Cisgiordania: indignazione dopo che le forze dell’Autorità Nazionale Palestinese hanno arrestato un giornalista

Fayha Shalash, Ramallah, Palestina occupata

15 luglio 2023 – Middle East Eye

L’arresto di Aqil Awawdeh segna l’ultima mossa di un evidente giro di vite contro il dissenso in tutta la Cisgiordania occupata

E’ esplosa la rabbia in tutti i territori palestinesi occupati dopo l’arresto di un importante giornalista da parte delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese.

La famiglia di Aqil Awawdeh ha detto che le forze del Servizio di Sicurezza Preventivo Palestinese hanno fatto irruzione nel suo posto di lavoro a Ramallah nel pomeriggio di giovedì, lo hanno arrestato e trasferito in una destinazione ignota.

L’arresto è avvenuto dopo che ha pubblicato un breve video che contestava un’affermazione del portavoce dei servizi di sicurezza palestinesi secondo cui non vi erano detenuti politici nelle loro prigioni.

Alcune ore dopo il suo arresto l’associazione Avvocati per la Giustizia ha annunciato che la detenzione di Awawdeh era stata prorogata fino a domenica.

Il capo dell’associazione, l’avvocato Muhannad Karaja, ha detto a Middle East Eye di aver potuto far visita a Awawdeh per pochi minuti in modo da ottenere il suo consenso alla nomina di un avvocato difensore per seguire il procedimento giudiziario.

Secondo Karaja il giornalista è detenuto dall’Ufficio del Pubblico Ministero con accuse di “incitamento al conflitto razziale” sulla base di post su social media attribuiti a Awawdeh.

Domenica si terrà una seduta investigativa su di lui ed è possibile che venga rilasciato dal Pubblico Ministero, o che venga prolungata la sua detenzione in tribunale, o che venga formulata un’incriminazione”, ha aggiunto.

L’associazione ha condannato l’arresto di attivisti, come anche la Cybercrime Law (legge sui crimini informatici) dell’ANP, che secondo loro aveva di fatto legalizzato la repressione delle libertà pubbliche e dei diritti costituzionali.

Secondo l’associazione la legge viola la Legge Fondamentale palestinese e gli standard internazionali sui diritti umani, compresa la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici.

La Cybercrime Law è stata approvata nel 2017 dopo la promulgazione del presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas. Nonostante le critiche alla legge da parte di istituzioni della società civile, soprattutto le associazioni per i diritti umani, essa è ancora in vigore.

Come risultato, decine di palestinesi sono stati arrestati e sono state presentate denunce.

Decine di prigionieri

La questione della detenzione politica è un punto dolente per molti palestinesi, accanto alle critiche complessive sui servizi di sicurezza palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Asmaa Harish, attivista per i diritti umani e giornalista, ha detto che 40 prigionieri sono stati trattenuti dai servizi di sicurezza palestinesi con motivazioni politiche.

Ha aggiunto che dall’inizio del 2023 si sono verificati più di 300 casi di arresti politici nella Cisgiordania occupata, inclusi studenti universitari, giornalisti e attivisti.

In particolare i giornalisti hanno subito dall’inizio dell’anno molti arresti e aggressioni, comprese campagne di diffamazione e istigazione da parte dei servizi di sicurezza, oltre a ripetute minacce di arresto e di sospensione dal lavoro”, ha spiegato Harish.

Ha detto che le affermazioni che non ci sarebbero detenuti politici dimostrano “una mancanza di rispetto verso le opinioni dei palestinesi”, che vedono ogni giorno la dimensione delle violazioni della loro libertà di esprimere la propria opinione.

Per esempio, la campagna di istigazione contro la rete di informazione internazionale Al Jazeera è un aspetto di ciò che subiscono i giornalisti da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese, oltre a molte altre reti di informazione.”

Il sindacato dei giornalisti palestinesi ha condannato l’arresto di Awawdeh e ha chiesto il suo immediato rilascio, affermando che il suo arresto costituisce una grave violazione della libertà di opinione e del diritto di esprimerla.

La tempistica dell’arresto nella sera di giovedì alla vigilia del weekend, che si estende fino al mattino della domenica, mira a impedire il suo veloce rilascio”, ha affermato l’associazione in una dichiarazione.

I servizi di sicurezza palestinesi hanno trattenuto molti studenti dell’università di Birzeit per più di un mese, incluso il capo de consiglio studentesco, Abdul Majeed Hasan. La loro detenzione è stata prorogata diverse volte dopo la loro partecipazione alle elezioni studentesche in maggio.

L’avvocato Mustafa Shatat ha detto che gli studenti sono stati torturati durante l’arresto e nell’ultima udienza in tribunale uno di loro, Yehia Farah, ha urlato: “Portatemi fuori di qui, voglio andare a casa”.

Sabato mattina fonti locali hanno comunicato che i servizi di sicurezza palestinesi hanno anche arrestato sei studenti dell’università nazionale Al-Najah di Nablus, a causa della loro partecipazione all’organizzazione di una cerimonia di laurea tenuta dal Blocco islamico alcuni giorni fa.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




In diretta: il raid di Jenin si conclude con la morte di 12 palestinesi e un israeliano

5 luglio 2023 – Middle East Eye

Le truppe israeliane si ritirano dal campo profughi martedì notte dopo un assalto durato due giorni

PUNTI CHIAVE

I residenti di Jenin si svegliano in mezzo alla devastazione

Uccisi tre minorenni su 12 palestinesi

Israele bombarda Gaza dopo il lancio di razzi

Aggiornamenti in tempo reale

Il bilancio delle vittime palestinesi sale a 12 mentre è rimasto ucciso un soldato israeliano

7 ore fa

Buongiorno lettori di MEE,

È stata un’altra notte di conflitto nella Cisgiordania occupata, a Gaza e in Israele.

Ieri notte, secondo l’esercito israeliano, i due giorni di assalto israeliano al campo profughi di Jenin si sono conclusi con la ritirata delle truppe che ha lasciato una scia di devastazione.

Quando poco dopo la mezzanotte le truppe israeliane se ne sono andate gli abitanti hanno dichiarato di aver trovato al loro rientro il caos, con strade distrutte e edifici ridotti in macerie.

Almeno 12 palestinesi sono stati uccisi e più di 100 sono rimasti feriti.

Secondo la Mezzaluna Rossa palestinese quasi un terzo [degli abitanti] del campo profughi, circa 4.000 palestinesi, è fuggito dalle proprie case.

La scorsa notte mentre Israele ritirava le sue forze un soldato israeliano è stato ucciso.

Nell’operazione sono stati utilizzati circa 1.000 soldati israeliani, con l’impiego di elicotteri d’attacco insieme a droni, aerei da combattimento e armi pesanti, con il risultato che numerose proprietà sono state danneggiate o distrutte.

Qualche ora dopo che le forze israeliane hanno iniziato a ritirarsi da Jenin cinque razzi sono stati lanciati da Gaza verso Israele, inclusa la città di Sderot. Non sono stati segnalati feriti.

L’attacco di Israele a Jenin è stato uno dei più pesanti assalti israeliani in Cisgiordania in quasi 20 anni.

L’esercito israeliano ha effettuato contro il campo profughi almeno 20 attacchi con droni.

Aggiornamento a tarda notte

15 ore fa

Il raid israeliano nella città occupata di Jenin, in Cisgiordania, ha ucciso almeno 12 palestinesi quando i militari hanno preso di mira il campo profughi e gli ospedali della zona, in quella che è una delle più vaste operazioni militari in Cisgiordania degli ultimi anni.

L’offensiva è stata diffusamente descritta come uno dei peggiori attacchi israeliani a Jenin degli ultimi due decenni.

Martedì il Ministero della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese ha confermato la morte di 2 persone, portando il numero totale di palestinesi uccisi ad almeno 12.

Secondo la Ministra della Sanità palestinese May al-Kaila durante il raid le forze israeliane hanno preso di mira anche ospedali, personale medico e ambulanze.

La ministra ha affermato che le forze israeliane hanno fatto irruzione nell’ospedale pubblico di Jenin e hanno aperto il fuoco provocando tre feriti. Kaila ha aggiunto che hanno attaccato anche l’ospedale Ibn Sina.

Nel corso del raid oltre agli ospedali sono state danneggiate anche una chiesa cattolica e una moschea. Le foto condivise online mostrano le finestre della chiesa distrutte ed evidenti danni all’esterno.

Diverse notizie che citano fonti israeliane hanno affermato che martedì le forze israeliane avrebbero iniziato a ritirarsi, mentre i media palestinesi riportano sporadici scontri con le forze israeliane.

“Le forze israeliane hanno iniziato a ritirarsi dal campo di Jenin”, ha detto martedì sera ad AFP [agenzia di stampa francese, ndr.] un portavoce dell’esercito, senza fornire ulteriori dettagli.

Tuttavia, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha avvertito che l’operazione non è stata un evento occasionale, aggiungendo che Israele “continuerà fino a quando sarà necessario” ad impegnarsi in operazioni militari a Jenin.

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La risposta degli Stati Uniti all’assalto in Cisgiordania riafferma la mano libera di Israele

16 ore fa

Il crescente uso da parte di Israele di sofisticate attrezzature militari nella Cisgiordania occupata, inclusi droni ed elicotteri d’attacco Apache, ha incontrato una scarsa reattività da parte dell’amministrazione Biden, cosa che ha sottolineato la mancanza di linee rosse da parte di Washington in risposta all’intensificarsi della violenza nella regione.

Il raid su Jenin è il culmine di settimane di attacchi militari che hanno visto Israele dispiegare armi sempre più pesanti nella Cisgiordania occupata.

“Quando si tratta dell’uso della forza da parte di Israele gli Stati Uniti non pongono assolutamente linee rosse”, ha detto a MEE Marwa Maziad, esperta di relazioni USA-arabo-israeliane, presso l’Università del Maryland.

A giugno per la prima volta in quasi 20 anni elicotteri da combattimento sono stati inviati nella Cisgiordania occupata dopo che un un veicolo di trasporto truppe è stato colpito da quello che i militari hanno definito un ordigno esplosivo improvvisato (IED) abbastanza avanzato”.

Solo due giorni dopo Israele ha ucciso in un attacco con droni vicino a Jenin due membri del ramo militare del movimento della Jihad islamica palestinese e un leader militare di Fatah.

Alcuni esperti hanno affermato che gli Stati Uniti sono preoccupati che l’introduzione da parte di Israele di droni armati nella Cisgiordania occupata abbia l’effetto potenziale di allentare le regole di ingaggio e infiammare ulteriormente le tensioni, ma gli analisti dicono a Middle East Eye che il raid mortale di Israele su Jenin mostra che per l’amministrazione Biden si tratta di una questione irrilevante.

Il bilancio delle vittime sale ad almeno 12

17 ore fa

Il Ministero della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese ha affermato che il bilancio delle vittime del raid dell’esercito israeliano a Jenin è ora salito a 12 palestinesi.

Per ora il Ministero non ha fornito dettagli sulle circostanze del nuovo decesso.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si riunirà per le violenze in Cisgiordania

18 ore fa

Venerdì il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riunirà a porte chiuse in seguito all’operazione militare israeliana nella città palestinese di Jenin.

Secondo Reuters i diplomatici hanno detto che gli Emirati Arabi Uniti hanno chiesto l’incontro “alla luce degli allarmanti sviluppi in Palestina”.

Le organizzazioni ebraiche statunitensi incolpano Netanyahu per la violenza dei coloni della Cisgiordania

19 ore fa

Una dichiarazione congiunta rilasciata lunedì da 12 organizzazioni ebraiche americane incolpa il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per gli attacchi violenti dei coloni israeliani contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata.

“In qualità di leader della comunità ebraica americana non possiamo rimanere a guardare”, viene riportato su Haaretz come parte della dichiarazione firmata da organizzazioni tra cui l’Union for Reform Judaism, il New Israel Fund, J Street e il National Council for Jewish Women.

Le organizzazioni hanno espresso la loro “crescente angoscia e orrore” per la recente ondata di attacchi violenti da parte di coloni ebrei israeliani contro le comunità palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Questa violenza “non è venuta dal nulla, ma è in linea con il più ampio programma del governo Netanyahu di espansione degli insediamenti, intensificazione dell’occupazione ed espulsione dei palestinesi”, sostengono le organizzazioni.

“Il primo ministro Netanyahu ha la responsabilità ultima delle politiche messe in atto in Cisgiordania sotto la sua autorità e per la ‘chilul hashem’, dissacrazione del nome di Dio, che è stata scatenata sotto forma di questi spregevoli attacchi violenti”.

Le forze israeliane iniziano a ritirarsi da Jenin

19 ore fa

Nella tarda serata di martedì le forze israeliane hanno iniziato a ritirarsi dalla città palestinese di Jenin dopo aver condotto una delle più pesanti operazioni militari da anni nella Cisgiordania occupata, secondo quanto riportato da diverse testate giornalistiche che citano fonti israeliane.

“Le forze israeliane hanno iniziato a ritirarsi dal campo di Jenin”, ha detto martedì sera ad AFP un portavoce dell’esercito, senza fornire ulteriori dettagli.

Martedì scorso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che l’operazione a Jenin non è stata un evento occasionale e che Israele “continuerà per tutto il tempo necessario” a impegnarsi in operazioni militari a Jenin.

L’ultimo raid, iniziato lunedì, ha ucciso 11 palestinesi e ha lasciato decine di feriti. Le forze israeliane hanno anche preso di mira diversi ospedali della zona con lacrimogeni e proiettili veri.

Il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha affermato che i militari sarebbero in grado di “duplicare e riprodurre” l’operazione a Jenin e prendere di mira chiunque “cerchi di danneggiare i cittadini israeliani”.

“Lo seguiremo fino a casa sua, alla sua camera da letto, lo arresteremo e lo assicureremo alla giustizia”, ha detto.

“Quando Israele ha attaccato ci trovavamo in ospedale “

19 ore fa

Rapporto di Middle East Eye da un ospedale di Jenin mentre le forze israeliane continuano il loro raid nella città occupata della Cisgiordania, prendendo di mira gli ospedali e sparando nelle loro vicinanze.

Ci trovavamo all’ospedale governativo di Jenin quando l’esercito israeliano lo ha attaccato con lacrimogeni sparati dai soldati e con droni”, ha detto Latifeh Abdellatif, corrispondente di Middle East Eye.

“Sono stati sparati almeno sei volte dei lacrimogeni all’interno dell’ospedale nonostante fossero presenti pazienti che potevano essere danneggiati dall’inalazione di gas”.

Abdellatif afferma che poco dopo i gas lacrimogeni le forze israeliane hanno sparato proiettili veri nelle vicinanze dell’ospedale, ferendo almeno tre persone. Aggiunge che ci sono stati attacchi simili vicino all’ospedale Ibn Sina.

“Ci sono stati molti casi di soffocamento curati sul posto e sono state portate alcune persone per cure urgenti”, dice.

Potete leggere di più sui rapporti di Abdellatif qui.

Israele attacca gli ospedali, afferma il Ministero della Sanità palestinese

20 ore fa

Il ministro della sanità palestinese May al-Kaila ha dichiarato che le forze israeliane stanno sempre più prendendo di mira ospedali, personale medico e ambulanze.

Kaila ha detto che le forze israeliane hanno fatto irruzione nell’ospedale pubblico di Jenin e hanno aperto il fuoco lasciando tre persone ferite. Ha aggiunto che hanno fatto irruzione anche nell’ospedale Ibn Sina.

“Questa aggressione è un affronto al diritto internazionale e [dimostra] una determinazione ad uccidere [i palestinesi]”, ha affermato.

Martedì pomeriggio le forze israeliane hanno anche preso di mira con lacrimogeni l’ospedale pubblico come riportato dai media locali con video che mostrano persone in fuga dalla struttura circondata da una coltre di fumo.

Anche gli ospedali Khalil Suleiman e Amal sono stati attaccati.

Kaila ha affermato che l’esercito israeliano ha ripetutamente ostacolato e impedito alle squadre di ambulanze palestinesi di raggiungere i feriti.

La coalizione BDS sudafricana chiede il boicottaggio di Israele

1 giorno fa

La sezione sudafricana del movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) chiede al Paese di attuare un boicottaggio di Israele e di perseguire i sudafricani che hanno prestato servizio nelle forze militari israeliane.

La dichiarazione arriva dopo che nelle prime ore di lunedì l’esercito israeliano ha lanciato il suo ultimo raid nella città di Jenin, nella Cisgiordania occupata.

“Il nostro governo afferma di sostenere i principi del diritto internazionale, quindi attendiamo un’azione decisiva dal Sudafrica alle Nazioni Unite, chiedendo il ripristino delle procedure anti-apartheid attraverso sanzioni internazionali e un embargo sulle armi contro lo [Stato di] apartheid israeliano”, ha affermato Roshan Dadoo, coordinatore della coalizione BDS sudafricana.

“Chiediamo inoltre che il nostro governo dichiari persona non grata l’ambasciatore dello [Stato di] apartheid israeliano a Pretoria e rompa le relazioni diplomatiche e qualsiasi altro rapporto”, ha affermato.

La coalizione ha dichiarato che il Sudafrica “ha il dovere morale ed etico di agire contro l’impunità dello Stato israeliano coloniale dell’apartheid e di sostenere il popolo palestinese che resiste [all’] occupazione illegale e ai crimini di guerra commessi contro di loro”.

Il Sudafrica ha una legge che stabilisce che ai suoi cittadini non è permesso di “impegnarsi in attività mercenarie” o fornire “assistenza militare straniera a qualsiasi Stato” a meno che non venga concessa un’autorizzazione speciale. Chiunque violi questa legge è soggetto a detenzione carceraria.

Ci sono stati diversi casi portati dai palestinesi all’Autorità Nazionale di Perseguimento Penale contro i sudafricani che prestano servizio nell’esercito israeliano.

Il bilancio delle vittime sale a 11

1 giorno fa

Dopo la morte di un giovane palestinese martedì il bilancio delle vittime del raid israeliano nella città occupata di Jenin in Cisgiordania è salito a 11 palestinesi.

Secondo i notiziari palestinesi Abd al-Rahman Sa’abneh è morto martedì per le ferite riportate dopo essere stato ferito da proiettili veri sparati da soldati israeliani a Jenin.

Nel raid israeliano danneggiati luoghi di culto

1 giorno fa

Sia una chiesa cattolica che una moschea hanno subito danni a seguito del raid israeliano su larga scala a Jenin.

Il Patriarcato Cattolico di Gerusalemme ha rilasciato una dichiarazione in cui conferma che la chiesa è stata presa di mira dall’offensiva.

Le foto condivise online mostrano le finestre della chiesa distrutte ed evidenti danni all’esterno.

“La città di Jenin sta affrontando un’aggressione israeliana senza precedenti che prende di mira persone e territorio”, ha dichiarato il patriarca Pierbattista Pizzaballa.

La parrocchia cattolica della città ha subito danni a causa di questa aggressione, ha aggiunto.

Lunedì anche la moschea di Al-Ansar è stata presa di mira dalle forze israeliane, che avevano come obiettivo i palestinesi rimasti nella moschea durante la notte.

La moschea, che si trova nel quartiere di Al-Damaj, è stata utilizzata nel corso dei bombardamenti da persone in cerca di sicurezza.

Testimoni oculari hanno affermato che nei locali della moschea sono stati usati proiettili veri e lacrimogeni e che hanno contribuito ai danni anche i bulldozer che hanno scavato intorno alla moschea.

Ministero della Sanità palestinese: oltre 20 persone in gravi condizioni

1 giorno fa

Il Ministero della Sanità palestinese afferma che oltre 100 persone hanno riportato ferite gravi a seguito dell’offensiva israeliana a Jenin. Circa 20 dei feriti sono stati definiti in “gravi condizioni”.

Secondo i media locali le forze israeliane sono ancora nel campo di Jenin e prendono di mira case e persone con colpi di arma da fuoco.

Sono stati sparati lacrimogeni contro la folla anche fuori dall’ospedale principale di Jenin, senza alcuna indicazione di quanto durerà l’offensiva.

La Mezzaluna Rossa afferma che finora oltre 500 famiglie sono state evacuate dal campo.

Per il secondo giorno il campo di Jenin resta tagliato fuori dalle risorse

1 giorno fa

Abitanti e testimoni oculari nel campo di Jenin affermano che a seguito dell’offensiva israeliana per il secondo giorno le persone non hanno avuto accesso alle risorse primarie.

Siamo rimasti senza acqua e senza elettricità, è impossibile contattare chiunque sia rimasto nel campo, ci ha detto un testimone oculare.

Finora oltre 3.000 persone sono state sfollate da Jenin, eppure il campo è stato completamente chiuso, con un numero imprecisato di persone rimaste al suo interno.

Il corrispondente di MEE sul campo afferma anche che le forze israeliane stanno entrando nelle case private ed effettuando arresti, lasciando le persone in uno stato di terrore.

Il Primo Ministro britannico esorta Israele a mostrare “moderazione”

1 giorno fa

Martedì Rishi Sunak, il Primo Ministro del Regno Unito, ha esortato Israele a proteggere i civili palestinesi, mentre le forze israeliane continuano l’offensiva a Jenin per il secondo giorno.

“Ci preme dire che la protezione dei civili deve avere la priorità in qualsiasi operazione militare, e sollecitiamo le IDF [esercito israeliano, ndt.] a mostrare moderazione nelle sue operazioni e chiediamo a tutte le parti di evitare un’ulteriore escalation sia in Cisgiordania che a Gaza, sia ora che nei giorni a venire.”

Sunak ha anche affermato che il Regno Unito chiede a Israele di “aderire ai principi di necessità e proporzionalità nel difendere i propri legittimi interessi di sicurezza”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Come Israele sta testando l’intelligenza artificiale nella guerra contro i palestinesi

Richard Silverstein

1 luglio 2023 MiddleEastEye

Israele rafforza la sua rete di controllo e i palestinesi sono diventati i primi bersagli di tecnologie terrificanti e letali

Lo scorso anno l’esercito israeliano ha lanciato una nuova strategia per inserire armi e tecnologie dell’intelligenza artificiale in tutti i reparti militari – la trasformazione strategica più radicale degli ultimi decenni. Il mese scorso il Ministero della Difesa israeliano si è vantato che l’esercito sta per diventare una “superpotenza” dell’IA nel campo della guerra autonoma .

“C’è chi vede l’IA come la prossima rivoluzione che cambierà il volto della guerra sul campo”, ha detto il generale dell’esercito in pensione Eyal Zamir alla Conferenza di Herzliya, un forum annuale sulla sicurezza. Gli impieghi militari dell’IA potrebbero includere “la capacità delle piattaforme informatiche di colpire in sciami, o dei sistemi di combattimento di operare in modo indipendente … o l’aiuto in un processo decisionale rapido su scala maggiore di quanto si sia mai visto”.

L’industria militare israeliana sta producendo una vasta gamma di navi e veicoli militari autonomi, tra cui un “veicolo robot armato” descritto come dotato di un insieme di programmi “robusto” e “letale” con “riconoscimento automatico del bersaglio”. Un sottomarino autonomo per la “raccolta segreta di informazioni”, soprannominato BalenaBlu, è in fase di collaudo.

È ovvio che tutto questo vi spaventi da morire. Israele non sta creando solo un mostro di Frankenstein, ma interi plotoni capaci di portare distruzione non solo sui loro obiettivi palestinesi ma su chiunque in qualsiasi parte del mondo.

I palestinesi sono il banco di prova per tali tecnologie, e servono da “prova di fattibilità” per gli acquirenti globali. I clienti più probabili di Israele sono paesi coinvolti in guerre; anche se queste armi possono dare un vantaggio sul campo di battaglia, alla fine aumenteranno sicuramente il livello generale di sofferenza e spargimento di sangue tra tutti i partecipanti. Saranno in grado di uccidere in numero maggiore con esiti maggiormente letali. Perciò sono terrificanti.

Un’altra nuova tecnologia di intelligenza artificiale israeliana, Pozzo di Sapere, non solo controlla da dove i militanti palestinesi lancino razzi ma può anche essere utilizzata per prevedere i luoghi dei futuri attacchi.

Se tali sistemi possono offrire agli israeliani protezione dalle armi palestinesi, consentono anche a un Israele indisturbato di diventare una potenziale macchina per uccidere, scatenando terrificanti attacchi contro obiettivi militari e civili senza quasi dover affrontare una resistenza da parte dei nemici.

Cerca e distruggi

Queste tecnologie sono un avvertimento al mondo su quanto sia diventata pervasiva e invadente l’IA. E non è rassicurante che l’esperto capo di intelligenza artificiale dell’esercito israeliano affermi di essere competitivo rispetto agli stipendi degli specialisti di IA sul mercato privato, fornendo “significanza”. Come se questo potesse in qualche modo rassicurare, aggiunge che per le armi IA di Israele ” [ci sarà] sempre una persona umana coinvolta nel prossimo futuro…”.

Lascio a voi le riflessioni su quanto possa essere “significante” uccidere i palestinesi. Ed è improbabile che ci sia sempre un essere umano a controllare queste armi sul campo di battaglia. Il futuro prevede robot in grado di pensare, giudicare e combattere autonomamente, con poco o nessun intervento umano oltre la programmazione iniziale. Sono stati definiti la “terza rivoluzione nella guerra dopo la polvere da sparo e le armi nucleari”.

Possono essere programmati per cercare e distruggere il nemico, ma chi determina chi è il nemico e chi decide della vita o della morte sul campo di battaglia? Sappiamo già che in guerra gli umani commettono errori, a volte terribili. I programmatori militari, nonostante la loro esperienza nel determinare ciò che i robot armati penseranno e faranno, non sono meno inclini all’errore. Le loro creazioni potrebbero presentare enormi incognite di comportamento che potrebbero costare innumerevoli vite.

La Palestina è uno dei luoghi più sorvegliati al mondo. Le telecamere a circuito chiuso sono sempre presenti nel paesaggio palestinese, dominato dalle torri di guardia israeliane, alcune armate di pistole robotizzate telecomandate. In alto volano i droni, in grado di lanciare gas lacrimogeni, sparare direttamente sui palestinesi sottostanti o sparare diretti da personale a terra. A Gaza, la sorveglianza costante spaventa e traumatizza i residenti.

Oltre a ciò ora Israele ha anche app di riconoscimento facciale come Blue Wolf che mirano a catturare immagini di ogni palestinese. Queste immagini vengono inserite in un enorme database a cui si può attingere per qualsiasi scopo. Il software di aziende come Anyvision, in grado di identificare un numero enorme di individui, è integrato con sistemi contenenti informazioni personali – compresi i post sui social media.

È una rete di controllo che infonde paura, ossessione e un senso di disperazione. Come disse una volta l’ex capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano Rafael Eitan, l’obiettivo è quello di far “correre i palestinesi come scarafaggi drogati in una bottiglia”.

Il mostro di Frankenstein

Molti ricercatori sui dati e difensori della privacy hanno messo in guardia dai pericoli dell’IA sia nella sfera pubblica che nelle azioni di guerra. I robot militari mossi dall’intelligenza artificiale sono solo uno dei tanti esempi e Israele è in prima linea in questi sviluppi. È il dottor Frankenstein e questa tecnologia è il suo mostro.

Human Rights Watch ha chiesto il divieto di queste tecnologie militari avvertendo: “Le macchine non possono comprendere il valore della vita umana”.

Può darsi che la tecnologia israeliana di IA sia, almeno agli occhi dei suoi creatori, destinata alla protezione e alla difesa degli israeliani. Ma il danno che infligge alimenta un circolo vizioso senza fine di violenza. L’esercito israeliano e i media che promuovono tale stregoneria creano solo più vittime – inizialmente palestinesi, ma in futuro ogni dittatura o stato genocida che acquisti queste armi produrrà il proprio mucchio di vittime.

Un altro “risultato” dell’intelligenza artificiale è stato l’assassinio nel 2020 da parte del Mossad del padre del programma nucleare iraniano, Mohsen Fakhrizadeh. Il New York Times ne ha dato questo sbalorditivo resoconto: “Gli agenti iraniani che lavoravano per il Mossad avevano parcheggiato un camioncino Nissan Zamyad blu sul lato della strada… Sul pianale del camioncino era posta una mitragliatrice da cecchino da 7,62 mm… L’assassino, un abile cecchino, prese posizione, tarò i mirini, armò l’arma e premette leggermente il grilletto.

“Tuttavia non era affatto vicino ad Absard [in Iran]. Stava scrutando lo schermo di un computer in una località sconosciuta a più di 1.600 km. di distanza… [Questa operazione è stata] il debutto di un mitragliatore di alta precisione computerizzato ad alta tecnologia, equipaggiato con intelligenza artificiale e visione a più telecamere gestite via satellite e in grado di sparare 600 colpi al minuto.

“Nell’arsenale di armi ad alta tecnologia per l’uccisione mirata a distanza la mitragliatrice potenziata e telecomandata si unisce poi al drone da combattimento. Ma a differenza di un drone, la mitragliatrice robot non attira gli sguardi al cielo dove il drone potrebbe essere abbattuto, e può essere collocata ovunque, qualità queste capaci di rimodellare il mondo della sicurezza e dello spionaggio.”

Conosciamo i pericoli insiti nelle armi autonome. Una famiglia afghana è stata brutalmente uccisa in un attacco di droni statunitensi nel 2021 perché uno dei suoi membri era stato erroneamente identificato come un terrorista ricercato. Sappiamo che l’esercito israeliano ha ripetutamente ucciso civili palestinesi in quelli che ha definito “errori” sul campo di battaglia. Se gli esseri umani che combattono su un campo di battaglia possono sbagliare in modo così eclatante, come possiamo aspettarci che le armi e i robot gestiti dall’intelligenza artificiale facciano un lavoro migliore?

Ciò dovrebbe sollevare un allarme sull’impatto devastante che l’IA avrà sicuramente nel mondo militare e sul ruolo guida di Israele nello sviluppo di tali armi letali fuori regolamento.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Richard Silverstein scrive sul blog Tikun Olam dedicato a denunciare gli eccessi dello Stato di sicurezza nazionale israeliano. Suoi articoli sono apparsi su Haaretz, Forward, Seattle Times e Los Angeles Times. Ha contribuito alla raccolta di saggi sulla guerra del Libano del 2006 A Time to Speak Out (È ora di parlare, Verso ed.) e ha un altro saggio nella raccolta Israel and Palestine: Alternate Perspectives on Statehood (Israele e Palestina: prospettive alternative sulla condizione di Stato, Rowman & Littlefield)

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Cisgiordania: sviluppo della resistenza armata palestinese nei campi profughi contro i raid israeliani

Leila Warah, Tulkarem, Cisgiordania occupata

24 giugno 2023 – Middle East Eye

Nur Shams a Tulkarem è il più recente campo di rifugiati ad organizzare delle brigate mentre le incursioni israeliane diventano un elemento costante nelle vite dei palestinesi

Un piccolo gruppo di giovani, di cui tre armati di fucili informalmente imbracciati, staziona fuori da un supermercato. Fissano con circospezione qualunque sconosciuto che entri nel campo profughi, stando all’erta per individuare forze israeliane che possano fare irruzione in qualunque momento.

La scena potrebbe facilmente svolgersi a Jenin o Nablus, due città palestinesi nel nord della Cisgiordania occupata che hanno ricevuto attenzione internazionale per la loro resistenza armata contro l’occupazione di Israele.

Benché i giovani siano del nord, non provengono né da Jenin né da Nablus. Vengono dal campo profughi di Nur Shams a Tulkarem, ancora più ad ovest, e sono membri di un gruppo di resistenza armata recentemente creatosi nella zona.

In un vicolo del campo il 24enne leader delle brigate Tulkarem, Mohammad, dice a Middle East Eye di credere che l’occupazione israeliana non abbia lasciato ai giovani della Cisgiordania altra scelta che rivolgersi alla resistenza armata.

L’occupazione israeliana è la nemica di Dio, perciò io lotto per riavere la nostra terra in nome di Dio”, dice. “Il nostro problema non è che loro sono ebrei, è che stanno occupando la nostra terra.

Se vieni da noi con la violenza la nostra unica opzione è rispondere con la violenza. L’occupazione non ci lascia alcuno spazio di mediazione, solo i fucili.”

Una dura realtà e un futuro nero’

Le Brigate Tulkarem sono nate a febbraio e sono sotto il comando delle brigate Al-Quds, l’ala militare del movimento della Jihad islamica.

Sono formate da 15 militanti del campo di Nur Shams di età tra i 16 e i 25 anni, che si impegnano a “difendersi” contro l’occupazione militare di Israele attraverso la resistenza armata. 

Siamo all’inizio della resistenza. Tutto ciò che è accaduto non è che l’inizio. Stanno emergendo nuove generazioni e la libertà sarà nelle loro mani e sarà ottenuta da loro”, dice Mohammad.

La gente del posto dice che il campo profughi di Nur Shams subisce quasi ogni giorno incursioni militari, incluse cinque operazioni su larga scala in questo anno.

Questa generazione è nata in una dura realtà e un nero futuro. Ogni giorno l’occupazione fa incursione nel campo e arresta i loro padri. Uccidono i loro amici e distruggono tutto”, dice a MEE Ibrahim Al-Nimr, di 51 anni, un attivista che lavora per la Società dei Prigionieri Palestinesi.

Il gruppo crea dei posti di blocco a tutte le entrate del campo e le tiene chiuse tra mezzanotte e mezzogiorno per contrastare le frequenti incursioni e neutralizzare agenti israeliani sotto copertura.

Niya Jundi, abitante di Nur Shams, dice che la comunità “incoraggia gli sforzi della giovane e resiliente generazione che vuole vivere in un Paese libero.”

Ovviamente ci sono inconvenienti nella resistenza. Ci rende più difficile accedere ai servizi, ma è un nostro diritto imbracciare le armi finché non saremo liberi dall’occupazione.”

Una rete di resistenza armata

I locali dicono che la nascita della Brigata Tulkarem è stata indotta dal “martirio” dell’abitante di Nur Shams Saif Abu Libda.

Nato e cresciuto nel campo, Abu Libda si è unito alla Brigata Jenin e sperava di portare un giorno la resistenza armata a casa sua a Nur Shams, cosa che avrebbe completato il “triangolo della resistenza del nord” tra Jenin, Nablus e Tulkarem.

Il 2 aprile 2022 le forze israeliane gli hanno teso un’imboscata e lo hanno ucciso insieme a Saeb Abahra, di 30 anni, e Khalil Tawalbeh, di 24, mentre stavano guidando a Jenin. Tutti e tre erano membri delle Brigate Al-Quds, ma al momento sembra che non fossero impegnati in scontri armati.

Tutti i gruppi di resistenza in Cisgiordania sono in contatto tra di loro. Tutti abbiamo lo stesso obbiettivo”, dice Mohammad.

Jamal Huweil, professore di scienze politiche e relazioni internazionali all’università arabo-americana di Jenin, dice che, come Abu Libda, gente da tutta la Cisgiordania – comprese Tubas, Nablus, Balata e Hebron – è andata a Jenin per conoscere la lotta armata.

Con l’intensificarsi della resistenza armata in Cisgiordania, Israele ha ufficialmente dato inizio alla campagna ‘Spezzare l’Onda’ nel marzo 2022, conducendo incursioni militari quasi quotidiane in tutta la Cisgiordania e incrementando la politica di sparare per uccidere, con la conseguenza di arresti di massa e di segnare l’anno più mortale per i palestinesi nei territori occupati dopo la seconda Intifada due decenni fa.

Huweil ritiene che Israele abbia chiamato così l’operazione riferendosi a Jenin, dove è iniziata l’“onda”.

Israele considera il campo profughi di Jenin un’incubatrice di resistenza. L’onda continua ed ha raggiunto Nablus, il campo profughi di Nur Shams a Tulkarem e il campo profughi Aqbat Jabir a Gerico. Jenin è la fonte della resistenza palestinese e a sua volta un problema per Israele”, dice a MEE.

Anche con la crescita della resistenza armata, Huweil specifica che i rapporti di forza tra l’esercito di prima classe di Israele e i giovani militanti siano molto sproporzionati.

Non c’è paragone, quando loro hanno elicotteri Apache, aerei da ricognizione e unità speciali contro un gruppo di combattenti dotati del minimo indispensabile”, dice.

Mentre la resistenza armata palestinese si diffonde, i leader israeliani hanno invocato l’ “Operazione Scudo Difensivo 2”, con riferimento all’invasione militare su larga scala della Cisgiordania nel 2002 durante la seconda Intifada.

Ci sono discussioni interne se Israele debba espandere le proprie operazioni, ma sospetto che, se proseguiranno su questa strada, la resistenza si farà più forte e agguerrita”, dice Huweil.

Coordinamento della sicurezza palestinese e israeliana

Dirigenti palestinesi e israeliani si sono incontrati due volte quest’anno, a Aqabat in Giordania e a Sharm el Sheikh in Egitto, per discutere dell’economia palestinese, del ridimensionamento della violenza e del ruolo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) nel disperdere la resistenza armata in Cisgiordania.

Tuttavia molti palestinesi sono delusi dai colloqui di pace e dalla diplomazia tra dirigenti e denigrano il coordinamento sulla sicurezza tra ANP e Israele per stroncare la resistenza armata, che ha provocato l’insorgere di tensioni in luoghi come Nur Shams.

Il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas non crede nella resistenza armata. Incontra politici israeliani per discutere di situazioni di sicurezza e di economia perché sono fattori che spingono la gente a ribellarsi”, dice Huweil. “Sono spaventati che l’onda del campo di Jenin si allarghi e raggiunga tutta la Cisgiordania, Gaza e il Libano.”

Mohammad dice a MEE che “i colloqui politici non servono a niente. Ci abbiamo provato e sono finiti nel nulla. L’unica strada per riavere la nostra libertà è la forza.”

Sebbene qui l’ANP faccia pressioni sulla resistenza armata, tentando di offrire denaro per abbandonare la resistenza armata ed entrare nella polizia, non concluderà niente”, dice.

L’esercito israeliano non segue le norme internazionali, non segue nessuna regola.”

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Il ruolo dei sionisti negli attacchi contro gli ebrei iracheni negli anni ’50 ‘confermato’ da rapporti di agenti segreti e polizia

Rayhan Uddin

19 giugno 2023 – Middle East Eye

Lo storico anglo-israeliano Avi Shlaim cita ‘prove inconfutabili’ di ex agenti ebrei che dimostrano attentati dinamitardi da parte di sionisti in alcuni siti per incoraggiare l’emigrazione in Israele

Lo storico anglo-israeliano Avi Shlaim ha detto a Middle East Eye che un rapporto della polizia e un’intervista con un ex agente segreto sionista stanno alla base delle sue affermazioni circa la scoperta di “prove inconfutabili” del coinvolgimento di Israele negli attentati dinamitardi che hanno fatto fuggire gli ebrei dall’Iraq agli inizi degli anni ‘50.

Pubblicata all’inizio di questo mese, l’autobiografia di Shlaim,Three Worlds: Memoirs of an Arab-Jew, [Tre mondi: memorie di un ebreo arabo], descrive la sua infanzia di ebreo iracheno e il successivo esilio in Israele.

Include anche ricerche su vari attentati dinamitardi in Iraq che fra il 1950 e il 1951 causarono l’esodo di massa dal Paese di ebrei, la maggioranza dei quali, come lui e la sua famiglia, finiti in Israele.

Domenica Shlaim ha riferito a Middle East Eye di aver scoperto “prove inconfutabili della partecipazione negli attentati di agenti segreti sionisti “. 

Fra le prove lo storico ha citato una sua lunga intervista con Yaakov Karkoukli, ex membro del movimento sionista clandestino a Baghdad negli anni ‘50. 

Karkoukli, 89enne al tempo del colloquio con Shlaim per il libro, fu un collaboratore di Yusef Basri, un agente segreto sionista in Iraq condannato dalle autorità irachene per aver attuato attentati dinamitardi che presero di mira ebrei iracheni. 

‘Terrorizzare, ma non uccidere’

All’epoca, gli attentati dinamitardi presero di mira un caffè, un’autoconcessionaria e una sinagoga, oltre ad altri attacchi contro comunità e attività commerciali ebraiche. 

Karkoukli ha affermato che Basri mise in atto tre di quegli attacchi contro siti ebraici su ordine di Meir Max Bineth, un agente dell’intelligence israeliana che rifornì Basri di granate e tritolo.

Oltre alle armi, Bineth avrebbe fornito a Basri mappe, informazioni e istruzioni che includevano l’ordine di ‘terrorizzare, ma non uccidere’.

Basri e Shalom Salih Shalom, un altro agente sionista clandestino, furono condannati per gli attentati dinamitardi e giustiziati dalle autorità irachene. 

Anche un terzo agente clandestino, Yusef Khabaza, fu condannato a morte in absentia, ma fuggì dall’Iraq.

Karkoukli sostiene che l’attacco contro la sinagoga Masuda Shemtov a Baghdad nel gennaio 1951, l’unico attentato dinamitardo di quel periodo che provocò vittime tra gli ebrei, non fu direttamente eseguito da agenti sionisti, ma da arabi musulmani.

Bineth, che avrebbe dato gli ordini a Basri, si sarebbe poi suicidato dopo l’arresto da parte delle autorità egiziane per il suo sospetto coinvolgimento nell’affare Lavon, la fallita operazione israeliana sotto copertura per collocare bombe in Egitto e incolpare la Fratellanza Musulmana e i comunisti (egiziani). 

I funzionari israeliani hanno da tempo respinto qualsiasi coinvolgimento di clandestini sionisti o di agenti israeliani negli attacchi contro ebrei iracheni e danno invece la colpa ai nazionalisti iracheni. 

“Questa non è una testimonianza indiretta, ma direttamente di un partecipante,” ha detto Shlaim a MEE, riferendosi alla sua intervista con Karkoukli.

“Vero, questa è storia orale e perciò non conclusiva, sebbene sia impensabile che Karkoukli si sia inventato tutta la storia.” 

Ma lo storico ha aggiunto che Karkoukli ha fornito prove più decisive della sua testimonianza, nella forma di un verbale di polizia. 

Rapporto di polizia

Shlaim ha ricevuto una copia del rapporto della polizia di Baghdad sul processo a Basri e ai suoi complici che Karkoukli ottenne da un ufficiale della polizia irachena in pensione.

Il documento, la cui traduzione è inclusa nel libro e che è stato inviato a MEE, include dettagli delle confessioni sia di Shalom che di Basri, in cui essi ammettono di aver lanciato bombe contro obiettivi ebraici iracheni. Nella sua confessione Shalom implica anche Khabaza.

 “Tranne gli investigatori della polizia nessuno avrebbero potuto avere tutti i dettagli contenuti in questo rapporto,” ha affermato Shlaim. “Chiaramente non è un’invenzione, ma ho fatto un ulteriore passo per confermarne l’autenticità.”

Lo storico ha spiegato di aver confermato la veridicità del rapporto della polizia grazie al giornalista iracheno Shamil Abdul Qadir, in possesso del dossier della polizia di Baghdad lungo 258 pagine sugli interrogatori dei supposti agenti sionisti. 

Abdul Qadir ha verificato il rapporto della polizia e detto che si basa sul dossier in suo possesso. Un’immagine della sua copertina è stata visionata da MEE.

“Il rapporto della polizia che ho riprodotto nel mio libro è perciò una prova inconfutabile del coinvolgimento del movimento clandestino sionista negli attentati dinamitardi,” ha affermato Shlaim. ” Questa è la pistola fumante, per così dire.”

Attacco alla sinagoga

Secondo Karkoukli l’attacco alla sinagoga Masuda Shemtov, in cui restarono uccisi quattro ebrei, fu eseguito da un musulmano di origini siriane, Salih al-Haidari. 

Karkoukli ha sostenuto di essere “l’unica persona al mondo ” a sapere chi compì quell’attacco. 

Ha affermato che ad Haidari fu proposto l’attacco da un poliziotto iracheno corrotto che aveva ricevuto una mazzetta dal movimento clandestino sionista. Secondo Shlaim non ci sono altre prove che corroborino questa affermazione. 

In seguito agli attacchi dinamitardi circa 110.000 ebrei fuggirono dall’Iraq, la maggioranza per insediarsi nel nascente Stato di Israele. 

Oltre 800.000 ebrei lasciarono o furono espulsi da vari Paesi del Medioriente e del Nord Africa fra il 1948 e gli inizi degli anni ‘80. 

Nel 2005, il 61% degli ebrei israeliani erano di completa o parziale discendenza mizrahi, il termine sociologico coniato per riferirsi agli ebrei dalla regione dopo la creazione di Israele. 

Gli attacchi contro ebrei iracheni iniziarono meno di due anni dopo la pulizia etnica che avvenne in quella che i palestinesi chiamano la Nakba (catastrofe) che portò alla fondazione dello Stato di Israele nel 1948. 

Durante la Nakba le forze sioniste uccisero 13.000 palestinesi, distrussero e spopolarono circa 530 villaggi e città, commisero almeno 30 massacri ed espulsero 750.000 persone. 

Furono uccisi oltre 6.000 ebrei israeliani, fra cui 4.000 soldati e 2.000 civili, insieme a circa 2.000 militari dai Paesi arabi. 

Nel libro Shlaim sostiene che gli ebrei iracheni non subirono l’antisemitismo fino agli anni ’40, quando furono sospettati di essere coinvolti nell’invasione britannica dell’Iraq nel 1941 e nella Nakba.

Aggiunge che il progetto sionista trasformò gli ebrei in tutti i Paesi arabi da cittadini rispettati a qualcosa di simile a una quinta colonna alleata del nuovo Stato ebraico.

(Traduzione dall’inglese di Mirella Alessio) 




A Jenin un imponente raid israeliano uccide cinque palestinesi e ne ferisce decine*

Fayha Shalash a Ramallah, Palestina occupata e Elis Gjevori a Istanbul, Turchia

19 giugno 2023 – Middle East Eye

Il ministero della Sanità palestinese afferma che una ragazza di 15 anni si trova in condizioni critiche dopo essere stata colpita alla testa

 

Lunedì mattina un imponente raid israeliano nella città occupata di Jenin, in Cisgiordania, ha ucciso almeno cinque palestinesi e ne ha feriti 91, di cui 18 si trovano in condizioni critiche.

*Al 22 giugno i morti sono saliti a sette. [ndr]

Il ministero della Sanità palestinese ha identificato le persone uccise come Khaled Azzam Darwish di 21 anni, Ahmed Youssef Saqr, di 15, Qassam Faisal Abu Sariya, di 29 e Qais Majdi Jabareen, di 21, tutti di Jenin. L’identità della quinta vittima non è ancora nota.

Il ministero della Sanità palestinese ha anche riferito che una ragazza di 15 anni è stata colpita alla testa dalle forze israeliane ed è stata trasferita all’ospedale governativo di Jenin. Pare che si trovi in condizioni critiche. 

Secondo il sito di notizie palestinese Arab48 e il quotidiano israeliano Haaretz almeno otto soldati israeliani sarebbero stati feriti, alcuni dei quali gravemente, sebbene ciò non sia stato confermato da Israele.

Nell’ultimo anno Jenin è stata un obiettivo abituale degli attacchi israeliani in Cisgiordania.

Nelle prime ore di lunedì una grande quantità di forze israeliane ha preso d’assalto la città nel nord della Cisgiordania col dispiegamento di cecchini su alcune case; in diverse zone sono scoppiati violenti scontri, durante i quali i soldati israeliani hanno sparato proiettili veri, granate assordanti e gas lacrimogeni e sono stati utilizzati elicotteri d’attacco.

Lo scopo dichiarato del raid era arrestare l’attivista di Hamas di 36 anni Assem Abu al-Haija, abitante nel quartiere di Jabriyat, alla periferia di Jenin. Dopo il suo arresto e il ritiro dei veicoli militari, i combattenti palestinesi hanno fatto detonare un ordigno esplosivo sotto le jeep militari ferendo diversi soldati israeliani.

Banan Abu al-Haija, la sorella di Assem, ha detto che i soldati israeliani hanno brutalmente fatto irruzione nella sua casa alle 5 del mattino ora locale e lo hanno arrestato. Il raid è durato due ore e mezza, ha affermato.

Decine di soldati hanno circondato la casa di mio fratello e fatto saltare in aria la porta d’ingresso, poi si sono sparpagliati per tutta la casa. Hanno stipato sua moglie incinta e due bambini (di sei e quattro anni) in una stanza, hanno portato lui in un’altra stanza e hanno iniziato ad interrogarlo”, riferisce Banan a Middle East Eye.

Racconta che durante l’interrogatorio nella casa c’era un gran numero di soldati. Hanno rotto dei mobili e strappato le foto del padre di Abu al-Haija, che è stato imprigionato nelle carceri israeliane per 20 anni, e di suo fratello, Hamza, ucciso dai soldati diversi anni fa.

“Hanno sequestrato tutte le chiavi della casa. I soldati continuavano ad urlare e a insultare sua moglie e i suoi figli, che piangevano per la paura. Poi hanno arrestato Assem e lo hanno trasferito in un luogo sconosciuto“, racconta Banan.

Questa è la quinta volta che Assem viene arrestato. È stato rilasciato dalla prigione israeliana solo sei mesi fa ed è stato in carcere per un totale di sette anni.

“Le forze di occupazione hanno perso la testa

Sari Samour, 49 anni, residente nel quartiere di al-Zahraa, adiacente al campo profughi di Jenin, ha detto che le sirene di allarme hanno suonato nel campo dopo la fine della preghiera dell’alba. Le sirene vengono solitamente fatte suonare dai combattenti della resistenza palestinese per avvertire di un’incursione israeliana.

Dopo aver incontrato resistenza sul posto “le forze di occupazione hanno perso la testa”, riferisce Samor a MEE.

“Hanno iniziato a sparare alla cieca contro le case, compresa quella del mio vicino, la cui figlia, Sadeel, di 15 anni, era seduta nella sua stanza. Qualche istante dopo abbiamo sentito un urlo dalla loro abitazione e siamo usciti tutti per vedere cosa fosse successo, per scoprire che la ragazza era stata colpita alla testa. È ancora in gravi condizioni e la sua vita è in pericolo”, aggiunge.

Secondo gli abitanti di Jenin, i successivi rinforzi militari israeliani, provenienti dalle basi nel nord della Cisgiordania, sono stati molto consistenti.

Per la prima volta dal 2006, durante la Seconda Intifada, Israele ha anche utilizzato elicotteri Apache per colpire obiettivi palestinesi.

“Ogni persona che si muove viene colpita, la vita viene sconvolta, le scuole vengono chiuse, persino le ambulanze vengono prese di mira da colpi di arma da fuoco. Il gran numero di martiri e feriti dimostra che a Jenin i soldati israeliani si stanno comportando in modo folle”, dice Samour.

Tra i feriti c’è un giornalista palestinese, Hazem Nasser, cameraman del canale televisivo Al-Ghad.

Il video del momento in cui Nasser, che portava in evidenza il contrassegno della stampa, è stato colpito sta circolando online. Nasser è stato infine trasferito all’ospedale Ibn Sina, in Cisgiordania.

Secondo il ministero della Sanità le lesioni di Nasser “sono di entità tra media e grave”.

I filmati che circolano online mostrano veicoli dell’esercito israeliano che vengono colpiti da una violenta sparatoria con esplosioni in sottofondo. Un altro video mostra una jeep militare israeliana di fronte a quello che sembra un ordigno esplosivo improvvisato.

Un breve video online mostra un elicottero d’attacco israeliano che spara contro obiettivi nella città.

L’esercito israeliano usa raramente velivoli nelle sue operazioni nella Cisgiordania occupata. I media israeliani hanno riferito che è stato il primo utilizzo di un elicottero d’attacco nel territorio dalla rivolta palestinese, all’inizio degli anni 2000.

Lunedì un portavoce dell’esercito israeliano ha affermato che le forze militari sono entrate in città per arrestare dei ricercati palestinesi. Durante l’operazione “si sono verificati violenti scontri a fuoco e sono stati lanciati ordigni esplosivi improvvisati contro i militari che hanno risposto sparando”, ha riferito.

Nell’ultimo anno le tensioni in Cisgiordania sono aumentate, con le forze israeliane che effettuano quasi ogni notte incursioni che sfociano in scontri con i gruppi della resistenza palestinese.

Le forze e i coloni israeliani hanno ucciso quest’anno almeno 161 palestinesi, tra cui 26 minorenni.

In totale sono state registrate 127 vittime in Cisgiordania e Gerusalemme Est e altre 34 nella Striscia di Gaza.

Nello stesso periodo i palestinesi hanno ucciso almeno 20 israeliani.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Una ragazza palestinese muore dopo essere stata colpita dalle forze israeliane

Redazione

21 giugno 2023-Middle East Eye

Sadeel Ghassan Naghniyeh Turkman, di 15 anni, è la settima persona a morire a seguito dell’incursione israeliana a Jenin in Cisgiordania

Una ragazza palestinese di 15 anni è morta mercoledì per le ferite riportate dopo essere stata colpita durante un raid israeliano, portando a sette il bilancio delle vittime dell’attacco alla città occupata di Jenin, in Cisgiordania, all’inizio della settimana.

Secondo il Ministero della Salute palestinese Sadeel Ghassan Naghniyeh Turkman è stata colpita alla testa dalle forze israeliane lunedì.

Oltre Turkman, il ministero ha confermato la morte di Ahmed Youssef Saqr, 15 anni, Khaled Azzam Darwish, 21, Qassam Faisal Abu Sariya, 29, Qais Majdi Jabareen, 21, Ahmed Daraghmeh, 19 e Amjad al-Jas, 48.

Una fonte della sicurezza israeliana, che ha parlato anonimamente alla radio dell’esercito, ha detto che le probabilità che le forze israeliane abbiano colpito la ragazza sono “basse”. I militari dovrebbero indagare sulla morte, anche se simili indagini in passato non hanno portato ad alcuna seria conseguenza.

All’inizio di questo mese l’esercito israeliano ha concluso, dopo un’indagine, di aver “involontariamente” ucciso Muhammad Tamimi, di due anni, dopo aver scambiato lui e suo padre, Haytham, per uomini armati che sparavano contro un insediamento israeliano illegale nella Cisgiordania occupata.

Tuttavia l’esercito israeliano ha affermato che avrebbe rimproverato il soldato per aver sparato in aria con la sua arma “in violazione degli ordini” e che l’esercito avrebbe “continuato a imparare e migliorare”.

Un’altra indagine israeliana sulla morte di un anziano palestinese-americano, Omar Assad, di 80 anni, si è conclusa la scorsa settimana e ha assolto i soldati da ogni illecito.

Assad era stato fermato a un posto di blocco in Cisgiordania nel gennaio dello scorso anno, trascinato fuori dalla sua auto con le mani legate poi bendato e lasciato a terra durante la notte. La causa della morte era stata un attacco cardiaco che la sua famiglia e il Ministero della Salute palestinese attribuirono al trattamento crudele che aveva subito.

L’inchiesta ha concluso che i soldati israeliani pensavano che Assad stesse dormendo mentre era accasciato sul pavimento e non hanno controllato se fosse vivo fino al mattino successivo.

Un rapporto dell’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din ha rilevato che meno dell’uno per cento dei soldati accusati di aver ferito o ucciso dei palestinesi nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza sono mai stati indagati formalmente per comportamenti criminali.

Il rapporto afferma che i dati mostrano come Israele abbia un “completo disprezzo per la vita dei palestinesi e incoraggi l’uso costante della micidiale politica del grilletto facile che è costata la morte di così tanti palestinesi”.

Quest’anno le forze armate israeliane e i coloni hanno ucciso almeno 163 palestinesi, tra cui 27 minori.

Un totale di 129 vittime è stato registrato in Cisgiordania e Gerusalemme Est oltre a 34 nella Striscia di Gaza. Nello stesso periodo i palestinesi hanno ucciso almeno 24 israeliani.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




La furia dei coloni israeliani incendia le città palestinesi

Redazione di Middle East Eye

21 giugno 2023 – MiddleEastEye

Nella Cisgiordania occupata almeno 34 palestinesi sono stati feriti e più di 140 veicoli dati alle fiamme dai coloni inferociti

Martedì notte i coloni israeliani si sono scatenati in diverse città palestinesi della Cisgiordania incendiando auto, bruciando terreni agricoli e vandalizzando case – scene che ricordano il pogrom all’inizio di quest’anno nel villaggio di Huwwara.

Mercoledì i coloni hanno attaccato la città di Turmusaya, a sud di Huwwara, incendiando veicoli, case e terreni agricoli.

Martedì scorso i coloni sono calati su Luban a-Sharqiya, Huwwara, Beit Furik, Burin e su altre città a sud di Nablus bloccando le strade, lanciando sassi al traffico di passaggio e terrorizzando le comunità palestinesi.

Secondo i funzionari palestinesi almeno 34 palestinesi sono rimasti feriti e almeno 140 veicoli sono stati dati alle fiamme, inclusa un’ambulanza.

L’agenzia di stampa palestinese Wafa ha riferito casi di palestinesi derubati da coloni e di un ragazzo di 12 anni che è stato picchiato.

La casa di Ziyad Ghalib, abitante di Huwwara, era stata bruciata dai coloni durante il precedente pogrom di febbraio. Quella volta lui e la sua famiglia erano a casa quando gli israeliani hanno appiccato il fuoco, rischiando di morire soffocati dal fumo prima di scappare appena in tempo.

Secondo quanto ha detto a MEE, con l’assalto di martedì è la quarta volta che sono stati attaccati.

“Nessuno è venuto a controllare, c’è stata una modesta copertura mediatica ma a parte questo niente”, afferma.

Nessuno ci ha dato alcuna precedenza [nelle notizie, ndt] o importanza, le nostre vite sembrano prive di valore. La realtà è che a nessuno importa di noi, e non stiamo esagerando”.

Ghalib e la sua famiglia ora alloggiano in un’altra casa a Huwwara, che fortunatamente questa volta non era vicina agli attacchi dei coloni. Tuttavia, l’auto di un parente è stata incendiata.

Dice che non si sente più al sicuro a Huwwara.

Mia figlia di nove anni è terrorizzata. Non sappiamo cosa fare, possiamo solo affidarci a Dio”, ha detto.

Puoi andare normalmente in giro e un colono ti attacca o cerca di investirti con la macchina. È molto difficile vivere così”.

La furia dei coloni di martedì si è scatenata poche ore dopo che quattro coloni israeliani sono stati uccisi in una sparatoria nei pressi dell’insediamento israeliano illegale di Eli, nella Cisgiordania centrale.

Due uomini armati sono stati identificati dai media palestinesi come Muhannad Faleh Shehadeh e Khaled Mustafa Sabah, entrambi del villaggio di Orif a sud di Nablus.

Shehadeh è stato ucciso sul posto. Sabah è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco nella vicina Toubas, ha riferito l’agenzia di sicurezza interna israeliana dello Shin Bet.

Le forze israeliane sono arrivate in alcune aree nel tentativo di reprimere la violenza dei coloni. Haaretz ha riferito che i coloni hanno attaccato anche alcuni soldati israeliani, costringendoli a sparare colpi di avvertimento in aria.

La polizia israeliana ha annunciato che avrebbe dispiegato più agenti sulle strade principali della Cisgiordania, con particolare attenzione alle “aree sensibili”.

L’attacco ai coloni israeliani era avvenuto dopo che lunedì le forze israeliane avevano ucciso almeno sette palestinesi, tra cui tre adolescenti, in un raid nella città di Jenin in Cisgiordania.

A Huwwara martedì una folla di coloni ha incendiato automobili e danneggiato proprietà palestinesi. Secondo Wafa alcuni hanno anche aperto il fuoco sui palestinesi.

A febbraio Huwwara e le aree circostanti sono state teatro di una terrificante furia da parte di coloni israeliani, che hanno ucciso un palestinese e ferito quasi altri 400.

Le auto bruciate dall’attacco dei coloni nella zona di Lubban al Gharbi

All’epoca il Ministro delle Finanze israeliano di estrema destra Bezalel Smotrich invitò l’esercito israeliano a “colpire le città palestinesi con carri armati ed elicotteri, senza pietà, in modo che si capisca che il padrone di casa è fuori di sé”.

Dopo il raid di lunedì a Jenin, Smotrich ha twittato: “È giunto il momento di sostituire le operazioni chirurgiche con una campagna ad ampio raggio per sradicare i nidi del terrore”.

Quest’anno l’esercito e i coloni israeliani hanno ucciso almeno 163 palestinesi, tra cui 27 minorenni. Un totale di 129 vittime sono state registrate in Cisgiordania e Gerusalemme Est e altre 34 nella Striscia di Gaza.

Nello stesso periodo i palestinesi hanno ucciso almeno 24 israeliani.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)

 




La salute mentale dei bambini di Gaza va di male in peggio

Maha Hussaini, Gaza

13 giugno 2023, MiddleEastEye 

Mentre gli attacchi israeliani aumentano di frequenza e intensità, un numero crescente di bambini palestinesi soffre di un “trauma continuo” non risolvibile a breve

Nel quarto giorno dell’aggressione israeliana del 2021 contro i palestinesi di Gaza il bombardamento è stato intenso.

Sperando di distrarre i suoi figli dal rumore costante dei bombardamenti, Sarah Ali* li ha messi a letto presto. Ma per Samer*, sette anni, il danno era già fatto.

“Due ore dopo si è svegliato ed è venuto da me piangendo”, ha detto Sarah a Middle East Eye. “Aveva bagnato il letto.”

Nato nel 2016, la breve vita di Samer è stata segnata dal blocco israeliano e dai ripetuti bombardamenti.

Ma l’assalto di 11 giorni nel maggio 2021 ha avuto l’effetto di gran lunga più drammatico sul suo benessere psicologico.

Da due anni bagna regolarmente il letto a causa dell’ansia e della paura di morire.

E proprio mentre sua madre pensava di fare progressi aiutandolo a superare l’ansia, il mese scorso Israele ha lanciato un’altra campagna di bombardamenti.

Eravamo riusciti ad affrontare l’argomento appena prima dell’ultima offensiva, ma durante questo attacco il problema si è ripresentato”, ha detto Sarah, aggiungendo che le condizioni si sono aggravate dopo i sei giorni dell’attacco.

Samer è uno delle centinaia di migliaia di minori palestinesi di Gaza che, secondo gli addetti sanitari, soffrono di “trauma continuo”.

La Striscia, sotto un blocco imposto da Israele dal 2006, ospita oltre due milioni di persone la metà delle quali sono minori.

In meno di 18 anni Israele ha lanciato nell’enclave circa 15 operazioni militari, uccidendo migliaia di persone.

Il blocco e gli attacchi hanno devastato le infrastrutture e l’economia e portato a una “crisi acuta della salute mentale” che sta colpendo la stragrande maggioranza dei bambini.

Traumi ricorrenti

Sarah dice che suo figlio ha perso fiducia in sé stesso dopo aver iniziato nel 2021 a bagnare il letto, cosa che gli causa vergogna e senso di colpa ogni volta che il problema si ripresenta.

“Cerco sempre di rassicurarlo e confortarlo dicendo che è del tutto normale e che non sono arrabbiata con lui, [eppure] si sente comunque triste e si scusa di continuo come se fosse colpa sua”, ha detto a MEE.

“So che non è colpa sua e sono consapevole che questo è il risultato del trauma che sta vivendo”.

I genitori di Samer lo hanno portato da uno psicologo pochi mesi dopo l’attacco del 2021 e stanno valutando la possibilità di tornarci presto.

Secondo una ricerca di Save the Children pubblicata nel 2022, quasi l’80% dei genitori e degli operatori sanitari a Gaza ha riscontrato un aumento dell’enuresi notturna tra i propri figli.

Un ulteriore 78% ha riferito che i propri figli raramente concludono i compiti e il 59% ha affermato che i propri figli hanno difficoltà nel parlare, nel linguaggio e nella comunicazione.

Per la ricerca la ONG ha intervistato 488 bambini e 168 genitori e operatori scolastici, per aggiornare una ricerca simile del 2018.

È emerso che la salute mentale di bambini, giovani e tutori si è deteriorata drasticamente, con un aumento dal 55% all’80% del numero di minori che riferiscono un disagio emotivo.

“Ciò di cui soffrono i bambini di Gaza supera il disturbo da stress post-traumatico”, ha detto a MEE Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma di responsabilizzazione presso Defence for Children International.

Ha aggiunto che la capacità dei bambini di vivere serenamente è stata minata dai ripetuti attacchi israeliani, dal blocco e dalla violenta repressione delle proteste pacifiche della “marcia del ritorno” del 2018.

“Mina il loro diritto alla salute, all’istruzione, a uno standard di vita adeguato e, cosa più importante, il loro diritto a essere liberi dalla paura”.

Durante l’assalto del 2021, Israele ha ucciso 256 palestinesi, inclusi 66 minori. I razzi palestinesi hanno ucciso 13 persone in Israele, tra cui due minori.

Tra i palestinesi uccisi c’erano 11 minori di età compresa tra i 5 e i 15 anni che prima della campagna militare erano in cura per trauma presso il Comitato Norvegese per i Rifugiati.

Un altro giro di bombardamenti nell’agosto 2022 ha provocato la morte di 49 palestinesi tra cui 17 minori, il più giovane di quattro anni.

Circa otto mesi dopo è stata lanciata un’altra offensiva che ha ucciso 33 palestinesi, di cui sette minori. I razzi palestinesi hanno ucciso un israeliano.

Durante l’attacco del 2021, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha descritto la vita dei bambini palestinesi a Gaza come “un inferno in terra”.

Non voglio sentire la parola ‘guerra’”

Joudi al-Samna, che fa la quinta elementare e soffre di disturbo da stress post-traumatico, gestisce bene le sue emozioni finché non sente la parola “guerra”.

Quando viene pronunciata vicino a lei da un genitore o da uno zio che discutono le notizie, smette immediatamente di ascoltare.

“Mi copro le orecchie con le mani e li prego di smetterla di parlarne”, ha detto l’undicenne residente a Gaza City.

“Dico ‘per favore cambiate argomento, per favore, mamma fagli cambiare argomento, non c’è nessuna guerra’”, aggiunge.

“Non importa se c’è una guerra o no, non voglio sentire la parola guerra, la odio”.

Samna ha crisi di panico quando sente dei rumori forti e cerca di essere costantemente vicino ai suoi genitori e fratelli.

“Durante l’ultima guerra a Gaza sono rimasta accanto a mia madre e mio padre quasi tutto il tempo. I miei due fratelli e i cugini andavano ogni giorno a giocare in giardino, ma io mi rifiutavo di andare con loro”, ha detto a MEE.

“Ma quando i miei genitori scendevano andavo con loro. Ho sempre paura che ci siano bombardamenti mentre sono lontano da loro”.

Durante i 51 giorni di attacco israeliano a Gaza a luglio e agosto 2014, Samna aveva due anni.

Ma Wejdan Ghannam, sua madre, afferma che il trauma di sua figlia è iniziato durante l’attacco del 2021.

Sebbene all’epoca avesse solo nove anni, Ghannam ha affermato che era ben consapevole di ciò che stava accadendo e che aveva “moltissima” paura per la sua vita e la sua famiglia.

“Faccio del mio meglio durante le offensive per distrarre l’attenzione dei miei figli dai rumori dei bombardamenti. Ogni volta che inizia un attacco porto loro libri da colorare e giocattoli. Faccio quasi tutto ciò che vogliono per tenerli occupati”, ha spiegato Ghannam.

“Ma quando il bombardamento è vicino non funziona. Lasciano semplicemente tutto e vengono da me piangendo. Joudi a volte si rannicchia sulle mie ginocchia finché non si addormenta.

“Sempre, qualunque cosa accada, la regola in casa nostra è di non menzionare mai le parole guerra, aggressione o bombardamento”.

Sicurezza “inesistente”

L’entità del danno psicologico che accusano i bambini di Gaza si fa sentire maggiormente durante gli attacchi israeliani.

Durante l’attacco del mese scorso, genitori e insegnanti a Gaza hanno condiviso disegni e conversazioni con i loro figli e studenti che esprimevano il loro shock e la loro angoscia mentre piovevano le bombe israeliane.

Maram Azzam ha pubblicato un disegno sulla lavagna di sua figlia Sham, una ragazza con degli scarabocchi sopra la testa.

“Sham ha disegnato questo e mi ha detto: ‘Ecco come [si sente] la mia testa coi rumori degli aerei” – così recita la didascalia che Azzam ha messo alla foto su Twitter.

Eman Basher, insegnante di inglese presso una scuola dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e il Lavoro (UNRWA) a Gaza, ha condiviso schermate di conversazioni con i suoi studenti che parlano della loro paura dei bombardamenti.

“Non dormiamo la notte per la paura, e se dormiamo è possibile che non ci svegliamo più”, ha scritto uno studente. “Per me non è ok. Il bombardamento era vicino a casa nostra. Non potevamo fuggire”, ha detto un altro.

In un’altra conversazione, Basher chiede al suo studente: “Chi sta sanguinando?” La ragazza risponde: “Il fratello di Malak, mio compagno di classe. La loro casa è piena di fumo per via del missile”.

E ancora un tweet di Yaser Abu Odeh il primo giorno dell’attacco di maggio diceva: “Mio figlio di dieci anni indossa abiti di Eid [una popolare marca di abiti, ndt.] e ripete ‘godiamoceli prima di essere martirizzati’. Mia figlia ha dodici anni e sta cercando di spendere tutti i suoi soldi; dice: ‘saremo martirizzati, a chi dovremmo lasciarli?'”

Secondo lo psichiatra di Gaza Sami Oweida, un trauma è causato da un evento inaspettato che va oltre l’esperienza della persona e che minaccia la sua vita.

Una volta causato, può portare a squilibri emotivi, cognitivi e comportamentali.

Ma per i bambini di Gaza, ciò di cui soffrono “non è un disturbo da stress post-traumatico, ma un trauma continuo”, ha affermato.

“Abbiamo shock continui che esauriscono le capacità difensive di qualsiasi essere umano”.

Oweda ha detto a MEE che la maggior parte dei bambini che frequentano la sua clinica arrivano dopo gli attacchi israeliani, qualcuno mesi dopo e altri che aspettano fino a due anni.

Il lasso di tempo dipende dalla capacità di ogni bambino di adattarsi e resistere ai sintomi all’indomani di ogni attacco.

“Chi alla fine fallisce, viene da noi”, ha detto il consulente in psichiatria infantile e adolescenziale.

“La maggior parte dei bambini inizia a mostrare reazioni anormali tra cui enuresi notturna, fonofobia [paura del suono], paura dell’oscurità, paura della morte, isolamento, insonnia, anoressia, pianto durante il sonno ecc.”, ha aggiunto.

“Simili traumi possono danneggiare i bambini emotivamente, psicologicamente e biologicamente e ostacolare il loro naturale sviluppo “.

Oweida ha affermato che non esiste una fascia di età specifica di minori che visitano la sua clinica a causa di traumi legati alla guerra, ma gli scolari in generale hanno maggiori probabilità di soffrire di traumi a causa della loro consapevolezza del concetto di bombardamento e morte.

“Il bisogno fondamentale di ogni bambino dopo cibo e acqua è sentirsi al sicuro”, ha spiegato. “La sicurezza a Gaza non esiste”.

* Nomi inventati per proteggere la privacy delle famiglie

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




La definizione di antisemitismo dell’IHRA “reprime il sostegno ai palestinesi in Europa”

Areeb Ullah

6 giugno 2023 – Middle East Eye

Uno studio dell’European Legal Support Centre ha scoperto che le persone di colore e gli ebrei che appoggiano la Palestina sono stati colpiti in modo sproporzionato da una definizione “errata”.

Un’organizzazione europea per i diritti umani ha denunciato che la definizione operativa di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance [Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto, organizzazione intergovernativa cui aderiscono 34 Paesi, per lo più europei, ndt.] (IHRA) ha avuto un impatto sproporzionato sulle persone di colore e sugli ebrei che appoggiano la Palestina, facendo sì che alcuni perdessero il lavoro oppure affrontassero la censura o azioni giudiziarie per presunti reati.

Basandosi su 53 casi in Austria, Germania e Regno Unito, l’European Legal Support Centre [Centro Europeo per il Sostegno Legale, che si occupa di appoggiare i gruppi filopalestinesi in Europa, ndt.] (ELSC) afferma che tutti e tre i Paesi hanno applicato la discussa definizione “come se fosse una legge”, nonostante essa sia definita come “non giuridicamente vincolante”.

L’ELSC critica anche la Commissione Europea per aver ignorato le crescenti preoccupazioni riguardo alla definizione.

In seguito alla pubblicazione martedì di un rapporto intitolato Suppressing Palestinian Rights Advocacy through the IHRA Working Definition of Antisemitism [Repressione del sostegno ai diritti dei palestinesi attraverso la definizione operativa di antisemitismo dell’IHRA], l’ELSC afferma in un comunicato che “tutti gli imputati sono stati presi di mira per il sostegno ai palestinesi e la denuncia delle prassi e delle politiche israeliane e/o per le critiche al sionismo come ideologia politica”.  

Quando sono state portate in tribunale, la maggior parte di queste accuse di antisemitismo sono state respinte in quanto senza fondamento.”

Il rapporto evidenzia casi di accademici, studenti e attivisti per i diritti dei palestinesi che sono stati penalizzati per aver espresso critiche a Israele.

Accuse di antisemitismo che fanno riferimento alla definizione operativa dell’IHRA nei casi documentati hanno colpito in modo assolutamente preponderante palestinesi, persone e organizzazioni ebraiche che sostengono i diritti dei palestinesi, suggerendo che la definizione dell’IHRA viene messa in pratica in modo discriminatorio,” segnala l’ELSC.

Sebbene la stragrande maggioranza dei ricorsi riguardanti la messa in pratica della definizione dell’IHRA abbia successo, le procedure disciplinari e le vertenze derivanti da false accuse di antisemitismo hanno prodotto un “effetto dissuasivo” sulla libertà di espressione e di riunione.”

L’ELSC afferma che tra le 53 persone intervistate per il rapporto 42 casi hanno preso di mira associazioni con “membri che sono di colore o individui che sono persone di colore, tra cui 19 palestinesi.

In 11 episodi sono stati presi di mira associazioni che si identificano come ebraiche o singoli ebrei, in particolare con opinioni antisioniste o simpatie nei confronti della lotta dei palestinesi per i diritti umani. Tutti i singoli individui e i gruppi che sono stati colpiti in questi episodi hanno manifestato simpatia per i diritti umani dei palestinesi,” nota l’ELSC.

Questi dati mostrano una potenziale discriminazione nel modo in cui la definizione dell’IHRA viene messa in pratica, suggerendo che i palestinesi e i loro alleati, ebrei, persone di colore o altri, sono i principali obiettivi di quanti utilizzano la definizione dell’IHRA per delegittimarli, calunniarli o sanzionarli.”

Aggiunge che alcuni dei partecipanti [alla ricerca] hanno perso offerte di lavoro o l’impiego e alcuni sono stati citati in giudizio da governi locali perché avrebbero violato la definizione dell’IHRA.

Eventi studenteschi legati all’Israeli Apartheid Week [Settimana contro l’Apartheid Israeliano] sono stati annullati per presunte violazioni della definizione dell’IHRA, compresa la conferenza di un sopravvissuto all’Olocausto presso l’università di Manchester.

La politica della Commissione Europea “dannosa per i diritti fondamentali”

Giovanni Fassina, direttore dell’ELSC, ha denunciato la Commissione Europea che ha promosso la definizione dell’IHRA attraverso un manuale sull’antisemitismo del 2021, affermando che l’ente ha “sistematicamente ignorato e respinto le crescenti preoccupazioni riguardo ai diritti umani relativi alla definizione dell’IHRA e non ha preso misure per impedire ogni suo impatto negativo su diritti fondamentali.

È tempo che la Commissione Europea riconosca e prenda in considerazione il fatto che la politica che ha promosso e implementato sulla base della definizione dell’IHRA, sia a livello di Unione Europea che di Stati membri, è estremamente dannosa per i diritti fondamentali e sta promuovendo il razzismo antipalestinese,” afferma Fassina in un comunicato.

La definizione dell’IHRA è stata formulata nel 2004 dall’esperto di antisemitismo Kenneth Stern in collaborazione con altri accademici per l’American Jewish Committee, un’organizzazione a favore degli ebrei fondata all’inizio del XX secolo e con sede a New York.

Stern ha affermato di aver formulato la definizione specificamente per ricercatori europei in modo da aiutarli a monitorare l’antisemitismo.

Ma chi la critica afferma che alcuni degli esempi che l’accompagnano confondono l’antisemitismo con l’antisionismo, o la critica a politiche del passato o attuali che portarono alla creazione dello Stato di Israele nel 1948, all’espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi dalle proprie case nell’attuale Israele e alle continue violazioni dei diritti umani contro i palestinesi e l’occupazione delle terre palestinesi da parte di Israele.

Il Regno Unito è stato il primo Paese europeo ad adottare la definizione dell’IHRA nel 2016, seguito dall’Austria nell’aprile 2017. Nel settembre 2017 il governo federale tedesco, allora una coalizione tra i conservatori della CDU-CSU e i socialdemocratici della SPD, appoggiò la definizione dell’IHRA per decisione del consiglio dei ministri. Anche istituzioni locali e organizzazioni associative hanno adottato o votato per adottare in modo indipendente la definizione dell’IHRA.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)