Un documento israeliano evidenzia il ruolo dei coloni nella espulsione dei palestinesi dalla Cisgiordania

Redazione di MEMO

12 dicembre 2022 – Middle East Monitor

L’agenzia di notizie Anadolu [agenzia di stampa governativa della Turchia, ndt.] riferisce che secondo notizie di lunedì dei media israeliani, i coloni israeliani stanno attivamente informando le autorità locali israeliane riguardo ad ogni attività edilizia dei palestinesi nella Cisgiordania occupata, nel tentativo di espropriarli.

Un documento interno ufficiale ottenuto dal quotidiano Haaretz mostra una stretta cooperazione tra i coloni e l’amministrazione civile israeliana per segnalare qualunque lavoro intrapreso dai palestinesi.

Il documento elenca 1.168 delazioni effettuate da coloni israeliani nel periodo dal 10 marzo al 19 ottobre attraverso una piattaforma online.

Scavano un pozzo”, “gli arabi stanno piantando alberi” e “intensa attività ediliza e preparazione di appezzamenti di terreno” sono state tra le forme delle denunce dei coloni contro i palestinesi.

Questo articolo afferma: “Il documento interno fornisce anche un’altra rapida panoramica sul coinvolgimento dei coloni nelle operazioni dell’amministrazione civile e dell’esercito israeliani, dall’espulsione dei palestinesi dalla maggior parte del territorio della Cisgiordania e dal divieto di attività edilizie e costruzione di infrastrutture fino al meticoloso sforzo di assicurarsi che essi non vadano oltre i confini delle enclave che Israele ha destinato loro”.

Israele usa ampiamente il pretesto della mancanza di permessi di costruzione per demolire case ed edifici palestinesi, specialmente nell’area C della Cisgiordania Occupata, che costituisce circa il 60% di tale territorio.

L’area C è sotto il controllo amministrativo e di sicurezza israeliano fino a quando un accordo sullo stato finale non sarà raggiunto con i palestinesi.

Secondo gli accordi di Oslo del 1995 tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), la Cisgiordania, includendo Gerusalemme Est, è stata suddivisa in tre parti – Area A, B e C [strutturate a macchia di leopardo, con Area A divisa in enclave separate tra loro, ndt.]

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Soldato israeliano in incognito lascia il Qatar dopo che è stato scoperto il suo passato

Redazione Middle East Monitor

29 novembre 2022 – Middle east Monitor

Un ex soldato israeliano, Guy Hochman, lunedì è fuggito dal Qatar dopo che un video postato su Twitter ha rivelato il suo passato e la sua partecipazione nell’unità dell’esercito israeliano che ha ucciso migliaia di palestinesi.

Hochman è entrato in Qatar fingendosi un comico con lo scopo di realizzare dei video divertenti. In uno dei suoi video postati su Facebook ha sostenuto di essersi recato in Qatar per favorire la pace.

Ma una giornalista palestinese-americana, Samar Dahmash-Jarrah, ha postato un video sul suo Twitter che rivelava il suo passato come soldato israeliano.

Dahmash-Jarrah, un’ex collaboratrice della CNN, ha 171.000 followers su Twitter. Il video mostrava un messaggio in arabo: “Smascherateli. Criminali.” Il video è stato ampiamente visto e condiviso.

La giornalista ha detto nel video che Hochman si spaccia per “mediatore di pace mentre il realtà è un soldato assassino.”

Ha affermato che era un comandante del battaglione 932 delle Brigate Nahal ed ha combattuto in un’unità che ha ucciso migliaia di palestinesi durante la prima e la seconda Intifada.

Ha aggiunto che la sua unità ha anche ucciso intere famiglie durante le guerre israeliane contro Gaza. “Questo è il vero volto di Israele nella competizione sportiva.”

Secondo i media israeliani Hochman avrebbe dovuto restare in Qatar fino al termine della Coppa del Mondo FIFA 2022, ma ha velocemente prenotato un biglietto ed è ritornato in Israele.

Molti giornalisti israeliani sono stati felici di recarsi in Qatar per riferire i sentimenti pro Israele degli arabi durante la competizione, ma sono rimasti sconcertati dal fatto che nessuno volesse parlare con loro. Molti li hanno invitati a lasciare il Qatar il più presto possibile.

I giornalisti israeliani hanno riferito che la loro permanenza in Qatar non era sicura. Al punto da nascondere la propria identità israeliana.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




L’esercito israeliano rileva un ‘rapido aumento’ degli attacchi dei coloni ai palestinesi

Redazione di MEMO

29 novembre 2022 – Middle East Monitor

Lunedì media locali hanno riferito che l’esercito israeliano ha registrato un rapido aumento degli attacchi dei coloni ebrei illegali contro i palestinesi.

Secondo i dati pubblicati dall’esercito di occupazione, solo quest’anno i coloni hanno già effettuato 838 attacchi contro palestinesi, in confronto ai 446 del 2021 e ai 353 del 2020.

Il Times of Israel [giornale israeliano indipendente in lingua inglese, ndt.] ha riferito che l’esercito ha affermato che gli attacchi hanno incluso il lancio di pietre e atti di vandalismo. Ha specificato che sono comunemente chiamati attacchi “price tag” [prezzo da pagare, che i coloni impongono a carico dei palestinesi, ndt.]. Il giornale ha aggiunto che nel 2022 sono state aperte solo 101 indagini di polizia sugli attacchi dei coloni e che sono state richieste solo 28 incrimininazioni.

L’esercito ha affermato che non sono stati solo gli estremisti a mettere in atto attacchi contro i palestinesi, ma anche i coloni “moderati”. È significativo, tuttavia, che non vi sia nessun apparente riferimento al fatto che i coloni normalmente effettuano i loro attacchi con la completa protezione dei soldati israeliani. Tutti i coloni israeliani e le colonie in cui vivono sono illegali secondo il diritto internazionale.

Citando le valutazioni dei servizi segreti militari, l’esercito ha dichiarato di aver sventato lo scorso anno circa 500 attacchi della resistenza palestinese. Ha anche affermato di aver arrestato dalla fine di marzo più di 2.500 palestinesi nella Cisgiordania mentre ha confiscato armi e 2.7 milioni di shekel in contanti (circa 710.000 euro).

Il Times of Israel ha citato fonti dell’Autorità Nazionale Palestinese secondo cui circa 150 palestinesi sono stati uccisi durante gli attacchi dell’esercito israeliano.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Coloni bloccano le strade nella Cisgiordania occupata

Redazione di MEMO

23 novembre 2022 – Middle East Monitor

Anadolu [agenzia di stampa turca, ndt.] ha riferito che oggi coloni israeliani hanno bloccato delle strade ai veicoli palestinesi nella zona settentrionale della Cisgiordania occupata. Testimoni oculari hanno affermato che, in seguito a due esplosioni a Gerusalemme ovest nelle quali un israeliano è stato ucciso e 14 sono stati feriti, i coloni hanno anche lanciato pietre contro le auto.

Le strade sono state blocccate a Hawara e Yitzhar, a sud di Nablus, e a Deir Sharaf, ad ovest della città. Sono stati incendiati pneumatici.

In una dichiarazione ufficiale la polizia israeliana ha affermato che “oggi, dopo l’esplosione avvenuta vicino ad un incrocio all’ingresso di Gerusalemme nei pressi di una stazione degli autobus ce n’è stata un’altra vicino alla stazione degli autobus all’incrocio di Ramot”. Undici feriti sono stati coinvolti nella prima esplosione, mentre gli altri tre hanno subito ferite “di minore gravità” nella seconda.

Sccondo la radio dell’esercito israeliano la polizia “ha deciso di elevare il livello di allerta a Gerusalemme, e in seguito si è discusso di alzare il livello di allerta in tutto lo Stato di Israele”. Ha inoltre segnalato che il ministro della Difesa Benny Gantz ha tenuto una seduta di valutazione della sicurezza con la partecipazione di alti ufficiali dell’esercito, della polizia e dei servizi di sicurezza israeliani.

Più tardi oggi stesso il primo ministro israeliano Yair Lapid terrà una seduta di valutazione della sicurezza.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Coloni accoltellano uno straniero solidale con i palestinesi e sradicano 300 alberi

Redazione di MEMO

20 ottobre 2022 – Middle East Monitor

L’agenzia locale di notizie Arab48 riferisce che nella Cisgiordania occupata continuano operazioni terroriste e attacchi da parte dei coloni contro i palestinesi, dato che un gruppo di coloni ha accoltellato un attivista della solidarietà internazionale e ha sradicato più di 300 piantine di olivi ad est di Betlemme.

Secondo quanto riferito, i coloni hanno attaccato un gruppo di palestinesi e di attivisti della solidarietà internazionale che facevano i volontari per aiutare a raccogliere le olive nel villaggio di Kisan.

Le bande di coloni hanno sradicato più di 300 piantine di ulivi e ne hanno spruzzati altri con sostanze chimiche infiammabili.

La cittadina di Kisan è soggetta a ripetuti attacchi contro i contadini da parte dei coloni, che li maltrattano, rubano i loro attrezzi e impediscono loro di far pascolare il bestiame, si aggiunge nel rapporto.

Inoltre, secondo il ministero della Sanità palestinese, lo scorso giugno un palestinese è morto dopo essere stato accoltellato da un colono israeliano nel villaggio di Iskaka, nella regione di Salfit nella zona centrale della Cisgiordania occupata.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Riconciliazione palestinese: scena uno, ripresa 10

Amira Abo el-Fetouh

17 ottobre 2022 – Middle East Monitor

Nessuno sano di mente potrebbe rifiutare la riconciliazione tra due parti, soprattutto se le parti in causa provengono dalla stessa terra. Eppure è altrettanto difficile capire come sia possibile la riconciliazione tra due parti opposte, ognuna delle quali va in direzione contraria all’altra, benché entrambe desiderino che l’Onnipotente cambi il corso della parte che va contro la storia, la geografia e la religione, in modo che ci possa essere un punto d’incontro. Allora, e solo allora, la riconciliazione sarebbe possibile e vincolante per entrambe le parti.

Dico questo in occasione dello sforzo dell’Algeria di sostenere la riconciliazione palestinese. Il governo di Algeri ha appena ospitato 16 fazioni palestinesi, le due principali senza i più importanti dirigenti e le altre con funzione solo decorativa sulla scena palestinese. L’incontro è terminato con la firma della cosiddetta Dichiarazione di Algeri per la Riconciliazione Intra-palestinese, alla presenza del Presidente dell’Algeria Abdelmadjid Tebboune e di alti funzionari statali militari e civili, nonché di ambasciatori. In particolare erano assenti il capo dell’Autorità Nazionale Palestinese e di Fatah, Mahmoud Abbas, il capo di Hamas Ismail Haniyeh ed il suo predecessore Khaled Meshaal. Se loro non erano presenti alla cerimonia della firma, si tratta di un accordo serio?

Non c’è dubbio che la scelta della dirigenza algerina del Centro Internazionale di Conferenze per celebrare la cerimonia sia stata intelligente, in quanto esso riveste uno speciale simbolismo. Fu in quella stessa sala che il Presidente Yasser Arafat annunciò la creazione dello Stato di Palestina.

La Dichiarazione di Algeri comprende una ‘tabella di marcia’ spaziale e temporale, che inizia con l’invito a tenere elezioni presidenziali e legislative in Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme entro un anno dalla firma dell’accordo; l’unificazione delle istituzioni nazionali palestinesi; la condivisione di sforzi e risorse per i progetti di ricostruzione; il rinnovamento delle infrastrutture e delle strutture sociali del popolo palestinese in modo tale da sostenere la sua risolutezza nel combattere l’occupazione israeliana. C’è anche un piano di prosecuzione e attuazione dell’accordo, con la supervisione di una squadra araba sotto la direzione algerina.

Certamente oggi più che mai i palestinesi hanno bisogno di una riconciliazione, in quanto stanno affrontando gravi sfide. L’unità palestinese è necessaria contro il complotto di Israele e di alcuni regimi arabi per liquidare la causa palestinese e per contrastare la normalizzazione araba con Israele prima che essa si espanda e coinvolga l’intero mondo arabo.

Non è ancora chiaro quale ruolo possa giocare l’Algeria nel mettere in pratica questo accordo, né se esso contribuirà a creare un clima ed un ambiente favorevole alla fine della divisione. Non c’è dubbio che questo pone una grande responsabilità in capo all’Algeria e fornisce una qualche copertura araba alla causa palestinese, in un momento in cui la popolazione della Palestina occupata è sotto forte pressione israeliana, che coincide con il processo di normalizzazione.

Questo accordo avrà successo laddove parecchi altri accordi firmati al Cairo, alla Mecca, a Mosca e a Beirut sono falliti?

Un elemento comune tra tutte le smancerie politiche e le paroline dolci è l’annuncio delle elezioni presidenziali e legislative, che in realtà non si svolgono mai. È come se la riconciliazione palestinese dipendesse dalle elezioni, ma la realtà è che probabilmente esse creerebbero ancor maggiore divisione piuttosto che riconciliazione.

Personalmente non penso che coloro che hanno firmato la Dichiarazione di Algeri credano che porterà ad alcunché di positivo; accordi simili sono stati già firmati e presto dimenticati. Non c’è nulla di nuovo che sia stato concordato ad Algeri che suggerisca che vi è una seria intenzione di mettere in atto i termini della dichiarazione.

Questo deve essere molto frustrante per il popolo palestinese che soffre dai tempi del violento conflitto tra i due principali firmatari a Gaza nel 2007. Perciò qualcuno crede davvero che quest’ultima dichiarazione porterà da qualche parte e cambierà la realtà sul campo nella Palestina occupata?

Per capire perché tutti i precedenti accordi di riconciliazione tra le due principali fazioni, Fatah e Hamas, sono falliti, dobbiamo porci una ovvia domanda: qual è la base per la riconciliazione tra le due fazioni ideologicamente opposte? Hamas crede nella resistenza per liberare la Palestina dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo), mentre Fatah ha deviato da questa strada, vendendo al mercato degli schiavi degli Accordi di Oslo il sangue di migliaia di eroi che hanno sacrificato la propria vita per la Palestina.

Il movimento Fatah che ha negoziato a Madrid e Oslo e ne subisce gli amari frutti non è lo stesso Fatah che è stato creato sulla base della lotta, della resistenza e della liberazione. I suoi fondatori si sono trasformati in un movimento che criminalizza la resistenza. È una triste ironia e una fine ingloriosa per un grande movimento di liberazione. Eravamo abituati ad essere orgogliosi dell’eroismo dei suoi ‘feddain’ ed a rispettare i suoi leader, ma la leadership è cambiata ed è caduta tra le grinfie dei sionisti e della loro pericolosa ideologia.

Fin da quando il 13 settembre 1993 l’OLP firmò con il nemico sionista gli Accordi di Oslo, in base ai quali Israele venne riconosciuto e la clausola relativa alla lotta armata per liberare la Palestina dal fiume al mare fu stralciata dalla Carta Nazionale, il popolo palestinese è stato perduto. Tutto ciò che ha ottenuto da Oslo è la perdita di più terra e più sangue. Intanto Israele, sotto l’ombrello del cosiddetto processo di pace, ha avuto ciò che non poteva ottenere con la guerra: altra terra storica della Palestina per costruire colonie illegali e l’uccisione e l’arresto di ancor più palestinesi. Il tutto con la collaborazione degli “uomini di Oslo”. Il compito principale delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese è proteggere le colonie e i coloni illegali di Israele e sopprimere la resistenza palestinese.

Quindi di quale riconciliazione stanno parlando i firmatari della Dichiarazione di Algeri? Il documento si aggiungerà al lungo elenco di altri accordi che l’hanno preceduto: un accordo in più da aggiungere all’elenco di quelli che non sono stati applicati. Riconciliazione palestinese: scena uno, ripresa 10… e continuiamo a contare.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Il paradigma umanitario della Palestina serve solo gli interessi israeliani

Ramona Wadi

10 ottobre 2022 Middle East Monitor

Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU, ha ancora una volta sottolineato che l’UN Relief and Works Agency for Palestine Refugees (UNRWA) [Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e il Lavoro per i rifugiati palestinesi, N.d.T.] e gli stessi rifugiati palestinesi sono sottoposti a un ciclo di sfruttamento violento che più che altro soddisfa il paradigma umanitario dell’organizzazione internazionale. Guterres, durante un incontro a latere della 77esima Assemblea Generale dell’ONU, ha invocato ulteriori donazioni per l’agenzia, dicendo che c’è stata una continua discrepanza fra il supporto retorico all’UNRWA e i finanziamenti.

Descrivendo l’agenzia come “una rete di protezione per i più vulnerabili,” Guterres ha aggiunto: “Continuiamo tuttavia a tenere l’UNRWA intrappolata in un limbo finanziario. È ora di abbinare l’enorme sostegno per il mandato con finanziamenti alle sue attività più solidi e prevedibili. Cerchiamo di aiutare l’UNRWA ad aiutare i rifugiati palestinesi. Cerchiamo di investire in pace, stabilità e speranza.”

Anche se l’UNRWA ha certamente fornito servizi essenziali ai rifugiati palestinesi dal 1949, la sua totale dipendenza già agli inizi da fondi esterni non può essere separata dall’abbandono del problema dei rifugiati palestinesi da parte dell’ONU. Il mandato dell’UNRWA doveva essere temporaneo fino a quando non si fosse trovata una soluzione per i rifugiati palestinesi. Eppure, anche prima della sua fondazione, la complicità dell’ONU nel fornire a Israele il quadro complessivo per le espulsioni forzate dei rifugiati palestinesi grazie al Piano di Partizione 1947 ha contribuito alla crisi attuale. Non solo i rifugiati palestinesi dipendono dall’UNRWA, ma l’agenzia stessa dipende quasi totalmente da finanziamenti esterni grazie a donazioni volontarie di Stati membri dell’ONU.

I rifugiati palestinesi sono anche stati isolati dalle politiche del diritto al ritorno che è ora il più usato per giustificare l’esistenza dell’UNRWA. Non è mai stato permesso di esercitare questo legittimo diritto a causa del rifiuto di Israele di accettarlo, anche se l’adesione all’ONU dello Stato occupante dipendeva dal ritorno dei rifugiati. Perciò l’UNRWA è diventata, più o meno, una presenza fissa. Per la comunità internazionale l’esistenza dell’UNRWA, dipendente com’è dalle condizioni di neutralità che generano impunità per il trasferimento forzato dei palestinesi attuato da Israele, è certamente un’opzione migliore che accordarsi collettivamente su un processo di decolonizzazione che permetterebbe il ritorno dei palestinesi alle loro terre. La Risoluzione 194 dell’ONU stipula le condizioni per il diritto al ritorno dei palestinesi, avalla tacitamente il colonialismo e assolve Israele da tutte le responsabilità per aver creato i rifugiati palestinesi fin dall’inizio per fondare un’entità coloniale in Palestina.

Il mese scorso organizzazioni ebraiche e sioniste in Australia hanno citato la solita litania di ragioni e accuse per giustificare il motivo per cui il governo australiano non dovrebbe raddoppiare la sua donazione finanziaria all’UNWRA portandola da 10 a 20 milioni di dollari. “L’UNRWA contribuisce a perpetuare il conflitto,” ha affermato Jeremy Leibler, presidente della Federazione sionista d’Australia. Tuttavia l’unico conflitto è il diretto risultato del colonialismo di Israele e finanziare l’UNRWA è il modo più sicuro per la comunità internazionale di evitare di fare i conti direttamente non solo con Israele, ma anche con la propria complicità.

Forse Guterres potrebbe fare un appello diverso. Per esempio potrebbe invocare un processo di decolonizzazione in parallelo al finanziamento dell’UNRWA che permetterebbe all’agenzia di condurre la propria missione umanitaria con in mente l’obiettivo finale, in contrasto con il pantano in cui l’agenzia e i rifugiati palestinesi sono stati bloccati per decenni. Il paradigma umanitario ha sempre solo servito gli interessi israeliani, e continua a farlo. Guterres non dovrebbe far finta del contrario.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele ritarda il rilascio concordato di un prigioniero dopo 172 giorni di sciopero della fame

Redazione di MEMO

3 ottobre 2022 – Middle East Monitor

Domenica un tribunale israeliano ha rimandato fino ad oggi il rilascio concordato del prigioniero Khalil Awawdeh. Awawdeh di quarant’anni e abitante a Idna, nel distretto di Hebron nella Cisgiordania del sud, ha interrotto lo sciopero della fame il 21 giugno dopo che le autorità israeliane gli avevano promesso che non avrebbero rinnovato la sua detenzione amministrativa.

Una settimana dopo ha ricominciato la sua protesta dopo che le autorità dell’occupazione si sono rimangiate la promessa e hanno deciso di prolungare la sua detenzione. Egli ha interrotto nuovamente lo sciopero della fame il 21 agosto quando si era concordato il suo rilascio il 2 ottobre.

Tuttavia il tribunale israeliano di Rishon LeZion, vicino a Tel Aviv, lo scorso mercoledì ha sentenziato che Awawdeh sarebbe stato trattenuto almeno fino al 9 ottobre. Nondimeno le autorità poi si sono accordate per il rilascio in data odierna, anche se il ministero palestinese dei prigionieri a Gaza si aspettava che ciò avrebbe significato che la detenzione sarebbe ricominciata.

Questa estensione è apparentemente dovuta al fatto che egli è stato accusato di cercare di portare con sé all’infermeria della prigione di Ramla il telefono cellulare che aveva all’ospedale Assaf Harofeh.

Proviamo frustrazione e dolore” ha detto Dalal, la moglie di Awawdeh. “Questa è una occupazione e non è una novità per noi che cerchino di rovinare la gioia e il trionfo di Khalil dopo che si era riconquistato la libertà da loro”.

Amnesty International ha descritto l’uso da parte di Israele della detenzione amministrativa come una “crudele e ingiusta pratica che contribuisce a mantenere il sistema di apartheid di Israele nei confronti dei palestinesi.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Sempre più israeliani accettano la legittimità della resistenza palestinese

Dr Adnan Abu Amer

20 settembre 2022 – Middle East Monitor

Mentre gli atti di resistenza nella Cisgiordania occupata si intensificano, l’esercito occupante israeliano continua la mobilitazione contro “attacchi terroristici” palestinesi. Tuttavia adesso ci sono voci in Israele che rifiutano una simile definizione: dicono che si sta conducendo una guerriglia. La differenza è chiara, ma non è ancora così ovvia per molti in Israele.

La guerriglia che i palestinesi conducono contro i soldati israeliani nei territori occupati gode di un certo grado di legittimazione nell’ambito della ricerca, della letteratura e del diritto internazionale”, hanno affermato molti opinionisti, articoli e dichiarazioni di politici, accademici ed esperti giuridici. “La guerriglia richiede maggior coraggio, perché in questo caso i palestinesi prendono le armi contro soldati israeliani addestrati e perché lottare contro soldati armati risiedendo nei territori occupati è la chiara definizione di guerriglia.”

Sharon Luzon è lettore alla Hebrew Open University, specializzato in questioni militari e di sicurezza, relazioni internazionali e scienze politiche. La sua spiegazione della resistenza palestinese è che: “Finché l’esercito israeliano rimane in Cisgiordania, che ha controllato per 55 anni, la terra è occupata e questi soldati mantengono l’occupazione. I palestinesi li combattono, perciò sono dei combattenti; questa è la loro definizione, oltre al termine ‘combattenti per la libertà’. Anche i coloni che risiedono nei Territori Palestinesi Occupati sono lì per scopi militari, cosa che fa di loro obbiettivi legittimi per i militanti palestinesi, specialmente quando (i coloni) sono adulti armati.”

Nonostante la mobilitazione dell’estrema destra in Israele e nonostante che i politici diano maggior potere all’esercito di occupazione per reprimere i palestinesi in risposta ai recenti attacchi di guerriglia, ci sono però alcune voci israeliane che sono fuori dal coro e rifiutano l’oppressione. Rifiutano di definire attacchi terroristici le azioni di resistenza condotte da militanti palestinesi contro i soldati occupanti e i coloni illegali.

Per esempio, il parlamentare Ofer Cassif non esita ad affermare che “i palestinesi che sparano ai soldati israeliani non sono terroristi, ma guerriglieri, simili ai rivoluzionari che combatterono l’occupazione nazista in Europa durante la seconda guerra mondiale.”

Questo suggerisce che gli israeliani e i loro sostenitori che definiscono “terroristi” i militanti palestinesi cercano di demonizzarli e disumanizzarli allo scopo di alimentare il conflitto. Il cosiddetto “terrorismo” palestinese ci spinge a ripensare a ciò che fecero i “terroristi ebrei” quando ammazzarono i soldati britannici e misero una bomba al mercato arabo di Haifa nel 1938; e quando fecero saltare in aria l’hotel David a Gerusalemme ed uccisero 90 dipendenti britannici e arabi del luogo, per la maggior parte civili, nel 1946; e compirono molte altre orrende azioni. Quello era terrorismo nel vero senso della parola.

E’ vero che israeliani come Luzon e Cassif si oppongono alla violenza, sostengono la lotta nonviolenta contro l’occupazione e non vogliono che nessuno venga ucciso. Al tempo stesso però ritengono che “ogni uomo armato ha il diritto di provocare danni ad una forza militare occupante, in base alle definizioni internazionalmente riconosciute e a quelle delle Nazioni Unite. Queste definizioni affermano che il popolo occupato ha il diritto di usare armi contro l’occupazione, perciò non può essere definito terrorista, in quanto il vero terrorismo è l’occupazione stessa.”

E’ difficile parlare del sorgere di una coscienza collettiva israeliana riguardo alla legittimità della resistenza palestinese. Tuttavia questa tendenza è in crescita da quando un personaggio come il drammaturgo e conduttore televisivo israeliano Yaron London disse, al culmine dell’Intifada di Al Aqsa (2000-2005) e delle azioni di guerriglia che la connotarono, che “le azioni ostili condotte dai palestinesi contro gli israeliani vanno considerate parte della guerra nazionale di liberazione, non terrorismo.”

Inoltre il professore di chimica all’università ebraica nella Gerusalemme occupata, Amiram Goldblum, ha accusato i coloni israeliani di essere terroristi. Il progetto coloniale israeliano, ha detto, è all’origine dell’industria terroristica e questo vero terrorismo iniziò 55 anni fa, nel 1967, quando ebbe inizio il progetto coloniale. Esso ha trasformato ogni abitazione costruita da Israele nei territori palestinesi occupati in una minaccia all’esistenza del popolo di Palestina. Il terrorismo non è solo sparare o usare armi, ma consiste anche nella presenza di coloni che vivono nelle case costruite sulla terra palestinese.”

Goldblum ha aggiunto che “Israele pratica terrorismo di Stato contro i palestinesi e chiunque non protesti contro il terrorismo dello Stato israeliano è complice in un modo o nell’altro.” Nel frattempo, ogni sforzo che possa fermare il terrorismo di Stato è utile ed apprezzabile. Ha sottolineato che alcuni settori della destra israeliana sono considerati neo-nazisti, definendo “ragazzi di Hitler” i membri del movimento di destra “Im Tirtzu”.

Mentre le agenzie di sicurezza, l’esercito e l’amministrazione civile di Israele continuano a controllare le vite dei palestinesi su tutte le terre occupate, gli insediamenti coloniali mirano a controllare la terra tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano senza la presenza dei suoi originari abitanti. Cercano di sfumare i confini tra queste aree e l’occupazione stessa.

Lo schema di controllo sui palestinesi non è un fatto collaterale, ma il nucleo principale del lavoro instancabile di Israele”, ha detto Menachem Klein, lettore all’università Bar Ilan e consulente della delegazione israeliana nei negoziati con l’OLP. “Israele ha sviluppato propri meccanismi per controllare i palestinesi. E’ arrivato al punto di produrre dispositivi di identificazione biometrica, computer avanzati che scansionano testi sui social media e sui telefoni cellulari e processano grandi quantità di dati, oltre allo spionaggio mediante applicazioni come Pegasus. Tutto è finalizzato a controllare i palestinesi.”

Le sue parole comportano una chiara e inequivocabile ammissione che la descrizione delle autorità israeliane dei guerriglieri palestinesi come “terroristi e sabotatori” non convince tutti gli israeliani; che vi è un numero crescente di coloro che sono convinti che la Cisgiordania sia una terra occupata; e che prendere di mira i soldati israeliani in quei luoghi sia un atto di legittima resistenza, conforme al diritto internazionale. Questi israeliani possono mostrare esteriormente di accettare la narrazione dell’esercito, ma nel profondo sono perfettamente coscienti che i palestinesi sono dei combattenti per la libertà in una lotta contro i soldati di un’occupazione illegale e reietta.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




I palestinesi del Cile celebrano la cancellazione da parte di Boric della cerimonia delle credenziali dell’ambasciatore israeliano e si aspettano altro ancora

Eman Abusidu

17 settembre 2022 – Middle East Monitor

Giovedì mattina il trentaseienne Gabriel Boric, il più giovane presidente cileno che sia mai stato eletto, ha rifiutato di ricevere il nuovo ambasciatore israeliano in Cile, Gil Artzyeli, che è stato convocato presso il palazzo presidenziale cileno per presentare le sue credenziali.

La notizia è stata riferita dal giornale cileno Ex-Ante, tuttavia il governo cileno ha negato il fatto, dichiarando che la presentazione dei documenti diplomatici è stata semplicemente rimandata: “Non è stato sospeso, ma gli è stato chiesto di rimandare fino alla seconda settimana di ottobre”. Ex-Ante ha confermato che la decisione è stata presa in considerazione: “a causa dell’uccisione di minori da parte dello Stato di Israele nella recente escalation in Cisgiordania e la crescente attività militare israeliana contro i palestinesi”.

In risposta ad una domanda da parte di Ex-ante, il ministero degli Esteri cileno ha dichiarato: “La presentazione delle credenziali dello Stato di Israele è stata riprogrammata per la seconda settimana di ottobre perchè oggi è un giorno molto sensibile a causa dell’uccisione di un ragazzo nella Cisgiordania”. Artzyeli afferma che il ministero degli Esteri cileno si è scusato con lui e con il governo israeliano per il rinvio [della cerimonia, ndt.].

Il rifiuto di Boric di ricevere il nuovo ambasciatore israeliano è stato accolto calorosamente dalla comunità palestinese in Cile. La comunità palestinese si è precipitata a complimentarsi per la decisione di Boric mediante una dichiarazione firmata dal suo presidente, Maurice Khamis Massu. La dichiarazione afferma: “La comunità palestinese del Cile apprezza molto la decisione del presidente Gabriel Boric Font di rimandare la cerimonia di accettazione delle credenziali diplomatiche del nuovo ambasciatore israeliano, perché l’esercito di occupazione israeliano ha ucciso l’adolescente Oday Salah, abitante di Kafr Dan a Jenin, nei territori palestinesi occupati.”

Massu ha anche ringraziato il presidente per il suo continuo appoggio a favore della Palestina: “Crediamo fermamente che fino a quando il mondo continuerà a trattare Israele e i suoi diplomatici come se niente fosse, la situazione dei palestinesi non migliorerà. Israele commette sistematicamente crimini di guerra, crimini contro l’umanità, violazioni dei diritti umani e sottomette la popolazione palestinese ad un regime di apartheid.