Sabra e Shatila: una lezione di vasta portata

Ramzy Baroud

12 settembre 2022 – Middle East Monitor

Il quarantesimo anniversario del massacro di Sabra e Shatila cade il 16 settembre. Circa 3.000 profughi palestinesi furono uccisi dalle milizie falangiste libanesi che agivano sotto il comando dell’esercito israeliano.

Sono passati quattro decenni, eppure i sopravvissuti dell’eccidio o i parenti delle vittime non hanno ottenuto giustizia. Da allora molti sono morti e altri invecchiano, con le cicatrici di ferite fisiche e psicologiche, sperando che, forse, durante il corso della vita, vedranno i carnefici dietro le sbarre.

In ogni caso molti dei comandanti israeliani e falangisti che ordinarono l’invasione del Libano e orchestrarono o eseguirono gli efferati massacri nei due campi di profughi palestinesi nel 1982 sono già morti. Ariel Sharon che, un anno dopo, fu accusato per la sua “responsabilità indiretta” nel macabro omicidio di massa e stupri dalla Commissione ufficiale israeliana Kahan, in seguito fece carriera e divenne il primo ministro di Israele nel 2001. Morì nel 2014.

Anche prima della strage a Sabra e Shatila, il nome di Sharon era sempre stato sinonimo di eccidi e distruzioni su larga scala. Nel 1953 fu la cosiddetta “Operazione Shoshana” nel villaggio di Qibya, nella Cisgiordania palestinese, [quando a capo dell’Unità 101 fece saltare 45 abitazioni uccidendo 69 persone, ndt.] che guadagnò a Sharon la sua infamante reputazione. Se in seguito all’occupazione israeliana di Gaza nel 1967 il generale israeliano divenne noto come “il bulldozer”, dopo Sabra e Shatila diventò “il macellaio”.

Anche il primo ministro israeliano dell’epoca, Menachem Begin, è morto. Non mostrò mai rimorso per l’uccisione di oltre 17.000 libanesi, palestinesi e siriani durante l’invasione israeliana del Libano nel 1982. La sua reazione d’indifferenza verso i delitti nei campi profughi nei quartieri occidentali di Beirut incarna l’atteggiamento israeliano verso tutte le uccisioni di massa e tutti i massacri compiuti contro i palestinesi negli ultimi 75 anni: “I goyim uccidono i goyim,” [gentili, non ebrei, ndt.] disse “e danno la colpa agli ebrei.”

Testimoni che arrivarono a Sabra e Shatila dopo i giorni del massacro descrivono una realtà che richiede una profonda riflessione, non solo fra palestinesi, arabi e specialmente israeliani, ma da parte dell’intera umanità.

La giornalista americana Janet Lee Stevens, scomparsa nel 1983, descrisse ciò a cui aveva assistito: “Ho visto donne morte nelle loro case con le gonne sollevate fino alla cinta e le gambe spalancate, decine di ragazzi a cui avevano sparato dopo averli messi in fila davanti al muro di un vicoletto, bambini con le gole tagliate, una donna incinta con l’addome martoriato, gli occhi spalancati, la faccia annerita in un silenzioso urlo d’orrore, innumerevoli bimbi e neonati accoltellati o squartati buttati su mucchi di immondizia.”

La dottoressa Swee Chai Ang era appena arrivata in Libano come chirurga volontaria, assegnata alla Società della Mezzaluna Rossa [la Croce Rossa nei Paesi musulmani, ndt.] nell’ospedale di Gaza a Sabra e Shatila. Il suo libro, From Beirut to Jerusalem: A Woman Surgeon with the Palestinians [Da Beirut a Gerusalemme: una chirurga tra i palestinesi] ,resta una delle letture più critiche sull’argomento.

In un recente articolo la dottoressa Swee ha scritto che alla pubblicazione delle fotografie dei “cumuli di cadaveri nelle stradine del campo”, era seguito uno sdegno internazionale, ma di breve durata: “Le famiglie delle vittime e i sopravvissuti furono rapidamente lasciati soli a tirare avanti con le proprie vite e rivivere il ricordo di quella doppia tragedia del massacro e delle precedenti dieci settimane di bombardamenti intensivi da terra, aria e mare e il blocco di Beirut durante l’invasione.”

Le perdite libanesi e palestinesi nella guerra israeliana furono devastanti in termini di numeri. Comunque la guerra cambiò per sempre anche il Libano e, in seguito all’esilio forzato di migliaia di palestinesi, oltre a tutti i leader dell’OLP, le comunità palestinesi nel Paese rimasero politicamente vulnerabili, socialmente svantaggiate ed economicamente isolate.

La storia di Sabra e Shatila non è stata solo un capitolo nero di un’era passata, ma un’ininterrotta crisi morale che continua a definire le relazioni di Israele con i palestinesi, mettendo in luce la trappola demografica e politica in cui vivono numerose comunità palestinesi in Medio Oriente e accentuando l’ipocrisia della comunità internazionale, dominata dall’Occidente che sembra preoccuparsi solo di alcuni tipi di vittime, ma non di altri.

Nel caso dei palestinesi le vittime sono spesso ritratte dai governi e dai media occidentali come aggressori. Anche durante la spaventosa guerra israeliana contro il Libano 40 anni fa alcuni leader occidentali ripetevano l’abusato mantra che “Israele ha il diritto di difendersi.” È questo incrollabile sostegno a Israele che ha reso l’occupazione israeliana, l’apartheid e l’assedio di Cisgiordania e Gaza politicamente possibili e finanziariamente sostenibili, anzi redditizi.

Se non fosse per il supporto militare, finanziario e politico americano e occidentale Israele sarebbe in grado di invadere e massacrare a piacimento? La risposta è un netto “no”. A coloro che mettono in dubbio questa conclusione basterebbe solo considerare il tentativo, nel 2002, dei sopravvissuti dei massacri dei campi profughi libanesi di considerare responsabile Ariel Sharon. Hanno portato la loro causa in Belgio, sfruttando una legge belga che permetteva [di avviare] un’azione penale contro sospettati di crimini di guerra internazionali. Dopo varie contrattazioni, ritardi e intensa pressione da parte del governo USA, il tribunale belga archiviò del tutto il caso. Alla fine Bruxelles cambiò le proprie leggi per garantire che queste crisi diplomatiche con Washington e Tel Aviv non si ripetessero.

Comunque per i palestinesi il caso non sarà mai chiuso. Kifah Sobhi Afifi’, nel suo saggio “Avenging Sabra and Shatila” [Vendicare Sabra e Shatila], ha descritto l’attacco congiunto falangista-israeliano contro il suo campo profughi quando aveva solo 12 anni.

“Quindi siamo scappati, cercando di stare il più vicino possibile ai muri del campo,” ha scritto. “È stato in quel momento che ho visto le montagne di cadaveri tutto intorno a noi. Bambini, donne e uomini, mutilati o che gemevano dal dolore mentre spiravano. Ovunque volavano le pallottole. Intorno a me la gente cadeva, abbattuta. Ho visto un padre che con il corpo cercava di proteggere i propri figli. Tutti furono comunque uccisi.”

Kifah ha perso parecchi familiari. Anni dopo si unì a un gruppo della resistenza palestinese e, dopo un raid sul confine libanese-israeliano, fu arrestata e torturata in Israele.

I massacri israeliani intendono porre termine alla resistenza palestinese ma senza volerlo la alimentano. Mentre Israele continua ad agire impunemente, anche i palestinesi continuano a resistere. Questa non è solo la lezione di Sabra e Shatila, ma anche la più ampia lezione su vasta scala dell’occupazione israeliana della Palestina.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale del Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Un esperto di antisemitismo sostiene che i progressisti “hanno il diritto di escludere i sionisti”

Nasim Ahmed

7 settembre 2022-Middle East Monitor

 

Un importante esperto di antisemitismo ha affermato che i gruppi dei campus universitari “hanno il diritto di escludere i sionisti”. Scrivendo sul Times of Israel, Kenneth Stern ha affermato che, sebbene possa essere “offensivo” e controproducente, il diritto dei gruppi progressisti di escludere i sostenitori dello stato di occupazione deve essere rispettato. Stern è un avvocato statunitense che ha avuto un ruolo chiave nella stesura della controversa definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA).

Il suo intervento fa seguito al crescente dibattito sull’esclusione degli studenti sionisti dagli spazi progressisti. Fondato sugli ideali etno-nazionalisti del sionismo, Israele è visto da lungo tempo nei circoli progressisti come un paese razzista che sostiene il colonialismo di insediamento e la pulizia etnica. Questo punto di vista si è progressivamente diffuso negli ultimi tempi dopo che importanti gruppi per i diritti umani hanno accusato Israele di commettere il crimine di apartheid.

Con il sionismo sempre più visto come un’ideologia razzista e imperialista, i gruppi che sostengono l’uguaglianza, i diritti umani, i diritti delle minoranze e i valori progressisti in generale, escludono sempre più spesso i sostenitori di Israele dai loro spazi. Ciò è accaduto nonostante le affermazioni che il sionismo e l’affinità elettiva con lo stato dell’apartheid siano parti intrinseche dell’identità ebraica. I critici, tuttavia, hanno a lungo messo in discussione questa argomentazione e hanno respinto l’affermazione che un’ideologia politica dovrebbe essere trattata come una “categoria da proteggere [dalle discriminazioni, ndt.]” allo stesso modo del genere, della religione e della razza.

La recente polemica sulla definizione dell’IHRA è in gran parte una richiesta da parte di gruppi filo-israeliani di un consenso più ampio nel sostenere la loro affermazione che il sionismo e il sostegno allo Stato di Israele siano accettati come una categoria del genere. È una forma di difesa eccezionalista che viene respinta in blocco quando altri gruppi nella società fanno richieste simili. Ad esempio, l’ideologia politica dell'”islamismo” o il desiderio di creare uno “Stato islamico” non solo sono violentemente contrastati e condannati, ma anche qualsiasi musulmano che insista affinché le proprie opinioni politiche e la propria religione ricevano una protezione speciale viene prontamente e giustamente respinto.

Un esempio simile sarebbe se il governo indiano del BJP di estrema destra sotto il primo ministro Narendra Modi e i sostenitori di Hindutva [forma predominante di nazionalismo indù, ndt.] affermassero che è razzista e anti-indù mettere in discussione la loro richiesta di creare uno Stato esclusivamente indù. Come sta diventando sempre più chiaro, nella loro ricerca di rimodellare l’India come Stato indù, gli estremisti Hindutva si sono messi in rotta di collisione con la costituzione laica del Paese. L’istanza che l’India sia l’unico stato indù al mondo non dovrebbe fare la differenza, ma l’obiettivo è comunque la riforma dell’India come Stato etno-religioso che offre diritti e privilegi speciali agli indù all’interno di un sistema di cittadinanza a più livelli [di diritti, ndt] Lo stato modello che questi indù aspirano a replicare è Israele. Il parallelo tra le due ideologie è un potente esempio dello status speciale concesso al sionismo.

A Israele e ai suoi sostenitori viene concesso un privilegio che non è esteso a nessun’altra comunità politica. Gli enti pubblici e le istituzioni private in tutto il mondo occidentale non solo hanno acconsentito alla loro richiesta, ma hanno anche adottato la presunta “definizione funzionale” di antisemitismo prodotta dall’IHRA che confonde le legittime critiche a Israele e al sionismo con il razzismo antiebraico.

Stern non compara il sionismo a ideologie simili nel resto del mondo, ma insiste nel trattare Israele e la sua ideologia fondante allo stesso modo di qualsiasi altra ideologia politica e dei suoi seguaci. Il diritto di criticare liberamente senza essere etichettato come razzista dovrebbe essere salvaguardato, sostiene. Ammette che il sionismo stesso è termine controverso ma, tuttavia, i sentimenti su ciò che il sionismo significa personalmente per alcuni ebrei non dovrebbero essere una scusa per reprimere la libertà di parola etichettando le persone come “antisemiti” per aver criticato l’ideologia fondatrice di Israele.

Commentando le diverse percezioni del sionismo e le ragioni per cui i progressisti escludono i sostenitori di Israele, Stern ha detto: “Alcuni studenti progressisti possono interpretare il sionismo come un termine per il trattamento riservato da Israele ai palestinesi; altri possono comprendere il sionismo come la maggior parte degli studenti ebrei: il diritto degli ebrei all’autodeterminazione nella loro patria storica”.

Ha spiegato che un numero significativo e crescente di ebrei è “agnostico” riguardo al sionismo o è antisionista, il che sembra suggerire che il sionismo e l’affinità con Israele non sono così rilevanti per l’identità ebraica come affermano i gruppi filo-israeliani.

“Gli studenti antisionisti possono pensare che lasciare che un sionista lavori tra loro equivalga a non considerare se qualcuno sia nazista”, ha detto Stern, “proprio come alcune organizzazioni ebraiche potrebbero ritenere che ammettere ebrei che sostengono il Boicottaggio/Disinvestimento/Sanzioni (Il movimento BDS) contro Israele sia sottovalutarne l’antisemitismo”. Stern non è d’accordo con entrambe le posizioni ma gli studenti del campus devono poter scegliere la loro politica.”

Alle prese con la questione centrale del pezzo sul Times of Israel — se sia antisemita escludere i sionisti dagli spazi progressisti — Stern difende il diritto dei gruppi progressisti ad essere selettivi. “Se un gruppo decide che per essere un membro bisogna avere una visione particolare di Israele e del sionismo, il diritto a prendere tale decisione deve essere rispettato. Chi non è ammesso, anche se l’esclusione fa male, può trovare altri modi per esprimersi, anche creando nuovi gruppi e coalizioni”.

Stern ha criticato il modo in cui la definizione IHRA di antisemitismo è stata utilizzata da gruppi filo-israeliani contro i critici dello Stato di apartheid. Il suo ultimo intervento è un’altra difesa della libertà di associazione e di parola contro ciò che molti dicono essere una repressione delle voci pro-palestinesi e contro i pericoli di sovrapporre antisionismo ad antisemitismo.

“I gruppi ebraici hanno usato la definizione come arma per affermare che le espressioni antisioniste sono intrinsecamente antisemite e devono essere soppresse”, aveva scritto Stern sul Times of Israel due anni fa. Le preoccupazioni da lui sollevate rafforzano l’affermazione che la lotta contro l’antisemitismo, come sostiene il commentatore ebreo americano Peter Beinart, ha “perso la strada”.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Il capo di stato maggiore delle IDF afferma che sono stati arrestati 1.500 palestinesi

Redazione di MEMO

6 settembre 2022 – Middle Est Monitor

Media locali hanno riferito che il capo di stato maggiore delle forze armate israeliane Aviv Kohavi ha dichiarato che circa 1500 ricercati palestinesi sono stati arrestati nella Cisgiordania occupata e centinaia di attacchi sono stati sventati finora come parte dell’operazione ‘Rompere l’onda’, che è stata iniziata alla fine di marzo.

Durante una riunione militare Kohavi ha aggiunto che l’incremento delle operazioni ha origine nella inefficacia dei meccanismi di sicurezza della Autorità Nazionale Palestinese (ANP) che causa la mancanza di controllo in certe aree della Cisgiordania.

Come sempre, anche di fronte a questo cambiamento della situazione, il nostro compito è proteggere i cittadini di Israele e la nostra missione è di contrastare il terrorismo. Raggiungeremo ogni città, quartiere, vicolo, casa o scantinato per quello scopo. La nostra attività continuerà e siamo preparati ad intensificarla secondo le necessità”, è stato citato dal Times of Israel.

La nostra attività continuerà e siamo preparati ad incremementarla in base alle necessità” ha aggiunto.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Cisgiordania: scontri e arresti nel territorio occupato

Redazione di MEMO

24 agosto 2022 – Middle East Monitor

La notte scorsa le forze di occupazione israeliane hanno lanciato una campagna di incursioni nella Cigiordania occupata. Dopo essersi scontrati con le forze di sicurezza, un certo numero di palestinesi è stato arrestato non appena gli scontri hanno avuto luogo in alcune aree. Spari sono stati uditi quando gli israeliani hanno assaltato la città di Jenin e il suo campo profughi.

Secondo l’esercito di occupazione israeliano, 14 palestinesi sono stati arrestati e sottoposti a interrogatorio sulla base del prestesto di aver partecipato alle attività di resistenza popolare. L’esercito ha anche dichiarato che sono state sequestrate delle armi.

È stato riportato che le forze di occupazione hanno assaltato all’alba varie città nei governatorati di Nablus, Hebron, Ramallah e Jenin. Dopo che le forze speciali israeliane sono entrate nel campo profughi di Jenin e hanno circondato una casa, rinforzi militari sono stati inviati nel corso di uno scontro a fuoco tra gli abitanti palestinesi e i soldati di occupazione. Sia le brigate dei martiri di Al-Aqsa che le brigate di Al-Quds a Jenin hanno affermato di essersi scontrati con le truppe israeliane nei vicoli e nelle strade del campo profughi.

Il Club dei prigionieri palestinesi [una ONG palestinese, ndt.] ha affermato che gli arrestati a Jenin sono Imad Abu Al-Heija, Issam Abu Khalifa, Majdi Huwail, Kazem Huwail e Suhaib Issa. A Ramallah gli israeliani hanno arrestato gli ex-detenuti Mustafa Nakhleh dopo aver fatto irruzione nella sua casa nel campo di Jalazun e Ahmad Hajjaj Al-Rimai di Beit Rima, che ha passato 17 anni nelle prigioni israeliane. Hanno inoltre arrestato l’ex-detenuto Asim Al-Kaabi di Al-Bireh che ha passato 18 anni in prigione. Per altri tre sono stati emessi ordini di comparizione presso il locale centro di intelligence.

Altrove, durante un’incursione nella sua casa a Silwad è stato arrestato Muhammad Ezzat, mentre a Nablus è stato arrestato anche l’ex prigioniero Montaser Al-Shannar, così come un altro ex prigioniero, Awni Al-Shakhshir. Nel contempo a Betlemme, nella sua casa nel campo profughi di Al-Izza, è stato arrestato l’ex-detenuto Muhammad Mustafa Al-Najjar.

Nel governatorato di Hebron, decine di abitanti, inclusi bambini, hanno sofferto per l’inalazione di gas lacrimogeni quando i candelotti di gas sono stati sparati dalle truppe israeliane nel campo profughi di Al-Aroub.

Ad Abu Dis, nella parte est di Gerusalemme occupata, secondo fonti mediche locali un giovane palestinese è stato colpito al capo con un proiettile di gomma. È stato ferito durante gli scontri che sono scoppiati nella città dopo il funerale della martire Mai Afana [uccisa più di un anno fa e che secondo l’esercito israeliano avrebbe cercato prima di investire e poi accoltellare soldati, N.d.T.].

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Ben & Jerry’s chiede un decreto ingiuntivo per impedire le vendite in Cisgiordania.

Martedì 9 agosto 2022 – Middle East Monitor

La società di gelati Ben & Jerry’s sta cercando di impedire alla società controllante Unilever Plc di trasferire la proprietà intellettuale e il marchio ad una società israeliana. Il caso è all’esame del tribunale federale del distretto sud di New York.

Un decreto ingiuntivo impedirà le vendite dei prodotti della società in Israele-Cisgiordania occupata, che il produttore di gelati aveva affermato essere contrarie ai suoi principi. Tuttavia il giudice del distretto USA Andrew Carter ha dichiarato ieri durante l’udienza che non era sicuro che Ben & Jerry’s avesse dimostrato di aver dovuto affrontate un danno immediato in seguito alla vendita da parte dell’Unilever della proprietà intellettuale e del marchio al licenziatario locale Avi Zinger.

Il 5 luglio Ben & Jerry’s ha citato Unilever, proprietaria sin dal 2000 della società con sede a Burlington nel Vermont, per cercare di bloccare la vendita della sua attività in Israele a Zinger. Lo scorso anno la società ha affermato di non voler più vendere i propri prodotti nella Cisgiordania occupata perché ciò non è “compatibile” con i propri principi. Questo ha indotto la Unilever a stringere un accordo con Zinger per rendere disponibile il gelato a tutti i consumatori in Israele e nei territori palestinesi occupati.

Sebbene la vertenza cerchi anche di bloccare la vendita, l’udienza di ieri era dedicata al fatto che Ben & Jerry’s possa sostenere una ingiunzione temporanea per impedire a Zinger di vendere prodotti nuovi o rimarchiati usando i suoi marchi registrati in lingua inglese.

Durante l’udienza il legale della società, Shahmeer Halepota, ha affermato che Zinger potrebbe produrre nuovi prodotti “in senso esattamente opposto” causando confusione al consumatore. “Invece di ‘ghiaccioli di pace’ potrebbe produrre ‘ghiaccioli carro armato’”, ha affermato Halepota, e i consumatori vedrebbero entrambi mentre camminano nel reparto di un supermercato.

Inoltre, secondo il Times of Israel, nell’udienza in tribunale i legali di Ben & Jerry’s hanno argomentato che “Ben & Jerry Israel” potrebbe usurpare l’immagine della società con un nuovo gusto e cambiando il suo marchio. I legali hanno sostenuto che per esempio Ben & Jerry’s potrebbe produrre un gusto a supporto dei palestinesi e la sede israeliana potrebbe prendere lo stesso gusto e marchiarlo come a favore delle colonie. La società considera il marchio riguardante la sua l’attivismo sociali come la chiave del successo della propria attività economica.

Il giudice non ha emesso subito la sentenza ma ha detto al legale di Ben & Jerry: “Non ho sentito nulla relativo a qualcosa di imminente. Non sembra … che niente stia per accadere nelle prossime settimane” ha riferito Reuters. Non ha detto quando avrebbe emesso la sentenza.

Unilever possiede più di 400 marchi, ivi inclusi il sapone Dove, la maionese Hellmann’s, la zuppa Knorr e la lozione per la pelle Vaseline.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Kafr Qasim non fu solo un massacro, ma parte di un piano di pulizia etnica

Motasem A Dalloul

1 agosto 2022-Middle East Monitor

Venerdì gli archivi delle forze di occupazione israeliane hanno rilasciato documenti giudiziari relativi al processo contro i soldati israeliani che massacrarono brutalmente 49 palestinesi il 29 ottobre 1956. Il massacro ebbe luogo nella città palestinese di Kafr Qasem.

Era il primo giorno dell’invasione israeliana, britannica e francese del Sinai, avvenuta in risposta alla chiusura del Canale di Suez da parte dell’Egitto. Israele impose il coprifuoco notturno sulla maggior parte delle aree ad alta popolazione palestinese (araba) in Israele.

Il defunto generale di brigata, Issachar Shadmi era il comandante della brigata dell’esercito israeliano che occupava Kafr Qasem, situata al centro della Palestina recentemente occupata che divenne Israele, ovverosia vicino alla linea dell’armistizio con la Giordania, che allora controllava la Cisgiordania. Ordinò che quel giorno il coprifuoco iniziasse prima e impose ai suoi ufficiali di applicarlo rigorosamente

I contadini palestinesi o arabi, che si trovavano nelle loro fattorie fuori dal villaggio, tornarono a casa senza sapere nulla degli aggiornamenti relativi al coprifuoco. Gli agenti di polizia di frontiera comandati da Shadmi aprirono senza pietà il fuoco contro i contadini disarmati, uccidendo 49 persone, tra cui anziani, donne e bambini

Il massacro fu ampiamente condannato, anche da funzionari del governo di occupazione israeliano, che mandarono Shadmi e gli altri ufficiali coinvolti nel massacro a processo e li condannarono tutti. Gli ufficiali trascorsero un periodo molto breve in prigione prima di ottenere la grazia presidenziale.

Per quanto riguarda Shadmi, all’epoca il più alto ufficiale della zona, i giudici gli ordinarono di pagare una multa di 10 centesimi, secondo Haaretz, per aver modificato il coprifuoco senza l’approvazione del governatore militare. I giudici stabilirono che lo aveva fatto “in buona fede”. In questo modo fu chiusa la questione della strage, ma gli atti del tribunale rivelati venerdì hanno esposto nuovi fatti al riguardo.

La trascrizione [della testimonianza, ndt] di Haim Levy, che era un comandante di compagnia, mostra che c’era un ordine esplicito di sparare ai palestinesi che avessero infranto il coprifuoco senza sapere del cambiamento dell’ora di inizio. Levy affermò anche, secondo i documenti del tribunale, che il comandante di battaglione, Shmuel Malinki gli disse: “È auspicabile che ci sia un certo numero di vittime”.

Milinki disse alla corte di aver risposto ai soldati, che gli chiedevano come avrebbero dovuto comportarsi con i palestinesi che non erano a conoscenza del cambiamento dei tempi del coprifuoco, che avrebbero dovuto ucciderli. “Allah yerhamu”, disse in arabo. Significa: “Che Dio abbia pietà di loro”. Ciò dimostra che prima del massacro erano stati predisposti dei piani per uccidere i palestinesi.

Per dimostrare che l’uccisione intenzionale di palestinesi era un ordine importante legato alla situazione a Kafr Qasim il comandante Gabriel Dahan affermò, secondo il Jerusalem Post, che Melinki gli disse “mettiamo da parte i sentimenti, è meglio avere qualche morto perché ci sia pace nella zona”.

Durante le udienze i soldati israeliani menzionarono, più volte, un piano chiamato “Hafarferet” (“Talpa”), che era stato preparato per essere attuato durante l’invasione del Sinai, ma Israele volle che iniziasse “spontaneamente”, per non risultare, come l’invasione dell’Egitto, ufficialmente avviato dal suo esercito.

Levy affermò che come parte di questa operazione c’erano misure intese a spostare i palestinesi dalle loro case, inclusa l’imposizione del coprifuoco, la confisca di proprietà e lo spostamento di interi villaggi da un luogo all’altro. Secondo il Jerusalem Post, Levy disse che, nel caso di Kafr Qasim, “l’intera popolazione del villaggio doveva essere trasferita a Tira”.

L’obiettivo non era solo quello di spostare i palestinesi da un’area a un’altra all’interno della Palestina o di Israele, ma anche di spostarli fuori dal paese. Levy affermò che alle forze di occupazione israeliane fu detto “di non mettere vedette e posti di blocco sul lato orientale [di Kafr Qasim] in modo che se gli arabi avessero deciso di fuggire, avrebbero potuto oltrepassare col consenso il confine giordano [Linea dell’armistizio]”.

Levy disse anche di aver capito che c’era un legame diretto tra sparare ai palestinesi che avevano violato il coprifuoco e cambiare la composizione demografica di Israele. “Il collegamento è che, di conseguenza, parte della popolazione si sarebbe spaventata e avrebbe deciso che era meglio vivere dall’altra parte. È così che lo interpreto”, disse ai giudici, secondo l’agenzia di stampa Wafa.

Tutti questi fatti provano che il massacro di Kafr Qasim faceva parte di un’operazione di pulizia etnica e che i successivi procedimenti giudiziari, tenuti segreti per più di sei decenni, furono solo un tentativo di mascherare i crimini dell’esercito di occupazione israeliano.

Questo è normale in Israele, che ha una lunga storia di queste ingiustizie. Il tribunale israeliano ritenne che Shadmi, che fu multato di soli 10 centesimi per aver brutalmente comandato il massacro di 49 palestinesi, avesse agito “in buona fede”.

Il suo collega alla Kadoorie Agricultural High School, Yitzhak Rabin, la cui sanguinosa storia include l’uccisione di circa 1.000 prigionieri egiziani quando era comandante in capo durante la guerra del 1967, è stato nominato vincitore del Premio Nobel per la Pace solo per aver affermato di aver raggiunto un accordo di pace con i palestinesi.

Moshe Dayan, Menachem Begin, Yitzhak Shamir e altri hanno massacrato palestinesi e versato molto sangue palestinese e israeliani e non israeliani li chiamano eroi. Anche i leader israeliani di oggi stanno facendo lo stesso. L’attuale ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, orgoglioso di aver bombardato Gaza [riportandola fino, ndt] all’età della pietra, è ancora descritto come una “colomba della pace”.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




La vergognosa “Lista nera” delle Nazioni Unite: equivalenza tra colpevole israeliano e vittima palestinese

Ramzy Baroud

18 luglio 2022 – Middle East Monitor

“Ci dispiace di non essere riusciti a proteggerti.”Questa frase fa parte di una dichiarazione rilasciata dagli esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite il 14 luglio, in cui si esorta il governo israeliano a rilasciare il prigioniero palestinese Ahmad Manasra. Arrestato e torturato dalle forze israeliane a soli 14 anni, Manasra ora ha 20 anni. Il suo caso è una raffigurazione del trattamento complessivamente disumano che Israele riserva ai minori palestinesi.

La dichiarazione degli esperti è forte e sincera. Accusa Israele di aver privato il giovane Manasra “della sua infanzia, dell’ambiente familiare, della protezione e di tutti i diritti che avrebbero dovuto garantirgli da piccolo”. Definisce il caso come “inquietante”, considerando le “condizioni mentali in via di deterioramento” di Manasra. La dichiarazione va oltre, affermando che questo caso … è una macchia su tutti noi come parte della comunità internazionale per i diritti umani”.

La condanna di Israele per il maltrattamento dei minorenni palestinesi, che siano quelli sotto assedio nella Gaza colpita dalla guerra o sotto occupazione militare e apartheid nel resto dei territori occupati in Cisgiordania e Gerusalemme est, è usuale.

Eppure, in qualche modo, a Israele è stato comunque risparmiato un posto nell’elenco poco lusinghiero, pubblicato ogni anno dal Segretario generale delle Nazioni Unite, che cita e denuncia pubblicamente governi e gruppi che commettono gravi violazioni contro bambini e minori in qualsiasi parte del mondo.

Stranamente il rapporto riconosce il raccapricciante primato di Israele nella violazione dei diritti dei minorenni in Palestina. Descrive in dettaglio alcune di queste violazioni, che i collaboratori delle Nazioni Unite hanno verificato direttamente. Ciò include “2.934 gravi violazioni contro 1.208 minorenni palestinesi” solo nel 2021. Tuttavia, il rapporto equipara il primato di Israele, uno dei più tristi al mondo, a quello dei palestinesi, cioè al fatto che in tutto il 2021 9 minorenni israeliani sono stati vittime della violenza palestinese.

Sebbene provocare volutamente dei danni nei confronti di anche solo un minore sia deplorevole indipendentemente dalle circostanze o dall’autore, è sbalorditivo che il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres abbia ritenuto appropriato equiparare l’evento abituale delle violazioni sistematiche perpetrate dall’esercito israeliano ai danni recati, intenzionalmente o meno, ai 9 minori israeliani da gruppi armati palestinesi.

Occupandosi dell’evidente discrepanza tra le vittime minorenni palestinesi e quelle israeliane, il rapporto delle Nazioni Unite ha raggruppato tutte le categorie per distrarre dall’identità dell’autore, riducendo così l’attenzione sui crimini israeliani. Ad esempio, il rapporto afferma che un totale di 88 bambini sono stati uccisi in tutta la Palestina, di cui 69 a Gaza e 17 in Cisgiordania e Gerusalemme est. Tuttavia, il rapporto analizza questi omicidi in modo tale da mettere assieme i minori palestinesi e israeliani come se si cercasse intenzionalmente di confondere il lettore. Con una lettura attenta si scopre che tutti questi omicidi, tranne due, sono stati perpetrati dalle forze israeliane.

Inoltre il rapporto utilizza la stessa logica per analizzare il numero di minori mutilati nel conflitto, sebbene dei 1.128 mutilati solo 7 fossero israeliani. Dei restanti, 661 sono stati mutilati a Gaza e 464 in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est.

Il rapporto prosegue incolpando “gruppi armati palestinesi” per alcune delle vittime palestinesi, che sarebbero rimaste ferite a seguito di “incidenti che hanno coinvolto minorenni che si trovavano nei pressi di esercitazioni militari”. Supponendo che sia così, incidenti di questa natura non possono essere considerati “gravi violazioni” in quanto, secondo la stessa definizione dell’ONU, sono accidentali.

L’analisi confusa di questi dati, tuttavia, non è di per sé casuale, in quanto ha concesso a Guterres la possibilità di dichiarare che “se la situazione si ripetesse nel 2022 senza miglioramenti significativi, Israele dovrebbe essere inserito nell’elenco”.

Peggio ancora, il rapporto di Guterres è andato oltre nel rassicurare gli israeliani che sono sulla strada giusta affermando che “finora quest’anno non abbiamo assistito a un numero simile di violazioni”, come a suggerire che il governo israeliano di destra di Naftali Bennett e Yair Lapid ha volutamente cambiato la politica riguardo a individuare come bersaglio minori palestinesi. Naturalmente non esiste nessuna prova di questo tipo.

Il 27 giugno, Defense for Children International-Palestine (DCIP) [ONG internazionale impegnata nella promozione e difesa dei diritti del fanciullo, ndt.] ha riferito che dall’inizio del 2022 Israele “ha intensificato le sue aggressioni” contro i minori in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Il DCIP ha confermato che ben 15 minorenni palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane nei primi sei mesi del 2022, quasi lo stesso numero di morti nelle stesse zone nel corso dell’intero anno precedente. Questa cifra include 5 minori nella sola città occupata di Jenin. Israele ha anche preso di mira i giornalisti che hanno tentato di riferire su queste violazioni, tra cui la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, che è stata uccisa l’11 maggio, e Ali Samoudi, che è stato colpito alla schiena lo stesso giorno.

Si può dire molto di più, ovviamente, sull’assedio di centinaia di migliaia di minorenni nella Striscia di Gaza, nota come la “prigione a cielo aperto più grande del mondo”, e molti altri nella Cisgiordania occupata. La mancanza di diritti umani fondamentali, comprese le medicine salvavita e, nel caso di Gaza, l’acqua potabile, non suggerisce alcun tangibile miglioramento nel bilancio di Israele per quanto riguarda i diritti dei minori palestinesi.

Se pensate che il rapporto delle Nazioni Unite sia un passo nella giusta direzione, ricredetevi. Il 2014 è stato uno degli anni più tragici per i minori palestinesi in cui, secondo un precedente rapporto delle Nazioni Unite, 557 minorenni sono stati uccisi e 4.249 feriti, la stragrande maggioranza dei quali è stata presa di mira durante la guerra israeliana a Gaza. Human Rights Watch [ONG internazionale che si occupa dei diritti umani, ndt.] ha affermato che il numero di palestinesi uccisi “è stato in quell’anno il terzo più alto al mondo”. Tuttavia Israele non è stato inserito nella “Lista della vergogna” delle Nazioni Unite. Il messaggio chiaro qui è che Israele può prendere di mira i bambini palestinesi a suo piacimento, poiché non dovrà scontare alcuna conseguenza legale, politica o morale per le sue azioni.

Questo non è ciò che i palestinesi si aspettano dalle Nazioni Unite, un’organizzazione che presumibilmente esiste per porre fine ai conflitti armati e portare pace e sicurezza per tutti. Per ora, il messaggio inviato dalla più grande istituzione internazionale del mondo a Manasra e al resto dei minori palestinesi rimane invariato: “Siamo spiacenti di non essere riusciti a proteggervi”.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’Inglese di Aldo Lotta)




Israele porta avanti una campagna di arresti nella Cisgiordania occupata

Redazione di MEMO

Lunedì 18 luglio 2022 – Middle East Monitor Le forze di occupazione israeliane hanno lanciato una massiccia campagna di arresti in un certo numero di città e villaggi in tutta la Cisgiordania occupata. Le forze sono state affrontate dagli abitanti, che hanno tentato di impedire le incursioni.

All’alba di lunedì le forze israeliane hanno effettuato incursioni in quartieri di Ramallah, Betlemme, Nablus ed Hebron e anche nel campo profughi di Jalazone. Almeno dieci palestinesi sono stati arrestati durante le ultime retate.

Domenica sera nei quartieri di Marhaba e Tira [a Ramallah] ci sono stati scontri armati tra i combattenti della resistenza e le forze di occupazione. Queste ultime effettuano frequentemente incursioni nel quartiere per proteggere i coloni illegali che li attaccano con il pretesto che ci sono siti archeologici e tombe ebree nel settore ovest di Tira.

I tre giovani abitanti del campo profughi di Jalazone che sono stati arrestati si chiamano Muhammad Abdullah Nakhleh, Musa Issa Sharakah e Salam Shehadeh Al-Tarawih. Dopo che le loro case sono state perquisite, sono stati condotti dalle forze israeliane in un luogo sconosciuto.

Sul campo si sono scontrati decine di giovani e le forze di occupazione: sono stati sparati lacrimogeni e pallottole di metallo ricoperti di gomma. Non sono stati riportati feriti.

La scorsa notte gli israeliani hanno arrestato tre palestinesi di Betlemme. Fonti locali hanno riportato che un’unità militare israeliana ha fermato un veicolo vicino al villaggio di Wadi Fukin ad ovest della citta ed ha trattenuto i suoi passeggeri prima che fossero arrestati. I loro nomi sono quelli di un ex- detenuto e dell’ex-sindaco del Comune di Aldowa, Raafat Nafeth Jawabrae Alaa Ali Al-Satagi, e Basel Abdelfattah Al-Jabri.

Nel distretto di Hebron, le forze di occupazione hanno arrestato Diaa Amro e Hamza Amro, abitanti di Dura e Omar Burqan residente in città. E’ stato arrestato anche Hamed Jasser, di Beita, a sud di Nablus.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




“L’impunità a livello internazionale è la colonna portante dell’occupazione israeliana,” afferma un’associazione per i diritti

Anjuman Rahman

10 luglio 2022 – Middle East Monitor

Quando i ragazzi palestinesi, in maggioranza adolescenti, difendono le proprie case e la propria terra, l’esercito israeliano risponde picchiandoli e lanciando contro di loro granate assordanti e lacrimogeni. Si tratta niente meno che di un’aggressione su vasta scala.

“La maggioranza dei minori palestinesi presi di mira dalle forze di occupazione israeliane sono giovani maschi,” afferma Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma per la responsabilizzazione di Defence for Children International-Palestine [Difesa Internazionale dei Minori – Palestina] (DCIP).

Secondo un rapporto di DCIP dall’inizio dell’anno 15 minori palestinesi sono stati uccisi dalle forze di occupazione. Tra le vittime ci sono stati Muhammad Akram Ali Abu Salah, Sanad Muhammad Khalil Abu Attia, Muhammad Hussein Muhammad Qassem e Amjad Walid Hussein Fayed, tutti sedicenni, e Shawkat Kamal Shawkat Abed, di 17 anni.

DCIP aggiunge che il 13 febbraio un cecchino israeliano ha ucciso colpendolo a un occhio il sedicenne Muhammad Abu Salah, abitante del villaggio di Al-Yamoun, a Jenin.

“Le violazioni dei diritti umani dei minori palestinesi sono causate dalla presenza delle forze di occupazione israeliane nei territori palestinesi occupati,” afferma Ayed.

“Nonostante i numerosi strumenti giuridici e i criteri che la comunità internazionale ha cercato di istituire per proteggere i diritti dei minori, nel corso degli anni la quantità delle violazioni nei confronti dei minorenni continua a peggiorare.”

“Per esempio lo scorso anno abbiamo documentato l’uccisione di 78 minori palestinesi per mano dell’esercito israeliano, 61 dei quali nella Striscia di Gaza e 17 in Cisgiordania.”

“Sessanta dei 61 morti nella Striscia di Gaza sono stati uccisi durante l’attacco militare contro Gaza nel maggio 2021. Ma, cosa più importante, dalla nostra documentazione vediamo che non era necessario sparare per uccidere i minori palestinesi, perché essi non rappresentavano alcuna minaccia alla vita dei soldati israeliani.”

I bombardamenti aerei e da terra durante l’aggressione di 11 giorni hanno ucciso 253 palestinesi e ferito più di 1.900 persone.

DCIP documenta l’arresto, il ferimento, la morte e l’incarcerazione di ragazzi e giovani palestinesi e offre difesa legale a quanti sono processati nei tribunali militari israeliani.

“Durante gli ultimi 10 anni per l’uccisione di un minore palestinese è stato rinviato a giudizio solo un soldato israeliano, e la condanna che ha subito è stata meno grave di quella a cui viene condannato un minore palestinese per aver lanciato una pietra contro un veicolo israeliano.”

Secondo Ayed questo è un doloroso ma perfetto microcosmo della politica israeliana di totale impunità, del suo sistema giudiziario corrotto e delle amare frustrazioni della lotta dei palestinesi per vivere nelle proprie case sulla propria terra.

Il problema principale, spiega, è incentrato sul livello di responsabilizzazione e impunità di cui godono i soldati agli occhi della comunità internazionale. “L’impunità a livello internazionale è la colonna portante dell’occupazione israeliana,” afferma.

I soldati che prestano servizio nei territori occupati sanno benissimo che quasi tutto quello che fanno verrà giustificato. Non saranno mai puniti né da Israele né dalle sue autorità né da chiunque altro. Le uccisioni, le incursioni notturne, gli arresti e le detenzioni senza processo, le punizioni collettive, le demolizioni di case, le confische di terre, l’espansione delle colonie e lo sfruttamento delle risorse naturali da parte delle forze di occupazione sono sistematicamente tollerate.

I dati raccolti dall’associazione israeliana per i diritti umani Yesh Din mostrano che solo il 2% delle denunce contro soldati israeliani presentate da palestinesi porta a incriminazioni. Nel contempo oltre l’80% dei casi vengono chiusi senza che venga svolta neppure un’inchiesta penale.

“Nonostante le molte violazioni delle leggi internazionali sui diritti umani, Israele non è stato chiamato a rispondere di nessuna delle sue prassi brutali e pensa di avere il permesso di continuare con le sue uccisioni e violazioni dei diritti dei civili palestinesi, compresi i minorenni.”

Oltre a questo disinteresse, Ayes accusa la comunità internazionale di applicare in modo palese un doppio standard nella risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Non c’è differenza tra l’invasione di Kyiv da parte di Mosca e l’illegale occupazione delle terre palestinesi da parte di Israele, spiega.

“Non c’è la volontà politica da parte della comunità internazionale di rispettare i propri obblighi giuridici, cioè punire e sanzionare Israele per le sue pratiche illegali. Tutto quello che sta facendo è sacrificare le proprie responsabilità riguardo ai diritti umani per mantenere buoni rapporti politici e diplomatici con Israele.”

Egli denuncia anche l’ONU per non aver punito adeguatamente Israele, in particolare per essersi rifiutata di includere Israele nella lista di chi viola i diritti dei minori e nel rapporto su Minori e Conflitti Armati, dopo una delle più letali guerre israeliane contro Gaza nel 2014.

“Il numero di minori palestinesi uccisi quell’anno è stato il più alto a livello internazionale e, nonostante la nostra insistenza presso l’ONU perché aggiungesse Israele alla lista degli eserciti e gruppi armati che violano i diritti dei minori, essa si è ripetutamente rifiutata.”

Ogni anno DCIP raccoglie centinaia di testimonianze di minori palestinesi arrestati e sottoposti a lunghi interrogatori senza la presenza di un familiare, un tutore o un avvocato.

Spesso i minori sono obbligati a firmare false confessioni in documenti scritti in ebraico, una lingua che la maggioranza dei minori palestinesi non conosce. Oltretutto, mentre le leggi militari e civili israeliane fissano a 12 anni l’età minima per la responsabilità penale, DCIP afferma che le forze israeliane arrestano regolarmente minori palestinesi con un’età inferiore.

“Le dichiarazioni che raccogliamo rendono l’idea di come il sistema stia funzionando e delle tipologie di maltrattamenti e torture a cui sono sottoposti i minori, che poi noi utilizziamo per costruire le nostre campagne di sensibilizzazione,” afferma Ayed.

“Quello che riscontriamo è che fin dal momento dell’arresto i minori palestinesi subiscono maltrattamenti e torture per mano delle forze israeliane. Tre su quattro durante l’arresto o l’interrogatorio sperimentano violenze fisiche, che comprendono schiaffi, calci, pugni, e i minori vengono obbligati a stare seduti in posizioni dolorose.”

Nel contempo minori detenuti da Israele soffrono anche di pesanti violenze psicologiche consistenti in detenzione in isolamento, minacce contro le loro famiglie, intimidazioni e incarcerazione senza processo in base alla detenzione amministrativa.

Inoltre nelle prigioni non ci sono consulenti psicologici e, nonostante la loro età, spesso vengono tenuti insieme a delinquenti israeliani. Il loro arresto avviene spesso di notte e comprende metodi inumani di contenzione e trasporto intesi a distruggerne l’animo. Tutto il processo ha un profondo effetto psicologico, fisico e sociale su di loro.

“Metodi di tortura psicologica sono utilizzati per esercitare il massimo di pressione possibile sulla persona sotto interrogatorio per spezzarne la resistenza,” spiega Ayed.

“Crediamo che ogni minore che passa attraverso questo sistema ne rimarrà psicologicamente colpito, perché tutto il sistema israeliano è inteso ad attaccare non solo il fisico, ma anche la mente e il benessere psicologico di questi minori. Vogliono spezzarli dentro.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Un’organizzazione per i diritti umani riporta i piani USA per costruire edifici diplomatici su terreni palestinesi a Gerusalemme Est

Gli USA stanno pianificando di costruire un complesso di edifici diplomatici su una proprietà privata confiscata a palestinesi nella Gerusalemme Est occupata.

Redazione di Middle East Monitor

Martedì 12 luglio 2022 – Middle East Monitor

L’agenzia di notizie Anadolu riferisce che domenica una organizzazione per i diritti umani ha affermato che gli Stati Uniti stanno pianificando di costruire un complesso di edifici diplomatici su una proprietà privata confiscata a palestinesi nella Gerusalemme Est occupata.

In una dichiarazione il centro legale per i diritti della minoranza araba in Israele (Adalah) ha affermato che hanno trovato nuove prove che il terreno su cui dovrebbero essere costruiti gli edifici diplomatici secondo il piano congiunto statunitense-israeliano si trova su una proprietà privata presa a palestinesi.

Adalah ha specificato che “la terra su cui gli edifici diplomatici USA dovrebbero essere costruiti è registrata a nome dello Stato di Israele, ma è stata confiscata illegalmente a rifugiati palestinesi e palestinesi deportati internamente usando la legge israeliana del 1950 sulla proprietà degli assenti”.

Richiamando l’imminente visita in Israele del presidente USA Joe Biden, Adalah ha affermato che i discendenti degli originari proprietari del terreno che comprendono cittadini USA e palestinesi residenti a Gerusalemme Est chiedono “l’immediata cancellazione del piano”.

La dichiarazione aggiunge: “Se costruiti, gli edifici dell’ambasciata statunitense saranno collocati su terreni che sono stati confiscati ai palestinesi in violazione del diritto internazionale.”

L’arrivo di Biden in Israele è previsto per il 13 luglio, come parte del viaggio che includerà la città cisgiordana di Ramallah e l’Arabia Saudita.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)