Quando il sionismo si spacca: Israele e il monito della storia coloniale

David Heartst

26 gennaio 2023 – Middle East Eye

La divergenza tra il progetto delle truppe d’assalto sioniste per la creazione di uno Stato ebraico e la tradizione sionista è stata tantissime volte nascosta sotto il tappeto. Oggi sta venendo prepotentemente allo scoperto.

La classe politica israeliana non ha saputo dare nessuna risposta [alla domanda]: “Chi è al comando?”

[Tale domanda] costituiva una provocazione suscitata dalla acuta sensazione che gli ebrei avessero perso il controllo sui palestinesi che vivevano nel loro Stato. Ma a poche settimane dall’ultima reincarnazione di Benjamin Netanyahu a capo del governo più estremista nella storia di Israele milioni di israeliani si stanno ponendo una domanda simile: chi abbiamo al comando?

Un ministro della giustizia che intende neutralizzare l’autorità e l’indipendenza giudiziaria? Un ministro delle finanze che mette in dubbio il diritto degli immigrati russi a essere considerati ebrei? Un ministro della sicurezza nazionale il cui primo atto è stato l’assalto alla moschea di Al-Aqsa? 

In verità, le manifestazioni di massa riguardano solo la prima delle tre questioni, anche se la questione dell’identità russa è abbastanza esplosiva – Bezalel Smotrich l’ha definita una bomba a orologeria ebraica.

I palestinesi sono stati ancora una volta esclusi dalla rivolta sionista liberale. Dopo che alcune bandiere palestinesi sono apparse nel mare di quelle bianche e blu durante le prime proteste di massa gli organizzatori si sono affrettati a rinunciare a una presenza palestinese. Ciò nonostante, i sionisti liberali hanno avuto un assaggio di cosa significhi essere palestinesi nelle mani della nuova élite – il movimento nazionalista religioso dei coloni.

È vero, la battaglia si inquadra come una lotta contro i fascisti a favore della democrazia. Non si trasforma, almeno per ora, in un dibattito sulla crudeltà quotidiana e sul costo umano del sostegno allo progetto sionista in sé. Ma quelle domande cominciano ad emergere.

Leggete questo commento pubblicato da Yedioth Ahranoth, un giornale di centro fedele alla linea ufficiale israeliana sull’occupazione: “La verità scomoda è che non può esserci democrazia insieme a un’occupazione, non può esserci democrazia in un Paese la cui politica economica consente ai forti di fare un balzo in avanti mentre i deboli restano indietro e non può esserci democrazia in un luogo dove gli arabi sono tenuti fuori dalla scena”.

Chi non riesce ad affrontare questi problemi in modo chiaro e coerente fallirà anche nel suo sforzo assolutamente giustificato di fermare una parte del processo. La scomoda verità è che chiunque voglia portare un milione di persone nelle strade per scuotere il paese in risposta al piano di Levin non può balbettare luoghi comuni sul “restringimento del conflitto” e sull’essere “né di destra né di sinistra”.

Un rapporto complesso

Il rapporto del sionismo tradizionale con il movimento dei coloni è sempre stato più complesso e ricco di sfumature rispetto alla sua consueta rappresentazione come divisione tra centro ed estrema destra. E quando il centro è al comando fa molto peggio che voltarsi dall’altra parte. Molto peggio.

Gli insediamenti si sono moltiplicati sotto i governi laburisti. Esprimere orrore per personaggi come Ben Gvir incaricati di governare la Cisgiordania occupata significa ignorare il sangue palestinese che gronda dalle mani dell’ex primo ministro Yair Lapid.

L’anno scorso è stato il più sanguinoso dalla Seconda Intifada con 220 morti tra cui 48 minori.

Denunciare gli attacchi ai giudici israeliani “di sinistra” significa dimenticare che gli attacchi dei coloni sono rimasti impuniti – e anche nel raro caso di una condanna continuano a rimanere nella stragrande maggioranza impuniti. Fino ad ora, il rapporto tra il sionismo liberale e il terrorismo ebraico è stato simbiotico sia prima che dopo l’assassinio di Yitzhak Rabin nel 1995 [allepoca Rabin era primo ministro e fu assassinato da un estremista israeliano, ndt.].

Questo è molto chiaro nelle testimonianze dei successivi capi dello Shin Bet. Quando il servizio di sicurezza interna ha catturato dei terroristi nell’atto di piazzare negli autobus palestinesi bombe al semtex [esplosivo al plastico, ndt.] che avrebbero provocato un eccidio di massa, si è imbattuto anche nei piani per far saltare in aria la moschea di Al-Aqsa.

Carmi Gillon, a capo dello Shin Bet dal 1994 al 1996, intervistato nel documentario The Gatekeepers [I guardiani, ndt.], ha dichiarato: “Dopo che smascherammo la Jewish Underground [o makhteret, organizzazione terrorista di destra ebraica, ndt.] il primo ministro Shamir definì la mia unità il diamante della corona. Abbiamo ricevuto complimenti e sostegno da tutte le parti. Iniziarono le pressioni a loro favore. Furono processati. Tre di loro ebbero l’ergastolo, altri condanne diverse. Tutti uscirono di prigione molto velocemente. Tornarono a casa come se niente fosse. Tornarono ai loro precedenti incarichi, alcuni ad incarichi anche più elevati. La Knesset [parlamento israeliano, ndt.] rilasciò l’intera Jewish Underground. La legge di clemenza verso la Jewish Underground fu firmata da Yitzhak Shamir come primo ministro di Israele. Non si trattò solo di pochi membri dell’opposizione”.

Per lo Shin Bet l’assassinio di Rabin fu un incidente automobilistico al rallentatore. In quella circostanza emerse per la prima volta Ben Gvir. Apparve in televisione brandendo lo stemma del cofano della Cadillac che era stato rubato dall’auto di Rabin: “Siamo arrivati alla sua macchina e arriveremo anche a lui”.

Yaakov Peri, capo dello Shin Bet dal 1988 al 1994, ha detto che per lui l’assassinio di Rabin ha cambiato il mondo intero: “Improvvisamente ho visto un Israele diverso. Non ero consapevole dell’intensità degli abissi, dell’odio e delle fratture tra di noi. Come percepiamo il nostro futuro? Cosa abbiamo in comune? Perché siamo venuti qui? Cosa vogliamo diventare? Tutto ciò era evidente e tutto è andato in pezzi.”

C’è un senso di amarezza in tutte e sei le interviste con i capi dello Shin Bet. Non si sentono solo delusi dai governi successivi. Si sentono traditi e lo dicono apertamente. Nel 1996, quando l’assassino di Rabin, Yigal Amir, fu condannato, il 10% degli israeliani disse che avrebbe dovuto essere rilasciato; nel 2006, tale sostegno era aumentato al 30%.

Ma il rapporto non è più simbiotico. L’ascesa al potere di Ben Gvir e Smotrich non è uno scherzo della natura, un incidente della politica. Non è Trump. Né è un’insurrezione del 6 gennaio.

Il conflitto tra il progetto delle truppe d’assalto sioniste per la creazione di uno Stato ebraico dal fiume [il Giordano, ndt.] al mare [Mediterraneo, ndt.] e la visione tradizionale sionista, sia in Israele che all’estero, è stato intrinsecamente latente sullo sfondo fin dalla creazione dello Stato di Israele stesso.

È presente da quando Rabin, in qualità di comandante del neonato esercito israeliano, ordinò alle sue truppe di aprire il fuoco su una nave mercantile che stava scaricando armi per l’Irgun [gruppo paramilitare sionista ndt.], uccidendo 16 combattenti. Un futuro primo ministro, Menachem Begin, fu portato a terra ferito.

Questa spaccatura è stata nascosta tante volte sotto il tappeto. Oggi sta venendo prepotentemente allo scoperto.

Il modello algerino

Se esiste un parallelo storico con la scissione che sta spaccando il sionismo, non è con il Sud Africa ma con l’Algeria.

I coloni francesi, conosciuti come i pied-noirs, si trovavano in Algeria dal XIX secolo. Il Paese veniva trattato come un’estensione del Paese continentale piuttosto che una colonia in Africa. “Algeri fa parte della Francia tanto quanto la Provenza”, dicevano tra loro.

Fin dall’inizio, i “colons” furono parte integrante del progetto coloniale francese. Il maresciallo Thomas-Robert Bugeaud, governatore generale dell’Algeria, proclamò all’Assemblea nazionale francese nel 1840: “Ovunque (in Algeria) ci sia acqua dolce e terra fertile, là bisogna collocare dei coloni, senza preoccuparsi a chi appartengono queste terre.“

I primi fermenti del dopoguerra concernenti richieste algerine per una parità di cittadinanza furono affrontati con dei tentativi di riforma. Parigi concesse la cittadinanza a 60.000 persone in base a ciò che venne definito un criterio “di merito”, e nel 1947 un parlamento con una camera per i pied-noirs e un’altra per gli algerini. Tuttavia, il voto del pied-noir era considerato valere sette volte il voto di un algerino.

Impegnati per quattro anni in una brutale guerra d’indipendenza il cui bilancio di vittime la Francia – fino ad oggi – continua a sottostimare (l’Algeria parla di 1,5 milioni di morti, mentre la Francia dice che furono uccisi da entrambe le parti 400.000 persone), i pied-noirs ebbero la simpatia e il supporto dell’esercito e degli apparati di sicurezza francesi.

E’ istruttivo su quest’epoca il capitolo di Henry Kissinger, nel suo libro Leadership sul generale Charles De Gaulle, che definisce uno dei sei grandi leader con cui ha interagito durante la sua carriera di diplomatico.

Il rapporto di De Gaulle con i coloni si evince da un discorso in cui diceva loro “vi capisco” per il fatto di essere presi di mira nella stessa Francia per la loro campagna terroristica. In quel momento l’umore pubblico in Francia era cambiato e la Francia si rivoltava contro i coloni. Il punto di svolta fu la mutilazione di una bambina di quattro anni nell’esplosione di una bomba a Parigi nel 1962.

Prima di allora, l’Organizzazione Armee Secrete (OAS) [organizzazione paramilitare clandestina francese il cui slogan era “l’Algérie française”, ndt.] godeva del sostegno di 80 deputati all’Assemblea nazionale.

Ciò provocò una manifestazione contro l’OAS, che la polizia represse uccidendo otto persone. Ai loro funerali parteciparono centinaia di migliaia di persone e un cessate il fuoco tra la Francia e il Fronte di liberazione nazionale (FLN) [movimento rivoluzionario algerino che diresse la guerra d’indipendenza, ndt.] trasformò una lotta a tre in un conflitto a due che l’OAS era destinata a perdere.

Naturalmente ci sono tante differenze tra i pied-noirs e i coloni ebrei così come sono molte le somiglianze. La religione non svolse un ruolo determinante nel progetto francese. Non c’era stato in Europa alcun eccidio su larga scala dei francesi che giustificasse la creazione di quella colonia.

Tuttavia, l’elemento essenziale del confronto rimane valido. Quando l’OAS si mise in proprio l’intero progetto fu destinato a perdere. Un altro punto vitale per i palestinesi, né la resistenza algerina né la resistenza sudafricana hanno vinto militarmente. Erano entrambe completamente prive di armi. In entrambi i casi a vincere la battaglia è stata la perseveranza, il rifiuto di arrendersi.

Nessuno sta dicendo, tanto meno io, che Israele stia per crollare come fece il dominio francese in Algeria. Ma stanno comparendo le prime grandi crepe nel progetto sionista.

Le prime crepe

Ben Gvir ha fatto di più per delegittimare Israele da quando è salito al potere poche settimane fa che anni di campagna del movimento BDS. Gli ex capisaldi del sostegno ebraico di New York a Israele stanno rilasciando dichiarazioni che implorano Netanyahu di cambiare rotta.

Eric Goldstein, il capo della più grande federazione ebraica del Nord America, ha “rispettosamente implorato” Netanyahu di mantenere le precedenti promesse di bloccare le leggi che minacciano l’indipendenza del sistema giudiziario israeliano.

Le federazioni ebraiche non rilasciano quasi mai tali dichiarazioni pubblicamente per il semplice motivo che il settore dei servizi sociali israeliani è uno dei loro maggiori beneficiari.

Ovviamente Netanyahu farà tutto ciò che è in suo potere per giocare la carta internazionale. Lo ha fatto in Giordania, dichiarando senza fondamento che lo status quo ad Al-Aqsa non cambierà. Lo aveva già fatto, come sa benissimo il Waqf, custode dei luoghi santi di Gerusalemme, la cui gestione è affidata alla Giordania.

Ma in Ben Gvir e Smotrich Netanyahu ritrova una forma diversa di partner di coalizione. Questi rottweiler della destra religiosa nazionale non sono solo una parte dell’attuale, traballante soluzione politica di un politico, Netanyahu, che ha superato da tempo la data di scadenza. Sono la forma della futura leadership di Israele.

Questo dovrebbe costituire un segnale di allarme per ogni ebreo israeliano che non ha un passaporto europeo e non gradisce la prospettiva di una guerra a tutto campo con 1,6 miliardi di musulmani in tutto il mondo, che il movimento religioso nazionale sembra essere determinato a scatenare.

Dovrebbero pensare ad affrontare il futuro con i palestinesi alla pari, visto che il conflitto è ancora riferito alla terra e alla nazionalità, non alla religione. C’è solo un breve periodo di tempo per farlo.

Gillon afferma in The Gatekeepers: “Il piano era di far saltare in aria la Cupola della Roccia e l’esito avrebbe portato – come anche oggi – alla guerra totale da parte di tutti gli stati islamici, non solo l’Iran, ma anche l’Indonesia”.

Se aveva ragione 11 anni fa quando questa intervista è stata registrata, ha ancora più ragione oggi. Con il movimento religioso nazionale al comando, la previsione di Ami Ayalon è preveggente: “Vinceremo ogni battaglia ma perderemo la guerra”.

E’ capitato in Algeria. E’ capitato in Sud Africa. Capiterà anche in Israele.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è co-fondatore e redattore capo di Middle East Eye. È commentatore e relatore sulla regione e analista sull’Arabia Saudita. E’ stato capo redattore per la politica estera del Guardian e corrispondente in Russia, Europa e Belfast. È entrato a far parte del Guardian da The Scotsman, dove era corrispondente per l’istruzione.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




I generali israeliani non sono contenti di dover rispondere ai due ministri e mezzo di Netanyahu

Lily Galili

23 gennaio 2023 – Middle East Eye

L’accordo di coalizione del primo ministro israeliano ha consegnato all’estrema destra un controllo civile e militare senza precedenti, aprendo la strada all’annessione de facto della Cisgiordania.

Il nuovo comandante dell’esercito israeliano Herzi Halevi si trova in una situazione insolita. Il generale deve rispondere non a un ministro della Difesa, e neanche a due, ma a due ministri e mezzo.

Yoav Gallant del Likud [partito nazionalista e di destra israeliano con a capo l’attuale primo ministro Netanyahu, ndt.] è il ministro della Difesa israeliano. Bezalel Smotrich, presidente del partito di estrema destra Sionismo religioso, è sottosegretario presso lo stesso ministero [oltre ad essere ministro delle Finanze ndt.]. Itamar Ben-Gvir, del partito Jewish Power [Potere Ebraico, di estrema destra, ndt.], dispone di una fetta del portafoglio della Difesa, oltre ad essere ministro della Sicurezza Nazionale.

Gli ultimi due politici di estrema destra hanno rivendicato la loro parte nel ministero attraverso piani per riorganizzare l’autorità nella Cisgiordania occupata, che Israele ha [fino ad oggi, ndt.] amministrato – con l’eccezione di Gerusalemme Est – attraverso l’Amministrazione Civile Israeliana, un ramo del ministero della Difesa.

Nell’ambito dell’accordo che lo ha visto entrare a far parte del nuovo governo del primo ministro Benjamin Netanyahu, Smotrich ha chiesto – e ottenuto – l’autorità sull’Amministrazione Civile, che fino a quel momento era stata sotto il controllo esclusivo del ministro della Difesa.

Ben-Gvir, responsabile della polizia, ha ottenuto l’autorità sulla polizia di frontiera operante in Cisgiordania. Fino ad ora quella forza è rimasta sotto il controllo del comando centrale dell’esercito israeliano.

Ma ora, sulla base dell’accordo di coalizione, entro 90 giorni dalla formazione del nuovo governo sarà attuato il trasferimento dei poteri.

Di tutte le frammentazioni dei ministeri compiute da Netanyahu per facilitare la ripartizione equilibrata degli incarichi tra i partner della sua coalizione di estrema destra, la disarticolazione del ministero della Difesa è la meno comprensibile.

Nonostante la messa sull’avviso da parte di ufficiali di alto rango, anche in occasione di un incontro urgente con il comandante dell’esercito uscente Aviv Kochavi, Netanyahu ha portato a termine una mossa senza precedenti e insolitamente rischiosa.

Non è ciò che fa un primo ministro che si vanta di essere “Mr Security” [Signor Sicurezza]. È qualcosa che fa un uomo incriminato di tre reati per evitare di andare in prigione.

Yagil Levy, professore di Sociologia Politica e Ordine Pubblico presso la Open University of Israel, ha dichiarato a Middle East Eye che queste variazioni senza precedenti nella struttura dell’esercito e nella divisione dei compiti potrebbero provocare nei militari, in particolare tra gli alti gradi dell’esercito, un senso di perdita di prestigio.

Amir Eshel, ex dirigente generale del ministero della Difesa ed ex comandante dell’aeronautica israeliana, ha avvertito che la divisione del ministero tra tre entità potrebbe costituire un vero pericolo per la sicurezza.

Lunedì scorso, alla cerimonia del passaggio delle consegne ad Halevi, il ministro della Difesa Gallant ha affrontato la questione, dicendo che si sarebbe impegnato per frenare la “pressione esterna” sulle forze armate.

Gallant ha sottolineato l’unità di comando: “Per ogni soldato c’è un comandante… e soprattutto c’è il capo di stato maggiore, subordinato al ministro della Difesa”, ha detto.

Quindi un ministro della Difesa, e non 2,5. Dietro le spalle Gallant, che dovrebbe essere alla guida del ministero, è soprannominato ministro della Difesa di secondo grado”, o appaltatore esecutivo per lo smantellamento dell’esercito”. In questo caso la colpa non è sua.

La nuova struttura è stata testata prima del previsto quando venerdì, dopo che un avamposto coloniale ebraico illegale in Cisgiordania è stato evacuato poco dopo che era stato creato durante la notte, si è verificata una crisi di potere all’interno della coalizione. Gallant ha ordinato l’evacuazione sfidando sia Smotrich che Ben-Gvir.

Come ritorsione Smotrich ha rifiutato di partecipare alla teleconferenza con Netanyahu e Gallant; nel frattempo Ben-Gvir ha chiesto l’immediata evacuazione di Khan al-Ahmar, un villaggio beduino in Cisgiordania, lamentando un doppio standard per ebrei e arabi. Questo è solo l’inizio.

L’autorità di Smotrich sull’Amministrazione Civile israeliana e il Coordinatore delle attività governative nei territori (Cogat) [unità del Ministero della Difesa israeliano che coordina le questioni civili tra il governo di Israele, l’esercito israeliano, le organizzazioni internazionali e l’Autorità Nazionale Palestinese, ndt.] è già stata suggellata nell’accordo di coalizione.

Cosa significa questo in realtà, a parte un’anomalia all’interno di un’anomalia? Una risposta è più che certa: significa annessione de facto della Cisgiordania.

Amministrazione civile e militare

Per comprenderlo è fondamentale cogliere il ruolo dell’amministrazione civile nella macchina dell’occupazione.

La natura di questo organismo, istituito nel 1981, è stata delineata dal governo militare della Cisgiordania occupata in un regolamento militare.

Esso affermava: “Con la presente istituiamo un’amministrazione civile … gestirà tutte le questioni civili regionali relative a questo decreto militare, per il benessere e l’interesse della popolazione locale”.

In pratica, l’amministrazione civile è un eufemismo per amministrazione militare. Dal 1994 nelle aree A (18% della Cisgiordania) [sotto il pieno controllo dell’ANP, sulla base degli accordi di Oslo del 1993, ndt.] e B (22%) [sotto il controllo civile dell’ANP e militare di Israele, ndt.] alcune delle sue funzioni sono state trasferite per le questioni civili all’Autorità Nazionale Palestinese.

Oggi l’amministrazione civile è responsabile del rilascio dei permessi di viaggio dalla Cisgiordania occupata e da Gaza verso Israele. All’interno della Cisgiordania rilascia permessi di lavoro ai palestinesi che entrano in Israele per lavorare e sovrintende a tutti i permessi di costruzione negli insediamenti coloniali israeliani e su terra palestinese nell’Area C (60% della Cisgiordania), che è sotto il pieno controllo civile e militare israeliano.

“Il controllo dell’esercito sulla terra e sulla popolazione, in particolare quella palestinese, richiede non solo armi, ma un insieme di strumenti civili, militari e legali – ecco perché deve rimanere sotto una catena di comando militare”, ha detto in un’intervista radiofonica il generale in pensione Nitzan Alon, già a capo del comando centrale.

La subordinazione dell’Amministrazione Civile all’autorità militare non solo svolge il ruolo di organo effettivo di occupazione, ma anche di strumento legale. Israele non ha mai annesso formalmente la Cisgiordania e, anche se lo facesse, il suo status rimarrebbe comunque definito dal diritto internazionale come “occupazione militare temporanea”.

Mentre il mondo diviene insofferente per i 56 anni di occupazione temporanea, il trasferimento dell’autorità militare sull’area a un ministero civile solleva una questione giuridica.

Apparentemente, potrebbe significare un’annessione de facto con tutte le ripercussioni giuridiche del cambiamento di status. Contemporaneamente significa un aggravamento dell’apartheid.

Quasi tre milioni di palestinesi – compresi quelli delle aree A e B, ancora dipendenti da Israele – e mezzo milione di coloni ebrei si ritroveranno sotto una nuova compagine amministrativa che predica la supremazia ebraica ed è lì per compiacere il suo elettorato di estrema destra. Le implicazioni sono evidenti.

I generali in pensione si oppongono al cambiamento

Ephraim Sneh, un generale di brigata in pensione ed ex politico il cui ultimo ruolo nelle forze armate è stato quello di capo dell’Amministrazione Civile e che in seguito ha svolto attività di supervisione come viceministro della Difesa, è profondamente turbato dall’imminente trasferimento del potere dal comando militare a Smotrich.

Parlando con MEE, ha descritto l’equilibrio che le amministrazioni civile e militare cercano di raggiungere nel controllo della Cisgiordania e della sua popolazione.

“Il responsabile del comando centrale e il capo dell’amministrazione civile devono trovare l’equilibrio tra le esigenze di sicurezza militare e le esigenze civili”, sostiene Sneh.

Molto spesso queste esigenze si scontrano. Il capo dell’Amministrazione Civile si occupa per definizione di tutelare con la maggiore discrezione possibile la routine quotidiana. L’organismo responsabile della sicurezza è lì per fornire sicurezza, spesso a costo di interrompere la routine dei palestinesi”, afferma.

I responsabili della sicurezza, dice Sneh, sono a favore di più posti di blocco, maggiori restrizioni per fornire sicurezza, mentre la popolazione cerca semplicemente più comodità e possibilità di spostamento”.

“Alla fine, spetta al ministro della Difesa decidere”, afferma il comandante in pensione. “È una mossa molto rischiosa mettere questa autorità nelle mani di un ministro il cui principale interesse è cacciar via quanti più palestinesi possibile.

Ancora peggio, un politico i cui maggiori interessi sono scontri violenti tra ebrei e arabi ovunque, per preparare il terreno per futuri trasferimenti o quanto meno per compiacere il suo elettorato”.

Alla richiesta di fornire un esempio concreto di possibile scontro tra l’autorità militare del comando centrale responsabile della Cisgiordania e l’amministrazione civile, Sneh descrive una situazione di vita reale.

Immaginiamo una situazione in cui un uomo di un villaggio palestinese venga sospettato di qualche atto terroristico. L’istinto immediato dei militari sarebbe porre sotto assedio l’intero villaggio e revocare tutti i permessi di lavoro – una punizione collettiva totale”, sostiene Sneh.

L’Amministrazione Civile per definizione non è interessata ad una punizione collettiva, a cui farebbe seguito una protesta collettiva e quindi una violenza collettiva. Diciamo che l’Amministrazione Civile preferisce infliggere una punizione solo alla famiglia. È il ministro della Difesa a dover decidere. Ora abbiamo due ministri incaricati di quella decisione”.

Sneh aggiunge che il Cogat, un’unità del ministero della Difesa a cui è subordinata l’Amministrazione Civile, sarebbe guidata da un esponente di estrema destra incaricato da Smotrich, “la cui missione è rendere la vita dei palestinesi il più miserabile possibile”.

Avvertimento del dimissionario Kochavi

In una serie di interviste di addio ai media israeliani il comandante militare uscente Kochavi ha trattato dell’imminente subordinazione della polizia di frontiera della Cisgiordania al controverso Ben-Gvir.

Ha espresso la sua preoccupazione per la mossa in un incontro con Netanyahu. Alla domanda sul possibile trasferimento del potere a Ben-Gvir Kochavi non ha usato mezzi termini:

“Non possiamo avere due eserciti che rispondono a differenti concezioni e norme“, ha detto a Channel 13 [canale televisivo israeliano, ndt.].

Se in Giudea e Samaria [denominazione ebraica della Cisgiordania, ndt.] il controllo viene trasferito al di fuori della catena di comando dell’esercito, schiereremo soldati e riservisti per sostituire la polizia di frontiera. Le forze che operano insieme non avranno due comandanti”.

Kochavi ha sollevato la questione con Netanyahu ed è andato via con la convinzione che “saranno prese le decisioni giuste”. Ma anche Smotrich e Ben-Gvir sono stati ottimisti quando hanno firmato i loro accordi di coalizione, essendogli stato promesso tutto questo e altro ancora.

Levy, l’accademico, è preoccupato per le possibili ripercussioni. “Se a causa del trasferimento dell’autorità sulla polizia di frontiera a Ben-Gvir saranno necessari più riservisti, alcune unità potrebbero ribellarsi contro l’eccessivo reclutamento“, ha detto a MEE.

Il mondo assiste con indifferenza alla scissione del ministero dell’Istruzione e al trasferimento di alcuni dei suoi poteri a un irriducibile omofobo e misogino [si riferisce al vice ministro Avi Maoz, del partito ultraintegralista Noam, ndt.]. Lo stesso si può dire nel caso della frammentazione del ministero degli Esteri.

Questo non accade quando dei cambiamenti nelle forze armate sono un segnale chiaro e forte di un cambiamento di politica sull’uso della forza, l’apartheid e l’annessione accelerata dei territori occupati.

“Caos” è la parola usata dalla maggior parte delle alte cariche per descrivere l’evolversi della situazione, poiché avvertono il pericolo di un grande scontro con la comunità internazionale, l’amministrazione statunitense, l’UE e gli Stati arabi.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Palestinese ucciso da un colono israeliano vicino a Ramallah

Redazione

21 gennaio 2023-Middle East Eye

Tariq Maali, 42 anni, è stato ucciso dopo essere entrato in un avamposto illegale di coloni dove si presume abbia tentato di accoltellare un israeliano.

Sabato un colono israeliano ha sparato e ucciso un palestinese in una fattoria vicino a Ramallah, nella Cisgiordania occupata.

Il Ministero della Salute Palestinese afferma che Tariq Maali, 42 anni, è stato ucciso dopo che “gli occupanti [israeliani] hanno aperto il fuoco su di lui” vicino alla città palestinese di Kafr Nama.

L’esercito israeliano ha dichiarato all’AFP [France-Presse] che Maali avrebbe tentato di accoltellare un civile israeliano nella fattoria di Sde Efraim, un avamposto illegale di coloni, ed è stato “neutralizzato” dagli israeliani.

I filmati delle telecamere a circuito chiuso rilasciati dai militari hanno mostrato un uomo che entrava nella fattoria e veniva ucciso poco dopo.

Secondo un fotografo dell’AFP le autorità israeliane hanno impedito a un’ambulanza palestinese di entrare nel sito.

Sde Efraim è un avamposto di coloni, o insediamento selvaggio, illegale anche secondo la legge israeliana.

La distinzione tra avamposti e altri insediamenti non è riconosciuta dal diritto internazionale, che considera illegali tutti gli insediamenti nei territori occupati.

Nello stesso luogo, due anni fa, un colono israeliano ha ucciso a colpi di arma da fuoco Khaled Nofal, un ragioniere palestinese disarmato di 34 anni.

Secondo i resoconti israeliani Nofal stava cercando di attaccare l’avamposto dei coloni disarmato, un’affermazione che la sua famiglia nega secondo quanto detto a Middle East Eye.

L’ultima uccisione porta a 18 il numero dei palestinesi uccisi finora quest’anno, compresi quattro minorenni.

Giovedì, Jawad Farid Bawaqta, 57 anni, insegnante di scuola superiore e padre di sei figli, è stato ucciso dalle forze israeliane dopo essere andato a prestare i primi soccorsi a un altro palestinese ferito.

Le forze israeliane conducono quasi ogni notte in Cisgiordania incursioni che spesso si rivelano mortali.

La maggior parte delle incursioni degli ultimi mesi si sono concentrate su Nablus e Jenin, che ospitano un crescente numero di combattenti palestinesi.

Almeno 167 persone sono state uccise l’anno scorso in Cisgiordania: il bilancio di vittime più alto dalla Seconda Intifada.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Il poliziotto israeliano che ha ucciso un palestinese autistico disarmato ‘è stato promosso’

Redazione MEE

3 gennaio 2023 – MiddleEastEye

L’agente della polizia di frontiera che ha ucciso Iyad al-Halak sta affrontando un processo relativo all’incidente.

Si è saputo che un poliziotto israeliano che a maggio 2020 ha colpito a morte Iyad al-Halak, un palestinese affetto da autismo, nella Gerusalemme est occupata, questa settimana è stato promosso nonostante sia sottoposto a processo per l’uccisione.

Il poliziotto, che fa parte della polizia di frontiera e la cui identità è riservata, ha sparato al 32enne Halak, sostenendo che sospettava che il palestinese avesse un’arma. Invece Halak era disarmato e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha subito chiesto scusa alla sua famiglia, con una rara iniziativa da parte di un dirigente israeliano.

Lunedì i media israeliani hanno riferito che il poliziotto che ha ucciso Halak è stato promosso e recentemente ha agito come sergente operativo in una base della polizia di frontiera israeliana nell’area metropolitana di Tel Aviv.

Il poliziotto è attualmente sotto processo presso la corte distrettuale di Gerusalemme con l’accusa di aver sconsideratamente ucciso Halak e, se condannato, potrebbe trascorrere 12 anni in prigione.

La famiglia di Halak aveva in precedenza criticato l’indagine delle autorità israeliane sull’assassinio e aveva chiesto accuse molto più severe.

Halak indossava una mascherina mentre si recava in una scuola per disabili nella Città Vecchia della Gerusalemme est occupata, quando ha iniziato ad essere inseguito da poliziotti israeliani che gli hanno sparato.

A novembre il commissario di polizia ha affermato di appoggiare il poliziotto che ha ucciso Halak.

E’ importante per me affermare che siamo stati noi a mandarlo in missione ed abbiamo la responsabilità di stare dalla sua parte anche in queste circostanze”, ha detto Kobi Shabtai.

Itamar Ben Gvir, il parlamentare ebreo suprematista recentemente nominato ministro della sicurezza nazionale, che soprassiede alla polizia e alla polizia di frontiera, ha anch’egli precedentemente espresso il suo appoggio al poliziotto.

Nell’agosto 2021 la famiglia di Halak ha accusato la polizia di aver deliberatamente “distrutto le telecamere” che contenevano la prova dell’uccisione. L’indagine sulla sua uccisione è stata ostacolata dalla mancanza di prove video, nonostante testimonianze che nella zona dove è stato ucciso ci fossero almeno 10 telecamere CCTV.

L’uccisione di Halak nel 2020 ha anche suscitato la solidarietà internazionale, essendo coincisa con le proteste seguite all’uccisione da parte della polizia di George Floyd e le marce del movimento Black Lives Matter.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Due fratelli palestinesi uccisi in un attacco “deliberato” da parte di un colono.

Redazione di MEE

18 dicembre 2022- Middle East Eye

Secondo quanto riferito Mohammad e Muhannad Yousef Muteir stavano riparando una gomma quando un colono israeliano li ha investiti con la sua auto.

Secondo diverse fonti palestinesi due fratelli palestinesi sono stati uccisi dopo che un colono israeliano li ha investiti nella Cisgiordania occupata.

I fratelli, Mohammad e Muhannad Yousef Muteir, del campo profughi di Qalandia a Gerusalemme, sono stati uccisi sabato notte appena a sud della città di Nablus in Cisgiordania.

Secondo il servizio di emergenza israeliano Magen David Adom, un’auto guidata da un cinquantenne israeliano ha investito il veicolo dei due fratelli che era parcheggiato sul ciglio della strada.

I fratelli stavano riparando una gomma forata quando il colono li ha investiti con il suo veicolo, ha riferito l’agenzia di stampa Wafa.

Mohammad Muteir è morto sul posto e Muhannad Muteir è stato dichiarato morto all’ospedale Hadassah di Gerusalemme.

Il politico palestinese Mohammad Shtayyeh ha definito l’attacco un “crimine orribile”. I notiziari palestinesi hanno affermato che i due fratelli erano stati con la loro famiglia a Nablus per preparare il matrimonio della sorella venerdì prossimo.

Qalandia ha annunciato uno sciopero generale per domenica.

In una dichiarazione alla stampa, il direttore dell’ufficio del Governatorato di Gerusalemme a Qalandia, Zakaria Fayala, ha detto che il colono ha accelerato “deliberatamente” con la sua auto e si è schiantato contro i fratelli uccidendone uno sul posto.

Hanan Ashrawi, una parlamentare palestinese, ha definito l’ultimo incidente un “omicidio mordi e fuggi” che si aggiunge alla lista dei crimini israeliani impuniti”.

Tensioni in aumento

All’inizio di questa settimana l’esercito israeliano ha confermato l’uccisione di una ragazza palestinese di 15 anni durante un rastrellamento nella città occupata di Jenin in Cisgiordania

In seguito a questa uccisione Gli Stati Uniti hanno chiesto di accertarne la “responsabilità”.

Quest’anno gli ultimi decessi sono avvenuti durante un’impennata della violenza israeliana contro i palestinesi in Cisgiordania e una ripresa della resistenza armata palestinese.

Dall’inizio dell’anno il numero di palestinesi uccisi dalle forze israeliane è salito a 218, di cui 52 nella Striscia di Gaza e 166 in Cisgiordania, rendendolo uno degli anni più micidiali mai registrati per i palestinesi dal 2005.

Israele ha recentemente condotto quasi quotidianamente rastrellamenti e arresti in tutta la Cisgiordania, spesso uccidendo o ferendo palestinesi.

Secondo le autorità israeliane i rastrellamenti hanno portato a più di 2.500 arresti. Molte delle incursioni mortali sono avvenute nelle aree di Jenin e Nablus.

La “politica di sparare per uccidere” di Israele è stata ampiamente criticata in seguito all’incremento del numero di morti palestinesi per mano delle sue forze.

Nel frattempo 29 israeliani, soldati compresi, sono stati uccisi da palestinesi nello stesso periodo, il numero più alto dal 2008.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




È in arrivo l’annessione della Cisgiordania a Israele, ma non come ve la sareste aspettata

Lili Galili

17 dicembre 2022 – Middle East Eye

Le organizzazioni dei coloni hanno giocato un ruolo chiave nei negoziati per formare il governo e hanno come obiettivo il completo controllo della Cisgiordania

Il primo dicembre, subito dopo la firma degli accordi di coalizione fra il partito Likud di Benjamin Netanyhau e le fazioni di estrema destra, Sionismo Religioso e Potere Ebraico, l’organizzazione dei coloni Yesha Council [che riunisce i rappresentanti delle colonie illegali della Cisgiordania, N.d.T.] ha postato un messaggio compiaciuto su Facebook. “Ringraziamenti speciali ai nostri rappresentanti che hanno collaborato con gli esperti di Yesha Council durante i negoziati,” proclama dopo aver ringraziato tutti le persone coinvolte.

Con l’aiuto di dio presto un nuovo governo sarà formato e si troverà davanti alle sfide di costruzione, sviluppo e conservazione della terra in Giudea e Samaria,” si aggiunge, usando i nomi israeliani per la Cisgiordania occupata.

Ha fatto eco il capo di Karnei Shomron, un altro influente gruppo di coloni, che ha affermato su Ynet TV [notiziario e sito web israeliano di contenuti generali, N.d.T.] che la prima cosa che Bezalel Smotrich, leader di Sionismo Religioso, dovrebbe fare quando sarà al potere è applicare la sovranità israeliana in Giudea e Samaria.

Per oltre 55 anni non sono state prese decisioni. È ora di annettere Giudea e Samaria come sono state annesse le Alture di Golan,” ha aggiunto.

Questi commenti la dicono lunga. Non solo rivelano la portata del coinvolgimento delle organizzazioni dei coloni nei negoziati per formare il governo, ma ci offrono la possibilità di intravedere la pressione futura a cui sottoporranno i politici che alcuni chiamano ancora “rappresentanti”.

Tuttavia “rappresentanti” non è la parola giusta per queste persone. Questo governo di “Hilltop Youth [“Gioventù della Cima della Collina”, giovani estremisti religiosi nazionalisti e molto violenti che stabiliscono avamposti illegali in Cisgiordania, N.d.T.] non rappresenta il suo elettorato, è il volto della sua parte più radicale.

Israeliani di sinistra, centro e destra scioccati stanno già cercando di capire quale impatto avrà sulla loro vita di ogni giorno questo governo di destra radicale/ultra-ortodossa. Ma essa non intende cambiare solo la natura di Israele, ma anche la dimensione del Paese. In altre parole: l’annessione di terre palestinesi.

Di questi tempi il termine “annessione” è raramente menzionato, sia dalla coalizione entrante che dalla sua malconcia opposizione, occupata in altre questioni più scottanti.

È una decisione consapevole per timore della reazione internazionale. La nuova coalizione può facilmente liquidare poche manifestazioni di centinaia, o persino migliaia, di sinistrorsi indeboliti, giustamente preoccupati per la distruzione del sistema giuridico israeliano. Avere a che fare con la condanna internazionale o persino le sanzioni è tutt’un’altra storia.

Questo potrebbe non spaventare il messianico Smotrich o Itamar Ben-Gvir, leader dal grilletto facile di Potere Ebraico, ma certamente terrorizza Netanyahu. Egli sa molto bene che non può inimicarsi la comunità internazionale e, più precisamente, il mondo arabo, con il problema del nucleare iraniano e l’opzione dell’esercito israeliano di combatterlo, sospeso sulla sua testa come una spada di Damocle.

In queste circostanze l’uso dell’eufemismo “esercizio della sovranità” sembra più accettabile di “annessione”. Proprio come lo scellerato grido di “morte agli arabi” è stato rimpiazzato, per ordine di Ben-Gvir, con “morte ai terroristi”, la connotazione negativa di annessione unilaterale è ora intenzionalmente rimpiazzata con una frase giudicata più legittima politicamente.

Da una prospettiva giuridica sono la stessa cosa. In una recente intervista radiofonica, Simha Rotman, parlamentare del Sionismo Religioso, ha sostenuto che non si può annettere un territorio che era una specie di “terra di nessuno”. Tuttavia si può, e si deve, esercitare legalmente la sovranità.

I primi passi

Sebbene quasi mai menzionati dai futuri ministri, tutti gli atti e gli accordi della coalizione implicano l’annessione.

Il segno più allarmante è il trasferimento di due unità dell’esercito responsabili di amministrare l’occupazione alla totale responsabilità del partito di Smotrich grazie a un incarico ministeriale nel ministero della Difesa. Le due unità, l’Amministrazione Civile e il Cogat (Coordinatore delle Attività Governative nei Territori), gestiscono tutti gli aspetti della vita civile nell’Area C cisgiordana, il 60% [del territorio occupato, N.d.T.] completamente amministrata da Israele [in base agli accordi di Oslo, N.d.T.], incluso il movimento di persone e beni fra Gaza, Israele e la Cisgiordania.

Assegnare la responsabilità di queste unità a Smotrich non solo gli permette di espandere le colonie e rafforzare i poteri contro i palestinesi, ma anche di limitare ulteriormente i movimenti degli abitanti dentro e fuori l’enclave di Gaza.

Questo ministro di nuova nomina giocherà un ruolo centrale in tutto ciò che è relativo alla gestione della vita dei palestinesi e israeliani in Cisgiordania, incluse la pianificazione del territorio e l’autorizzazione di avamposti illegali. In altre parole: annessione de facto dell’Area C con il suprematista ebraico Smotrich quale unico governatore dei territori occupati.

Persino chi a sinistra sostiene che l’annessione de facto è già stata realizzata ammette che ciò implica un drammatico cambiamento di politiche e rafforza l’apartheid. Questi sono passi preliminari verso la completa annessione dell’area. È già stato tentato e ha fallito per la pressione internazionale. A differenza della forza bruta di precedenti tentativi di annessione, il nuovo approccio è tattico e venduto come cambiamenti amministrativi. De facto? È molto di più.

Questi sono i primi passi di una vera e propria annessione. Udi Dekel, ex generale di brigata, ora vice direttore dell’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale, definisce questi cambiamenti recenti come il passaggio da “annessione strisciante” ad “annessione rapida”.

Importanti ex funzionari dell’Amministrazione Civile Israeliana dicono che si aspettano che Smotrich annetta la Cisgiordania. Un ex funzionario ha detto ad Haartez [quotidiano progressista israeliano N.d.T.] : “Senza dubbio Smotrich sta per attuare l’annessione.”

Una minaccia anche per Israele

Yehuda Etzion non potrebbe essere più d’accordo o sperare di più.

Etzion è stato membro del gruppo terrorista ebraico clandestino che ha partecipato al complotto per far saltare in aria la Cupola della Roccia, ora è attivista di estrema destra e fondatore di un gruppo che opera perché gli ebrei vengano autorizzati a pregare nella moschea di Al-Aqsa, conosciuta dagli ebrei come Monte del Tempio.

È stato personalmente coinvolto nella compilazione della “lista dei desideri” delle organizzazioni dei coloni data a Smotrich e Ben-Gvir quando stavano negoziando con Netanyahu. Questa settimana, parlando a Middle East Eye, sembrava speranzoso circa le intenzioni di Ben-Gvir sulla moschea di al-Aqsa, come l’autorizzazione alle preghiere del Sabato e la revoca della norma che permette la visita del sito agli ebrei solo in gruppi organizzati.

Non mi aspetto un’annessione su vasta scala, dato che Bibi non la vuole veramente,” ha detto a MEE, usando il nomignolo con cui comunemente ci si riferisce a Netanyahu.

Mi aspetto veri cambiamenti nell’Area C, dove precedenti governi di Bibi hanno permesso ai palestinesi di costruire mentre le colonie ebraiche potevano crescere a stento,” ha sostenuto, nonostante decine di migliaia di nuove case di coloni siano state costruite in violazione del diritto internazionale e case, scuole e ospedali palestinesi siano stati regolarmente demoliti.

Essendo un processo cumulativo, non significa annessione. Questi due ministri, Ben-Gvir e Smotrich, metteranno in atto importanti cambiamenti. L’unica domanda è: Bibi permetterà di fare quello che ha promesso loro negli accordi che ha firmato? Io so che tendono a dubitarne.”

In una pubblicazione dell’Istituto per gli Studi di Sicurezza Nazionale della scorsa settimana, Dekel fa un riferimento alle possibili ripercussioni della futura annessione.

Vi afferma che applicare la sovranità israeliana in Cisgiordania e trasferire potere su di essa dal ministero della Difesa a uno civile attirerà la condanna e l’attenzione internazionali e aumenterà la qualificazione di Israele come un regime di apartheid.

Queste denunce saranno ancorate nel parere legale della Corte Internazionale di Giustizia e saranno un’altra arma nella campagna internazionale contro Israele,” scrive.

Il parlamentare laburista Nachman Shai, ministro uscente degli Affari della Diaspora, aggiunge un’altra prospettiva. “A questo punto le comunità ebraiche in America sono preoccupate principalmente per le implicazioni che avranno direttamente per loro le politiche del nuovo governo, come le questioni sospese della legge del ritorno [l’estrema destra religiosa intende restringere i criteri per la concessione del diritto a emigrare in Israele, N.d.T.] o se i ministri di nuova nomina definiranno come assolutamente non ebrei gli ebrei riformati, il movimento a cui appartiene la maggioranza degli ebrei americani,” ha detto a MEE.

Al momento questa rabbia è passiva, ha detto. Ma potrebbe diventare un’opposizione più problematica per Israele: incoraggiare gli USA a non proteggere più il Paese alle Nazioni Unite o persino ad appoggiare le sanzioni a causa dell’annessione.

Data la nuova situazione non li vedo dimostrare a sostegno di Israele, impegnare i propri rappresentanti al Congresso o agire contro le politiche della loro amministrazione. Potrebbero non unirsi mai al movimento BDS [acronimo di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele, N.d.T.], ma non lo osteggeranno,” afferma.

È una pericolosa rotta di collisione. L’unico a capire tutte le conseguenze è Bibi stesso, ma d’altro canto il Bibi del 2022 non è il Netanyahu che conosciamo. È una persona diversa.”

Come Israele.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




L’esercito israeliano conferma l’uccisione di una ragazza palestinese di 15 anni nel raid di Jenin

Redazione MEE

12 dicembre 2022 – Middle East Eye

Un raid israeliano nella città di Jenin, in Cisgiordania, provoca la morte di una adolescente palestinese mentre si intensificano le operazioni nei territori occupati

Una dichiarazione israeliana afferma che i soldati hanno colpito la ragazza involontariamente mentre rispondevano al fuoco contro uomini armati su un tetto. Affermano che pare la ragazza si trovasse sul tetto di una delle case vicino agli uomini armati.

Il Ministero della Salute palestinese ha identificato la vittima come Jana Majdi Zakarneh, morta dopo essere stata colpita alla testa sul tetto della sua casa. Secondo fonti palestinesi il suo corpo è stato ritrovato dopo il ritiro delle forze israeliane.

Durante gli scontri armati con i combattenti palestinesi scoppiati nella città chiave di Jenin vi sono stati altri tre feriti. Secondo i media palestinesi un’unità militare israeliana sotto copertura è entrata a Jenin e, in risposta, i combattenti palestinesi hanno tentato di respingere le forze israeliane provocando una sparatoria.

In una serie di tweet l’esercito israeliano ha confermato il raid e l’esecuzione di tre arresti.

Le fazioni palestinesi a Jenin hanno annunciato che ci sarebbe stato uno sciopero generale nel campo profughi per commemorare la morte di Zakarneh.

Durante il raid le forze israeliane hanno preso d’assalto diverse case, danneggiato un certo numero di veicoli e cecchini si sono arrampicati sui tetti degli edifici.

Hussein al-Sheikh, segretario generale del comitato esecutivo dell’OLP, ha affermato che Zakarneh è stata “una vittima della brutalità dell’occupazione a Jenin”.

“Il suo sangue dimostra questo persistente comportamento criminale che viola tutte le norme e rivela la verità sul brutale comportamento razzista delle forze di occupazione”, ha aggiunto Sheikh.

L’anno con il maggior numero di vittime [palestinesi] mai registrato

Giovedì della scorsa settimana quattro palestinesi sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco dell’esercito israeliano a Jenin, tra cui un adolescente di 17 anni. L’esercito israeliano ha detto che le sue forze stavano conducendo un’operazione per arrestare 15 uomini ricercati a Jenin quando palestinesi armati hanno iniziato a sparare contro di loro.

Dopo gli ultimi decessi, il numero di palestinesi uccisi dall’inizio di quest’anno è salito a 218, di cui 52 nella Striscia di Gaza e 166 in Cisgiordania, rendendolo uno degli anni con più uccisioni di palestinesi dal 2005.

Le autorità israeliane hanno recentemente condotto quasi ogni notte rastrellamenti in tutta la Cisgiordania che spesso portano al ferimento o all’uccisione di palestinesi.

Le operazioni hanno portato a più di 2.500 arresti, secondo le autorità israeliane.

Molti degli scontri mortali si sono verificati nell’area di Jenin e Nablus, dove le forze israeliane hanno ripetutamente condotto rastrellamenti.

Le morti di giovedì arrivano quest’anno nel mezzo di un culmine di violenza israeliana contro i palestinesi in Cisgiordania e di una ripresa della resistenza armata palestinese.

La “politica di sparare per uccidere” di Israele viene largamente criticata all’ aumentare del numero di morti palestinesi per mano delle sue forze.

Altri 49 palestinesi sono stati uccisi durante un bombardamento israeliano su Gaza ad agosto.

Nel frattempo, 29 israeliani, soldati inclusi, sono stati uccisi dai palestinesi nello stesso periodo, il numero più alto dal 2008.

* Questo articolo è stato corretto martedì 13 dicembre per chiarire che Jana Majdi Zakarneh aveva 15 anni quando le hanno sparato.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Mondiali 2022: come i tifosi arabi dicono la verità a Israele sulla Palestina

Emile Badarin

2 dicembre 202-Middle East Eye

Rifiutando le interviste ai giornalisti israeliani, i tifosi arabi si rifiutano di conferire legittimità al sistema di apartheid dello Stato israeliano.

I giornalisti israeliani sono accorsi a Doha questo mese per coprire la Coppa del Mondo, alcuni trasformandola in una missione per far “parlare con Israele” l’opinione pubblica araba. Ma nelle frequenti interazioni catturate tramite i social media, i tifosi hanno cortesemente rifiutato l’offerta in modi diversi.

Alcuni si sono rifiutati di dialogare; altri hanno sottolineato il loro impegno per la causa palestinese; altri si sono semplicemente allontanati dopo aver capito che il giornalista proveniva da Israele.

La politica del riconoscimento ispira la “missione giornalistica” israeliana in Qatar e altrove. Questi giornalisti, come gran parte dell’opinione pubblica israeliana e dei media occidentali, sembrano essersi convinti che la Palestina e i palestinesi siano scomparsi dalla coscienza araba a causa dei mutamenti geopolitici in tutto il mondo arabo.

Per gli “esperti” israeliani e occidentali questi cambiamenti geopolitici hanno rappresentato una versione ridotta della fine della storia in Medio Oriente. Generalmente considerano la presunta “scomparsa” dei palestinesi come un fattore positivo che ha consentito nel 2020 i cosiddetti Accordi di Abramo e la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Israele e quattro Stati arabi.

Forse non c’è occasione migliore per raccogliere i frutti della normalizzazione di una Coppa del Mondo ospitata da uno Stato arabo che ha temporaneamente permesso ai media israeliani di viaggiare liberamente e informare dal Qatar, anche se questo non ha legami ufficiali con Israele. Sembra che alcuni giornalisti israeliani si siano presi la briga di dimostrare che non sono stati solo i regimi arabi a riconciliarsi con – o meglio, a capitolare davanti al progetto coloniale sionista, ma anche la popolazione araba.

In questo senso l’atto di “parlare a Israele” è interpretato come una forma di riconoscimento, o almeno un potente indicatore di avvicinarsi sempre più verso l’evanescente punto finale del colonialismo di insediamento in Palestina. Punto finale che richiede la legittimazione della sovranità di Israele dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo [cioè su tutta la Palestina storica, ndt.] e la deportazione della popolazione indigena.

In Qatar hanno trovato l’opposto. Sebbene Israele abbia ottenuto il riconoscimento di alcuni regimi arabi, inclusa l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, non è riuscito assolutamente a ottenere il riconoscimento da parte dell’opinione pubblica araba.

Espropriazione dei palestinesi

Parlare con Israele” in questo contesto ha lo scopo di ottenere un riconoscimento popolare che legittimerebbe e normalizzerebbe la struttura del colonialismo d’insediamento israeliano che continua a espropriare i palestinesi. Pertanto, rifiutandosi di parlare, i cittadini arabi inviano un chiaro messaggio a coloro che sono al potere in Medio Oriente e in Occidente: sono contrari alla normalizzazione senza giustizia, indipendentemente da quanti accordi di “pace” firmi Israele con i regimi arabi.

Invece di “parlare” i tifosi arabi hanno mostrato uno specchio davanti alle telecamere israeliane, ricordando agli spettatori ciò che hanno ostinatamente tentato di dimenticare: la Palestina. Ciò ricorda ai giornalisti israeliani e al loro pubblico il colonialismo di insediamento, la pulizia etnica, l’occupazione, i rifugiati palestinesi e la Nakba (catastrofe) in corso dal 1948. I tifosi del Marocco alludevano a questo quando hanno dispiegato una bandiera della Palestina al 48° minuto della partita Marocco-Belgio.

Ciò che sorprende è lo shock israeliano nel vedere riflesso, nonostante il passare del tempo, l’indignazione per la violenza e la costruzione di Israele sulla terra rubata ai palestinesi che non è svanita.

Questa è la stessa realtà coloniale che la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh ha mostrato instancabilmente al mondo, fino a quando un cecchino israeliano le ha sparato uccidendola lo scorso maggio, un omicidio che è stato ripreso dalle telecamere. Inoltre non è un caso che un anno prima, nel maggio 2021, Israele abbia distrutto la torre dei media di Gaza che ospitava diverse agenzie di stampa internazionali che informavano dall’enclave assediata.

Come i tifosi di calcio in Qatar, Abu Akleh e i suoi colleghi giornalisti in Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme e altrove hanno alzato degli specchi che hanno riflesso la brutta immagine del colonialismo israeliano che i popoli arabi non hanno né dimenticato né perdonato. Mentre Abu Akleh è stata uccisa e il mondo non può più vedere il riflesso di Israele attraverso la sua macchina fotografica, non è stato possibile reprimere i messaggi dei tifosi in Qatar.

Coscienza distorta

Di conseguenza, alcuni giornalisti israeliani sembrano essersi rivolti alla narrativa del vittimismo per respingere l’immagine inquietante del colono, il che richiede creatività e autoinganno. È notevole la rapidità con cui alcuni sono ricorsi al “manuale” sionista, presentando il loro fallimento nell’ottenere una “buona parola” su Israele come una manifestazione di odio arabo e musulmano e un desiderio di “cancellare (gli israeliani) dalla faccia della terra”.

Non solo in Israele, ma in tutto il mondo del colonialismo d’insediamento europeo, il senso di vittimismo tra i coloni è un veicolo per rivendicare un’innocenza che galleggia in una coscienza distorta che rappresenta l’anormale e l’ingiusto come normale e giusto.

In questa prospettiva, Israele è solo un altro Stato “normale”- se non l’unico Stato civile e rispettoso dei diritti umani in Medio Oriente, indipendentemente dal fatto che secondo Human Rights Watch ha varcato la soglia dell’apartheid – che ha relazioni “normalizzate” con diversi Stati arabi: uno Stato che gli arabi dovrebbero ammirare, con cui fare amicizia e guardare come un esempio.

Affinché questa normalità immaginaria abbia un senso gli israeliani devono vivere il mito sionista della terra senza popolo per un popolo senza terra. Pertanto devono attivamente dimenticare che i palestinesi esistono davvero, anche dopo un secolo di espropriazione ed eliminazione da parte del colonialismo d’insediamento sionista. L’ironia di far dimenticare continuamente i palestinesi è che li rende più presenti.

Il movimento per i diritti civili dei neri negli Stati Uniti ha sostenuto la necessità di dire la verità al potere nella lotta contro la segregazione razziale e l’ingiustizia. Ma cosa succede se il parlare stesso può essere trasformato in un veicolo per togliere potere e spogliare?

Tentando di far parlare il popolo arabo con Israele i giornalisti hanno cercato un riconoscimento popolare che conferisse legittimità normativa all’apartheid e all’ingiustizia israeliane. Rifiutarsi di parlare è un atto di resistenza. Paradossalmente [il rifiuto di parlare, ndt.] sta dicendo la verità al potere dei regimi arabi, di Israele e del resto del mondo.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Eye.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




L’ONU approva la risoluzione per commemorare il 75° anniversario della Nakba

Redazione MEE

1 dicembre 2022 – Middle East Eye

L’ambasciatore israeliano condanna la decisione dell’ONU mentre il rappresentante palestinese dice alle Nazioni Unite che il mondo è arrivato al ‘capolinea’ della soluzione dei due Stati

L’ Assemblea Generale dell’ONU ha approvato una risoluzione per commemorare il 75° anniversario della Nakba, il termine usato per descrivere il trasferimento forzato di centinaia di migliaia di palestinesi nel periodo precedente la fondazione dello Stato di Israele nel 1948.

Novanta Paesi hanno votato a favore della misura, 30 i contrari e 47 si sono astenuti.

La risoluzione è una delle cinque votate all’ONU giovedì relative a Israele e Palestina. L’ONU ha anche ha approvato la proposta di dedicare un programma di formazione per giornalisti a Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese uccisa dalle forze israeliane durante un raid nella Cisgiordania occupata.

Un’altra delle risoluzioni adottate invoca “la fine di tutte le attività di colonizzazione, di confisca di terre e demolizioni di case, il rilascio dei prigionieri e la fine di arresti e detenzioni arbitrari “. La risoluzione finale poi chiede a Israele porre fine al controllo sulla regione occupata delle Alture di Golan.

La risoluzione relativa alla Nakba prevede l’organizzazione di un evento ad alto livello nell’Assemblea Generale il 15 maggio 2023.

La Nakba, “la catastrofe”, è il nome che i palestinesi danno massacri e all’espulsione forzata che hanno subito per mano delle milizie sioniste nel 1948.

Interi villaggi palestinesi furono massacrati, bande sioniste uccisero indiscriminatamente civili disarmati, seppellendone molti in fosse comuni. La campagna israeliana causò la morte di palestinesi stimati in 15.000, mentre 750.000 fuggirono dalle proprie case e vissero da rifugiati.

I raid continuarono anche dopo l’annuncio dell’indipendenza di Israele il 15 maggio 1948. Israele descrive gli eventi del 1948 come la guerra di indipendenza.

L’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha condannato l’approvazione delle misure e chiesto ai delegati: “Cosa direste se la comunità internazionale celebrasse la fondazione del vostro Paese come una catastrofe? Che vergogna.”

Il diplomatico israeliano ha detto che l’approvazione della risoluzione sulla Nakba ostacolerà ogni possibilità di un accordo di pace tra Israele e l’Autorità Palestinese.

La soluzione dei due Stati è praticamente morta

Nel frattempo, Riyad Mansour, inviato palestinesi all’ONU, ha messo in guardia l’ONU che la soluzione dei due Stati corre un rischio imminente e ha sollecitato l’organismo internazionale a far pressione su Israele come anche a concedere ai palestinesi un riconoscimento completo.

Mansour ha chiesto all’ONU di riconoscere lo Stato palestinese con Gerusalemme Est come sua capitale.

Noi siamo arrivati alla fine del percorso della soluzione dei due Stati. O la comunità internazionale trova la volontà di agire con fermezza o lascerà morire la pace passivamente. Passivamente, non pacificamente.” ha detto Mansour all’ONU.

Chiunque sia serio circa la soluzione dei due Stati deve aiutare salvare lo Stato palestinese,” ha detto. “L’alternativa è quello in cui viviamo ora, un regime che ha sommato i mali di colonialismo e apartheid.”

Mansour ha anche condannato la coalizione di estrema destra che sta per prendere il potere in Israele, guidata dall’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, definendola come “il governo più colonialista, razzista e estremista nella storia di Israele”.

Il rappresentante palestinese ha anche apprezzato la richiesta dell’ONU di un parere consultivo alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sull’occupazione israeliana di terre palestinesi dal 1967.

Le dichiarazioni di Mansour ed Erdan sono arrivate in un momento di grandi tensioni in seguito al picco quest’anno di violenze israeliane contro i palestinesi in Cisgiordania e alla ripresa della resistenza armata palestinese.

Quest’anno in Cisgiordania le forze israeliane e i coloni hanno ucciso 139 palestinesi, inclusi almeno 30 minori, la media mensile più mortale per i palestinesi dal 2005, quando L*ONU ha cominciato a registrare i decessi.

Anche i morti israeliani hanno registrato un picco nel 2022 rispetto agli ultimi anni. Allo stesso tempo c’è stato un forte incremento degli attacchi dei coloni e delle forze di sicurezza contro i palestinesi.

Lunedì, Tor Wennesland, l’inviato dell’ONU per il Medio Oriente, ha avvertito che le tensioni stanno “raggiungendo un livello insostenibile”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Chi è il potente rabbino che una volta ha esortato a uccidere i Palestinesi

Shir Hever

29 novembre 2022, MiddleEastEye

Il rabbino Dov Lior è il leader spirituale di una coalizione destinata a far parte del prossimo governo Netanyahu.

Se il politico di estrema destra Itamar Ben-Gvir è destinato a diventare il prossimo Ministro della Sicurezza Nazionale di Israele, la sua guida spirituale e alleato, il rabbino Dov Lior, è finito sotto i riflettori per la sua potenziale influenza “razzista” sul nuovo governo.

Lior, sostenitore della pulizia etnica dei musulmani arabi, è il leader spirituale dell’intera coalizione di estrema destra  Sionismo Religioso che comprende tre partiti: Sionismo Religioso, Potere Ebraico e Noam [partito politico ebraico ortodosso di estrema destra, nato nel 2019 da una fazione radicale di Sionismo Religioso, ndt.]

All’inizio del mese questa alleanza politica ha conquistato 14 seggi al parlamento israeliano, più di qualsiasi altro partito nazionalista religioso nella storia dello Stato, diventando così il secondo maggior blocco nella coalizione di governo del primo ministro designato Benjamin Netanyahu. Attualmente le parti sono impegnate in trattative per la formazione del governo con il Likud di Netanyahu, e potebbe ottenere il controllo di diverse istituzioni statali chiave.

Lior aveva esortato gli israeliani a votare per la coalizione e, alla pubblicazione dei risultati elettorali, ha concesso una conferenza stampa.

Lior è molto esplicito sulle questioni politiche e ha ripetutamente sostenuto la teoria secondo cui la “Terra occidentale di Israele” (intendendo tutta la Palestina storica) appartiene solo agli ebrei.

Afferma poi che la “Terra orientale d’Israele “, oggi regno di Giordania, che anch’essa a suo avviso appartiene agli ebrei, è meno santa e si può arrivare a un compromesso. Ma abbandonare una qualsiasi parte della “Terra occidentale di Israele” secondo Lior è peccato.

Lior è favorevole alla costruzione di colonie illegali sul territorio palestinese e non riconosce il diritto dei palestinesi al possesso della terra.

Dopo l’assassinio del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin nel 1995, il nome di Lior è stato inserito tra i rabbini che avrebbero emesso una sentenza di morte a condanna del traditore Rabin.

Itamar Ben-Gvir, leader del partito Potere Ebraico, in un’intervista televisiva aveva insinuato minacce a Rabin, ma non fu incriminato perché all’epoca era minorenne. Come conseguenza Lior e Ben-Gvir sono legati da solida amicizia.

Tra il 1987 e il 2015 Lior è stato il rabbino della colonia illegale di Kiryat Arba, nei sobborghi della città occupata di Hebron . Uno dei suoi discepoli, Baruch Goldstein, nel 1994 sparò e uccise 29 palestinesi nella moschea abramitica di Hebron . Il rabbino Lior ha poi lodato Goldstein come “più santo di tutti i martiri dell’Olocausto”.

Nel 2011 manifestò per iscritto il suo sostegno al libro The King’s Torah, pubblicazione razzista e genocida dei rabbini Yitzhak Shapira e Yosef Elitzur in cui, tra altre cose, si invoca l’uccisione dei bambini non ebrei prima che diventino adulti e rappresentino una possibile minaccia per gli ebrei.

La polizia israeliana  aprì un’indagine contro il rabbino Lior per potenziale istigazione ed emise un mandato di arresto contro di lui quando si  rifiutò di testimoniare. I coloni di estrema destra organizzarono grandi proteste contro il mandato d’arresto e alla fine Lior accettò un colloquio di due ore con la polizia e venne rilasciato senza accuse.

Nel luglio 2014, nel pieno dell’invasione israeliana della Striscia di Gaza, Lior emise un psak halacha (una sentenza religiosa), che consentiva la distruzione dell’intera Striscia di Gaza e sollevava i soldati israeliani dall’obbligo di distinguere tra combattenti e non combattenti.

“È giusto uccidere civili innocenti e distruggere Gaza”, ha detto.

Nella sinistra israeliana il proscioglimento suscitò indignazione e richieste di aprire un’altra indagine su di lui, ma non se ne fece niente. A una conferenza nel settembre di quell’anno Lior ribadì il concetto dicendo: “La sinistra vuole dare agli arabi un regime democratico. Sanno condurre un regime democratico tanto quanto io so condurre i cammelli. In Arabia Saudita un negoziante può lasciare il negozio aperto perché a chi tenta di rubare verrà tagliata la mano. Questa è l’unica lingua che conoscono.”

Ha proseguito dicendo che la Terra d’Israele deve essere “ripulita dagli arabi”. La polizia non ha mai aperto un’indagine sulla dichiarazione.

Nel 2015 Lior  elogiò gli attacchi dello Stato Islamico a Parigi in cui vennero uccise 137 persone, dicendo: “I malvagi dell’Europa intrisa di sangue se lo meritano per quello che hanno fatto alla nostra gente 70 anni fa”.

Il rabbino Lior invitò gli ebrei statunitensi a votare per Donald Trump alle elezioni presidenziali del 2016. Trump nominò David Friedman, amico di Lior, ambasciatore degli Stati Uniti in Israele. Friedman ha donato fondi all’organizzazione ebraica israeliana Komemiyut [socranità in ebraico, ndt.], di cui Lior era il rabbino capo.

Lior venera il defunto rabbino Meir Kahane e ha parlato al suo funerale. Kahane è stato il fondatore del movimento di estrema destra Kach, definito un’organizzazione terroristica in diversi Paesi, incluso lo stesso Stato di Israele, ma durante il funerale Lior parlò accanto al parlamentare Ben-Gvir, anche lui membro del Kach.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)