Ufficiale israeliano in carcere per nove mesi per aver ucciso un adolescente palestinese

Chloé Benoist

mercoledì 25 aprile 2018,Middle East Eye

La famiglia di Nadim Nuwara dice che ricorrerà in appello contro Ben Deri, che ha sparato alla schiena al figlio di 17 anni durante la marcia del 2014 per commemorare la Nakba.

Un poliziotto di frontiera israeliano sarebbe stato condannato a nove mesi di prigione e multato con il corrispettivo di 13.955 dollari per aver ucciso nel 2014 il ragazzo palestinese Nadim Nuwara durante una manifestazione in commemorazione della Nakba.

Il giornale israeliano Haaretz ha riportato che mercoledì un giudice della corte distrettuale di Gerusalemme ha condannato Ben Deri, riscontrando un “significativo livello di negligenza” e ne ha chiesto l’incarcerazione, pur specificando che Deri è “un eccellente ufficiale di polizia rispettoso degli ordini.”

Siyam Nuwara, padre di Nadim, ha detto a Middle East Eye che la famiglia stava pensando di presentare appello contro il verdetto e ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire sul caso.

Non c’è giustizia in Israele,” ha detto. “Abbiamo raccolto tutte le prove, ma non c’è giustizia.”

Nuwara aveva 17 anni quando venne colpito alla schiena fuori dalla prigione di Ofer, l’unica prigione israeliana situata all’interno della Cisgiordania occupata, durante una protesta per ricordare il 66° anniversario della Nakba, l’espulsione di 750.000 palestinesi durante la creazione di Israele.

Telecamere di sicurezza e troupe televisive ripresero il momento in cui Nadim fu ucciso.

Quel giorno anche un altro giovane palestinese, Mohammed Odeh Abu al-Thahir, venne colpito ed ucciso, tuttavia le autorità israeliane non hanno aperto nessuna inchiesta giudiziaria sulla sua morte.

Alcuni gruppi per i diritti umani, compreso Human Rights Watch, hanno affermato che il ragazzo non costituiva una minaccia imminente quando è stato ucciso, e HRW ha definito il caso “un evidente crimine di guerra”.

Inizialmente le forze israeliane negarono che quel giorno fossero stati sparati proiettili veri, mentre alcune fonti ufficiali israeliane, tra cui l’allora ambasciatore negli Stati Uniti, Michael Oren, sostennero che le morti di Nuwara e al-Thahir erano una messa in scena.

L’esame autoptico dimostrò che Nuwara era stato colpito al torace. Deri venne arrestato sei mesi dopo e in un primo tempo accusato di omicidio.

La difesa di Deri si è imperniata sulla versione secondo cui un proiettile vero era caduto “accidentalmente” nel caricatore dell’arma dell’ufficiale, mentre lo stava caricando con pallottole di acciaio ricoperto di gomma.

All’inizio del 2017 Deri ha accettato un patteggiamento che ha derubricato l’imputazione contro di lui a omicidio colposo per negligenza.

La famiglia di Nuwara ha contestato il patteggiamento di fronte al tribunale, sostenendo che era stato raggiunto senza che loro ne fossero a conoscenza e che quel giorno Deri aveva usato consapevolmente proiettili veri.

Il gruppo israeliano per i diritti umani B’tselem ha affermato in un comunicato: “Il processo a Ben Deri esemplifica come il sistema investigativo e legale di Israele insabbi le continue uccisioni di palestinesi.”

Persino in questo caso, inusuale in quanto le accuse sono state formulate e si è persino arrivati al processo, l’insabbiamento continua. Il giudizio è finito con una sentenza vergognosamente mite, che serve solo a sottolineare il solito messaggio: le vite dei palestinesi sono a perdere.

Israele sicuramente si vanterà di questo processo come un chiaro esempio della sua capacità di fare giustizia. Al diavolo i fatti, quello che conta è la propaganda.”

L’udienza di mercoledì si è tenuta mentre Israele affronta le critiche per la politica di fuoco indiscriminato nella Striscia di Gaza assediata, dove dal 30 marzo l’esercito israeliano ha ucciso 39 palestinesi e ferito altre migliaia di manifestanti che partecipavano alla “Grande Marcia del Ritorno.”

Le autorità israeliane raramente incriminano soldati che hanno ucciso palestinesi. Quando membri delle forze israeliane sono imputati per queste morti, le condanne sono spesso brevi – creando quello che l’ong israeliana per i diritti umani Yesh Din ha chiamato un contesto di “quasi impunità”.

Hanan Ashrawi, membro direttivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ha denunciato il doppio standard del sistema giudiziario israeliano.

È ridicolo che la ragazzina palestinese Ahed Tamimi, che ha affrontato un soldato israeliano che stava invadendo casa sua nella Cisgiordania occupata, sia stata obbligata a scontare otto mesi in una cella di un carcere israeliano,” ha detto.

Nel contempo il poliziotto di frontiera israeliano Ben Deri…ha avuto una sentenza di soli nove mesi.”

Finché la comunità internazionale rimarrà in silenzio, l’ingiustizia e l’oppressione del popolo palestinese continueranno senza sosta. Israele deve essere chiamato a rendere conto della sua violenza incontenibile e delle gravi violazioni contro il popolo palestinese.”

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Come Israele disumanizza la resistenza palestinese

Ramona Wadi

Lunedì 23 aprile 2018, Middle East Eye

Senza un intervento internazionale la pressione di Israele per far sparire i palestinesi completerà il ciclo di isolamento.

C’è un metodo standard con il quale la comunità internazionale reagisce alle violazioni dei diritti dei palestinesi da parte di Israele, a seconda della visibilità delle misure oppressive e che esse corrispondano alle caratteristiche di precedenti condanne. Il risultato è un processo di sensibilizzazione selettiva, in base al quale l’incarcerazione di minori palestinesi, le demolizioni di case, l’espansione delle colonie e il dislocamento forzato sono destinati a futili critiche e condanne.

Tuttavia, quando si tratta di altre misure che dimostrano direttamente l’intenzione di Israele di prendere di mira la resistenza palestinese e di far sparire palestinesi, il silenzio è sorprendente. All’inizio di febbraio i genitori di un soldato ucciso a Gerusalemme est occupata hanno detto alla Commissione per gli Affari Interni della Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] che i corpi di palestinesi nelle mani di Israele dovrebbero essere trattenuti per sempre o gettati “in mare” come forma di deterrenza.

Durante la stessa sessione, la richiesta è stata ripetuta dal presidente della Commissione degli Affari Interni, il deputato Yoav Kisch [del Likud, principale partito israeliano, ndt.], che ha fatto riferimento alla versione USA riguardo al fatto che il corpo del leader di Al-Qaeda Osama Bin Laden sarebbe stato gettato in mare.

Precedenti storici

La riproposizione della versione USA serve a vari obiettivi. Incoraggia le azioni di uno dei principali alleati di Israele, mentre sfrutta anche la propaganda sul “terrorismo” per demolire la lotta anticolonialista palestinese – una tattica che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha utilizzato in molte occasioni con il pretesto di preoccupazioni per la sicurezza.

Ci sono precedenti storici della scomparsa di oppositori politici adottata come prassi corrente. L’America latina, dove dittature sostenute dagli USA hanno inculcato il terrore facendo sparire i propri oppositori, presenta moltissimi esempi.

Cile ed Argentina, rispettivamente sotto Augusto Pinochet e Jorge Rafael Videla, hanno fatto uso di “voli della morte”, gettando nell’oceano da elicotteri i corpi torturati di oppositori. In Argentina si stima che siano scomparse circa 30.000 persone.

L’esistenza di Israele si basa sulla premessa dell’inesistenza della Palestina. Senza che niente giustificasse le affermazioni del primo sionismo in merito ad una terra deserta, la pulizia etnica e la sistematica espulsione durante la Nakba [la “catastrofe”, cioè la pulizia etnica di centinaia di migliaia di palestinesi nel territorio divenuto poi lo Stato di Israele, ndt.] vennero in seguito perfezionate con una serie di misure oppressive che portarono agli stessi risultati in un lungo periodo di tempo.

La reazione internazionale ha favorito Israele: ripetute violazioni dei diritti umani e delle leggi internazionali non hanno suscitato che condanne ripetitive. Ciò ha consentito al governo israeliano di ampliare il proprio discorso securitario e le misure repressive.

Nel febbraio 2016 il ministro dell’Educazione israeliano Naftali Bennett [del partito di estrema destra dei coloni “Casa Ebraica”, ndt.] ha fatto un appello per “seppellire i combattenti palestinesi contro l’occupazione in cimiteri segreti e distruggere tutte le case dei loro villaggi d’origine.” Mentre Bennett è ben noto per la sua virulenza, la sua dichiarazione deve essere letta all’interno di un contesto di costante rifiuto di Israele di consegnare ai familiari del defunto i corpi dei palestinesi uccisi.

Normalizzazione della violenza israeliana

A dicembre la Corte Suprema israeliana ha sentenziato contro questa prassi, tuttavia il governo ha continuato, nonostante questa pratica contravvenga sia alla legge israeliana che all’articolo 130 della Quarta Convenzione di Ginevra.

I parlamentari israeliani hanno anche difeso questa prassi durante il recente incontro della commissione della Knesset. Accusando l’esistenza di forme di istigazione [alla violenza] durante i funerali, il deputato Mickey Levy [di Yesh Atid, partito di centro, ndt.] ha descritto la restituzione dei corpi in piena notte sotto rigide misure di sicurezza: “Ho schierato 700 soldati in modo che nessun altro se non i familiari più stretti lasciassero la casa.”

Da notare in modo particolare le dichiarazioni conclusive del deputato Kisch: “L’Alta Corte deve anche capire il contesto umano. È una situazione assurda – stiamo distruggendo con le nostre mani gli strumenti per lottare contro il terrorismo.”

Per supportare la normalizzazione della violenza israeliana, per l’entità coloniale è necessario disumanizzare la resistenza palestinese. L’occultamento del contesto della resistenza armata palestinese è un fattore importante per Israele – che la comunità internazionale ha rapidamente imitato.

C’è stato un altro esempio all’inizio dell’anno, quando una controversa proposta del ministro della Difesa Avigdor Lieberman [del partito di estrema destra “Israele è casa nostra”, ndt.] ha ottenuto l’approvazione preliminare della Knesset. La legge presentata renderebbe più facile ad un tribunale israeliano comminare la pena di morte a chi viene condannato per attacchi “terroristici”. L’espressione “terrorista” è applicata esclusivamente ai palestinesi coinvolti in attività di resistenza contro l’oppressione israeliana.

Criminalizzare la resistenza

Complessivamente Israele ha già perfezionato la normalizzazione delle continue violazioni, a cui il mondo non reagisce. Le distruzioni di case e le espulsioni sono classificate come relative alla questione dei rifugiati. La privazione di necessità fondamentali ricade sotto l’agenda umanitaria. L’ambiente inquinato di Gaza è stato definito “inabitabile”.

Al tempo stesso, i palestinesi coinvolti in attività di resistenza vengono criminalizzati al punto che la loro umanità viene negata.

Negli scorsi anni, tra le altre cose, il governo israeliano ha imposto l’alimentazione forzata a prigionieri palestinesi in sciopero della fame, ha perpetrato esecuzioni extragiudiziarie, ha comminato lunghe pene detentive a palestinesi che hanno lanciato pietre per resistere alla violenza dello Stato e dei coloni e ha trattenuto i corpi di palestinesi uccisi da Israele.

Nel frattempo lo Stato coloniale gode dell’impunità per le proprie provocazioni, come far sparire palestinesi in cimiteri segreti o chiedere che i loro corpi vengano gettati in mare.

In questo modo Israele sta garantendosi che tutti i palestinesi vengano puniti severamente. Le varie forme di punizione collettiva distolgono l’attenzione dal più complessivo tentativo di sottomettere completamente i palestinesi, mentre consentono alla comunità internazionale di fingere di sostenere la causa umanitaria mentre ignora palesemente l’umanità degli attori della resistenza palestinese.

Silenzio internazionale

L’assenza di indignazione per il fatto che Israele prenda di mira i palestinesi e per il suo incitamento a far sparire quelli che partecipano alla lotta anticoloniale è un’anomalia nel contesto dei diritti umani. Da una prospettiva internazionale, tuttavia, il silenzio era prevedibile.

A differenza dei movimenti sociali in America Latina, che sono stati in grado di mobilitarsi contro le violazioni e le sparizioni, i palestinesi devono affrontare un crescente isolamento, fino al punto che, per esempio, l’opposizione dell’UE alla proposta di pena di morte si è ridotta a un generico tweet. Le richieste di ministri del governo e di coloni di far sparire palestinesi non hanno suscitato reazioni a livello internazionale.

Cosa significa per i palestinesi questo silenzio collettivo e premeditato? Con la resistenza e la sopravvivenza minacciate da misure punitive, i palestinesi – sia che resistano o che rimangano passivi – stanno affrontando un programma di eliminazione che non viene messo in discussione dalla comunità internazionale.

Quanto ci vorrà per denunciare a voce alta la degenerazione delle istituzioni internazionali e il loro sfruttamento dei diritti umani? La storia ha mostrato che la pulizia etnica della Palestina nel 1948 venne ignorata dall’ONU per dare il benvenuto alla nascita di Israele.

Senza un approccio collettivo e internazionale, la sparizione dei palestinesi completerà il ciclo di isolamento, concludendosi nell’oblio.

– Ramona Wadi è una ricercatrice indipendente, giornalista freelance, critica letteraria e blogger specializzata nella lotta per la memoria in Cile e in Palestina.

Le opinioni esposte in questo articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Corbyn e Israele: la disputa sull’antisemitismo ha zittito il leader del partito Laburista sul massacro di Gaza

Ilan Pappè

venerdì 6 aprile 2018, Middle East Eye

È terribile accusare il capo del Labour per coprire l’appoggio della Gran Bretagna alla spoliazione dei palestinesi

Recenti pubblicazioni sull’antisemitismo – come l’eccellente libro di Jewish Voices for Peace [Voce Ebraiche per la Pace, gruppo di ebrei contrari all’occupazione dei territori palestinesi, ndt.] “On Anti-Semitism” [Sull’antisemitismo] – affermano che, benché ogni persona per bene si opponga al fenomeno, non c’è una definizione unitaria.

Questa discussione filosofica, oserei dire ontologica, non è molto utile per occuparsi della recente disputa sul presunto antisemitismo nel partito Laburista. Nel contesto di questo specifico dibattito, c’è un’utile definizione che tutti noi possiamo utilizzare. È chiara, diffusa, sensata ed efficace.

Antisemitismo è odiare gli ebrei per quello che sono. Non è diverso dalla definizione del razzismo contemporaneo. Ogni odio basato sulla razza, sulla religione, sul colore della pelle o sul genere che porta ad atteggiamenti intolleranti dal basso, e a politiche discriminatorie, a volte genocidarie, dall’alto, è razzismo.

Ci sono sei milioni di ebrei che vivono oggi nella Palestina storica accanto a sei milioni di palestinesi. Ogni generalizzazione su ognuna delle due comunità è razzismo, e, poiché entrambe le popolazioni sono semitiche, questo razzismo è antisemitismo.

Il ruolo della lobby filo-israeliana

Tuttavia condannare le persone per le loro azioni, sia che si tratti di ebrei o di palestinesi, in quanto contrapposte alla loro identità, non è antisemitismo. È vero anche per le ideologie razziste.

Condannare il sionismo in quanto ideologia colonialista di insediamento che ha portato all’espropriazione di metà della popolazione palestinese dalla propria terra e per l’attuale politica discriminatoria e brutale di Israele contro quelli che sono rimasti non è antisemitismo. Di fatto è antirazzismo.

L’ultima disputa sull’antisemitismo, che è il culmine di una serie di accuse e controaccuse scatenate dall’elezione – per la prima volta dalla dichiarazione Balfour del 1917 [che impegnò l’impero britannico a favorire la nascita di un “focolare ebraico” in Palestina, ndt.]– di un leader del partito Laburista che simpatizza con la lotta palestinese per la giustizia e l’indipendenza, illustra bene la differenza tra condannare un’azione e condannare un’identità.

Come è stato messo in luce anche dall’eccellente documentario di Al Jazeera “The Lobby”, dall’elezione di Jeremy Corbyn il gruppo della lobby filoisraeliana ha instancabilmente esaminato ogni tweet, ogni post su Facebook e ogni discorso che ha fatto da quando ha iniziato la sua vita politica, per distruggerlo in quanto antisemita.

Non era facile trovare prove di ciò, in quanto Corbyn è assolutamente contrario ad ogni forma di razzismo, compreso l’antisemitismo. Tuttavia alla fine hanno scoperto che aveva appoggiato, in nome della libertà di espressione, un murale che avrebbe potuto essere interpretato come antisemita (e, secondo alcune informazioni, venne definito come tale dall’artista).

Come ammise all’epoca lo stesso Corbyn, avrebbe dovuto analizzare il murale con maggiore attenzione. Non lo fece. Chiese scusa. Caso chiuso.

È stato eletto dai giovani in tutta la Gran Bretagna grazie alla sua fallibilitàin quanto essere umano e non perché fosse un altro politico superman frivolo e smidollato che non ha mai ammesso di aver commesso un errore.

Un altro politico del partito Laburista, Christine Shawcroft, ha dato le dimissioni dopo aver appoggiato Alan Bull, un candidato a un consiglio comunale a causa di una presa di posizione a Peterborough [città a nord est di Londra, ndt.], che lei ha ritenuto fosse stato scorrettamente accusato di essere un negazionista. Il candidato ha sostenuto che l’accusa era basata su contenuti falsificati e decontestualizzati.

Come mettere a tacere una critica

L’insignificante passo falso e l’appoggio male informato di Corbyn, se di questo si è trattato, sono stati sufficienti per un’esibizione di forza e di unità da parte della comunità ebraica organizzata, i cui attivisti hanno manifestato davanti al parlamento. Insieme a striscioni che collegavano il partito Laburista ai nazisti, i manifestanti sventolavano bandiere israeliane.

Le bandiere sono il principale problema, non l’appoggio di Corbyn a un murale né il sostegno di Shawcroft a Martin Bull. È stata una manifestazione contro la posizione filopalestinese di Corbyn, non contro l’antisemitismo.

Corbyn non è un antisemita e il partito Laburista, fino alla sua elezione, è stato un bastione filoisraeliano. Quindi la tempistica e la risposta sproporzionata alla questione del murale sono, a dir poco, bizzarre – oppure no.

In realtà non è così strano, se si capiscono le macchinazioni della lobby sionista in GB. La manifestazione è stata inscenata all’inizio di una settimana in cui Israele ha utilizzato una forza letale contro una marcia pacifica dei palestinesi nella Striscia di Gaza, uccidendo 17 palestinesi e ferendone altre centinaia.

Le bandiere israeliane mostrano chiaramente il rapporto tra gli attacchi contro Corbyn e le sue posizioni oneste e umane sulla Palestina. Il dividendo per la lobby sionista in Gran Bretagna è stato che Corbyn sarebbe rimasto in silenzio di fronte al nuovo massacro a Gaza – e senza di lui, abbiamo ben pochi politici coraggiosi che osino dire una parola nella nuova atmosfera di intimidazione.

I politici che attualmente governano in Israele hanno ben pochi scrupoli, come abbiamo visto, riguardo ad uccidere ed arrestare sistematicamente minori palestinesi. I loro alleati nella comunità anglo-ebraica, da parte loro, sono in difficoltà a causa di ciò. Il loro lavoro in difesa di Israele è molto più difficile ora che i palestinesi hanno chiaramente optato per una resistenza popolare nonviolenta.

È solo una questione di tempo prima che la brutalità inumana che l’esercito israeliano ha usato venga sottolineata dall’opinione pubblica, persino in Gran Bretagna, dove la BBC e Sky News lavorano alacremente per escludere la questione della Palestina dai loro reportage e dalla discussione: entrambi i canali hanno dedicato più tempo al murale che al nuovo massacro di Gaza.

Terribili accuse

La lobby israeliana vorrebbe che tutti noi in Gran Bretagna discutessimo di murales e antisemitismo latente in una società in cui gli ebrei non sono mai stati più sicuri e prosperi. Sì, c’è antisemitismo in tutti i partiti britannici – e molto di più a destra che a sinistra, tra l’altro. Dovrebbe essere sradicato e condannato, come ogni altra forma di razzismo, che sia diretto contro musulmani o ebrei in una società prevalentemente cristiana e bianca.

Quello che è terribile è l’utilizzo dell’accusa di antisemitismo per nascondere la continua, tacita e al contempo diretta, assistenza britannica alla spoliazione dei palestinesi, che iniziò con la dichiarazione Balfour 100 anni fa e da allora non si è mai interrotta.

È deplorevole utilizzare tali accuse per soffocare il dibattito sulla Palestina o per demolire politici che non sono disponibili ad allinearsi con Israele.

Non è il partito Laburista ad essere infestato dall’antisemitismo; sono i media ed il sistema politico britannici che sono afflitti dall’ipocrisia, paralizzati dalle intimidazioni e percorsi da strati nascosti di islamofobia e di un nuovo sciovinismo sulla scia della Brexit.

Nel centenario della dichiarazione Balfour tutti i partiti inglesi dovrebbero mettere insieme una commissione pubblica d’inchiesta sulla sua eredità, piuttosto che dare un peso sproporzionato a qualche passo falso, sia attraverso l’ignoranza che una manipolazione riuscita.

– Ilan Pappe è professore di storia, direttore del “Centro europeo per gli Studi Palestinesi” e co-direttore del “Centro Exeter di Studi Etno- Politici” dell’università di Exeter.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




“Non ci sono innocenti a Gaza” dice il ministro della Difesa israeliano

MEE e agenzie 

domenica 8 aprile 2018, Middle East Eye

In totale 30 palestinesi sono stati uccisi dai soldati israeliani durante 10 giorni di proteste sul confine di Gaza con Israele.

Domenica, dopo che i soldati israeliani hanno sparato e ucciso 30 palestinesi in 10 giorni di proteste, il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha detto che non ci sono “persone innocenti” nella Striscia di Gaza governata da Hamas.

Non ci sono innocenti nella Striscia di Gaza,” ha detto Lieberman alla radio pubblica israeliana.

Chiunque sia legato ad Hamas, chiunque abbia uno stipendio di Hamas e tutti gli attivisti che cercano di sfidarci e di violare il confine sono attivisti dell’ala militare di Hamas.”

Israele ha avuto a che fare con contestazioni sempre più accese sul suo uso di proiettili letali a seguito dei 10 giorni di proteste lungo il confine della Striscia di Gaza durante i quali, secondo il ministero della Sanità di Gaza, i suoi militari hanno ucciso 30 palestinesi.

La violenza è divampata di nuovo venerdì, quando migliaia di manifestanti sono tornati al confine. Secondo il ministero della Sanità di Gaza nove palestinesi sono stati colpiti ed uccisi dalle forze israeliane e almeno 1.060 sono stati feriti.

Tra i morti è incluso anche il video-giornalista palestinese Yasser Murtaja. Questo padre trentenne è stato colpito all’addome da un cecchino israeliano mentre filmava le proteste, nonostante indossasse un giubbotto antiproiettile con la scritta “Stampa”.

Tra i morti c’è anche il quindicenne Hussein Mohammed Madi di Gaza City. Il ministero ha affermato che Madi è stato ucciso ad est di Gaza City da un proiettile dum-dum a espansione.

Non si hanno notizie di vittime israeliane.

Israele sostiene di aver aperto il fuoco solo quando si è reso necessario per evitare danni alla barriera di confine, infiltrazioni e tentativi di attacchi.

Ma i gruppi per i diritti umani hanno duramente criticato le azioni dei soldati israeliani, e i palestinesi dicono che i manifestanti colpiti non stavano rappresentando alcuna minaccia per i soldati.

Siamo sempre bersaglio delle forze israeliane”

I soldati israeliani hanno incolpato i “circa 10.000 palestinesi” che hanno partecipato a “disordini in cinque località lungo il confine con la Striscia di Gaza.”

Aggiungono che “sono stati fatti vari tentativi di danneggiare e attraversare la barriera di sicurezza sotto la protezione della cortina fumogena.”

I palestinesi hanno bruciato centinaia di copertoni nel tentativo di oscurare la visuale dei cecchini israeliani schierati sul confine tra Israele e Gaza.

Abbiamo sentito molti avvertimenti sull’uso di copertoni bruciati, ma non abbiamo altre possibilità per esprimere la nostra rabbia e il nostro diritto al ritorno,” ha detto venerdì a MEE il dimostrante Said Ayman Hamadn.

Qualunque cosa facciamo, siamo comunque presi di mira dalle forze israeliane. Perciò usiamo i copertoni per evitare i colpi di fucile degli israeliani, perché siamo manifestanti pacifici. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci protegga dalla brutalità di Israele.”

Le immagini sui social media hanno fatto vedere le forze di sicurezza israeliane che piazzavano ventilatori nel tentativo di allontanare il fumo ed avere una visione chiara del confine.

Il 30 marzo le forze israeliane hanno ucciso 19 palestinesi mentre centinaia di migliaia di manifestanti si riunivano nei pressi del confine israeliano.

Il giorno seguente l’esercito israeliano ha affermato in un tweet che “niente è stato fatto in modo incontrollato; tutto è stato accurato e misurato, e sappiamo dove è andato a finire ogni proiettile.”

In seguito il tweet è stato cancellato.

Israele ha sostenuto che Hamas, il movimento islamista che governa la Striscia di Gaza e con cui ha combattuto tre guerre dal 2008, sta cercando di utilizzare le proteste come copertura per proseguire le violenze.

Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres e l’Unione Europea hanno chiesto un’inchiesta indipendente sull’uso della forza da parte di Israele, che Israele ha ripetutamente rifiutato.

Sabato l’Unione Europea ha sollevato dei dubbi sul fatto che le truppe israeliane abbiano fatto un “uso proporzionato della forza”.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Le forze israeliane uccidono 16 persone a Gaza mentre i palestinesi manifestano nel “Giorno della Terra”

MEE ed agenzie


Venerdì 30 marzo 2018, Middle East Eye

Più di 1.000 manifestanti feriti mentre i palestinesi rivendicano il diritto al ritorno e la fine del furto di terra.

Secondo le autorità venerdì le forze israeliane hanno ucciso almeno 16 palestinesi nella Striscia di Gaza assediata, mentre decine di migliaia manifestavano nei territori occupati e in Israele nel “Giorno della Terra”.

Il giorno della Terra” nasce nel 30 marzo 1976, quando forze israeliane uccisero sei palestinesi con cittadinanza israeliana durante una protesta contro la confisca di terre. I palestinesi hanno celebrato questo giorno negli scorsi 42 anni per denunciare le politiche israeliane di appropriazione della terra palestinese.

Quest’anno ciò è avvenuto sulla scia di mesi di rabbia contro la decisione del presidente USA Donald Trump di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme, generalmente percepita come il rifiuto da parte degli Stati Uniti delle rivendicazioni palestinesi su Gerusalemme est come loro capitale nel contesto della soluzione dei due Stati.

Nella Striscia di Gaza, dove 1.3 dei 2 milioni di abitanti del piccolo territorio sono rifugiati, gli organizzatori della protesta hanno promosso sei settimane di manifestazioni chiamate la “Grande Marcia del Ritorno” lungo il confine tra l’enclave palestinese assediata e Israele, che iniziano con il “Giorno della Terra” e culmineranno il 15 maggio con il “Giorno della Nakba”, che segna l’espulsione dei palestinesi da Israele nel 1948.

Mentre il discorso politico israeliano con il primo ministro Benjamin Netanyahu si sposta ulteriormente a destra, i palestinesi sono diventati sempre più scettici riguardo alla possibilità di negoziati o di un miglioramento delle loro condizioni di vita a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme est e nello stesso Israele.

Il ministero [della Salute di Gaza, ndt.] ha aggiunto che, alla fine del pomeriggio, più di 1.000 manifestanti sono stati feriti. Un portavoce della Mezzaluna Rossa palestinese ha detto a MEE di stimare che circa 800 manifestanti di Gaza siano stati colpiti da proiettili veri.

Secondo il ministero della Salute, ore prima delle proteste un carrarmato israeliano ha ucciso un contadino gazawi e ne ha ferito un altro.

Omar Samour, 27 anni, è stato ucciso da martire e un altro abitante è stato ferito a est del villaggio di Qarara in seguito al fatto che i contadini sono presi di mira,” ha detto un portavoce del ministero della Salute di Gaza. Abitanti del villaggio a sud della Striscia di Gaza hanno detto che Samour era andato a raccogliere erbe.

Un portavoce dell’esercito israeliano ha confermato l’incidente: “Durante la notte due sospetti si sono avvicinati alla barriera di sicurezza, hanno iniziato a muoversi in modo sospetto e il carrarmato ha sparato verso di loro,” ha affermato il portavoce.

Il portavoce di Antonio Guterres ha affermato in un comunicato che il segretario generale delle Nazioni Unite ha chiesto un’inchiesta indipendente e trasparente sulle morti e feriti venerdì a Gaza.

Ha anche fatto appello a quanti sono coinvolti per evitare ogni atto che possa portare ad ulteriori vittime, e in particolare ogni misura che possa mettere in pericolo i civili,” ha detto il portavoce ONU Farhan Haq.

Brutale violazione”

Il ministero della Salute di Gaza ha confermato che almeno 16 manifestanti palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane sul confine con Israele, ed ha identificato alcune delle vittime: Mohammad Kamel Najjar, 29 anni, ucciso nei pressi di Jabalia, a nord di Gaza; Mahmoud Abu Muammar, 38 anni, nei pressi di Rafah, a sud; Mohammad Abu Amro, noto artista della Striscia di Gaza; il sedicenne Ahmad Odeh, a nord di Gaza City; Jihad Farina, 33 anni, a est di Gaza City; Mahmoud Rahmi, 33 anni; Ibrahim Abu Shaer 22 anni, nei pressi di Rafah; Abd al-Fattah Bahjat Abd al-Nabi, 18 anni; Abd al-Qader al-Hawajra, 42 anni, ucciso nella zona centrale di Gaza; Sari Abu Odeh; Hamdan Abu Amsha, nei pressi di Beit Hanoun, nel nord di Gaza.

L’ong per i diritti umani “Adalah” ha denunciato l’uso da parte dell’esercito israeliano di proiettili letali come una “brutale violazione degli obblighi legali internazionali nella distinzione tra civili e combattenti,” ed ha chiesto un’inchiesta sulle uccisioni. In un comunicato l’esercito israeliano ha annunciato di aver dichiarato l’area di confine della Striscia di Gaza una zona militare chiusa – intendendo che ogni palestinese che si trovi vicino alla recinzione di confine può rischiare di essere colpito.

La marcia ha raggiunto i suoi obiettivi, ha scosso i pilastri dell’entità (Israele), ed ha posto il primo mattone sulla via del ritorno,” ha detto a MEE Ismail Haniyeh, uno dei principali dirigenti politici di Hamas mentre visitava un campo della protesta a Gaza.

Secondo il mezzo di informazione israeliano di sinistra “+972 Magazine”, un gruppo israeliano noto come la “Coalizione delle Donne per la Pace”, pensa di unirsi alla protesta sul lato israeliano.

La distanza tra quello che stiamo sentendo sugli eventi dall’interno di Gaza e l’istigazione [alla violenza] che stiamo sentendo nei media israeliani è enorme e non lascia dubbi sulle intenzioni violente delle autorità israeliane. Speriamo che i nostri timori di una risposta militare violenta si dimostrino sbagliati, ma indipendentemente da ciò sabato saremo presenti in appoggio ai manifestanti, che hanno il diritto di chiedere i propri diritti e la propria libertà,” ha detto Tania Rubinstein, una coordinatrice del gruppo.

A settecento metri da quei soldati c’è il mio diritto e il diritto del popolo palestinese a tornare a casa dopo 70 anni di espulsione. Non aspetteremo altri 70 anni,” ha detto a MEE Alaa Shahin, un giovane uomo palestinese che stava festeggiando il suo matrimonio in un campo di protesta nei pressi di Jabaliya.

Conservo ancora i documenti originali della nostra terra a Nilya, che ho ereditato da mio padre,” ha detto Yousef al-Kahlout, un insegnante di storia in pensione che venerdì ha partecipato ad una delle manifestazioni di Gaza insieme a cinque dei suoi nipoti. “Oggi spiego ai miei nipoti che loro hanno il diritto di riprenderne possesso se io non fossi più vivo per realizzare il mio sogno di tornare.”

Mentre gli organizzatori di Gaza hanno insistito che le manifestazioni sarebbero state pacifiche, vari incidenti di gazawi arrestati dopo essere entrati in Israele negli scorsi giorni – compresi tre palestinesi che stavano portando armi – hanno visto le forze israeliane ansiose di dimostrare il proprio controllo della situazione.

In un comunicato l’esercito israeliano ha confermato che stava usando “mezzi per disperdere disordini” – un termine regolarmente utilizzato in riferimento a gas lacrimogeni e a bombe assordanti – così come sparando ai “principali istigatori” della protesta.

La “Grande Marcia del Ritorno” ha anche visto le forze israeliane utilizzare droni per lanciare gas lacrimogeni sui manifestanti – una tecnologia che è stata usata solo poche volte a Gaza dalle forze israeliane.

Mercoledì il capo dell’esercito israeliano ha detto che più di 100 cecchini sono stati schierati sul confine di Gaza in vista delle previste manifestazioni di massa nei pressi della frontiera. Pesanti pale meccaniche hanno costruito cumuli di terra sul lato israeliano del confine ed è stato collocato filo spinato come ulteriore ostacolo contro qualunque tentativo dei dimostranti di violare il confine nel territorio israeliano.

Proteste del “Giorno della Terra” in Israele e in Cisgiordania

Nel contempo venerdì i palestinesi hanno manifestato anche in Israele e in Cisgiordania per commemorare il “Giorno della Terra”. Nella città a maggioranza palestinese di Arraba, nella regione della Galilea, nel nord di Israele, migliaia di persone, compresi parlamentari palestinesi della Knesset israeliana, sindaci e personalità religiose, sono scesi in strada.

Prima del corteo membri dell’”Alta Commissione di Verifica per i Cittadini Arabi di Israele” della Knesset si sono recati alle tombe dei sei palestinesi cittadini di Israele che vennero uccisi durante la prima marcia del “Giorno della Terra” nel 1976, nei cimiteri di Arraba, Sakhnin e Deir Hanna.

Israele sta ancora rubando e confiscando le nostre terre, e l’oppressione continua contro il nostro popolo all’interno del ’48, nella diaspora e a Gaza,” ha detto in un discorso il sindaco di Arraba Ali Asleh, utilizzando una perifrasi per riferirsi alle terre su cui è stato dichiarato lo Stato di Israele nel 1948.

Secondo mezzi d’informazione palestinesi ci sono stati scontri in alcune città della Cisgiordania, comprese

Un portavoce della Mezzaluna Rossa palestinese ha detto a MEE che l’organizzazione ha curato almeno 63 manifestanti in Cisgiordania, la maggior parte per aver inalato gas lacrimogeno, mentre almeno 10 sono stati feriti da proiettili di metallo rivestito di gomma.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Plasmare la storia coi bulldozer: come Israele utilizza l’archeologia per consolidare l’occupazione

Yara Hawari

6 marzo 2018, Middle East Eye

Dopo aver conquistato Gerusalemme ovest nel 1948, Israele ha occupato l’intera città meno di vent’anni dopo, nel 1967, durante la guerra dei Sei Giorni. Da allora, ha creato delle “realtà sul terreno”, attraverso l’annessione e la costruzione di colonie volte a consolidare le sue rivendicazioni nei confronti dell’intera città.

Di fatto, nella sua stessa essenza di progetto coloniale, Israele è ad un tempo ferocemente espansionista ed esclusivista. Il “progetto di legge sulla Grande Gerusalemme”, che è stato recentemente votato e che mira ad estendere i confini della municipalità di Gerusalemme per includervi ulteriori colonie illegali ed escludere quartieri palestinesi, testimonia questo espansionismo.

Allo stesso tempo, la dichiarazione del presidente Donald Trump sullo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme non solo viola il diritto internazionale, ma appoggia la continua colonizzazione della città da parte di Israele.

Cancellato dalla carta

Tuttavia Israele non si accontenta di esercitare un controllo assoluto sulla città attraverso l’annessione e la costruzione di colonie. Conduce anche una campagna aggressiva per appropriarsi dei siti del patrimonio palestinese o distruggerli, in modo da consolidare le sue rivendicazioni di proprietà esclusiva. Questa campagna si è intensificata dopo l’occupazione della Cisgiordania e di Gaza nel 1967.

Queste rivendicazioni si appoggiano fortemente su un discorso biblico che mira deliberatamente a fare della religione un elemento di grave conflitto. Questo è oltremodo evidente nella città vecchia di Gerusalemme che – in base al diritto internazionale – è considerata inequivocabilmente territorio palestinese.

Infatti Israele ha cominciato a modificare il paesaggio di Gerusalemme fin dall’indomani della sua occupazione della città, distruggendo uno dei quartieri più vecchi.

Harat al Magharibeh (il quartiere marocchino), che si trova di fronte al muro occidentale della città vecchia, è stato raso al suolo appena qualche giorno dopo l’occupazione israeliana della città. Le autorità israeliane hanno giustificato questa iniziativa con la necessità di creare spazio per i fedeli ebrei.

Il quartiere aveva circa 800 anni e non ospitava soltanto edifici ayyubidi [antica dinastia curdo-musulmana, ndtr.] e mamelucchi [sultanato egiziano dal XIII al XVI, ndtr.], ma anche 650 persone. Gli abitanti hanno avuto poche ore di tempo per lasciare le loro case prima che venissero distrutte. Del resto, si dice spesso che gli archeologi israeliani sono i soli al mondo a servirsi di bulldozer.

Haram al-Sharif [ la Spianata delle Moschee, ndtr.) in pericolo

Più di recente, Israele ha condotto scavi nella zona che si trova al di sotto e intorno a Haram al-Sharif – il complesso che ospita la cupola della Roccia e la moschea al-Aqsa. Questi scavi sono stati condannati dall’UNESCO, che nel 2016 ha emesso una risoluzione che critica Israele per la sua politica generale nei confronti del complesso.

Israele ha moltiplicato i tentativi di controllare Haram al-Sharif, che resta sotto la custodia della Giordania, nel quadro del Waqf [fondazione che gestisce i beni religiosi, tra cui il complesso delle moschee a Gerusalemme, ndtr.]. Questi tentativi sono intrapresi sia dal governo che dai gruppi di coloni fanatici che sperano di distruggere la cupola della Roccia e la moschea al-Aqsa per costruire un Terzo Tempio ebraico.

Nell’estate 2017 la situazione ha raggiunto il parossismo, quando le autorità israeliane hanno istallato dei metal detector all’entrata del complesso. Dopo parecchie settimane di dure proteste da parte dei palestinesi, i dispositivi sono stati finalmente rimossi.

La situazione resta comunque tesa ed i palestinesi temono che Haram al-Sharif sia in pericolo.

Dal punto di vista della prassi archeologica, il diritto internazionale è chiaro: Israele non è autorizzato ad effettuare scavi in siti nei territori occupati. Tuttavia, secondo un rapporto dell’Ong svedese Diakonia, dal 1967 Israele ha eseguito scavi in 980 siti archeologici nella Cisgiordania occupata e si è appropriato di numerosi reperti archeologici.

Tra i siti oggetto degli scavi più aggressivi vi è quello di Silwan, un quartiere di Gerusalemme est situato appena fuori dalle mura della città vecchia e a sud di Haram al-Sharif.

Lunedì gli abitanti del quartiere di Silwan hanno protestato contro i nuovi danni strutturali provocati alle abitazioni da ciò che denunciano come scavi archeologici israeliani.

Gli abitanti di Wadi al-Hilweh si sono scontrati con i lavoratori dell’Autorità delle antichità di Israele e della fondazione Ir David, due istituzioni che effettuano scavi nella zona vicina alla moschea al-Aqsa e al muro meridionale della città vecchia.

L’archeologia ad oltranza

La narrazione biblica considera Silwan come il sito originario della città di Davide ed i primi scavi effettuati allo scopo di ricercare questa città originaria sono stati condotti dai coloni britannici alla fine del XIX secolo.

Attualmente la zona degli scavi è gestita dall’organizzazione di estrema destra El-Ad, che cerca di prendere il controllo di Silwan e di ebraizzare il quartiere. L’organizzazione dispone di fondi considerevoli e gli oligarchi ebrei russi Lev Leviev e Roman Abramovich hanno contribuito ai loro sviluppi.

El-Ad effettua “scavi selvaggi” che le hanno consentito di evitare di procurarsi dei permessi del governo.

Queste operazioni implicano scavi e tunnel ricavati sotto Silwan e si estendono fino ai terreni che circondano la moschea di al-Aqsa. Molte case palestinesi nella collina hanno quindi iniziato a sprofondare.

L’archeologia è solo uno dei numerosi meccanismi attraverso cui Israele mantiene il suo dominio sul popolo palestinese. Il ricorso a questa narrazione biblica è manipolato in modo da creare una cortina fumogena per il progetto sionista di colonizzazione.

Israele prosegue la prassi iniziata dagli archeologi coloniali britannici, che consiste nel tenere la bibbia in una mano e una cazzuola nell’altra. Il suo obbiettivo è manipolare la narrazione storica del passato per servire i suoi attuali interessi ed eliminare la possibilità di un futuro palestinese.

Yara Hawari è esperta di politica palestinese per “Al-Shabaka, The Palestinian Policy Network.” In possesso di un dottorato in politica del Medio Oriente all’università di Exeter, scrive spesso per diversi organi di informazione.

Le opinioni espresse in questo articolo impegnano solamente l’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

 




La Corte Suprema israeliana: bastione progressista o responsabile di ingiustizie?

Ben White

Venerdì 23 marzo 2018, Middle East Eye

Invece di arginare le sistematiche violazioni dei diritti contro i palestinesi, il sistema giudiziario rafforza lo status quo discriminatorio

È abitualmente acclamata come l’ultima trincea israeliana contro le leggi ultra-nazionaliste. Ma la Corte Suprema del Paese merita la sua reputazione di difensore dei valori liberali?

Casi recenti hanno evidenziato come la Corte, invece di contrastare le sistematiche violazioni dei diritti subite dai palestinesi, di fatto lubrifica la macchina dell’occupazione.

All’inizio di questo mese la Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] ha approvato una legge che concede al ministero degli Interni il potere di revocare lo status di residenti permanenti nella Gerusalemme occupata ai palestinesi se sono “sleali” nei confronti dello Stato di Israele. In base alla legge “lo Stato può deportare chiunque abbia perso lo status di residente”.

La legge è stata approvata in seguito ad una sentenza della Corte Suprema dell’anno scorso che, apparentemente, ha rappresentato una vittoria per quattro palestinesi a cui era stata annullata la residenza per le loro attività politiche.

Complici dell’oppressione

Mentre annullava quella revoca, la Corte ha nel contempo “congelato la sentenza per 6 mesi per dare la possibilità alla Knesset di approvare una legge che consentisse di togliere loro lo status di residenti.”

In altre parole, lo Stato e la Corte Suprema sono di fatto complici di una legge estremamente repressiva che rappresenta uno schiaffo agli impegni internazionali e ai diritti umani dei palestinesi.

Oppure prendiamo un altro esempio: quello della prassi israeliana di trattenere i corpi dei palestinesi uccisi dalle forze israeliane mentre compiono attacchi, veri o presunti, impedendo alle famiglie di seppellire i propri cari.

Lo scorso mese la Corte Suprema ha accettato una richiesta dello Stato di tenere un’ulteriore udienza su questa prassi “rimandando la prevista restituzione dei corpi alle loro famiglie.”

In un primo tempo la Corte aveva sentenziato che “lo Stato non ha l’autorità di trattenere i corpi di palestinesi come merce di scambio, e deve trasferire i cadaveri alle famiglie dei defunti per la sepoltura,” come riassunto dal centro per la certezza del diritto Adalah.

Eppure qualche settimana dopo la stessa Corte ha accettato il ricorso dello Stato di Israele per tenere un’ulteriore udienza in cui impugnare questa sentenza, che avrà luogo in giugno – ed ha anche accolto la richiesta dello Stato di rimandare la restituzione dei corpi finché non verrà presa una decisione definitiva.

Adalah, insieme al Jerusalem Legal Aid and Human Rights Center [Centro di Assistenza Legale e per i Diritti Umani di Gerusalemme] e alla Commission of Detainees and Ex-Detainees Affairs [Commissione per le Questioni dei Detenuti ed Ex Detenuti], si è comprensibilmente infuriato, sottolineando in un comunicato: “La Corte Suprema ha pronunciato una decisione che rende possibili le continue violazioni delle leggi umanitarie internazionali da parte di Israele.”

Licenza di torturare”

Gli esempi abbondano: lo scorso dicembre i giudici della Corte Suprema israeliana hanno respinto un ricorso per salvare una scuola elementare palestinese nella Cisgiordania occupata minacciata di demolizione. La scuola, ha affermato la Corte, era un tentativo illecito “di creare fatti sul terreno.”

Quello stesso mese fu emessa una decisione persino più preoccupante, quando la Corte Suprema ha respinto una richiesta presentata a favore di un prigioniero palestinese che era stato torturato durante un interrogatorio – come, stranamente, persino lo Stato aveva riconosciuto.

Con una sentenza che ha visto la Corte prendere “le parti dello Stato su tutte le questioni fondamentali che le sono state sottoposte”, la Corte Suprema ha in effetti ridefinito la tortura in modo da consentirla. “La definizione di certi metodi di interrogatorio come ‘tortura’ dipende dalle circostanze concrete,” ha affermato il giudice Uri Shoham, “persino quando ci sono metodi esplicitamente riconosciuti dalle leggi internazionali come ‘tortura’”

Il relatore speciale dell’ONU sulla tortura, Nils Melzer, ha ribattuto: “Questa sentenza crea un pericoloso precedente, minando gravemente il divieto universale di tortura…La Corte Suprema ha essenzialmente fornito loro (agli agenti dello Shin Bet [servizio di intelligence israeliano, ndt.]) una ‘licenza di torturare’ statuita dal punto di vista giuridico.”

Abbassare l’asticella

La Corte Suprema israeliana ha ripetutamente apposto il proprio sigillo di approvazione a leggi e a prassi dello Stato che violano le leggi internazionali e le convenzioni sui diritti umani. L’agghiacciante legge antidemocratica contro il boicottaggio del 2011? La confisca di terre palestinesi a Gerusalemme est occupata?

In effetti è raro che la Corte sentenzi contro lo Stato: i dati presentati nel maggio 2017 mostrano che la Corte Suprema ha rigettato l’87% degli oltre 9.000 ricorsi presentati contro decisioni del governo tra il 1995 e il 2016.

Tuttavia la mitologia abbonda. In un tipico esempio, un rapporto di AP [Associated Press, agenzia di stampa USA, ndt.] dell’ottobre 2017 ha descritto la Corte come “universalmente vista nel ruolo di guardiano dei principi democratici fondativi del Paese”, sottoposta a “pesanti pressioni da politici estremisti” contrari a “quello che vedono come la prevaricazione e la tendenza progressista della Corte.”

È vero che le fazioni politiche israeliane di estrema destra sono state a lungo insoddisfatte della Corte Suprema. Recentemente il ministro della Giustizia Ayelet Shaked ha supervisionato la nomina di due nuovi giudici, con un’iniziativa generalmente indicata come [l’intenzione di] dare alla Corte un aspetto “più conservatore”.

Ma esaminare l’andamento della Corte in base alle percezioni di sostenitori dei coloni ultranazionalisti vuol dire, a dir poco, sistemare l’asticella un po’ troppo in basso. Oltretutto i “progressisti” della magistratura e i loro avversari di destra hanno più cose in comune di quanto entrambi vogliano ammettere.

Vittorie occasionali

La scorsa settimana una commissione della Knesset ha presentato la versione finale di una legge “per lo Stato-Nazione ebraico” che, secondo Haaretz, ha l’intenzione di porre le basi perché la Corte Suprema “dia la prevalenza al carattere ebraico di Israele sui suoi valori democratici, se questi dovessero entrare in conflitto nei tribunali.”

Solo che è una cosa che la Corte Suprema può già fare, ed ha fatto, interpretando una clausola importantissima della Legge Fondamentale [che in Israele fa le veci della costituzione, ndt]: la dignità e la libertà umane vanno intese per dare “un’importanza significativa alla natura di Israele come Stato ebraico e ai suoi obiettivi, a spese dei…diritti fondamentali.”

Quindi il rapporto mostra che, lungi dal rappresentare una protezione per i palestinesi, o persino per gli ebrei israeliani sostenitori dei diritti umani, la Corte Suprema agevola, piuttosto che rigettare, le violazioni. Vittorie sporadiche sono esattamente questo: la Corte è una parte centrale dello status quo discriminatorio, e lo rafforza.

Ben White è autore di Apartheid israeliano: una guida per principianti e di Palestinesi in Israele: segregazione, discriminazione e democrazia.. Scrive articoli per Middle East Monitor e i suoi articoli sono stati pubblicati da Al Jazeera, al-Araby, Huffington Post, the Electronic Intifada, [nella rubrica] “Il commento è libero” del Guardian [giornale progressista inglese, ndt.] ed altri.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Stephen Hawking e Hamas: come uno scienziato ha preso la parola a favore dei palestinesi

Redazione di MEE

mercoledì 14 marzo 2018,Middle East Eye

Nel 2006 il fisico, morto mercoledì, incontrò il primo ministro israeliano Ehud Olmert, ma auspicò colloqui tra Israele ed Hamas dopo la guerra contro Gaza del 2008-09

Mercoledì si sono resi omaggi al famoso fisico inglese Stephen Hawking – ricordandolo non solo per la genialità della sua mente come scienziato, ma anche come appassionato attivista che ha prestato la propria impareggiabile voce a cause come il diritto dei palestinesi a resistere e per chiedere la fine della guerra in Siria.

Hawking, morto mercoledì mattina a 76 anni, raggiunse la fama internazionale in seguito alla pubblicazione nel 1988 di “Una breve storia del tempo”, il suo libro sulla ricerca di fisica teorica per una teoria unitaria che permettesse di risolvere [la contraddizione tra] la relatività generale e la meccanica quantistica.

Il libro arrivò a vendere più di 10 milioni di copie e trasformò Hawking in uno dei più rinomati scienziati al mondo.

A quel tempo Hawking era costretto su una sedia a rotelle e in grado di parlare solo tramite il suo particolare sintetizzatore vocale, poiché all’età di 22 anni gli venne diagnosticata una patologia neuronale.

Tra quanti hanno postato sui social media omaggi alla sua memoria ci sono stati i militanti per i diritti dei palestinesi, che hanno ricordato il suo appoggio al movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS), che chiede il boicottaggio accademico di Israele.

Nel 2013 Hawking si è ritirato da una conferenza a Gerusalemme sul futuro di Israele, affermando di aver deciso di “rispettare il boicottaggio” in base al parere di accademici palestinesi.

Hawking è stato condannato da sostenitori di Israele ; un portavoce del ministero degli Esteri israeliano ha detto: “Mai uno scienziato di una tale importanza ha boicottato Israele.”

Israel Maimon, il presidente della conferenza, ha affermato: “Il boicottaggio accademico di Israele secondo noi è vergognoso e scorretto, sicuramente da parte di una persona per la quale lo spirito di libertà è alla base della propria missione umana e accademica.”

Nel gennaio 2009, parlando con Al Jaazera dell’invasione israeliana di Gaza, “Piombo fuso”, in cui vennero uccisi più di 1.000 palestinesi, Hawking disse: “Un popolo sotto occupazione continuerà a resistere in ogni modo possibile. Se Israele vuole la pace dovrà parlare con Hamas come la Gran Bretagna ha parlato con l’IRA (l’Irish Republican Army) [il gruppo armato degli indipendentisti irlandesi, ndt.].”

Hamas è il rappresentante democraticamente eletto del popolo palestinese e non può essere ignorato.”

In quel periodo la posizione di Hawking sulla Palestina sembrò essersi radicalizzata, dai tempi della visita di otto giorni in Israele nel 2006, quando si incontrò con l’allora primo ministro Ehud Olmert.

Durante quel viaggio Hawking tenne anche una lezione presso l’Università Ebraica di Gerusalemme e visitò l’università [palestinese] di Birzeit nella Cisgiordania illegalmente occupata.

Hawking ha anche utilizzato la sua pagina Facebook per appoggiare gli scienziati palestinesi, chiedendo lo scorso anno ai suoi followers di donare fondi per sostenere l’apertura di una seconda scuola palestinese di studi di fisica avanzata.

Nel 2014 Hawking ha anche fatto sentire la propria voce sulla guerra in Siria, come parte di una campagna di “Save the Children”, per ricordare quello che allora era il terzo anno del conflitto, dando voce alle esperienze dei bambini colpiti dagli scontri.

Hawking ha affermato: “Quello che sta avvenendo in Siria è un abominio che il mondo sta guardando impotente dall’esterno. Dobbiamo lavorare insieme per porre fine a questa guerra e per proteggere i bambini siriani.”

Nel 2003 Hawking si espresse anche contro l’invasione dell’Iraq guidata dagli USA.

Nel 2004, rivolgendosi ad un raduno contro la guerra, Hawking disse che la guerra era stata giustificata sulla base delle “due menzogne”, secondo cui l’Iraq possedeva ordigni di distruzione di massa e insinuazioni su legami tra il governo di Saddam Hussein e gli attacchi dell’11 settembre 2001 contro gli USA.

È stata una tragedia per tutte le famiglie. Se questo non è un crimine di guerra, che cos’è?” disse Hawking. “Mi scuso per la mia pronuncia. Il mio sintetizzatore vocale non è stato impostato per i nomi iracheni.”

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Infanzia rubata: la vita dei minori palestinesi dopo la prigione

Chloé Benoist

5 marzo 2018, Middle East Eye

I minori palestinesi incarcerati da Israele affrontano il trauma e la sfida di cercare di riconquistare la propria infanzia.

CISGIORDANIA OCCUPATA – A volte il diciottenne Mohammad sogna di essere ancora nella prigione militare di Ofer.

“Ricordo i miei amici in prigione. Mi sembra di essere di nuovo là”, dice sommessamente il giovane palestinese, tenendo gli occhi bassi mentre ricordava gli otto mesi passati nella prigione israeliana tra il 2016 e il 2017.

Mohammad, che preferisce non rivelare il suo cognome per motivi di sicurezza, è stato incarcerato quando aveva solo 16 anni.

Secondo l’associazione per i diritti dei prigionieri palestinesi “Addameer”, in gennaio sono stati incarcerati 330 minori palestinesi.

Tra loro vi è Ahed Tamimi, la ragazza di 17 anni il cui caso è stato una notizia da prima pagina sui giornali di tutto il mondo da quando è stata incarcerata a dicembre.

“Sì, sono orgoglioso. Sì, lei è forte”, dice l’attivista politico e padre di Ahed, Bassem Tamimi. “Ma è cresciuta troppo presto per la sua età. Ha perduto la sua infanzia a causa di qualcosa di cui noi –il mondo, gli adulti – siamo responsabili.”

Violenza fisica

Secondo Carol Zoughbi-Janineh, supervisore amministrativo di YMCA di Gerusalemme est, programma di riabilitazione per ragazzini che sono stati in prigione, il numero di minori palestinesi detenuti dalle forze israeliane è costantemente aumentato dal 2000.

“Quando abbiamo dato inizio al programma (nel 2008) vi erano tra 500 e 700 minori detenuti all’anno. L’anno scorso sono stati 1.467”, dice a MEE. “È davvero un dato allarmante.”

Zoughbu-Janineh dice che, benché la stragrande maggioranza dei minori detenuti sia costituita da maschi, le ragazze sono state arrestate in sempre maggior numero negli ultimi tre anni, con oltre 60 ragazze arrestate nel 2017, un forte aumento rispetto a una o due per ogni anno antecedente il 2015.

Diverse associazioni per i diritti nel corso degli anni hanno denunciato le condizioni di incarcerazione dei minori palestinesi – puntando l’indice sulla sistematica incriminazione di fronte ai tribunali militari, con un tasso di condanne vicino al 100%.

Secondo “Defense for Children Iternational – Palestina “(DCIP), tre minori su quattro subiscono violenza fisica durante l’arresto o l’interrogatorio.

Rapporti di “Human Rights Watch” (HRW) e delle associazioni israeliane per i diritti B’Tselem e HaMoked hanno rivelato che le forze israeliane usano violenza non necessaria durante l’arresto di minori e “ regolarmente” li interrogano senza la presenza di un parente o di un avvocato. Parecchi minori hanno riferito di essere stati presi a schiaffi e calci, picchiati e bendati durante il loro arresto o interrogatorio.

Secondo le associazioni per i diritti umani, spesso ai minori vengono fatti firmare documenti scritti in ebraico, anche se non capiscono la lingua. Inoltre i minori sono abitualmente detenuti insieme agli adulti.

Il Servizio Carcerario Israeliano (IPS) non ha risposto alla richiesta di MEE di parlare delle condizioni detentive e delle violazioni riferite su minori palestinesi, o di dire quali servizi psicologici, se esistenti, fossero disponibili per i prigionieri minori al momento della pubblicazione [di questo articolo].

Quasi la metà dei palestinesi nei territori occupati sono minori di 18 anni. Per Mohammad, Ahed e molti altri giovani palestinesi che sono stati nelle carceri israeliane, le difficoltà non finiscono dopo essere usciti di prigione. Questi ragazzi devono imparare come riconquistare la propria infanzia dopo una così traumatica esperienza.

Acclamati come eroi

Mohammad è stato arrestato dalle forze israeliane alla fine del 2016 insieme a parecchi suoi amici, mentre si trovavano vicino ad un centro giovanile locale.

Secondo lui, è stato picchiato durante l’arresto e quando era sotto custodia israeliana ed accusato di aver lanciato pietre, che è un’ imputazione usuale contro i minori palestinesi.

La condanna, se c’è, può arrivare fino a 20 anni di prigione, ma Mohammad è stato rilasciato otto mesi dopo, senza aver subito alcuna condanna per alcun reato.

“Quando mi hanno rilasciato sono rimasto sorpreso”, dice Mohammad, ricordando quasi un anno dopo quel momento. “La liberazione dopo una detenzione di otto mesi, dopo che mi hanno detto che non ero colpevole di niente, ero felice e al tempo stesso sbalordito, perché non mi aspettavo di essere rilasciato.”

Mentre la liberazione di un prigioniero è un momento di grandi celebrazioni nei territori occupati, in seguito gli ex prigionieri vengono spesso lasciati a lottare con pensieri ed emozioni difficili quando tornano alla vita normale – un processo complicato, che è molto più arduo per dei ragazzi.

“I ragazzi sono più colpiti degli adulti (dal carcere), perché i loro meccanismi di difesa sono più deboli, in quanto il loro cervello è ancora in evoluzione”, avverte la psichiatra e psicoterapeuta palestinese Samah Jabr. “Un’esperienza come questa può spezzare il tessuto sociale intorno al giovane, il suo rapporto con la famiglia e la società.”

I prigionieri detenuti da Israele sono celebrati come eroi nella società palestinese, un ruolo che può spingere i minori a non mostrare segni di debolezza.

“A volte quel ruolo costringe le persone in una camicia di forza. Non possono esprimere il dolore; non possono chiedere aiuto; non possono mostrare le loro vulnerabilità”, dice Jabr.

Sia Jabr che Zoughbi-Janineh elencano una serie di sintomi psicologici manifestati dai minori dopo che erano stati rilasciati dal carcere, compresi depressione, ansia, problemi di concentrazione, introversione o comportamento aggressivo.

“Se sono con i miei amici o con la mia famiglia non sono triste. Ma se sono da solo a casa, incomincio a pensare alla prigione e a tutto il resto. E incomincio a sentirmi triste”, ha detto Mohammed, aggiungendo che passa molto tempo fuori con gli amici, per evitare di restare solo con i suoi pensieri.

Mentre Jabr dice che molti dei sintomi mostrati dai ragazzi ex prigionieri potrebbero rientrare nella classificazione di disordine da stress post-traumatico (PTSD), il perdurante trauma causato dai settant’anni di occupazione israeliana ha reso difficile affrontare tali questioni in passato.

“Raramente faccio per questi minori una diagnosi di PTSD [disturbi da stress post-traumatico]. Penso che ciò che accade sia una distruzione più subdola della loro personalità. Non si tratta solo di un evento traumatico, dopo il quale le persone vivono in pace per sempre”, dice Jabr, che ha scritto il libro “Derrière les fronts” [Dietro i fronti], che getta lo sguardo sull’impatto psicologico dell’occupazione. Il libro dovrebbe uscire verso la fine del mese.

‘Impotenti a proteggere i propri figli’

Dal momento dell’arresto – che spesso avviene in casa in piena notte – i minori imprigionati sono afflitti da “impressionanti immagini di impotenza, debolezza e disperazione dei genitori” incapaci di proteggere i propri figli, dice Jabr.

Zoughbi sottolinea un problema ancor più grande per le famiglie di Gerusalemme est annessa, dove molti minori sono condannati agli arresti domiciliari invece che al carcere.

“All’inizio potresti pensare ‘mio figlio non è in prigione’, ma dover stare in casa è psicologicamente ancor più devastante perché si chiede ai genitori di imprigionare il proprio stesso figlio”, dice. “Non vedi più i tuoi genitori come tali. Li vedi come carcerieri.”

Dopo la liberazione, le famiglie spesso lottano per ricostruire il rapporto di fiducia tra genitori e figli, in quanto i ragazzi si ribellano contro l’autorità dei genitori.

Molti ragazzi lottano per reinserirsi a scuola, soffrendo di problemi psicologici e venendo inquadrati in classi inferiori dopo aver passato molto tempo in prigione con un accesso minimo all’educazione. Il risultato è che minori ex prigionieri come Mohammad spesso lasciano la scuola. Lui ha lasciato la scuola superiore ed ora fa due lavori part-time.

Anche le amicizie finiscono per risentirne, in quanto i ragazzi ex detenuti faticano a rapportarsi con i loro pari e mostrano tendenze a isolarsi.

“Prima del carcere ero estroverso, parlavo a voce alta, ma ora sono più silenzioso”, dice Mohammad, aggiungendo di sentire una maggiore affinità con amici che sono stati in carcere con lui piuttosto che con quelli che non sono mai stati in prigione, “perché quelli fuori non hanno mai provato niente di simile.”

Per paura di essere nuovamente arrestato, Mohammad non va più al centro giovanile locale vicino al quale è stato arrestato e al più tardi alle dieci di sera è sempre a casa.

Un membro della comunità ha detto a MEE che le forze israeliane hanno fatto irruzione nella città di Mohammed ed arrestato il giovane ed un amico per alcune ore, alcuni giorni dopo l’intervista. Sono stati rilasciati senza essere informati del perché fossero stati presi, confermando i timori di Mohammad.

Quando non hai scelta’

Le Ong come YMCA forniscono servizi di riabilitazione per ragazzi ex prigionieri, ma Zoughbi-Janineh dice che l’organizzazione può farsi carico di 400 casi all’anno al massimo, sottolineando che le risorse limitate impediscono seriamente di raggiungere tutti i giovani colpiti che necessitano di supporto.

Intanto, Bassem Tamimi ammonisce che molte famiglie, soprattutto in zone politicamente attive come il villaggio di Nabi Saleh in Cisgiordania, diffidano delle Ong che si occupano di fornire supporto psicologico. Sospettano che queste organizzazioni potrebbero scoraggiare i ragazzi dall’impegnarsi nelle attività della resistenza.

“Lanciare pietre fa parte del trauma? Qualcuno potrebbe ritenere che sia così, sì”, dice. “O è una cura per la rabbia interiore? Magari i ragazzi curano se stessi evitando di essere solo vittime.”

Bassem afferma che gli abitanti di Nabi Saleh, dove vive la famiglia Tamimi, hanno inventato il loro modo per aiutare i ragazzi di fronte alla minaccia di arresto. Dice che lui cerca sempre di spiegare la situazione ai suoi figli fin da piccoli, invece di nascondergliela.

“Se spavento i miei figli e li tengo da parte, allora verranno spezzati dentro, e questo per loro è peggio che se gli venisse spezzata una mano”, dice.

Bassem racconta che il villaggio ha organizzato diverse sessioni di formazione durante le quali ai ragazzi viene detto che cosa aspettarsi durante l’arresto, l’interrogatorio e il processo, comprese simulazioni in cui i minori vengono bendati e ammanettati. Manal Tamimi, zia di Ahed, commenta una di queste sessioni di formazione su Facebook, dicendo:

“Certo non è normale sottoporre questi ragazzini ad una simile formazione, e non stiamo dipingendo come normale la situazione, ma questa è la nostra realtà e la nostra vita e quei minori devono essere preparati a tutto ciò che potrebbe succedere.”

Da parte sua, Jabr esprime delle riserve su queste sessioni di formazione.

“Preferisco un approccio più generale e meno ansiogeno”, dice. “Un approccio in cui stimoliamo la resilienza, i punti di forza delle persone, le loro abilità sociali, la loro assertività, le tecniche di relazione”, sostiene.

Jabr afferma di aver lavorato con consulenti scolastici, insegnanti, organizzatori di comunità e allenatori per creare reti comunitarie di adulti sensibilizzati ai bisogni psicologici dei minori. È un approccio che secondo lei potrebbe evitare lo stigma legato al cercare aiuto psicologico.

Per Jabr, l’incarcerazione di minori indica una politica israeliana consapevole che prende di mira la gioventù palestinese.

“Penso che questa sia un’azione deliberata per intimidire la comunità palestinese”, dice. “Ritengo che, quando una popolazione vive questa esperienza in età molto giovane, si tratti di un tentativo di mettere in ginocchio la comunità. Gli israeliani sperano che i palestinesi diventino l’ombra di ciò che sono.”

Bassem respinge le illazioni, diffuse da dirigenti israeliani, che i palestinesi tengano poco al benessere dei loro figli.

“A volte ci accusano di usare i nostri figli, di metterli in pericolo”, dice Tamimi. “Se qualcuno ci desse un posto sicuro in Palestina, metteremmo là i nostri figli. Ma lei (Ahed) non è in una condizione che le permetta di vivere una vita normale.”

“La nostra situazione ha bisogno di una cura: la fine dell’occupazione”, aggiunge. “Quando non hai scelta, che cosa dovresti fare? Noi dobbiamo imparare a fare i conti con questa situazione, ad essere abbastanza forti per affrontarla, a crescere i nostri figli in un modo diverso.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)





Gaza sotto assedio: con il crollo degli affari gli imprenditori si trovano ad affrontare la prigione

Amjad Ayman

Giovedì 1 marzo 2018, Middle East Eye

Con uneconomia sotto assedio che strangola il commercio, i piccoli imprenditori finiscono in prigione perché non riescono a pagare i loro debiti.

GAZA – Mohammed Abu Beid, un produttore di abbigliamento, dice che il 2017 è stato un anno fra i peggiori per gli affari. Dopo aver perduto più di un milione di dollari, sta annegando nei debiti.

Abu Beid ha importato vestiti da uomo e donna dalla Cina e li ha venduti a Gaza in tre grandi mercati all’aperto per circa vent’anni. Con i ritardi nelle consegne dovuti al bocco israeliano e con la decisione dell’Autorità Nazionale Palestinese di tagliare i salari degli impiegati statali del 30%, la sofferente economia di Gaza e il potere d’acquisto sono rapidamente crollati. Gli affari di Abu Beid, un tempo fiorenti, sono arrivati economicamente allo stremo. “Dal 2017 la gente non ha più i soldi per comprarsi vestiti nuovi,” ha detto Abu Beid a Middle East Eye.

In febbraio Abu Beid è stato arrestato e tenuto in prigione per 10 giorni per non aver pagato un debito di 200.000 dollari. presi a prestito da un collega imprenditore di Gaza per tenere a galla i propri affari.

Non riuscivo a sopportare I muri della prigione, senza sapere cosa sarebbe potuto accadere alla mia famiglia se io fossi rimasto in carcere. Sono uscito di prigione quando un amico ha concordato con il creditore che il debito venga restituito in due anni, a condizione di pagare 10.000 dollari al mese”, ha detto.

Se Abu Beid non riesce a restituire il denaro, rischia 90 giorni di prigione. Questa disavventura non è stata pesante per la moglie di Abu Beid e per i loro quattro figli solo dal punto di vista emotivo, ma li ha anche privati di molti dei bisogni essenziali dal momento che hanno ipotecato la casa per ripagare una parte del debito. Con il potere d’acquisto che continua a diminuire e le piccole imprese che lottano per sopravvivere, Abu Beid non è il solo a finire in prigione.

Mi ha scioccato vedere tanti commercianti in carcere”, ha detto Abu Beid. Molte piccole imprese sono crollate sotto la pressione dei debiti, del soffocante blocco israeliano e delle divisioni interne fra I palestinesi.

Il portavoce della polizia Ayman al-Batniji ha detto a MEE che il numero di mandati di arresto emessi per casi di passivi finanziari, tra cui il mancato pagamento di debiti o delle rate bancarie, ha raggiunto i 98.314 casi nel 2017. Questa cifra è quasi cinque volte quella del 2016, quando i casi erano stati 21.235.

Ci sono attualmente 300 commercianti in prigione per reati finanziari che non hanno nessuna possibilità di pagare i debiti. Altri cercano di firmare cambiali per pagare a rate, e allora vengono rilasciati.”

Al-Batniji afferma che il numero di casi di indebitamento tra i proprietari di piccole imprese è in realtà molto più alto di quello registrato dalla polizia.

“Molti di loro cercano di risolvere i problemi legali attraverso un mukhtar che interviene per raggiungere un accordo tra commercianti per pagare il debito. Comprendiamo la situazione [e] cerchiamo di creare una qualche soluzione per aiutare questi commercianti “, ha detto. Un mukhtar è un saggio leader della comunità che trae la sua legittimità dal carisma personale o dal prestigio familiare.

Al-Batniji afferma che, a causa delle difficili condizioni economiche, le autorità danno alle persone con pendenze finanziarie tre possibilità di restituire il denaro prima di eseguire un ordine di detenzione fino a 15 giorni. Il caso viene quindi rinviato in tribunale, che può, in conformità con la legge, condannare coloro che hanno un debito con una pena fino a un massimo di 90 giorni di carcere.

“Quando si tratta di soldi, la situazione è difficile, poiché ci sono i diritti delle persone, e la legge non può trascurare questi diritti, a meno che non vi sia riconciliazione tra le parti. Alcune persone possono condonare i debiti, ma rappresentano solo il 20% dei casi”, ha spiegato al-Batniji.

A gennaio, molti commercianti hanno preso parte a una campagna di condono del debito e hanno cancellato i debiti dei loro clienti con l’hashtag  “Perdona e sarai ricompensato”. Ma con l’economia bloccata, non tutti possono permettersi di mettere una pietra sopra la grande quantità di debiti che ha rovinato molti.

Ho perso molto’

Il 21 gennaio, Mohamed al-Jamal è stato arrestato dopo che uno dei suoi assegni è risultato scoperto. Di conseguenza, questo padre di cinque figli e il solo a provvedere a loro è stato rinchiuso nella prigione di Al-Nuseirat, al centro della Striscia di Gaza. Al-Jamal non aveva mai pensato che un giorno avrebbe potuto finire in carcere.

Una volta lì, dice che non poteva far altro che pensare alla famiglia. Con due grandi negozi nel centro di Gaza che vendevano articoli da cucina come piatti e utensili, si era sempre considerato un uomo d’affari di successo.

Ma anche proponendo grossi sconti per promuovere i suoi prodotti, la maggior parte dei due milioni di persone nell’enclave non poteva comunque permettersi di comprare nulla. Ora deve 32.000 dollari, che pagherà a rate. Se non sarà in grado di effettuare i pagamenti nonostante il suo piano di una campagna di sconti ancora maggiori, del 40-60% sui prezzi normali, rischia di perdere la sua attività e tornare in prigione.

“Non ho realizzato profitti negli ultimi sei mesi e speravo che l’intera faccenda migliorasse dopo l’accordo di riconciliazione palestinese nell’ottobre 2017. Ho comprato grandi quantità di merce, sperando di ottenere buoni profitti, ma le cose sono andate diversamente dalle mie aspettative e ho perso molto”.

Nell’ottobre 2017 è stato raggiunto un accordo di riconciliazione tra Hamas e l’Autorità palestinese dopo una faida di 10 anni.

Sebbene l’accordo abbia portato a un calo significativo dei prezzi, solo un numero limitato di persone può permettersi di comprare qualcosa, poiché l’ANP continua a imporre un taglio dello stipendio del 30% sui 60.000 dipendenti pubblici, entrato in vigore da aprile 2017.

Secondo la Palestinian Monetary Authority (PMA), l’ammontare degli assegni respinti a Gaza è quasi raddoppiato, da 37 a 62 milioni di dollari tra il 2015 e il 2016, e poi ancora a 112 nel 2017.

L’economista Maher al-Tabaa, che è anche direttore delle relazioni pubbliche presso la Camera di Commercio di Gaza, afferma che il settore del commercio privato nell’enclave costiera, come mercati e negozi, sta perdendo milioni di dollari al mese. Secondo al-Tabaa, negli ultimi 10 mesi si è registrata una perdita di ricavi di mercato di circa 180 milioni di dollari, in tutti i settori industriali e commerciali.

“Gli uomini d’affari sono preoccupati per l’attuale deterioramento della situazione economica e stanno subendo gravi perdite. Ciò è dovuto ai continui tagli salariali per i dipendenti pubblici. Di conseguenza, la perdita di mercato è stimata in 20 milioni di dollari al mese”, spiega.

Gli uffici legali sono stati recentemente sommersi da molti casi di passività finanziarie. L’avvocato Ahmed al-Masri ha detto di aver avuto più di 90 casi simili nel 2017.

“Il periodo di detenzione è di 15 giorni, poi le parti in causa vengono convocate in tribunale. Comunque, in questo caso le parti tendono a cercare un accordo per pagare i debiti a rate. Purtroppo, la maggior parte non ci riesce.” ha detto Masri.

Nabil Essa, proprietario di un negozio di mobili, continua a lottare per pagare il suo debito di 410.000 dollari. Essa è stato imprigionato per la prima volta a novembre perché non poteva restituire i soldi. 

È stato rilasciato a dicembre, dopo che il mukhtar della sua famiglia è intervenuto e ha proposto un piano di pagamento. Incapace di pagare le rate concordate, è stato nuovamente incarcerato per circa otto giorni prima che il mukhtar intervenisse una seconda volta per mediare un diverso piano di pagamento.

Essa ha tempo fino a metà marzo per trovare una soluzione ai suoi problemi finanziari, altrimenti andrà in prigione per 90 giorni.

“Non posso pagare il debito. Le persone non acquistano mobili da anni. La maggior parte di loro tende a riparare i mobili piuttosto che comprarne di nuovi, perché non hanno soldi “, ha detto.

“La mia famiglia ora dipende da mio padre: mangiano da lui perché io non posso comprare il cibo per loro”, ha aggiunto.

(traduzione di Luciana Galliano)