Israele: cinque morti nella sparatoria alla periferia di Tel Aviv

Lubna Masarwa, Huthifa Fayyad

29 marzo 2022 – Middle East Eye

Dopo l’attacco di un palestinese armato proveniente dalla Cisgiordania occupata Israele alza il livello di allerta al livello più alto da maggio dello scorso anno

Martedì un uomo armato ha ucciso cinque persone nel corso di una sparatoria nella periferia della città israeliana di Tel Aviv, pochi giorni dopo che due attacchi simili hanno provocato la morte di sei persone e diversi feriti.

L’assalitore, identificato come Diya Hamarshah, 27 anni, è stato successivamente colpito a morte dalla polizia.

I media locali hanno riferito che Hamarshah era un ex prigioniero palestinese della città occupata di Yabad, in Cisgiordania, vicino a Jenin.

La sparatoria sarebbe avvenuta in due posti diversi a Bnei Brak, un’area ebraica ultra-ortodossa.

Haaretz ha riferito che l’aggressore ha colpito un giovane in un minimarket con un fucile d’assalto, prima di sparare a un’altra persona in bicicletta e poi a un’auto di passaggio.

Un’abitante di Bnei Brak, che vive vicino al luogo dell’attacco e ha preferito non dire il suo nome, ha detto a Middle East Eye che la sparatoria l’ha lasciata “spaventata e triste”.

“Mi sento in pericolo. Non posso credere che sia successo così vicino a noi. Sono sempre scioccata nel vedere incidenti come questo, ma quando è così vicino ha un effetto diverso”, afferma.

“Non credo ci sia un futuro in Israele. Le lancette dell’orologio stanno tornando indietro. Non ho nessuna speranza”.

Alle 22:00 ora locale il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha tenuto una riunione con il ministro della Difesa Benny Gantz e altri funzionari della difesa per valutare la situazione della sicurezza.

La polizia ha annunciato di aver alzato il livello di allerta al livello più alto da maggio dello scorso anno.

Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas si è affrettato a condannare l’attacco, affermando che “l’uccisione di civili palestinesi e israeliani porterà solo a un deterioramento della situazione in un momento in cui stiamo cercando di raggiungere una stabilizzazione alla vigilia del mese di Ramadan.”

Ha condannato l’attacco anche Ayman Odeh, capo della Lista Comune, alleanza politica palestinese in Israele.

“Oggi cinque civili sono stati uccisi – ognuno un mondo a sé stante. Si uniscono ai 51 palestinesi uccisi dall’inizio dell’anno – ognuno un mondo a sé“, ha detto Odeh.

Condanno fermamente qualsiasi danno nei confronti di civili, sia palestinesi che israeliani, insieme a qualsiasi offesa a persone innocenti”, ha aggiunto.

È tempo di porre fine alla fonte dell’odio che consiste nella maledetta occupazione e di stabilire una pace che porti sicurezza e vita normale a entrambi i popoli”

“Israele deve incolpare sé stesso

L’assalto di martedì arriva pochi giorni dopo due attacchi simili da parte di cittadini palestinesi di Israele a Beersheba e Hadera, che hanno provocato la morte di un totale di sei persone, inclusi due agenti di polizia. Tutti e tre gli assalitori sono stati uccisi.

L’assalto arriva anche un giorno prima del 46° anniversario del primo Land Day. I palestinesi celebrano la Giornata della Terra ogni 30 marzo dal 1976, quando i cittadini palestinesi di Israele protestarono contro la politica israeliana di furto della terra e discriminazione.

L’analista israeliano Meron Rapoport ha detto a MEE che gli assalti probabilmente porranno il governo israeliano in una situazione molto difficile.

“Israele è molto sconcertato di fronte a questa situazione perché non ha nessuno contro cui combattere. Non è possibile occupare città palestinesi come nel 2002 perché sono già occupate, né può “occupare” Umm al-Fahm [nel Distretto di Haifa, con 45.000 abitanti quasi tutti palestinesi, ndtr.] perché sono cittadini israeliani”, afferma Rapoport.

“Israele potrebbe essere soddisfatto che l’Occidente e gli Stati arabi abbiano cessato di interessarsi alla causa palestinese, e il vertice del Negev [incontro sul Medio Oriente organizzato da Israele il 27 marzo 2022 a Sde Boker, nel Negev, con Egitto, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Marocco, con lobiettivo di dare vita a unarchitettura di sicurezza regionale, ndtr.] avrebbe dovuto esserne una prova. Ma – come ha detto il professor Menachem Klein [docente della facoltà di Scienze Politiche dell’Università israeliana di Bar-Ilan, ndtr.] nel corso di una conversazione personale – la questione palestinese è stata trasformata in una mera questione interna israeliana, ed è esattamente ciò che sta accadendo ora. Israele può incolpare solo se stesso”.

La violenza sarà tuttavia sfruttata dall’estrema destra israeliana, avverte Rapoport.

Poco dopo l’attacco decine di israeliani si sono radunati sulla scena dove si potevano sentire cantare slogan anti-palestinesi, tra cui “morte agli arabi”. Alcuni chiedevano le dimissioni di Bennett.

Negli ultimi anni è cresciuta l’influenza dell’estrema destra all’interno delle forze di polizia e in generale nella politica israeliane.

Quelle forze, spiega Rapoport, ora useranno questi eventi per smantellare il governo, che è una fragile alleanza di compagini di destra, sinistra e centro, oltre che di rappresentanze palestinesi.

“L’estrema destra ha paura che Israele diventi una vera democrazia, quindi vuole rimuovere i palestinesi dalla vita politica”.

Tensioni nel Ramadan

A Yabad, citata come città natale di Hamarshah, dopo l’attacco la folla è scesa in piazza per mostrare solidarietà alla famiglia in vista delle scontate incursioni dell’esercito.

Raed Bakr, un abitante di Yabad, ha detto a MEE che dopo l’attacco è stato chiuso il posto di blocco di Dotan, situato a sud di Yabad, sulla strada che collega Jenin a Tulkarm.

“I giovani, in previsione delle incursioni israeliane, hanno bloccato l’ingresso di Yabad usando massi e bidoni della spazzatura”, dice Bakr.

“Al momento tutto è calmo ma la gente si aspetta da un momento all’altro incursioni dell’esercito”.

Aouni al-Mashni, un’importante figura politica palestinese di Betlemme, ha detto a MEE che i recenti eventi sono una prevedibile reazione alle continue aggressioni israeliane contro i palestinesi.

“La violenza usata da Israele, uno Stato razzista, contro i palestinesi in Cisgiordania e all’interno di Israele, avrà come ovvia contropartita una risposta violenta da parte dei palestinesi”, ha detto al-Mashni a MEE in un’intervista telefonica.

“L’espulsione dei residenti del Naqab [estesa zona desertica meridionale chiamata in ebraico Negev, ndtr.] la ebraificazione di Gerusalemme, gli attacchi a Sheikh Jarrah, le provocazioni alla moschea di al-Aqsa, le uccisioni quotidiane in Cisgiordania – tutto questo porta naturalmente alla contro-violenza. Questa violenza è esclusiva responsabilità di Israele”, ha aggiunto.

“E’ presto per arguire che stiamo entrando in una nuova fase, ma ci troviamo certamente in una fase caratterizzata da violenza e deterioramento”.

La tensione è aumentata nelle ultime settimane in vista del primo anniversario dell’offensiva di 11 giorni di Israele su Gaza [dal 10 al 20 maggio 2021, ndtr.].

Le violenze sono scoppiate lo scorso Ramadan quando Israele ha cercato di espellere delle famiglie palestinesi dal quartiere occupato di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est per far posto ai coloni israeliani.

Ciò ha provocato proteste diffuse in tutta la Cisgiordania occupata e nella comunità palestinese all’interno di Israele, scatenando nel maggio 2021 l’operazione militare su vasta scala di Israele sulla Striscia di Gaza assediata.

Secondo Axios [organo di informazione online israeliano in lingua inglese, ndtr.], i funzionari statunitensi si sono adoperati per mantenere la calma a Gerusalemme, in vista dell’anniversario del conflitto in cui più di 260 palestinesi sono stati uccisi a Gaza, 29 nella Cisgiordania occupata e 13 persone in Israele.

“I leader arabi sono avulsi dalla realtà

All’inizio di questa settimana, i ministri degli Esteri di Marocco, Egitto, Bahrain, Emirati Arabi Uniti (EAU) e Stati Uniti si sono incontrati in Israele per un vertice di due giorni a Naqab (Negev) per discutere di questioni regionali.

Nel frattempo, il re di Giordania Abdullah ha incontrato lunedì a Ramallah il capo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) Mahmoud Abbas.

La serie di incontri ad alto livello tra leader regionali nelle ultime settimane è stata vista come un tentativo di allentare le tensioni in vista del mese sacro del Ramadan, che dovrebbe iniziare la prossima settimana.

“I leader palestinesi e arabi sono chiaramente avulsi dalla realtà. Sono avulsi dalla lotta del popolo palestinese e dal fatto che le relazioni israelo-palestinesi si sono deteriorate”, ha affermato al-Mashni [figura politica palestinese, attivista del partito Fatah, ndtr.], riferendosi agli incontri regionali.

Nonostante gli sforzi per ridurre le tensioni i coloni israeliani hanno continuato a prendere d’assalto la moschea di al-Aqsa. Sono previste altre marce dei coloni ad al-Aqsa il prossimo Ramadan, che si sovrapporrà alle festività ebraiche.

Israele ha occupato Gerusalemme Est, dove si trova la Moschea di al-Aqsa, durante la guerra del 1967. Ha annesso l’intera città nel 1980 con una mossa mai riconosciuta dalla comunità internazionale.

La Giordania è stata la custode dei luoghi santi musulmani di Gerusalemme dagli anni ’20. La moschea, che si trova su un altopiano alberato nella Città Vecchia, è venerata anche dagli ebrei che la chiamano Monte del Tempio.

Gli attivisti israeliani di estrema destra hanno ripetutamente spinto per una maggiore presenza ebraica nel sito e alcuni hanno sostenuto la distruzione della moschea di al-Aqsa per far posto a un Terzo Tempio.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




I cittadini palestinesi di Israele temono rappresaglie in seguito agli attacchi omicidi

Lubna Masarwa , Huthifa Fayyad

martedì 29 marzo 2022 – Middle East Eye

In seguito agli attacchi di Hadera e nel Negev il governo israeliano e i gruppi armati dell’estrema destra hanno annunciato varie misure che provocano inquietudini tra la minoranza palestinese del Paese.

Poco dopo l’attacco omicida di domenica ad Hadera le forze israeliane si sono schierate nella vicina città di Umma al-Fahm, mentre una milizia di civili israeliani armati ha cominciato a mobilitarsi.

Alla ricerca di indizi sulla sparatoria, nel corso della quale due poliziotti sono morti e altri dieci sono rimasti feriti, la polizia e le forze speciali hanno effettuato irruzioni nella città a maggioranza palestinese del centro di Israele. Sono stati eretti dei blocchi stradali ed alcuni abitanti sono stati arrestati.

La loro presenza e gli arresti, una quindicina, sono continuati lunedì e martedì. I due aggressori, cittadini palestinesi di Israele originari di Umm al-Fahm, sono stati uccisi da agenti in borghese nel corso di uno scontro a fuoco dopo l’attacco.

Come in tutto Israele, a Umma al-Fahm i cittadini palestinesi, chiamati anche palestinesi del 1948, hanno subito condannato l’attacco nel contesto di accresciuti timori di rappresaglie israeliane contro di loro, sia da parte dello Stato che di milizie ebraiche armate.

“Questi attacchi non rappresentano gli abitanti della città, né la nostra società, né i nostri valori che invitano a una vita dignitosa, alla tolleranza, quelli di una società che ricerca la sicurezza e la pace,” ha dichiarato il Comune di Umm al-Fahm in un breve comunicato pubblicato domenica. Ma secondo Taha Ighbariya, un giornalista che vive in città, oggi a Umm al-Fahm regna una certa tensione.

Il rapido arrivo delle unità di poliziotti e l’incremento degli incitamenti all’odio nei mezzi di comunicazione israeliani provocano i timori e le preoccupazioni dei palestinesi.

“Israele, tanto a sinistra come a destra del quadro politico, utilizza sempre avvenimenti come questi per attizzare l’odio verso i palestinesi del 1948,” afferma il giornalista.

“Ieri sera abbiamo visto il deputato (della Knesset) Itamar Ben-Gvir gridare ‘Morte agli arabi!’ (durante manifestazioni che hanno fatto seguito alla sparatoria).

“Ha persino osato urlare in faccia al ministro della Sicurezza Pubblica (Omer Barlev [del partito laburista]) e incitare all’odio contro di lui e contro gli arabi. Nessuno lo può fermare.”

Arresti e rinforzi

Dopo la sparatoria di domenica il governo e gruppi armati di estrema destra hanno annunciato varie misure, il che provoca inquietudine da parte dei cittadini palestinesi di Israele, che rappresentano circa un quinto della popolazione.

Lunedì la polizia ha affermato di aver richiamato sei unità di agenti della riserva e che è possibile che altri vengano riconvocati per il servizio attivo.

Questo annuncio è stato fatto qualche ora dopo che l’esercito israeliano ha annunciato l’invio di rinforzi lungo le frontiere del 1967 che separano Israele dalla Cisgiordania occupata.

Il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha dichiarato che gli arresti amministrativi per gli “agenti terroristi” dovrebbero essere utilizzati “nei casi appropriati quando esiste una base giudiziaria adeguata,” senza fornire ulteriori chiarimenti.

Le detenzioni amministrative sono una controversa prassi che Israele utilizza quasi esclusivamente contro i palestinesi dei territori occupati. Essa consente la detenzione a tempo indefinito di prigionieri senza processo né imputazione.

Le autorità hanno già arrestato cinque abitanti di Umm al Fahm, tra cui il fratello di uno degli aggressori. Lunedì il tribunale penale di Haifa ha prolungato la loro detenzione di dieci giorni dopo che il pubblico ministero ha chiesto di tenerli in arresto per 15 giorni in attesa di un’inchiesta.

Milizie armate

Dopo la sparatoria di domenica in Israele e nei territori occupati sembra essersi intensificato l’incitamento alla violenza da parte dell’estrema destra e dei coloni contro i cittadini palestinesi.

Domenica nella Cisgiordania occupata i palestinesi di Nablus e Ramallah sono stati aggrediti da coloni che hanno incendiato delle auto e danneggiato proprietà.

Nella regione meridionale del Negev (chiamato Naqab dagli arabi), dove martedì scorso un altro palestinese cittadino di Israele ha ucciso quattro persone durante un attacco all’arma bianca e con un’autobomba, una milizia armata ha annunciato di aver organizzato delle squadre in tutta l’area per difenderla da ogni nuovo attacco.

“Dopo l’attacco terroristico abbiamo iniziato a mettere in stato d’allerta delle squadre armate (di volontari). Al momento sono schierate a Omer, Meitar, Lehavim, Dimona, Carmit et Beersheba” ha dichiarato il gruppo in messaggi pubblicati sulla sua pagina Facebook. “Anche una squadra antiterrorismo sarà presente nella zona per affrontare ogni tipo di situazione,” precisa l’organizzazione.

L’“Unità Barel Rangers” è una milizia fondata la settimana scorsa con l’obiettivo di “salvare il Negev dalla problematica assenza di sicurezza personale” in un contesto di maggiori tensioni.

Ancor prima, questo stesso mese era stata annunciata la formazione di un gruppo simile nella città di Lod [Lydda in arabo, ndtr.], nel centro del Paese, epicentro della maggior parte delle violenze che hanno scosso le città israeliane lo scorso maggio.

Domenica mattina la rete pubblica israeliana Kan TV ha informato che un altro gruppo di coloni armati della Cisgiordania prevedeva di fare un’incursione a Sheikh Jarrah durante il mese di Ramadan e di aumentare la sua presenza nel quartiere occupato di Gerusalemme est.

Secondo Taha Ighbariya la formazione di milizie armate, la repressione governativa e gli attacchi dei coloni in Cisgiordania non faranno che accentuare la pressione sui palestinesi e intensificare la risposta. “Alla luce di questa mentalità radicale di Israele, che considera i suoi cittadini palestinesi come individui pericolosi, il sistema continuerà a metterci con le spalle al muro con maggiori restrizioni e arresti. Quando le persone sono alle strette ovviamente vengono cercate dai gruppi violenti,” avverte.

Motivazioni legate allo Stato Islamico?

I due cugini che hanno provocato la sparatoria di Hadera, Ibrahim Ighbariya e Ayman Ighbariya, sono entrambi sospettati di essere stati in rapporto con l’organizzazione Stato Islamico (ISIS).

Ibrahim venne arrestato nel 2016 per aver tentato di unirsi al gruppo in Siria attraverso la Turchia, mentre nel 2017 Ayman fu incarcerato per tre settimane senza imputazioni perché sospettato di aver violato le leggi sulle armi.

Anche Mohammed Abu al-Kiyan, l’aggressore all’origine dell’attacco all’arma bianca della settimana scorsa, avrebbe avuto rapporti con l’ISIS.

Gli apparenti legami con lo Stato Islamico e la vicinanza degli attacchi sollevano domande riguardo alla possibilità di una nuova minaccia per Israele.

Ameer Makhoul, uno scrittore di Haifa che ha passato dieci anni in un carcere israeliano per il suo attivismo, mette invece in discussione gli eventuali rapporti tra questi attacchi e motivazioni legate allo Stato Islamico.

Avendo passato del tempo in prigione con detenuti incarcerati per presunti rapporti con l’ISIS, che non sono più di 87, Ameer Makhoul afferma che queste persone non credono nella causa della liberazione della Palestina e non gli importa di attaccare Israele.

La loro priorità sarebbe uccidere musulmani considerati degli infedeli per creare uno Stato fondato su opinioni religiose estremiste.

Così, aggiunge, la differenza tra la loro ideologia e quella di altri prigionieri di gruppi come Fatah, Hamas e Jihad Islamica era così netta che i comitati dei prigionieri palestinesi si opponevano nettamente alla loro integrazione all’interno delle loro sezioni.

Invece le autorità penitenziarie israeliane facevano pressioni perché venissero integrati con gli altri prigionieri palestinesi e riservavano loro un trattamento di favore, sostiene Ameer Makhoul.

L’ex-detenuto a volte aveva l’impressione che i ragazzi colpevoli di aver lanciato pietre contro i soldati in Cisgiordania fossero puniti più severamente dei detenuti in rapporto con l’ISIS. “I prigionieri legati all’ISIS erano trattati con indulgenza dal potere costituito […] compresi gli apparati di sicurezza, il pubblico ministero e il sistema giudiziario (israeliano),” afferma.

L’ideologia dell’ISIS è rifiutata dalla società palestinese nel suo complesso, sostiene Ameer Makhoul, che precisa che ciò non deve sviare l’attenzione dalla situazione che i palestinesi sono costretti ad affrontare dentro e fuori Israele in seguito agli attacchi e all’avvicinarsi del mese sacro del Ramadan, che coinciderà con le feste ebraiche, il che potrebbe provocare tensioni a Gerusalemme e altrove.

Nella misura in cui l’incitamento all’odio e la repressione sembrano intensificarsi, i palestinesi devono essere pronti a dare “una risposta popolare forte”, prosegue Ameer Makhoul.

“Non dobbiamo dimenticare che in Israele sono i membri della società palestinese ad essere vittime dell’incitamento alla violenza, di politiche omicide e di una pulizia etnica.”

(traduzione dal francese di Amedeo Rossi)




Il relatore speciale delle Nazioni Unite accusa Israele di apartheid nel suo rapporto al Consiglio per i Diritti Umani

Zainab Iqbal, New York

23 marzo 2022. – Middle East Eye

“Israele ha imposto alla Palestina una condizione di apartheid in un mondo post-apartheid”, afferma Michael Lynk, relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi occupati.

Il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi occupati ha presentato un rapporto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), concludendo che la situazione in Israele e nei territori occupati si configura come apartheid.

In un rapporto di 19 pagine presentato martedì all’organismo, Michael Lynk afferma che ebrei israeliani e palestinesi vivono “sotto un unico regime che differenzia la sua distribuzione di diritti e benefici sulla base di un’identità nazionale ed etnica e che garantisce la supremazia di un gruppo a detrimento dell’altro”.

“Il sistema politico di governo radicato nel territorio palestinese occupato che conferisce a un gruppo razziale-nazionale-etnico sostanziali diritti, benefici e privilegi mentre sottopone intenzionalmente un altro gruppo a vivere dietro muri, posti di blocco e sotto un governo militare permanente… soddisfa gli standard probatori prevalenti per l’esistenza dell’apartheid”, ha aggiunto.

Lynk ha affermato che, sebbene la situazione in Israele e nei territori palestinesi occupati sia diversa da quella in Sud Africa, si tratta comunque di apartheid.

L’apartheid è un termine legale definito dal diritto internazionale che si riferisce all’oppressione sistematica da parte di un gruppo razziale su un altro.

“Nel regime di ‘apartheid’ israeliano nei territori palestinesi occupati esistono connotati specifici disumani che non venivano praticati nell’Africa meridionale, come autostrade separate, alti muri ed estesi posti di blocco, una popolazione assediata, attacchi missilistici e bombardamenti di carri armati su una popolazione civile, e l’abbandono del benessere sociale dei palestinesi nelle mani della comunità internazionale.

“Sotto gli occhi ben aperti della comunità internazionale, Israele ha imposto alla Palestina una realtà di apartheid in un mondo post-apartheid”.

Lynk dovrebbe rilasciare formalmente il suo rapporto giovedì prima di un dibattito sul punto 7 dell’agenda, il punto permanente dell’UNHRC riservato alle violazioni israeliane dei diritti umani contro palestinesi e altri arabi.

Nel rapporto l’accademico canadese afferma che Israele sta perseguendo una strategia di “frammentazione strategica del territorio palestinese in aree separate di controllo della popolazione, con Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est fisicamente divise l’una dall’altra”.

Israele usa Gaza, ha detto Lynk, come il “deposito informale di una popolazione indesiderata di due milioni di palestinesi”.

Il rilascio di migliaia di permessi di lavoro per i lavoratori palestinesi in Cisgiordania e a Gaza per lavorare in Israele equivale allo “sfruttamento del lavoro di un gruppo razziale”, afferma il rapporto.

Abbiamo bisogno di azione e responsabilità

Il mese scorso Amnesty International ha etichettato Israele come uno Stato di apartheid, diventando l’ultima associazione a unirsi a un elenco di organizzazioni per i diritti umani che hanno usato il termine per descrivere il trattamento riservato da Israele ai palestinesi.

“Le risultanze del relatore speciale sono un’importante e tempestiva integrazione al crescente consenso internazionale sul fatto che le autorità israeliane stanno commettendo un’apartheid contro il popolo palestinese”, ha affermato Saleh Higazi, vicedirettore di Amnesty per il Medio Oriente e il Nord Africa.

“Le organizzazioni palestinesi per i diritti umani da anni chiamano la situazione apartheid e questo rapporto costituisce un momento fondamentale di riconoscimento della realtà vissuta da milioni di palestinesi”.

Nonostante il numero crescente di organizzazioni per i diritti umani che etichettano le politiche israeliane come equivalenti all’apartheid, gli Stati Uniti e gli altri alleati occidentali di Israele si sono astenuti dal fare tale tipo di dichiarazioni.

Beth Miller, principale responsabile degli affari amministrativi di Jewish Voice for Peace-Action [Voce ebraica per le azioni di pace, organizzazione statunitense che sostiene il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele, ndtr.] ha affermato che il rapporto riprende ciò che le organizzazioni internazionali per i diritti umani stanno affermando da anni, che “Israele sta commettendo il crimine dell’apartheid”.

“Per [il presidente degli Stati Uniti Joe] Biden e il Congresso, il compito è chiaro: porre fine a tutti i finanziamenti militari statunitensi a questo violento regime di apartheid”.

NYC Solidarity with Palestine [Solidarietà di New York con la Palestina, ndtr.], un’organizzazione impegnata ad aprire ampi spazi di resistenza, ha detto a MEE: “Diamo il benvenuto a queste varie organizzazioni internazionali che finalmente dicono e confermano pubblicamente ciò che il popolo palestinese urla da anni con il sangue.

“E, detto questo, l’apartheid è solo un meccanismo e uno strumento della colonizzazione da insediamento e dell’occupazione illegale. Il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione impone responsabilità che includono la fine dell’occupazione con ogni mezzo. I doppi standard devono cessare”.

Ahmad Abuznaid, il direttore esecutivo della Campagna statunitense per i diritti dei palestinesi, ha detto a MEE che “mentre sempre più istituzioni internazionali affermano ciò che i palestinesi dicono da anni, speriamo di vedere finalmente cosa farà la comunità internazionale riguardo all’apartheid israeliano.

“Ora abbiamo bisogno di azione e responsabilità.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele: annunciati i funerali per le vittime di accoltellamento di Beersheba

Redazione

23 marzo 2022 – Middle East Eye

Due donne e due uomini sono morti dopo un attacco da parte di un cittadino palestinese di Israele del Naqab, dove è cresciuta la tensione rispetto ai piani di espellere i residenti beduini.

Israele terrà i mercoledì i funerali delle quattro vittime di un accoltellamento e di un attacco con un’auto nella regione meridionale del Naqab (conosciuta in Israele come il Negev).

Le quattro vittime, due donne e due uomini, sono morte martedì dopo una serie di attacchi iniziati fuori da un centro commerciale nella città di Beersheba.

sono stati effettuati da un cittadino palestinese di Israele della vicina città di Hura.

L’uccisione di Doris Yahbas, 49 anni, Menachem Yechezkel, 67 anni, Laura Yitzhak, 43 anni, e del rabbino Moshe Kravitzky, 50 anni, è stato il peggior attacco ai civili israeliani degli ultimi anni.

Il funerale di Yahbas avrebbe dovuto essere celebrato a Gilat, ma, secondo il Jerusalem Post, la famiglia ha chiesto ai media di non riferire sul funerale.

Follia omicida

Il sospettato, identificato come il 34enne Mohammed Abu al-Qian, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco da passanti armati dopo otto minuti di una follia omicida che lo ha visto accoltellare e speronare persone in più località.

L’ospedale di Soroka di Beersheba ha riferito che due donne ferite nell’attacco erano entrambe in condizioni stabili.

La tribù beduina di Abu al-Qian – a cui apparteneva l’aggressore – ha “fermamente” condannato l’attacco, dicendo che “non rappresenta i membri della tribù rispettosi della legge che hanno sempre creduto nella convivenza”.

La polizia afferma di aver arrestato, in collaborazione con membri dell’agenzia di sicurezza interna israeliana Shin Bet, due fratelli di Abu al-Qian sospettati di non aver allertato le forze di sicurezza di un attacco imminente. Dovrebbero comparire in tribunale mercoledì.

Organizzazioni ebraiche e palestinesi hanno duramente condannato l’attacco di martedì.

“Questo non è il modo in cui il popolo arabo in generale, e nel Negev in particolare, agisce nella sua giusta lotta contro l’espropriazione e l’oppressione in corso”, ha twittato Aida Touma-Sliman, parlamentare del partito arabo Lista Unita.

“Metto in guardia contro l’istigazione razzista e l’uso di questo crimine per giustificare l’istituzione di milizie razziste che perseguiteranno gli arabi”.

Mercoledì, durante una riunione del Comitato degli interni della Knesset, il politico di estrema destra Itamar Ben-Gvir ha dovuto essere espulso con la forza dopo aver redarguito con urla il politico palestinese Waleed Taha, accusandolo di “istigazione”.

“Il sangue dei residenti del Negev è sulle tue mani”, ha detto Ben-Gvir a Taha.

“Hai incitato il Negev contro Israele. Non hai legittimità e non tacerò su questo”, ha aggiunto.

Alta tensione

La tensione è aumentata nel Naqab a causa dei piani del governo di espellere i beduini palestinesi dalle loro case per attuare una serie di progetti di sviluppo.

L’attacco di martedì arriva una settimana dopo che la polizia israeliana sotto copertura ha ucciso Sanad Salem al-Harbad, un cittadino palestinese di Israele di Rahat, nel sud di Israele.

Il quotidiano Haaretz la scorsa settimana ha riportato che attivisti di estrema destra, tra tensioni crescenti, hanno istituito un’unità civile armata di ranger per “salvare il Negev dalla problematica assenza di sicurezza personale”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Gli ucraini fuggiti in Israele si trasformeranno da un giorno all’altro in coloni e colonizzatori

Azad Essa

10 marzo 2022 – Middle East Eye

Non si può permettere a Israele di strumentalizzare il conflitto Russia-Ucraina per consolidare la propria ‘superiorità demografica’ nella Palestina storica.

I pogrom cominciarono prima che il fumo si dissolvesse e i morti della Prima Guerra Mondiale fossero sepolti. 

Gli ebrei, bloccati nella guerra civile che dal 1918 dilagò nell’impero russo, furono oggetto di almeno mille pogrom. Furono incolpati della Prima Guerra Mondiale e della rivoluzione russa del 1917. Furono accusati di ammassare cibo e ricchezze. Furono vessati e picchiati nelle loro case, aggrediti sessualmente in strada e, in centinaia di occasioni, messi in fila e ammazzati.

Gli storici stimano che entro il 1921 furono uccisi più di 100.000 ebrei ucraini. I pogrom contro di loro ebbero parecchie conseguenze per l’Europa e gli ebrei nel resto del mondo.

Nel suo nuovo libro In the Midst of Civilised Europe: The Pogroms of 1918-1921 and Onset of the Holocaust [Nel cuore della civile Europa: i pogrom 1918-1921 e l’inizio dell’Olocausto], ed. Metropolitan Books, lo storico di Chicago Jeffrey Veidlinger sostiene che la febbrile violenza inflitta agli ebrei in Ucraina agli inizi degli anni ’20 rappresentò un precedente della brutalità degli anni che seguirono.

Nonostante la lunga storia della persecuzione contro gli ebrei in Europa, la spudorata violenza contro gli ebrei nei pogrom dopo la Prima Guerra Mondiale fu un’anticipazione dell’Olocausto vent’anni dopo nella Germania nazista. In altre parole gli assassini di massa approvata dallo Stato con Adolf Hitler ebbero come precedenti parecchi massacri di dimensioni minori per mano di persone comuni e degli eserciti che combattevano i bolscevichi.

Comunque i pogrom contro gli ebrei ucraini ebbero un altro effetto a catena. 

Una patria ebraica

Essi nutrirono la necessità di creare una patria ebraica che divenne estremamente possibile quando, durante la Prima Guerra Mondiale i britannici, subentrarono agli ottomani in Palestina.

I profughi ucraini in Israele, quello stesso popolo appena sfuggito oggi a guerra, fame e occupazione straniera, si trasformeranno da un giorno all’altro in coloni e colonizzatori.

Sumaya Awad e Annie Levin in Palestine: A Socialist Introduction [Palestina: un’introduzione socialista] (ed. Haymarket Books), scrivono che la dichiarazione di Balfour [ministro degli Esteri britannico che impegnò l’impero a favorire un “focolare ebraico” in Palestina, ndtr.] nel 1917 fu “il primo riconoscimento ufficiale delle colonie sioniste”. Il sostegno britannico a una patria ebraica affrettò il trasferimento di migliaia di emigranti ebrei nella Palestina occupata dalla Gran Bretagna.

Fra il 1921 e il 1923 circa 40.000 ebrei ucraini si diressero in Palestina come coloni e colonizzatori

L’arrivo dei profughi ebrei rese permanenti le tensioni con i nativi palestinesi che si videro strappare via la propria terra da sotto i piedi. Catalizzò una serie di schermaglie fra le due comunità, la più conosciuta delle quali fu quella di Giaffa nel 1921, durante la quale furono uccisi 48 palestinesi e 47 ebrei. 

 Il sionismo, come altri progetti coloniali, era fondato sulla disumanizzazione degli indigeni palestinesi. Per gli ebrei fuggiti dall’Ucraina e altrove la Palestina era loro e perciò deserta, e, ove abitata da palestinesi, non civilizzata.

Veidlinger scrive che gli ebrei ucraini erroneamente tracciano paralleli fra la resistenza palestinese alla colonizzazione delle loro case e le persecuzioni subite in Europa.

 Veidlinger afferma: “Nonostante le numerose differenze fra le rivolte in Palestina e i pogrom in Ucraina, non ultima l’elevato numero di morti arabi, che stavano a indicare scontri letali più che pogrom, l’idea che la violenza nella Terra Santa fosse solo un altro pogrom fu alla base di un mito che finì per caratterizzare l’ala destra del movimento sionista”. 

Con l’avvento della Germania nazista negli anni ’30 e poi con la Seconda Guerra Mondiale l’emigrazione ebraica in Palestina diventò ancora più “urgente”, anche perché altri Paesi, come gli USA, limitavano l’immigrazione ebraica.

Si stima che i nazisti massacrarono 17 milioni di persone, fra cui ebrei, russi, polacchi, rom, gay, disabili. E anche se, secondo il quotidiano israeliano Haaretz, i sionisti cooperarono con i nazisti tedeschi, l’Olocausto diventò il più importante attestato della legittimità di Israele. 

Il giornalista australiano Anthony Lowenstein scrive: “I nazisti uccisero sei milioni di ebrei e i leader sionisti, con a capo (David) Ben-Gurion, videro l’opportunità unica di sfruttare le sofferenze degli ebrei per ottenere la simpatia del mondo e fondare una patria ebraica”.

Rifugiati ebrei ucraini 2.0

A pochi giorni dall’invasione russa dell’Ucraina alla fine di febbraio 2022, poco più di un secolo dopo i pogrom in Ucraina, il governo israeliano ha invitato gli ebrei ucraini a fare aliyah, cioè a emigrare nella Terra Santa.

L’hanno chiamata “Operazione Israele garantisce” (Arvut Yisrael), fondata sulla Legge israeliana del ritorno che garantisce agli ebrei di ogni parte del mondo la cittadinanza automatica in base alla loro religione.

Come durante la Seconda Guerra Mondiale non sono solo gli ebrei ad affrontare la calamità della guerra in Europa orientale. Tutti i 44 milioni di abitanti dell’Ucraina stanno affrontando una minaccia esistenziale mentre l’esercito russo attacca con truppe di terra e terrificanti bombardamenti aerei.

In 12 giorni sono sfollati più di 2 milioni di ucraini. “Noi chiediamo agli ebrei in Ucraina di immigrare in Israele, la vostra casa,” ha detto il ministro israeliano per la Aliyah e l’integrazione. Anche il primo ministro Naftali Bennett ha descritto lo Stato di Israele come “un rifugio per ebrei in pericolo”.

“Questa è la nostra missione. Noi compiremo anche questa volta la nostra sacra missione,” ha detto Bennett.

Con perfetto tempismo la sezione per le colonie dell’Organizzazione sionista mondiale (OSM) ha detto che avrebbe costruito abitazioni temporanee per coloro che scelgono di compiere il viaggio. Anche Pnina Tamano-Shata [del partito di centro-destra Blu e Bianco e prima etiope a ricoprire un ruolo di governo, ndtr.], ministra israeliana per l’Immigrazione e l’Integrazione, ha detto che i destini degli ebrei in Israele e di quelli della diaspora sono “intrecciati”.

Quando la decisione del governo verrà approvata i membri del dipartimento per le colonie sono in grado di metterla immediatamente in atto,” dice Yishai Merling a capo della divisione colonie dell’OSM.

E aggiunge: “I combattimenti in corso in Ucraina e l’incertezza richiedono allo Stato di Israele di prepararsi in funzione dell’assorbimento degli immigrati dall’Ucraina. Israele deve prendersi la responsabilità delle comunità ebraiche che vivono là. È quello che Israele ha fatto in passato ed è quello che lo Stato ebraico deve fare oggi.”

Da rifugiati a coloni

In base all’ultimo calcolo almeno 467 ebrei ucraini hanno compiuto il viaggio verso Israele come fecero i loro compatrioti un secolo fa.

Le stime variano, ma secondo parecchie fonti ci sono circa 40.000 persone in Ucraina che si considerano ebrei, incluso il presidente Volodymyr Zelensky. Ce ne potrebbero essere quattro volte tante di origine ebraica e che quindi hanno diritto all’aliyah.

Ayelet Shaked, ministra degli Interni israeliana, questa settimana ha detto che circa 100.000 ebrei ucraini potrebbero arrivare nel Paese e diventare cittadini.

Agli ebrei ucraini, in fuga da guerra e caos in Ucraina, verrà ora dato rifugio, cibo e protezione e chiesto di vivere su terre prese ai palestinesi. Alcuni potrebbero vivere su terre sottratte di recente, note come colonie illegali nei territori palestinesi occupati in violazione del diritto internazionale.

Secondo la divisione colonie dell’OSM i nuovi arrivati saranno collocati in colonie sulle alture del Golan occupato, nel Negev, ad Arava [sul confine sud tra Israele e la Giordania, ndtr.], nella Valle delle Sorgenti e nella valle del Giordano [in Cisgiordania, ndtr.].

Alcune famiglie si sono già spostate a Nazareth Illit (ora Nof Hagalil), su terre sottratte negli anni ’50 alla vicina città di Nazareth, parte di un più vasto tentativo di “ebraizzare” e soffocare lo sviluppo e la crescita palestinese nella regione. All’epoca la zona era prevalentemente abitata da palestinesi.

Altre potrebbero spostarsi in terre precedentemente rubate ed edificate sui villaggi oggetto di pulizia etnica quando Israele fu creato nel 1948 nella Palestina storica. Circa 750.000 palestinesi furono espulsi nel 1948 per far posto allo Stato di Israele.

E come i loro predecessori giunti un secolo fa, si impregneranno del credo sionista secondo cui la terra era vuota e che i palestinesi cacciati nel 1948, di cui circa cinque milioni languono ancora in campi profughi o che vivono in zone diverse del mondo e sono impossibilitati a ritornare alle proprie case o che stanno vivendo come dei prigionieri nella Gaza soggetta a blocco, sono minacce alle loro esistenze di ebrei.

Non un gesto umanitario

In altre parole le stesse persone che sono appena fuggite da guerra, fame e occupazione straniera oggi si trasformeranno in un batter d’occhio in coloni. Semplicemente si inseriranno nel sistema israeliano di segregazione istituzionalizzata e discriminazione conosciuto come apartheid.

Non fraintendetemi: gli ucraini stanno pagando il prezzo di una guerra fra due fragili imperi in lotta per dominio e potenza. 

Ma anche in questo momento di emergenza globale in cui vanno intentate azioni immediate per salvare vite civili in Ucraina non c’è assolutamente motivo per far pagare ai palestinesi i costi di questo conflitto.

Non si può permettere a Israele di strumentalizzare il conflitto Russia-Ucraina per popolare la terra palestinese con altri ebrei per consolidare quello che Lana Tatour, docente di colonialismo e diritti umani alla University of New South Wales a Sydney, descrive come “superiorità demografica”.

Assorbire ebrei da tutto il mondo non è un gesto umanitario, è una politica strategica. Rafforza Israele come patria ebraica.Ma allora, dopo un secolo, chi stiamo prendendo in giro?

Israele è sopravvissuto ed è prosperato come Stato coloniale di insediamento e ha costruito la propria legittimità e credibilità come democrazia liberale nonostante le sue politiche razziste perché, fin dall’inizio, Gran Bretagna, Francia e in particolare gli USA non hanno mai riconosciuto i palestinesi come importanti o persino come esseri umani.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Azad Essa

Azad Essa, giornalista esperto di Middle East Eye, vive a New York. Dal 2010 al 2018 ha lavorato per l’edizione in inglese di Al Jazeera occupandosi dell’Africa meridionale e centrale. È l’autore di The Moslems are Coming [Arrivano i musulmani] (Harper Collins India) e Zuma’s Bastard [Il bastardo di Zuma] (Two Dogs Books). 

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Le forze israeliane hanno colpito a morte due adolescenti palestinesi a Gerusalemme est occupata

Agenzie e redazione di Middle East Eye

6 marzo 2022 – Middle East Eye

Una delle vittime era un sedicenne che è stato ucciso a Abu Dis dopo che avrebbe lanciato una bottiglia molotov contro una postazione militare israeliana

Domenica le forze israeliane hanno sparato uccidendoli a due adolescenti palestinesi nel corso di due distinti incidenti a Gerusalemme est occupata.

Secondo funzionari palestinesi un sedicenne è stato colpito ed ucciso ad un posto militare ad Abu Dis, appena fuori dalla Città Santa. Un portavoce dell’esercito israeliano ha detto che il ragazzo è stato colpito dopo che avrebbe lanciato una bottiglia molotov contro la postazione.

Un altro adolescente è stato ucciso nella serata di domenica dentro le mura della Città Vecchia dopo che avrebbe accoltellato un poliziotto israeliano di guardia ad una delle porte della città.

Un portavoce della polizia israeliana, che ha definito il diciannovenne “un terrorista”, ha detto che altri poliziotti lì accanto hanno aperto il fuoco, provocando la sua morte. La polizia ha affermato che due poliziotti sono stati lievemente feriti, uno dal presunto accoltellamento e un altro durante la sparatoria della polizia.

L’agenzia di notizie ufficiale palestinese Wafa ha riferito che domenica “estremisti israeliani” sono stati arrestati dalle forze israeliane “per motivi razziali e nazionali, dopo che hanno condotto un attacco contro una chiesa a Gerusalemme”, vandalizzando la proprietà. Non è chiaro se l’incidente sia in relazione [con gli altri].

Secondo l’ufficio dell’ONU di Coordinamento per le Questioni Umanitarie (OCHA), tra l’8 e il 21 febbraio le forze israeliane in tre distinti incidenti in Cisgiordania hanno colpito e ucciso cinque palestinesi, compreso un bambino. Nello stesso periodo sono stati feriti in totale 544 palestinesi, compresi 54 minori. L’OCHA ha riferito che nello stesso arco di tempo nessun israeliano è stato ucciso e cinque sono stati feriti in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est.

Israele ha occupato Gerusalemme est, compresa la Città Vecchia, durante la guerra in Medioriente del 1967 e l’ha annessa con una iniziativa non riconosciuta a livello internazionale.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




La “ragazzina ucraina che affronta un soldato russo” è in realtà la palestinese Ahed Tamimi

Nur Ayoubi

28 febbraio 2022 – Middle East Eye

In rete molti hanno condannato questo scambio di persona, affermando che il video dell’attivista palestinese ha provocato simpatia e si è pensato che provenisse dall’Ucraina perché lei può “sembrare bianca”.

Un vecchio video di Ahed Tamimi, attivista palestinese arrestata nel 2017 da Israele, è stato ampiamente diffuso in rete con la falsa affermazione che fosse una ragazzina ucraina che teneva testa a un soldato russo.

Immagini di un incidente del 2012 mostrano Tamimi, all’epoca undicenne, che affronta un soldato israeliano e sembra volergli dare un pugno.

Tuttavia su Twitter molti hanno condiviso il filmato con la falsa informazione che venisse dall’Ucraina.

Sulla piattaforma di video brevi TikTok, in un filmato dello stesso scontro tra Tamimi e il soldato si chiede a chi lo vede di pregare per l’Ucraina. Finora il video è stato visto oltre 12 milioni di volte e ha accumulato più di 800.000 like.

Spesso si è fatto riferimento a Tamimi come a un’icona della resistenza palestinese. Nel 2017, quando venne arrestata in seguito a uno scontro con soldati israeliani che si erano rifiutati da andarsene dalla sua casa a Nabih Saleh, un villaggio della Cisgiordania occupata, conquistò l’attenzione di molti mezzi di comunicazione.

Tamimi, che all’epoca aveva 16 anni, venne condannata a otto mesi di prigione in Israele in quanto minorenne, finendo sulle prime pagine dei giornali in tutto il mondo.

Quando venne rilasciata, Tamimi rese omaggio alle donne incarcerate nelle prigioni israeliane e affermò di aver intenzione di diventare avvocatessa per contribuire ulteriormente alla causa palestinese.

La falsa informazione diffusa insieme al filmato di Tamimi ha fatto arrabbiare molti utenti delle reti sociali che hanno visto un doppio standard nel modo in cui il video è stato generalmente accolto.

“Forse i ragazzini palestinesi sono eroici solo quando vengono presi per europei?” ha chiesto un utente di Twitter.

Un altro utente di Twitter ha chiesto di “smettere di utilizzare i palestinesi come arredi di scena.”

Il modo in cui i mezzi di informazione occidentali hanno informato sull’invasione russa è stato denunciato in rete da molti per l’uso di luoghi comuni razzisti, che spesso manifestano dolore per gli europei “civilizzati” e fanno un paragone tra loro e i rifugiati dal Medio Oriente.

Molti in rete hanno affermato che il video di Tamimi è diventato ancora una volta virale in questo nuovo, anche se falso, contesto perché lei “sembra bianca”.

All’inizio di questa settimana David Sakvarelidze, ex vice procuratore generale dell’Ucraina, ha provocato indignazione quando ha detto alla BBC riguardo all’invasione russa: “È veramente commovente per me perché vedo persone europee con occhi azzurri e capelli biondi che vengono uccise.”

Non è la prima volta dall’inizio del conflitto che immagini fuori contesto vengono confuse con l’invasione russa.

Molti video fuorvianti legati alla crisi tra Russia e Ucraina sono arrivati dal Medio Oriente. Vari filmati e immagini da Siria, Libano, Libia e Palestina sono stati erroneamente attribuiti all’invasione russa.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Soldati israeliani uccidono un palestinese di 14 anni nella Cisgiordania occupata

Redazione

22 febbraio 2022 – Redazione Middle East Eye

Il padre di Mohammed Shehadeh racconta a Middle East Eye che i soldati israeliani gli hanno impedito di vedere suo figlio pochi istanti prima che morisse per un colpo di arma da fuoco al petto.

Il padre di un ragazzo palestinese di 14 anni colpito a morte dalle forze israeliane martedì racconta a Middle East Eye che i soldati israeliani gli hanno impedito di vedere suo figlio prima che morisse.

Nella città occupata di al-Khader, in Cisgiordania, vicino a Betlemme i soldati hanno sparato all’adolescente Mohammed Shehadeh, accusato dall’esercito israeliano di aver lanciato una bottiglia molotov contro le auto di passaggio.

Il padre di Mohammed, Rizk Shehadeh, 48 anni, racconta che suo figlio era con degli amici quando è iniziata la sparatoria. Mohammed è stato colpito al petto, afferma Shehadeh.

Shehadeh racconta a MEE che quando è arrivato sulla scena della sparatoria è stato affrontato dai soldati israeliani. “Ho detto loro: ‘Questo è mio figlio e voglio vederlo.’ Il soldato mi ha detto: ‘Se non te ne vai, ti sparo.’ Poi ho saputo che mio figlio era morto”.

“Gli spari erano mirati ad uccidere”

Ahmed Salah, un attivista locale ad al-Khader, afferma che a Mohammed, che era suo cugino, è stata tesa un’imboscata dall’esercito e che il soldato che gli ha sparato gli ha “sparato addosso – gli spari avevano lo scopo di uccidere”.

L’esercito israeliano in una nota dichiara “Le truppe hanno sparato a uno dei sospetti mentre lanciava una bottiglia molotov e lo hanno colpito”.

La barriera di separazione israeliana attraversa al-Khader, separandola dalla Route 60. Salah, l’ex sindaco della città Adnan Sbeih e molti altri hanno affermato che il quattordicenne Mohammed è stato colpito dagli spari sul lato del muro verso al-Khader.

“La distanza tra il muro e il luogo in cui Mohammed è stato ucciso è di 300 metri”, riporta Salah a MEE. “Ciò significa che Mohammed non rappresentava alcun pericolo significativo per l’esercito o per i coloni, anche se ipotizziamo che Mohammed volesse lanciare pietre da quella distanza. Vista la distanza non poteva far danni”.

“Mohammed non rappresentava un pericolo per nessuno”, ha aggiunto Salah. “Non so come un bambino di 14 anni possa essere pericoloso per un soldato pesantemente armato. L’esercito cerca di uccidere chiunque sia presente in quella zona”.

L’esercito israeliano dichiara che i soldati hanno prestato assistenza medica a Mohammed sul posto, dove in seguito è stato dichiarato morto. Tuttavia Salah e organi di stampa palestinesi affermano che a un’équipe medica della Mezzaluna Rossa è stato impedito di raggiungerlo.

La testata giornalistica palestinese Wafa ha riferito che gli scontri tra le forze israeliane e i palestinesi ad al-Khader sono continuati nella tarda serata di martedì.

L’uccisione di Mohammed Shehadeh arriva una settimana dopo che le forze israeliane hanno sparato e ucciso diversi palestinesi.

Il 15 febbraio, all’ingresso del villaggio di Nabi Saleh, a nord-ovest di Ramallah, Nihad al-Barghouti, 20 anni, è morto per ferite da proiettile intorno al bacino dopo essere stato raggiunto da un colpo di arma da fuoco esploso dai soldati israeliani.

Alcuni giorni prima, Mohammad Akram Abu Salah, 17 anni, è stato colpito alla testa dalle truppe israeliane mentre prendevano d’assalto il villaggio di Silat al-Harithiya, nella tarda serata di domenica, per demolire la casa di un uomo accusato di aver ucciso un colono israeliano.

Il gruppo per i diritti dei minori Defense for Children International – Palestine (DCI) ha affermato martedì che Israele continua a trattenere i corpi di nove minori palestinesi uccisi dalle sue forze armate. Tutti e nove avevano meno di 18 anni al momento della loro morte, avvenuta tra il 2016 e il dicembre 2021, i due più giovani erano quindicenni: Yousef Mohammad Odeh di Jenin e Mohammad Nidal Musa di Nablus.

La DCI ha dichiarato a dicembre che il 2021 è stato l’anno più letale per i minori palestinesi dal 2014: le forze israeliane hanno ucciso 76 palestinesi sotto i 18 anni, 15 dei quali nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est e 61 nella Striscia di Gaza assediata.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Sheikh Jarrah: Israele attacca di nuovo i palestinesi in una seconda notte di tensione

Huthifa Fayyad

13 febbraio 2022, MiddleEastEye

Polizia e coloni intensificano gli attacchi contro i residenti del quartiere di Gerusalemme Est, trasformandolo in “zona di guerra”

Come hanno riferito i residenti palestinesi la sera di domenica a Sheikh Jarrah è iniziata una seconda notte di violenti attacchi della polizia israeliana e dei coloni, che hanno trasformato il quartiere occupato di Gerusalemme Est in “zona di guerra”.

Secondo i media locali almeno 31 persone sono rimaste ferite, inclusi dei medici e un giornalista, poiché le forze israeliane hanno usato granate assordanti e proiettili d’acciaio rivestiti di gomma per disperdere la folla palestinese. Sei persone sono state portate in ospedale.

Sono stati impiegati anche spargitori d’acqua puzzolente e polizia a cavallo. Almeno 12 palestinesi sono stati arrestati.

Decine di dimostranti palestinesi si sono radunati in tarda serata dentro e intorno alla casa della famiglia Salem, che sta affrontando un’imminente espulsione, per schierarsi in solidarietà con la famiglia contro le incursioni dei coloni.

Al mattino un gruppo di coloni, guidato dal membro di estrema destra della Knesset Itamar Ben-Gvir, aveva eretto una tenda su un terreno adiacente alla casa dei Salem e vi aveva allestito la postazione di un ufficio parlamentare.

I coloni sono stati visti ballare e intonare canti razzisti e islamofobi per provocare la famiglia e a tratti aggredirla.

Durante la sera sono scoppiate ripetute colluttazioni tra le due folle presenti nella proprietà. All’esterno, le forze di sicurezza hanno negato l’ingresso agli attivisti e hanno chiuso ai palestinesi tutti i punti di accesso alla casa.

L’attivista Muna al-Kurd, residente a Sheikh Jarrah che rischia anche lei un’imminente espulsione, ha detto nei suoi aggiornamenti in diretta su Instagram che la scena nell’area sembrava una “zona di guerra”.

Ramzi Abbasi, un attivista di Gerusalemme che documenta gli attacchi israeliani in città, ha confermato una simile impressione.”È come essere in un accampamento militare “, ha detto Abbasi nei suoi aggiornamenti Instagram in diretta dalla zona. “Ricorda molto la situazione che ha preceduto la rivolta di Sheikh Jarrah l’anno scorso”.

Il quartiere è da maggio un punto molto critico, da quando Israele ha cercato di espellere dall’area famiglie palestinesi per far posto a coloni israeliani.

La cosa ha provocato proteste diffuse in tutta la Cisgiordania occupata e nelle 48 comunità palestinesi all’interno di Israele, nonché un’operazione militare su larga scala nella Striscia di Gaza assediata.

Espulsione incombente  

Nel quartiere le violenze di domenica notte sono seguite a una tesa mattinata poiché Ben-Gvir aveva annunciato il giorno prima che intendeva aprire il suo ufficio a Sheikh Jarrah, su un appezzamento di terreno appartenente alla famiglia Salem che a gennaio era stato confiscato da gruppi di coloni.

Ben-Gvir è a capo del partito Jewish Power, parte dell’alleanza politica Sionismo Religioso che chiede lo sfratto dei palestinesi dalle loro terre per stabilirvi la gestione di Israele secondo i testi della Torah.

Dopo l’annuncio di sabato, subito dopo la mezzanotte decine di coloni hanno fatto irruzione nel quartiere, lanciando pietre contro le case dei palestinesi e danneggiando le auto.

I coloni hanno quindi raggiunto la casa della famiglia Salem e hanno aggredito donne e bambini con spray al peperoncino, come hanno riferito i residenti all’agenzia Anadolu [agenzia di stampa turca di Stato con sede ad Ankara, ndtr.]

“Sono comparsi dal nulla e hanno spruzzato peperoncino a me e al mio vicino, Abu Mohammad. Mi bruciavano gli occhi e non riuscivo ad aprirli. Non riuscivo a respirare”, ha detto Fatima Salem.

La famiglia Salem ha combattuto per decenni nei tribunali contro le pretese dei coloni sulla loro casa.

Nel 1987 un tribunale israeliano ha ordinato a Fatima Salem di lasciare la sua casa con l’accusa di non poter provare la sua residenza lì prima della morte dei genitori. Salem dice che è nata in quella casa e che da allora ha vissuto lì.

Ora vive nella casa con suo figlio, sua figlia e le loro famiglie.

La decisione del 1987 nello stesso anno è stata congelata ma il caso è stato riattivato nel 2015. Nel dicembre 2021 la famiglia ha ricevuto un avviso di sfratto definitivo.

La scorsa settimana le autorità hanno informato i Salem che hanno tempo fino all’inizio di marzo per lasciare la casa.

Attualmente 37 famiglie palestinesi vivono a Sheikh Jarrah, sei delle quali rischiano un imminente sfratto. Dal 2020, i tribunali israeliani hanno ordinato lo sfratto di 13 famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il discorso dell’ambasciatrice israeliana a Cambridge è stato interrotto quando gli studenti hanno inscenato un sit-in

Areeb Ullah

8 febbraio 2022 – Middle East Eye

In precedenza Tzipi Hotovely aveva descritto la Nakba come una “menzogna araba” e si era opposta alle rivendicazioni palestinesi sulla Cisgiordania

Impugnando le bandiere della Palestina e cantando “Palestina libera”più di 100 studenti dell’Università di Cambridge hanno manifestato contro l’ambasciatrice israeliana in Gran Bretagna, Tzipi Hotovely, della quale era previsto un discorso martedì alla Cambridge Union

Hotovely, che ha servito come ministro delle colonie sotto l’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, ha parlato alla Cambridge Union mentre all’esterno imperversavano le proteste contro l’ambasciatrice.

La “Union”, un club privato ​​per il quale i partecipanti devono pagare, ha ospitato l’evento nonostante le critiche di una serie di organizzazioni studentesche.

I manifestanti stazionavano fuori dall’edificio della “Union”, dove i partecipanti erano in coda per entrare. Gli organizzatori hanno vietato ai partecipanti di portare borse all’evento e hanno proibito loro di registrare il discorso.

Quando l’evento è iniziato, i manifestanti si sono spostati sul retro dell’edificio, dove era parcheggiato il convoglio dell’ambasciatrice, e hanno bloccato l’ingresso del parcheggio.

I manifestanti hanno portato tamburi e cartelli mentre gridavano slogan tramite un altoparlante come “Palestina libera” e “dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”.

Fonti all’interno della “Union” che hanno assistito al discorso hanno riportato a Middle East Eye che il discorso della Hotovely è stato interrotto a causa del rumore proveniente dalle proteste.

I manifestanti hanno quindi organizzato un sit-in e bloccato l’ingresso del parcheggio dove sostava il convoglio dell’ambasciatrice israeliana, mentre la polizia armata di taser cercava di sgomberare i manifestanti.

Opposizione

Gli organizzatori della protesta alla fine hanno ceduto e hanno interrotto il loro sit-in dopo che era stato loro riportato che la protesta era riuscita a interrompere il discorso dell’ambasciatrice.

Hotovely è stata successivamente nascosta da un ombrello e impacchettata nella sua macchina mentre i manifestanti sono rimasti fuori a cantare “vergognati” e “Palestina libera”.

Un portavoce della Cambridge University Palestine Society, che ha voluto rimanere anonimo, ha affermato che la protesta è stata organizzata in opposizione al “sistema” rappresentato da Hotovely.

“Hotovely rappresenta e sostiene un apparato statale che diverse organizzazioni hanno accusato di praticare l’apartheid e crimini contro l’umanità “, ha detto il portavoce a MEE.

Pensiamo che a chiunque rappresenti uno Stato impegnato in pratiche illegali e abusi dei diritti umani non dovrebbe essere dato uno spazio nella nostra città e università. Questa protesta non riguarda solo la condanna di Hotovely come singola persona e per ciò che ha detto, ma vuole rappresentare rifiuto delle pratiche in cui si impegna e rappresenta, come mobilitazioni violente dei coloni contro i palestinesi, le pratiche illegali e le violazioni dei diritti umani”.

‘Solidarietà ebraica’

Anche Chaya Kasif, una studentessa ebrea dell’Università di Cambridge, ha partecipato alla protesta pro-Palestina di martedì contro Hotovely.

Tenendo un cartello che diceva: “Solidarietà ebraica da Gadigal [in Australia] a Gaza”, Kasif ha descritto la sua presenza alla protesta come un’opportunità per mostrare sostegno ai palestinesi.

Il discorso di Hotovely arriva dopo che Amnesty International ha pubblicato un rapporto lungamente atteso che accusa Israele di praticare l’apartheid nei territori palestinesi e in Israele.

L’anno scorso, centinaia di studenti hanno protestato contro la presenza di Hotovely alla London School of Economics, dove ha tenuto una conferenza sul conflitto israelo-palestinese.

Hotovely ha fatto notizia a livello nazionale quando è stato pubblicato online il filmato di lei mentre veniva accompagnata di corsa alla sua macchina mentre gli attivisti studenteschi protestavano contro la sua presenza nel campus.

L’ambasciatrice ha accusato gli studenti di antisemitismo, ma gli studenti hanno risposto affermando che la loro protesta non era razzista.

Da quando è diventata ambasciatrice in UK Hotovely ha cercato la polemica.

Nel 2020, durante un evento ospitato dal consiglio dei rappresentanti degli ebrei britannici [Il Board of Deputies of British Jewish è la più grande organizzazione comunitaria ebraica nel Regno Unito, ndtr.], Hotovely ha affermato che la Nakba, l’espropriazione di massa e l’espulsione dei palestinesi dalle loro case durante la fondazione di Israele, è una “menzogna araba”

Si è anche opposta a qualsiasi pretesa palestinese sulla Cisgiordania, a Gaza o a Gerusalemme est, ha sostenuto l’espansione delle colonie israeliane e si è opposta ai matrimoni misti di ebrei e palestinesi.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)