Le forze israeliane uccidono un giovane palestinese durante il funerale di un ragazzino di 12 anni

Akram al-Waara

30 luglio 2021 – Middle East Eye

Shawkat Awad, 20 anni, è stato ucciso in un attacco armato al funerale di Mohammed al-Alami, ucciso a colpi di arma da fuoco dalle forze israeliane a Beit Ummar il giorno precedente

Le forze armate israeliane hanno sparato e ucciso un giovane palestinese durante gli scontri nella città di Beit Ummar, nel sud della Cisgiordania occupata, giovedì, meno di 24 ore dopo che i soldati avevano ucciso un ragazzo di 12 anni della stessa città: un caso che ha provocato grande indignazione.

Shawkat Awad, 20 anni, è stato ucciso dalle forze israeliane durante gli scontri scoppiati a Beit Ummar quando elementi della polizia di frontiera israeliana hanno attaccato il corteo funebre di Mohammed al-Alami, un dodicenne palestinese ucciso dai soldati che hanno sparato all’auto della famiglia mercoledì mentre tornavano a casa dopo aver fatto la spesa.

Giovedì pomeriggio, mentre migliaia di palestinesi che partecipavano al corteo funebre di Alami si dirigevano verso il cimitero di Beit Ummar, vicino al quale si trova una base militare israeliana, le forze israeliane hanno iniziato a sparare contro la folla bombe assordanti, gas lacrimogeni e proiettili di acciaio ricoperti di gomma.

Youssef Abu Maria, residente a Beit Ummar e membro dei Comitati di resistenza popolare della parte meridionale della Cisgiordania, ha detto a Middle East Eye: “Eravamo sotto shock in quel momento. La gente correva in tutte le direzioni, cercando di allontanarsi dai gas lacrimogeni ma anche cercando di raggiungere il cimitero in modo da poter seppellire Mohammed”.

L’attacco israeliano al corteo funebre ha scatenato “duri scontri” tra soldati armati e giovani palestinesi a Beit Ummar, ha detto Abu Maria, aggiungendo che i residenti della città hanno lanciato pietre contro i soldati, che hanno iniziato a sparare proiettili veri e skunk water [liquido puzzolente che provoca vomito ndt.] contro i manifestanti.

Secondo il Ministero della Salute dell’Autorità Palestinese, almeno 12 palestinesi, incluso Awad, sono stati feriti con proiettili veri durante gli scontri. Awad è stato colpito due volte: una alla testa e una al petto.

“I soldati gli hanno sparato a bruciapelo”, ha detto Abu Maria. “Era chiaro che volevano uccidere qualcuno”.

In una dichiarazione rilasciata giovedì, l’esercito israeliano ha accusato “centinaia di rivoltosi” di violenza e ha affermato di “essere al corrente della diceria” secondo cui un palestinese era stato ucciso e di aver avviato un’indagine sulla questione.

“Non abbiamo alcun modo per difenderci e nessuno che ci protegga”, ha detto Abu Maria. “Abbiamo solo pietre per difenderci da uno degli eserciti più forti del mondo. E quando lanciamo sassi contro di loro ci chiamano terroristi”.

Nel primo pomeriggio di venerdì, Abu Maria ha descritto la situazione a Beit Ummar come “deprimente” e “tesa” mentre i residenti si preparavano a partecipare al funerale di Awad.

Siamo riusciti a malapena a seppellire Mohammed e a piangere la sua morte, poi l’occupazione ha ucciso un altro dei nostri figli. È devastante”, ha detto.

Abu Maria ha detto a MEE che dozzine di soldati israeliani si stavano radunando all’ingresso della città venerdì mattina; i residenti temevano che il funerale di Awad potesse finire come il funerale di Alami il giorno prima.

“Abbiamo paura che i soldati ci attacchino di nuovo”, ha dichiarato. “A Beit Ummar non possiamo seppellire in pace i nostri morti perché il cimitero è vicino alla base militare. Speriamo solo che non ci sia un altro martire oggi”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele-Gaza: come la resistenza palestinese sta sfidando la supremazia tecnologica della guerra

Ahmed D Dardir

23 luglio 2021 Middle East Eye

L’ideologia che vede le superpotenze occidentali sole detentrici di tecnologie avanzate e potenza di fuoco è messa in discussione da attori non occidentali che rivendicano il possesso di quelle tecnologie

La resistenza palestinese a Gaza, nel suo ultimo confronto con le forze di occupazione israeliane e in risposta alla continua aggressione israeliana contro la moschea di al-Aqsa e i residenti di Gerusalemme, ha lanciato una flotta di palloni incendiari contro gli insediamenti coloniali vicini ai confini con la Striscia di Gaza.

Le azioni aggressive di Israele a Gerusalemme non hanno tecnicamente violato il cessate il fuoco firmato a maggio, dunque la risposta palestinese ha dovuto evitare la forza militare; ha invece creativamente fatto un’arma di un’oggetto comune. Pur incarnando lo spirito della resistenza, la risposta palestinese doveva mantenere un profilo basso, per non costituire il pretesto ad una nuova ondata di attacchi israeliani.

Ma Israele ha risposto con attacchi aerei contro quelli che sosteneva essere obiettivi di Hamas a Gaza, violando di fatto il cessate il fuoco. Eppure una parte significativa dei principali media occidentali e dell’opinione pubblica considera questa violazione israeliana come legittima autodifesa, mentre i palloni da Gaza sono visti come inutili, sbagliati e provocatori.

Gli scontri di maggio sono stati considerati con lo stesso atteggiamento. Sebbene la resistenza di Gaza sia riuscita a usare i suoi missili e droni – relativamente primitivi rispetto alle capacità militari di Israele – ottenendo il massimo effetto politico e riducendo al minimo le vittime e la distruzione nelle aree israeliane, i suoi missili sono stati ancora descritti dalle principali testate come mal diretti, caotici o addirittura disperati. D’altro canto i missili israeliani sono stati descritti come legittimi, e il potere militare di questo stato come mirato e sofisticato.

La cosa rappresenta un paradosso per cui i missili senza guida della resistenza palestinese sono colpevoli di prendere di mira i civili, mentre i missili precisi e mirati delle forze di occupazione israeliana sono innocenti della morte delle vittime che prendono “erroneamente” di mira. Questo paradosso è sostenuto da gerarchie interpretative del conflitto profondamente razziste che operano al di fuori del contesto palestinese.

La macchina da guerra americana

In un mondo affascinato dalle tecnologie innovative, avanzate e all’avanguardia – di pulsanti, schermi e processi computerizzati – il progresso della tecnologia da un lato nasconde la carneficina dall’altro lato. Dall’inizio di questo secolo l’informatizzazione della macchina da guerra degli Stati Uniti ha tristemente trasformato le guerre americane in videogiochi reali.

Gli attacchi aerei statunitensi contro obiettivi civili e sospetti militanti sono diventati una faccenda sterilizata e informatizzata – un processo automatizzato in cui la scelta degli obiettivi, la valutazione della minaccia e il processo di lancio di un attacco di droni sono determinati in gran parte da disumani circuiti di mega-computer che in qualche modo mascherano e legittimano gli omicidi.

Nelle sue memorie, Una terra promessa, Obama si vanta: “La National Security Agency, o NSA, già la più sofisticata organizzazione di raccolta di informazioni elettroniche al mondo, ha impiegato nuovi supercomputer e tecnologie di decrittazione del valore di miliardi di dollari per setacciare il cyberspazio alla ricerca di comunicazioni terroristiche e potenziali minacce”, dando il via a “incursioni notturne [che] hanno dato la caccia a sospetti terroristi principalmente all’interno – ma a volte anche all’esterno – delle zone di guerra in Afghanistan e Iraq”. In altre parole, si è trattato della tipica tattica di Obama di assassinii mirati ed extragiudiziali.

Qui il dispiegamento retorico della tecnologia sterilizza le uccisioni – di “sospetti” terroristi, va sottolineato – e fornisce un supporto tecnologico all’ideologia della supremazia occidentale, consentendo ai popoli “civili” e tecnologicamente avanzati di esercitare violenza fisica, a volte letale, contro forme “inferiori” di vita umana.

Si tratta della stessa ideologia suprematista che giustifica i crimini di Israele con il pretesto che è “l’unica democrazia” in Medio Oriente – come se le persone che non vivono sotto il paradigma della democrazia liberale occidentale non meritassero di vivere. I crimini di Israele sono ulteriormente giustificati dal fatto che la sua macchina da guerra è precisa e tecnologicamente avanzata, come se questo in qualche modo legittimasse l’uccisione di vittime quando siano prese di mira con precisione.

Causa di allarme

Il contrario, invece, non vale. I progressi tecnologici raggiunti al di fuori del club esclusivo delle potenze occidentali non meritano la tessera della società “tecnologicamente civilizzata”, ma rappresentano piuttosto un motivo di allarme, che una certa tecnologia si stia pericolosamente diffondendo oltre la cerchia consentita.

Questa è la stessa gerarchia in base alla quale i progressi in campo nucleare di Iran e Corea del Nord, che subiscono entrambi le opprimenti sanzioni statunitensi, non sono visti come progressi tecnologici ma come motivo di allarme, che tale tecnologia si trovi in mani indegne e inaffidabili destinate ad abusarne. Evidentemente non suscita lo stesso allarme il programma nucleare militare dell’unico paese che abbia usato armi atomiche contro i civili: gli Stati Uniti.

La narrativa dominante riserva la potenza di fuoco tecnologicamente avanzata – comprese armi sofisticate, computerizzate e intelligenti – alle potenze occidentali. Gli Stati e gli attori non occidentali devono rimanere con armi incendiarie destinate a fallire. Questo spiega in parte l’ossessione occidentale per gli attentati suicidi, immaginati come unico e dominante modus operandi dei rivoltosi non bianchi.

L’ideologia che riserva tecnologie avanzate e potenza di fuoco alle superpotenze occidentali è, tuttavia, continuamente turbata da attori non occidentali che rivendicano quelle tecnologie, siano essi altre superpotenze (Cina), “Stati canaglia” (Iran e Corea del Nord) o gruppi di insorti che conducono guerre di liberazione contro le potenze coloniali e i loro manutengoli.

Una serie di preoccupazioni tattiche e strategiche ha spinto alla fine la resistenza palestinese verso tecnologie missilistiche e droni. Anche se non suggerisco che l’abbiano fatto intenzionalmente, questo disturba i presupposti e le gerarchie razziste dominanti, minando il monopolio bianco sul fuoco mirato, sofisticato e tecnologico. La cosiddetta comunità internazionale può scegliere di riconoscere questo traguardo, o di continuare a compiere acrobazie mentali per tranquillizzarsi sulla natura primitiva e mal guidata del fuoco della resistenza.

Ciò che più importa è che questo progresso “libera i colonizzati dal loro complesso di inferiorità, dal loro atteggiamento passivo e disperato”, per usare le parole scritte in un contesto simile dal grande pensatore anticoloniale Frantz Fanon. “Li incoraggia e ripristina la loro fiducia in se stessi.”

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica della redazione di Middle East Eye.

Ahmed D Dardir ha conseguito un dottorato di ricerca in Studi Mediorientali presso la Columbia University. Il suo prossimo libro è provvisoriamente intitolato Licentious Topographies: Global Counterrevolution and Bad Subjectivity in Modern Egypt [Topografie licenziose: controrivoluzione globale e soggettività malate nell’Egitto moderno]. Collabora regolarmente con diverse testate giornalistiche. Il suo blog si trova su https://textrimmings.blogspot.com.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Ben & Jerry’s annuncia la fine delle vendite nei territori palestinesi occupati

Alex MacDonald

19 luglio 2021 Middle East Eye

L’azienda produttrice di gelati statunitense afferma che lo smercio dei suoi prodotti nei territori occupati è “incoerente” con i valori dell’azienda

L’azienda produttrice di gelati Ben & Jerry’s ha annunciato che interromperà la vendita dei suoi prodotti nei territori palestinesi occupati.

Lunedì, in un comunicato, la società ha dichiarato [la vendita dei suoi prodotti nei territori palestinesi occupati] “incoerente con i nostri valori”e ha aggiunto che “ascolta e riconosce le preoccupazioni condivise dai nostri clienti e soci fidati.

“Abbiamo una partnership di lunga data con il nostro concessionario, che produce il gelato Ben & Jerry’s in Israele e lo distribuisce nella regione”, si legge nella nota.

“Abbiamo lavorato per cambiare questa situazione e quindi abbiamo informato il nostro concessionario che alla scadenza alla fine del prossimo anno non rinnoveremo il contratto”.

Hanno anche detto che “rimarranno in Israele attraverso un accordo diverso” senza specificare altro.

L’azienda, che sin dalla sua fondazione nel 1978 ha sostenuto una serie di cause per i diritti civili, ha ricevuto critiche per la vendita negli insediamenti illegali nei territori palestinesi occupati dei gelati prodotti in Israele.

Nel 2015 è stata presa di mira dalla campagna BDS in merito alla sua politica in Israele.

‘Grande vittoria’ per la Palestina

Lunedì l’Adalah Justice Project, un’organizzazione pro-palestinese con sede negli Stati Uniti, ha accolto con favore questa decisione e la ha definita una “grande vittoria della lotta palestinese per la libertà”.

Tuttavia l’organizzazione ha aggiunto che continuerà a chiedere un “disimpegno completo da tutti i rapporti commerciali con l’Israele dell’apartheid”.

Ben & Jerry’s ha sostenuto con forza il movimento Black Lives Matter e altre cause progressiste sui social media, ma è rimasta in silenzio a metà maggio quando Israele ha lanciato gli attacchi aerei sulla Striscia di Gaza.

Utenti dei social media hanno criticato l’azienda per essersi proclamata una paladina delle cause per i diritti civili ignorando la difficile situazione dei palestinesi.

L’operazione militare israeliana di 11 giorni sulla Striscia di Gaza a maggio ha provocato l’uccisione di almeno 248 palestinesi e la distruzione di una serie di edifici tra cui scuole, centri medici e uffici della stampa. Anche dodici israeliani sono stati uccisi dai razzi lanciati da Gaza.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Pegasus: la lunga storia di processi e smentite del Gruppo NSO

Frank Andrews

20 luglio 2021 – Middle east eye

L’azienda israeliana afferma di non poter essere considerata responsabile per il modo in cui gli Stati, “clienti sovrani”, utilizzano la sua tecnologia.

Il gruppo NSO non è nuovo agli scandali.

Le affermazioni fatte questa settimana secondo cui la tecnologia spyware del programma Pegasus dell’azienda israeliana è stata utilizzata per sorvegliare 50.000 telefoni – appartenenti a capi di stato, giornalisti, attivisti per i diritti umani, oppositori politici e altro – potrebbero rappresentare l’accusa più grave mossa contro l’azienda, ma non sarebbe la prima.

Pegasus, che in vari modi infetta i telefoni con spyware, ha rappresentato una manna per i regimi autoritari che usano le tecnologie per tracciare chiunque sia percepito come critico nei confronti del loro potere.

Il Gruppo è stato oggetto di numerose azioni legali e denunce.

Martedì i pubblici ministeri francesi hanno annunciato di aver aperto un’indagine con l’accusa secondo cui Pegasus è stato utilizzato dall’intelligence marocchina per spiare i giornalisti francesi, dopo che Forbidden Stories, organizzazione senza scopo di lucro [con la missione di “continuare e pubblicare il lavoro di giornalisti minacciati, incarcerati o assassinati”, ndtr.] ha condotto un’inchiesta che ha rivelato come alcuni Stati, tra cui l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e il Marocco, starebbero usando la tecnologia Pegasus per spiare cittadini e dissidenti, inclusi i collaboratori di Middle East Eye Madawi al-Rasheed e Azzam Tamimi.

I familiari, gli amici e i contatti più stretti del giornalista saudita assassinato Jamal Khashoggi erano tra le molte migliaia di persone sorvegliate.

Nel corso degli anni, NSO, fondata nel 2010, ha ripetutamente cercato di sottrarsi alle responsabilità riguardo a come gli Stati utilizzino la sua tecnologia per spiare giornalisti e difensori dei diritti umani.

NSO afferma di seguire tutte le normative israeliane che disciplinano l’esportazione dei suoi prodotti e di vendere solo agli alleati di Israele, mai ai suoi nemici. Afferma inoltre di vendere solo a governi e mai a individui o utenti non autorizzati e che Pegasus è destinato esclusivamente a combattere la criminalità e il terrorismo.

Sottolinea tuttavia che una volta venduto il prodotto, non c’è alcun controllo (o almeno così sostiene) su come venga utilizzata la tecnologia.

Middle East Eye ha indagato sulla lunga lista di accuse a cui NSO ha dovuto rispondere nel corso degli anni e su come l’azienda abbia reagito.

2016

Secondo un rapporto di Citizen Lab [laboratorio interdisciplinare dell’Università di Toronto per ricerca, sviluppo e politica strategica di alto livello, ndtr.] e Lookout Security [società californiana che produce software di sicurezza su cloud per dispositivi mobili, ndtr.], si è scoperto che nell’agosto 2016 gli Emirati Arabi Uniti stavano monitorando l’iPhone dell’attivista per i diritti umani negli Emirati Ahmed Mansoor utilizzando lo spyware Pegasus.

Mansoor ricevette un sms che gli chiedeva di aprire un link per avere informazioni sui prigionieri torturati negli Emirati Arabi Uniti.

NSO non ha confermato di aver creato lo spyware utilizzato per raggiungere Mansoor. Tuttavia ha affermato in una dichiarazione di “vendere solo ad agenzie governative autorizzate e rispettare pienamente le rigorose leggi e regolamenti sul controllo delle esportazioni. Inoltre l’azienda non gestisce nessuno dei suoi sistemi: è un’azienda esclusivamente tecnologica”.

Altri Paesi che il rapporto di Citizen Lab ha scoperto potrebbero aver utilizzato questa tecnologia includono Messico, Turchia, Israele, Thailandia, Qatar, Kenia, Uzbekistan, Mozambico, Marocco, Yemen, Ungheria, Arabia Saudita, Nigeria e Bahrein.

In un caso collegato a quello del 2016, anche le autorità degli Emirati Arabi Uniti avrebbero impiegato Pegasus in un tentativo di phishing [azione per ottenere con l’inganno dati riservati, ndtr.] contro il giornalista MEE Rori Donaghy, che parlava in modo critico degli abusi del regime autocratico del Paese.

Nel corso dell’indagine su questo attacco, Citizen Lab ha scoperto che 1.100 attivisti e giornalisti dell’Emirato erano stati presi di mira allo stesso modo e che per questi attacchi il governo aveva pagato al gruppo NSO 600.000 dollari.

2017

Nel febbraio 2017, Citizen Lab ha rivelato che Pegasus era stato utilizzato per colpire degli attivisti messicani che cercavano di contrastare l’obesità infantile. Il malware aveva accesso ai loro telefoni quando aprivano i link con testi che dicevano, ad esempio, “Mentre stai lavorando, sto fottendo la tua vecchia, ecco una foto” e “[tua figlia] ha appena avuto un grave incidente… ecco dove è ricoverata”.

Nello stesso anno, il New York Times ha riferito che i telefoni di attivisti politici messicani per i diritti umani e anticorruzione, che stavano indagando su possibili crimini commessi dal governo e dai suoi agenti, erano stati infettati da Pegasus. Il NYT ha affermato che le vittime hanno notato le intrusioni per la prima volta nell’estate del 2016.

Il governo messicano ha negato ogni responsabilità in merito allo spionaggio.

2018

Nell’agosto 2018 Amnesty International ha affermato che uno dei membri del suo personale, così come molti sauditi difensori dei diritti umani, erano stati presi di mira con il software Pegasus, utilizzando messaggi di testo con link che dicevano, ad esempio:

Puoi per favore coprire [la protesta] davanti all’ambasciata saudita a Washington per i fratelli detenuti in Arabia Saudita? Mio fratello sta facendo il Ramadan e io sono qui con una borsa di studio, quindi per favore non taggarmi”.

Quando Amnesty ha collegato lo spionaggio alla NSO, l’azienda ha risposto: “Il nostro prodotto è destinato esclusivamente alle indagini e alla prevenzione di crimini e terrorismo. Qualsiasi utilizzo della nostra tecnologia contrario a tale scopo costituisce una violazione delle nostre politiche, dei contratti legali e dei nostri valori come azienda”.

In seguito Amnesty ha affermato che alla luce dell’attacco informatico stava considerando un’azione legale per costringere il ministero della Difesa israeliano a revocare la licenza di esportazione a NSO.

Nello stesso mese di agosto, il New York Times ha riferito che NSO stava affrontando due cause legali con l’accusa di aver partecipato attivamente allo spionaggio illegale.

Il giornale affermava che le cause, intentate da un cittadino del Qatar e da giornalisti e attivisti messicani, erano state depositate in Israele e a Cipro, e che i documenti presentati a sostegno delle accuse dimostravano che gli Emirati Arabi Uniti avevano utilizzato lo spyware Pegasus per almeno un anno.

Secondo il NYT, gli Emirati avevano intercettato i telefoni dell’emiro del Qatar, di un caporedattore di un giornale con sede a Londra e di un potente principe saudita. Gli Emirati Arabi Uniti, insieme al Bahrain e all’Arabia Saudita, erano a quel tempo coinvolti in una disputa con il Qatar che portò il trio a imporre un blocco terrestre e marittimo contro il loro vicino.

Nell’ottobre 2018 Citizen Lab ha dichiarato che il software Pegasus aveva attaccato il telefono di un caro amico di Jamal Khashoggi, Omar Abdulaziz, prima dell’omicidio del dissidente e che il software aveva preso di mira difensori dei diritti umani in Bahrain, negli Emirati Arabi Uniti e altrove.

Lo stesso mese l’informatore statunitense Edward Snowden aveva affermato che Pegasus era stato utilizzato dalle autorità saudite per sorvegliare Khashoggi prima della sua morte.

“Sono il peggio del peggio”, ha detto Snowden dell’azienda. NSO nega che la sua tecnologia sia stata “in alcun modo” utilizzata per l’omicidio.

Sempre a ottobre, Citizen Lab ha affermato che i suoi stessi ricercatori erano stati presi di mira da agenti collegati alla NSO. La NSO ha negato le accuse.

A novembre Haaretz ha riferito che nell’estate del 2017 NSO aveva firmato un accordo con l’intelligence saudita.

Rispondendo ad Haaretz, NSO ha affermato che “ha operato e opera esclusivamente in conformità con le leggi sull’esportazione della difesa e secondo le linee guida e la stretta supervisione di tutti i componenti dell’establishment della Difesa [israeliana, ndtr.], comprese tutte le questioni relative alle politiche e alle licenze di esportazione. Le informazioni fornite da Haaretz sull’azienda, sui suoi prodotti e sul loro utilizzo sono errate, basate su voci e pettegolezzi di parte. Il quadro distorce la realtà”.

Poi, secondo quanto riportato dal New York Times, a dicembre Abdulaziz ha intentato una causa contro NSO, sostenendo che la società aveva aiutato i sauditi a spiare le sue comunicazioni con Khashoggi.

Il Gruppo NSO ha affermato ancora una volta che la sua tecnologia è stata “concessa su licenza al solo scopo di fornire ai governi e alle forze dell’ordine la capacità di combattere legalmente il terrorismo e la criminalità”.

I contratti per l’utilizzo del software, ha aggiunto, “vengono forniti solo dopo un completo controllo e previa autorizzazione da parte del governo israeliano”, ha affermato NSO.

Non tolleriamo un uso improprio dei nostri prodotti. Se c’è il sospetto di un uso improprio, indaghiamo e intraprendiamo le azioni necessarie, inclusa la sospensione o la risoluzione del contratto”, ha aggiunto.

L’amministratore delegato della società, Shalev Hulio ha affermato in seguito che NSO non era stata coinvolta nel “terribile omicidio”, ma non ha risposto in merito alla segnalazione secondo cui Hulio era andato personalmente a Riyadh per vendere il software Pegasus ai sauditi.

2019

Nel febbraio 2019, una società di private equity [che apporta nuovi capitali a una società come investimento finanziario, ndtr.] ha acquistato lo spyware NSO e ha dichiarato a Citizen Lab di essere “impegnata ad aiutarla a diventare più trasparente in merito alla sua attività”.

E ad aprile, secondo quanto riferito, l’azienda ha congelato dei nuovi accordi con l’Arabia Saudita.

A maggio, Amnesty ha affermato che avrebbe presentato una petizione legale al tribunale distrettuale di Tel Aviv per bloccare le licenze di esportazione di NSO, e uno scrittore satirico saudita che vive in esilio a Londra ha intentato un’azione legale contro l’Arabia Saudita, accusando il Paese di aver utilizzato lo spyware Pegasus per ottenere informazioni personali dal suo telefono.

Lo stesso mese un’indagine del Financial Times ha rivelato che dei malintenzionati stavano sfruttando la funzione di chiamata di WhatsApp telefonando alle vittime per diffondere Pegasus.

“In nessun caso NSO è stata coinvolta nell’operazione o nell’identificazione degli obiettivi della sua tecnologia, che è gestita esclusivamente da agenzie di intelligence e forze dell’ordine”, ha risposto la società al FT. “NSO non avrebbe, o non potrebbe, utilizzare il software in proprio per prendere di mira qualsiasi persona o organizzazione”.

Nell’ottobre dello stesso anno WhatsApp, di proprietà di Facebook, ha intentato una causa contro il gruppo NSO accusandolo di aver cercato illegalmente di sorvegliare giornalisti, attivisti per i diritti umani e altri in 20 Paesi tra cui Messico, Emirati Arabi Uniti e Bahrain.

L’azione legale, intentata in California presso un tribunale federale degli Stati Uniti, accusava il gruppo NSO di aver cercato di infettare circa 1.400 “dispositivi bersaglio” con spyware ostile che potrebbe essere utilizzato per rubare informazioni agli utenti di WhatsApp.

“Contestiamo recisamente le accuse odierne e le combatteremo con forza”, ha affermato il gruppo NSO in una nota.

“L’unico scopo di NSO è fornire tecnologia all’intelligence governativa autorizzata e alle forze dell’ordine per aiutarli a combattere il terrorismo e gravi forme di criminalità”.

Un mese prima, a settembre, NSO aveva messo a punto una politica dei diritti umani, affermando che avrebbe rispettato i principi guida delle Nazioni Unite.

A novembre, un gruppo di dipendenti di NSO ha intentato una causa contro Facebook, affermando che il gigante dei social media aveva bloccato ingiustamente i loro account privati quando aveva fatto causa a NSO il mese prima, accusando Facebook di “punizione collettiva”.

Il giorno prima, intervenendo a una conferenza sulla tecnologia a Tel Aviv, il presidente della NSO Shiri Dolev aveva difeso la sua azienda, affermando che le tecnologie NSO hanno reso il mondo più sicuro.

Dolev ha anche affermato di auspicare che NSO possa parlare apertamente del ruolo che svolge nell’aiutare le forze dell’ordine a catturare i terroristi.

“Terroristi e criminali usano le piattaforme e le app dei social che usiamo tutti noi ogni giorno”, ha detto.

2020

Nel gennaio 2020 un giudice israeliano ha ordinato a NSO di affrontare la denuncia di pirateria informatica intentata contro il Gruppo dall’attivista saudita Omar Abdulaziz e di pagare le sue spese legali, e un tribunale ha stabilito che la causa legale di Amnesty per impedire a NSO di esportare il suo software si sarebbe dibattuta a porte chiuse.

Lo stesso mese Reuters ha riferito che almeno dal 2017 l’FBI stava indagando su NSO riguardo al suo possibile coinvolgimento in un attacco informatico contro cittadini e società statunitensi, nonché per una sospetta raccolta di informazioni nei confronti di governi.

La società ha affermato di non essere a conoscenza di alcuna inchiesta.

Secondo The Guardian ad aprile i documenti del tribunale relativi al caso WhatsApp dimostravano come NSO avesse negato ogni responsabilità per come era stata utilizzata la sua tecnologia, affermando che WhatsApp aveva “confuso” le azioni di NSO con quelle dei suoi “clienti sovrani”.

I governi clienti agiscono prendendo tutte le decisioni su come utilizzare la tecnologia”, ha affermato la società. “Se qualcuno ha installato Pegasus su un qualche presunto ‘dispositivo bersaglio’ non sono stati gli imputati [Gruppo NSO] a farlo. Sarebbe stato un ente di un governo sovrano”.

“Il Gruppo NSO non gestisce il software Pegasus per i suoi clienti”, ha detto a The Guardian.

A giugno, un’indagine di Amnesty International ha rivelato che lo spyware della NSO era stato utilizzato contro il noto giornalista marocchino e difensore dei diritti umani Omar Radi.

Il rapporto di Amnesty afferma che l’attacco a Radi era avvenuto tre giorni dopo l’annuncio della nuova politica dei diritti umani della NSO.

In risposta, NSO ha dichiarato di essere “profondamente turbata” dalle accuse e che avrebbe immediatamente avviato un’indagine.

“Coerentemente con la propria politica dei diritti umani, il Gruppo NSO considera seriamente la responsabilità di rispettare i diritti umani ed è fortemente impegnata a evitare di causare, contribuire o essere direttamente collegata a effetti negativi sui diritti umani”, ha affermato NSO in una nota.

Comunque la società ha preso le distanze dall’accusa di avere legami con le autorità marocchine e ha affermato che, per la natura della sua attività, deve salvaguardare la riservatezza dei suoi clienti.

“Siamo obbligati a rispettare gli interessi di riservatezza degli Stati e non possiamo rivelare l’identità dei clienti”, ha affermato NSO.

Martedì Radi è stato condannato a sei anni di carcere per aggressione sessuale e spionaggio, accuse che lui nega.

Nel luglio 2020, un tribunale di Tel Aviv ha respinto la petizione di Amnesty e 30 attivisti per i diritti umani che chiedevano di revocare la licenza di esportazione al gruppo NSO, affermando che non avevano fornito prove del fatto che il software Pegasus fosse stato utilizzato per spiare gli attivisti della ONG britannica.

Le indagini di luglio e agosto hanno rivelato che il software Pegasus era stato utilizzato per spiare politici catalani in Spagna e sacerdoti in Togo.

A dicembre Citizen Lab ha riferito che dozzine di giornalisti dell’agenzia di stampa Al Jazeera, finanziata dal Qatar, sono stati presi di mira con un attacco di Pegasus tramite iMessage, attacchi probabilmente collegati ai governi dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti.

Un giornalista di Al Jazeera ha detto di aver ricevuto minacce di morte sul suo telefono: “Hanno minacciato di farmi diventare il nuovo Jamal Khashoggi”.

In una dichiarazione il gruppo NSO ha messo in dubbio le accuse di Citizen Lab, ma ha affermato di “non essere in grado di commentare un rapporto che non abbiamo ancora visto”.

L’azienda ha affermato di fornire software al solo scopo di consentire “alle forze dell’ordine governative di affrontare la criminalità organizzata e l’antiterrorismo”.

All’inizio di quel mese, una conduttrice televisiva di Al Jazeera ha intentato un’altra causa negli Stati Uniti, sostenendo che il gruppo NSO ha hackerato il suo telefono tramite WhatsApp a causa delle sue critiche al potente principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman.

A dicembre, una coalizione di associazioni per i diritti umani, tra cui il gruppo per i diritti sulla rete Access Now, Amnesty International, il Comitato per la Protezione dei Giornalisti e Reporter senza Frontiere, si è unita alla lotta legale di Facebook contro NSO, sostenendo che la società dà la priorità ai profitti rispetto ai diritti umani, facendo seguito a un’azione simile promossa da una serie di grandi aziende tecnologiche tra cui Google e Microsoft.

2021

A marzo The Guardian ha riferito che il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha ripreso le indagini sul gruppo NSO, dopo mesi in cui le principali società tecnologiche statunitensi andavano affermando che l’azienda israeliana è “potente e pericolosa” e non dovrebbe avere l’immunità per il suo ruolo nelle operazioni di pirateria informatica.

Il Guardian ha riferito che all’inizio del 2020 il gruppo NSO era stato oggetto di un’indagine dell’FBI, che però sembrava essersi arenata e il Dipartimento di Giustizia stava ora mostrando un nuovo interesse per il caso.

A luglio, un’indagine condotta da Forbidden Stories e Amnesty International ha rivelato che i telefoni di migliaia di giornalisti, attivisti e funzionari sono stati presi di mira o violati utilizzando Pegasus.

In risposta, NSO ha respinto le “false affermazioni”, ha definito le accuse “teorie non provate” e parte di una “narrazione oscena… strategicamente inventata da diversi gruppi di interessi specifici strettamente allineati”.

“Le tecnologie vengono utilizzate ogni giorno anche per spezzare i circuiti di pedofilia, sesso e traffico di droga, individuare i bambini scomparsi e rapiti e i sopravvissuti intrappolati sotto edifici crollati e proteggere lo spazio aereo dalla dannosa penetrazione di pericolosi droni”, ha aggiunto.

“In parole povere, NSO ha una missione salvavita e la società proseguirà imperterrita ad adempiere a questa missione, nonostante i continui tentativi di screditarla su false basi “.

“Nonostante quanto sopra”, ha aggiunto, “NSO continuerà a indagare su tutte le affermazioni credibili di un uso scorretto e a intraprendere azioni appropriate in base ai risultati di quelle indagini”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Cannes: gli attori palestinesi protestano contro “la cancellazione culturale” della Palestina

Ci opponiamo ad ogni forma di repressione da parte del regime israeliano, che impedisce al popolo palestinese di vivere, esistere e creare”, hanno dichiarato i dodici attori principali del film ‘Let there be morning’.

MEE

12 luglio 2021- Middle East Eye

Gli attori palestinesi del lungometraggio Let there be morning [Che sia mattina] hanno boicottato il Festival di Cannes che si sta attualmente svolgendo per protestare contro “la cancellazione culturale” della Palestina.

Non possiamo ignorare la contraddizione della presentazione del film a Cannes con la dicitura ‘film israeliano’, mentre Israele continua a condurre da molti decenni la sua campagna coloniale di pulizia etnica, espulsioni e apartheid contro di noi, il popolo palestinese”, hanno dichiarato i dodici attori in una lettera indirizzata alla direzione del festival.

Noi resistiamo ad ogni forma di oppressione coloniale israeliana contro il diritto del popolo palestinese a vivere, esistere e creare”, proseguono gli attori Alex Bakri, Juna Suleiman, Ehab Elias Salameh, Salim Daw, Izabel Ramadan, Samer Bisharat, Yara Jarrar, Marwan Hamdan, Duraid Liddawi, Areen Saba, Adib Safadi e Sobhi Hosary, che denunciano “la cancellazione pregiudizievole che viene inflitta ai palestinesi” nel momento in cui il loro lavoro viene presentato sui media come “israeliano”.

Ogni volta che l’industria cinematografica ritiene che noi e il nostro lavoro ricadiamo sotto la dicitura etnico-nazionale di “israeliano”, viene per prima cosa perpetuata una realtà inaccettabile che assegna a noi, artisti palestinesi con cittadinanza israeliana, un’identità imposta dalla colonizzazione sionista per mantenere la continua oppressione dei palestinesi all’interno della Palestina storica, la negazione della nostra lingua, della nostra storia e della nostra identità,” hanno scritto in particolare gli attori.

Pretendere che noi restiamo inerti ed accettiamo questa etichetta (…) non soltanto normalizza l’apartheid, ma continua anche a consentire la negazione e il mascheramento della violenza e dei crimini inflitti ai palestinesi,” aggiungono.

Siamo uniti e facciamo appello alla comunità artistica ed internazionale perché amplifichino la voce dei palestinesi. Ci opponiamo ad ogni forma di repressione da parte del regime israeliano (che impedisce) al popolo palestinese di vivere, esistere e creare”, concludono gli attori.

Il regista del film, l’israeliano Eran Kolirin, ha condiviso sulla sua pagina Facebook la lettera dei suoi attori con questo messaggio: “Amo queste persone. Rispetto la loro decisione (anche se mi sarebbe piaciuto che fossero presenti per celebrare insieme a me il loro valore artistico) e sostengo la loro lotta. Grazie per le belle parole, bravissimi attori”.

Reazione indignata di un ministro israeliano

Let there be morning, tratto da un romanzo dello scrittore arabo israeliano Sayed Kashua, narra la storia di un cittadino palestinese di Israele costretto a riconciliarsi con la sua identità quando ritorna nel suo villaggio natale, che trova circondato da un muro.

Secondo il sito [israeliano] JForum, “fonti del Ministero della Cultura hanno confermato che il film è stato supportato dallo Stato di Israele”.

Chi ha chiesto un finanziamento allo Stato israeliano per fare film e utilizzare il suo denaro non dovrebbe vergognarsi di Israele. La libertà di espressione è importante, soprattutto per coloro che ne traggono profitto, l’opportunità di produrre in Israele, l’opportunità di ricevere un finanziamento dal nostro Paese”, ha reagito il ministro israeliano della Cultura e dello Sport, Hili Trooper [del partito centrista “Blue e Bianco”, ndtr.].

Il film è sostenuto dal Fondo cinematografico israeliano per la somma di due milioni di shekel (circa 500.000 euro) e da circa due milioni di shekel aggiuntivi da parte della Francia e della Germania (…). Di conseguenza al Festival di Cannes il film è registrato in catalogo come un film i cui Paesi di produzione sono Israele, la Germania e la Francia”, ha risposto il regista Eran Kolirin.

Il finanziamento israeliano, spiega ancora il regista, proviene anche dalle imposte che pagano quegli stessi attori, che in cambio “si vedono rifiutare il diritto di mostrare la loro identità palestinese, dato che lo Stato li costringe a salire sul palco e presentare la loro storia come ‘israeliana’”.

Eran Kilirin ha altresì denunciato “la paranoia del precedente governo (guidato da Benjamin Netanyahu), in cui il termine palestinese era bandito, espunto e taciuto”.

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




Sheikh Jarrah: le forze israeliane feriscono più di 20 palestinesi nella Gerusalemme est occupata

A cura della redazione di MEE

22 giugno 2021 – Middle East Eye

Le forze israeliane hanno riferito di aver usato nel quartiere granate stordenti, spray al peperoncino e proiettili ricoperti di gomma

Lunedì sera nella Gerusalemme est occupata più di 20 palestinesi sono stati feriti nel corso di un raid delle forze israeliane nel quartiere di Sheikh Jarrah.

Gli abitanti palestinesi di Sheikh Jarrah stanno affrontando delle espulsioni forzate finalizzate a consentire ai coloni israeliani la presa di possesso delle loro case.

L’area è diventata un fulcro di proteste e sit-in di solidarietà che raccolgono palestinesi e israeliani contrari all’occupazione e attivisti internazionali che sostengono gli abitanti di Sheikh Jarrah.

Lunedì la Mezzaluna Rossa Palestinese ha riferito che nella zona 21 persone avrebbero subito dei danni, 13 per aver inalato gas lacrimogeni, tre a causa dello spray al peperoncino e due per essere state colpite da proiettili di metallo ricoperti di gomma sparati dalle forze di polizia israeliane.

L’organizzazione ha aggiunto che due persone avrebbero riportato ferite a causa delle percosse, mentre un anziano sarebbe stato ricoverato in ospedale in seguito a un trauma cranico.

La Mezzaluna Rossa Palestinese ha affermato che i coloni di Sheikh Jarrah avrebbero lanciato pietre contro una delle loro ambulanze, mentre su un’altra le forze israeliane avrebbero spruzzato dell’acqua puzzolente.

Secondo Haaretz la polizia israeliana ha riferito che un colono avrebbe subito una ferita alla schiena in seguito al lancio di una pietra.

Saleh Diab, un attivista palestinese, ha detto all’agenzia di stampa ufficiale palestinese Wafa che a Sheikh Jarrah le forze di polizia israeliane, mentre sparavano granate stordenti e proiettili ricoperti di gomma, avrebbero arrestato due palestinesi e, nell’assalire le case delle famiglie al-Kurd e al-Qasem, alle prese con un’imminente un’espulsione, avrebbero aggredito gli abitanti con manganelli.

Arresti in Cisgiordania

Nel corso dei raid di lunedì sera e martedì mattina nella Cisgiordania occupata la polizia israeliana ha arrestato 35 palestinesi. Tali raid notturni in città e villaggi palestinesi vengono effettuati dalle forze israeliane e da unità sotto copertura quasi quotidianamente.

Secondo Wafa nel villaggio di Qarawat Bani Hassan, nel nord della Cisgiordania, sono stati arrestati 14 palestinesi, 12 dei quali appartenenti alla famiglia Marei.

Altri sette palestinesi sono stati arrestati a Jenin e due a Tulkarm, mentre nel quartiere di Silwan, a sud della moschea di al-Aqsa a Gerusalemme est, ne sono stati arrestati 10.

Gli arresti sono stati effettuati ​​lunedì quando i coloni israeliani hanno fatto irruzione nella moschea di al-Aqsa, affiancati dalla polizia israeliana.

I coloni sono entrati nel sito dalla Porta Marocchina, a est della Moschea di Al-Aqsa, che conduce alla piazza del Muro Occidentale, dove gli israeliani recitano le preghiere.

Il Jerusalem Islamic Waqf, l’istituzione religiosa palestinese che amministra il sito, ha affermato che i coloni avrebbero svolto le preghiere ebraiche di fronte alla porta di al-Rahmeh e alla moschea della Cupola della Roccia, e avrebbero ascoltato un sermone sul Terzo Tempio ebraico [detto anche Tempio di Ezechiele, descritto e profetizzato nel Libro di Ezechiele, ndtr.].

Nonostante il divieto di pregare lì, i coloni entrano regolarmente nella moschea di Al-Aqsa, con l’obiettivo di rafforzare la presenza ebraica sul sito, tanto che alcuni chiedono la distruzione della moschea della Cupola della Roccia per costruire un tempio ebraico al suo posto.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele-Palestina: pestaggi, arresti e grida di “morte agli arabi” durante la marcia dell’estrema destra nella Città Vecchia di Gerusalemme

Shady Giorgio da Gerusalemme

15 giugno 2021 – Middle East Eye

La polizia israeliana ha chiuso la simbolica Porta di Damasco e ha picchiato e arrestato i palestinesi nel corso del corteo per due volte posticipato

Martedì la polizia israeliana ha picchiato e arrestato dei palestinesi dopo aver chiuso la Porta di Damasco per far posto agli israeliani che si radunavano per l’inizio di una provocatoria marcia nazionalista attraverso la città vecchia della Gerusalemme est occupata.

La cosiddetta marcia della bandiera si è tenuta martedì dopo essere stata annullata nei giorni in cui le ripetute azioni repressive israeliane nella moschea di al-Aqsa e la minaccia di espulsione delle famiglie palestinesi stavano causando dei tumulti a Gerusalemme.

Prima della marcia, dopo aver chiuso alcune strade e la Porta di Damasco, la polizia israeliana ha arrestato a Gerusalemme dei palestinesi. I video pubblicati su Twitter mostrano agenti israeliani che picchiano un palestinese sui gradini della Porta di Damasco.

La Mezzaluna Rossa ha riferito che durante gli scontri con le forze dell’ordine israeliane nella zona della Città Vecchia sono rimaste ferite 27 persone, di cui tre a causa di proiettili d’acciaio ricoperti di gomma, uno dopo essere stato picchiato e un altro colpito da una granata stordente. Due persone sono state ricoverate.

Le autorità hanno picchiato i venditori che lavoravano nei negozi vicini alla Porta di Damasco e li hanno allontanati dalla Città Vecchia. L’area intorno alla Porta è stata isolata nel primo pomeriggio di martedì, fatta eccezione per i giornalisti, con diverse barriere erette per favorire il passaggio della marcia dei coloni.

Grida di “morte agli arabi”

All’inizio della marcia più di mille israeliani si sono radunati nella piazza della Porta di Damasco sventolando bandiere nazionali e cantando gli inni del movimento dei coloni.

I video pubblicati sui social media mostrano gli israeliani che sventolano bandiere e gridano “morte agli arabi”.

Alcuni di loro hanno issato sulle loro spalle Itamar Ben-Gvir, il parlamentare di estrema destra e alleato di Benjamin Netanyahu, e Bezalel Smotrich, leader della fazione Sionismo Religioso di estrema destra.

Prima della marcia le autorità israeliane hanno alzato il livello di allerta nel Paese, rinforzando lo schieramento di forze di polizia e di militari vicino alla Striscia di Gaza sotto assedio e nelle città israeliane con popolazione mista ebrea e palestinese.

Martedì pomeriggio sono stati lanciati da Gaza in Israele alcuni palloni incendiari e sono stati segnalati 20 incendi lungo il confine con Gaza.

Inoltre, in previsione di una possibile escalation a Gaza, le autorità israeliane hanno dirottato verso la “Rotta del Nord” i voli in entrata e in uscita da Israele.

La marcia si è svolta lungo le mura della Città Vecchia dalla Porta di Damasco alla Porta di Giaffa, prima di dirigersi verso il Muro Occidentale.

Contro manifestazioni palestinesi hanno avuto luogo a Gerusalemme e in città israeliane con un numero significativo di palestinesi, in seguito all’invito da parte di alcune organizzazioni palestinesi ad una “giornata della rabbia” in segno di denuncia contro la marcia dell’estrema destra.

Nella città di Gaza alcuni manifestanti hanno dato fuoco a immagini dell’ex leader Netanyahu e del suo successore appena nominato, il nazionalista ebreo favorevole al colonialismo ed informatico milionario Naftali Bennett.

Il primo test del nuovo governo

La Marcia della Bandiera si tiene solitamente in occasione del Giorno di Gerusalemme, che segna la conquista e la successiva occupazione di Gerusalemme Est da parte di Israele nella guerra mediorientale del 1967.

La marcia riunisce generalmente migliaia di giovani religiosi israeliani di estrema destra, che intonano slogan anti-palestinesi e sventolano bandiere israeliane mentre attraversano le stradine della Città Vecchia di Gerusalemme est.

Il percorso della Marcia della Bandiera, inizialmente programmata per il 10 maggio, è stato deviato dal luogo critico della Porta di Damasco in seguito alle proteste palestinesi contro la prevista espulsione forzata dei palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah e i violenti attacchi delle forze israeliane alla moschea di al-Aqsa.

Quel giorno la marcia è stata annullata in seguito al suono delle sirene quando Hamas ha lanciato da Gaza quattro razzi verso Gerusalemme dopo che Israele aveva ignorato il suo ultimatum che chiedeva il ritiro delle forze israeliane da al-Aqsa.

Nei successivi 11 giorni l’esercito israeliano e Hamas si sono impegnati in una guerra che avrebbe causato 248 morti a Gaza e 13 in Israele.

La marcia è stata successivamente riprogrammata per il 10 giugno, ma ancora una volta rinviata in seguito alla minaccia da parte di Hamas di una ripresa delle ostilità nel caso in cui avesse avuto luogo.

La nuova data per la marcia è stata stabilita l’8 giugno dal gabinetto dell’allora primo ministro Benjamin Netanyahu, che domenica è stato destituito dal parlamento israeliano dopo 12 anni trascorsi nella carica di primo ministro.

La Marcia della Bandiera sarà il primo test per il fragile governo di coalizione di Bennett, messo insieme dal centrista laico Yair Lapid, un ex presentatore televisivo, e comprendente otto partiti, che vanno da Yamina di Bennett, di estrema destra, al partito laburista di sinistra e a un partito islamista che rappresenta parte dei cittadini palestinesi di Israele.

Anche se Bennett è un membro di spicco dell’estrema destra israeliana, Netanyahu ha etichettato il nuovo governo come un “pericoloso” governo di “sinistra” e lo ha accusato di essere “la più grande frode elettorale nella storia” di Israele.

Una provocazione contro la nostra gente

I suprematisti ebrei, tra cui il deputato israeliano Itamar Ben-Gvir, hanno nel frattempo promesso di partecipare alla marcia indipendentemente da quanto ne potessero dire il nuovo governo – o i palestinesi.

“Arriverò oggi per partecipare alla parata della bandiera e sventolerò la bandiera israeliana”, ha scritto su Twitter martedì mattina. “Non abbiamo bisogno del permesso di Hamas o della Jihad islamica per marciare nella capitale di Israele”.

marcia come “una provocazione e un’aggressione che dovrà cessare contro il nostro popolo, Gerusalemme e la sua sacralità”.

Lunedì Shtayyeh ha twittato: “Mettiamo in guardia dalle pericolose ripercussioni che potrebbero derivare dall’intenzione della potenza occupante di consentire ai coloni israeliani estremisti di tenere domani la Marcia della Bandiera nella Gerusalemme occupata”.

Ad aprile i coloni israeliani avevano già marciato per le strade della Città Vecchia di Gerusalemme scandendo “morte agli arabi”, scatenando scontri tra palestinesi e polizia militare israeliana, la quale ha impedito ai primi di accedere alla piazza della Porta di Damasco.

L’inviato delle Nazioni Unite per la pace in Medio Oriente, Tor Wennesland, ha invitato “tutte le parti interessate ad agire in modo responsabile e ad evitare qualsiasi provocazione che potrebbe portare a un altro scontro”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




L’odio, la paura e il tradimento: l’eredità di Netanyahu

Richard Silverstein

Giovedì 3 giugno 2021 – Middle East Eye

Mentre il panorama politico è a pezzi, a Israele e ai suoi nuovi dirigenti si pone la seguente domanda: riusciranno a rimediare ai danni provocati da Netanyahu? O la sua influenza continuerà a incombere?

Mercoledì, dopo 12 anni di seguito come primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu è stato spodestato. In precedenza aveva già completato un mandato di tre anni. È il dirigente israeliano con la maggior longevità politica.

Non è ancora detta l’ultima parola, la Knesset non ha ancora confermato il nuovo governo e Netanyahu può ancora far cambiare idea ad alcuni membri di destra della coalizione di Yair Lapid [politico di centro incaricato di formare una maggioranza, ndtr.].

Negli ultimi anni si è avuta l’impressione che in Israele potesse succedere di tutto tranne la fine del regno di Netanyahu. Anche se è stato destituito, si sa già che si avrà ancora a che fare con lui. Ma a questo punto è interessante esaminare il suo regno, che non ha dato grandi risultati.

A livello nazionale ha diviso per governare meglio. Non soltanto ha demonizzato i soliti sospettati, come i partiti di sinistra e i militanti dei diritti dell’uomo – se l’è presa persino con le Ong che hanno testimoniato davanti ai tribunali dell’ONU riguardo ai possibili crimini di guerra israeliani ed ha adottato una legge che le obbliga a rivelare pubblicamente i loro finanziatori esteri -, ma ha demonizzato i suoi oppositori politici ed è andato ben oltre il semplice dissenso. Gli oppositori di Netanyahu sarebbero traditori della Nazione. Svenderebbero il Paese consentendo [la creazione di] uno Stato palestinese. Sarebbero troppo moderati verso Hamas e gli permetterebbero di lanciare di nuovo i razzi, ha affermato.

Persino nel suo stesso partito, il Likud, Netanyahu se l’è presa con suoi antichi protetti. I suoi capi di gabinetto sono noti per essere diventati i suoi più feroci avversari politici. Di fatto il futuro primo ministro, Naftali Bennett, è stato responsabile della sua campagna elettorale, come Avigdor Lieberman, che si è fatto le ossa in politica sotto Netanyahu. Persino i suoi mentori, come l’ex-presidente Reuven Rivlin, che ha contribuito a farlo arrivare al potere, erano considerati come delle minacce. Quando Rivlin si è presentato alla presidenza, il primo ministro ha condotto un’infruttuosa campagna per sabotare la sua candidatura.

Nessuna visione coerente

Netanyahu non ha un vero programma politico coerente nel quale i suoi sostenitori si possano riconoscere. Conta principalmente sull’ideologia ultranazionalista dei coloni, che si è infiltrata nella società israeliana e domina ormai le leve del potere statale. Ha costruito decine di migliaia di nuovi appartamenti nelle colonie. Durante il suo regno la pulizia etnica dei palestinesi sia in Cisgiordania che a Gerusalemme est è continuata.

Il suo obiettivo, come quello dei suoi padrini coloni, è stato distruggere ogni possibilità di uno Stato palestinese. In ciò ha avuto decisamente successo. Attualmente nessun partito politico, di quelli che si dicono di sinistra, ha fatto dei diritti nazionali dei palestinesi una priorità. Persino i politici di sinistra e di centro minimizzano queste opinioni. Pochi sostengono una soluzione a due Stati. Le uniche personalità che la propongono sono i democratici americani e i sionisti liberali ebrei americani.

Nel 2018 Netanyahu ha portato all’approvazione della Knesset la legge sullo Stato-Nazione. Essa esclude la minoranza palestinese [con cittadinanza israeliana, ndtr.] da ogni status giuridico nazionale ufficiale. L’arabo non è più una lingua ufficiale. Così Israele è diventato uno Stato degli ebrei solo per gli ebrei. I palestinesi che sono diventati cittadini di Israele nel 1948 si sono sentiti vilipesi. I loro diritti, nei limiti in cui ne hanno avuti, sono stati disprezzati. Di fatto si possono far risalire i disordini che il mese scorso si sono diffusi a macchia d’olio nelle città miste di Israele a questa legge detestata.

Nel quadro dei tentativi di lunga data per concentrare il potere nelle proprie mani, Netanyahu è riuscito a prendere il controllo della maggior parte dei media nazionali. Ha in particolare concepito accordi corrotti che ricompensavano finanziariamente i responsabili di mezzi di comunicazione in cambio di una copertura mediatica favorevole. Attualmente è imputato penalmente per tre casi distinti. Se non fosse stata formata la nuova coalizione di governo, una condanna lo avrebbe obbligato a dare le dimissioni.

Nemici esterni

Sul piano regionale la paura che Netanyahu ha generato tra gli israeliani nei confronti di nemici esterni ha creato un sentimento artificioso di coesione, cosa che gli ha consentito di unire il Paese di fronte a forze ostili. Aveva bisogno di nemici come l’Iran, Hamas ed Hezbollah per conservare la presa sull’elettorato israeliano. Ha lanciato una campagna terroristica di dieci anni contro l’Iran e quello che secondo lui sarebbe il suo tentativo di dominio sulla regione.

Ha ordinato al Mossad [servizio segreto israeliano per le operazioni all’estero, ndtr.] di sabotare il suo programma nucleare uccidendo scienziati e bombardando basi missilistiche e istallazioni nucleari. Netanyahu ha ordinato attacchi aerei contro le basi militari iraniane in Siria ed ha organizzato bombardamenti contro gli Hezbollah libanesi, uno dei principali alleati regionali di Teheran, che si battono anche a fianco delle forze governative siriane.

Nel 2014 Netanyahu ha annunciato l’operazione “Margine protettivo” ed ha invaso Gaza per porre fine al lancio di razzi contro Israele. Sono morti più di 2.300 palestinesi. Si trattava in grande maggioranza di civili. Questo attacco ha portato a un cessate il fuoco, ma non ha risolto nessuno dei principali problemi che dividono Hamas e Israele.

Il mese scorso, di fronte ai missili lanciati da Hamas come risposta alla brutalità della polizia israeliana nel complesso della moschea di al-Aqsa e in solidarietà con le famiglie palestinesi [minacciate di espulsione dalle proprie case, ndtr.] di Sheikh Jarrah [quartiere di Gerusalemme est, ndtr.], Netanyahu ha ancora una volta lanciato un’offensiva contro Gaza. Questa volta l’operazione militare è durata solo 11 giorni a causa dell’intervento del presidente americano Joe Biden. A Gaza sono morti più di 250 palestinesi, di cui 66 minorenni.

Contrariamente alle precedenti offensive, né gli israeliani né il resto del mondo sono stati convinti dalle affermazioni di Netanyahu secondo cui Israele non faceva altro che difendersi contro i razzi di Hamas. Al contrario hanno considerato gli spietati bombardamenti israeliani come atti di aggressione contro una popolazione civile. Questa guerra non aveva alcun obiettivo strategico se non aiutare a mantenere Netanyahu al potere, in quanto i suoi rivali non avrebbero osato complottare contro di lui mentre il Paese era in guerra.

Mentre il mondo si è ribellato contro Israele, gli stessi israeliani si sono stancati di questa aggressività e di questa bellicosità. Si sono ancor più stancati delle molteplici accuse di corruzione avanzate contro di lui dal procuratore generale.

L’odio in eredità

Come l’ex presidente americano Donald Trump, Netanyahu ha sempre avuto il sostegno di una irriducibile minoranza di israeliani che credono in lui qualunque cosa faccia. Ma non ha mai avuto una maggioranza. Al contrario, come Trump, la maggioranza degli israeliani non lo approvava e non si fidava di lui, ma mai in modo tale da creare un’opposizione unita in grado di scacciarlo dal potere.

Finché ha potuto è rimasto al comando, non perché fosse apprezzato, ma perché l’opposizione era frammentata e non emergeva una personalità che raccogliesse il sostegno sufficiente per cacciarlo. Ciò è dipeso in parte dal modo in cui Netanyahu ha denigrato con successo i suoi rivali e li ha presentati come una seconda scelta.

Netanyahu lascia in eredità l’odio, la paura e il tradimento. Il panorama politico è a pezzi. Israele è più diviso di quanto non sia mai stato tra ricchi e poveri, laici e religiosi, palestinesi ed ebrei, destra e sinistra. Sono il testamento di Netanyahu e la sua opera. Anche con questo nuovo governo che va al potere niente promette di riparare i danni, perché la stessa coalizione è un insieme di partiti politici con ideologie e programmi che si contraddicono.

La questione che si pone a Israele e ai suoi nuovi dirigenti è la seguente: potranno porre rimedio ai danni inflitti da Netanyahu? O la sua influenza continuerà a incombere?

Richard Silverstein è l’autore del blog “Tikum Olam” che svela gli eccessi della politica israeliana di sicurezza nazionale. Il suo lavoro è stato pubblicato su Haaretz, Forward, Seattle Times e Los Angeles Times. Ha contribuito alla raccolta di saggi “A Time to speak out[Un tempo per denunciare] (Verso) dedicato alla guerra in Libano del 2006 ed è autore di un altro saggio nella raccolta Israel and Palestine: Alternate Perspectives on Statehood [Israele e Palestina: prospettive alternative di statualità] (Rowman & Littlefield).

Le opinioni espresse in questo articolo non impegnano che il suo autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione dal francese di Amedeo Rossi)




Naftali Bennett: il falco della destra israeliana sulla soglia del potere

Shir Hever

1 giugno 2021 – Middle East Eye

L’ex ministro della Difesa ha detto di non avere problemi ad uccidere gli arabi e ha sollecitato il bombardamento di Gaza. Ora sembra che metterà fine ai 12 anni di potere di Netanyahu

Trasferendo il suo sostegno da Benjamin Netanyahu al leader dell’opposizione Yair Lapid [alla guida di Yesh Atid (“C’è un futuro”), partito politico israeliano centrista e laico, ndtr.], e assicurandosi con molte probabilità la carica di primo ministro, Naftali Bennett è finito sulle prime pagine non solo all’interno di Israele ma anche sui media internazionali.

Diventare primo ministro dopo 12 anni di Netanyahu sarebbe un momento epocale per Israele e per il mondo, ma non arriverà senza turbolenze. Lapid, sebbene amico personale di Bennett, sta formando un’ampia coalizione di partiti politici piccoli e frammentati di sinistra e di estrema destra. Non sarà semplice esercitare il potere.

In quanto politico legato al movimento ebraico nazionale ortodosso, che si batte per espandere i confini dello Stato di Israele per ragioni teologiche, Bennett fa parte dei leader della destra israeliana.

Egli ha ripetutamente promesso ai suoi elettori che non formerà una coalizione con i partiti che definisce di “sinistra”, dal centrista Yesh Atid di Lapid al partito Meretz [di ispirazione laica, sionista e socialdemocratica, ndtr.] guidato da Nitzan Horowitz. Ma nei giorni scorsi Bennett ha infranto le sue promesse elettorali e ha annunciato la sua intenzione di entrare nella coalizione di Lapid, che comprende la sinistra e i palestinesi, in cambio della nomina a primo ministro.

Nel 1996 Bennett era un ufficiale dell’esercito quando nei pressi del villaggio di Kafr Kana in Libano chiese un bombardamento d’artiglieria per coprire la ritirata della sua unità. Tale fuoco di sbarramento uccise oltre 100 civili libanesi. Bennett fu quindi etichettato come un codardo per aver ordinato la ritirata e il supporto dell’artiglieria.

Come molti dei principali attori politici israeliani, tra cui il procuratore generale Avichai Mandelblitt [dal 2004 al 2011 Chief Military Advocate General, la più alta autorità giuridica nelle forze armate israeliane, ndtr.] e il leader di Yisrael Beiteinu [partito politico israeliano, appartenente all’area dell’ estrema destra nazionalista, sionista e laica, ndtr.] Avigdor Lieberman, Bennett ha iniziato la sua carriera politica con il ruolo di responsabile del personale dell’ufficio di Netanyahu, per breve tempo nel 2005, quando il capo del Likud era a capo dell’opposizione.

Questo gli aprì la strada per la direzione del partito nazionale ortodosso associato al movimento dei coloni, allora chiamato Jewish Home [Casa Ebraica, ndtr.]

Divenne il capo del Consiglio Yesha, l’alleanza dei comuni delle colonie illegali israeliane nella Cisgiordania occupata, che funge da guida informale per il movimento dei coloni.

Un leader fuori dal comune

Come politico, Naftali Bennett ha sviluppato un’immagine di uomo pieno di contraddizioni interne, uno che tenta di atteggiarsi a deciso e interventista ma che spesso non riesce ad essere all’altezza di tale ruolo. Guida il movimento dei coloni, ma vive a Raanana, sul lato israeliano della Linea Verde [linea di demarcazione stabilita negli accordi d’armistizio arabo-israeliani del 1949, ndtr.] Nella sua veste di milionario ed ex manager di un’azienda, è un leader insolito per il movimento dei coloni.

Bennett è alla guida di un movimento religioso, ma sua moglie era laica [ora è ebrea osservante, ndtr.]. Nel 2014, nel corso del conflitto di quell’anno, come ministro dell’Istruzione fece pressioni per un più brutale bombardamento della Striscia di Gaza. Durante l’invasione israeliana Bennett ha usato i contatti con i rabbini militari per ottenere informazioni che secondo lui l’esercito e il primo ministro non avrebbero condiviso con la compagine governativa.

Le dichiarazioni pubbliche di Bennett sono state studiate per collocarlo sul versante estremista, razzista e religioso della politica israeliana. Com’è noto, nel 2013 disse: “Ho ucciso molti arabi nella mia vita e ciò non è un problema” e “i palestinesi sono come un frammento [di bomba] nel sedere”. Nel 2018 ha minacciato di bombardare il Libano e riportarlo all’età della pietra.

Nel 2017 ha paragonato i genitori ebrei che protestavano contro l’indottrinamento religioso nelle scuole israeliane ai “cristiani che incolpano gli ebrei della crocifissione di Cristo” e ha definito gli ebrei di sinistra “auto-antisemiti”.

Queste affermazioni non hanno tuttavia impedito che in programmi satirici venisse deriso come immaturo, pavido e permaloso. Nel 2020 è stata resa pubblica una registrazione del 2018 in cui Netanyahu lo chiamava “cagnolino”, e a cui Bennett ha risposto: “Gli attacchi personali non mi feriscono”. I video bizzarri della sua campagna in cui è travestito da hipster [nel video Bennet intende ridicolizzare la cultura hipster espressa da giovani del ceto medio e benestante, tipica, secondo lui, della sinistra, ndtr.] con una barba finta o mentre parla con un piccione hanno alimentato la sua immagine di buffone.

Nell’aprile 2019, la prima delle quattro elezioni israeliane in due anni, Bennett ha subito l’umiliazione di non aver vinto un solo seggio quando il suo Partito della Nuova Destra non è riuscito a varcare la soglia di sbarramento.

Le complessità

Sotto Netanyahu Bennett ha ricoperto la carica di ministro in vari ambiti: ministro dei servizi religiosi, di Gerusalemme, dell’economia, della diaspora, dell’istruzione e infine ministro della difesa.

Quest’ultimo è stato notoriamente per molti anni un ardente desiderio di Bennett, ma è stato ministro della Difesa solo per pochi mesi, tra il novembre 2019 e il maggio 2020. Durante questo periodo ha per lo più supervisionato i ripetuti bombardamenti contro obiettivi iraniani in Siria, che egli ha affermato avessero ridotto al 30% la presenza delle forze sostenute dall’Iran in Siria. In tale periodo una famosa immagine di Bennett in piedi con una espressione di rabbia sul volto è stata una fonte di ulteriore derisione nei suoi confronti.

La famiglia di Bennett proviene dagli Stati Uniti, ed egli ha rilasciato ai media internazionali in lingua inglese un gran numero di interviste in cui sostiene che la Bibbia assegna agli ebrei la proprietà sulla Palestina. In una di queste interviste mostra agitandola un’antica moneta con lettere ebraiche, sostenendo che essa rappresenti una prova di tale affermazione. Bennett ha detto a Mehdi Hasan di Al Jazeera che i musulmani hanno l’obbligo di accettare il controllo ebraico della Terra Santa sulla base della loro fede.

Nelle elezioni di marzo il partito di Bennett Yamina (“a destra”) ha conquistato solo sette dei 120 seggi della Knesset, il parlamento israeliano. Uno di quei parlamentari, Amichai Chikli, ha giurato di votare contro un governo di coalizione con elementi “di sinistra” e “arabi”, e non si unirà alla coalizione di Lapid.

Alcuni elettori di Yamina hanno reagito furiosamente all’abbandono da parte di Bennett della destra guidata da Netanyahu, che non sembrava in grado di formare un proprio governo. Hanno protestato davanti alla sua casa, e Bennett ha persino ricevuto minacce di morte, costringendolo ad accettare una scorta.

Naftali Bennett potrebbe aver trovato un modo per diventare primo ministro (fintanto che regge questa traballante coalizione), ma ha perso per strada la sua base elettorale.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Intervista a Khaled Meshaal: l’alto dirigente sostiene che ora è Hamas a guidare la lotta palestinese

David Hearst

25 maggio 2021 – MIDDLE EAST EYE

Parlando a MEE Meshaal chiede a tutti i palestinesi di unirsi in una “rivolta totale” contro l’occupazione israeliana

Hamas è ora alla guida del popolo palestinese perché il ruolo principale di una leadership durante l’occupazione è condurre i palestinesi verso la libertà e la liberazione, ha detto a Middle East Eye Khaled Meshaal, capo dell’organizzazione nella diaspora.

Nella prima intervista in inglese del gruppo militante dal momento del cessate il fuoco con Israele di venerdì scorso, Meshaal invita ad una rivolta totale in “tutte le località” del territorio storico della Palestina: Gerusalemme e la Città Vecchia, la Cisgiordania e l’interno dello stesso Israele.

L’anziano dirigente, alla guida dell’ufficio politico di Hamas fino al 2017, afferma inoltre che il movimento sarebbe pronto a discutere con gli Stati Uniti.

Dice che è strano che l’amministrazione del presidente Joe Biden continui a parlare con i talebani, che hanno combattuto attivamente le truppe statunitensi in Afghanistan per quasi due decenni, e si rifiuti di parlare con Hamas, che non è impegnata a combattere gli Stati Uniti ma dal 1997 è ritenuta da Washington un’organizzazione terroristica.

In un messaggio diretto a Biden Meshaal ha aggiunto: Non vi consideriamo nostri nemici, anche se ci opponiamo a molte delle vostre politiche di parte a favore di Israele e contro i nostri interessi arabi e islamici. Ma non vi combattiamo. Quindi siamo pronti a comunicare con qualsiasi partito senza condizioni.”

Ma avverte che Hamas non sarebbe disposta a cambiare la sua posizione su Israele. “Non importa quanto tempo ci vorrà, questo è il mio messaggio a Biden, agli Stati Uniti e a tutti gli Stati occidentali che continuano a inserire Hamas nelle liste del terrorismo. Dico loro: non importa quanto tempo ci vorrà, Hamas non soccomberà alle vostre condizioni “

Meshaal sostiene che i Paesi arabi che hanno normalizzato le relazioni con Israele non solo hanno pugnalato alle spalle i palestinesi, ma hanno anche danneggiato i loro interessi rischiando di provocare una rivolta popolare.

“Ciò che sperano di ottenere da Israele è un’illusione e una fantasia”, avverte Meshaal. “Anche se non si vergognano, hanno prospettive molto limitate perché l’opinione pubblica sarà contro di loro”.

Hamas ha verificato un aumento del sostegno popolare in Palestina in seguito della sua decisione di lanciare razzi contro Israele in risposta alle aggressioni israeliane alla moschea di al-Aqsa e ai residenti di Sheikh Jarrah.

Tale sostegno viene da aree al di fuori del suo controllo tradizionale dove i suoi membri sono stati sottoposti a ripetuti arresti, ma dalla Cisgiordania e tra i cittadini palestinesi di Israele.

Alla domanda se ritenga che Mahmoud Abbas possegga ancora una qualche autorevolezza come presidente palestinese dopo l’ultimo round di combattimenti, Meshaal ha risposto: Non escludiamo nessuno e non disconosciamo il ruolo di nessuno.

Tuttavia, indubbiamente tutti hanno notato che le credenziali di Hamas e il suo status nella leadership palestinese si sono rafforzati poichè ha guidato la lotta nelle ultime fasi e specialmente in quella attuale”.

Per la prima volta in molti anni le bandiere di Hamas sono state viste sventolare accanto a quelle di Fatah in manifestazioni e proteste a Nablus, e venerdì un imam che si era rifiutato di menzionare Gaza nel suo sermone settimanale ad al-Aqsa è stato costretto a lasciare la moschea a causa della rabbia dei fedeli.

A Gerusalemme e a Umm al Fahm, nel nord di Israele, i manifestanti hanno gridato il nome di Mohamed ad-Deif, il capo dell’ala militare di Hamas, le Brigate al-Qassam, che Israele ha cercato di uccidere durante il recente conflitto.

Meshaal afferma che la funzione primaria della leadership in queste condizioni sia la lotta e la resistenza, e la guida dei palestinesi verso la libertà e la liberazione.

Le elezioni non sono l’unica opzione

Solo poche settimane prima che scoppiassero i combattimenti, Hamas era propenso a contestare le elezioni insieme a Fatah e ad altre fazioni palestinesi prima che le stesse fossero rinviate da Abbas.

Meshaal sostiene che Hamas ha fiducia in se stesso e che sia comunque pronto a presentarsi al ballottaggio, ma che le elezioni non rappresentino l’unica opzione.

Hamas non ha paura di proporsi alla sua gente tramite le urne. Forse altri hanno paura”, ha detto, con un’evidente stoccata ad Abbas.

Ma ha proseguito: Eppure, ancora una volta, le elezioni sono l’unica opzione? È l’unico strumento del sistema di riconciliazione ed in grado di rimettere ordine in casa palestinese? No.”

Meshaal afferma che i palestinesi sono un unico popolo con un’unica causa e invita ad una “rivolta totale in tutti i luoghi”.

A Gerusalemme, dove incombe la minaccia su al-Aqsa, su Sheikh Jarrah, sulla Città Vecchia e su tutta Gerusalemme; in Cisgiordania, dove sono presenti l’occupazione, gli insediamenti coloniali, la scissione dei legami e la confisca di terre; e nella Palestina del 1948, dove vige la discriminazione razziale, i tentativi di espellere e bandire il nostro popolo coll’uso di norme giuridiche; anche la resistenza di Gaza; fino alla diaspora. Tutti sono partecipi della responsabilità della liberazione”.

Mentre Meshaal parlava, i coloni israeliani, sostenuti dalla polizia, prendevano ancora una volta d’assalto al Aqsa.

Alla domanda su cosa abbia indotto Hamas a lanciare nuovamente razzi, Meshaal ha affermato che il cessate il fuoco non era condizionato solo alla cessazione degli attacchi israeliani a Gaza, ma alla fine delle incursioni delle forze di sicurezza israeliane ad al-Aqsa e alla fine dello sfollamento degli abitanti palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah e di Gerusalemme Est.

La battaglia è scoppiata per questi motivi. A tali condizioni cesserà iI lancio da Gaza dei razzi della resistenza”, ha detto.

Tuttavia ha proseguito affermando come ogni area sotto occupazione possa scegliere la propria forma di resistenza.

“Non esiste una formula che vada bene per tutti e nello stesso momento.”

Israele “sta pagando un prezzo”

Meshaal sostiene che l’ultimo conflitto abbia evidenziato il ruolo dei palestinesi che vivono all’interno dei confini della Palestina del 1948.

“Hanno inviato il messaggio che siamo del tutto parte di questo popolo e che vengono in aiuto di al-Aqsa, del quartiere di Sheikh Jarrah e di Gaza proprio come fa ogni altro palestinese che viene in aiuto dell’altro fratello”, dice.

Aggiunge che Israele stia anche pagando il prezzo delle politiche razziste e delle violazioni dei diritti dei suoi cittadini palestinesi, tanto da mettere a nudo la “fragilità” del suo Stato.

È diventato evidente a tutte le comunità palestinesi, arabe e islamiche e alle persone libere di tutto il mondo che Israele sta contando i suoi giorni e che questa occupazione, gli insediamenti, il colonialismo, non hanno futuro nella regione”.

MEE ha chiesto a Meshaal di spiegare in che modo Hamas sia passato da una posizione di contestazione delle elezioni, anche mentre centinaia dei suoi membri venivano arrestati in Cisgiordania, al lancio dei razzi.

In quel momento c’era un acceso dibattito all’interno di Hamas sull’opportunità di contestare le elezioni, dal momento che non sarebbe stato in grado di agire liberamente come partito politico. Alla fine le elezioni sono state rinviate, molti credono annullate, da Abbas che ha usato come scusa il rifiuto di Israele di consentire ai gerosolimitani di votare.

Meshaal ha confermato che c’è stato un “dibattito interno” sull’opportunità di candidarsi alle elezioni in Cisgiordania. Ma ha insistito sul fatto che il principio riguardante la sua candidatura alle elezioni non fosse in discussione.

Spiegando il passaggio dalle urne ai razzi, Meshaal dice che la decisione di annullare le elezioni abbia creato “rabbia e frustrazione” e un senso di stupore: “Perché questo passo?”

Poi sono arrivate le violenze ad al-Aqsa contro fedeli e manifestanti e la minaccia di sfollamento degli abitanti dalle loro case a Sheikh Jarrah.

Accusa Israele di aver iniziato l’aggressione. Afferma che Hamas aveva avvertito Israele, in modo che Israele non fosse sorpreso dal lancio di razzi.

“Quando hanno assalito la moschea di al-Aqsa alla fine del Ramadan la resistenza è stata costretta a rispondere … e la battaglia è iniziata”, prosegue Meshaal.

Sostiene che non c’è contraddizione tra impegnarsi nella battaglia politica attraverso elezioni e alleanze sostenendo la causa e mobilitandosi in suo favore nei forum internazionali, e impegnarsi in combattimenti. Le due battaglie sono collegate fra loro“.

Alla domanda su chi abbia preso la decisione di lanciare i razzi, Meshaal risponde che il movimento ha un’unica leadership, ma ogni singola parte prende le sue decisioni personali.

“Quando la dirigenza di al-Qassam prende una decisione su come portare avanti la lotta decide in conformità con la strategia e l’orientamento comune del movimento. Lo stesso vale per coloro che lavorano nel campo della mobilitazione di massa o delle relazioni politiche. Queste sono decisioni complesse prese di volta in volta durante i percorsi di lavoro. Derivano dalla risoluzione stabilita a livello centrale dalla leadership del movimento”.

Reciprocità di interessi” con l’Egitto

Meshaal riserva parole gentili per l’Egitto, nonostante il presidente Abdel Fatteh el-Sisi abbia organizzato un colpo di stato militare contro il presidente eletto Mohamed Morsi sostenuto dai Fratelli Musulmani e abbia massacrato i suoi sostenitori a Rabaa, oltre ad aver rafforzato l’assedio di Gaza distruggendo i tunnel di Hamas e la parte egiziana del valico di confine di Rafah.

Meshaal dice che il ruolo dell’Egitto negli affari palestinesi è fondamentale, anche se ci sono stati disaccordi.

La reciprocità degli interessi richiede che entrambe le parti lavorino insieme e possano prevedere dei ruoli sui quali concordare e collaborare nonostante le differenti opinioni, come lei ha detto, sulla questione della Fratellanza o altro”.

“Noi di Hamas, sebbene siamo una parte essenziale della Fratellanza, costituiamo un movimento di resistenza e non interferiamo negli affari degli altri, trattando con i Paesi islamici, e con gli altri, in base alla nostra causa e ai relativi interessi, senza interferenze reciproche negli affari di ognuno.

“Pertanto, accogliamo con favore il ruolo egiziano così come accogliamo con favore i ruoli di tutti gli Stati arabi e islamici o di qualsiasi Paese del mondo fintanto che sia inteso a servire il nostro popolo fermando l’aggressione contro di esso e assecondando la sua determinazione”.

Il leader anziano di Hamas ha affermato che gli stati arabi hanno la responsabilità di elaborare una nuova strategia per recuperare la Palestina, Gerusalemme e al-Aqsa e porre fine all’occupazione.

Credo che tutti abbiano capito l’inutilità dei negoziati, l’inutilità del processo di pace e degli accordi di pace con Israele e l’inutilità della normalizzazione. Coloro che avevano visto Israele come parte naturale della regione si sono sbagliati. Alcuni pensavano di poter trarre vantaggio da Israele nel confronto con i loro diversi nemici.

“Tutti sono ormai certi che Israele costituisca il vero nemico della regione e che Israele sia un’entità fragile e che possiamo sconfiggerlo invece di lamentarci delle sue politiche”.

Sostiene che l’Egitto sia scontento delle politiche israeliane nei confronti della Diga del Rinascimento in Etiopia, che il Cairo vede come una minaccia alla sicurezza nazionale. Di certo l’Egitto è scontento delle notizie sui presunti piani israeliani di scavare un canale navigabile alternativo al Canale di Suez.

“Pertanto, invece di sentirci impotenti riguardo alle violazioni e ai piani di Israele, questa è un’opportunità … la resistenza in Palestina e questa grande rivolta del nostro popolo sta dicendo agli arabi, ‘Gente, siamo una sola Ummah [termine arabo che designa la comunità dei fedeli dell’Islam, ndtr.], abbiamo gli stessi interessi, quindi partiamo da questo risultato.’

“Combattiamo un’unica battaglia, non solo per salvare e rivendicare la Palestina, ma anche per proteggere l’intera Ummah”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)