dagli aiuti umanitari.

Lazzarini ha aggiunto che la situazione a Gaza è “oltre il linguaggio diplomatico”, notando che “nessun’entità altro che l’UNRWA può fornire istruzione a 660.000 ragazzi e ragazze. Un’intera generazione di bambini sarebbe sacrificata”.

In precedenza Lazzarini aveva scritto sul suo account X che la legge israeliana non è altro che una “punizione collettiva”, aggiungendo che porre fine ai servizi dell’UNRWA “non priverà i palestinesi del loro status di rifugiati”, che è protetto dalla risoluzione 194 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvata nel 1949, in cui si afferma che i rifugiati palestinesi hanno diritto al ritorno e al risarcimento.

L’UNRWA sul campo

L’UNRWA lavora attualmente in 58 campi profughi palestinesi riconosciuti nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania, in Giordania, in Siria e in Libano, servendo oltre 5,9 milioni di rifugiati palestinesi. I servizi dell’UNRWA includono 706 scuole, che provvedono istruzione elementare, media e in alcuni casi superiore a oltre 660.000 bambini e adolescenti. L’UNRWA gestisce anche 147 centri medici, con una media di sette visite mediche a persona ogni anno. Questi centri offrono medicine di base a basso costo e gratuite ai residenti di basso reddito dei campi profughi. A Gaza l’UNRWA è la più grande organizzazione di assistenza umanitaria, dato che il 78% della popolazione di Gaza è composta da rifugiati del 1948 e dai loro discendenti. Durante il genocidio israeliano in corso l’agenzia ha svolto un ruolo centrale negli sforzi umanitari per assistere la popolazione di Gaza, che è stata quasi interamente sfollata; molti degli sfollati sono diventati rifugiati per la terza volta nella loro vita.

Negli ultimi mesi l’ONU ha lanciato una campagna di vaccinazione di massa dei bambini contro la diffusione della poliomielite, che ha avuto una virulenta recrudescenza a Gaza durante il genocidio in corso a causa della distruzione dei sistemi sanitari da parte di Israele. Sebbene la campagna sia stata pianificata e gestita dall’UNICEF e dall’OMS, l’esecuzione logistica della campagna è stata principalmente realizzata dagli oltre 1.200 dipendenti dell’UNRWA a Gaza, poiché l’agenzia ha il maggior numero di dipendenti ONU nella Striscia. Martedì l’UNICEF ha affermato in una dichiarazione che il bando dell’UNRWA da parte della legge israeliana appena approvata potrebbe causare “il collasso del sistema umanitario” a Gaza e mettere a rischio la vita di un gran numero di bambini.

Lunedì il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha invitato Israele ad “agire in modo coerente con i suoi obblighi ai sensi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale”, aggiungendo che “la legislazione nazionale non può alterare tali obblighi”. Amnesty International ha affermato in una dichiarazione che la legge israeliana equivale alla “criminalizzazione degli aiuti umanitari” e sabato 52 organizzazioni umanitarie internazionali hanno firmato un “appello globale per salvare l’UNRWA”. L’appello ha sottolineato che le azioni di Israele contro l’Agenzia, tra cui il voto del disegno di legge anti-UNRWA, sono “parte della strategia più ampia del governo di Israele per delegittimare l’UNRWA, screditare il suo sostegno ai rifugiati palestinesi e minare il quadro giuridico internazionale che protegge i loro diritti, incluso il diritto al ritorno”, aggiungendo che “se approvate, queste leggi avranno un impatto grave non solo sulle operazioni dell’UNRWA ma anche sui diritti dei rifugiati palestinesi”.

“I paesi membri dell’ONU devono fare pressione su Israele e se necessario sospendere tutti i rapporti economici e diplomatici per salvare l’UNRWA”, ha detto Lubna Shomali a Mondoweiss. “Se Israele riesce a vietare un’istituzione internazionale creata da una risoluzione dell’ONU, allora cosa potrebbe impedirgli di vietare le istituzioni della società civile palestinese e altre organizzazioni internazionali? Chi sarà la prossima vittima?”

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Come la crescita della violenza israeliana in Cisgiordania sta alimentando la resistenza palestinese

Miriam Barghouti

12 agosto 2024 – The New Arab

Approfondimento: dall’inizio della guerra a Gaza Israele ha ucciso in Cisgiordania oltre 600 palestinesi, con violenti raid, migliaia di arresti e attacchi sempre più frequenti da parte dei coloni.

Secondo il Ministero della Salute palestinese nel corso dell’attacco sono stati uccisi almeno dieci palestinesi. Oltre che a Jenin, è stata lanciata un’altra operazione militare contro Tubas, 22 km a sud-est della città, durante la quale le forze militari israeliane hanno ucciso altri quattro palestinesi, tra cui un minore.

Solo tre giorni prima, il 3 agosto, l’esercito israeliano ha effettuato un attacco su larga scala contro il campo profughi di Tulkarem, 50 km a sud-est di Jenin, in cui sono stati uccisi almeno nove palestinesi. Con l’attacco a Jenin, il numero di palestinesi uccisi in Cisgiordania nella sola prima settimana di agosto è salito a 26.

Tra le preoccupazioni per un’imminente guerra regionale, i palestinesi stanno già affrontando un ampliamento e un’intensificazione delle operazioni militari israeliane in Cisgiordania. Secondo l’UNRWA la situazione in Cisgiordania si sta deteriorando giorno per giorno a causa di quella che l’organizzazione ha definito la “guerra silenziosa” di Israele contro i palestinesi.

Dall’ottobre 2023, e nell’arco di 10 mesi, l’esercito israeliano ha ucciso in Cisgiordania più di 634 palestinesi, di cui almeno un quinto bambini e minorenni. Questo è il tasso più alto di palestinesi uccisi a seguito dell’occupazione militare israeliana in Cisgiordania da quando, nel 2005, l’ONU ha iniziato a documentare le vittime.

Operazioni militari israeliane e resistenza in Cisgiordania

“Quando Israele avrà finito con Gaza verrà in Cisgiordania per fare esattamente la stessa cosa”, ha detto Abu Al-Awda, un disertore delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e combattente delle Brigate Jenin, a The New Arab nell’ottobre 2023, appena due settimane dopo l’aggressione militare israeliana a Gaza.

Come previsto da Abu Al-Awda, secondo le agenzie delle Nazioni Unite, da novembre dell’anno scorso le operazioni militari israeliane in Cisgiordania sono aumentate a un ritmo “allarmante”.

Tuttavia questa intensificazione della violenza in Cisgiordania non è né nuova né improvvisa. Negli ultimi tre anni le città e i villaggi palestinesi in Cisgiordania hanno dovuto affrontare un volume senza precedenti di violenza da parte dei coloni sostenuti dallo Stato, aggressioni guidate dai militari durante le quali sono stati commessi omicidi extragiudiziali e un’allarmante escalation della pratica israeliana di detenere palestinesi senza processo o accusa, compresi bambini e minorenni.

Negli ultimi tre anni l’esercito israeliano ha battuto ripetutamente il record di uccisioni di palestinesi in Cisgiordania, con una quasi totale assenza a livello internazionale di accertamento delle responsabilità. Oltre agli attacchi dei coloni, che includono linciaggi e incendi dolosi con famiglie bruciate all’interno delle loro case, l’esercito e la polizia israeliani hanno intensificato le esecuzioni sommarie a distanza ravvicinata di civili palestinesi.

In tale contesto ha continuato a crescere lo scontro armato contro l’esercito israeliano, in particolare nelle aree a nord della Cisgiordania, vale a dire Nablus, Jenin e in seguito Tulkarem e Tubas.

Come a Gaza, l’esercito israeliano sta ora intensificando in Cisgiordania l’uso bellico dei droni, incluso l’Hermes 450. Mentre l’esercito israeliano afferma di aver preso di mira i gruppi di resistenza palestinese, che l’esercito definisce “cellule terroristiche”, la stragrande maggioranza di persone uccise non sono combattenti, con le violente distruzioni compiute dall’esercito dirette prevalentemente a infrastrutture civili.

“Questo fa parte della politica israeliana”, ha detto Abu Jury, un combattente della Brigata Tulkarem, al The New Arab appena un giorno dopo l’assalto su larga scala in cui nove persone sono state uccise e parti del campo ridotte in macerie. “Prendono di mira i civili per fare pressione sui combattenti. Noi della brigata Tulkarem, prima delle bombe siamo rimasti quasi due settimane senza acqua”, spiega.

Da Gaza alla Cisgiordania: diversa intensità, stessa strategia

Nel corso degli anni i palestinesi della Cisgiordania sono stati gradualmente ridotti ad uno stato di deprivazione simile a quello di Gaza.

Oltre all’evidente aumento della violenza da parte dei coloni e dell’esercito israeliani, i politici di Israele hanno favorito la deprivazione dei palestinesi di risorse essenziali per la sopravvivenza come l’acqua, in particolare acqua potabile, elettricità e libertà di movimento.

Con i jet da guerra che volteggiavano sopra le loro teste e il rischio di un assassinio mirato in qualsiasi momento, Abu El-Izz, un combattente veterano della PIJ [la Jihad Islamica in Palestina, ndt.] con le Brigate Jenin, ha spiegato a The New Arab perché si è unito alla resistenza armata, prima in segreto e poi come membro effettivo della brigata.

“Quando sono stato arrestato dall’esercito israeliano [nel 2002], chi mi interrogava ha detto ‘sei [appena] venuto fuori dal ventre di tua madre e sei [già] un vandalo'”, racconta. Rievocando la sua prigionia a soli 15 anni, ora ne ha 37, Abu El-Izz ricorda la sua risposta al suo interrogatore. “Gli ho detto: non capisci che sono le tue azioni a legittimare lo scontro?”.

“Guarda, in fondo siamo studenti della libertà“, dice Abu El-Izz. “Chiunque si unisce a noi da tutto il mondo, non importa quale sia il suo background, lo accogliamo. La resistenza, armata o disarmata, è benvenuta, finché l’obiettivo è perseguire la libertà“, sottolinea.

Secondo Abu El-Izz, “è pericoloso ridurre ciò che sta accadendo ai palestinesi alla cronologia del 7 ottobre”. L’anziano combattente scoraggia qualsiasi domanda su possibili timori che ciò che sta accadendo a Gaza possa arrivare in Cisgiordania.

È riduttivo e ingenuo suggerire che la guerra di Israele contro di noi sia iniziata lo scorso autunno. Hanno intrapreso una guerra contro di noi e hanno intensificato ogni anno i loro attacchi.

Isolare e istillare la paura: Al di là dei bombardamenti a tappeto

Come Abu El-Izz, il 51enne Abu El-Azmi sottolinea che la “guerra silenziosa” di Israele contro i palestinesi, in particolare in Cisgiordania, è stata condotta in modi e forme diversi.

Di sinistra, Abu El-Azmi si considera un alleato delle Brigate Jenin nonostante non sia un combattente. “Non sono solo le bombe”, dice Abu El-Azmi a The New Arab. “Siamo incatenati da un milione di catene, e sono tutte illusioni”, ha spiegato Abu Al-Azmi. “Dobbiamo spezzare queste catene”.

Lo squilibrio di potere tra l’esercito israeliano e i gruppi armati palestinesi è così netto che è quasi incomprensibile come i palestinesi possano continuare a resistere con fucili M16 obsoleti, molotov, pietre e IED [Improvised Explosive Device: ordigni esplosivi improvvisati, ndt.] artigianali contro alcune delle tecnologie belliche più avanzate e gli aiuti militari internazionali a disposizione di Israele.

A Gaza c’è una modalità più strutturata e organizzata per le operazioni di resistenza armata condotte dall’ala militare di Hamas, le Brigate Qassam, e l’ala armata della Jihad islamica palestinese (PIJ), le Brigate Al-Quds. A differenza di Gaza in Cisgiordania la resistenza assume una forma meno strutturata, che si esprime principalmente attraverso interventi individuali che operano da aree specifiche come il campo profughi di Jenin, il campo profughi di Tulkarem, Nablus e Tubas.

Invece di operare attraverso una specifica affiliazione politica le brigate palestinesi in Cisgiordania sono motivate da un impulso individuale. “Devi acquistare la tua pistola, imparare a usarla e poi impegnarti nella resistenza”, spiega Abu El-Izz.

Questa differenza nella struttura è dovuta in gran parte alla sorveglianza israeliana e al contatto con i palestinesi in Cisgiordania in un modo diverso da Gaza. Mentre Gaza è stata posta sotto un assedio militare per quasi due decenni, per cui i palestinesi avevano una conoscenza di Israele mediata solo dal suono dei droni e delle bombe che cadevano dal cielo, i palestinesi in Cisgiordania affrontano un contatto diretto con l’esercito israeliano a causa della presenza di colonie illegali. La presenza di colonie è anche ciò che ostacola la capacità di Israele di bombardare a tappeto la Cisgiordania fino ad annientarla.

Con ciò, l’asfissiante sorveglianza e la detenzione di massa dei palestinesi sono diventate una pratica comune israeliana in Cisgiordania. “Prima che con le bombe la guerra contro di noi è psicologica”, sottolinea Abu El-Azmi. “Anzitutto instillano la paura nella comunità in modo che si abbia paura l’uno dell’altro prima di avere paura dell’esercito israeliano”, dice.

Abu El-Azmi è molto amato dalla sua comunità ed è conosciuto nelle Brigate Jenin come un uomo che non esita a dare rifugio e a offrire supporto ai combattenti ricercati da Israele, rendendolo un bersaglio da assassinare.

“Ricordi circa qualche settimana fa quando l’esercito israeliano ha legato un uomo ferito alla jeep militare come scudo umano?”, dice uno dei combattenti della brigata, indicando Abu Azmi. “L’obiettivo di quell’incursione era Abu Azmi”.

Questa pratica di non prendere di mira solo i palestinesi e i combattenti politicamente attivi, ma chiunque mostri simpatia e relazioni con loro è stata un protocollo comune di “deterrenza” da parte di Israele.

La stessa strategia viene usata contro gli attori regionali che intervengono o mostrano sostegno alla causa della liberazione palestinese. La dottrina Dahiya usata in Libano nel 2006, che ha comportato l’uso di una forza sproporzionata contro le infrastrutture civili, è emblematica.

Il tentativo di Israele di riformulare il contesto

Per decenni i palestinesi hanno dovuto affrontare una rigida politica di isolamento e separazione progettata dall’apparato di sicurezza israeliano.

Secondo Abu El-Izz, mentre la resistenza armata palestinese è cresciuta in Cisgiordania negli ultimi tre anni, “ciò che ha fatto il 7 ottobre è stato costringere tutti a guardare in questa direzione”.

“Tutto ciò che sta accadendo oggi è solo una parte di ciò che è accaduto in Palestina dal 1948, non si può separare”, afferma.

Secondo il combattente veterano, la provocazione di Israele di una guerra regionale è dovuta proprio a questo cambiamento di percezione. “È indubbio che gli sforzi internazionali, sia a livello regionale che altrove, richiedano di fermare la guerra e di rimettere al centro la Palestina nei termini di una causa di liberazione”, dice Abu El-Izz a The New Arab.

“Non si tratta solo di resistenza locale e regionale”, ha aggiunto. “Bisogna anche guardare agli studenti di tutto il mondo che hanno avuto il coraggio di parlare contro Israele sottolineando il tema della liberazione”.

Forse è per questo che la provocazione intenzionale di Israele nei confronti delle potenze regionali, insieme al contemporaneo rifiuto di mostrare un minimo sforzo di affrontare la questione della liberazione della Palestina, è vista come un tentativo di ostacolare la ricerca della libertà palestinese. “Ovviamente l’occupazione israeliana rifiuta questa idea [di liberazione] e vuole continuare le sue violazioni, la sua occupazione e aggressione in tutte le terre palestinesi”, afferma Abu El-Izz.

Dopo l’assassinio mirato del rappresentante politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran il 31 luglio, avvenuto solo poche ore dopo l’uccisione del comandante di Hezbollah Fuad Shukr a Beirut il 30 luglio, la maggior parte dei colloqui diplomatici si è spostata sulle preoccupazioni per una guerra regionale.

“La barbarie di Israele sta cercando di espandere la sua guerra a livello regionale per facilitare il nostro continuo massacro”, spiega Abu El-Izz. “Ecco perché non puoi ignorare e non menzionare la liberazione della Palestina nel valutare tutti gli sviluppi in corso”.

Mentre le potenze regionali sono gli unici attori che forniscono una parvenza di supporto, offrendo una pur esile speranza di fermare le pratiche israeliane di pulizia etnica, la scissione del conflitto regionale dalla liberazione palestinese tiene nascosto un punto più fondamentale.

Per i palestinesi l’obiettivo esplicito di Israele di cacciarli dalle loro terre con la morte o la fuga andrà avanti, che ci sia o meno una guerra regionale.

Mariam Barghouti è una scrittrice e giornalista che vive in Cisgiordania. Si occupa della regione da dieci anni nella veste di reporter e analista, è stata principale corrispondente per la Palestina per Mondoweiss ed è membro del Marie Colvin Journalist Network [comunità online di giornaliste arabe, ndt.].

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)