La polizia israeliana ferisce decine di lavoratori palestinesi che protestano vicino al valico

Fayha Shalash, Ramallah

29 agosto 2023 MiddleEastEye

I palestinesi protestano contro le autorità israeliane che impediscono agli autobus di portarli al lavoro in Israele.

Martedì mattina la polizia di frontiera israeliana ha attaccato i lavoratori palestinesi vicino al valico settentrionale della città di Qalqilya, nella Cisgiordania settentrionale occupata, ferendone decine.

Decine di lavoratori avevano bloccato parte della Route 55 adiacente al valico di Eyal, uno dei principali posti di blocco tra Israele e Cisgiordania, dopo che la polizia israeliana aveva impedito ad autobus e altri veicoli di trasportarli ai loro luoghi di lavoro in Israele.

Centinaia di guardie di frontiera israeliane sono arrivate sul posto per reprimere la protesta, ferendo decine di lavoratori e proprietari di veicoli che sono stati poi trasferiti all’ospedale governativo Darwish Nazzal di Qalqilya.

Le autorità israeliane hanno fermato gli autobus che, secondo loro, circolano senza licenza o trasportano lavoratori senza permesso.

Senza autobus e altri appositi veicoli i palestinesi che lavorano in Israele non hanno mezzi a disposizione per raggiungere il posto di lavoro dopo aver attraversato il posto di blocco.

Come ogni mattina, Zuhdi Abu Taha, 34 anni, si stava recando al valico per andare al lavoro. È rimasto sorpreso dalla presenza di decine di lavoratori sulla strada principale e di un gran numero di soldati israeliani.

All’improvviso i soldati hanno iniziato a lanciarci contro granate assordanti e lacrimogeni. Ho sentito qualcosa colpirmi il viso e il sangue riempirmi la bocca con un dolore forte e insopportabile, quando una granata stordente mi è esplosa accanto”, ha detto Abu Taha a Middle East Eye.

Abu Taha è stato prima trasferito all’ospedale governativo con una lacerazione al labbro inferiore, un ampio taglio a quello superiore, una mascella rotta e denti rotti. Ma a causa della gravità delle ferite, è stato portato in un ospedale privato a Nablus per un intervento chirurgico urgente.

Più di 20 lavoratori hanno riportato soffocamento e contusioni durante l’attacco, che ha causato scontri nella zona durati più di un’ora.

Secondo Abu Taha l’assalto ai lavoratori non è una novità, anche se possiedono i permessi necessari.

Ogni mattina i lavoratori aspettano diverse ore al valico prima di poter entrare, il che li porta a soffrire spesso di affanno e, in alcuni casi, di attacchi di cuore.

I lavoratori palestinesi accusano Israele di abusi e maltrattamenti intenzionali e di trascurare i loro diritti come lavoratori e le misure di sicurezza pubblica, la cui mancanza mette le loro vite in costante pericolo.

Shaher Saad, segretario generale della Federazione Generale dei Sindacati Palestinesi, ha definito brutale l’attacco contro i lavoratori palestinesi che cercano di guadagnarsi da vivere in circostanze difficili.

In un comunicato stampa ha affermato che le autorità israeliane hanno soppresso gli autobus che trasportano i lavoratori come forma di punizione collettiva.

Ha inoltre invitato l’Organizzazione Internazionale del Lavoro e la Confederazione Internazionale dei Sindacati a intervenire immediatamente e a proteggere con urgenza i lavoratori che entrano in Israele per lavoro.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Gli USA si oppongono alla rivelazione dell’incontro Libia-Israele perché ‘affossa’ lo sforzo di normalizzazione

Redazione MEE

28 agosto 2023 – Middle East Eye

La ministra degli Esteri libica Najla al-Mangoush che si era incontrata con l’omologo israeliano è fuggita in Turchia per motivi di sicurezza dopo essere stata rimossa.

Axios [sito di notizie statunitense, ndt.], citando funzionari israeliani e USA, ha riportato che durante il fine settimana gli Stati Uniti hanno protestato presso il governo israeliano per la decisione del ministro degli Esteri Eli Cohen di rivelare pubblicamente l’incontro segreto con la sua omologa libica.

La scorsa settimana la ministra degli Esteri libica Najla al-Mangoush si è incontrata in Italia con l’israeliano Cohen nonostante i due Paesi non abbiano relazioni ufficiali. Cohen si è vantato in una dichiarazione “del grande potenziale della cooperazione tra i due Paesi”.

Le dimensioni e la posizione strategica della Libia le conferiscono una grande importanza per i suoi contatti e costituiscono un enorme potenziale per Israele,” ha aggiunto Cohen.

Un funzionario USA ha riferito ad Axios che l’amministrazione Biden è rimasta sorpresa quando Cohen ha svelato l’incontro dicendo che l’idea di Washington era che dovesse restare segreto.

Axios ha riferito che sabato alcuni funzionari USA hanno parlato con Cohen e altri israeliani protestando per la gestione del caso da parte del ministero degli Esteri.

Un collaboratore di Cohen ha detto che si pensava che prima o poi l’incontro sarebbe stato reso pubblico e ha deciso di fare una dichiarazione dopo che la stampa israeliana aveva chiesto del meeting al suo ufficio.

‘Affossa’ la normalizzazione Libia-Israele

La rivelazione israeliana ha causato diffuse proteste in Libia e il governo di Tripoli è stato lasciato solo ad occuparsi di domare la rivolta. Il ministro degli Esteri libico ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che lo scambio non ha incluso “discussioni, accordi o consultazioni”, e ha definito il meeting “un incontro casuale e non preparato”.

Il premier libico ha sospeso e poi rimosso Mangoush che a quel che si dice è fuggita in Turchia temendo per la propria sicurezza.

La Libia si è da sempre opposta alla normalizzazione dei rapporti con Israele e sostiene la causa palestinese. Le proteste aggiungono un ulteriore livello di instabilità al Paese petrolifero, diviso tra due governi rivali.

Il primo ministro Abdulhamid al-Dbeibah guida il governo con sede a Tripoli, a occidente, ed è giunto al potere nel febbraio del 2021 al termine di un processo appoggiato dall’ONU per unificare la Libia e prepararla alle elezioni. Dbeibah sta incontrando una pressione crescente affinché si dimetta, mentre l’élite politica libica ostacola il processo elettorale.

La Libia orientale è comandata da un governo sostenuto dal generale Khalifa Haftar che guida l’Esercito Nazionale Libico (LNA). Da parte sua Haftar si è messo in contatto con Israele. Nel novembre 2021 Saddam Haftar, suo figlio e comandante militare con un ruolo chiave nel LNA, ha visitato Israele.

La reazione nelle piazze libiche all’incontro di Cohen con Mangoush ha anche causato un inconsueto rimprovero a Israele, che si era abituato a rivelare pubblicamente i propri legami con gli Stati arabi.

Dal 2020 Israele ha normalizzato i suoi rapporti con Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan tramite una serie di accordi mediati dagli Stati Uniti. Anche l’Arabia Saudita sembra stia prendendo in considerazione la normalizzazione dei suoi legami e ha pubblicamente preso parte a esercitazioni militari con Israele.

Egitto e Giordania hanno stabilito relazioni diplomatiche con Israele decenni fa. Sebbene i legami pubblici siano ridotti al minimo, sono spesso annunciati incontri tra leader e funzionari. 

Tre funzionari USA e israeliani hanno riferito ad Axios che l’amministrazione Biden stava lavorando da due anni alla normalizzazione delle relazioni della Libia con Israele.

Secondo i rapporti la prospettiva di normalizzazione era stata discussa in un incontro fra Dbeibah e il direttore della CIA William Burns, che aveva visitato il Paese a gennaio. Un funzionario ha riferito ad Axios che ora, dopo la reazione negativa all’incontro in Libia, questi sforzi e quelli per normalizzare i rapporti di altri Paesi arabi con Israele sono stati danneggiati.

Ha poi concluso: “L’amministrazione Biden è preoccupata che la rivelazione dell’incontro e gli scontri ad esso seguiti non solo danneggeranno gli sforzi di normalizzare le relazioni fra Israele e Libia, ma anche quelli in corso con altri Paesi arabi”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Politica dell’inganno: messa a nudo la slealtà della Gran Bretagna verso la Palestina

Peter Oborne

25 agosto 2023 – MiddleEastEye

Con lucida analisi e una meticolosa ricerca, il nuovo libro dello storico Peter Shambrook dimostra come la Gran Bretagna abbia mentito fin dall’inizio sulle sue intenzioni riguardo alla Palestina

Ad aprile le forze di sicurezza israeliane hanno brutalmente aggredito i fedeli palestinesi all’interno della moschea di Al-Aqsa, nella Gerusalemme est occupata.

All’indomani dell’attacco James Cleverly, ministro degli Esteri britannico, ha invitato “tutte le parti a rispettare gli accordi storici sullo status quo dei luoghi santi di Gerusalemme e a cessare ogni azione provocatoria”.

Cleverly dovrebbe sapere che ad Al-Aqsa c’è stato un solo aggressore: Israele. Avrebbe anche dovuto sapere che l’accordo sullo status quo attribuisce la responsabilità della sicurezza interna ad Al-Aqsa al re di Giordania Abdullah II.

E che l’accordo sullo status quo non attribuisce alcun ruolo alle forze israeliane all’interno del complesso di Al-Aqsa. Eppure Cleverly ha proceduto a fare allegramente la sua menzognera dichiarazione.

Lo splendido nuovo libro dello storico del Medio Oriente Peter Shambrook colloca la disinvolta malafede di Cleverly nel suo tragico contesto storico.

In Policy of Deceit. Britain and Palestine 1914-1939 [Politica dell’inganno. La Gran Bretagna e la Palestina 1914-1939] Shambrook dimostra che il resoconto cinicamente fuorviante di Cleverly sugli eventi all’interno di Al-Aqsa – così come innumerevoli altre dichiarazioni false e sbilanciate da parte di funzionari britannici – fa parte di uno schema di disonestà britannica sulla Palestina che risale a più di un secolo fa.

In una trattazione di ammirevole lucidità di pensiero e meticolosa erudizione Shambrook dimostra come la Gran Bretagna abbia mentito fin dall’inizio sulle sue intenzioni riguardo alla Palestina.

La Gran Bretagna e gli Ottomani

Al centro della sua persuasiva indagine c’è l’accordo concluso tra l’impero britannico e lo sharif della Mecca dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

La Gran Bretagna era allora la più grande potenza del mondo, ma cominciò a temere di perdere i “possedimenti” all’estero quando gli Ottomani si schierarono con la Germania.

La situazione si fece critica quando, contro ogni previsione, l’impero ottomano respinse l’invasione britannica della Turchia nel 1915.

A seguito di questo disastro gli inglesi conclusero di non avere altra scelta se non quella di stringere un accordo con Hussein Ibn Ali, sharif della Mecca, membro della famiglia hashemita il cui lignaggio risale per 41 generazioni fino al profeta Maometto – la principale autorità religiosa per i santuari dell’Islam.

L’accordo era semplice: lo sharif avrebbe guidato una rivolta araba contro gli ottomani. In cambio, la Gran Bretagna promise di concedere un vasto Stato arabo dopo la sconfitta degli ottomani.

Cosa sia accaduto è un case study sulla perfidia britannica. Nel 1920 il Ministero degli Esteri inventò un “Vilayet [provincia in turco, ndt.] di Damasco” ottomano il cui confine si estendeva per quasi 500 km. a sud fino al Golfo di Aqaba. Nessuna provincia del genere era mai esistita.

I distretti amministrativi ottomani erano geograficamente molto precisi. La provincia compresa nel fittizio Vilayet inventato dalla Gran Bretagna era in realtà chiamato – come qualsiasi rapida occhiata a una mappa ottomana avrebbe potuto stabilire – il Vilayet della Siria.

Sir Henry McMahon, alto commissario in Egitto, fu incaricato di iniziare un contatto epistolare con lo sharif.

Nel suo illuminante testo Shambrook racconta la storia della corrispondenza tra lo sharif e McMahon. Ciò significa entrare in un campo minato, perché lo Stato britannico non ha mai ammesso che la Palestina fosse inclusa nell’area promessa allo sharif.

La posizione britannica è stata sostenuta da studiosi seri. Il prof. Isaiah Friedman, in Palestine: A Twice-Promised Land? [Palestina: una terra promessa due volte?] (pubblicato 23 anni fa), supportò la posizione del governo britannico. Lo stesso vale per In the Anglo-Arab Labyrinth [Nel labirinto anglo-arabo] (1976) di Elie Kedourie.

Grazie a ricerche su documenti privati e registri pubblici, Shambrook confuta sia le conclusioni di Kedourie che quelle di Friedman, smantellando nel contempo la versione ufficiale degli eventi e dimostrando che il governo britannico aveva effettivamente promesso la Palestina allo sharif.

Per di più dimostra che gli inglesi hanno mentito in merito fin dall’inizio. Nella lunga lista di decisori britannici che hanno fatto affermazioni fuorvianti figurano David Lloyd George, Arthur Balfour, George Curzon, Winston Churchill e numerosi funzionari del Ministero degli Esteri.

Cinicamente sfruttata

Al centro dell’inganno britannico c’era, nelle lettere inviate da McMahon allo sharif, l’interpretazione intenzionalmente errata della parola “distretti”, resa dalla parola araba wilayat.

Una parola molto simile – vilayet – era usata dagli amministratori turchi. Aveva un significato leggermente diverso. Questa differenza venne cinicamente sfruttata dal Ministero degli Esteri per escludere tutta la Palestina dall’area assegnata allo sharif.

Questo punto essenziale era ben noto non solo agli Ottomani, ma a tutte le grandi potenze, ed era chiaro come il sole sulla mappa dettagliata utilizzata dai generali britannici presso il Ministero della Guerra a Londra durante la loro pianificazione strategica per sconfiggere gli Ottomani.

Shambrook stabilisce inoltre che McMahon non stava commettendo un errore innocente usando il termine wilayat nella sua corrispondenza. L’alto commissario per l’Egitto sapeva perfettamente cosa significava quella parola in arabo e cosa significava vilayet in turco. Possiamo esserne certi perché in altre parti della corrispondenza egli usò accanto a wilayat anche il termine vilayet nel senso corretto.

Se McMahon avesse specificato nella sua lettera che riservava [alla Gran Bretagna] l’intera regione a ovest del Vilayet della Siria, allora tutta la Palestina sarebbe stata esclusa dall’accordo concluso con lo sharif.

Ma non lo fece.

Promessa infranta

Significativamente McMahon espose queste circostanze in una lettera esplicativa spedita due giorni dopo al Ministero degli Esteri. In cui diceva ai suoi padroni a Londra di avere escluso dalla sua offerta allo sharif le coste settentrionali della Siria (l’attuale Libano), che in nessun caso possono includere la regione della Palestina.

Shambrook prosegue dimostrando che questa era la prospettiva accettata dai decisori militari e diplomatici britannici fino al 1920. Fu solo allora che il Ministero degli Esteri inventò il Vilayet di Damasco. Anche in questa fase il Ministero degli Esteri dichiarò che non vi erano ambiguità nella corrispondenza di McMahon per quanto riguardava la Palestina. Ma aveva bisogno di adattarsi alla nuova realtà politica, con il governo di Lloyd George determinato a realizzare una nuova macchinazione politica a favore dei sionisti in Palestina.

Nei successivi 20 anni il governo britannico – in 24 diverse occasioni! – rifiutò di rendere pubblica la corrispondenza tra lo sharif e McMahon a fronte delle richieste non solo arabe.

Il motivo, come risulta dagli atti, è semplice. I funzionari sapevano che sarebbe stato impossibile difendere in parlamento la promessa non mantenuta sulla Palestina allo sharif.

Questo rifiuto, come mostra Shambrook, inasprì le relazioni anglo-arabe per tutto il periodo tra le due guerre. Shambrook dimostra anche come l’unica ragione per cui gli inglesi alla fine nel 1939 pubblicarono la corrispondenza fu quella di tenersi buono il mondo arabo mentre si profilava un’altra guerra mondiale.

Non c’è da stupirsi che il grande storico Arnold Toynbee, funzionario del Ministero degli Esteri durante la Prima Guerra Mondiale, abbia scritto in seguito che “la Palestina non era esclusa dall’area in cui il governo britannico aveva promesso nel 1915 di riconoscere e sostenere l’indipendenza araba, e che la Dichiarazione Balfour del 1917 era quindi incompatibile con un impegno precedente”.

Toynbee aggiunse che questo inganno “è forse il peggior crimine di cui un diplomatico professionista possa macchiarsi, poiché compromette la reputazione di onestà del Paese”.

Ferite infette

Il libro di Shambrook rappresenta un’importante acquisizione storica. Risolve il mistero dell’accordo tra lo sharif e McMahon. Ribalta la secolare narrazione britannica secondo cui la Palestina era esclusa dall’accordo con lo sharif. Scarta anche l’idea promossa da studiosi come Albert Hourani o Martin Gilbert secondo cui la verità dell’accordo fosse misteriosa o inafferrabile.

Oltre a ciò dimostra che la corrispondenza tra lo sharif e McMahon avrebbe potuto avere un peso legale maggiore della famosa promessa fatta due anni dopo alla comunità ebraica internazionale sotto forma della Dichiarazione Balfour, che era una dichiarazione di intenti e non (perlomeno ufficialmente) un accordo tra due parti.

Oggi dovremmo ricordare che lo sharif mantenne la sua parte nell’accordo, guidando una rivolta contro il dominio ottomano nell’Hijaz [parte nord-occidentale della Penisola arabica, ndt.].

Gli inglesi no.

Da allora il popolo palestinese è stato costretto a subirne le conseguenze.

Shambrook conclude il suo libro con un appello alla Gran Bretagna affinché riconosca di non aver mantenuto la sua promessa.

Ovunque per curare le ferite della storia sono necessari il riconoscimento degli errori e la volontà di tutte le parti coinvolte di assumersi la responsabilità delle politiche perseguite,” scrive.

In Medio Oriente, dove da tanto tempo tali ferite si sono aggravate, il riconoscimento da parte del governo britannico, anche se in ritardo, della verità riguardo alla promessa fatta in precedenza allo sharif della Mecca nel 1915 sarebbe sicuramente benvenuto”.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Peter Oborne ha vinto il premio per il miglior blog di commenti sia nel 2022 che nel 2017 ed è anche stato nominato Libero Professionista dell’Anno nel 2016 ai Drum Online Media Awards per gli articoli che ha scritto per Middle East Eye. È stato anche nominato Editorialista dell’Anno dei British Press Awards nel 2013. Si è dimesso da capo editorialista politico del Daily Telegraph nel 2015. Il suo ultimo libro è The Fate of Abraham: Why the West is Wrong about Islam [Il destino di Abramo: perché l’Occidente si sbaglia sull’Islam], pubblicato a maggio da Simon & Schuster. Fra i suoi libri precedenti The Triumph of the Political Class [Il trionfo della classe politica], The Rise of Political Lying [L’ascesa della menzogna politica], Why the West is Wrong about Nuclear Iran [Perché l’Occidente ha torto sul nucleare iraniano] e The Assault on Truth: Boris Johnson, Donald Trump and the Emergence of a New Moral Barbarism [L’assalto alla verità: Boris Johnson, Donald Trump e l’emergere di una nuova barbarie morale].

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Israele: il movimento dei coloni si sente più forte e assapora la possibilità di “ebraicizzare” la Galilea

Ben Lynfield – Ramat Arbel, Israele

21 agosto 2023 – Middle East Eye

Oltre alle colonie illegali nella Cisgiordania occupata gli attivisti di estrema destra vogliono formare maggioranze ebraiche in aree con grandi comunità di palestinesi provvisti di cittadinanza israeliana

Lestrema destra religiosa israeliana, galvanizzata dal governo più a destra della storia, sta portando avanti la sua campagna per ebraicizzare” aree con consistenti comunità palestinesi.

Mentre lattenzione internazionale è focalizzata principalmente sullespansione degli insediamenti coloniali nella Cisgiordania occupata, le aree con una vasta popolazione araba allinterno dei confini israeliani precedenti al 1967 [confini stabiliti con l’armistizio del 1949 e oltrepassati da Israele in seguito alla guerra dei sei giorni del 1967, ndt.] stanno diventando sempre più il fulcro di unoffensiva demografica.

Fa parte di queste aree la regione settentrionale della Galilea, che ospita un gran numero di palestinesi con cittadinanza israeliana presi di mira da attivisti aderenti alla stessa ideologia che cerca di espandere il processo di colonizzazione nella Cisgiordania occupata.

Gi insediamenti coloniali in Galilea, Giudea, Samaria e nel Negev sono tutti eccellenti”, ha detto a Middle East Eye lattivista di destra Orit Spitz. Hanno tutti lo stesso valore, fanno tutti parte della Terra dIsraele”.

Il termine Giudea e Samaria” è spesso usato dagli israeliani per descrivere la Cisgiordania occupata.

Seguendo lesempio dei coloni ebrei in Cisgiordania, più di un anno fa Spitz ha contribuito a creare un avamposto coloniale illegale vicino alla città araba di Eilabun, in Galilea.

In Cisgiordania tali avamposti sono legalizzati retroattivamente, soprattutto sotto lattuale governo, in cui il leader di estrema destra del partito Sionismo Religioso, Bezalel Smotrich, detiene un ampio potere. Sembra che ora stia cominciando ad accadere lo stesso in Galilea.

Il mese scorso il governo di Netanyahu ha deciso che Ramat Arbel, l’avamposto coloniale la cui realizzazione ha visto l’impegno di Spitz, diventerà una città.

Agli occhi del movimento dei coloni la città servirà come punto di partenza di una missione nazionale volta ad alterare l’attuale equilibrio tra ebrei e arabi all’interno della popolazione della Galilea e raggiungere nell’area una netta predominanza ebraica.

Dobbiamo riempire la Galilea [di coloni] perché attualmente è a maggioranza araba”, spiega Spitz.

Condivisione di interessi e ambizioni

Lidea di incrementare la presenza ebraica in Galilea non è nuova. Ma oggi è supportata da un governo israeliano più ricettivo alle richieste dellestrema destra che in qualsiasi altro momento della storia dello Stato.

La deferenza di Netanyahu verso l’estrema destra deriva da una condivisione di interessi e valutazioni. Egli ha bisogno del sostegno dellestrema destra per mantenere intatta la sua coalizione, mentre lestrema destra condivide il suo obiettivo politico centrale di rimuovere la facoltà della Corte suprema israeliana di controllare il potere della coalizione.

Con la neutralizzazione della Corte lestrema destra avrebbe una libertà ancora maggiore nell’espropriare i palestinesi in Cisgiordania e degradare lo status dei cittadini palestinesi allinterno di Israele.

Considerando il passato di destra radicale di Netanyahu e il fatto che abbia conferito legittimità allestrema destra prima e dopo le elezioni dello scorso anno i critici ritengono che sarebbe un errore pensare che abbia dei dubbi riguardo a questi obiettivi.

Tra le figure chiave del governo ci sono il leader di Potere Ebraico e ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, che ha fatto una campagna con la promessa di espellere gli “sleali” cittadini arabi e ebraici di sinistra, e il leader di Sionismo Religioso e ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che ha invitato a cancellare” un villaggio della Cisgiordania, Huwwara, e ha minacciato di tagliare i finanziamenti alle località arabe.

È chiaro che questo governo sta intensificando gli atteggiamenti razzisti discriminatori che favoriscono la comunità ebraica”, afferma Yousef Jabareen, ex membro della Knesset [parlamento israeliano, ndt.].

Quest’ultimo usa il termine apartheid strisciante” per descrivere misure governative tra cui lapprovazione di un disegno di legge che aumenta il numero di comunità ebraiche che possono escludere di fatto i cittadini arabi dalla residenza.

Il 1° agosto Ben-Gvir e altri “guru” dell’estrema destra, tra cui il deputato Aryeh Kellner del partito Likud di Netanyahu, hanno preso parte ad una celebrazione della decisione del governo di promuovere [la fondazione di] Ramat Arbel. Uno Spitz sorridente osservava i politici di sesso maschile ballare con i giovani coloni religiosi.

Un altoparlante annunciava che Ramat Arbel sarebbe diventata una grande città”. Ma non tutti gli ebrei che vivono nelle vicinanze sono entusiasti di questa prospettiva, soprattutto perché persone come Ben-Gvir sono considerati da molti come acerrimi nemici per aver sostenuto il tentativo di Netanyahu di accrescere i suoi poteri, come evidenziato da politiche come la riforma giudiziaria.

Spitz e i politici hanno affermato che Ramat Arbel è solo il primo seme di quella che il governo chiama la “ebraicizzazione della Campagna della Galilea”. I cittadini palestinesi affermano che liniziativa è unulteriore manifestazione del suprematismo e razzismo ebraico.

Secondo Spitz e Moshe Solomon, membro della Knesset per il partito Sionismo Religioso, è prevista la costruzione di una serie di nuove comunità ebraiche. Ciò mentre i cittadini palestinesi si trovano ad affrontare la scarsa disponibilità di terra, i tagli al bilancio e la mancanza di piani regolatori, fattori che hanno come conseguenza la demolizione delle case.

Nel sud il governo rifiuta di riconoscere i villaggi beduini e allinizio di questa settimana nel villaggio di Ras Jrabah centinaia di beduini hanno ricevuto lavviso che avrebbero dovuto lasciare le loro case per far posto alla costruzione di un quartiere a maggioranza ebraica nella città di Dimona [città israeliana adiacente a Ras Jrabah, ndt.]

Qui la maggioranza non è ebraica’

A Ramat Arbel, mentre i politici ballavano, più di un migliaio di manifestanti antigovernativi provenienti dalle zone ebraiche vicine hanno manifestato contro la presenza di politici di estrema destra. Sventolando bandiere israeliane gridavano Vergogna”, suonando corni e tamburi per sovrastare i canti festosi.

Ma dal frastuono affiorava, a mo’ di incitamento, una delle canzoni preferite dei coloni della Cisgiordania: Ti espanderai verso il mare, lest, il nord e il sud”. Daniella Weiss, un’influente leader dei coloni della Cisgiordania, scattava delle foto.

Questi sono momenti esaltanti per i membri della destra religiosa come Weiss. Recentemente lesercito ha permesso al suo gruppo Nachala di rioccupare un insediamento coloniale vicino alla città di Nablus, in Cisgiordania, su quella che secondo le organizzazioni per i diritti umani è una proprietà privata palestinese rubata.

I danzatori sorreggevano un cartello con l’emblema di Nachala, una mappa che comprende tutto il territorio che va dalla penisola egiziana del Sinai, Israele, i territori occupati, alla Giordania, la Siria e l’Iraq.

Solomon si è preso una pausa dalle danze per rispondere alle domande su dove sta andando la Galilea sotto il governo di estrema destra.

La ebraicizzazione della Galilea è un valore supremo. C’è un consenso nella società israeliana sulla colonizzazione, e sulla ebraicizzazione della Galilea. È un’area molto significativa. Siamo stati qui fin dai tempi della Bibbia ma con nostro rammarico qui la maggioranza non è ebrea”, ha detto Solomon allorgano di informazione australiano Plus61J Media.

Riferendosi ai cittadini palestinesi di Israele, dice: la loro presenza non è un problema ma vogliamo stabilirci qui, fondare colonie e portare le famiglie in questo bellissimo posto affinché ci siano abbastanza ebrei che possano vivere in pace.

Chiunque viva qui e non è ebreo va perfettamente bene finché non danneggi gli ebrei”, afferma Solomon.

Aggiunge che è importante che la Galilea abbia unaimpronta” ebraica.

Dove c’è una colonia ci sarà un’impronta ebraica. Dove c’è l’agricoltura ci sarà un’impronta ebraica. Dove passa laratro ci sarà un’impronta ebraica”.

Solomon sostiene che Israele fu costretto a lasciare la Striscia di Gaza e le aree della Cisgiordania settentrionale perché gli insediamenti coloniali ebraici lì non erano abbastanza forti. I luoghi in cui non eravamo abbastanza presenti ci sono stati portati via”, dice.

Più ebrei ci saranno qui, più ci saranno lavoro, cultura, istruzione e sicurezza”, aggiunge.

Ma gli arabi in Israele si sentono già più insicuri, preoccupati per i segnali che indicano che la coalizione è intenzionata ad attuare la legislazione razzista del 2018, la Legge sullo Stato Nazione che ha consacrato linsediamento coloniale ebraico come valore nazionale e che ai loro occhi, e a quelli dei critici, ha formalizzato lo status degli arabi come cittadini di seconda classe.

Quando non si lavora per migliorare le condizioni di vita dei villaggi e città esistenti e si creano nuove città e insediamenti coloniali moderni, questa è discriminazione”, afferma Reem Hazzan, leader di Arab Hadash, principale partito nella città settentrionale di Haifa.

Questo per non parlare del fatto che nella per la nostra memoria collettiva queste terre furono confiscate e appartenevano ai palestinesi. Invece di godere congiuntamente di queste terre, il loro usufrutto va esclusivamente agli ebrei”.

Anche Amir Wohl, uno dei manifestanti ebrei contro Ben-Gvir, esprime inquietudine.

“Sono preoccupato per una presa di potere da parte dei fondamentalisti ebrei. Ogni volta che i ministri vengono al nord, noi protestiamo contro di loro. Vogliamo vivere in una democrazia e loro vogliono uno Stato di diritto ebraico ortodosso senza arabi.”

Di Ramat Arbel, Wohl dice: Questa è solo una provocazione. Ci sono già molti insediamenti per ebrei in Galilea”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Due israeliani sono stati uccisi in un attacco con armi da fuoco in Cisgiordania

Redazione di MEE

19 agosto 2023- Middle East Eye

L’ incidente mortale è avvenuto vicino alla città palestinese di Huwwara, teatro di recenti attacchi selvaggi da parte dei coloni israeliani.

L’esercito ha dato la notizia che due israeliani sono stati uccisi sabato da presunti palestinesi armati nella Cisgiordania occupata.

La sparatoria è avvenuta vicino alla città settentrionale di Huwwara, teatro di numerosi attacchi selvaggi da parte di coloni ebrei israeliani negli ultimi mesi.

I servizi di emergenza israeliani hanno detto che un uomo sulla trentina e un uomo sulla sessantina sono stati colpiti da due aggressori in un autolavaggio. Non si conoscono ancora le identità degli assalitori. Secondo i primi resoconti citati dai media israeliani, l’attacco avrebbe avuto “motivazioni criminali”.

L’esercito israeliano comunica di aver chiuso diverse strade nella zona e che è in corso una caccia all’uomo.

Huwwara, che gli israeliani attraversano per raggiungere gli insediamenti illegali, è diventata quest’anno un punto critico a seguito dei precedenti attacchi mortali contro israeliani e delle violente incursioni dei coloni israeliani “in cerca di vendetta”.

A febbraio a Huwwara e in altre città e villaggi della Cisgiordania un palestinese è stato ucciso e quasi 400 feriti sotto la furia dei coloni, come riportato dai funzionari sanitari palestinesi.

I coloni hanno bruciato almeno 35 case, ne hanno parzialmente danneggiate altre 40 e molti edifici sono stati dati alle fiamme mentre i loro abitanti palestinesi si erano rifugiati all’interno.

Inoltre più di 100 auto sono state bruciate o distrutte in altro modo.

Negli ultimi due anni la Cisgiordania ha registrato un picco della violenza a seguito dell’aumento delle incursioni israeliane e degli attacchi dei coloni.

Solo questa settimana due palestinesi sono morti per le ferite riportate in precedenza durante i raid delle forze israeliane.

Secondo un conteggio di Middle East Eye in un anno almeno 215 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano, tra cui 37 minori: un tasso di quasi una vittima al giorno.

Da gennaio in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono morte in totale 179 persone, rendendo il 2023 uno degli anni più sanguinosi nella Palestina occupata. Altre 36 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza.

Nel frattempo i palestinesi, nello stesso periodo, hanno ucciso 28 israeliani, tra cui sei minori.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Truppe israeliane uccidono due palestinesi, di cui un minorenne, nel corso di un raid a Gerico

Redazione di Middle East Eye

15 agosto 2023 Middle East Eye

Qusai al-Walaji, 16 anni, e Mohammed Najum al-Omar, 25 anni, uccisi a colpi d’arma da fuoco nell’ultima operazione militare nel campo profughi di Aqbat Jabr.

Il Ministero della salute palestinese ha dichiarato che martedì mattina le truppe israeliane hanno ucciso due palestinesi nel corso di un raid nel campo profughi di Aqbat Jabr, nella città occupata di Gerico, in Cisgiordania.

Qusai al-Walaji, 16 anni, e Mohammed Najum al-Omar, 25 anni, sono stati colpiti da proiettili veri dopo che le forze israeliane hanno preso d’assalto il campo con violente irruzioni in diverse case e arresti degli abitanti.

Walaji e Omar sono stati portati al Jericho Government Hospital, dove poco dopo sono stati dichiarati morti.

“Due giovani sono stati portati d’urgenza in ospedale con dei proiettili nel torace”, ha riferito alla Reuters il direttore dell’ospedale.

Durante il raid sono scoppiati scontri armati tra gli abitanti del campo e le forze israeliane, ma non è chiaro se i due uomini fossero coinvolti, hanno detto i residenti a Reuters.

Secondo la Associazione dei Prigionieri Palestinesi di Gerico durante l’operazione le forze israeliane hanno arrestato un palestinese di 20 anni.

Aqbat Jabr ospita circa 30.000 persone ed è in termini di superficie il più grande campo profughi della Cisgiordania occupata.

Venne istituito nel 1948 per ospitare i rifugiati sfollati in seguito alla Nakba, o catastrofe, quando 750.000 palestinesi furono espulsi per far posto alla costituzione dello Stato di Israele.

Ultimissima irruzione nel campo di Aqbat Jabr

Negli ultimi mesi il campo è stato un obiettivo regolare dei raid militari israeliani, nonostante Gerico sia una città turistica meno soggetta alla violenza israeliana rispetto ad altre parti della Cisgiordania.

A febbraio soldati israeliani hanno ucciso cinque membri del gruppo di resistenza Brigata Aqbat Jabr durante quello che è stato descritto come un “raid di 15 minuti”.

Da allora sono stati uccisi nel campo dalle forze di sicurezza israeliane altri quattro palestinesi, tra cui due minorenni: il diciassettenne Jibril Muhammad al-Lada’a e il quindicenne Mohamed Faiz Balhan.

Il raid di martedì porta a 11 il numero di palestinesi uccisi quest’anno dalle forze israeliane nel campo profughi.

Middle East Eye ritiene che quest’anno almeno 212 palestinesi, di cui 37 minori, siano stati uccisi dal fuoco israeliano: un tasso di quasi un decesso al giorno.

Quest’anno sono morte in Cisgiordania e Gerusalemme Est 176 persone in totale, rendendo il 2023 uno degli anni più sanguinosi nei territori palestinesi occupati. Altre 36 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza.

Nel frattempo nello stesso periodo i palestinesi hanno ucciso 26 israeliani, di cui sei minori.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Le forze israeliane uccidono un quindicenne palestinese

Redazione di MEE

2 agosto 2023 – Middle East Eye

Mohammad Farid al-Za’areer, di 15 anni, è stato ucciso ad una fermata di autobus dopo che le forze israeliane lo hanno ritenuto sospetto

 

Martedì sera un quindicenne palestinese è stato ucciso dalle forze israeliane nella Cisgiordania occupata.

Il Ministero della Sanità palestinese ha identificato la vittima come Mohammad Farid al-Za’areer, che è stato ucciso vicino alla colonia israeliana illegale Shim’a, vicino Hebron.

Secondo fonti locali palestinesi Za’areer era uno degli studenti migliori della sua classe ed aveva appena terminato il primo anno delle superiori.

L’esercito israeliano ha sostenuto che Za’areer appariva sospetto, e ad una fermata dell’autobus [i soldati] hanno deciso di avvicinarlo per interrogarlo. Za’areer avrebbe allora estratto un coltello e i soldati israeliani gli hanno sparato uccidendolo.

Qualche ora prima un altro palestinese è stato ucciso dalle forze israeliane nella Gerusalemme est occupata.

Muhannad al-Mazra’a, di 20 anni, ha sparato vicino alla colonia israeliana di Ma’ale Adumim ferendo sei israeliani prima di essere colpito dalle forze israeliane.

L’anno più letale per i palestinesi

Un rapporto del 2022 dell’associazione israeliana per i diritti Yesh Din ha rilevato che meno dell’1% dei soldati accusati di aver colpito dei palestinesi tra il 2017 e il 2021 è stato incriminato.

Le autorità giudiziarie militari “evitano sistematicamente di indagare e perseguire soldati che colpiscono palestinesi”, dice l’associazione.

Quest’anno almeno 204 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano, compresi 36 minori – un tasso di quasi una vittima al giorno.

In totale sono morte 167 persone in Cisgiordania e Gerusalemme est, rendendo il 2023 uno degli anni più sanguinosi nei territori palestinesi occupati. Altre 36 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Come Israele codifica il suo sistema di esclusione e oppressione

Dania Abul Haj*

1 agosto 2023 – Middle East Eye

La cinica, vaga e opprimente procedura Cogat 2022 è stata attentamente progettata per mantenere il controllo dell’occupante sui palestinesi

Nel corso degli anni gli architetti dell’occupazione israeliana hanno incessantemente creato politiche che cercano di consolidare ulteriormente la frammentazione del popolo palestinese, non solo fisicamente ma anche psicologicamente.

Può essere facile per le persone osservare la politica e separarla dalle esperienze vissute di coloro che ne sono interessati. Ma le tattiche israeliane di divisione e conquista hanno portato alla creazione di realtà differenziate per il popolo palestinese.

Gerosolimitani, palestinesi nella Cisgiordania occupata, abitanti palestinesi di Gaza, cittadini palestinesi di Israele, rifugiati e palestinesi della diaspora sono sempre meno in grado di comprendere la situazione vissuta da ciascun gruppo sotto un’occupazione che è brutale, domina e disumanizza.

Un esempio calzante è l’ultima procedura del Coordinator of Government Activities in the Territories [Coordinatore delle attività di governo nei territori, ndt] (Cogat), nota come Procedura 2022, entrata in vigore alla fine dello scorso anno. Un corpo militare israeliano, il Cogat, usa un nome eufemistico per il potere draconiano che esercita sui territori occupati palestinesi

La Procedura 2022 è progettata per promuovere il controllo militare di Israele e rendere difficile per i palestinesi della diaspora insegnare, studiare, fare volontariato, lavorare o vivere nella Cisgiordania occupata.

Di recente sono stata coautrice di un rapporto intitolato “Recinti: le regole israeliane del 2022 sull’ingresso di cittadini stranieri in Cisgiordania”. Il rapporto dimostra come i regolamenti siano basati sul totale disprezzo di Israele per i suoi doveri e obblighi riguardo al diritto internazionale umanitario e alle leggi internazionali sui diritti umani.

Questi includono i diritti alla privacy e alla vita familiare, la libertà di movimento, lo sviluppo economico, l’istruzione e il godimento dei diritti culturali.

Radicare l’apartheid

La Procedura 2022 è tutta incentrata sull’ulteriore stretta dell’occupazione israeliana, dell’annessione e dell’apartheid. Impedendo alle famiglie palestinesi in cui almeno un membro è cittadino straniero di poter vivere insieme, Israele sta creando un ambiente coercitivo progettato per provocare un “trasferimento silenzioso” di intere famiglie dalla Cisgiordania occupata.

Le regole rafforzano anche il contesto di sorveglianza e controllo da “Grande Fratello” mantenuto dal regime militare israeliano, progettato per rendere insopportabile la vita quotidiana nella Cisgiordania occupata.

Non conosciamo ancora l’impatto complessivo dei regolamenti, perché sono ancora molto recenti, ma ora siamo alla prima estate della loro attuazione. È un momento in cui i palestinesi della diaspora di tutto il mondo visitano le loro famiglie e le loro case nella Cisgiordania occupata.

La nuova procedura Cogat potrebbe comportare il rifiuto arbitrario di entrare nella Cisgiordania occupata attraverso il ponte di Allenby [che collega la Giordania con la Cisgiordania occupata, ndt.]. Tali casi devono essere monitorati e documentati e i governi dovrebbero agire a favore dei loro cittadini a cui viene negato l’ingresso.

C’è anche un impatto invisibile della procedura Cogat che non vedremo né saremo in grado di misurare: molte persone saranno così confuse e intimidite da queste norme che non si sentiranno nemmeno abbastanza sicure da viaggiare.

Questa è un’altra barriera che impedirà alle persone di vedere la realtà quotidiana dell’occupazione israeliana e dell’oppressione dei palestinesi.

Una spaventosa indifferenza

Quando la bozza del regolamento è stata resa pubblica per la prima volta, io e il mio team ci siamo seduti [a studiarla, ndt.] e siamo stati completamente assorbiti per settimane da un documento disordinato di 97 pagine.

Mi sono resa conto che anche per un professionista con quasi otto anni di esperienza nel campo capire queste regole era una sfida. Erano intenzionalmente vaghe e confuse.

Dopo una quantità di proteste da parte dell’opinione pubblica e di una serie di organizzazioni per i diritti umani, alcune disposizioni sono state infine modificate o abrogate, ma questi cambiamenti sono stati solo una goccia nell’oceano in confronto alla serie di disposizioni crudeli della procedura. Una politica che segrega un’intera popolazione dal mondo esterno con ogni mezzo possibile, incluso il controllo su chi è autorizzato a entrare nel territorio, solleva allarmanti preoccupazioni.

Se, come anticipato, nei prossimi mesi la Procedura 2022 verrà applicata essa approfondirà la situazione di frammentazione per il popolo palestinese, lontana da tutte le promesse e i valori che costituiscono i pilastri del consenso postbellico della comunità internazionale.

Il silenzio assordante della comunità internazionale e dei Paesi terzi non trasmette più solo disprezzo verso i palestinesi e i loro diritti, ma anche una spaventosa indifferenza verso uno Stato che continua a commettere i crimini contro l’umanità dell’apartheid e della persecuzione.

Questo ricorda che una prigione non significa sempre una cella con muri e una guardia; a volte significa un intero Paese posto alla mercé dell’arroganza di un’occupazione militare.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Eye.

*Dania Abul Haj è un avvocatessa specializzata palestinese di Gerusalemme. attualmente lavora come legale presso il Centro internazionale di giustizia per i palestinesi a Londra. Ha conseguito un LLM [master in materie giuridiche, ndt] in diritto internazionale presso l’Università di Edimburgo.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




La visita di Herzog negli Stati Uniti nasconde i crimini israeliani, ma emergono motivi di speranza.

Majdi Khaldi

29 luglio 2023 – Middle East Eye

Il discorso del presidente israeliano al Congresso è stato un mero esercizio di pubbliche relazioni mentre l’appoggio statunitense ai diritti dei palestinesi sembrerebbe il più alto da sempre.

Proprio mentre il governo israeliano promuove un numero senza precedenti di unità abitative nelle colonie e adotta decine di leggi discriminatorie, i politici occidentali continuano a lodare i valori “democratici” e “liberali” di Israele.

È come se si affannassero a trovare ogni scusa per proteggere Israele qualunque cosa faccia.

Questo atteggiamento è stato il presupposto del recente discorso del presidente israeliano Isaac Herzog al Congresso USA, in cui ancora una volta il messaggio di impunità per le violazioni e i crimini israeliani è stato sostenuto oltre ogni considerazione per le leggi internazionali, i diritti umani o persino gli stessi principi del Processo di Pace per il Medio Oriente sponsorizzato a suo tempo dagli USA.

Il discorso di Herzog ha difeso adeguatamente gli interessi del primo ministro Benjamin Netanyahu. Ha glorificato un Israele mitico come faro di democrazia e uguaglianza, come se decine di leggi israeliane che negano ai palestinesi i loro diritti non esistessero, mentre gli ebrei israeliani godono dei pieni diritti dello Stato. Sono in vigore più di 70 leggi discriminatorie contro i palestinesi che secondo diverse organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, Human Rights Watch e persino l’israeliana B’Tselem configurano il crimine di apartheid.

Tra gli esempi ci sono la legge dello Stato-Nazione del popolo ebraico, secondo cui l’autodeterminazione è riservata solo agli ebrei la legge del Ritorno, che consente solo agli ebrei di entrare e ottenere la cittadinanza dello Stato; la legge sulla Proprietà degli Assenti, che codifica il furto di proprietà dei rifugiati palestinesi da parte dello Stato; infine il divieto di riunificazione delle famiglie palestinesi, che nega alle famiglie palestinesi cristiane e musulmane di Gerusalemme o di Israele il diritto di vivere insieme se un coniuge ha la carta d’identità palestinese.

Nessun interesse per la pace

Herzog non ha parlato della soluzione a due Stati, ma dei “vicini palestinesi” di Israele come se non fossero sottoposti all’occupazione israeliana, giocando il classico gioco di incolpare gli altri. Ciò che Herzog ha anche dimenticato di citare è che i “vicini” includono più del 50% della popolazione dei territori controllati da Israele, che consegna alla sua minoranza demografica pieni diritti negando nel contempo i diritti civili e umani al popolo palestinese.

Inoltre non ha menzionato il fatto che il territorio occupato nel 1967, compresa Gerusalemme est, in base al diritto internazionale è della Palestina. È semplicemente vergognoso, anche per centinaia di migliaia di cittadini palestinesi-americani, che i politici statunitensi abbiano ospitato al Congresso la negazione della Nakba e l’occultamento dell’occupazione da parte di Herzog.
Si è trattato di un puro esercizio di pubbliche relazioni piuttosto che di un tentativo di fare la pace. Al massimo è stato un tentativo personale da parte del presidente israeliano di presentare le sue credenziali a Washington in un momento in cui i rapporti tra l’amministrazione Biden e Netanyahu sembrano essere tesi.

Tuttavia i loro problemi non riguardano il popolo palestinese, la cui negazione dei diritti a Washington sembra essere stata normalizzata, ma piuttosto le dispute interne a Israele riguardo alle riforme giudiziarie di Netanyahu.

In effetti lo stesso Congresso USA che sostiene le politiche israeliane contro il popolo palestinese non molto tempo fa appoggiava l’apartheid in Sud Africa. La vasta maggioranza delle iniziative prese dall’amministrazione Trump a sostegno all’annessione israeliana e alla negazione dei diritti dei palestinesi non è stata revocata dall’attuale governo, mentre il Congresso considera ancora l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina un gruppo terroristico proprio come fece con l’African National Congress [il partito di Mandela, ndt.]. Herzog rappresenta la tradizionale diplomazia israeliana che nasconde crimini di guerra con un sorriso e una stretta di mano. La sua descrizione del governo israeliano è stata raffinata e fatta su misura per un pubblico di persone già desiderose di concedergli il podio. Ovviamente non ha citato i sionisti religiosi radicali del suo governo perché sono una pubblicità negativa. Nel contempo sono stati attuati sul terreno i disastrosi progetti del colono di estrema destra e ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che chiaramente invocano una seconda Nakba [la pulizia etnica di cui furono vittime i palestinesi nel 1947-49, ndt.] senza uno Stato palestinese, con l’espulsione forzata e l’apartheid.

Ragioni di Speranza

Ma ci sono ancora ragioni di ottimismo. Il boicottaggio che alcuni membri del Congresso hanno messo in atto contro il discorso del presidente israeliano è più significativo di quanto alcuni credono, in quanto rappresenta la crescente percentuale di americani che appoggiano i diritti dei palestinesi.

Nella comunità statunitense per i diritti umani c’è un crescente riconoscimento dell’apartheid israeliana e più comunità religiose ed altre organizzazioni della società civile stanno chiedendo di prendere misure concrete contro l’occupazione israeliana, anche attraverso il boicottaggio e il disinvestimento.

Quanti sostengono l’impunità di Israele sembrano essere sovrarappresentati rispetto all’opinione pubblica USA. Questi segnali potrebbero essere un punto di svolta nella lotta per la libertà, la giustizia, l’uguaglianza e la pace. Il popolo palestinese e i suoi alleati continueranno la lotta, ovunque siano, per la libertà e rinnovano appelli agli USA e ai Paesi europei perché prendano misure di responsabilizzazione per mettere in pratica, con molto ritardo, i diritti inalienabili del popolo palestinese. Ciò dovrebbe includere azioni contro il terrorismo dei coloni. Inoltre è adesso chiaro che il riconoscimento dello Stato di Palestina è un passo urgente che gli USA e l’UE dovrebbero prendere per confermare il loro sostegno a una soluzione politica piuttosto che rimanere in silenzio riguardo alle azioni di un governo di coloni e altri estremisti che dettano i termini dell’impegno.

I tentativi di sdoganare le politiche israeliane non faranno sparire il popolo palestinese. Nel momento in cui il governo israeliano sta mettendo in atto iniziative intese a consolidare l’annessione di tutta la Palestina storica, la risposta di quanti hanno a cuore la pace fondata su un ordine mondiale basato sulle leggi dovrebbe essere di prendere iniziative per la libertà dei palestinesi piuttosto che rafforzare l’occupazione israeliana.

Il discorso di Herzog al Congresso rappresenta la perpetuazione dello status quo, in cui i diritti dei palestinesi sono negati. Ma lo spostamento dell’opinione pubblica statunitense a favore dei palestinesi e i parlamentari che hanno boicottato la sessione con il presidente [israeliano] sono una fonte di speranza lungo il cammino per raggiungere la libertà e l’indipendenza dei palestinesi.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

L’ambasciatore Majdi Khaldi è membro del Consiglio Nazionale Palestinese e consigliere diplomatico esperto del presidente palestinese Mahmoud Abbas.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Cisgiordania: le forze israeliane uccidono un palestinese nel campo profughi di Nablus

Secondo il ministero palestinese della Sanità Mohammad Abdel-Hakim Nada, di 23 anni, è stato colpito al petto.

Redazione di MEE

26 luglio 2023 – Middle East Eye

Mercoledì le forze israeliane hanno ucciso un uomo palestinese durante un’incursione militare in un campo profughi nella Cisgiordania occupata.

Secondo il ministero della Sanità palestinese Mohammad Abdel-Hakim Nada, di 23 anni, è stato colpito al petto dal fuoco israeliano e successivamente è morto in ospedale.

I media locali affermano che in tarda mattinata le truppe israeliane hanno fatto una incursione nel campo profughi di Al-Ain, a Nablus, per arrestare alcuni palestinesi.

Scontri armati sono scoppiati dopo che un’unità di soldati israeliani in borghese è stata scoperta nel campo.

Non è stato immediatamente chiaro se Nada è morto durante gli scontri o come testimone.

Durante l’incursione le forze israeliane hanno circondato una casa e chiesto ad uno dei suoi abitanti di arrendersi. Secondo quanto riferito da fonti palestinesi l’uomo dentro la casa è stato successivamente arrestato.

I militari israeliani hanno confermato che stavano facendo un’operazione nel campo ma non hanno fornito ulteriori dettagli.

La morte di Nada accade un giorno dopo che l’esercito israeliano ha ucciso tre palestinesi a Nablus, sostenendo che essi avevano aperto il fuoco sui soldati.

Almeno 201 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano quest’anno, inclusi 34 minorenni – una media di quasi una vittima al giorno.

In totale 164 persone sono morte nella Cisgiordania e a Gerusalemme Est, rendendo il 2023 uno degli anni più insanguinati nei territori occupati palestinesi. Altre 36 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza.

Nello stesso periodo i palestinesi hanno ucciso 25 israeliani, inclusi sei minorenni.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)