Israele: Netanyahu ha chiesto al mondo di dimenticarsi dell’occupazione. Ben-Gvir la vuole in primo piano e al centro

Meron Rapoport

22 novembre 2022 – Middle East Eye

Il primo ministro israeliano entrante ha lavorato duramente per togliere i palestinesi dalla lista delle priorità sia degli israeliani che degli arabi, ma lo scontro è fondamentale per i suoi nuovi partner di coalizione

Circa due settimane prima delle ultime elezioni israeliane Benjamin Netanyahu ha illustrato la sua concezione del futuro di Israele in un articolo pubblicato da Haaretz [giornale israeliano di centro sinistra, ndt.]. “Negli ultimi 25 anni ci è stato detto ripetutamente che ci sarebbe stata pace con gli altri Paesi arabi solo dopo che avessimo risolto il conflitto con i palestinesi,” ha scritto. Ma egli credeva che “la strada verso la pace non passi da Ramallah [sede dell’Autorità Nazionale Palestinese, ndt.], ma piuttosto le giri attorno.”

La sua via, ha sostenuto su Haaretz, si è dimostrata giusta. Ha firmato accordi di normalizzazione con quattro Paesi arabi e si prospettano ulteriori accordi con altri Stati. In poche parole, non solo Israele può prosperare senza risolvere il suo conflitto con i palestinesi, ci dice, ma il modo per raggiungere la prosperità è di fatto ignorarli. Non hanno nessuna importanza.

Sono trascorse altre tre settimane dalle elezioni del 1° novembre in cui il blocco di partiti di destra guidato da Netanyahu ha ottenuto una maggioranza apparentemente comoda di 64 seggi nel parlamento israeliano, la Knesset. Al momento rimane incerto quale sarà l’esatta composizione del suo prossimo governo e chi deterrà dicasteri chiave come Difesa, Finanza e Affari Esteri.

Tuttavia una cosa è già chiara: per dei possibili partner di Netanyahu, in particolare Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, i due leader della lista razzista e nazionalista della lista Sionismo Religioso che hanno vinto 14 seggi alle elezioni, il conflitto di Israele con i palestinesi non è solo un fattore importante: è l’unico fattore importante.

Netanyahu ha inequivocabilmente dimostrato che rimuovere la questione palestinese dall’agenda pubblica in Israele, e anche a livello globale, è stato uno dei suoi obiettivi preminenti, soprattutto dal suo ritorno al potere nel 2009.

Ha perseguito questo obiettivo utilizzando tre approcci principali: in primo luogo, cancellando il confine del 1948 (noto come Linea Verde) dalla coscienza della maggioranza degli ebrei in Israele espandendo le colonie e annettendo nella pratica ampie fasce dell’Area C [più del 60% dei territori occupati e sotto totale controllo di Israele, ndt.] in Cisgiordania.

In secondo luogo, promuovendo l’affermazione secondo cui “non esiste un partner per la pace” da parte palestinese, ignorando quasi completamente la leadership palestinese e le sue richieste di porre fine all’occupazione; infine, moderando in qualche modo l’uso della forza militare israeliana in base alla teoria che meno violento è il conflitto, minore sarà l’attenzione, in Israele, nel Medio Oriente e in tutto il mondo.

Questo approccio ha avuto un grande successo. La maggior parte degli ebrei israeliani oggi non sa dove sia la Linea Verde [il confine tra Israele e Giordania prima della guerra del 1967, ndt.]. Il termine “occupazione” è diventato una parolaccia che non viene quasi mai menzionata nei principali media israeliani. L’affermazione che “non c’è nessuno con cui parlare” dalla parte palestinese si è solidificata nel consenso non solo nella destra e nel centro ebraici, ma anche nella sinistra moderata.

Il contenimento di operazioni militari di vasta portata, a parte la guerra mortale a Gaza nel 2014, ha ridotto il numero di israeliani uccisi a causa del conflitto a poco più di 10 all’anno, tanto che la discussione su quello che veniva chiamato il “prezzo dell’occupazione” è quasi scomparsa.

Annessione strisciante

Ovviamente lo status quo proposto da Netanyahu non è stato realmente uno status quo, poiché l’annessione strisciante dei territori palestinesi è continuata e sul terreno ha gradualmente preso forma un regime di apartheid. Ma nel complesso per gli (ebrei) israeliani continuare con questa situazione sembra preferibile al tentativo di cambiarla.

Parte del successo di Netanyahu deriva da processi non direttamente collegati alla sua persona. Quando nel 2009 diventò primo ministro per la seconda volta, la Seconda Intifada era finita. La scissione tra Hamas a Gaza e Fatah in Cisgiordania aveva notevolmente indebolito la posizione palestinese e Netanyahu potè sfruttare questa debolezza.

Nel 2011, con l’avvento delle decantate primavere arabe, i Paesi arabi vicini erano inclini a dedicare più attenzione ai propri affari e meno alla causa palestinese. E la crescente ondata di populismo di destra in tutto il mondo, culminata con l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti nel 2016, ha creato un’atmosfera congeniale a Netanyahu e alla sua politica di strisciante apartheid.

Ma negli ultimi anni qualcosa è andato storto in questo gioco di equilibrio promosso da Netanyahu. La scomparsa del conflitto con i palestinesi dall’agenda nazionale di Israele ha effettivamente sollecitato il movimento dei coloni di destra a spingere per l’annessione o, nel loro lessico, per “l’applicazione della sovranità”. La logica dei coloni sostiene che se i palestinesi non sono più una minaccia, non c’è motivo di evitare di annettere, in tutto o in parte, la Cisgiordania. Sebbene Netanyahu abbia rinunciato all’annessione all’ultimo minuto, questa spinta della destra per sconvolgere lo status quo non è svanita.

Il momento in cui è diventato chiaro che il falso status quo costruito da Netanyahu non funzionava più è arrivato nel maggio 2021. I palestinesi, che Netanyahu aveva cercato di escludere dal discorso pubblico in Israele, si sono ribellati non solo a Gerusalemme est e a Gaza, ma anche nelle cosiddette “città miste” all’interno di Israele: Lydd (Lod), Ramla, Acre (Akka) e altre località.

Invece di retrocedere in Cisgiordania dietro le montagne di tenebre, il conflitto con i palestinesi si è presentato improvvisamente sulla porta di casa di molti ebrei nel cuore del Paese.

Subito dopo l’esponente della destra Naftali Bennett ha deciso di allearsi con il centrista Yair Lapid per formare un governo alternativo e lasciare, per la prima volta in 12 anni, Netanyahu all’opposizione. Le ragioni di questa mossa sono state molte, ma potrebbe aver contribuito alla sua caduta anche il fatto che Netanyahu non fosse più considerato in grado di fornire una risposta al “problema palestinese”.

Nel vuoto lasciato da Netanyahu, la destra razzista è passata nelle mani del famoso colono Itamar Ben-Gvir, leader del partito Otzma Yehudit (“Potere ebraico”), residente a Hebron e ammiratore di Baruch Goldstein, che nel 1994 uccise 29 fedeli musulmani nella Moschea Ibrahimi di Hebron. Gli eventi del maggio 2021 sono stati sfruttati da Ben-Gvir come prova del fatto che gli ebrei in Israele vivono sotto la minaccia della “violenza araba”, che può essere contrastata solo ricordando agli arabi che gli ebrei sono gli unici “proprietari ” di questo luogo. Per sostenere questa argomentazione Ben Gvir ha evocato anche il timore della gente di un aumento della criminalità nelle città del sud di Israele, dove il crimine viene attribuito principalmente agli abitanti beduini palestinesi dell’area, che vivono in condizioni di estrema povertà e discriminazione di lunga data.

Conflitto come priorità

Ovviamente Ben-Gvir non ha inventato l’idea della supremazia ebraica, che sin dall’inizio è stata, in misura maggiore o minore, un aspetto del sionismo. Ma con il suo effettivo successo nel trasformare l’aspirazione alla supremazia ebraica in un’ampia piattaforma politica Ben-Gvir ha sfidato, consapevolmente o inconsapevolmente, il presupposto di Netanyahu di ignorare la questione palestinese.

Mentre Netanyahu ha sostenuto che il problema non esiste più, o almeno non sta influenzando le vite degli israeliani, è arrivato Ben-Gvir e ha sostenuto che il conflitto palestinese colpisce le vite degli ebrei, sempre e ovunque, all’interno o al di là della Linea Verde. La soluzione di Ben-Gvir è violenta e razzista – uccidere o deportare chiunque, palestinese o anche ebreo, si opponga al regime di supremazia ebraica – ma, nel frattempo, ha messo al primo posto la questione delle relazioni ebraico-palestinesi.

Anche Bezalel Smotrich, partner di Ben-Gvir nell’alleanza del “sionismo religioso”, fa della questione del conflitto tra ebrei e palestinesi la sua massima priorità politica. E Smotrich, come Ben-Gvir, propone una soluzione violenta e razzista. Nel suo saggio “Il progetto decisivo di Israele” pubblicato nel 2017, Smotrich offre tre opzioni ai palestinesi in Cisgiordania: accettare di vivere senza diritti politici sotto il dominio ebraico, emigrare in un altro Paese o affrontare un esito  deciso dalla guerra.

Come Ben-Gvir, Smotrich pensa che in nessun caso si dovrebbe mai rinunciare alla supremazia ebraica all’interno di Israele. Nel 2021 ha ritirato l’appoggio che avrebbe consentito a Netanyahu di formare un governo perché per farlo Netanyahu avrebbe dovuto dipendere da un partito arabo, la Lista Araba Unita guidata da Mansour Abbas. “Un nemico non è un alleato legittimo. Punto,” ha scritto all’epoca Smotrich per giustificare la sua decisione.

Ben-Gvir ha cercato di persuadere gli elettori nelle città periferiche che Netanyahu non ha offerto loro nessuna risposta – né riguardo alle loro preoccupazioni per il crescente rafforzamento economico, accademico e politico dei loro vicini palestinesi, né in merito al fatto che loro, abitanti di zone marginali, devono ancora godere della sbandierata prosperità economica di cui Netanyahu si è vantato.

Smotrich è stato popolare soprattutto tra l’opinione pubblica religiosa, che oggi è parte dell’élite economica e governativa di Israele. Ma ciò che è chiaro è che entrambi questi uomini, dopo aver incrementato i loro risultati insieme dai 6 seggi nella precedente tornata elettorale ai 14 nell’attuale Knesset, che consentono loro di dettare le condizioni a Netanyahu, che sa che senza di loro non può governare, sono i grandi vincitori delle ultime elezioni.

Promesse vincenti

Come c’era da aspettarsi, queste circostanze riguardano innanzitutto questioni che coinvolgono il conflitto con i palestinesi. Prima ancora che finiscano i negoziati sulla formazione del governo, Netanyahu ha già promesso a Ben-Gvir quanto segue: in Cisgiordania verranno forniti allacciamenti alla rete elettrica e idrica a 60 avamposti coloniali senza permesso, la maggior parte dei quali costruiti su terra di proprietari privati palestinesi; su terreni della città palestinese di Beita, in un luogo che i coloni chiamano Evyatar, potrà essere fondata una yeshiva [scuola religiosa ebraica, ndt.]; verrà ora abrogata una legge del 2005 adottata al fine di consentire l’evacuazione di tre insediamenti coloniali nel nord della Cisgiordania per permettere che vi venga ricostruita una colonia, di nuovo su terre private palestinesi, insieme a notevoli investimenti in strade di collegamento per le colonie in Cisgiordania.

Gli ha anche promesso il ministero della Sicurezza Pubblica, che controlla la polizia, dove Ben-Gvir vuole mano libera per reprimere i beduini palestinesi nel sud di Israele e pretende cambiamenti delle regole d’ingaggio relative a quando è consentito aprire il fuoco, in modo che i poliziotti possano sparare e uccidere chiunque ritengano sospetto senza timore di essere perseguiti.

Smotrich sta puntando più in alto. Vuole essere ministro della Difesa. In tale veste Smotrich sarebbe di fatto l’unico potere sovrano in Cisgiordania e potrebbe fare più o meno quello che vuole. Per non parlare del fatto che ha promesso di mandare l’esercito nelle cosiddette “città miste” all’interno di Israele se e quando si ripetessero gli avvenimenti violenti del maggio 2021.

Finora su questo punto Netanyahu si è rifiutato, in parte perché l’amministrazione Biden a quanto pare è stata chiara sul fatto di non aver intenzione di collaborare con un ministero della Difesa israeliano gestito da Smotrich. E anche perché Netanyahu forse comprende che, se i bellicosi razzisti di Sionismo Religioso avessero il controllo sia del ministero della Sicurezza Pubblica che di quello della Difesa, egli non controllerebbe più il modo in cui Israele gestisce il conflitto con i palestinesi.

Netanyahu avrebbe voluto fare a meno di Smotrich e Ben-Gvir e avrebbe scelto invece di includere nel suo governo l’attuale ministro della Difesa, il centrista Benny Gantz, rinnovando il tal modo l’approccio della “gestione del conflitto” che ha guidato con tanto successo negli ultimi 15 anni. A quanto pare gli americani stanno facendo pressione su di lui e su Gantz perché raggiungano un simile accordo. Ma ciò potrebbe non dipendere da Netanyahu. La destra razzista, stanca dello status quo che egli vende agli elettori israeliani, è più forte di lui.

Crescente violenza

È ancora troppo presto per prevedere le conseguenze di questa nuova situazione. Netanyahu riuscirà, nonostante tutto, a imporre la sua politica preferita e mettere da parte la questione palestinese? Non sarà facile, e non solo perché tornerà alla carica di primo ministro durante un periodo molto violento, con il numero di palestinesi e israeliani uccisi dall’inizio del 2022 a livelli record, che non si vedevano dalla fine della Seconda Intifada nel 2005: al 18 novembre 139 palestinesi e 27 israeliani.

Anche se la destra razzista dovesse riuscire a farsi carico della polizia e dell’esercito, le possibilità che metta in pratica le sue fantasie violente non sono una conclusione scontata. I palestinesi si trovano in una posizione diversa da quella del 1948 o del 1967 ed essi non saliranno senza resistere sugli autobus per essere deportati.

La comunità internazionale, con tutti i suoi limiti, ha già difficoltà ad accettare l’apartheid israeliana (come evidenziato dalla recente decisione di affidare la discussione sulla legalità dell’occupazione israeliana alla Corte Internazionale di Giustizia). Oltretutto l’economia di Israele dipende totalmente da quella mondiale; dopo le recenti elezioni la società ebraica in Israele è anche più divisa che mai, con una parte sostanziale del centro-sinistra che vede i partiti “religiosi” di Ben-Gvir e Smotrich come una minaccia per il suo stile di vita laico.

Nell’articolo citato all’inizio di questo resoconto Netanyahu ha adottato il concetto del “Muro di Ferro”, titolo di un famoso testo del padre della destra sionista, Zeev Jabotinsky, che negli anni ‘20 scrisse che solo dopo che gli ebrei avessero occupato la Terra di Israele con la forza i palestinesi avrebbero accettato la loro esistenza qui. Ma nel Muro di Ferro che Netanyahu ha cercato di costruire per tenere a distanza la questione palestinese stanno comparendo vistose crepe. Non è necessariamente una cosa negativa.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




“Una svolta”: il Comitato delle Nazioni Unite vota per richiedere il parere della Corte Internazionale di Giustizia sull’occupazione israeliana

 

Redazione di MiddleEastEye

MEE 12 novembre 2022

I palestinesi accolgono con favore il voto come preludio alla “apertura di una nuova era in cui si dichiari Israele responsabile dei suoi crimini di guerra”

Venerdì il comitato per la decolonizzazione delle Nazioni Unite ha adottato una bozza palestinese di risoluzione che richiede il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sull’occupazione israeliana delle terre palestinesi dal 1967.

La misura è stata accolta con favore dai palestinesi e respinta da Israele.

Il ministro degli Esteri palestinese Riyad al-Maliki ha dichiarato in un comunicato che 98 paesi hanno sostenuto la risoluzione, 52 si sono astenuti e 17 hanno votato contro.

I pareri della Corte Internazionale, che risolve le controversie tra Paesi, non sono vincolanti.

Al-Maliki ha accolto con favore il voto e ha descritto la risoluzione come una “svolta diplomatica e legale” che “aprirebbe una nuova era per dichiarare Israele responsabile dei suoi crimini di guerra”.

La risoluzione passerà ora all’Assemblea Generale di 193 membri per il voto finale prima della fine dell’anno.

La risoluzione, approvata presso la sede delle Nazioni Unite a New York, chiede alla Corte di intervenire “urgentemente” sulla “prolungata occupazione, colonizzazione e annessione del territorio palestinese” da parte di Israele, che viola il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione. La risoluzione si riferisce alle terre palestinesi occupate da Israele dalla guerra del 1967: Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est.

Vi si fa anche riferimento a politiche volte a “alterare la composizione demografica, il carattere e lo status della città santa di Gerusalemme”. La risoluzione chiede alla Corte un parere su come queste politiche e pratiche israeliane “influenzino lo status legale dell’occupazione, e quali siano le conseguenze legali che derivano per tutti gli Stati e per le Nazioni Unite da questa situazione”.

Nel 2004 la Corte aveva ritenuto che il muro costruito da Israele principalmente all’interno della Cisgiordania occupata e di Gerusalemme Est fosse “contrario al diritto internazionale”.

“Questa occupazione dovrà finire”

Dopo il voto l’ambasciatore palestinese alle Nazioni Unite Riyad Mansour ha citato il discorso del presidente palestinese Mahmoud Abbas all’incontro annuale dell’Assemblea Generale di settembre, che ha sollecitato la mobilitazione di “tutte le componenti del nostro ordine internazionale basato sul diritto, compresa la giustizia internazionale”.

Mansour ha ringraziato i Paesi che hanno sostenuto la risoluzione e ha affermato che “nulla giustifica il sostegno all’occupazione e all’annessione israeliane, alla rimozione e l’espropriazione del nostro popolo”.

“Il nostro popolo ha diritto alla libertà”, ha detto. “Questa occupazione dovrà finire”.

“Verrà un giorno, un giorno in cui il nostro popolo porterà la bandiera della Palestina sulle chiese di Gerusalemme e nelle moschee di Gerusalemme e Haram al-Sharif”, ha aggiunto Mansour.

Contemporaneamente l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite Gilad Erdan si è opposto al voto, affermando che con l’invito a coinvolgere la Corte “i palestinesi stanno distruggendo ogni possibilità di riconciliazione”.

“I palestinesi hanno rifiutato ogni iniziativa di pace, e ora coinvolgono un organismo esterno con la scusa che il conflitto non è stato risolto?” ha detto rivolgendosi al Forum.

Nella riunione del comitato di giovedì, il vice rappresentante degli Stati Uniti, che ha votato contro la risoluzione, ha affermato che un parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia è “controproducente e allontanerà solo le parti dall’obiettivo che tutti condividiamo di un negoziato per una soluzione a due Stati”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




L’organizzazione filoisraeliana AIPAC ha speso molto: importanti vittorie e sconfitte nelle elezioni di metà mandato negli USA.

Redazione di MEE

9 novembre 2022 – Middle East Eye

La democratica della Pennsylvania Summer Lee ha stravinto nelle elezioni di metà mandato negli USA, nonostante l’AIPAC abbia speso 4 milioni di dollari contro di lei.

Il filoisraeliano super PACS [comitato per la raccolta fondi a sostegno di candidati alle elezioni, ndt.] ha speso milioni di dollari nelle elezioni di metà mandato USA di quest’anno, sperando di contribuire a far pendere la bilancia a proprio favore nelle competizioni chiave. Tuttavia in molte elezioni in cui ha speso molto ha comunque perso.

Mercoledì mattina l’AIPAC [principale organizzazione della lobby filoisraeliana negli USA, ndt.] ha festeggiato i risultati delle elezioni, sostenendo di aver contribuito a portare alla vittoria molti dei candidati che ha sostenuto con finanziamenti o appoggiato.

Ci congratuliamo con i senatori e deputati di entrambi i partiti eletti e rieletti che si uniranno a un Congresso prevalentemente filoisraeliano,” ha detto mercoledì l’AIPAC in un comunicato.

Nonostante la feroce faziosità di questa tornata elettorale, rimane un deciso impegno di entrambi i partiti a favore dell’alleanza USA-Israele.”

L’AIPAC ha festeggiato un certo numero di nuovi democratici filoisraeliani, tra cui Don Davis, Jared Moskowitz, Robert Garcia, Valerie Foushee e Glenn Ivey, che hanno vinto martedì sera. Durante le primarie vinte da Ivey a luglio l’organizzazione filoisraeliana ha speso 6 milioni di dollari.

Anche Foushee ha ricevuto milioni di dollari dall’AIPAC e da altre associazioni filoisraeliane nelle elezioni primarie in cui ha sconfitto la candidata progressista Nida Allam che aveva criticato il modo in cui Israele tratta i palestinesi.

Middle East Eye ha analizzato le principali vittorie e sconfitte dell’AIPAC e altre organizzazioni filoisraeliane nelle elezioni di metà mandato di quest’anno.

Summer Lee ha sconfitto una campagna contro di lei da 4 milioni di dollari

La maggiore sconfitta di queste associazioni è stata nel 12° distretto congressuale della Pennsylvania, dove la progressista Summer Lee ha battuto il suo avversario repubblicano Mike Doyle.

Negli ultimi giorni l’AIPAC e altre associazioni filoisraeliane hanno speso più di 1 milione di dollari nell’ultimo disperato tentativo di sostenere Doyle contro Lee, dopo che in precedenza l’organizzazione aveva speso 3 milioni di dollari a favore dell’oppositore di Lee nelle primarie democratiche all’inizio dell’anno.

Lee, che era stata parlamentare statale in Pennsylvania, si era attirata le ire delle associazioni filoisraeliane dopo aver twittato un parallelo tra gli USA e Israele riguardo a come gli americani usino il termine “autodifesa” per giustificare “l’uso indiscriminato e sproporzionato della forza e della potenza contro (persone) deboli ed emarginate.”

Eppure, nonostante l’ultimo disperato tentativo di finanziamento contro di lei, Lee ha facilmente vinto la sua competizione elettorale sconfiggendo Doyle per più di 10 punti.

Lee, appoggiata anche dal gruppo sionista progressista J Street, ha ricevuto un sostengo importante anche dalla comunità ebraica in Pennsylvania.

La scorsa settimana più di 240 membri della comunità ebraico-americana di Pittsburgh hanno reso nota una lettera di appoggio alla candidatura di Lee per il Congresso e di condanna dell’AIPAC per aver attaccato la rappresentante designata.

Fetterman contro Oz

Una delle competizioni più attese è stata l’elezione della Pennsylvania per il senato tra il personaggio televisivo repubblicano di origine turca Mehmed Oz e il democratico John Fetterman.

Alla fine Fetterman ha vinto facilmente per più di 5 punti, nonostante un calo nei sondaggi dopo una infelice esibizione in un dibattito televisivo con Oz lo scorso mese, mentre soffriva ancora dei postumi di un ictus sofferto durante la campagna elettorale.

Oltre al fatto di aver ottenuto un’ampia attenzione nazionale, la competizione ha anche ricevuto un flusso di denaro da una serie di associazioni filoisraeliane a favore di entrambi i candidati.

Fetterman è stato appoggiato dal PAC di J Street e da quello del Jewish Democratic Council of America [Consiglio Democratico Ebraico d’America], che ha speso più di 500.000 dollari a sostegno del vicegovernatore.

Dalla parte di Oz, in settembre il Republican Jewish Coalition’s Victory Fund [il Fondo per la Vittoria della Coalizione Ebraica Repubblicana] ha speso 1,5 milioni di dollari per attacchi pubblicitari contro Fetterman. Gli annunci a pagamento sono stati il più grande stanziamento del fondo per una campagna per il Senato.

In Virginia perde un’importante democratica filoisraeliana

La congressista Eliane Luria, una dei democratici del Congresso più filoisraeliani, ha perso per circa 4 punti contro lo sfidante repubblicano Jen Kiggans, dando un significativo colpo alla branca filoisraeliana del partito Democratico.

Luria è stata un’ardente sostenitrice di Israele, come l’AIPAC, e nel 2020 ha condannato le critiche del senatore Bernie Sanders contro la lobby filoisraeliana. Secondo OpenSecrets [associazione che monitora i finanziamenti politici negli USA, ndt.] la senatrice ha ricevuto più di 700.000 dollari da donatori filoisraeliani.

L’AIPAC ha identificato la competizione tra Luria e Kiggans nel secondo distretto della Virginia come una delle più importanti in questa tornata elettorale.

Invece un’altra democratica filo-israeliana dello Stato, Abigail Spanberger, ha vinto di poco e si è assicurata la rielezione al Congresso.

Spanberger ha ricevuto circa 300.000 dollari da organizzazioni filoisraeliane nella tornata elettorale di quest’anno.

L’AIPAC appoggia negazionisti elettorali e repubblicani di estrema destra

Per decenni l’AIPAC ha goduto di un forte appoggio bipartisan a Washington.

Importanti repubblicani e democratici hanno preso parte alla sua conferenza annuale per offrire le proprie opinioni su come avrebbero mantenuto solidi rapporti tra gli USA e Israele.

Tuttavia negli ultimi anni ciò è cambiato, con i democratici e i progressisti che sono diventati più critici nei confronti dell’AIPAC e del governo israeliano.

Questo allontanamento è stato visibile anche nell’approccio dell’organizzazione filoisraeliana alle elezioni di metà mandato, dove ha creato il Super Pac per finanziare specifiche campagne.

Il Pac dell’AIPAC, questo comitato d’azione politica, ha iniziato a sostenere un certo numero di candidati, molti dei quali hanno negato la validità dei risultati delle elezioni presidenziali del 2020.

In questa tornata elettorale l’United Democracy Project [Progetto della Democrazia Unita] (UDP), un super Pac legato all’AIPAC, ha speso anche decine di milioni di dollari contro candidati considerati troppo critici con Israele.

Il sostegno e i finanziamenti che l’AIPAC ha speso quest’anno per candidati di destra ha suscitato dure critiche da parlamentari della sinistra, compreso il senatore Bernie Sanders, che in maggio ha descritto la lotta contro l’AIPAC come una “guerra”.

Mercoledì sera l’UDP, affiliata all’AIPAC, ha reso noto un comunicato riguardante i suoi finanziamenti nelle elezioni e ha inviato un avvertimento ai candidati critici con Israele.

Quanti intendono minacciare la collaborazione dell’America con Israele possono aspettarsi una forte e intransigente risposta politica,” ha affermato l’UDP.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele: Ben-Gvir in trattative con la coalizione “per chiedere condizioni più dure per i palestinesi in carcere”

Redazione di MEE

7 novembre 2022 – Middle East Eye

Secondo i media locali il politico di estrema destra chiederà anche l’accesso senza restrizioni dei coloni alla moschea di Al-Aqsa

Secondo i media locali, durante le consultazioni informali previste per lunedì con Benjamin Netanyahu, leader del Likud, il politico israeliano di estrema destra Itamar Ben-Gvir è intenzionato a chiedere condizioni più dure per i prigionieri palestinesi per motivi di sicurezza, come anche l’accesso senza restrizioni dei coloni alla moschea di Al-Aqsa.

In seguito alle elezioni israeliane della scorsa settimana il blocco di Netanyahu ha ottenuto 64 seggi sul totale di 120 e si prevede che formi un governo con i partiti ultraortodossi Shas [partito degli ebrei praticanti originari dei Paesi arabi o musulmani, N.d.T.] e UTJ [United Torah Judaism, degli ebrei praticanti di origine europea N.d.T.] così come con l’alleanza di estrema destra di Ben-Gvir del Sionismo Religioso-Otzma Yehudit [Potere ebraico N.d.T.]

Durante il ciclo delle elezioni dell’anno scorso Netanyahu aveva detto che Ben-Gvir, che aveva messo in bella mostra una foto di Baruch Goldstein, massacratore di 29 palestinesi in una moschea nel 1994, non era adatto a fare il ministro.

Tuttavia, poiché la popolarità di Ben-Gvir è cresciuta, Netanyahu ha cambiato tattica e ammesso che potrebbe far parte di ogni potenziale governo. 

Ci si aspetta che Ben-Gvir chieda l’incarico di ministro della Pubblica Sicurezza in una eventuale coalizione con il Likud.

Secondo l’israeliano Channel 13, nel corso dei colloqui di coalizione di lunedì Ben-Gvir presenterà a Netanyahu un piano articolato imperniato sul modo in cui lIsrael Prison Service [il servizio carcerario israeliano, sotto la giurisdizione del Ministero della Pubblica Sicurezza, responsabile della supervisione delle carceri, N.d.T.] tratta i prigionieri palestinesi per motivi di sicurezza, inclusa l’imposizione di ulteriori restrizioni.

Channel 13 ha riportato che Ben-Gvir cercherà di limitare l’”indipendenza” dei prigionieri nelle carceri israeliane, impedendo l’organizzazione di prigionieri in gruppi che riflettono le fazioni palestinesi fuori dalla prigione.

Inoltre Channel 13 ha aggiunto che Ben-Gvir chiederà di smettere di trattare con i prigionieri tramite un portavoce o un rappresentante in loro nome, per invece “identificare un rappresentante provvisorio” in contatto con le autorità carcerarie solo su questioni di carattere generale e non sui problemi personali dei prigionieri.

La rete televisiva precisa inoltre che il piano di Ben-Gvir mira anche a impedire ai prigionieri di cucinare nelle loro sezioni, con cibo fornito solo dalle autorità carcerarie stesse, e anche a ridurre il consumo d’acqua.

Terroristi

Sempre secondo Channel 13 Ben-Gvir, che in precedenza ha guidato l’irruzione di gruppi di coloni nella moschea di Al-Aqsa e chiesto che vi vengano consentite le preghiere degli ebrei, è anche determinato a chiedere durante i suoi colloqui con Netanyahu un accesso senza precedenti alla moschea.

Secondo i pluridecennali accordi fra Giordania, custode dei siti islamici e cristiani a Gerusalemme, e Israele, all’interno del complesso della moschea di Al-Aqsa non è permesso ai non-musulmani compiere alcun rito religioso, né esporre simboli ebraici.

I non-musulmani possono visitarla sotto la supervisione del Waqf, un’istituzione islamica giordano-palestinese che gestisce la moschea.

Nel 2003 la gestione delle visite ad Al-Aqsa da parte del Waqf è stata revocata dalle autorità israeliane. Da allora la polizia israeliana ha permesso quasi quotidianamente a coloni e attivisti di estrema destra di fare irruzione nell’area. 

Agli inizi di quest’anno Ben-Gvir ha descritto i membri del Waqf come “terroristi”. 

Funzionari dei servizi di sicurezza israeliani hanno riferito a Channel 13 che le misure richieste da Ben-Gvir servirebbero solo a “infiammare la situazione sul campo”.

Gli attivisti israeliani di estrema destra hanno ripetutamente fatto pressioni per aumentare la presenza ebraica nell’area e alcuni hanno invocato la distruzione di Al-Aqsa per far posto al Terzo Tempio.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Cisgiordania: sei palestinesi uccisi durante un’incursione su larga scala contro gruppo La Fossa dei Leoni

Akram al-Waara, Leila Warah

25 ottobre 2022-Middle East Eye

Gli intensi combattimenti notturni sconvolgono Nablus mentre numerose truppe israeliane assaltano la città e prendono di mira il nascente gruppo armato

Martedì le forze israeliane hanno ucciso sei palestinesi e ne hanno feriti almeno altri 20 dopo un violento raid dell’esercito nella Cisgiordania occupata settentrionale.

Numerose truppe equipaggiate con decine di veicoli corazzati e missili guidati anticarro hanno preso d’assalto Nablus intorno a mezzanotte ora locale e si sono scontrate con i combattenti palestinesi nella città.

Secondo il Ministero della Salute palestinese cinque palestinesi, di cui almeno due disarmati, sono stati uccisi durante il raid di tre ore e una sesta persona è stata uccisa a colpi di arma da fuoco a Ramallah ore dopo.

I nomi di coloro che sono morti durante l’assalto di Nablus sono stati identificati come Hamdi Sobeih Ramzi Qayem, 30 anni; Ali Khaled Omar Antar, 26 anni; Hamdi Muhammad Sabri Hamid Sharaf, 35 anni; Wadi Sabih Houh, 31 anni; Mishaal Zahi Ahmed Baghdadi, 27 anni.

Il sesto palestinese, identificato come Qusai Tamimi, 20 anni, è stato ucciso in un altro incidente nel villaggio di Nabi Saleh, nel distretto di Ramallah.

Martedì nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza sono stati osservati uno sciopero generale e una giornata di lutto mentre migliaia di residenti adirati si sono uniti ai cortei funebri a Nablus.

“La città si è svegliata molto triste questa mattina: hanno perso cinque vite. L’atmosfera è molto cupa e oggi ci sono scioperi in tutta la Cisgiordania”, ha detto a Middle East Eye Zayd al-Azhary, un attivista che vive a Nablus.

L’operazione di martedì è avvenuta durante un assedio di 14 giorni a Nablus da parte dell’esercito israeliano, che ha bloccato gli ingressi della città e paralizzato il movimento delle persone in entrata e in uscita.

L’esercito israeliano afferma che le misure sono state poste in essere per fermare gli attacchi contro obiettivi israeliani effettuati da un gruppo armato di nuova formazione nella città chiamato “Lions’ Den” [Fossa dei Leoni, ndt].

Nablus e la vicina città di Jenin hanno assistito a una rinascita della resistenza armata negli ultimi mesi. I combattenti palestinesi hanno attaccato sempre più posti di blocco e postazioni dell’esercito, oltre ad affrontare le truppe israeliane durante i le incursioni nelle città.

Incursione sotto copertura

Secondo i media palestinesi l’attacco a Nablus è iniziato poco dopo la mezzanotte di martedì quando le forze di sicurezza appartenenti all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) hanno fermato un “veicolo sospetto” vicino alla Città Vecchia.

Il veicolo trasportava forze speciali israeliane sotto copertura, hanno detto fonti locali. Quando gli agenti dell’Autorità Palestinese hanno affrontato le forze israeliane nel veicolo, secondo quanto riferito, gli ufficiali palestinesi sono stati presi di mira dai cecchini israeliani che erano appostati sui tetti della zona.

Secondo quanto riferito da fonti locali, dopo che la copertura delle forze speciali israeliane è saltata, si è verificato uno scontro a fuoco tra le forze dell’ANP e i soldati israeliani, provocando il ferimento di quattro agenti dell’ANP.

Lo scontro a fuoco tra gli agenti dell’Autorità Nazionale Palestinese e i soldati israeliani ha allertato i gruppi armati nella Città Vecchia di Nablus che era in corso un’operazione israeliana nella città.

I combattenti palestinesi hanno iniziato a scambiare colpi di arma da fuoco con le forze israeliane che avevano fatto irruzione nell’area, mentre altre decine di jeep dell’esercito israeliano hanno iniziato ad entrare in città.

Un residente ha detto che “è scoppiato il caos” dopo che le truppe israeliane sono entrate in gran numero nella Città Vecchia, prendendo di mira i membri del gruppo La Fossa dei Leoni.

L’esercito israeliano ha confermato in un comunicato che l’operazione ha preso di mira un sito “utilizzato dai principali agenti operativi della Fossa dei Leoni”, descrivendolo come un “quartier generale e un’officina per la fabbricazione di armi”. Ha aggiunto che “ha risposto con munizioni vere ai sospetti armati che sparavano contro di loro”.

Il gruppo La Fossa dei Leoni ha postato su Telegram un comunicato in cui sostiene che ha ingaggiato scontri a fuoco con le truppe israeliane e ha confermato che almeno uno dei suoi membri è e rimasto ucciso.

Zona di guerra

Fonti locali sostengono che circa 60 veicoli militari corazzati israeliani sono stati utilizzati nell’operazione in cui la Città Vecchia è stata attaccata e assediata.

Secondo quanto riferito i primi due palestinesi colpiti da arma da fuoco erano passanti che camminavano per la Città Vecchia.

“Erano nel posto sbagliato al momento sbagliato”, ha detto al-Azhary a MEE. “Stavano solo camminando lungo la strada e, naturalmente, gli israeliani gli hanno sparato senza fare domande”.

Non è chiara l’identità dei primi due palestinesi uccisi e se fossero membri dei gruppi armati che stavano combattendo contro l’incursione dell’esercito. I video pubblicati sui social media mostrano medici palestinesi che tentano di rianimare due palestinesi in abiti civili mentre giacciono per strada, sanguinanti e privi di sensi.

Intorno all’una di notte, mentre gli spari risuonavano in tutta la città di Nablus, i palestinesi della Città Vecchia sono saliti sui minareti delle moschee per chiedere rinforzi agli abitanti per sostenere i combattenti della resistenza e i civili bloccati all’interno.

Un’ora dopo le forze israeliane hanno colpito un veicolo nell’area di Ras al-Ain con un missile, uccidendo un uomo nella sua auto. Un altro palestinese, Wadee al-Houh, che secondo Israele sarebbe stato uno dei comandanti del gruppo La Fossa dei Leoni”, è stato ucciso in casa sua.

I militari israeliani hanno rilasciato una dichiarazione in cui affermano che al- Houh era uno degli obiettivi principali dell’operazione dell’esercito nella città. Martedì mattina La Fossa dei Leoni ha rilasciato una dichiarazione in cui si commemora Houh, ma non si specifica il suo ruolo nel gruppo.

Mentre i gruppi armati palestinesi continuavano a scontrarsi con le forze israeliane nelle prime ore del mattino, sono stati segnalati scontri in tutta la città, compreso il campo profughi di Balata.

Al-Azhary ha descritto la scena come una “zona di guerra”.

“Più di 9.000 persone vivono nella Città Vecchia e tutte erano sotto tiro e in pericolo: bambini, anziani, famiglie ecc., non solo combattenti della resistenza. Non è una vita o una posizione facile in cui trovarsi”, ha detto.

Cercando di resistere

Migliaia di palestinesi hanno partecipato al corteo funebre delle cinque persone uccise durante il raid israeliano, mentre sono previste proteste in tutta la Cisgiordania contro la crescente violenza israeliana.

Il raid di martedì ha portato il bilancio delle vittime palestinesi quest’anno a più di 175 persone uccise dalle forze israeliane e dai coloni, di cui 125 nella Gerusalemme est occupata e in Cisgiordania.

Più di 44 sono stati uccise solo negli ultimi due mesi.

Secondo le Nazioni Unite il 2022 è stato finora “l’anno con il maggior numero di vittime palestinesi in Cisgiordania rispetto allo stesso periodo dei 16 anni precedenti”.

Nablus è stata posta sotto assedio all’inizio di questo mese dopo che un soldato israeliano era stato ucciso l’11 ottobre presso una postazione militare alla periferia della città di Nablus. L’esercito israeliano ha intrapreso una caccia all’uomo ad ampio raggio per trovare l’assassino, che, secondo quanto riferito, apparteneva al gruppo La Fossa dei Leoni.

Domenica 23 ottobre un membro palestinese del nuovo gruppo, Tamir al-Kilani, è stato ucciso con una bomba comandata a distanza nella Città Vecchia di Nablus. Il gruppo ha affermato che era stato assassinato dall’esercito israeliano, sebbene i militari [israeliani, ndt] non abbiano commentato pubblicamente l’omicidio.

Dopo il raid di martedì, il Primo Ministro israeliano Yair Lapid ha detto all’emittente pubblica Kan che “Israele non sarà mai dissuaso dall’agire per la sua sicurezza”, affermando che i membri del gruppo La Fossa dei Leoni “sono le persone che hanno ferito Ido Baruch”, riferendosi al soldato ucciso l’11 ottobre.

Su Twitter, il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha promesso che l’esercito continuerà a reprimere la “Fossa dei Leoni” e altri gruppi armati, affermando: “Non ci sono e non ci saranno città rifugio per i terroristi.

“Continueremo ad agire contro chiunque tenti di danneggiare i cittadini di Israele, ovunque e ogniqualvolta necessario” ha affermato.

 In risposta a queste dichiarazioni, al-Azhary ha respinto le affermazioni israeliane secondo cui i gruppi palestinesi sono “terroristi”, dicendo che sono stati creati come risposta alle angherie e all’occupazione israeliane che continuano nei confronti dei palestinesi.

“I palestinesi stanno cercando di resistere a Israele che toglie loro diritti e dignità di popolo. Non sono terroristi, sono un gruppo persone che sono state messe in una situazione senza vie d’uscita”, ha detto al-Azhary

“Quello che Israele sta facendo ora è cercare di trasformare questo gruppo in un gruppo terroristico invece di concentrarsi su ciò di cui noi palestinesi abbiamo effettivamente bisogno”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




‘Chi sono i terroristi?’: Come una nuova generazione palestinese sta combattendo l’occupazione

David Hearst

10 ottobre 2022 – Middle East Eye

Dai contadini delle colline meridionali di Hebron sotto attacco dei coloni ai gruppi armati del campo di Jenin esposti ai raid notturni, in Cisgiordania si sta costruendo una nuova ondata di resistenza

Il villaggio di Letwani è alla fine della strada. Letteralmente. Alle sue spalle si sviluppa una strada di coloni che inizia a Gerusalemme e termina nelle colline meridionali di Hebron.

Di fronte c’è Masafer Yatta, un’area di 30 chilometri quadrati che negli anni ’80 Israele ha dichiarato zona di tiro militare.

I 2.500 residenti di Masafer Atta sono coinvolti quotidianamente in battaglie campali con coloni e soldati.

La mattina in cui sono arrivato a Letwani Asharaf Mahmoud Amour, 40 anni, osservava con calma un mucchio di blocchi di calcestruzzo. Erano i resti della sua casa. Un bulldozer laveva demolita poche ore prima. Con suo grande stupore, i soldati avevano lasciato in piedi la stalla a sinistra e il pollaio a destra, entrambi sotto ordine di demolizione.

“Ti dirò dove dormiremo stanotte, con i polli e le capre”, ha detto Amour.

Tutto quello che vogliono è costringerci ad andare via. Distruggendo le case, isolandoci dai campi, terrorizzandoci continuamente con i soldati e i coloni intorno, invadendo le case, arrestandoci. E sappiamo che il risultato che vogliono ottenere con tutto ciò è mandarci via. Questa è la sfida che accettiamo, afferma Amour, padre di cinque figli.

Stanno cercando di presentarci al mondo come terroristi. Chi sono i terroristi? Noi cerchiamo di rimanere nelle nostre case. Sono loro che ci terrorizzano. Rimarrò qui anche se dovessi dormire sotto una pietra”.

A pochi metri, sulla strada sterrata, ci sono due cartelli. Il primo recita Sostegno umanitario ai palestinesi a rischio di trasferimento forzato in Cisgiordania, con i loghi di 11 agenzie governative dell’Unione Europea.

Questa espressione di sostegno internazionale ha avuto scarsa importanza come forza deterrente per i coloni, dal momento che sopra è esposto un ritratto di Harum Abu Aram, 26 anni.

Oggi Abu Aram giace paralizzato in ospedale dopo aver tentato di difendere il suo pezzo di terra.

Un altro contadino, Hafez Huraini, è stato fortunato a cavarsela con due braccia rotte.

Cinque coloni mascherati, armati di tubi di metallo e accompagnati da un soldato fuori servizio che sparava in aria con una pistola, hanno aggredito Huraini mentre era al lavoro nella sua terra. Huraini si è difeso con una zappa.

Sami, suo figlio, afferma: Erano cinque contro un uomo di 52 anni. Quando l’ho raggiunto mio padre sanguinava dalla mano destra e si teneva la sinistra. Dietro di me sono sopraggiunti altri abitanti del villaggio, altri coloni e poliziotti”.

La polizia ha poi detto che avrebbe arrestato l’uomo ferito.

A quel punto abbiamo iniziato ad infuriarci. I coloni erano in piedi davanti all’ambulanza. Abbiamo trasportato mio padre dentro l’ambulanza. I coloni hanno iniziato a squarciare le gomme dell’ambulanza della Mezzaluna Rossa per cui questa non poteva muoversi”, racconta Sami.

I militari si sono fatti molto aggressivi e ci hanno assalito. Siamo stati cacciati dal luogo e poi hanno continuato. Infine hanno trasferito mio padre all’interno di un’ambulanza militare”.

Così sono iniziati per Hurami, la vittima dell’attacco dei coloni, 10 giorni di detenzione.

E’ stato trasferito nella prigione di Ofer. Arrestato con l’accusa di aver causato gravi lesioni personali al colono che lo ha aggredito, un tribunale militare lo ha condannato a più di 12 anni di carcere. Miracolosamente, la versione del pubblico ministero è andata in pezzi.

In tribunale è stato prodotto un video che mostra per intero l’accaduto. Il giudice ha criticato la polizia per aver ritardato di oltre una settimana l’interrogatorio dei coloni.

L’avvocato di Huraini, Riham Nasra, suggerisce che ciò sarebbe stato fatto per rendere le prove inutilizzabili in tribunale. Ha detto: “Il complotto che è stato ordito contro Hafez Huraini è stato confutato non appena è pervenuto alla polizia e all’opinione pubblica un video che documentava l’attacco da lui subito da parte di coloni armati e mascherati.

I dieci giorni della sua detenzione avevano solo lo scopo di oscurare la verità e preservare la falsa versione ideata dai suoi accusatori. Per questo la polizia con l’avvertenza di nove giorni si è astenuta dall’indagare sui suoi aggressori, inquinando così le indagini di cui sono responsabili».

Tuttavia, alla giustizia militare prudevano le mani. Al momento del rilascio è stato ordinato ad Huraini di pagare una cauzione di 10.000 shekel (2.890 euro) e di stare lontano dalla sua terra per 30 giorni in attesa di ulteriori indagini sull’incidente. I coloni che hanno effettuato l’attacco e il soldato fuori servizio che ha sparato sei colpi in aria sono rimasti liberi.

Sami fa parte di una nuova generazione di agricoltori e attivisti determinati a resistere alle predazioni dello Stato israeliano in tutte le sue forme: coloni, soldati, poliziotti e tribunali.

Sami ha fondato un gruppo chiamato Gioventù di Sumud. Si sente spesso questa parola nelle colline meridionali di Hebron. Significa determinazione.

Quando siamo stati sfrattati dal nostro villaggio abbiamo vissuto in una grotta. Abbiamo messo in ordine la nostra caverna, costruito delle mura, l’abbiamo collegata all’acqua proveniente dal nostro villaggio. Il proprietario ci ha fatto pagare un prezzo alto. Avevo le ossa rotte. La violenza dei coloni è feroce” dice Sami.

Questa generazione è diversa: sicura di sé, determinata, connessa a Internet e parla correntemente l’inglese.

“Israele si aspetta che i vecchi muoiano e che i giovani si fermino, ma sta accadendo il contrario”, afferma Sami.

Non abbiamo alcun ordine da seguire per iniziare la lotta. Non abbiamo leader e non apparteniamo a nessuna fazione. Iniziamo la lotta da soli”.

Sami è ottimista: Chiunque in questa situazione penserebbe di abbandonare ma noi continuiamo ad esistere, a sorridere, a dimostrare che stiamo vivendo, a dimostrare che non ci arrendiamo. Questo è ciò che rende speciale la nostra gente, dimostraregli che siamo fantastici”.

Jamal Juma’a, veterano attivista politico palestinese, lo è meno [ottimista]: Gli israeliani stanno letteralmente trasformando la Cisgiordania in una rete di riserve di nativi. Stanno progettando la geografia e la demografia della Cisgiordania per garantirsi un dominio e un controllo durevoli su di essa”.

I coloni ora hanno una solida presa sulla topografia della Cisgiordania. Prima [degli accordi] di Oslo per trovare lavoro i coloni dovevano attraversare la linea verde [confine stabilito fra Israele e alcuni Paesi arabi circostanti alla fine della guerra arabo-israeliana del 1948-1949, ndt.] in direzione di Israele. Ora possiedono, oltre ad aree agricole, 19 poli industriali e altri in fase di costruzione.

Con nomi accattivanti come Desert Gate [Porta del deserto, ndt.] e Cherry Plantation [Piantagione del ciliegio, ndt.], producono di tutto, dall’uva al bestiame.

Per i contadini originari di questa terra la vita è molto diversa. Le strade sterrate sono quasi impraticabili a causa delle pattuglie militari israeliane.

Juma’a dice: “Si tornerà alle caverne e agli asini”.

Paralisi a Ramallah

Hani al-Masri è uno dei più importanti giornalisti e commentatori politici della Palestina.

Direttore generale di Masarat, il Centro palestinese per la ricerca politica e gli studi strategici, Masri una volta si considerava un membro di Fatah e un confidente del presidente Mahmoud Abbas.

Ora non più. “L’ultima volta che mi ha visto, si è arrabbiato prima ancora che avessi la possibilità di parlare”, ha detto Masri.

Il motivo della caduta in disgrazia di Masri è chiaro. Masri è diventato uno dei critici più pungenti di Abbas, ma anche meglio informati.

A Ramallah non c’è una leadership da molto tempo. All’inizio Abu Mazen [Abbas] si vantava che Israele gli avrebbe concesso più di quanto non avesse fatto con Yasser Arafat, perché lui [Abbas] era moderato, contrario alla violenza. Ma in realtà ha fallito più di Arafat, sostiene Masri.

La sua risposta a ogni fallimento è stata ‘più negoziati’, ma il suo problema è che Israele non è interessato ai negoziati. Senza trattative, la sua legittimità crolla, non solo perché non ha un programma nazionale ma perché tutte le fonti della sua legittimità si sono prosciugate”.

A quasi tre decenni dalla firma degli Accordi di Oslo il presidente 87enne governa sulle macerie del proto-Stato palestinese.

“Non c’è nessuna Fatah, nessuna OLP, nessuna elezione, nessuna autorità, nessuna società civile e nessun organo di informazione indipendente”, afferma Masri.

E non è sorpreso che Abbas abbia scelto come suo successore Hussein al-Sheikh. Sheikh è stato catapultato a maggio nella posizione chiave di segretario generale del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP).

Masri spiega perché Abbas abbia scelto Sheikh. Gli è stato chiesto perché avesse scelto Sheikh e lui [Abbas] ha risposto: ‘Perché è intelligente. Ho chiesto al comitato centrale di fare una scelta e loro non sono stati in grado di raggiungere un accordo. Allora ho scelto il più intelligente tra loro.'”

Ma, a detta di Masri, gli sarebbe stato ribattuto che Sheikh non gode di alcuna popolarità e Abbas avrebbe risposto “Neanche io sono popolare“.

Masri concorda con questa sincera constatazione. Sulla base di sondaggi di opinione fatti nel corso di molti anni, tra il 60 e l’80% degli intervistati vuole che Abbas si dimetta.

Abbas non ha tutti i torti riguardo al comitato centrale. I pezzi grossi di Fatah – Nasser al-Qudwa (in esilio), Jibril Rajoub, Mahmoud al-Aloul, Mohammed Dahlan (in esilio) – stanno combattendo battaglie personali.

Hamas, la cui leadership in Cisgiordania è stata decimata da arresti notturni, rifiuta di prendere parte alla battaglia per la successione, così come le altre fazioni palestinesi. La considerano una esclusiva questione di Fatah.

Masri dice: Ho consigliato loro di lavorare insieme. Ma non lo fanno. Abu Mazen è abile in una cosa. Sa come dividerli. Ha detto a un membro del comitato centrale: Tu sei il mio successore. Ognuno di loro pensa che sarà lui. C’è un’espressione in arabo: ‘Quando non hai un cavallo, devi sellare un asino.'”

Non è ancora chiaro se Sheikh si adatti alla descrizione dell’asino. Sheikh crede di essersi guadagnato il suo posto al sole per aver passato anche lui del tempo in una prigione israeliana. Altri sono meno convinti.

Come responsabile delle relazioni tra l’Autorità Nazionale Palestinese e Israele, Sheikh si è già guadagnato il dubbio onore di essere portavoce dell’occupazione. Collaborazione è un’altra parola sempre più utilizzata per descrivere la cooperazione in materia di sicurezza tra l’Autorità Nazionale Palestinese e le forze di sicurezza israeliane.

C’è un accordo non scritto tra lui e il capo della sicurezza dell’Autorità Palestinese Majed Faraj, l’unico altro funzionario palestinese che potrebbe essere considerato accettabile da Israele e Washington.

Nonostante tutto il suo potere come capo del Servizio di sicurezza preventiva dell’ANP, Faraj non è riuscito a farsi eleggere nel comitato centrale dell’OLP.

A giugno un sondaggio d’opinione condotto dal Centro palestinese per la politica e la ricerca demoscopica ha valutato la popolarità di Sheikh al 3%, con un margine di errore di più o meno il 3%.

Masri dice: Hanno bisogno l’uno dell’altro. Uno è un tramite verso Israele, l’altro verso gli Stati Uniti. Israele non è ancora pronto a puntare tutto sullo stesso cavallo”.

Tuttavia, Sheikh è desideroso di registrarsi sul radar di Washington. E sta già sollevando lo spettro dello scioglimento dell’ANP e la possibilità di scontri tra clan rivali armati di Fatah come argomento per preservare l’ANP.

“Se dovessi smantellare l’Autorità Nazionale Palestinese, quale sarebbe l’alternativa?” ha dichiarato Sheikh al New York Times a luglio.

“L’alternativa sarebbe la violenza, il caos e lo spargimento di sangue”, ha aggiunto. Conosco le conseguenze di quella decisione. So che i palestinesi ne pagherebbero il prezzo”.

Ma se Oslo è morta e l’ANP è moribondo, sicuramente è defunta anche la pratica di eleggere solo candidati il cui compito principale sia quello di rendere l’occupazione da parte israeliana il più semplice possibile.

La pensa così Mustafa Barghouti, il leader e fondatore di Iniziativa Nazionale Palestinese, l’uomo che nel 2005 è arrivato secondo dopo Abbas.

È un momento molto pericoloso e coloro che pensano di poter imporre determinate persone ai palestinesi dovranno stare molto attenti, perché se non avremo un giusto processo democratico e di consenso tra i palestinesi ciò che ora resta di credibilità e rispetto scomparirà”, dice Barghouti.

L’ANP è paralizzata da tre crisi: il fallimento del suo programma di costruzione dello Stato, l’incapacità di presentare una strategia alternativa, la nascita di divisioni interne con la soppressione delle elezioni.

Barghouti afferma: Annullando le elezioni hanno cancellato il nostro breve percorso democratico. E così facendo hanno eliminato il processo di partecipazione, hanno eliminato il diritto delle persone a scegliere i propri leader e hanno bloccato completamente la strada alle nuove generazioni. Come può un giovane in Palestina avere influenza nella politica? Come?”

Il giorno prima che incontrassimo Masri, Nablus era andata in fiamme. Sono scoppiati scontri armati tra manifestanti, molti dei quali di Fatah, e le forze di sicurezza dell’ANP dopo l’arresto di un importante uomo di Hamas, Musab Shtayyeh, ricercato da Israele.

Nel corso degli scontri a fuoco un palestinese di 53 anni, Firas Yaish, è stato ucciso e un altro ferito gravemente.

Uomini armati hanno preso di mira con armi da fuoco la sede distrettuale dell’Autorità Nazionale Palestinese per protestare contro le politiche dell’autorità. Per riportare la calma in città, l’Autorità Nazionale Palestinese ha comunicato che stavano trattenendo Shtayyeh per proteggerlo. Da allora Shtayyeh ha iniziato lo sciopero della fame e l’ANP gli ha negato per due volte di vedere il suo avvocato.

Senza il sostegno di Israele l’ANP crollerebbe nel giro di pochi mesi. Vedete cosa è successo a Nablus, tutte le zone di Nablus erano in fiamme, non solo la città vecchia ma tutti i quartieri, afferma Masri.

Ciò significa che la maggioranza sostiene i combattenti ostili all’ANP. Se l’ANP manterrà le sue promesse di liberare Shtayyeh e lo tratterà come un caso nazionale, non come un criminale, penso che il movimento si rinforzerà“.

E aggiunge: Il nostro problema è questo. Abbiamo bisogno di un cambiamento, ma le condizioni per un cambiamento non sono ancora mature. Ho paura di una situazione di caos, non di un cambiamento”.

Resistenza nel campo di Jenin

Sotto la coalizione di Naftali Bennett e Yair Lapid i raid notturni israeliani si stanno estendendo in tutta la Cisgiordania, così come tutti i segnali dell’occupazione.

Peace Now, il gruppo di pressione israeliano che sostiene una soluzione a due Stati, ha confrontato l’occupazione sotto questa coalizione con quella dell’amministrazione di Benjamin Netanyahu in termini di pianificazione di insediamenti coloniali, gare d’appalto, inizio di lavori di costruzione, nuovi avamposti, demolizioni, attacchi di coloni e morti palestinesi.

Ogni indicatore è in crescita. C’è stato un aumento del 35% delle demolizioni di case, un aumento del 62% degli inizi di lavori di costruzione, un aumento del 26% dei progetti di unità abitative. Le violenze dei coloni sono aumentate del 45%.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, almeno 85 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania tra l’inizio dell’anno e l’11 settembre rispetto a una media annuale di 41 sotto la guida di Netanyahu – e la cifra è già diventata a tre cifre nel mese successivo, facendo sì che il 2022 sia sulla buona strada per essere l’anno più mortale da più di un decennio a questa parte in seguito alle violenze in Cisgiordania.

L’immagine di Lapid sulla scena internazionale come un moderato maschera un’ondata incessante di violenza di Stato contro i civili palestinesi.

Molti muoiono nel corso di sparatorie le cui precise circostanze non sono chiare né mai esaminate in modo indipendente.

In un recente incidente, lunedì scorso, due giovani palestinesi sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco e un altro ferito dopo che le forze israeliane hanno aperto il fuoco su un veicolo vicino al campo profughi di Jalazone, a nord di Ramallah.

L’esercito israeliano ha affermato di aver “neutralizzato” due “sospetti”, sostenendo che essi avrebbero “tentato di effettuare un attacco mediante speronamento contro i soldati delle forze di sicurezza israeliane”. L’esercito ha riferito di aver ucciso due persone ferendone una terza.

I morti sono stati identificati come Basel Basbous e Khaled al-Dabbas, entrambi del campo di Jalazone. Ma il comitato dei prigionieri dell’ANP ha affermato di essersi recato in un ospedale di Gerusalemme dove ha visto Basel Basbous, ferito e sottoposto a cure.

Le autorità israeliane hanno smesso da tempo di dare conferma delle morti, dei sopravvissuti, per non parlare della restituzione dei cadaveri degli uccisi alle loro famiglie per la sepoltura.

Yehia Zubaidi ha appreso dai media israeliani che suo fratello Daoud è morto nell’ospedale di Haifa per le ferite riportate. Ma l’ospedale ha rifiutato di consegnare il corpo.

Zubaidi ha combattuto nella Seconda Intifada, iniziata nel 2000, e ha trascorso 16 anni in prigione tra il 2002 e il 2018. Suo fratello Zakaria è stato uno dei sei prigionieri fuggiti dalla prigione di Gilboa nel settembre 2021, tutti successivamente ripresi.

Zubaidi dice: Gli anni in prigione non mi hanno cambiato, ma conosco bene il mio nemico. La prigione non ci ha mai fermato. Ho chiamato mio figlio Osama, che era il nome di un mio amico assassinato. Un altro si chiama Mohammed, e il terzo Daoud come mio fratello».

La resistenza viene infatti tramandata da una generazione all’altra.

Shtayyeh, l’uomo di Hamas arrestato a Nablus, era vicino a Ibrahim Nabulsi, un membro di spicco del braccio armato di Fatah, le Brigate dei martiri di al-Aqsa, che è stato colpito e ucciso dalle forze israeliane ad agosto.

Nabulsi, che non era ancora ventenne, era figlio di un alto ufficiale dei servizi segreti dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Il padre di Nabulsi, ufficiale dell’intelligence, dice: “Ibrahim stava dando loro la caccia [ai soldati israeliani], non il contrario. Ogni volta che sentiva parlare di un’incursione dell’esercito israeliano, era il primo ad uscire e ad affrontarli. Questo era il suo destino. Rendiamo lode a Dio”.

Il figlio diciottenne ha lasciato un biglietto in cui esprimeva la volontà che il suo corpo fosse coperto dalla bandiera palestinese, piuttosto che dalla bandiera della sua fazione.

Barghouti afferma: “Questa è di per sé un’indicazione molto importante di una nuova coscienza che sta crescendo tra i palestinesi più giovani”.

Lubna al-Amouri ha trasformato la sua casa in un santuario per il figlio defunto Jamil, un giovane comandante della Jihad islamica nel campo profughi, rimasto intrappolato un anno fa in un’imboscata mentre si recava al matrimonio di un amico.

Quando ha cercato di scappare è stato colpito alla schiena. Nella sparatoria sono rimasti uccisi due agenti di sicurezza palestinesi. Lubna coniuga l’orgoglio per suo figlio, salutato come un eroe locale, con il dolore di madre.

A scuola Jamil desiderava far parte della resistenza, ma io non glielo permettevo. Gli ho comprato una macchina e l’ho fatto lavorare. Volevo che diventasse un tassista, ma ha venduto l’auto per comprare una pistola e ha iniziato da solo senza aderire a nessun gruppo. Non faceva parte della Jihad fino a sei mesi prima di morire”, dice.

Mentre Amouri parla i suoi occhi si riempiono di lacrime.

Era un bravo ragazzo. Dava i soldi o il cibo che aveva alle famiglie più povere. Era arrabbiato per gli eventi a Gerusalemme, dall’assalto ad al-Aqsa. Ha visto cosa stava succedendo in Cisgiordania e non ha potuto fare a meno di lasciarsi coinvolgere.

Nel campo non abbiamo mai riposo. Ci prendiamo sempre cura l’uno dell’altro. Nessuno nel campo pensa al futuro. Ho altri due ragazzi e hanno visto cosa è successo al loro fratello, ho paura per loro. Quando si sentono degli spari, tutti escono fuori”, continua Amouri.

Chiedo a Zubaidi se pensa di vedere la fine dell’occupazione nel corso della sua vita.

“Sì“, risponde senza esitazione.

L’occupazione sta cedendo. Anno dopo anno stanno fallendo. Combattiamo dalla parte giusta. Stanno cercando di cambiare la terra perché capiscono che su di essa abbiamo i diritti e ne siamo i possessori”.

Zubaidi indica nel campo di Jenin gli edifici dipinti di giallo. Sono stati ricostruiti dalle macerie della battaglia di Jenin del 2002 in cui le forze israeliane si fecero strada attraverso il campo con i bulldozer. Nei combattimenti sono stati uccisi tra 52 e 54 palestinesi e 23 soldati israeliani.

Mentre parliamo ci raggiunge un uomo di nome Mohamed che si descrive come un sopravvissuto alla battaglia.

Mohamed allora era un ragazzo e quel giorno era a casa con sua madre e suo padre. Ricorda che sua madre stava preparando il pane per i combattenti che si trovavano fuori nelle strade. Ricorda un’esplosione e poi una “nebbia” nella stanza. Sua madre era accasciata sul pane, sanguinante. Perdeva e riacquistava conoscenza.

Mohamed racconta: Mi sono addormentato accanto a lei. Abbiamo chiamato l’ambulanza ma gli israeliani ne hanno impedito il passaggio. Al mattino mi sono svegliato e ho trovato mio padre che metteva un velo su mia madre. Mi ha detto ‘Sta dormendo e ora sei insieme a me.'”

Mohammed riferisce di aver chiamato sua figlia Maryam come sua madre.

Il campo di Jenin è libero sia dall’ANP, che non osa entrare, sia dall’occupazione israeliana. Non ci sono insediamenti intorno a Jenin, quindi la legge è gestita dalle fazioni armate palestinesi.

Abu Ayman, pseudonimo, è il comandante della Jihad islamica nel campo.

Afferma: Tutte le fazioni a Jenin sono sullo stesso piano. Nessuno di noi accetta quello che sta facendo Abbas, ma difficilmente accetteremmo un uomo come Sheikh. Non riconosciamo elezioni, né parlamento.

Siamo uniti. Se dobbiamo affrontare qualche problema non parliamo con l’ANP perché vengano ad aiutarci. Abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno, anche soldi.

All’interno del campo ci rispettiamo, anche se di partiti diversi. Le persone non possono vivere così [sotto occupazione] per sempre. La resistenza rimarrà. Qui viviamo nella libertà. È la sensazione che in Palestina tutti vogliono”.

Solo che il campo di Jenin paga a caro prezzo la sua relativa libertà. Ogni mese ci sono sanguinose incursioni. Pochi giorni dopo il nostro incontro Abu Ayman è sfuggito per un pelo a un’imboscata da parte delle forze di sicurezza israeliane in una piccola foresta vicino al campo.

“Ora sono nella lista dei più ricercati di Israele”, dice.

Zubaidi conclude: Credere nella nostra dignità è come credere in Dio. Di cosa ho bisogno nella vita? Voglio che mio figlio si senta al sicuro. Cosa ti aspetti da questo popolo? Stiamo affrontando l’oppressione e vogliono che restiamo calmi nelle nostre case. Cosa ti aspetti?”

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Quattro adolescenti palestinesi uccisi dalle forze israeliane in 24 ore.

Redazione di MEE

8 ottobre 2022 – Middle East Eye

Un recente raid dell’esercito a Jenin ha provocato due morti, il giorno dopo che altri due, tra cui un quattordicenne, sono stati colpiti a morte

Sabato, poche ore dopo che due adolescenti erano stati colpiti a morte in due diversi incidenti nella Cisgiordania occupata, soldati israeliani hanno ucciso due palestinesi a Jenin.

Secondo il ministero della Sanità palestinese sabato mattina, durante una vasta incursione dell’esercito nel campo profughi di Jenin, sono stati uccisi dal fuoco israeliano Mahmoud Assos, 18 anni, e Ahmed Daragma, 16.

Nel raid sarebbero stati schierati veicoli blindati, bulldozer, elicotteri dell’esercito e droni da combattimento.

Combattenti palestinesi hanno risposto al fuoco, mentre anche abitanti disarmati hanno affrontato i soldati israeliani lanciando pietre.

Secondo il ministero della Sanità palestinese Assos è stato colpito al collo e Daragma alla testa.

Almeno altri 11 palestinesi, tre dei quali in condizioni critiche, sono stati feriti.

L’esercito israeliano ha affermato che stava effettuando un’operazione di arresto quando “ordigni esplosivi, bottiglie molotov e colpi di armi da fuoco” sono stati lanciati contro i soldati, che hanno risposto al fuoco e “sono stati identificati dei colpi”.

Un palestinese è stato arrestato, ha aggiunto l’esercito. Fonti palestinesi lo hanno identificato come Saleh Abu Zeneh.

Mezzi di informazione locali hanno riferito che durante il raid a giornalisti e medici palestinesi è stato negato l’accesso. L’agenzia di notizie palestinese Wafa ha affermato che i soldati israeliani hanno sparato verso un gruppo di giornalisti che si stavano mettendo al riparo nella zona.

Venerdì pomeriggio altri due minorenni palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane.

Adel Ibrahim Daoud, 14 anni, è stato colpito alla testa nei pressi della barriera di separazione israeliana a Qalqilya, mentre Mahdi Ladadweh, 17 anni, è stato colpito al petto da soldati a nord-ovest di Ramallah.

Secondo il giornale israeliano Haaretz, riguardo alla morte di Daud l’esercito israeliano ha affermato di aver sparato a qualcuno che avrebbe lanciato bottiglie molotov verso i soldati.

Secondo la Mezzaluna Rossi palestinese venerdì, durante la repressione contro manifestazioni contro l’occupazione in tutta la Cisgiordania, più di 50 palestinesi sono rimasti feriti dalle forze israeliane.

Porterà a un’esplosione”

Nei mesi scorsi i palestinesi della Cisgiordania hanno affrontato una crescente violenza mai vista da anni da parte delle forze israeliane.

Operazioni di raid e arresti quasi quotidiane, che secondo l’esercito israeliano intendono debellare un’insurrezione della resistenza armata palestinese, in particolare nelle città del nord di Nablus e Jenin, sono aumentate in tutti i territori palestinesi occupati.

Quest’anno più di 160 palestinesi, di cui 50 nella Striscia di Gaza e almeno 110 nella Cisgiordania e a Gerusalemme est, sono stati uccisi da fuoco israeliano. Il numero di morti in Cisgiordania è il più alto registrato in un solo anno dal 2015.

Da maggio almeno due soldati israeliani sono stati uccisi da fuoco palestinese.

Il movimento palestinese Hamas ha affermato che il raid di Jenin dimostra la debolezza dell’esercito israeliano contro “la resistenza in Cisgiordania”.

Quindi ricorre alla mobilitazione di mezzi militari ed elicotteri per arrestare una sola persona,” ha affermato in un comunicato Hamas, che governa la Striscia di Gaza.

Venerdì il portavoce del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Nabil Abu Rudeineh ha condannato Israele per quelle che ha definito “esecuzioni sul campo”.

La continuazione di questa politica porterà a far esplodere la situazione e maggiori tensioni e instabilità,” ha avvertito Abu Rudeineh in un comunicato.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Milizia privata e controllo poliziesco a distanza: Israele sta incrementando la repressione contro i palestinesi

Ameer Makhoul

4 ottobre 2022 – Middle East Eye

Le recenti iniziative da parte delle autorità israeliane su entrambi i lati della Linea Verde segnalano una strategia coordinata di divide e impera.

La Linea Verde esiste indipendentemente da quello che ne pensa la politica israeliana. Le politiche per la sicurezza nazionale non finiscono al suo confine, che Israele cancella ogni giorno attraverso le sue pratiche.

Varie recenti iniziative da parte delle autorità israeliane su entrambi i lati della Linea, compresa la creazione di una forza di polizia privata a Beersheba [nel sud di Israele, ndt.], la minaccia che le reti sociali potrebbero essere bloccate durante i futuri conflitti e l’installazione di un sistema di controllo da remoto per disperdere la folla a Hebron, dimostrano come le strutture militari e civili israeliane siano il prodotto di una stessa logica unitaria.

Iniziando da Beersheba, la decisione del Comune di pagare imprese di vigilanza private per collaborare al controllo poliziesco che costano decine di milioni di shekel all’anno [1 shekel = 0,29 €, ndt.], richiama l’annuncio di questa estate da parte dell’ex-primo ministro Naftali Bennett riguardo alla formazione di una “guardia nazionale civile” per lottare contro il “terrorismo”. Bennett è rapidamente scomparso dalla scena politica, ma la sua eredità repressiva continuerà a incombere pesantemente sui palestinesi.

La guardia nazionale, un organismo parallelo alla polizia israeliana, includerà una componente di volontari, sollevando dubbi su quale tipo di misure di supervisione e responsabilizzazione saranno messe in campo. Persino nei confronti delle forze di polizia israeliane ufficiali le sanzioni sono penosamente carenti, raramente gli agenti vengono puniti per la violenza che scatenano contro i civili palestinesi.

Inaugurato questo mese, il nuovo organismo della sicurezza a Beersheba, che a quanto si dice sarà guidato dall’amministrazione comunale in collaborazione con il ministero della Sicurezza interna di Israele, verrà finanziato dai contribuenti. Il costo del programma viene stimato a circa 27 milioni di shekel (circa 8 milioni di euro) all’anno e gli abitanti arabo-palestinesi saranno obbligati a sostenere parte di questi costi attraverso le tasse che pagano.

Razzismo e aggressioni

L’uso della polizia privata solleva molte preoccupazioni. Durante la rivolta del maggio 2021 milizie armate hanno dimostrato un razzismo e un’aggressività estremi, intrisi da una generale ostilità verso la presenza araba e un concetto distorto in base al quale gli arabo-palestinesi sono la causa fondamentale dei crimini e del caos nel Paese.

Alcuni recenti rapporti hanno sostenuto che la nuova forza di polizia di Beersheba includerà membri di Im Tirtzu, una ong che lavora per “rafforzare i valori del sionismo in Israele”. Sulla stessa linea l’Israel Cities Association [Associazione delle Città di Israele], recentemente formata, ha il compito di “rafforzare la resilienza della comunità e la sicurezza personale e pubblica nelle città coinvolte” ed essere pronta in caso di “crisi e minacce alla sicurezza”, un velato riferimento al rafforzamento della difesa ebraica contro presunte aggressioni da parte degli arabi.

All’indomani della rivolta del maggio 2021, l’associazione ha pubblicato un rapporto in cui afferma che i dirigenti palestinesi avevano alimentato il conflitto, attribuendo la maggior parte della responsabilità all’High Follow-Up Committee for Arab Citizens of Israel [Alto Comitato di Monitoraggio per i Cittadini Arabi di Israele], un’organizzazione collettiva dei cittadini palestinesi di Israele.

Sul fronte delle reti sociali, recentemente il commissario della polizia israeliana Kobi Shabtai ha proposto che, in caso di futuri scontri violenti, le reti di social media dovrebbero essere bloccate. Lo Stato e i suoi apparati aggressivi sembrano essere preoccupati di reprimere i palestinesi. Allo stesso tempo le dichiarazioni di Shabtai rappresentano un chiaro riconoscimento del trionfo dei media e delle piattaforme comunicative diffusi tra i palestinesi sul sistema razzista dei mezzi di informazione israeliani.

Evitare la responsabilizzazione

Riguardo al terzo sviluppo, secondo un reportage di Haaretz il sistema per disperdere la folla controllato da remoto a Hebron consentirà di sparare in modo automatico granate stordenti, lacrimogeni e proiettili ricoperti di gomma. “Il sistema, ancora nella sua fase sperimentale, è stato installato in via Shuhada, sopra un posto di controllo in una zona che nel passato è stata il punto focale di manifestazioni e scontri tra i palestinesi e i soldati israeliani,” nota l’articolo.

Per l’esercito israeliano ciò assicura due cose fondamentali: la possibilità di proteggere le vite dei soldati occupanti evitando scontri fisici diretti e di eliminare rapidamente i militanti della resistenza palestinese premendo un bottone. Serve anche come deterrente per i giovani palestinesi, rafforzando la sensazione di essere osservati e monitorati in ogni momento.

In effetti Hebron è diventata un laboratorio in cui vengono testate sui civili palestinesi tecnologie letali prima che siano utilizzate in modo più generalizzato nel resto del Paese e all’estero, attraverso i rapporti commerciali con regimi amici di Israele.

Tutte le iniziative summenzionate sono parte di una strategia coordinata con cui le forze israeliane stanno tentando di evitare il controllo a livello internazionale e la responsabilizzazione a livello personale per le continue violazioni contro i palestinesi.

Mentre cerca di frammentare i palestinesi tra Gaza, la Cisgiordania occupata e i territori del 1948 [cioè lo Stato di Israele, ndt.], Israele sta tentando di colpire tutti questi fronti simultaneamente per impedire la loro ulteriore integrazione. Ciò dimostra il desiderio da parte di Israele di un’escalation aggressiva. Ma al popolo palestinese, che, nonostante la sua vacillante dirigenza politica, continua a sfidare l’oppressione israeliana e a resisterle, resta un barlume di speranza.

Le opinioni espresso in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Ameer Makhoul è un importante attivista e scrittore palestinese della comunità palestinese del ’48 [cioè con cittadinanza israeliana, ndt.]. È l’ex-direttore di Ittijah, una ong palestinese in Israele. È stato incarcerato da Israele per 10 anni.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




ONG internazionali di difesa dei diritti umani condannano fermamente il vertice UE-Israele

Elis Gjevori

3 ottobre 2022 – Middle East Eye

Mentre l’Unione Europea affronta una crisi energetica legata alla guerra in Ucraina, Israele intende approfittare del vertice per consolidare i propri interessi.

Organizzazioni internazionali di difesa dei diritti umani condannano il vertice UE-Israele previsto oggi, affermando che non farebbe altro che legittimare l’“apartheid” che colpisce attualmente i palestinesi.

Secondo un comunicato di Amnesty International “Israele commette un crimine di apartheid nei confronti dei palestinesi” e “qualunque forma di cooperazione deve focalizzarsi sullo smantellamento del brutale sistema di oppressione e di dominazione attuato da Israele.”

L’UE cerca di rilanciare i suoi rapporti con Israele in occasione del vertice previsto questo lunedì, il primo tra le due parti dal 2012, soprattutto a causa della necessità di diversificare le proprie risorse energetiche in seguito alla guerra in Ukraina.

Questo vertice, denominato “Consiglio di associazione UE-Israele”, è stato annullato da Israele nel 2013 dopo la pubblicazione da parte dell’UE di una direttiva che ha avuto l’effetto di una bomba, in base alla quale tutti i futuri accordi con Israele escluderebbero le colonie israeliane nei territori palestinesi occupati.

Gli organismi israeliani che vogliono ottenere un finanziamento dall’UE dovevano quindi dimostrare attivamente l’assenza di qualunque legame diretto o indiretto con la Cisgiordania, Gerusalemme est o le alture del Golan occupate.

Pur se la politica ufficiale dell’UE a questo riguardo non è cambiata, Israele ha deciso di confermare il vertice. Tuttavia alcune organizzazioni in difesa dei diritti umani temono che Bruxelles finisca per cedere.

Le autorità israeliane impongono ai palestinesi requisizioni di terre, omicidi illegali, trasferimenti forzati e severe restrizioni alla circolazione, negando la loro umanità e l’eguaglianza di cittadinanza e di status”, afferma Amnesty International a proposito del vertice.

L’UE non può pretendere di condividere degli impegni in materia di diritti umani con uno Stato che pratica l’apartheid e che nei mesi scorsi ha chiuso gli uffici di note organizzazioni della società civile palestinese”, sottolinea Amnesty.

All’inizio di quest’anno le forze israeliane hanno perquisito e chiuso gli uffici di sette ONG palestinesi: Al-Haq, Addameer, Centro Bisan per la ricerca e lo sviluppo, Difesa dei Bambini Internazionale-Palestina, Unione dei comitati di donne palestinesi, Unione dei comitati del lavoro agricolo e Unione dei comitati dei lavoratori della sanità.

Crimini contro l’umanità”

In un comunicato anche Human Rights Watch (HRW) ha condannato il vertice.

I responsabili europei devono sapere che stringeranno la mano a rappresentanti di un governo che commette crimini contro l’umanità e che ha messo al bando importanti associazioni della società civile che si oppongono a questi abusi”, afferma la ONG.

Grace O’Sullivan, eurodeputata del partito dei verdi irlandesi, intervistata da Middle East Eye, sottolinea che è anche improbabile che questo vertice offra ai dirigenti UE l’occasione di esternare le loro preoccupazioni ai dirigenti israeliani.

Mi è stato detto che il Primo Ministro Lapid non vi parteciperà nemmeno di persona”, aggiunge, ritenendo “deludente il fatto che l’UE abbia organizzato questo incontro nella settimana di Yom Kippur (importante ricorrenza religiosa ebraica, ndt.), poiché questo limiterà il (suo) impegno nei confronti dei dirigenti israeliani.”

L’eurodeputata precisa che seguirà da vicino ciò che Josep Borrell, alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, dichiarerà dopo l’incontro con i suoi interlocutori israeliani, in particolare per sapere se verranno menzionati i diritti umani e le colonie occupate.

Il trattamento dei palestinesi e la messa in atto di misure reali a favore di uno Stato palestinese dovranno essere al centro di questi incontri”, ritiene.

Mi piacerebbe anche vedere dei progressi per quanto riguarda l’uccisione della giornalista americana-palestinese Shireen Abu Akleh e l’arresto di oltre 25 giornalisti palestinesi da parte di Israele solo in quest’anno. La libertà di stampa è gravemente minacciata in Israele e nei territori occupati.”

Un ordine del giorno completamente diverso

Tuttavia l’attuale atmosfera a Bruxelles e a Tel Aviv lascia prevedere un ordine del giorno completamente diverso.

La visita effettuata il mese scorso in Israele dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, allo scopo di rafforzare la cooperazione energetica, non è passata inosservata in Israele, alla luce delle opportunità che potrebbe offrire al Paese.

Traduzione [del discorso di Von der Leyen]: “Sono molto felice di essere in Israele. Lavoriamo fianco a fianco per rafforzare la collaborazione tra UE ed Israele. La mia visita sarà incentrata sulla sicurezza energetica e alimentare, l’intensificazione della cooperazione nell’ambito della ricerca, della sanità e della protezione ambientale. Discuteremo anche della situazione regionale e degli sforzi verso la costruzione di un Medio Oriente sicuro.”

Contemporaneamente alla visita della dirigente, Oded Eran, ex ambasciatore di Israele presso l’Unione Europea, ha dichiarato che la delicata situazione energetica in Europa offre a Israele l’occasione di approfondire i suoi rapporti con Bruxelles.

In agosto Israele ha registrato un aumento del 50% delle tariffe derivanti dalle esportazioni di gas nel 2022, sostenuto da prezzi mondiali record, mentre l’Europa affronta una imminente scarsità energetica in seguito all’invasione russa dell’Ucraina.

Anche se limitata, la capacità di Israele di rispondere alla domanda europea non è trascurabile. Così, mentre nel 2021 l’UE ha importato circa 155 miliardi di m3 dalla Russia, Israele potrebbe essere in grado di fornirle circa 10 miliardi di metri cubi all’anno.

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




Sarebbe un disastro se Liz Truss spostasse l’ambasciata del Regno Unito a Gerusalemme

Avi Shlaim

28 settembre 2022 – Middle East Eye

Minacciando un’improvvisa svolta della pluriennale politica britannica, lei ha promesso di prendere in considerazione lo spostamento dell’ambasciata in Israele a Gerusalemme.

Durante la sua campagna per diventare leader del partito conservatore britannico, Liz Truss ha detto ai Conservatori Amici di Israele (CFI) che, se eletta, avrebbe preso in considerazione il trasferimento dell’ambasciata britannica da Tel Aviv a Gerusalemme. Successivamente, durante una sessione all’ONU, il primo ministro Truss ha ripetuto al suo “caro amico” Yair Lapid, il premier israeliano ad interim, la promessa di revisione. 

Lo status di Gerusalemme è il tema più spinoso del conflitto israelo-palestinese, uno dei conflitti internazionali più aspri, prolungati e irrisolvibili dell’epoca contemporanea. Gerusalemme Est, con il resto della Cisgiordania e la Striscia di Gaza, fu conquistata da Israele nella guerra [dei Sei Giorni] del giugno 1967 e da allora è sempre stata vista dalla comunità internazionale come territorio occupato. 

Israele reclama l’intera città quale sua eterna e indivisa capitale, mentre i palestinesi rivendicano la parte orientale come capitale del loro futuro Stato.

I politici israeliani naturalmente sono stati felicissimi che Truss, con una delle sue prime decisioni di politica estera da primo ministro, abbia ventilato l’idea di spostare l’ambasciata a Gerusalemme, in tal modo riconoscendo in tal modo la sovranità israeliana sulla città.

I leader palestinesi hanno avvertito che spostare l’ambasciata minerebbe la soluzione dei due Stati e compromesso le loro relazioni con la Gran Bretagna. Husam Zomlot, l’ambasciatore palestinese nel Regno Unito, ha detto che è stato “estremamente increscioso” che Truss abbia usato la sua prima apparizione all’ONU come primo ministro per “impegnarsi a violare potenzialmente il diritto internazionale”. 

Violare le risoluzioni dell’ONU

È difficile pensare a un problema di politica estera che abbia meno bisogno di una revisione che l’ubicazione dell’ambasciata britannica in Israele. Spostare la sede a Gerusalemme violerebbe una serie di risoluzioni dell’ONU ed equivarrebbe a un’improvvisa svolta delle politiche britanniche dal 1967. Esse, parte di un ampio consenso internazionale, hanno statuito che tutte le ambasciate dovevano restare a Tel Aviv fino a quando si fosse raggiunto un accordo generale di pace tra Israele e i palestinesi, con Gerusalemme quale capitale condivisa tra i due Stati. 

Quando era ministra degli Affari Esteri, Truss non ha fatto tentativi di spostare l’ambasciata. Si può solo supporre che abbia promosso la revisione per motivi di opportunismo politico: per ingraziarsi Israele e i suoi sostenitori in Gran Bretagna e, più precisamente, il CFI, i cui membri includono la maggior parte del governo e circa l’80% dei parlamentari conservatori senza vincolo di mandato. 

Recentemente una delle testate israeliane ha descritto Truss come potenzialmente “il primo ministro britannico più filoisraeliano di sempre”. Questo senza dubbio voleva essere un complimento, ma ignora le responsabilità storiche dell’Inghilterra di aver generato il problema sin dall’inizio.

Il conflitto israelo-palestinese fu creato in Gran Bretagna. Tutto cominciò nel 1917 con la Dichiarazione Balfour per sostenere un focolare nazionale per il popolo ebraico in Palestina, sebbene all’epoca gli ebrei fossero solo il 10% della popolazione del Paese. L’impegno che non sarebbe stato a spese delle “comunità non ebraiche” fu completamente ignorato dai successivi governi britannici. La dichiarazione quindi permise una sistematica occupazione coloniale sionista della Palestina, un processo che continua ancora oggi.

Nel giugno 1967, Israele completò l’occupazione dell’intera Palestina storica. Due settimane dopo la fine degli scontri, Israele annetté unilateralmente Gerusalemme Est, accorpandola a Gerusalemme Ovest. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU denunciò immediatamente quelle misure come illegali e non valide.

Nel 1980, quando la Knesset annetté formalmente Gerusalemme Est, il Consiglio di Sicurezza censurò Israele “nel modo più assoluto”. Il Regno Unito votò tutte quelle risoluzioni.

Sdegno e condanna

Il presidente USA Donald Trump è stato il primo leader al mondo a rompere l’accordo di lunga data della comunità internazionale di non insediare le ambasciate a Gerusalemme fino al raggiungimento di una soluzione a due Stati del conflitto israelo-palestinese. Nel 2018 la sua decisione di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme suscitò lo sdegno nel mondo arabo e provocò diffusa condanna internazionale. Portò anche a scoppi di violenza in cui decine di palestinesi furono uccisi dalle forze israeliane. Theresa May, premier britannica dell’epoca, criticò la decisione.

Il tanto magnificato “accordo del secolo” di Trump fu un rozzo tentativo di ridefinire la soluzione dei due Stati come un Grande Israele che includesse un terzo della Cisgiordania e tutta Gerusalemme, e un mini-Stato palestinese frammentato e circondato da colonie e basi militari israeliane. Fu immediatamente respinta con disprezzo dall’Autorità Palestinese (ANP).

Nonostante tutti gli sforzi di Trump solo tre Stati hanno seguito il suo esempio di spostare le loro ambasciate a Gerusalemme: Kosovo, Guatemala e Honduras. Tutti gli altri 82 Paesi con missioni diplomatiche in Israele hanno optato per tenere le loro ambasciate a Tel Aviv. Alcuni, inclusa la Gran Bretagna, hanno anche un consolato generale a Gerusalemme Est che funge da canale di comunicazione con l’ANP a Ramallah. 

Nella sua singolare postura filoisraeliana e apparente indifferenza riguardo ai diritti palestinesi, Truss appartiene alla maggioranza del suo partito. Tutti e tre i primi ministri per i quali è stata ministra sono stati convinti sostenitori di Israele. David Cameron si è descritto come un “amico appassionato” di Israele, sostenendo che nulla avrebbe potuto rompere tale amicizia. 

Quando era premier,Teresa May fu probabilmente la leader più filoisraeliana in Europa. In un discorso al CFI nel 2016 descrisse Israele come un “Paese straordinario… una democrazia fiorente, un faro di tolleranza, un motore di imprenditorialità e un esempio per il resto del mondo”. Respinse accanitamente una petizione pubblica, di cui io fui uno dei firmatari, per porgere scuse ufficiali per la Dichiarazione di Balfour. 

Rapporti tesi

Boris Johnson fece fare un ulteriore passo in avanti alla politica conservatrice di ‘Israele First’, collocando Israele al di sopra del diritto internazionale. Resistette ai tentativi di far sì che dovesse render conto delle sue azioni illegali e dei suoi crimini di guerra. Nel 2021 annunciò che si opponeva alle indagini del Tribunale Penale Internazionale sui presunti crimini di guerra nei territori occupati, osservando in una lettera al CFI che, anche se il suo governo rispettava l’indipendenza del Tribunale, si opponeva a questa particolare inchiesta.

Questa indagine dà l’impressione di essere un attacco fazioso e pregiudiziale contro un amico e alleato del Regno Unito,” scrisse. La logica perversa di questa dichiarazione sta nel fatto che essere un amico e alleato del Regno Unito colloca Israele al di sopra del diritto e del controllo internazionali.

Come Johnson, Truss è un’appassionata sostenitrice di una Gran Bretagna dopo-Brexit globale. Però violare il diritto internazionale non farà nulla per promuovere questa immagine, né aiuterà a ottenere quell’accordo commerciale con gli USA sbandierato come uno dei più grandi vantaggi di una politica estera indipendente.

Quando era ministra degli Esteri, Truss dichiarando a gran voce l’intenzione di annullare unilateralmente l’accordo con l’Unione Europea sull’Irlanda del Nord, aveva già danneggiato la sua relazione con il presidente USA Joe Biden, che pensava avrebbe posto in pericolo l’accordo del Venerdì Santo [firmato nel 1998, pose fine alla guerra civile nell’Irlanda del Nord, N.d.T.].

Seguire l’esempio di Trump e spostare l’ambasciata britannica a Gerusalemme non sarebbe ben accolto alla Casa Bianca. Sebbene non abbia annullato la decisione di spostare l’ambasciata americana, Biden ha preso una serie di misure per limitare i danni fatti dal suo predecessore ed è ritornato a collaborare con gli alleati attraverso l’ONU.

Trasferire l’ambasciata britannica da Tel Aviv a Gerusalemme sarebbe moralmente indifendibile, legalmente discutibile e politicamente dannoso. Sarebbe uno dei più violenti attacchi britannici a un futuro Stato palestinese dalla Dichiarazione di Balfour. Incoraggerebbe inoltre Israele a continuare ad agire impunemente, rafforzando l’arroganza del suo potere.

Israele e i suoi sostenitori in questo Paese [la Gran Bretagna, N.d.T.] sicuramente accoglierebbero positivamente questa decisione, nonostante i danni alla reputazione britannica nel mondo.

Piuttosto che riconsiderare la sede della sua ambasciata, il governo britannico dovrebbe rivalutare la sua relazione con Israele alla luce della realtà di oggi. Negli ultimi due anni i rapporti di tre importanti organizzazioni per i diritti umani hanno concluso che Israele è diventato uno Stato di apartheid. Tali relazioni documentano attentamente la continua pulizia etnica attuata da Israele, la confisca delle terre, le demolizioni delle abitazioni, la persecuzione dei difensori dei diritti umani, l’incarcerazione di minori e la tolleranza nei confronti della violenza dei coloni. 

La triste verità è che dal 1967 Israele è diventato dipendente dall’occupazione. Un vero amico non è indulgente con chi ha una dipendenza, ma cerca di aiutarlo a disintossicarsi. 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Middle East Eye.

Avi Shlaim è professore emerito di Relazioni Internazionali presso l’Università di Oxford e autore di The Iron Wall: Israel and the Arab World (2014) [Il muro di ferro. Israele e il mondo arabo, edizioni Il Ponte, 2003] e di Israel and Palestine: Reappraisals, Revisions, Refutations (2009) [Israele e Palestina: riesami, revisioni, refutazioni] (2009).

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)