Il film sui collaborazionisti con Israele suscita polemiche in Palestina

Amany Mahmound

2 aprile 2022 – Al Monitor

I palestinesi più conservatori sono indignati per il film sulle palestinesi che collaborano con Israele che contiene anche scene di nudo e oscenità.

Huda’s Salon,” (Il salone di bellezza di Huda), film del regista palestinese Hany Abu-Assad proiettato a Beirut il 7 marzo nel corso del Film Festival Internazionale delle Donne il giorno prima della Giornata Internazionale delle Donne, ha causato grandi discussioni nella comunità palestinese per le scene scabrose e di nudo che alcuni hanno addirittura descritto come pornografia.

Il film ha scatenato le ire del pubblico conservatore palestinese che ha denunciato queste scene audaci per la cinematografia locale.

“Huda’s Salon”, in cui appaiono vari attori e attrici palestinesi, mostra alcuni dei metodi malvagi usati dall‘intelligence israeliana per incastrare le palestinesi. Il film si incentra su Huda, che lavora in un salone di bellezza e collabora con i servizi di sicurezza israeliani. Huda fotografa una cliente in pose compromettenti e poi usa le immagini per ricattarla e costringerla a diventare una spia.

L’11 marzo il Ministero palestinese della Cultura in una dichiarazione alla stampa locale ha negato qualsiasi legame con il film, spiegando che il cinema del suo Paese è impegnato nella lotta palestinese. Ha denunciato il modo in cui è stato prodotto il film, dicendo che offende la storia del cinema palestinese.

Molti attivisti hanno criticato sui social “Huda’s Salon” per le scene di sesso e nudo.

Anche gli ambienti artistici delle fazioni palestinesi hanno attaccato la pellicola. Il Dipartimento per le Arti di Hamas ha accusato le persone coinvolte nel film di aver deliberatamente distorto la lotta del popolo palestinese. In una dichiarazione il dipartimento ha sostenuto che il film mira a farsi conoscere in nome dell’arte e a ricevere fondi da Paesi donatori a spese della dignità del popolo e della causa palestinesi.

Nel frattempo i produttori stanno incontrando grandi difficoltà nel tentativo di proiettare “Huda’s Salon” nei cinema in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

In seguito alla proiezione al festival di Beirut le sequenze più audaci sono diventate virali sui social, sollevando richieste popolari e ufficiali per impedirne la visione nei territori palestinesi, affermando che le scene scabrose non hanno nulla a che fare con la cultura della loro società.

“Huda’s Salon” non è il primo film a essere ampiamente rifiutato dal pubblico palestinese. Alla fine dell’anno scorso un’intensa ondata di rabbia e indignazione ha attraversato la comunità palestinese che protestava contro la proiezione del film “Amira,” in cui si metteva in dubbio la paternità dei bambini nati dallo sperma fuoriuscito clandestinamente e appartenente ai prigionieri palestinesi che languiscono nelle prigioni israeliani. Alla fine il film non è uscito nelle sale palestinesi.

L’attrice palestinese Manal Awad che interpreta il ruolo di Huda ha detto ad Al-Monitor di esserne fiera e di non essersi pentita della sua parte audace nel film. Ha precisato che il suo ruolo rappresenta avvenimenti reali con cui si confronta una minoranza di donne che talvolta sono costrette a lavorare per i servizi di intelligence israeliani.

Ha puntualizzato che l’idea del film non era così negativa come molti pensano poiché fa luce su un tema serio davanti a cui si trova la società palestinese, cioè i continui tentativi dei servizi di sicurezza israeliani per reclutare con vari mezzi donne palestinesi, specialmente tramite i negozi di parrucchiera. Ha detto che il regista sta cercando di richiamare l’attenzione su questo tema.

Awad ha poi fatto notare che il film è basato su una storia vera.

L’ondata di condanna abbattutasi sui social, ha poi continuato, dimostra che i palestinesi non sono abituati a vedere i propri artisti impegnati in ruoli coraggiosi come quello che ha interpretato lei in “Huda’s Salon.”

Ha poi aggiunto che il film vuole far luce sulla realtà dei fatti e sollevare attenzione del pubblico sul ricatto.

Awad ha denunciato sui social le critiche e gli insulti di cui è stata oggetto.

Ha specificato che, nonostante alcune scene audaci, il film più che guadagnare al botteghino mira principalmente a far passare un messaggio alla comunità.

Lo scrittore e critico palestinese Shafeeq al-Talouli ha condannato le scene che non sono in linea con i costumi e le tradizioni dei conservatori palestinesi e che sono considerate offensive specialmente dalle donne e, in particolare, da quelle che lavorano nei negozi di parrucchiera.

Parlando con Al-Monitor ha detto che è necessario affrontare temi sociali seri con vari media artistici per attirare l’attenzione del pubblico, ma resta il fatto che il metodo usato da Abu-Assad in questo film è sbagliato, immorale e deve essere totalmente rifiutato a causa delle sue scene proibite.

Talouli ha invocato l’intervento del Ministero palestinese della Cultura per costringere registi e produttori a offrire spiegazioni esaustive circa i loro lavori prima di iniziarli, in modo tale che poi non offendano i palestinesi perché incompatibili con i loro valori, la morale e la cultura.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)