Israele utilizza droni armati di lacrimogeni contro i fedeli ad al-Aqsa

Maureen Clare Murphy

22 aprile 2022 – Electronic Intifada

Nella tarda serata di venerdì [22 aprile], dopo che la polizia israeliana ha utilizzato la violenza contro i fedeli palestinesi che seguivano le preghiere alla mattina presto nella moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, sarebbe stato lanciato un razzo da Gaza. La violenza israeliana contro i palestinesi durante il terzo venerdì di Ramadan ha di nuovo minacciato di estendersi all’interno di Gaza.

Dopo l’attacco israeliano contro il luogo sacro della scorsa settimana, c’è stata un’intensa attività diplomatica per cercare di evitare uno scontro su vasta scala a Gaza come quello che ha devastato il territorio nel maggio dello scorso anno. Quegli 11 giorni di pesanti lanci di razzi da Gaza e di bombardamenti israeliani erano stati in larga parte causati dalla violenza contro i fedeli ad Al-Aqsa durante il Ramadan.

Nel corso della settimana la situazione è rimasta incerta, in quanto mercoledì i nazionalisti ebrei-israeliani hanno marciato a Gerusalemme scandendo slogan anti-palestinesi come “morte agli arabi”. Alla fine di quel pomeriggio da Gaza è stato lanciato un razzo, caduto in una zona disabitata nei pressi di Sderot, nel sud di Israele. Giovedì mattina Israele ha effettuato raid contro Gaza, seguiti da altri razzi e da colpi di arma da fuoco sparati dal territorio assediato.

Non si hanno notizie di feriti a Gaza o in Israele.

Parrebbe che sia Hamas, che governa Gaza, che Naftali Bennett, il primo ministro israeliano, stiano cercando di evitare un’altra grave escalation.

Tuttavia fonti ufficiali di Hamas avrebbero detto a mediatori internazionali che le continue violazioni ad Al-Aqsa potrebbero innescare un altro scontro militare con Israele.

Negli ultimi giorni il gruppo della resistenza ha ripetutamente chiesto una mobilitazione di massa dei palestinesi in difesa di Al-Aqsa e di Gerusalemme.

Venerdì alcuni palestinesi, lanciando pietre e facendo esplodere petardi dopo le preghiere mattutine, si sono scontrati con la polizia antisommossa israeliana schierata attorno al complesso della moschea a Gerusalemme.

La polizia israeliana ha sparato lacrimogeni, proiettili ricoperti di gomma e granate stordenti verso i palestinesi all’interno del complesso, ma non hanno fatto irruzione né sparato nella moschea di al-Aqsa come avevano fatto lo scorso venerdì.

Quel giorno [15 aprile] più di 150 fedeli sono rimasti feriti e più di 400 sono stati arrestati negli attacchi contro la moschea documentati da decine di video che hanno circolato in rete.

La Mezzaluna Rossa palestinese ha affermato che questo venerdì, che segna l’inizio degli ultimi 10 giorni del Ramadan, sono rimasti feriti più di 30 palestinesi, 14 dei quali sono stati ricoverati in ospedale.

Il complesso di Al-Aqsa, dove estremisti israeliani hanno tentato senza successo di realizzare il sacrificio di un animale durante la festa della Pasqua ebraica che termina sabato, è vietato ai non-musulmani durante gli ultimi 10 giorni del mese di digiuno.

Venerdì più di 150.000 palestinesi avrebbero partecipato alle preghiere della sera ad Al-Aqsa.

Video pubblicati sulle reti sociali mostrano droni che sparano lacrimogeni sulla folla di fedeli venerdì ad Al-Aqsa.

Le forze israeliane hanno sparato anche proiettili ricoperti di gomma contro giornalisti all’interno del complesso. Un candelotto sparato dalle forze israeliane vi ha incendiato un albero.

Secondo quanto riportato, venerdì, per la prima volta da vent’anni, sulla Cupola della Roccia della moschea di Al-Aqsa è stata issata una bandiera palestinese.

Apartheid”

Venerdì un esperto di diritti umani dell’ONU ha accusato della crescente violenza israeliana contro i palestinesi delle ultime settimane “l’inazione internazionale”.

Michael Lynk, il relatore speciale ONU sui diritti umani in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, ha affermato che la pluridecennale occupazione israeliana “è diventata indistinguibile dalle pratiche di apartheid” ed “è basata sulla discriminazione istituzionale di un gruppo razziale-nazionale-etnico a danno di un altro.”

Ha aggiunto che “la storia ci insegna l’amara lezione che il dominio straniero prolungato e indesiderato è invariabilmente imposto con la violenza e con essa contrastato.”

Nel contempo venerdì l’ufficio del segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha ripetuto le trite espressioni di “profonda preoccupazione”.

Il portavoce di Guterres ha affermato che il segretario è “attivamente impegnato con i leader a fare tutto il possibile per ridurre le tensioni, le azioni e i discorsi provocatori e ripristinare la calma.”

Allo stesso modo l’inviato di Guterres per il Medio Oriente, Tor Wennesland, ha sottolineato la riduzione delle tensioni martedì, mettendo falsamente sullo stesso piano da una parte le autorità dell’occupazione israeliana e dall’altra i palestinesi che resistono all’oppressione coloniale.

Egli ha fatto indirettamente riferimento alla “diffusione di disinformazione e incitamento alla violenza” implorando i “dirigenti di tutte le parti” a “ridurre le tensioni, creare condizioni di tranquillità e garantire che venga protetto lo status quo (ad al-Aqsa).”

The Times of Israel [giornale israeliano in lingua inglese, ndtr.] ha evidenziato che i riferimenti di Wennesland alla disinformazione e all’incitamento sono “praticamente identici alle argomentazioni usate dai politici israeliani” secondo cui Hamas e altri partiti stanno “fomentando le tensioni” sostenendo che Israele intende cambiare lo status quo ad Al-Aqsa.

Osservatori palestinesi denunciano una campagna mistificatoria intesa a minimizzare la reale minaccia posta contro i luoghi santi da estremisti ebrei che intendono distruggere Al-Aqsa e che godono dell’appoggio di parlamentari israeliani.

Un’analisi di Nir Hasson pubblicata da Haaretz, importante quotidiano israeliano, smentisce l’idea che Israele abbia “piani segreti” per cacciare i musulmani da Al-Aqsa “e trasformarla in un luogo sacro ebraico.” La sua tesi è che il cosiddetto movimento del Monte del Tempio, che intende distruggere Al-Aqsa e costruire al suo posto un tempio ebraico, è un gruppo di estremisti che sono “invisi tra molti israeliani.”

Ma, come osserva Zvi Bar’el, un altro editorialista di Haaretz, l’esproprio di proprietà palestinesi attorno al complesso della moschea e le attività edilizie da parte di Israele nelle vicinanze portano a una “diagnosi realistica” secondo cui una guerra sul luogo sacro “sia solo questione di tempo”.

C’è un precedente storico di rovesciamento dello status quo di un importantissimo luogo santo palestinese. Nel 1994, dopo che un colono ebreo nato negli Stati Uniti massacrò 29 fedeli nella moschea di Ibrahim [Tomba dei patriarchi per gli ebrei, ndtr.] a Hebron, le forze israeliane divisero il luogo sacro e chiusero la contigua Città Vecchia, in precedenza molto animata.

I palestinesi temono che, senza una forte resistenza, Israele approfitterà di qualunque opportunità per imporre misure simili ad Al-Aqsa.

Adolescente muore dopo uno scontro a fuoco

Nel contempo venerdì, quattro giorni dopo essere stato ferito alla testa da forze israeliane nel villaggio di Yamoun nei pressi della città di Jenin, nel nord della Cisgiordania, il diciottenne Lutfi Labadi è morto in conseguenza delle lesioni subite. Dopo l’annuncio del suo decesso sulle reti sociali ha circolato una sua foto.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il relatore speciale delle Nazioni Unite accusa Israele di apartheid nel suo rapporto al Consiglio per i Diritti Umani

Zainab Iqbal, New York

23 marzo 2022. – Middle East Eye

“Israele ha imposto alla Palestina una condizione di apartheid in un mondo post-apartheid”, afferma Michael Lynk, relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi occupati.

Il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi occupati ha presentato un rapporto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), concludendo che la situazione in Israele e nei territori occupati si configura come apartheid.

In un rapporto di 19 pagine presentato martedì all’organismo, Michael Lynk afferma che ebrei israeliani e palestinesi vivono “sotto un unico regime che differenzia la sua distribuzione di diritti e benefici sulla base di un’identità nazionale ed etnica e che garantisce la supremazia di un gruppo a detrimento dell’altro”.

“Il sistema politico di governo radicato nel territorio palestinese occupato che conferisce a un gruppo razziale-nazionale-etnico sostanziali diritti, benefici e privilegi mentre sottopone intenzionalmente un altro gruppo a vivere dietro muri, posti di blocco e sotto un governo militare permanente… soddisfa gli standard probatori prevalenti per l’esistenza dell’apartheid”, ha aggiunto.

Lynk ha affermato che, sebbene la situazione in Israele e nei territori palestinesi occupati sia diversa da quella in Sud Africa, si tratta comunque di apartheid.

L’apartheid è un termine legale definito dal diritto internazionale che si riferisce all’oppressione sistematica da parte di un gruppo razziale su un altro.

“Nel regime di ‘apartheid’ israeliano nei territori palestinesi occupati esistono connotati specifici disumani che non venivano praticati nell’Africa meridionale, come autostrade separate, alti muri ed estesi posti di blocco, una popolazione assediata, attacchi missilistici e bombardamenti di carri armati su una popolazione civile, e l’abbandono del benessere sociale dei palestinesi nelle mani della comunità internazionale.

“Sotto gli occhi ben aperti della comunità internazionale, Israele ha imposto alla Palestina una realtà di apartheid in un mondo post-apartheid”.

Lynk dovrebbe rilasciare formalmente il suo rapporto giovedì prima di un dibattito sul punto 7 dell’agenda, il punto permanente dell’UNHRC riservato alle violazioni israeliane dei diritti umani contro palestinesi e altri arabi.

Nel rapporto l’accademico canadese afferma che Israele sta perseguendo una strategia di “frammentazione strategica del territorio palestinese in aree separate di controllo della popolazione, con Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est fisicamente divise l’una dall’altra”.

Israele usa Gaza, ha detto Lynk, come il “deposito informale di una popolazione indesiderata di due milioni di palestinesi”.

Il rilascio di migliaia di permessi di lavoro per i lavoratori palestinesi in Cisgiordania e a Gaza per lavorare in Israele equivale allo “sfruttamento del lavoro di un gruppo razziale”, afferma il rapporto.

Abbiamo bisogno di azione e responsabilità

Il mese scorso Amnesty International ha etichettato Israele come uno Stato di apartheid, diventando l’ultima associazione a unirsi a un elenco di organizzazioni per i diritti umani che hanno usato il termine per descrivere il trattamento riservato da Israele ai palestinesi.

“Le risultanze del relatore speciale sono un’importante e tempestiva integrazione al crescente consenso internazionale sul fatto che le autorità israeliane stanno commettendo un’apartheid contro il popolo palestinese”, ha affermato Saleh Higazi, vicedirettore di Amnesty per il Medio Oriente e il Nord Africa.

“Le organizzazioni palestinesi per i diritti umani da anni chiamano la situazione apartheid e questo rapporto costituisce un momento fondamentale di riconoscimento della realtà vissuta da milioni di palestinesi”.

Nonostante il numero crescente di organizzazioni per i diritti umani che etichettano le politiche israeliane come equivalenti all’apartheid, gli Stati Uniti e gli altri alleati occidentali di Israele si sono astenuti dal fare tale tipo di dichiarazioni.

Beth Miller, principale responsabile degli affari amministrativi di Jewish Voice for Peace-Action [Voce ebraica per le azioni di pace, organizzazione statunitense che sostiene il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele, ndtr.] ha affermato che il rapporto riprende ciò che le organizzazioni internazionali per i diritti umani stanno affermando da anni, che “Israele sta commettendo il crimine dell’apartheid”.

“Per [il presidente degli Stati Uniti Joe] Biden e il Congresso, il compito è chiaro: porre fine a tutti i finanziamenti militari statunitensi a questo violento regime di apartheid”.

NYC Solidarity with Palestine [Solidarietà di New York con la Palestina, ndtr.], un’organizzazione impegnata ad aprire ampi spazi di resistenza, ha detto a MEE: “Diamo il benvenuto a queste varie organizzazioni internazionali che finalmente dicono e confermano pubblicamente ciò che il popolo palestinese urla da anni con il sangue.

“E, detto questo, l’apartheid è solo un meccanismo e uno strumento della colonizzazione da insediamento e dell’occupazione illegale. Il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione impone responsabilità che includono la fine dell’occupazione con ogni mezzo. I doppi standard devono cessare”.

Ahmad Abuznaid, il direttore esecutivo della Campagna statunitense per i diritti dei palestinesi, ha detto a MEE che “mentre sempre più istituzioni internazionali affermano ciò che i palestinesi dicono da anni, speriamo di vedere finalmente cosa farà la comunità internazionale riguardo all’apartheid israeliano.

“Ora abbiamo bisogno di azione e responsabilità.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Disegno di legge finlandese metterebbe fuorilegge i prodotti delle colonie

Ali Abunimah

22 dicembre 2021 – The Electronic Intifada

In Finlandia un nuovo disegno di legge vieterebbe l’importazione di prodotti dalle colonie israeliane costruite su terra palestinese e siriana occupate.

I palestinesi stanno soffrendo per la più lunga occupazione della storia contemporanea e le politiche israeliane che infrangono sistematicamente le leggi internazionali e violano i diritti umani,” afferma Veronika Honkasalo, la parlamentare dell’Alleanza di Sinistra che ha presentato la legge. “Dobbiamo smettere di appoggiare le illegali colonie israeliane.”

La legge non cita specificamente alcun Paese.

Si applicherebbe a qualunque situazione di occupazione militare e di colonizzazione riconosciuta a livello internazionale, tra cui potenzialmente il Sahara occidentale o la Crimea.

Interventi legislativi di questo genere sono totalmente a favore del e coerenti con il diritto internazionale,” afferma Michael Lynk, consulente speciale dell’ONU sui diritti umani nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza occupate.

Lynk, un esperto indipendente nominato dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, ha parlato a una tavola rotonda del 15 dicembre presieduta da Honkasalo.

È coerente con le decisioni delle Nazioni Unite,” ha aggiunto Lynk, “e, cosa più importante, è coerente con un approccio basato sui diritti umani che potrebbe realmente portare a una pace giusta e durevole in Medio Oriente.”

Attualmente ci sono circa 700.000 coloni che vivono in quasi 300 colonie in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e altri 20.000 sulle Alture del Golan siriane, tutte costruite da quando Israele occupò i territori nel 1967.

L’illegalità delle colonie israeliane è “estremamente chiara”, ha affermato Lynk, sottolineando che almeno in sette occasioni il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha dichiarato che la loro costruzione è una “flagrante violazione” delle leggi internazionali.

Lo Statuto di Roma, il documento costitutivo della Corte Penale Internazionale, definisce l’insediamento di civili in un territorio occupato un crimine di guerra.

Più di quarant’anni fa il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha chiesto a tutti gli Stati “di non fornire alcuna assistenza che possa essere utilizzata specificamente in relazione con le colonie nei territori occupati.”

Lynk ha detto che la formulazione era “sufficientemente ampia” da “includere qualunque rapporto commerciale con queste colonie, perché ciò fornisce loro l’ossigeno economico di cui hanno bisogno per poter essere sostenibili e in grado di crescere.”

Bruxelles non la può bloccare

La proposta di legge di Honkasalo non è il primo tentativo all’interno dell’Unione Europea di vietare l’importazione dalle colonie.

La legge irlandese sui territori occupati, che ha lo stesso scopo, è stata approvata da entrambi i rami del parlamento di quel Paese.

Tuttavia il governo irlandese ha bloccato la sua applicazione in quanto sarebbe in contrasto con le leggi dell’UE.

Ma all’inizio di quest’anno questo pretesto è stato spazzato via. In seguito alla sentenza di un tribunale, l’UE è stata obbligata a riconoscere che il bando contro i prodotti delle colonie è una questione commerciale piuttosto che una forma di sanzione. Secondo Tom Moerenhout, un esperto di diritto commerciale internazionale che insegna alla Columbia University di New York, questa astrusa distinzione ha importanti implicazioni giuridiche.

Ciò significa che singoli Stati membri dell’UE come Irlanda e Finlandia hanno il pieno diritto di vietare prodotti delle colonie senza il permesso di Bruxelles, ha affermato Moerenhout durante la tavola rotonda del 15 dicembre.

Egli ha affermato che in base alle leggi internazionali gli Stati sono vincolati a non riconoscere o prestare assistenza all’annessione o alla colonizzazione di un territorio occupato.

Benché l’UE non conceda ai prodotti delle colonie israeliane il trattamento preferenziale in base agli accordi commerciali con Israele, essa tuttavia consente loro un accesso regolare ai suoi mercati. Questa è una forma di “riconoscimento implicito” delle colonie, ha spiegato Moerenhout.

Un modello per altri Paesi

I sostenitori della legge di Honkasalo, che probabilmente non verrà votata prima della primavera, devono ora raccogliere consensi tra i parlamentari finlandesi. Anche se sarà indubbiamente un lavoro duro, ci sono basi su cui costruire.

In Finlandia attualmente c’è un impegno di lunga data da parte del partito Socialdemocratico, condiviso dai suoi omologhi di Svezia, Norvegia e Islanda, che si sono impegnati a lavorare per un bando internazionale sui prodotti delle colonie,” ha affermato Syksy Räsänen, un fisico che è presidente di ICAHD Finlandia, un’associazione apartitica che sostiene i diritti dei palestinesi.

Attualmente il partito Socialdemocratico guida la coalizione di governo a Helsinki.

La legge “rispetterebbe parzialmente l’obbligo per lo Stato finlandese di non riconoscere una situazione illegale,” ha detto Räsänen alla tavola rotonda.

Ciò perché essa vieterebbe solo le importazioni, senza affrontare gli altri modi in cui i rapporti economici con l’estero sostengono la colonizzazione illegale attraverso investimenti, finanziamenti o la fornitura di servizi alle colonie.

Ma secondo Räsänen la legge modificherebbe comunque il modo di trattare le colonie “dal contesto della politica di potenza e dai rapporti tra Stati a essere guidato piuttosto da obiettivi riguardanti i diritti umani e più fondato sulle leggi internazionali.”

Benché la sua proposta di legge sia in una fase iniziale, Honkasalo ha affermato di aver già ricevuto richieste da parlamentari di altri Paesi che sono interessati a utilizzarla come modello per le loro iniziative.

Sono molto contenta di quante reazioni positive questa legge ha ottenuto,” ha affermato Honkasalo.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Insediamenti israeliani illegali: le società europee gli forniscono l’ossigeno economico

Eliana Riva

30 settembre 2021, Pagine Esteri

UniCredit, ING, Santander, Deutsche Bank, Allianz, BNP Paribas sono solo alcune delle 672 istituzioni finanziarie che hanno rapporti economici con 50 aziende attivamente coinvolte nelle attività delle colonie israeliane nei Territori Palestinesi Occupati.

Le colonie costruite da Israele in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, lo sviluppo ininterrotto degli insediamenti e gli incentivi politici ed economici previsti per facilitare lo spostamento della popolazione israeliana nei Territori Palestinesi Occupati, rappresentano una violazione della Convenzione di Ginevra. Molte risoluzioni e pareri rilasciati dalla Corte Internazionale di giustizia hanno affermato e riaffermato, in tempi più recenti, l’illegalità degli insediamenti Israeliani nei territori occupati nel 1967. Alla potenza occupante è proibito dalla legge internazionale spostare la popolazione da e verso i territori che occupa, confiscare terracostruiredeportare e impedire la circolazione. Tutte attività, queste, che Israele esercita regolarmente e quotidianamente in Cisgiordania e a Gerusalemme est. E nonostante ciò, sono molte le aziende, specie quelle europee, che hanno regolari rapporti commerciali con le colonie illegali. I nomi di alcune di queste a febbraio dello scorso anno sono state inserite nella lista “nera” dell’ONU: i loro rapporti finanziari con gli insediamenti illegali riguardano, includono e facilitano le violazioni dei diritti umani. Tra le altre, Airbnb, TripAdvisor, Cisco System, Expedia Group, Motorola Solutions, Siemens, Volvo Group.

Si parla di fornitura di materiale di costruzione per l’espansione delle colonie, di attrezzature utilizzate per la demolizione delle abitazioni palestinesi, di partecipazione alle pratiche di restrizione della libera circolazione e di interventi che non permettono le attività economiche dei palestinesi nei Territori Occupati. Ma anche di vendita di sistemi di sicurezza e di controllo utilizzati per impedirgli gli spostamenti.

 

Fiutando le tracce delle attività di queste imprese individuate dalle Nazioni Unite, il gruppo Don’t Buy into Occupation (DBIO), composto da 25 ONG palestinesi ed europee, è risalito ai rapporti finanziari che queste società hanno a loro volta con circa 700 gruppi europei. Si tratta per lo più di istituzioni finanziarie, banchecompagnie di assicurazionefondi pensionistici. Tra il 2018 e il 2021 tra prestiti e sottoscrizioni sono stati forniti a queste società 114 miliardi di dollari e a maggio 2021 erano 141 i miliardi di dollari in azioni e obbligazioni degli investitori europei. 10 dei 672 gruppi individuati, da soli, attraverso prestiti e sottoscrizioni, hanno fornito 77,81 miliardi di dollari alle imprese che sono attivamente coinvolte negli insediamenti israeliani: BNP Paribas (Francia, $ 17,30 bilioni), Deutsche Bank (Germania, $12,03 bilioni), HSBC (Gran Bretagna, $8,72 bilioni), Barclays (Gran Bretagna, $8,69 bilioni), Société Générale (Francia, $8,20 bilioni), Crédit Agricole (Francia, $5,55 bilioni), Santander (Spagna, $4,75 bilioni), ING Group (Olanda, $4,60 bilioni), Commerzbank (Germania, $4,37 bilioni). L’ultima della top tenl’italiana UniCredit, ha fornito 3,58 bilioni di dollari.

Il rapporto di 125 pagine si apre con la prefazione di Michael Lynk, relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, nella quale senza mezzi termini afferma che gli investimenti, i prestiti, i contratti di queste società, forniscono alle colonie illegali “l’ossigeno economico di cui hanno bisogno per crescere e prosperare”.

Il gruppo che ha realizzato il rapporto fa presente che nonostante sia chiara la natura illegale delle colonie israeliane, le istituzioni europee continuano a fornire un’ancora di salvezza finanziaria alle aziende che vi operano, quando invece dovrebbero assumersi le proprie responsabilità e seguire l’esempio di quelle società che hanno chiuso i rapporti con le imprese presenti nella lista delle Nazioni Unite. Lista che, peraltro, è stata giudicata approssimativa e incompleta da parte del BDS, il Movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni.




Le colonie sono crimini di guerra: è ora di mettere l’Organizzazione Sionista Mondiale del Sudafrica davanti alle sue responsabilità.

Iqbal Jassat

12 luglio 2021 The Palestine Chronicle

Michael Lynk, relatore speciale dell’ONU per i diritti umani nei TPO (Territori Palestinesi Occupati) è giunto a conclusioni incriminanti sulle colonie illegali di Israele.

Nella sua relazione di venerdì al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, ha presentato ragioni valide per classificare le colonie quali crimini di guerra.

Nella sua dichiarazione Lynk ha affermato che le colonie rappresentano una violazione dell’assoluto divieto di “insediamento di coloni”, e ha chiesto agli stati membri dell’ONU di non ignorare le violazioni israeliane.

Che Israele in qualità di potenza occupante trasferisca la propria popolazione nei TPO, non solo è contro le leggi internazionali, ma danneggia direttamente i palestinesi, che subiscono brutalità da parte dei coloni, compresa la pulizia etnica.

Le ingiustizie derivanti dalla costruzione delle colonie sono biasimevoli, immorali e dissennate. Tuttavia, nonostante questo rappresenti ovviamente una deviazione dai valori civili, Israele persiste a prescindere.

Anche se Lynk usa un’argomentazione convincente quando sostiene che tali constatazioni obbligano la comunità internazionale a valutare quali adottare fra le numerose misure di responsabilità previste dalle vigenti disposizioni in materia diplomatica e legale, resta da vedere se il Consiglio di Sicurezza dell’ONU agirà in conseguenza.

Secondo lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale [CPI], la pratica da parte di una potenza occupante di trasferire parte della sua popolazione civile in un territorio occupato è un crimine di guerra.

E dato che il regime coloniale continua a perpetrare crimini di guerra, per Lynk è importante e urgente dichiarare che è ora di far capire ad Israele che la sua occupazione illegale e il suo disprezzo per la legge e l’opinione internazionale “non possono rimanere senza conseguenze.”

Se Israele è colpevole e oltraggia varie risoluzioni dell’ONU che definiscono illegale la sua attività coloniale, è inaccettabile che tale status quo rimanga senza risposta. Secondo Lynk, “è un tragico paradosso che anche se le colonie israeliane sono chiaramente vietate dalla legge internazionale, la comunità internazionale abbia dimostrato una notevole riluttanza a far rispettare le sue stesse leggi.”

Nel suo studio “The One State Solution” [“La Soluzione di un Unico Stato”, ndtr], l’autrice Virginia Tilley spiega che le colonie israeliane hanno invaso i TPO in tale misura da rendere impraticabile qualsivoglia Stato palestinese. Spiega in modo estremamente dettagliato che l’impatto della struttura coloniale è stato enorme dal punto di vista geografico, demografico, economico e politico.

Quando il libro venne pubblicato nel 2005, la Tilley pronosticò che, visto che la struttura coloniale diventava parte permanente del contesto, la maggior parte della Cisgiordania sarebbe stata formalmente “incorporata in Israele più o meno nell’arco di un decennio”.

Fece inoltre notare che è fondamentalmente sbagliato credere che le colonie ebraiche equivalgano a qualche conglomerato di roulotte. Al contrario, le colonie sono città vere e proprie, che comprendono centri commerciali e cinema, scuole di ogni grado, centri ricreativi e parchi, sinagoghe e centri culturali, nonché aree industriali con fabbriche da centinaia di milioni di dollari in investimenti.

Fenomeno noto come creazione di “fatti compiuti”, che è parte integrante del progetto di espansione sionista, le colonie nella Cisgiordania e Gerusalemme Est occupate sono salite dalle 230 del 2005 a quasi 300. E si è passati da 400.000 a oltre 680.000 coloni ebrei.

Lynk sostiene correttamente che le colonie sono diventate “il motore della occupazione israeliana che dura da 54 anni, la più lunga dunque in epoca moderna.”

E a proposito delle solite condanne retoriche da parte di Stati membri dell’Assemblea Generale dell’ONU, compreso il Sudafrica, è opportuno tenere presente che, come ci ricorda Lynk, le parole sono vane se non si traducono in azioni.

“Fintanto che la comunità internazionale criticherà Israele senza chiamarlo a rispondere delle proprie azioni e subirne le conseguenze, dovremo scomodare fate e folletti per convincerci che 54 anni di occupazione finiranno e che i palestinesi realizzeranno il proprio diritto all’auto-determinazione.”

La serietà del rapporto che chiede di classificare le colonie come crimini di guerra non può essere presa alla leggera nè ignorata.

In Sudafrica è ragionevole aspettarsi che il governo dell’ANC [ANC, Congresso Nazionale Africano, è il più importante partito politico sudafricano. Fondato all’epoca della lotta all’apartheid, è al governo del Paese dal 1994, ndtr] non soltanto dia pieno sostegno al rapporto Lynk, ma si adoperi affinché la missione dell’ONU abbia i mezzi per tradurre in azioni significative le conclusioni a cui è pervenuta.

E soprattutto, il Sudafrica ha la fantastica opportunità di indagare le attività dei gruppi di pressione pro-Israele locali, alcuni dei quali risulterebbero sicuramente coinvolti nel finanziamento dei crimini di guerra delle colonie.

Uno dei promotori chiave della struttura delle colonie illegali è la World Zionist Organization (WZO) [Organizzazione Sionista Mondiale, fondata nel 1897 da Theodor Herzl per promuovere la causa sionista, ndtr]. Lo studio della Tilley rivela che nel piano generale pubblicato nel 1978, la WZO definiva la strategia di base di incorporare “Giudea e Samaria” [la Cisgiordania, ndtr] quale “missione nazionale fondamentale.”

Se è vero che tutte le organizzazioni sioniste in Sudafrica sono affiliate alla WZO, il governo Ramaphosa [Matamela Cyril Ramaphosa è capo di Stato del Sudafrica dal 2018, ndtr] deve assolutamente autorizzare le autorità competenti ad indagare tali organizzazioni e se scopriranno che esse hanno qualche responsabilità nel favoreggiamento delle colonie illegali, a incriminarle per fomentare crimini di guerra.

Iqbal Jassat è membro esecutivo del Media Review Network [la cui missione è sfatare i pregiudizi nei confronti dei musulmani e favorire il dialogo fra i gruppi diversi che vivono in Sudafrica, ndtr], che ha sede in Sudafrica. Ha scritto questo articolo per The Palestine Chronicle. Vedi: www.mediareviewnet.com

traduzione dall’inglese di Stefania Fusero




Impunità e annessioni: “Israele vuole far man bassa”

Mersiha Gadzo,

3 giugno 2020 Al Jazeera

Secondo gli analisti, Israele gode di impunità per la mancanza di volontà della politica internazionale ad oobbligarlo ad assumersi le sue responsabilità

Il governo israeliano ha dichiarato che l’annessione degli insediamenti illegali ebraici nella Cisgiordania occupata, così come quelli nella fertile Valle del Giordano, potrebbe iniziare già a partire dal 1 luglio.

Mentre i dettagli del piano di annessione rimangono vaghi, il primo ministro Benjamin Netanyahu recentemente confermato aveva dichiarato l’intenzione di annettere la Valle del Giordano durante la campagna elettorale dello scorso anno.

Da allora, gli Stati Uniti han proposto il loro piano per la pace in Medio Oriente che prevede la sovranità israeliana sugli insediamenti nei Territori Occupati, illegali secondo il diritto internazionale, e Netanyahu ha da allora ribadito le sue promesse.

Molte nazioni, tra cui gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno sconsigliato tale mossa, facendo notare come un’annessione unilaterale violerebbe il diritto internazionale e sarebbe un colpo devastante per la prospettiva di una soluzione a due Stati al conflitto Israelo-Palestinese.

A maggio il responsabile della politica estera dell’Unione Europea ha detto che l’Unione userà “tutte le proprie facoltà diplomatiche” per cercare di dissuadere il governo Israeliano a procedere col suo piano.

L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha rifiutato il progetto statunitense e ha recentemente dichiarato che considera nulli e privi di valore qualunque accordo precedentemente sottoscritto con Stati Uniti e Israele.

L’annessione unilaterale di un territorio è tassativamente vietata dal diritto internazionale, senza alcuna eccezione. Ma se l’Unione Europea è compatta nella sua opposizione all’annessione, rimane divisa su quali passi intraprendere, facendo sì che la sua risposta rimanga limitata alla retorica e alle condanne verbali.

Lezioni dalla storia

Uno scenario simile si verificò già nel 1980, quando Israele annetté Gerusalemme Est e poi nel 1981 le alture del Golan siriane.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU asserì che avrebbe implementato sanzioni economiche e politiche contro Israele, ma alle parole non seguirono i fatti.

Quattro decenni più tardi, la comunità internazionale continua a dibattere su come rispondere al piano israeliano di annettere circa un terzo dei Territori Occupati.

Non saremmo qui nel 2020 a discutere di questo se nel 1980 e nel 1981 si fossero tracciati dei confini certi” dichiara ad Al Jazeera Michael Lynk, inviato speciale dell’ONU per la situazione dei diritti umani nei Territori Occupati palestinesi.

Israele ha imparato una lezione irrefutabile per quanto concerne l’impunità – che la comunità internazionale farà passare risoluzioni contro l’annessione, adotterà risoluzioni sull’illegalità di costruire imprese coloniali, ma nonostante ciò la comunità internazionale non imporrà praticamente nessuna conseguenza ad Israele che quindi potrà, nei fatti, far man bassa” ha detto Lynk.

Israele è in violazione di più di 40 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e di circa 100 risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Nel 2018 Lynk ha esortato la comunità internazionale ad agire per impedire l’imminente annessione della Cisgiordania occupata.

Nel rapporto annuale del 2019, Lynk ha ribadito che l’Assemblea Generale e la comunità internazionale hanno l’obbligo legale di assicurare che il diritto internazionale venga rispettato dai propri membri.

Ciononostante, Israele ha goduto di un regime di impunità per decenni, nonostante gravi violazioni del diritto internazionale, a causa di un’assenza di volontà politica ad addossargli “una qualunque forma significativa di responsabilità”, scrive Lynk.

Il Caso della Crimea

La comunità internazionale in passato ha dimostrato di essere capace di rispondere alle annessioni illegali, come quando ha rapidamente imposto sanzioni economiche e diplomatiche alla Russia quando ha occupato e annesso la Crimea dall’Ucraina nel 2014.

La Russia è stata espulsa dal G8, la sua domanda di partecipazione all’OECD [Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ndtr.] bloccata, sono stati posti blocchi all’importazione e esportazione dei beni da e per la Crimea, e le persone coinvolte nell’annessione sono state oggetto di sanzioni diplomatiche e blocco dei beni.

Tali misure sono ancora in corso, e sono state estese fino a giugno 2020, pur essendo la Russia un importante partner commerciale e un attore chiave della politica internazionale.

Lynk fa notare come Israele abbia un impatto molto meno significativo sulle economie globale ed europea.

[L’UE] potrebbe effettivamente imporre misure diplomatiche di responsabilizzazione ad Israele per assicurarsi che receda dalla decisione di annessione o per far si che si renda conto che ci sarà un prezzo da pagare se proseguisse sul percorso dell’annessione”, ha dichiarato Lynk

Ciononostante, l’UE appare alquanto divisa al suo interno sui passi da intraprendere.”

Non ci sono differenze politiche o legali significative tra l’annessione della Crimea nel 2014 e quella progettata per il 2020 di considerevole parte della Cisgiordania.”, dice Lynk

Al contrario, le relazioni tra l’UE e Israele si sono solo rafforzate.

Il commercio tra i due ha raggiunto cifre record negli ultimi anni. Nel 2017, l’export israeliano di beni verso l’UE ha raggiunto il 34% dell’export totale di Israele.

Quasi il 40% degli import israeliani arriva dall’UE, suo principale partner commerciale.

Gli Stati Uniti hanno addirittura ampliato i loro aiuti a livelli record. Nel 2016, verso la fine del mandato presidenziale di Barack Obama, gli Stati Uniti hanno accordato a Israele 38 miliardi di dollari di aiuti militari per la decade successiva, somma che Netanyahu ha definito “storica”.

Diana Buttu, un’analista di Haifa, ha detto ad Al Jazeera che il piano di Israele per l’annessione viene visto come “la ciliegina sulla torta” visto che non ci sono state conseguenze per i comportamenti illegali degli ultimi 53 anni di occupazione, che includono l’espansione degli insediamenti israeliani illegali, l’implementazione di un doppio sistema legale, l’impedimento ai palestinesi dell’accesso alle risorse naturali e i bombardamenti sulla Striscia di Gaza.

Abbiamo visto negli anni come Israele acquisti sempre più supporto internazionale da paesi in tutte le parti del mondo.”, dice Buttu.

La risposta [internazionale] è stata nulla, e questo è esattamente quello su cui scommettono i coloni. È esattamente ciò che hanno previsto.”

Buttu dice che la ragione per cui la comunità internazionale ha deciso di ignorare quelle azioni è per via “del fatto che Israele è un progetto coloniale”.

Il mondo arabo non ha mai avuto l’autodeterminazione. Non è mai stata un’area dove non ci fosse un qualche tipo di potere coloniale”, prosegue Buttu.

È possibile imporre cambiamenti. La Russia è molto più potente di Israele. Ma non c’è la volontà politica di farlo, è questa la vera differenza.”

Perdere l’opportunità per l’annessione

La comunità internazionale ha fatto poco riguardo alla proposta d’annessione di Israele poiché Israele ha gestito “una campagnia internazionale estremamente scaltra” e ha un servzio diplomatico “solido”, secondo Lynk.

Ha, ovviamente, il supporto di importanti gruppi pro-Israele negli Stati Uniti, che hanno una significativa influenza a Washington e altrove”, dice Lynk.

È noto che l’amministrazione Trump ha forti legami col partito Likud di Netanyahu.

A maggio 2018 gli Stati Uniti han spostato la loro ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, ribaltando una linea politica vecchia di decenni. A marzo 2019 hanno riconosciuto l’annessione israeliana delle alture del Golan siriane.

A giugno 2019, gli Stati Uniti hanno azzerato i loro contributi all’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi e a febbraio hanno rifiutato di fornire finanziamenti all’Autorità Nazionale Palestinese, a quanto è stato detto in un tentativo di forzare Ramallah a modificare la sua posizione sul piano di annessione.

Uno stato internazionale, come gli Stati Uniti, ha il dovere di isolare coloro che violano i diritti umani, non di finire per favorirli” dice Lynk.

Quello che vediamo sono il governo israeliano e il Partito Repubblicano [americano ndtr.] farsi scaltri e realizzare che l’attuale amministrazione potrebbe non essere rieletta a novembre, e che quindi potrebbe andare persa l’opportunità di realizzare probabilmente il più grande regalo americano a Israele di sempre, cioè il sostegno all’annessione di parti della Cisgiordania e la protezione per Israele da qualsiasi ricaduta diplomatica.”

I critici han paragonato l’idea di Stato palestinese di Stati Uniti e Israele al Bantustan sudafricano durante il regime dell’apartheid.

Lynk descrive il piano come “una serie sconnessa di circa 165 isolette di territorio separate le une dalle altre” e la soluzione dei due Stati come “un cadavere che sta semplicemente aspettando il proprio funerale”.

Se Israele dovesse andare avanti con l’annessione, creerà uno stato con due livelli distinti di diritti economici, politici, sociali,e di proprietà, ovvero un regime di apartheid, dice Lynk.

Quando il polverone si sarà posato…il mondo realizzerà che c’è un solo Stato in funzione tra il Mediterraneo il fiume Giordano, e che quello Stato è Israele.”

[traduzione dall’Inglese di Giacomo Ortona]




Il mondo deve fermare le annessioni di Israele e cancellare la sua colonizzazione della Palestina

Ramona Wadi

9 maggio 2020 The Palestine Chronicle

Le critiche del relatore speciale delle Nazioni Unite Michael Lynk nei confronti della incombente annessione da parte di USA-Israele di altri territori palestinesi offrirebbero un buon punto di partenza per un’azione politica collettiva contro Israele se solo la comunità internazionale dimostrasse tale determinazione.

“Il piano consoliderebbe un’apartheid del 21° secolo e avrebbe come conseguenza la fine del diritto dei palestinesi all’autodeterminazione. Legalmente, moralmente, politicamente, questo è del tutto inaccettabile”, ha dichiarato Lynk.

Il funzionario delle Nazioni Unite ha descritto le ripercussioni dell’annessione come l’apertura di un varco per “una cascata di conseguenze negative sui diritti umani” e ha insistito sul fatto che la comunità internazionale non possa più svolgere un suo ruolo accondiscendente nei confronti delle violazioni israeliane. “L’incombente annessione è una cartina di tornasole politica per la comunità internazionale. – ha avvertito – Questa annessione non sarà annullata con i rimproveri, né l’occupazione che persiste da 53 anni morirà di vecchiaia”.

Questa non è la prima volta che Lynk rivolge verso Israele una critica più severa rispetto ai pacati commenti tipici dei funzionari e delle istituzioni delle Nazioni Unite. In passato, ha caldeggiato sanzioni internazionali contro Israele e ha sostenuto la Corte Penale Internazionale (CPI) nelle sue indagini sui crimini di guerra israeliani contro il popolo palestinese.

Le parole di Lynk attirano l’attenzione sulle falle politiche delle Nazioni Unite e sull’appoggio alle violazioni dei diritti umani commesse dai suoi stati membri. Mentre Israele va verso l’annessione, è improbabile che la comunità internazionale faccia una valutazione critica della propria complicità. I piani di annessione USA-Israele sono fondati su decenni di appoggio internazionale alla colonizzazione sionista.

Dichiararsi contrari all’annessione – uno degli ultimi passi che Israele sta intraprendendo per completare il suo progetto coloniale – non è sufficiente. Anche ridurre il processo di colonizzazione ai “53 anni di occupazione” è incoerente ed è una falsa rappresentazione delle cause della cacciata dei palestinesi.

Gli Stati Uniti potrebbero al momento giocare un ruolo preminente, ma la comunità internazionale ha enfatizzato la relazione USA-Israele per distogliere l’attenzione dal processo storico che ha portato all’attuale evoluzione. Il sostegno della comunità internazionale al progetto di colonizzazione israeliano è una grave violazione che rimane sottovalutata. Ciò che Stati Uniti e Israele hanno ottenuto sotto l’amministrazione Trump è il riflesso di un ciclo continuo di intenzionale silenzio politico a livello globale.

Con l’accensione dei riflettori sulla collusione USA-Israele, la comunità internazionale ha ottenuto una sospensione temporanea della valutazione critica delle sue azioni, in particolare della sua inazione quando sono in ballo i diritti politici del popolo palestinese.

In verità, l’azione della comunità internazionale può essere riassunta nel Piano di partizione del 1947, dopo di che il ricorso a dichiarazioni e condanne divenne il mezzo accettato diplomaticamente per sostenere nelle apparenze i diritti dei palestinesi. Le dichiarazioni di Lynk, sebbene prive di riferimenti diretti alla colonizzazione israeliana, puntano il dito contro una responsabilità internazionale.

Negli ultimi anni il compromesso sui due Stati rimane la prova più palese della responsabilità internazionale nell’impedire la rivendicazione palestinese sulla propria terra e i propri diritti. Proprio come l’annessione è stata dichiarata una violazione del diritto internazionale, anche la diplomazia dei due Stati deve essere ritenuta responsabile del fatto di aver aperto la strada all’annessione.

Ciò richiede un completo ripensamento della politica che le Nazioni Unite hanno sostenuto finora. Non ci può essere un fronte politico unificato contro Israele se non viene abbandonata la politica dei due Stati. Per fermare l’annessione è necessaria una cessazione della colonizzazione israeliana; qualsiasi provvedimento meno severo costituirebbe un’affermazione di tradimento contro il popolo palestinese.

– Ramona Wadi è una redattrice dello staff di Middle East Monitor, dove questo articolo è stato originariamente pubblicato. Ha concesso questo articolo a The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)