Guerra Israele-Palestina: lo scopo di Israele è molto più sinistro del ripristino della ‘sicurezza’

Richard Falk

3 novembre 2023 – Middle East Eye

Israele ha colto questa opportunità per realizzare le ambizioni territoriali sioniste nel mezzo della ‘nebbia di guerra’ provocando un’ultima ondata di catastrofico spossessamento dei palestinesi

Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU è stato recentemente messo alla gogna da Israele per aver affermato un’ovvietà quando ha osservato che l’attacco di Hamas del 7 ottobre “non è avvenuto in un vuoto”.

Guterres ha richiamato l’attenzione di tutto il mondo sulla lunga storia di gravi provocazioni criminose israeliane nella Palestina occupata che avvengono sin da quando divenne la potenza occupante dopo la guerra del 1967. 

 All’occupante, ruolo che ci si aspetta essere temporaneo, è affidato in tali circostanze il mantenimento del diritto umanitario internazionale assicurando la sicurezza e l’incolumità della popolazione civile occupata, come esplicitato nella Quarta Convenzione di Ginevra.

Israele ha reagito con tale rabbia alle osservazioni di Guterres, assolutamente appropriate e accurate, che potevano essere interpretate solo implicando che Israele “se lo doveva aspettare” alla luce dei suoi gravi e vari abusi contro il popolo nei territori palestinesi occupati, i più plateali a Gaza, ma anche in Cisgiordania e Gerusalemme. 

Dopo tutto, se Israele potesse presentarsi al mondo come vittima innocente dell’attacco del 7 ottobre, un episodio in sé stesso ricolmo di crimini di guerra, potrebbe ragionevolmente sperare di ottenere carta bianca dai suoi sostenitori in Occidente per vendicarsi a piacimento, senza preoccuparsi di essere limitato dal diritto internazionale, dall’autorità dell’ONU o dalla morale comune. 

Invece Israele ha reagito all’attacco del 7 ottobre con la sua tipica abilità nel manipolare il dibattito globale che influenza l’opinione pubblica e guida la politica estera di molti e importanti Paesi. Qui tali tattiche sembrano quasi superflue, dato che gli Usa e l’UE hanno rapidamente concesso una totale approvazione in bianco a qualsiasi cosa faccia Israele in risposta, per quanto vendicativa, crudele o estranea a ripristinare la sicurezza del confine israeliano. 

Il discorso di Guterres all’ONU ha avuto un impatto così eclatante perché ha fatto scoppiare il palloncino israeliano dell’innocenza costruita ad arte secondo cui l’attacco del 7 ottobre è arrivato inaspettatamente. Escludere il contesto ha distolto l’attenzione dalla devastazione di Gaza e dall’assalto genocida contro la sua popolazione di 2.3 milioni di persone, prevalentemente innocenti e da lungo tempo perseguitate.

Incredibili falle

Ciò che trovo strano e inquietante è che da quel giorno questo fattore è stato raramente preso in considerazione, nonostante il consenso sul fatto che l’attacco di Hamas sia stato possibile solo per le incredibili falle nelle capacità israeliana di intelligence e di rigida sicurezza sui confini, che si supponevano seconde a nessuno.

Invece di un giorno dopo pieno di furia vendicativa, perché l’attenzione in Israele e altrove non si è concentrata nell’attuare interventi di emergenza per restaurare la sicurezza di Israele tappando queste costose falle, ciò che sembrerebbe il modo più efficace per garantire che nulla di simile al 7 ottobre possa ripetersi?

Io posso capire la riluttanza del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a sottolineare questa spiegazione o a sostenere questa forma di risposta che equivarrebbe a una confessione della sua personale corresponsabilità per la tragedia traumaticamente subita da Israele quando i combattenti palestinesi si sono riversati oltre il confine. 

Ma quella d’altri in Israele e fra i governi suoi sostenitori?

 Indubbiamente Israele con tutta probabilità sta impiegando tutti i mezzi a sua disposizione, con un senso di urgenza, per tappare queste incredibili falle nel suo sistema di intelligence e per rimpolpare il suo potenziale militare sui relativamente brevi confini di Gaza. 

Non è necessario essere un genio della sicurezza per concludere che occuparsi in modo affidabile di questi problemi di sicurezza farebbe di più per prevenire e scoraggiare futuri attacchi di Hamas che questa continua saga che infligge punizioni devastanti contro la popolazione palestinese di Gaza, tra cui in pochissimi fanno parte dell’ala militare di Hamas. 

 Furia genocida

A settembre Netanyahu, in un discorso all’ONU durante il quale ha parlato di una nuova pace in Medio Oriente fra le prospettive di una normalizzazione Israele-Arabia Saudita, ha fornito ulteriore plausibilità a tali speculazioni presentando una mappa del Medio Oriente senza includere la Palestina, cancellando di fatto i palestinesi dalla propria patria. La sua presentazione rappresenta un diniego implicito del consenso dell’ONU sulla formula dei due Stati come una roadmap per la pace. 

Nel frattempo la furia genocida della risposta israeliana all’attacco di Hamas sta facendo infuriare il mondo arabo, anzi tutto il mondo, persino i Paesi occidentali. Ma dopo più di tre settimane di spietati bombardamenti, assedio totale e uno spostamento forzato di massa, la decisione di Israele di scatenare questo torrente di violenza contro Gaza deve essere ancora contrastata dai suoi sostenitori in Occidente. 

In particolare gli USA stanno sostenendo Israele presso l’ONU usando il loro veto quando necessario al Consiglio di Sicurezza e votando quasi senza nessuna condivisione da parte di Paesi importanti contro un cessate il fuoco all’Assemblea Generale. Persino la Francia ha votato la risoluzione dell’Assemblea Generale e il Regno Unito ha avuto un minimo di decenza e si è astenuto, entrambi probabilmente reagendo pragmaticamente alla pressione popolare che sale da grandi e infuriate dimostrazioni di piazza a casa. 

Nelle reazioni alle tattiche israeliane a Gaza si è anche dimenticato che, fin dall’inizio, questo governo estremista ha iniziato una serie scioccante di violente provocazioni nella Cisgiordania occupata. Molti hanno interpretato questo palese scatenarsi di violenza dei coloni come parte dell’obiettivo del progetto sionista mirante ad ottenere la vittoria su ciò che resta della resistenza palestinese. 

Ci sono poche ragioni per dubitare che Israele abbia deliberatamente reagito in modo sproporzionato al 7 ottobre nell’iniziare immediatamente una risposta genocida, soprattutto se il suo proposito era di distogliere l’attenzione dall’escalation della violenza dei coloni in Cisgiordania, esacerbata dalla distribuzione da parte del governo di armi “ai gruppi di sicurezza civile”. 

Il piano finale del governo israeliano sembra porre fine una volta per tutte a fantasie di partizione dell’ONU, al servizio dell’obiettivo massimalista sionista di un’annessione o di una totale sottomissione dei palestinesi cisgiordani.

In effetti, per quanto possa sembrare macabro, la leadership israeliana ha colto l’occasione del 7 ottobre “per finire il lavoro” commettendo un genocidio a Gaza, con la scusa che Hamas è un pericolo tale da giustificare non solo la sua distruzione, ma questo attacco indiscriminato contro l’intera popolazione. 

La mia analisi mi porta a concludere che la guerra in corso non sia principalmente per la sicurezza a Gaza o contro le minacce alla sicurezza poste da Hamas, ma piuttosto per qualcosa di molto più sinistro e incredibilmente cinico. 

Israele ha colto questa opportunità per soddisfare le ambizioni territoriali sioniste nel mezzo della ‘nebbia di guerra’, provocando un’ultima ondata di catastrofico spossessamento dei palestinesi. È di secondaria importanza se chiamarla “pulizia etnica” o “genocidio” anche se ci sono i requisiti per definirla la maggiore catastrofe umanitaria del XXI secolo. 

In effetti il popolo palestinese è perseguitato da due convergenti catastrofi: una politica e l’altra umanitaria.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Richard Falk, studioso di diritto internazionale e relazioni internazionali, ha insegnato presso la Princeton University per quarant’anni. Nel 2008 è stato nominato alle Nazioni Unite per sei anni come Relatore speciale per i diritti umani dei palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra Israele-Palestina: funzionari del Dipartimento di Stato preparano dispacci di dissenso contro l’assalto a Gaza

Azad Essa, New York e Umar A Farooq, Washington

25 ottobre 2023 – Middle East Eye

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha insediato l’Amministrazione più diversificata della storia, ma diversi funzionari ritengono di aver avuto solo incarichi simbolici.

Middle East Eye è a conoscenza del fatto che lo staff del Dipartimento di Stato americano sta preparando urgenti messaggi di dissenso sul sostegno di Washington all’incessante campagna di bombardamenti israeliani su Gaza.

Diverse fonti hanno riferito a MEE che allinterno del dipartimento le tensioni sono al culmine poiché i funzionari sono sempre più frustrati dallaperto sostegno dellamministrazione Biden a ciò che gli attivisti per i diritti umani chiamano crimini di guerra contro i palestinesi all’interno della Striscia di Gaza assediata.

MEE è venuta a conoscenza che diversi diplomatici sono combattuti tra restare al lavoro per cercare di influenzare la politica o andarsene per protestare contro il sostegno incondizionato di Biden ai bombardamenti israeliani e allimminente invasione di terra.

Da quando Israele ha iniziato il bombardamento aereo di Gaza in seguito allattacco del 7 ottobre da parte dei combattenti palestinesi provenienti da Gaza sono stati uccisi più di 6.000 palestinesi tra cui 2.000 minorenni.

Da quando i combattenti guidati da Hamas hanno sfondato la barriera che separa la Striscia di Gaza assediata da Israele sono stati uccisi circa 1.400 israeliani.

IIn una bozza di dissenso visionata da MEE i diplomatici scrivono che l’attacco di Hamas contro Israele non può essere usato come giustificazione per portare Israele a compiere l’uccisione indiscriminata di persone innocenti a Gaza.

La bozza chiede la cessazione immediata delle ostilità in Israele, a Gaza e nella Cisgiordania occupata e supplica Washington di promuovere messaggi pubblici veritieri ed equilibrati verso la risoluzione della crisi che sta lentamente andando fuori controllo.

“Fino a quando i funzionari israeliani non faranno distinzione tra Hamas e i civili di Gaza e gli attacchi prenderanno di mira o minacceranno istituzioni civili come luoghi di culto, scuole o strutture mediche – Israele dovrà lavorare il doppio per rientrare nella adesione alle norme internazionali che tanto orgogliosamente, e giustamente, predichiamo ad altre nazioni”, dice il messaggio.

Il messaggio di dissenso è un documento presentato attraverso un canale interno che consente ai diplomatici di sollevare preoccupazioni o questioni contro le dannose decisioni di politica estera degli Stati Uniti e fa seguito alle voci secondo cui all’interno del Dipartimento di Stato si sta preparando “un ammutinamento” a causa del fermo sostegno pubblico di Biden alle azioni di Israele a Gaza.

Contattato per un commento un portavoce del Dipartimento di Stato ha detto a MEE: “Come pratica generale, non commentiamo i resoconti delle comunicazioni interne del Dipartimento”.

“In linea generale il canale del dissenso è stato a disposizione dei dipendenti fin dalla guerra del Vietnam e siamo orgogliosi che il Dipartimento abbia una procedura consolidata che consente ai dipendenti di articolare i disaccordi politici direttamente all’attenzione dei principali dirigenti del Dipartimento senza timore di ritorsioni.”

“L’ultima chance prima delle dimissioni”

Un diplomatico del Dipartimento di Stato ha detto a MEE che c’è la sensazione che i normali metodi di elaborazione delle politiche nel dipartimento abbiano fallito.

Nonostante le proteste dei nostri stessi funzionari, le denunce provenienti dal territorio, dalle organizzazioni internazionali e dall’opinione pubblica americana, non c’è stato alcun cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti con Israele se non quello di aumentare il sostegno e i finanziamenti per continuare a uccidere civili palestinesi innocenti,” riferisce la fonte chiedendo di parlare sotto anonimato.

“Un messaggio di dissenso è una delle nostre ultime chance, a parte le dimissioni, per informare il Segretario della gravità di questa situazione e far sapere al Dipartimento di Stato e alla leadership della Casa Bianca che chiediamo con decisione un cessate il fuoco immediato.

“Per lo meno verrà ufficialmente registrato che ci sono e ci sono stati tentativi da parte di funzionari del Dipartimento di Stato di fermare il genocidio in modo che le generazioni future possano assicurarsi che ciò non si ripeta mai più”, aggiunge la fonte.

La settimana scorsa diversi funzionari hanno riferito all’HuffPost che c’era una frustrazione diffusa per il rifiuto del segretario di Stato americano Antony Blinken di prestare ascolto a critiche e preoccupazioni.

Un altro funzionario dellamministrazione Biden, che ha parlato anche lui a condizione di anonimato, ha affermato che i vari messaggi sono stati presi in considerazione separatamente piuttosto che come un grande messaggio unitario di dissenso.

“Sembra davvero che ci siano molteplici iniziative diffuse e ciò è piuttosto raro. Per quello che posso dire non circola un’istanza organizzativa unitaria”, afferma il funzionario.

“Ci sono molte persone che non sono d’accordo con l’attuale politica stabilita dai vertici.”

Solo voci simboliche

Alcuni giorni dopo l’attacco a Israele, Blinken è volato per offrire le sue condoglianze al popolo israeliano. Durante la sua visita, ha equiparato Hamas all’organizzazione dello Stato Islamico (ISIS), una mossa che secondo gli osservatori è stato interpretata come un via libera a Israele per ritorsioni con ogni mezzo necessario.

Lunedì Blinken ha tenuto un’audizione con rappresentanti di organizzazioni palestinesi e arabo-americane durante la quale si è discusso della loro crescente rabbia nei confronti di Biden per la sua gestione della guerra Israele-Gaza, ha riferito una fonte a The National.

Un articolo di Politico pubblicato martedì afferma che lamministrazione ha anche tenuto un’audizione con dipendenti musulmani, arabi e palestinesi.

Un funzionario ha detto a MEE che negli ultimi giorni c’è stato un maggior coinvolgimento tra i livelli più alti dellamministrazione e altri funzionari, compresi gli incaricati musulmani, più di 100 nellattuale amministrazione.

In precedenza Biden aveva pubblicizzato la sua amministrazione come la più diversificata nella storia degli Stati Uniti. Ma finora lamministrazione ha fatto ben poco per modificare il suo pieno sostegno agli sforzi bellici di Israele. Ha chiesto una pausa umanitaria per consentire l’ingresso degli aiuti a Gaza, ma ha detto che non sosterrà un cessate il fuoco.

Il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby ha detto martedì che Washington non sosterrà un cessate il fuoco e che “in futuro civili innocenti verranno colpiti” a Gaza.

“Ciò contro cui io e molti dei miei colleghi ci scontriamo è il fatto che queste persone vengono coinvolte per poter sentire le loro varie voci. Ma se non ti sforzi di ascoltarle, sono solo dei gesti simbolici“, sostiene il funzionario, aggiungendo che molti dei dipendenti hanno in mente di dimettersi.

“So che alcuni di loro sono alla ricerca di un altro impiego perché attualmente non si sentono a proprio agio nel rappresentare l’amministrazione”, dice il funzionario.

Le voci dissenzienti sono la maggioranza

Secondo il funzionario uno dei motivi è che alcuni individui che non sono d’accordo con la politica dell’amministrazione e cercano di esprimere la loro opposizione “non vengono presi in considerazione”.

Finora solo un funzionario si è dimesso affermando di non poter sostenere moralmente il sostegno incondizionato di Washington alle azioni militari di Israele.

“Vorrei essere chiaro: l’attacco di Hamas a Israele non è stato solo una mostruosità ma la peggiore delle mostruosità”, ha scritto in una nota Josh Paul che ha lavorato per più di un decennio presso l’Ufficio per gli affari politico-militari del Dipartimento di Stato.

“Ma credo nel profondo della mia anima che la risposta che Israele sta dando, e con essa il sostegno americano sia a quella risposta che allo status quo dell’occupazione, porterà solo a sofferenze maggiori e più profonde sia per gli israeliani che per il popolo palestinese, e questo non va nella direzione degli interessi americani”.

Inoltre lapproccio dellamministrazione Biden non sembra corrispondere alla visione della guerra da parte dell’opinione pubblica americana. Secondo un recente sondaggio condotto dallorganizzazione progressista Data for Progress, il 66% di tutti i probabili elettori sostiene un cessate il fuoco e una riduzione del conflitto.

Penso che le manifestazioni di dissenso siano importanti in questi tempi, soprattutto per quelle persone che sono al servizio di questa amministrazione”, ha detto a MEE Ahmad Abuznaid, direttore esecutivo della Campagna Statunitense per i Diritti dei Palestinesi.

“Ma ciò che mi colpisce è che sembra che questa volta in realtà sia la maggioranza a dissentire e che il presidente stia operando sulla base di una posizione sostenuta in effetti da una piccola minoranza di persone”, aggiunge.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Guerra Israele-Palestina: un secondo palestinese muore in due giorni in una prigione israeliana

Redazione di MEE

24 ottobre 2023 – Middle East Eye

L’autorità giudiziaria ha affermato che martedì un detenuto palestinese di 25 anni è morto nella prigione di Ofer. È il secondo prigioniero a morire in carcere da lunedì.

La Commissione per gli Affari dei Detenuti ed Ex-detenuti Palestinesi ha identificato il prigioniero in Arafat Hamdan originario della città di Beit Sira, nella parte settentrionale della Cisgiordania occupata. Hamdan è stato arrestato domenica.

Dal 7 ottobre, quando combattenti palestinesi hanno lanciato a sorpresa un attacco per terra, aria e mare s sud di Israele, uccidendo 1.400 israeliani, Israele ha effettuato una campagna di arresti di massa in tutta la Cisgiordania.

Le autorità israeliane in precedenza avevano affermato che il prigioniero non si era sentito bene ed era stato trasferito per esami nell’infermeria del carcere, “dove il dottore ha dichiarato la sua morte”.

La Commissione ha affermato che “l’occupazione ha cominciato una operazione di assassinio sistematico contro i prigionieri nel contesto di una campagna di aggressione totale contro il nostro popolo.”

Un giorno prima il prigioniero palestinese Omar Darghmeh, che Hamas ha dichiarato essere un suo membro, è morto in prigione in circostanze non chiare.

Israele ha affermato che Darghmeh è morto per motivi di salute, ma i palestinesi hanno restituito al mittente l’affermazione, dicendo che è morto per tortura.

Daraghmeh era stato incarcerato con suo figlio il 9 ottobre in Cisgiordania.

La morte dei detenuti è avvenuta perché dall’inizio della guerra Israele ha incrementato la sua repressione contro i prigionieri palestinesi.

Le autorità giudiziarie hanno implementato una serie di misure punitive che hanno visto i detenuti confinati nelle loro celle senza accesso ai cortili, ai dispositivi elettronici e alle visite della famiglia e dell’avvocato.

Le testimonianze del Club dei Prigionieri Palestinesi e di carcerati riferiscono che i detenuti sono anche soggetti giornalmente ad essere picchiati duramente, intimiditi, sottoposti a incursioni e a danneggiamenti o confische dei beni.

Le autorità giudiziarie hanno chiuso i negozi di cibo e ai prigionieri si è ridotto il cibo a due pasti al giorno con porzioni ridotte.

Il portavoce del Club dei Prigionieri, Amani Sarhana, ha affermato a Middle East Eye che i detenuti stanno attraversando uno dei “periodi più difficili e crudeli” dato che devono sopportare isolamento, oppressione e fame.

Sono state interrotte anche le cure mediche. Non stiamo più parlando di prigionieri soggetti a cure mediche insufficienti, ma piuttosto del taglio completo dell’assistenza sanitaria,” ha affermato Sarhana.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Guerra Israele-Palestina: fonti ufficiali israeliane “scontente” per come una donna rilasciata ha descritto la sua prigionia

Redazione di MEE

24 ottobre 2023 – Middle East Eye

Yocheved Lifshitz, 85 anni, rilasciata dai combattenti di Hamas, ha detto di essere stata picchiata durante il rapimento, ma di essere stata trattata ‘gentilmente’ in seguito

Si dice che i politici israeliani siano stati scontenti dell’intervista rilasciata da una anziana signora ostaggio di Hamas a Gaza perché non era stata preparata bene per la dichiarazione.

Martedì in un incontro con la stampa l’ottantacinquenne Yocheved Lifshitz, una degli ostaggi israeliani rilasciata da Gaza lunedì sera, ha detto di essere stata picchiata il 7 ottobre, il giorno in cui i combattenti palestinesi hanno assaltato il sud di Israele, ma di essere poi stata trattata “gentilmente”.

Alcune fonti hanno riferito all’emittente di stato israeliana Kan News che l’intervista era stata un “errore”, aggiungendo che forse non c’era stato un “incontro preliminare” con Lifshitz prima della sua dichiarazione alla stampa e che, se c’era stato, non erano state poste “tutte le domande ” relative alla preparazione.

Lifshitz è una dei quattro israeliani rilasciati dopo l’attacco dei combattenti palestinesi di Hamas contro le comunità israeliane confinanti con la Striscia di Gaza in cui sono stati uccisi circa 1400 israeliani, in maggioranza civili. Secondo Israele a Gaza ci sono 220 prigionieri.

L’ex-ostaggio israeliano è uno dei più anziani imprigionati da Hamas a Gaza e ha passato oltre due settimane in prigionia.

È stata rilasciata con un altro ostaggio, la settantanovenne Nurit Yitzhak.

Lifshitz ha detto ai giornalisti: “Ho visto l’inferno, non ho mai pensato che avrei raggiunto una tale condizione. Loro [i combattenti palestinesi] sono arrivati come pazzi nel nostro kibbutz [e] mi hanno caricata su una moto.”

Ha continuato descrivendo come tra gli ostaggi ci fossero bambini e anziani definendo le scene “estremamente penose”.

Lifshitz ha aggiunto di essere stata picchiata con un bastone mentre andava a Gaza e di essere stata costretta a camminare per parecchi chilometri dopo aver raggiunto la zona.

‘Bisogni soddisfatti’
Secondo l’ex-ostaggio mentre era nelle mani di Hamas un infermiere e poi un medico l’hanno visitata per controllare le sue condizioni. “SI sono presi cura di tutti i dettagli,” ha detto.

Lifshitz ha precisato che i suoi carcerieri “si sono presi cura” di tutte le sue necessità. ” Ci hanno assicurato che mangiavano le stesse cose che mangiavamo noi, formaggio bianco e cetrioli,” ha aggiunto.

Raccontando la storia di sua madre, Sharone, la figlia di Lifshitz, ha detto: “Quando è arrivata (i combattenti) hanno detto loro di essere musulmani e che non gli avrebbero fatto del male.”

Quando è stato chiesto a Lifshitz perché avesse stretto la mano di un combattente di Hamas prima del suo rilascio, ha repllcato: “Sono stati gentili con noi, tutte le nostre necessità sono state soddisfatte.”

Nel corso della dichiarazione alla stampa Lifshitz ha anche condannato la mancanza di preparazione dell’esercito israeliano prima dell’attacco del 7 ottobre dicendo che sono stati spesi “2 miliardi” di shekel [circa 466 milioni di euro] per sistemi di sicurezza che non hanno funzionato.

Ha anche attaccato il governo per i suoi fallimenti nella fase precedente all’attacco. “Siamo stati i capri espiatori del governo, siamo stati abbandonati. Siamo passati attraverso l’inferno,” ha detto.

Alcuni familiari avevano detto prima ai media che la nonna aveva in precedenza lavorato per ottenere aiuti medici per i palestinesi di Gaza.

Oded Lifshitz, il marito di Yocheved, è ancora disperso, presumibilmente ancora a Gaza nelle mani di gruppi armati palestinesi, sebbene non si sappia dove si trovi o le sue condizioni.

Israele dice che Hamas detiene 220 dei suoi cittadini, alcuni con cittadinanza anche di altri Paesi, ma che il numero potrebbe in realtà essere più alto, dato che decine di persone sono ancora disperse.

Hamas dice che durante i bombardamenti israeliani di Gaza, che hanno ucciso almeno 5.000 palestinesi, la gran parte civili, sono morti 22 ostaggi.

Martedì in un’intervista a Sky News Khaled Meshaal, uno dei leader di Hamas, ha detto che il gruppo avrebbe rilasciato tutti gli ostaggi in cambio della fine dei bombardamenti contro Gaza.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra Israele-Palestina: come i media statunitensi legittimano la barbarie di Israele contro i palestinesi

Gregory Shupak

20 ottobre 2023, Middle East Eye

Presentando la campagna terroristica di Israele contro i palestinesi come se fosse giustificabile, i media statunitensi fanno la loro parte nel farla continuare

I recenti editoriali apparsi sui principali giornali liberal statunitensi hanno regolarmente presentato l’incessante terrore di massa che Israele infligge ai palestinesi come legittimo.

I media hanno appoggiato l’assalto israeliano a Gaza e il finanziamento americano dell’attacco criticando allo stesso tempo coloro che propongono opinioni anche leggermente dissenzienti. La stampa americana ha ripetutamente conferito alla violenza israeliana un aspetto virtuoso, anche quando falcidia le persone – generosità non concessa alla controparte palestinese.

Il 12 ottobre il Washington Post ha pubblicato un editoriale in cui elogiava il presidente americano Joe Biden per la sua “condanna senza riserve del terrorismo di Hamas”, affermando: “A questo riguardo, le ferme parole di Biden sono anche in gradito contrasto con le ambiguità di un piccolo numero di membri di sinistra del suo stesso partito al Congresso che la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha espressamente sconfessato.”

Il collegamento alle parole di Jean-Pierre segnala che le “ambiguità” contestate dal Washigton Post sono le affermazioni che “suggeriscono che l’attacco di Hamas contro Israele dovrebbe essere considerato nel contesto delle precedenti azioni di Israele”, o che “si oppongono sui social media agli aiuti militari statunitensi per Israele e chiedono un immediato cessate il fuoco nel conflitto.”

Il giorno prima della pubblicazione di quest’editoriale le associazioni per i diritti umani Mezan, al-Haq e il Centro Palestinese per i Diritti Umani avevano documentato congiuntamente che solo nel periodo tra il mezzogiorno del 10 e dell’11 ottobre Israele aveva distrutto gli interi quartieri di al-Qarm, Ezbet Abdrabbo e al-Sikka, con le squadre di soccorso che “recuperano dozzine di corpi” mentre “altri sono ancora sotto le macerie”; “hanno preso di mira l’Università islamica di Gaza e hanno bombardato l’edificio del Programma di Borse di Studio Al-Fakhoura”, attacchi che hanno ucciso 57 palestinesi, tra cui 20 bambini. Hanno inoltre segnalato gli attacchi aerei e i bombardamenti di Israele sui terreni agricoli del Distretto dell’Area Centrale e sulle “aree residenziali, in particolare nei tre campi profughi densamente popolati di Al-Bureij, Al-Nusairat e Deir al-Balah”, uccidendo almeno 49 palestinesi 15 dei quali bambini.

Per il Post, “equivocare” sulla questione se gli Stati Uniti debbano finanziare tali atrocità o cercare di mettervi fine con un cessate il fuoco è “[in]accettabile”.

Giustificare il linguaggio “genocida”.

Nel suo editoriale più recente, il Washington Post esprime preoccupazione per i palestinesi ma continua a sostenere la campagna militare di Israele: “Dopo il massacro dei suoi civili, Israele – come qualsiasi altro Stato – ha tutto il diritto di rispondere militarmente”.

Per il Washington Post la violenza dell’occupante è giusta e quella degli occupati no: Israele può “rispondere militarmente” alle forze palestinesi che uccidono israeliani ma i palestinesi non hanno lo stesso diritto, anche dopo 75 anni di pulizia etnica, anche sotto un regime di apartheid.

Un editoriale del New York Times del 14 ottobre sostiene fermamente gli attacchi di Israele, affermando che Israele “è determinato a spezzare il potere di Hamas e in questo sforzo merita il sostegno degli Stati Uniti e del resto del mondo”. Gli autori proseguono affermando che “la fine del controllo di Hamas su Gaza è un passo essenziale”.

L’editoriale del New York Times contiene specificazioni quali: Israele “non dovrebbe perdere di vista il suo impegno a salvaguardare coloro che non hanno imbracciato le armi”.

Il comitato editoriale contraddice le proprie affermazioni sul presunto “impegno” di Israele a proteggere i civili citando il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant che definisce i palestinesi “animali umani”, cosa che gli autori giustificano dicendo che l’osservazione avviene “in un’atmosfera di intensa emozione”.

Naturalmente, Gallant non è l’unico funzionario israeliano ad usare un linguaggio genocida dopo l’escalation della guerra contro la Palestina. Il portavoce militare israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha affermato che Israele ha sganciato “centinaia di tonnellate di bombe” su Gaza e che “l’accento è sui danni e non sulla precisione”.

Il presidente israeliano Isaac Herzog ha detto: “C’è là un’intera nazione che è responsabile. Non è vera questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti. Non è assolutamente vera”. Ha aggiunto: “Stiamo difendendo le nostre case, stiamo proteggendo le nostre case, questa è la verità, e quando una nazione protegge la sua casa combatte e noi combatteremo finché non gli spezzeremo le reni”.

Non solo i leader israeliani hanno ripetutamente segnalato di non aver intenzione di “tutelare” i non combattenti, ma Israele li ha deliberatamente massacrati in massa.

Ad esempio il giorno prima della pubblicazione dell’editoriale il pluripremiato gruppo per i diritti umani Defense for Children International Palestine ha riferito che nell’attacco contro Gaza Israele aveva ucciso fino a quel momento quasi 600 bambini palestinesi, un terzo del bilancio complessivo delle vittime.

Affermazioni assurde

Anche se Israele respinge qualsiasi impegno a proteggere i civili sia nelle parole che nei fatti, il New York Times mette ripetutamente in buona luce la politica militare israeliana a fronte di quella delle forze palestinesi, scrivendo che “Israele si sta preparando a mandare i suoi giovani uomini e donne in battaglia, dove affronteranno un nemico che non rispetta le stesse regole di guerra a cui loro si sono impegnati.”

Dire che la violenza dello Stato israeliano è moralmente superiore a quella dei gruppi di resistenza palestinesi trasmette il chiaro messaggio che la prima è legittima mentre la seconda no.

Il New York Times ha fatto la stravagante affermazione secondo cui “Israele sta combattendo per difendere una società che valorizza la vita umana e lo stato di diritto”.

Dal momento che non viene fatta alcuna affermazione del genere sui “valori” palestinesi, il messaggio è che massacrare i palestinesi sia legittimo: se la società palestinese (o importanti settori di essa) valorizza la criminalità omicida, allora è implicito che sia auspicabile venga spazzata via da una forza che si presume più civile.

Nel frattempo, due giorni prima che l’editoriale andasse in stampa, Human Rights Watch (HRW) ha affermato che Israele aveva utilizzato il fosforo bianco – che, al contatto, può “bruciare le persone, termicamente e chimicamente, fino alle ossa” – sia sul porto di Gaza City che in aree rurali lungo la linea dell’armistizio tra Israele e il Libano.

HRW ha affermato che l’uso del fosforo bianco a Gaza, una delle aree più densamente popolate del mondo, “amplifica il rischio per i civili e viola il divieto del diritto umanitario internazionale di esporre i civili a rischi inutili”.

Come ha osservato HRW, Israele ha utilizzato quest’arma a Gaza anche nel 2009 e nell’attuale ciclo di combattimenti Israele ha “tagliato elettricità, acqua, carburante e cibo a Gaza in violazione al divieto del diritto umanitario internazionale contro la punizione collettiva”.

Per “una società che valorizza la vita umana e lo stato di diritto”, Israele compie un’enorme quantità di uccisioni e di violazioni della legge.

Una patina etica

Allo stesso modo il Los Angeles Times ha dichiarato che “Israele ha tutto il diritto di usare la forza militare per prevenire” attacchi come quelli compiuti da Hamas il 7 ottobre e che Israele “deve rimanere fedele ai suoi valori facendo tutto il possibile per ridurre al minimo le sofferenze degli innocenti residenti palestinesi di Gaza.”

Il pezzo applaude Biden per aver affermato che chiederà al Congresso “un pacchetto di sostegno senza precedenti per la difesa di Israele” e per aver vagamente suggerito a Israele di riflettere se l’uccisione di migliaia di palestinesi aiuterà a “raggiungere i [suoi] obiettivi”.

L’editoriale poi afferma: “Che Israele non prenda di mira i civili è di scarso conforto per le famiglie delle persone uccise o ferite”.

Forse gli autori ritengono che sia magnanimo menzionare le circa 3.000 vite palestinesi che Israele ha ucciso in 11 giorni. Ma tali simpatie sono peggio che inutili quando sono confezionate con una menzogna che giustifica tutte le uccisioni e crea alibi per tutte le uccisioni future: ad esempio, due giorni prima dell’editoriale l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) osservava: “Molti edifici residenziali in aree densamente popolate sono stati presi di mira e distrutti” da Israele, tra cui un “edificio residenziale a Jabalia, nel nord di Gaza, dove sono stati uccisi dieci palestinesi; un edificio residenziale nella zona Musabah di Rafah, dove almeno 11 palestinesi, tra cui donne e bambini, sono stati uccisi; e l’edificio di un’organizzazione di beneficenza a Rafah, dove sono stati uccisi 11 palestinesi e molti altri sono rimasti feriti. Il 16 ottobre, al mattino, secondo quanto riferito, le forze israeliane hanno preso di mira un edificio residenziale a Khan Yunis, uccidendo 22 palestinesi.”

Inoltre il 15 ottobre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato: “Quattro ospedali nel nord di Gaza non funzionano più a causa di danni e attacchi. 21 ospedali nella Striscia di Gaza hanno ricevuto istruzioni dalle forze israeliane di evacuare. L’OMS ribadisce che devono essere prese tutte le precauzioni per proteggere gli operatori sanitari e le strutture sanitarie, compresi i pazienti e i civili che vi trovano rifugio.”

Queste fantasie su un presunto risparmiare i civili da parte di Israele e sui suoi presunti “valori” umani presentano tutta la crudeltà – le uccisioni spietate, le raccapriccianti ferite fisiche e psichiche, il sadismo dell’assedio – come incidenti in buona fede lungo il percorso verso una giusta causa; è retorica intesa a mascherare la brutalità israeliana con una patina etica.

Ma la causa di Israele è la violenza coloniale. La violenza dell’espropriazione, della tortura e di un massacro dopo l’altro. Perché nessuno Stato etnico in cui i palestinesi rimangano una minoranza perseguitata nella propria patria è possibile senza una violenza spietata e incessante.

Presentando tutta questa barbarie come se fosse giustificabile, i media statunitensi stanno facendo la loro parte affinché continui.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Gregory Shupak insegna Inglese e Studi sui Media all’Università di Guelph-Humber a Toronto. È autore del libro The Wrong Story: Palestine, Israel, and the Media [La storia sbagliata: Palestina, Israele e i media].

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Guerra Israele-Palestina: coloni e soldati “commettono gravi abusi” su palestinesi e attivisti

Redazione di MEE

19 ottobre 2023 – Middle East Eye

Sulla base di un report di Haaretz tre palestinesi e cinque attivisti israeliani di sinistra detenuti, legati, picchiati e umiliati sessualmente dalle forze israeliane

Uno degli uomini, Mohammed Matar, 46 anni, noto come Abu Hassan, ha riferito ad Haaretz che quanto hanno vissuto è stato simile alle torture e agli abusi sui prigionieri perpetrati dalle forze statunitensi nella prigione irachena di Abu Ghraib.

I palestinesi sono stati rilasciati in serata da funzionari dellAmministrazione Civile, lorgano di governo israeliano nella Cisgiordania occupata. Sono stati portati all’ospedale di Ramallah gravemente feriti e dopo aver subito il furto della maggior parte delle cose in loro possesso, tra cui un’auto e dei contanti.

Un portavoce dell’esercito israeliano ha detto ad Haaretz che è stata aperta un’indagine sull’incidente e che come risultato un comandante è stato rimosso.

I Palestinesi denudati e torturati dai coloni. Foto (social media)

Lo stesso giorno degli attivisti israeliani di sinistra giunti sul posto con un bambino sono stati aggrediti e trattenuti per diverse ore.

I soldati e i coloni hanno minacciato di ucciderli e hanno continuato a picchiare alcuni di loro. Gli attivisti, che sono stati rilasciati dopo tre ore di prigionia, hanno raccontato che a un certo punto un giovane colono in abiti civili è stato incaricato di sorvegliarli.

La violenza dei coloni

Abu Hassan e Mohammed Khaled, 27 anni, entrambi dipendenti dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) che avevano trascorso sette settimane a Wadi al-Siq in aiuto degli abitanti, hanno riferito al giornalista di Haaretz Hagar Shezaf che erano già saliti in macchina per lasciare il villaggio quando sono arrivati i coloni e i soldati in uniforme militare, tutti armati e per la maggior parte a volto coperto”.

Secondo quando riferito da Abu Hassan e Khaled i coloni, dopo averli catturati, bloccati a terra e legate le loro mani con delle corde hanno iniziato a picchiarli con le armi, tenendo la loro testa bloccata al suolo e calpestandoli.

Sono stati mostrati alcuni coltelli, secondo i coloni e i soldati di proprietà dei palestinesi, ma che secondo questi ultimi erano stati introdotti nei loro bagagli.

I prigionieri palestinesi hanno detto ad Haaretz che durante la loro prigionia ad un certo punto è sopraggiunto del personale che ha dichiarato di far parte dello Shin Bet, lagenzia di sicurezza interna israeliana, che li ha interrogati e commesso abusi su di loro. Lo Shin Bet ha negato le accuse.

I tre palestinesi detenuti e torturati hanno riferito che era difficile distinguere i coloni dai soldati.

I prigionieri affermano che dopo una prima fase della detenzione sono stati condotti con gli occhi bendati e le mani legate con filo d’acciaio in un edificio vuoto.

“Ci hanno messo a pancia in giù e uno di loro ha portato un coltello e ci ha strappato i vestiti”, dice Abu Hassan ad Haaretz. Siamo rimasti solo in mutande”.

Hanno continuato a picchiarci, afferma Khaled. Ci hanno picchiati anche con un tubo di ferro e dei coltelli. Mi hanno colpito ovunque, sulle mani, sul petto e sulla testa. Ovunque. Ci hanno spento addosso le sigarette, hanno cercato di strapparmi le unghie”.

Abu Hassan dice che la sua faccia è stata sbattuta nella spazzatura ed escrementi che coprivano il pavimento dell’edificio. Sono stati interrogati e gli è stato chiesto ripetutamente dove intendessero “effettuare l’attacco con i coltelli” che sostenevano fossero in nostro possesso. Riferiscono di aver anche subito domande personali sulle loro famiglie.

La violenza è continuata per tutto il tempo, dice Abu Hassan ad Haaretz. Ci hanno versato addosso dellacqua, ci hanno urinato addosso. Dopodiché qualcuno con in mano un bastone ha provato a ficcarmelo nel sedere. Ho resistito con tutte le mie forze finché non ha desistito”.

Secondo i due palestinesi dopo circa sei ore sono stati portati fuori dall’edificio pieno di escrementi, a piedi nudi e in mutande. Non erano a conoscenza della presenza di un terzo palestinese, Majed, che era stato legato con una corda e a cui era stato sequestrato il telefono e che in seguito ha trascorso due notti in ospedale.

I tre palestinesi sono stati rilasciati in serata.

“Tutti gli arabi sono una merda”

Secondo il report nel frattempo cinque attivisti israeliani di sinistra sono stati trattenuti per ore dai coloni.

Quando ci hanno visto, hanno iniziato a inseguirci, ha riferito ad Haaretz uno degli attivisti. “Alcuni di loro erano in uniforme, o per metà in uniforme e per metà in abiti civili, ma i veicoli erano civili.”

Abu Hassan dice ad Haaretz che pensava di essere stato preso di mira e sottoposto ad abusi così gravi in quanto conosciuto tra i coloni come attivista che aiuta le comunità di pastori della zona.

“Hanno voluto trasmettere due messaggi: primo, che gli ebrei sono furiosi in seguito [ai fatti riguardanti, ndt.] la Striscia di Gaza, secondo, che noi arabi non dobbiamo osare a metterci contro di loro”, prosegue.

Ho detto loro che ero contro Hamas e contro la Jihad islamica palestinese ma a loro non interessava. Hanno detto che tutti gli arabi sono una merda e che dovremmo essere mandarli in Giordania. Ciò che è accaduto non ha nulla a che fare con la legge, lordine o la condotta di un Paese civile. Si tratta semplicemente di gang coordinate”.

Gli eventi si svolgono in un contesto di crescente violenza e tensione in Cisgiordania a causa della guerra israelo-palestinese in corso.

Le forze israeliane hanno imposto un rigido blocco in tutta la Cisgiordania, chiudendo le città, posizionando barriere e blocchi di cemento agli ingressi di villaggi e città e sparando sui manifestanti.

Dal 7 ottobre, dopo lo scoppio della guerra a seguito di un attacco a sorpresa condotto da Hamas contro Israele, hanno ucciso decine di civili palestinesi e ne hanno arrestato almeno 870. Allo stesso tempo, gli attacchi dei coloni sono aumentati del 40%.

Dallo scoppio della guerra nella Cisgiordania occupata sono state uccise almeno 72 persone mentre a Gaza sono morte almeno 3.785 persone e 1.400 in Israele.

Martedì scorso, due giorni prima dellattacco contro i palestinesi e gli attivisti di sinistra, il ministro israeliano di estrema destra della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha annunciato che il suo ministero è in procinto di acquistare 10.000 fucili per armare le squadre di sicurezza civile anche negli insediamenti coloniali in Cisgiordania.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Guerra Israele-Palestina: perché le affermazioni di Israele sono accolte con tanto scetticismo?

Alex MacDonald

18 ottobre 2023 – Middle East Eye

Israele ha accusato dell’attacco contro l’ospedale arabo al-Ahli di Gaza il Jihad Islamico palestinese. Ma ha una lunga storia di affermazioni false.

Martedì notte circa 500 palestinesi sono stati uccisi nell’ospedale arabo al-Ahli di Gaza City.

Subito dopo la distruzione è iniziato un gioco di accuse reciproche. Il ministero della Sanità palestinese ha detto che l’ospedale è stato preso di mira da un attacco aereo israeliano.

Hananya Naftali, un collaboratore informatico del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha twittato inizialmente che “le forze aeree israeliane hanno colpito una base terroristica di Hamas all’interno di un ospedale a Gaza. È morto un gran numero di terroristi.”

Poi Naftali ha cambiato versione, definendo l’esplosione “misteriosa” e affermando che si era trattato “di un razzo difettoso” o di “qualcosa che è stato fatto di proposito per ottenere appoggio internazionale.”

Quando Israele ha risposto ufficialmente, ha negato ogni responsabilità per l’attacco e ha cercato di attribuirne la responsabilità a un razzo mal lanciato dal gruppo palestinese Jihad Islamico (PIJ).

Le conseguenze del disastro sono subito state molto estese, con manifestanti che hanno incendiato l’ambasciata israeliana in Giordania, mentre altri hanno invaso la città palestinese di Ramallah chiedendo le dimissioni del presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Lo scetticismo con cui sono state accolte le dichiarazioni di innocenza da parte di Israele è il risultato di anni di disinformazione diramata dall’esercito israeliano a seguito di attacchi e uccisioni controversi.

Durante una conferenza stampa israeliana tenutasi dopo il massacro, un giornalista ha fatto riferimento alla lista “tutt’altro che impeccabile” dell’esercito quando si è trattato di fornire informazioni credibili, citando le false affermazioni secondo cui miliziani palestinesi avrebbero ucciso la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh nel 2022.

Un portavoce dell’esercito ha risposto: “In passato siamo stati molto frettolosi nell’arrivare a conclusioni. È per questa ragione che in questo caso ci siamo presi tempo, più di cinque ore. Volevamo fare un doppio controllo su tutto.”

Tuttavia da molti punti di vista la risposta iniziale di Israele all’attacco contro l’ospedale ha seguito le stesse caratteristiche di avvenimenti precedenti.

Cos’è successo?

L’attacco contro l’ospedale è la peggiore atrocità avvenuta a Gaza da quando Israele ha iniziato a bombardare l’enclave costiera assediata in seguito all’attacco guidato da Hamas contro Israele il 7 ottobre.

Foto e video da Gaza City hanno mostrato il fuoco che si diffondeva dagli ingressi della struttura, vetri e parti di corpi umani sparsi sul pavimento dell’ospedale.

Un medico ha descritto “scene orripilanti, surreali”, e ha detto a Middle East Eye che l’attacco ha messo “in ginocchio” il sistema sanitario di Gaza.

Al momento dell’incidente l’ospedale, gestito dalla chiesa anglicana, stava fornendo cure e rifugio a centinaia di palestinesi feriti e cacciati dalla guerra israeliana di 11 giorni contro l’enclave assediata.

Foto e video ottenuti da Middle East Eye mostrano paramedici e abitanti che corrono a soccorrere i feriti, con molti minori tra le vittime.

Attorno a loro sul prato ci sono lenzuola, zainetti per la scuola e altri oggetti.

Cos’è successo secondo Israele?

Il ministero della Sanità palestinese ha affermato sul suo canale Telegram che l’ospedale aveva ricevuto minacce da parte di Israele perché venisse evacuato altrimenti sarebbe stato bombardato, e in effetti sabato era stato colpito da un raid aereo come avvertimento per il personale e i pazienti di andarsene.

Mercoledì anche Hamas ha ripetuto la sua convinzione che l’attacco fosse un bombardamento aereo israeliano.

Tuttavia finora Israele ha rifiutato di prendersi la responsabilità della distruzione dell’ospedale.

Al contrario, sostiene che un razzo lanciato dal PIJ è caduto sull’ospedale, una cosa che il gruppo armato nega recisamente, affermando in un comunicato di “non utilizzare luoghi di culto o edifici pubblici, soprattutto ospedali, come centri militari o magazzini per le armi.”

L’account “israeliano” di X martedì notte ha twittato quella che sostiene essere una prova della responsabilità del PIJ nell’attacco, affermando che “dalle analisi dei sistemi operativi dell’IDF [l’esercito israeliano, ndt.] una raffica di razzi nemici è stata lanciata verso Israele ed è passata nelle vicinanze dell’ospedale quando questo è stato colpito.”

Tuttavia la versione originale del post includeva un video dei razzi sparati dai dintorni di Gaza City.

In seguito il video è stato rimosso dall’account, mentre alcuni analisti hanno notato che la prima menzione pubblica del bombardamento è stata alle 19,20 ora locale, mentre il video condiviso da Israele come prova segnava un’ora tra le 19,59 e le 20 ora locale.

Mercoledì quello stesso account ha condiviso un audio dell’esercito israeliano presentata come una conversazione in cui combattenti di Hamas discutono della distruzione dell’ospedale e la attribuiscono al PIJ.

Ma Muhammad Shehada, un attivista per i diritti umani di Gaza che per un decennio ha scritto rapporti contro Hamas, ha postato che la citazione era stata mal tradotta da “loro dicono” in “noi diciamo”.

“Sta descrivendo una diceria, non una prova,” ha scritto Shehada, prima di proseguire elencando altre ragioni per credere che l’audio sia parte di una campagna di disinformazione.

Alex Thomson, un inviato di Channel 4 News [notiziario britannico, ndt.], ha affermato che “molti esperti” gli hanno detto che “la registrazione dei miliziani di Hamas che parlano del cattivo funzionamento del missile è un falso. Dicono che il tono, la sintassi, l’accento e la lingua sono inverosimili.”

Si può sentire uno di loro che dice: “Lo hanno sparato dal cimitero dietro l’ospedale.”

Francesco Sebregondi, architetto e ricercatore che attualmente lavora con l’ong investigativa Index [associazione francese esperta in analisi e ricerche su questioni di interesse pubblico, ndt.], ha detto a Middle East Eye che Israele si è affrettato a dare subito materiale perché gli analisti vi basassero le proprie conclusioni.

“Fornendo rapidamente un certo numero di ‘prove’ poco concrete, per esempio nella forma di riprese del luogo fatte da un drone, l’esercito israeliano può contare anche sull’impazienza di alcuni attori di Open Source Intelligence [informazioni liberamente disponibili al pubblico, ndt.] (OSINT) che usano qualunque immagine/materiale/dato per pubblicare rapidamente nuovi contenuti o ‘analisi’, e di conseguenza appoggiare più o meno direttamente la sua versione degli eventi,” ha detto.

Una reputazione “tutt’altro che impeccabile”

Una serie di episodi passati ha macchiato la reputazione dell’esercito israeliano riguardo alla disinformazione.

Forse l’esempio più noto negli ultimi anni è stata l’uccisione della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh.

Abu Akleh, che era anche cittadina statunitense, è stata colpita a morte da forze israeliane l’11 maggio 2022 mentre stava informando su un’operazione militare israeliana a Jenin, nella Cisgiordania occupata. Anche il suo collega Ali al-Samoudi è stato colpito e ferito.

In un primo tempo Israele ha accusato uomini armati palestinesi di averle sparato, ma poi ha concluso che c’erano “molte probabilità che Abu Akleh sia stata accidentalmente colpita da fuoco dell’IDF (l’esercito israeliano) sparato verso sospetti identificati come palestinesi armati.”

L’ufficio della procura generale dell’esercito israeliano ha affermato che non avrebbe aperto un’inchiesta riguardo ai soldati coinvolti nell’incidente in quanto “non ci sono sospetti che sia stato commesso un reato penale.”

Un altro esempio fu la morte del dodicenne Mohammed al-Durah nel 2000, uno degli avvenimenti fondamentali della Seconda Intifada (2000-2005).

Il video del ragazzino rannicchiato con il padre in mezzo ad uno scambio di colpi e che poi si accascia morto scatenò l’indignazione internazionale e rimane un’immagine iconica della repressione israeliana contro i palestinesi.

Benché inizialmente abbiano accettato la responsabilità della sua morte, sostenendo che era stato usato come scudo umano, in seguito, nel 2005, gli israeliani ritrattarono.

Denunce e contro-denunce vennero lanciate avanti e indietro, e alcuni sostennero che France 2 [rete televisiva pubblica francese, ndt.], che inizialmente aveva diffuso il video, avesse inscenato l’incidente. La rete rispose con una serie di denunce per diffamazione che ebbero successo.

“Si parlò molto di questo video, affermazioni che si trattava di un falso. Ma la gente che lo diceva non conosceva neppure la zona,” disse nel 2020 ad Al Jazeera Talal Abu Rahma, il cameraman che aveva ripreso le immagini.

“Ci furono un sacco di chiamate e inchieste nei miei confronti riguardo a quanto fossero veritiere le immagini. Gli ho dato una sola risposta: la telecamera non mente.”

Infine, continueranno ad esserci una serie di narrazioni in conflitto anche riguardo a quanto è avvenuto all’ospedale arabo al-Ahli. Al momento un’inchiesta sul campo sembra assolutamente impossibile e la serie di immagini e riprese diffuse in rete continuerà probabilmente ad essere la principale fonte di informazione.

“Cerchiamo di non essere ingenui riguardo ai pregiudizi politici e analitici di un gran numero di attori nelle attuali comunità OSINT in rete,” afferma Sebregondi.

“Lo stesso termine OSINT viene dal mondo militare e dell’intelligence. Queste comunità in rete comprendono molti (ex) militari e personale dell’intelligence che, sotto le mentite spoglie di reporter totalmente indipendenti, possono anche essere propensi ad appoggiare la continua brutale azione militare israeliana in quella che è ancora definita da molti importanti mezzi di comunicazione come una ‘guerra al terrorismo.’”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra Israele-Palestina: deraglia la politica USA per il Medio Oriente Da quando è scoppiato il conflitto Washington ha fatto una serie di errori marchiani, portando la regione sull’orlo di una guerra più ampia

David Hearst

18 ottobre 2023 – Middle East Eye

Joe Biden non sta avendo una bella guerra. Tre giorni dopo l’attacco di Hamas il presidente USA ha pronunciato un discorso da far invidia persino a David Friedman, ex ambasciatore in Israele sotto la presidenza Trump e difensore dei coloni.

Biden ha erroneamente sostenuto l’affermazione che Hamas avrebbe decapitato neonati, con affermazioni che la Casa Bianca ha poi dovuto smentire; ha promesso il sostegno USA per dare a Israele tutto il necessario per “rispondere a questo attacco” e ha poi erroneamente asserito che i civili a Gaza erano usati come scudi umani.

In quei tre giorni la leadership di Israele ha reso chiarissimo che sarebbe andata giù pesante e che lo Stato nella sua risposta all’attacco di Hamas non avrebbe rispettato le regole di guerra.

Gli eventi si sono svolti di conseguenza e Israele in 10 giorni ha colpito Gaza con una potenza esplosiva equivalente a un quarto di una bomba nucleare.

Mentre Biden stava decollando per il suo ultimo viaggio in Medio Oriente, a Gaza le forze israeliane hanno colpito un ospedale che avevano attaccato pochi giorni prima, dopo aver avvertito di evacuarlo. Oltre 20 altri ospedali hanno ricevuto minacce simili.

Questa volta sono state uccise circa 500 persone. La carneficina all’al-Ahli, uno dei più vecchi ospedali di Gaza, ha fatto un tale piacere a Itamar Ben Gvir, il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, che se ne è prematuramente attribuito la responsabilità: “Fino a quando Hamas non libererà gli ostaggi l’unica cosa che si deve far entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivo lanciate dall’aeronautica militare, non un grammo di aiuti umanitari.”

Anche Hananya Naftali, che lavorava per il team digitale del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha postato su X: “ULTIMISSIME: l’aeronautica militare israeliana ha colpito una base terrorista di Hamas dentro un ospedale a Gaza.” Ha velocemente tolto il post.

Più tardi lo stesso giorno un portavoce dell’esercito israeliano ha detto che un “razzo nemico” lanciato contro Israele era uscito dalla traiettoria colpendo l’ospedale. Tali razzi non hanno una potenza esplosiva tale da uccidere 500 persone. Inizialmente l’esercito aveva pubblicato immagini che mostravano un razzo del Jihad Islamico, ma dopo la scoperta che questo video era di 40 minuti successivi al bombardamento, l’esercito ha rimosso il filmato.

Sembra che qualcuno stia facendo gli straordinari al suo laptop per cancellare le tracce dell’attacco contro l’ospedale. C’è persino un audio che rivelerebbe la discussione fra miliziani di Hamas che discuterebbero del fallito lancio, salvo il fatto che, secondo Channel 4 [notiziario britannico, ndt.], sarebbe un falso che usa tono, sintassi e accento sbagliati.

Semaforo verdissimo

Mercoledì, quando Biden è atterrato in Israele, gran parte del tour regionale pianificato era stato cancellato. Tale era la rabbia nella Cisgiordania occupata, in Giordania, Libano ed Egitto che nessun leader arabo per garantire la propria sicurezza ha voluto incontrarlo.

Con centinaia di persone radunate davanti alle ambasciate di USA e Israele in Giordania che invocavano l’espulsione dell’ambasciatore israeliano e la revoca del trattato di pace con Israele, la visita ad Amman è stata annullata. 

Ma poco dopo l’arrivo in Israele Biden si è scavato una fossa ancora più profonda quando ha detto a Netanyahu, a proposito dell’attacco all’ospedale: “Basandomi su quanto ho visto sembra che sia stato fatto dall’altra parte, non da voi.”

Dietro le quinte la politica USA per il Medio Oriente sembrava stesse deragliando.

Per essere chiari le azioni intraprese dagli USA dietro le quinte nel periodo immediatamente seguente all’attacco di Hamas ha spianato la strada alla crisi in cui si trova ora la regione. 

Gli USA non hanno solo dato il semaforo più verde possibile alla campagna di bombardamento mirante a spingere più di un milione di persone dalla metà settentrionale della Striscia di Gaza verso il confine egiziano. Non hanno solo dato a Israele, secondo funzionari della difesa, bombe guidate equipaggiate con il sistema JDAM e parecchie migliaia di proiettili di artiglieria 155 mm.

Secondo vari e credibili rapporti, inizialmente hanno anche cercato di persuadere l’Egitto ad accogliere un milione di rifugiati da Gaza. Al Akhbar [quotidiano in lingua araba pubblicato a Beirut, ndt.] all’inizio ha riferito che gli USA hanno cercato di coordinarsi con l’ONU e “organizzazioni internazionali che ricevono finanziamenti dall’ONU” per convincere il Cairo ad aprire il valico di Rafah. Naturalmente c’era di mezzo una bustarella.

Fonti hanno parlato della possibilità che gli USA dessero dei significativi finanziamenti all’Egitto, oltre 20 miliardi di dollari, se avesse accettato. Hanno menzionato una richiesta del Cairo di “facilitare il trasferimento di molte e numerose organizzazioni operanti nel settore del soccorso al confine con Rafah senza entrare a Gaza”.

Anche il sito egiziano Mada Masr ha riferito che funzionari egiziani si sono consultati sul trasferimento di una significativa parte della popolazione di Gaza. Tale affermazione così delicata ha fatto sì che le autorità egiziane intervenissero pesantemente sul sito: i direttori sono stati convocati e il Consiglio Supremo per la regolamentazione dei media ha iniziato un’indagine sulla pubblicazione di “notizie false”. 

Senza dubbio questi incontri si sono svolti prima che il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi si rendesse conto del pericolo per lui in un anno di rielezioni. 

L’11 settembre di Israele

Gli USA hanno commesso tre errori nella loro reazione all’attacco di Hamas. Hanno incoraggiato Israele a colpire senza limiti, hanno inizialmente contemplato lo scenario di un esodo di massa dei palestinesi in Egitto e hanno portato il Medio Oriente sull’orlo di una guerra regionale. 

Fin dall’inizio la narrazione usata da Israele e dagli USA è stata che per Israele l’attacco di Hamas era paragonabile all’11 settembre, che Hamas non era in alcun modo diverso dallo Stato Islamico e che Israele aveva il dovere morale non solo di rispondere all’attacco di Hamas ma anche di sradicare l’intero movimento.

Ciò ha permesso a Israele di pensare che avrebbe potuto usare raid aerei contro Gaza non solo per distruggere Hamas, ma anche per apportare modifiche strutturali all’equilibrio di potere nel Medio Oriente, cioè confrontarsi con Hezbollah e infine con l’Iran.

Sia Netanyahu che il leader dell’opposizione Benny Gantz hanno alluso a un piano che avrebbe, nelle parole di Gantz, “cambiato la situazione strategica e della sicurezza nella regione”. Non mi è chiaro se gli USA avrebbero permesso a Israele di procedere con un piano più ampio che contro Hamas e Gaza, ma chiaramente il piano c’era.

Michael Milshtein, capo del Forum di Studi Palestinesi presso il centro Moshe Dayan all’università di Tel Aviv scrive: “Questa guerra è molto di più di un conflitto fra Israele e Hamas. In Occidente si sta sviluppando l’idea che la guerra delle Spade di Ferro [nome dell’operazione militare israeliana contro Gaza, ndt.] sia un momento qualificante, un’opportunità unica di rimodellare l’architettura del Medio Oriente che ci si aspetta influenzerà anche i rapporti di potere in tutto il mondo.”

Per alcuni giorni sembrava che l’espulsione forzata di metà di Gaza travestita da corridori umanitari potesse funzionare. Il confine nord con il Libano è rimasto tranquillo. Inizialmente Hezbollah non ha reagito. I media occidentali hanno accettato il piano di conquistare Hamas e rioccupare Gaza.

La svolta è arrivata quando il Segretario di Stato USA Antony Blinken sembra si sia reso conto che un’altra Nakba delle dimensioni di quanto accadde nel 1948 sarebbe stata una linea rossa. 

Dopo un incontro di ministri degli esteri, Ayman Safadi, vice primo ministro giordano, ha detto che tutti i paesi arabi si impegnavano in un’azione collettiva contro ogni tentativo di espellere i palestinesi dalla loro patria. Lo stesso messaggio è arrivato dal re  di Giordania Abdullah II durante il suo recente viaggio europeo.

L’urlo di protesta levatosi da Giordania, Egitto, Turchia e Arabia Saudita è stato tale che Blinken ha dovuto ammettere che “non avrebbe avuto seguito”. Biden ha anche detto che la rioccupazione di Gaza sarebbe stato un “errore enorme”. Il Primo Ministro britannico Rishi Sunak ha detto che tutti dovrebbero evitare l’escalation. 

Tutto ciò è stato accompagnato da altri avvertimenti chiari. Hossein Amir-Abdollahian, ministro degli Esteri iraniano, ha messo in guardia che l’asse della resistenza avrebbe aperto “fronti multipli” contro Israele se gli attacchi contro Gaza fossero continuati, dicendo alla televisione nazionale iraniana: “Non c’è più molto tempo. Se i crimini di guerra contro i palestinesi non si fermano immediatamente, si apriranno altri fronti multipli e questo è inevitabile.”

Se gli USA non capiranno hanno solo da guardare fuori dalla finestra dove ci sono proteste di massa senza precedenti in tutta la regione.

Guerra regionale

All’arrivo di Biden in Israele mercoledì la regione era in ebollizione. A parte la questione morale, l’esercito USA è chiaramente impreparato per tale impresa avendo speso gli ultimi anni a ridurre le sue risorse militari.

Secondo il Wall Street Journal l’anno scorso ha ritirato più di otto batterie di missili Patriot da Iraq, Kuwait, Giordania e Arabia Saudita, oltre a un sistema Terminal High Altitude Area Defense [Difesa d’area terminale ad alta quota] (Thaad) dall’Arabia Saudita. Ha svuotato le scorte di munizioni da 155mm in Israele per mandarli in Ucraina. Ha spostato la marina nel Pacifico.

In poco tempo ha dovuto far marcia indietro. Nel Mediterraneo c’è già una portaerei e un’altra sta arrivando [in realtà è già arrivata. ndt.]. L’ultima volta che gli USA hanno impiegato due portaerei in Medio Oriente fu nel 2020. Insieme alle sue navi ha dovuto riportare nel Golfo gli aerei da attacco A-10 e i caccia F-15 e F-16. 

Tutto ciò dovrebbe costituire un deterrente per l’Iran. Non lo sarà. Non mi capita spesso di citare le analisi su Israele dell’editorialista Thomas Friedman [noto giornalista USA tradizionalmente schierato con Israele, ndt.] del New York Times, ma in questa occasione farò eccezione.

Friedman ha scritto: “Se Israele entra in Gaza adesso farà saltare gli Accordi di Abramo, destabilizzerà ancora di più due dei più importanti alleati dell’America (Egitto e Giordania) e renderà impossibile la normalizzazione con l’Arabia Saudita: una gigantesca battuta di arresto. Permetterebbe anche ad Hamas di incendiare veramente la Cisgiordania e fare partire una guerra di pastori fra i coloni ebrei e i palestinesi. Complessivamente farebbe il gioco della strategia iraniana di attrarre Israele verso una eccessiva espansione imperiale, indebolendo in tal modo la democrazia ebraica dall’interno.”

Hamas non ha bisogno di infiammare la Cisgiordania occupata, dato che ci sono enormi proteste in tutte le città principali per chiedere al Presidente Mahmoud Abbas di andarsene, dopo che le forze dell’Autorità Palestinese (AP) hanno usato proiettili veri contro i manifestanti. Ma sul punto strategico sono d’accordo con Friedman, anche se mi addolora dirlo.

Ha anche ragione a dire che un’invasione di terra di 360.000 soldati israeliani afflitti è la ricetta per massacri forse peggiori e di più vaste dimensioni di quelli mai visti fino ad ora.

Perdita del sostegno

C’è una discussione a Washington su come l’attacco di Hamas abbia cambiate la natura, la velocità e l’estensione del sistema del Medio Oriente sostenuto dagli USA. James Jeffrey, ex ambasciatore USA nella regione, ha detto a Middle East Eye: “La capacità di Hamas di sconfiggere l’intera difesa militare israeliana mette questa guerra sullo stesso piano della guerra dello Yom Kippur (la guerra in Medio Oriente del 1973). Nessun conflitto recente ha minacciato il sistema mediorientale sostenuto dagli USA tanto come questo, e tale lo considera l’amministrazione [Biden].”

Ma questa analisi fa partire il conto alla rovescia fino all’attacco stesso, non a tutti i segnali che l’hanno preceduto: il collasso dell’AP, gli sconfinamenti israeliani nella moschea di Al-Aqsa, l’impossibilità dei negoziati, i tentativi di stringere un accordo con l’Arabia Saudita passando sopra le teste dei palestinesi e l’impossibilità di tutti i palestinesi di uscire dalle gabbie collettive in cui sono rinchiusi.

Potrebbe anche essere che “il sistema mediorientale sostenuto dagli USA”, basato sul cieco supporto a Israele, non funzioni più? La lettera di dimissioni di Josh Paul, un funzionario ad alto livello del Dipartimento di Stato USA, dimissioni causate dalla posizione della sua amministrazione sulla guerra di Gaza, è una lettura interessante.

Paul ha definito l’attacco di Hamas la “mostruosità delle mostruosità”, ma poi continua: “La reazione di questa amministrazione e anche di gran parte del Congresso è una reazione impulsiva, basata su un pregiudizio confermato, sulla convenienza politica, sulla bancarotta intellettuale e sull’inerzia burocratica. Decenni con lo stesso approccio hanno mostrato che la sicurezza in cambio di pace non porta né alla sicurezza né alla pace. Il fatto che un supporto cieco a una parte sul lungo periodo è distruttivo per gli interessi dei popoli di entrambe le parti.”

Forse Biden ha capito il messaggio. Ma, avendo tolto 12 giorni fa il piede dal freno della rabbia collettiva di Israele, adesso avrà un compito difficile per rimettercelo.

Ho parlato prima di deragliamento, e in realtà è un traballante carro tirato da cavalli. Quello che gli scorsi dodici giorni hanno dimostrato più di ogni altra cosa è l’incapacità degli USA a essere un leader mondiale. Manca dei requisiti: capacità analitica, conoscenza della regione e capacità intellettuale. Spara commenti affrettati e solo dopo pensa alle conseguenze. E’ coinvolto in guerre per le quali è palesemente impreparata.

Accecata dal dogma, sempre entusiasta di dividere il mondo in opposizioni manichee: democrazia contro autocrazia, il mondo giudeo-cristiano contro l’Islam, l’America ha perso contatto con i valori che sostiene di difendere. Mentire a favore di Israele sui crimini di guerra che sta commettendo significa difenderlo?

Washington sta perdendo il sostegno dei suoi alleati. Vedendo le azioni degli USA nessuno può avere molta fiducia che siano state veramente meditate. Le conseguenze di questi 12 giorni e di quelli che seguiranno provocherà sconvolgimenti in lungo e in largo. 

Biden ha tutto l’interesse a chiudere l’episodio ora, fermando l’assalto via terra e costringendo a far entrare a Gaza gli aiuti umanitari essenziali. 

Solo allora potranno avvenire i negoziati con Hamas per uno scambio di prigionieri. Se non riesce a ottenere questi obiettivi base, anche lui scoprirà quali danni un Israele senza limiti può infliggere a sè stesso, alla regione, agli USA e invero al mondo. 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è cofondatore e capo-redattore di Middle East Eye. È commentatore e conferenziere sulla regione e analista dell’Arabia Saudita. Ha scritto di politica estera per il Guardian, è stato corrispondente da Russia, Europa e Belfast. È arrivato al Guardian da The Scotsman, dove era corrispondente per il settore dell’istruzione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra Israele-Palestina: questa umiliazione ha profondamente scosso la psiche degli israeliani

Tariq Dana

10 ottobre 2023 – Middle East Eye

Per gli israeliani l’esercito è un motivo di orgoglio nazionale, una forza inespugnabile che garantisce la sostenibilità del progetto sionista del colonialismo di insediamento. Non più.

La recente operazione militare contro Israele lanciata da Hamas da Gaza rappresenta un potenziale punto di svolta nel conflitto e potrebbe sostanzialmente riconfigurare le annose dinamiche di potere fra la resistenza palestinese e Israele.

Descritta da un funzionario israeliano come una “data che per la sua infamia perdurerà in Israele”, l’operazione, soprannominata in codice Alluvione Al-Aqsa è riverberata profondamente in Israele e ha sollevato timori fra i suoi alleati sia nella regione che a livello internazionale.

Il 7 ottobre i gruppi della resistenza palestinese a Gaza hanno iniziato una complessa operazione militare con lancio di razzi contro Israele, un massiccio attacco via terra che ha sfondato le barriere difensive israeliane intorno a Gaza.

I combattenti palestinesi sono riusciti a impadronirsi di colonie israeliane e siti militari confinanti con Gaza.

Secondo Hamas, l’operazione ha causato centinaia di morti e migliaia di feriti fra gli israeliani e oltre 100 ostaggi portati a Gaza. Il numero finale delle vittime israeliane potrebbe essere più elevato di quello riferito fino ad ora. 

Se non si sono ancora avvertite tutte le implicazioni, le dimensioni e il coordinamento dell’attacco suggeriscono una capacità operativa audace e avanzata della resistenza palestinese.

L’impatto psicologico sullo status quo, e la sua distruzione, è stato profondo. Israele, la sua aura di supremazia militare scossa, sta vivendo la sua peggiore sconfitta strategica di fronte alla resistenza palestinese dalla sua creazione 75 anni fa.

Umiliazione

L’operazione non ha solo ribaltato le norme stabilite che governano il conflitto di carattere coloniale, ma anche evidenziato la futilità dell’approccio che da tempo Israele ha verso i palestinesi nel mutevole contesto regionale.

Il quadro offerto dai media su questo evento, uno “shock per gli israeliani”, è rivelatore per parecchi motivi.

In primis evidenzia le crescenti capacità della resistenza palestinese di umiliare l’esercito israeliano fortemente sostenuto dagli USA. Questo livello di innovazione tattica fra i gruppi della resistenza palestinese suggerisce un cambio di paradigma.

Storicamente gli scontri fra le fazioni palestinesi e le forze israeliane hanno seguito uno schema ciclico: azioni di rappresaglia e il ritorno a uno status quo fragile, ma in qualche modo prevedibile.

Ma questa operazione è sfuggita a queste norme. Ha mostrato un livello senza precedenti di coordinamento e di pianificazione strategica, tecniche avanzate di guerra elettronica, operazioni psicologiche e tattiche di guerriglia che hanno annullato efficacemente la superiorità tecnologica e la sproporzionata potenza di fuoco di Israele.

La causa immediata di questo crollo va oltre i soli fallimenti di intelligence e sicurezza, perché questi fallimenti derivano dalle tattiche innovative impiegate dai gruppi di resistenza palestinesi.

Esse sono riuscite ad attraversare la “recinzione che uccide automaticamente” a più livelli, disattivando il suo sistema “Vedi-Spara”, una complessa rete di mitragliatrici automatiche e cecchini robot progettati per rafforzare l’area vietata.

I combattenti palestinesi hanno rapidamente smontato, eluso e neutralizzato questa costosa infrastruttura di sicurezza israeliana tanto magnificata, rendendola inefficace e permettendo ai combattenti palestinesi un accesso illimitato nei territori palestinesi sotto il controllo israeliano.

Quindi la dottrina della deterrenza israeliana è completamente crollata.

Reazione a catena

In secondo luogo la destabilizzazione psicologica seguita a questa operazione potrebbe, in molti modi, essere impattante quanto il danno fisico.

Per gli israeliani l’esercito è un motivo di orgoglio nazionale, una forza inespugnabile che garantisce la sostenibilità del progetto sionista del colonialismo di insediamento. Questa patina di invincibilità si è seriamente incrinata, sollevando domande che potrebbero avere conseguenze a lungo termine per la psiche nazionale israeliana e persino per il suo senso di identità.

L’impatto psicologico di questo evento sulla fiducia di Israele nella sua superiorità militare potrebbe potenzialmente penetrare attraverso molti aspetti della sua società. In una cultura dove il militarismo e il servizio militare obbligatorio sono profondamente intrecciati con la vita quotidiana, uno scossone di queste proporzioni potrebbe portare a una profonda crisi di fiducia tra gli israeliani.

Potrebbe avere effetti sul livello di arruolamento, sulla fiducia pubblica nella leadership politica e militare e persino sull’economia israeliana, dato che questa si fonda in modo significativo sulle esportazioni delle sue tecnologie militari e di sicurezza.

La reazione a catena di questo colpo al morale degli israeliani potrebbe essere di vasta scala, andando a colpire il tessuto complessivo della società israeliana.

Terzo, e forse il punto più importante, l’operazione serve come potente testimonianza della perdurante rilevanza e resilienza della causa palestinese sia nelle politiche regionali che in quelle internazionali, nonostante i sistematici sforzi di relegarle ai margini. 

Alcune autocrazie arabe che avevano normalizzato le relazioni con Israele si erano schierate strategicamente avevano liquidato la lotta palestinese come una questione datata e non più centrale nella politica regionale. 

Tuttavia questa audace operazione prova che la determinazione della resistenza palestinese resta cruciale, influenzando non solo le politiche regionali ma anche con ripercussioni su scala internazionale.

La lotta palestinese è spesso stata vista come la cartina al tornasole di posizioni politiche e morali nella regione, influenzando collaborazioni, alleanze e persino politiche interne di Paesi ben oltre le sue immediate vicinanze. 

La ricerca palestinese di giustizia e autodeterminazione continuerà ad avere un enorme impatto sugli affari mediorientali. La ricaduta di questa operazione potrebbe costringere attori regionali e globali a riconsiderare le politiche che hanno minimizzato le aspirazioni palestinesi.

Mentre alcuni hanno sottovalutato la centralità della causa palestinese tra le mutevoli questioni geopolitiche, gli eventi in corso hanno dimostrato che la lotta anticolonialista mantiene ancora un peso significativo nella formazione delle realtà regionali.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Tariq Dana è professore associato per i conflitti e gli studi umanitari dell’Istituto di Studi post-universitari di Doha. È anche consulente politico di Al-Shabaka, la Rete Politica Palestinese.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra Israele-Palestina: come Gaza ha ribaltato la situazione a discapito dei suoi carcerieri

David Hearst

9 ottobre 2023 – Middle East Eye

La responsabilità dell’assalto di questo fine settimana ricade su tutti coloro che da tempo hanno smesso di considerare i palestinesi come persone

Nelle ultime 48 ore uno Stato abituato a esercitare un controllo totale su sette milioni di palestinesi ha subito una drammatica inversione di ruoli.

I combattenti palestinesi hanno preso il posto dei coloni armati che terrorizzano gli abitanti dei villaggi palestinesi riuscendo a prendere il controllo di alcuni insediamenti coloniali adiacenti a Gaza.

Invece degli abitanti di Huwwara o Nablus o Jenin, traumatizzati ogni notte dagli attacchi dei coloni e dalle incursioni dellesercito israeliano, sono stati quelli di Sderot a doversi nascondere rannicchiandosi nei loro scantinati e chiedersi quando il loro esercito sarebbe giunto per proteggerli.

I combattenti palestinesi hanno sequestrato decine di soldati e civili israeliani, che ora si trovano negli scantinati di tutta Gaza.

Nessuno dovrebbe vantarsi di questo. Sono stati uccisi civili innocenti; sono state terrorizzate madri incinte e sono morti bambini. Lattacco ha travolto chiunque si trovasse sul suo cammino, indipendentemente dalle appartenenze politiche, dal sesso o dalletà.

Conosco una donna aspramente contraria al trionfalismo nazionalista religioso di destra e convinta sostenitrice dei diritti umani dei palestinesi che è stata trascinata in uno scantinato a Gaza.

Ma le scene sulle quali il mondo ha perso l’uso della parola non sono queste. Sono quelle di soldati israeliani che portano via palestinesi per farli scomparire in galera per periodi indefiniti di detenzione amministrativa.

Secondo gli ultimi rapporti a Gaza potrebbero esserci quasi 100 prigionieri. Lesercito e le forze di polizia meglio equipaggiati del Medio Oriente hanno subito perdite inaudite (lultimo bilancio, compresi i civili, è di 600 morti e più di 1.500 feriti)[al 12ott i morti israeliani sono 1200 e i feriti oltre 2700, ndt] mentre sono rimasti bloccati in violenti scontri a fuoco strada per strada nei villaggi e nelle città attorno a Gaza.

Colossale fallimento dellintelligence

Questa è la prima volta che si assiste a scene del genere dalla guerra del 1948 che diede origine alla prima Nakba e allo Stato di Israele. Per gli israeliani queste scene sono molto peggiori della guerra arabo-israeliana del 1973, scatenata quasi 50 anni fa.

Nel 1973 abbiamo combattuto con un esercito addestrato, ha detto l’esperto analista israeliano Meron Rapoport a Middle East Eye. E qui parliamo di persone che non hanno altro che un Kalashnikov. È inimmaginabile. È un fallimento militare e di intelligence dal quale Israele impiegherà molto tempo per riprendersi in termini di fiducia in sé stesso”.

Lo sfondamento della recinzione meglio difesa e sorvegliata lungo l’intero confine di Israele e unincursione di queste dimensioni insieme alla cattura del quartier generale militare della divisione dellesercito che controlla Gaza rappresentano il peggior fallimento che i servizi di intelligence israeliani hanno subito nella loro storia.

Hamas ha raggiunto l’obiettivo della totale sorpresa. La famosa unità di intelligence militare israeliana, la 8200, in grado di ascoltare ogni conversazione telefonica a Gaza è stata colta di sorpresa, così come lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interna.

Gli israeliani si chiedono come il loro esercito abbia potuto commettere un errore talmente grande da schierare 33 battaglioni nella Cisgiordania occupata per proteggere i coloni lasciando il confine meridionale vulnerabile agli attacchi.

Tutto ciò ha innescato unonda durto delle dimensioni di uno tsunami che ha investito una nazione così abituata a impersonare i Signori della Terra. In realtà sono loro che dovrebbero far scattare le sorprese, non i loro sudditi.

Rinascere più forti

Solo due settimane fa il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sventolato davanti allAssemblea generale delle Nazioni Unite una mappa in cui tutti i territori palestinesi erano stati cancellati.

Sono convinto che ci troviamo sulla soglia di una svolta ancora più epica: una pace storica tra Israele e Arabia Saudita. Una pace di questo tipo contribuirà notevolmente a porre fine al conflitto arabo-israeliano, ha affermato Netanyahu.

I funzionari statunitensi non la pensavano diversamente, dal momento che una figura di alto livello dellamministrazione ha affermato che da molti anni a questa parte la regione è pressoché stabile”.

Come in un unico coro Washington, Tel Aviv e Riad hanno parlato della prospettiva che lArabia Saudita firmasse un accordo di normalizzazione con Israele, quasi che questo fosse di per sé la via verso la pace.

Erano tutti diventati così convinti di escludere i palestinesi da questa equazione, come se lintera popolazione palestinese un giorno avrebbe potuto cancellare la propria bandiera e identità nazionale e avrebbe accettato il ruolo di Gastarbeiter [lavoratore ospite in tedesco, ndt.] nella terra di qualcun altro.

Ora è stato inviato un messaggio molto chiaro: i palestinesi esistono e non sono affatto in procinto di venire sottomessi.

Ogni volta che sono stati annientati come forza combattente, nel 1948, 1967, 1973 e in ogni operazione successiva, rinasceva più forte una nuova generazione di combattenti. E nessuna versione passata di Hamas o Hezbollah è più forte di quelle che Israele si trova ad affrontare oggi.

Hamas ha definito il suo attacco al sud di Israele il diluvio di Al-Aqsa per unottima ragione. Questo attacco non è venuto dal nulla.

Lo status quo di Al-Aqsa

L’8 ottobre 1990, esattamente 33 anni fa, un gruppo di coloni e i Fedeli del Monte del Tempio, un gruppo di estrema destra che pretendeva di svolgere un sacrificio rituale sul Monte del Tempio, un atto proibito dal rabbino capo di Israele, tentarono di porre una prima pietra per la costruzione del Terzo Tempio presso la Moschea di Al-Aqsa.

La popolazione palestinese della Città Vecchia oppose resistenza, lesercito israeliano aprì il fuoco e in pochi minuti vennero uccisi più di 20 palestinesi, con altre centinaia di feriti e arrestati.

Da allora i leader israeliani sono stati continuamente avvertiti di mantenere lo status quo in un luogo sacro rivendicato da entrambe le religioni, e ogni anno hanno ignorato quegli ammonimenti forzando il divieto.

E così anche oggi, quando Al-Aqsa è stata presa dassalto ripetutamente per consentire ai fedeli ebrei laccesso al sito islamico dove visite, preghiere e rituali non graditi da parte dei non musulmani sono vietati sulla base di accordi internazionali pluridecennali.

Un tempo queste violente incursioni erano opera di quelli che tra gli ebrei erano considerati gruppi marginali di estremisti. Ora non più. Adesso sono guidati da Itamar Ben Gvir, che sfila con il titolo di ministro della sicurezza nazionale israeliana.

Giorno dopo giorno, con il sostegno dei parlamentari del Likud, come Amit Halevi, viene elaborata una politica volta a dividere la moschea di Al-Aqsa tra ebrei e musulmani, proprio come fu divisa la moschea Ibrahimi a Hebron negli anni 90.

Ben Gvir, il ministro con il potere di nominare il capo della polizia israeliana, non ha risparmiato i cristiani dalle sue politiche fasciste. Quando cinque ebrei ortodossi sono stati arrestati dalla polizia con laccusa di aver sputato contro i fedeli cristiani nella Città Vecchia di Gerusalemme, il ministro ha risposto: Continuo a pensare che sputare contro i cristiani non sia un reato penale. Penso che dobbiamo intervenire attraverso listruzione e leducazione. Non tutto giustifica un arresto”.

Silenzio internazionale

La pressione continua ad aumentare, sia ad Al-Aqsa che nello spaventoso bilancio quotidiano delle vittime palestinesi, la maggior parte dei quali giovani. Human Rights Watch ha rilevato che nell’arco di più di 15 anni questultimo, fino alla fine di agosto, è stato il più sanguinoso per i minorenni palestinesi nella Cisgiordania occupata, con almeno 34 minori uccisi.

E ciò viene accolto con il silenzio della comunità internazionale, la cui attenzione resta concentrata solo sugli scambi commerciali tra il Mar Rosso e Haifa.

Se c’è qualcuno responsabile dello spargimento di sangue di questo fine settimana e dei massacri di civili che, come è vero che la notte segue il giorno, sono destinati a verificarsi a Gaza mentre lesercito israeliano lancia unoffensiva di terra, sono tutti i leader stranieri che dicono che Israele condivide i loro valori. Tutti questi leader permettono a Israele di dettare la politica, anche se questa danneggi palesemente la loro.

Qualunque cosa accada nei prossimi giorni e settimane a Gaza, e Israele ha già scatenato una vendetta selvaggia a prescindere dallassenza di un obiettivo militare, Hamas ha senza dubbio segnato una vittoria significativa.

Ha portato con sé giornalisti e operatori televisivi che hanno registrato tutto ciò che è accaduto. Queste riprese parleranno a ogni giovane palestinese e arabo che le vedrà.

Le riprese mostrano i palestinesi che ritornano nelle terre da cui i loro padri erano stati cacciati. I rifugiati costituiscono il 67% della popolazione di Gaza, provenienti principalmente dalle terre intorno a Gaza che Hamas ha temporaneamente liberato.

Questo fine settimana hanno esercitato con la forza delle armi il diritto al ritorno che era stato tolto dal tavolo delle trattative 23 anni fa.

Le immagini diranno a tutti i palestinesi che la resistenza non è una causa persa contro un nemico estremamente potente. Diranno che la loro volontà di resistere è più potente di quella del loro oppressore.

Lo scenario è cambiato per sempre

Non ho dubbi che ora i civili palestinesi pagheranno un prezzo enorme mentre Israele persegue la sua vendetta biblica. Ai più di due milioni di persone nella Striscia è stata già tagliata lelettricità.

Ma non ho neanche dubbi che dopo questi eventi le cose non torneranno più come prima.

Dopo aver negato per generazioni lesistenza della Nakba, i parlamentari israeliani ne stanno ora programmando apertamente unaltra. Ariel Kallner ha twittato: Cancellate il nemico adesso! Questo giorno è la nostra Pearl Harbor. Impareremo ancora dalle lezioni. Ora un obiettivo: la Nakba!

Netanyahu non è da meno con il suo appello a tutti i palestinesi di Gaza affinché lascino le loro case, come se ci fosse un posto dove andare.

Se Israele volesse davvero scatenare una guerra regionale un tentativo di ripetere quanto accaduto nel 1948 sarebbe il modo più rapido per farlo. Né lEgitto né la Giordania lo tollererebbero, e i loro accordi di pace con Israele diventerebbero nulli.

Una guerra regionale coinvolgerebbe il movimento di resistenza meglio equipaggiato della regione: Hezbollah, che domenica ha iniziato uno scontro a fuoco con Israele al confine libanese, potrebbe essere riluttante a farsi coinvolgere ma potrebbe anche esservi trascinato dentro. Hezbollah segnala da tempo che unincursione di terra a Gaza costituirebbe per loro una linea rossa.

Nel corso dell’anno i leader politici di Hamas hanno visitato Beirut e hanno avuto incontri con il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Secondo alcune fonti sarebbe già stata presa una decisione riguardo ad una mobilitazione generale. Da tutto ciò si può supporre che il dito di Hezbollah sia sul grilletto.

Israele dovrà anche fare i conti col fatto che Hamas detiene decine di ostaggi. La Direttiva Annibale, un ordine militare top-secret secondo il quale Israele dovrebbe colpire i propri soldati per evitare che cadano nelle mani del nemico, non è più in vigore.

Né lo è lidea che a Gaza 2,3 milioni di persone possano essere rinchiuse in una gabbia costrette a seguire una dieta a basso contenuto proteico e che il loro carceriere butti via le chiavi.

Questa è l’esplosione che io e altri avevamo da tempo avvertito sarebbe arrivata. Ho detto che se Israele non avesse invertito la rotta avviando negoziati seri su una soluzione giusta a questa crisi con la concessione ai palestinesi degli stessi diritti degli ebrei ci sarebbe stata una risposta. Ora è successo. Quando tutto sarà finito lo scenario non sarà più lo stesso.

Mentre tre famiglie allargate di Gaza venivano spazzate via dal colpo diretto sulle loro case da parte delle bombe di precisione israeliane, Rishi Sunak, il primo ministro del Paese che ha più responsabilità di ogni altro per questo conflitto, ha detto che la Gran Bretagna è inequivocabilmente dalla parte di Israele, e ha illuminato Downing Street con una stella di David. Nel frattempo il suo ministro degli Interni ha detto che chiunque venga sorpreso a manifestare per le strade in solidarietà con la Palestina sarà arrestato. Di conseguenza il Regno Unito ha abbandonato qualsiasi suo possibile ruolo futuro nel porre fine a questo terribile conflitto.

La responsabilità di quanto accaduto lo scorso fine settimana ricade su tutti coloro che si sono illusi di pensare che le successive generazioni di leader israeliani avrebbero potuto cavarsela impunemente nel fare quello che volevano. La responsabilità ricade su tutti coloro, compresa la maggior parte dei dittatori arabi, che hanno smesso di considerare i palestinesi come un popolo. Nelle settimane e mesi a venire ognuno imparerà una lezione dolorosa.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)