Le macabre rassicurazioni USA che autorizzano il genocidio da parte di Israele

Ramona Wadi

14 maggio 2024 – Middle East Monitor

La scorsa domenica l’ambasciatore USA in Israele Jack Lew ha difeso l’azione genocida e la complicità con essa quando ha spiegato che “fondamentalmente niente è cambiato nel rapporto basilare” tra USA e Israele. Si tratta di parole che ovviamente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non aveva bisogno di sentire, ma che tuttavia affermano, per quanto riguarda Washington, la superiorità della narrazione sionista sulle leggi internazionali.

Strategicamente prima del rapporto del Dipartimento di Stato, che senza dubbio è stato riempito di intenzionale inconsistenza retorica, Lew ha ricordato al mondo che gli USA hanno ritardato l’invio di un solo carico di armi. Gli USA non possono negare che le loro armi siano state utilizzate da Israele per commettere un genocidio a Gaza, ma ovviamente aggiungere la narrazione sionista come contesto del motivo per cui le armi sono state utilizzate giustifica futuri invii di armi.

In definitiva il rapporto si è basato sulla costruzione e distruzione di verità sul genocidio da parte di Israele, perché quando si tratta di Israele persino la verità è ipotetica.

“Quello che il presidente ha detto è che non pensa che sia una buona idea fare una massiccia campagna di terra in un’area densamente popolata,” Lew ha proposto come spiegazione. “Ma ha specificamente affermato che le bombe da 900 chili non dovrebbero essere utilizzate in quel contesto.” Finora, ha aggiunto Lew, l’operazione militare israeliana a Rafah non ha “oltrepassato la zona che riguarda il nostro disaccordo.” Ma ovviamente non c’è alcuna area di disaccordo tra Israele e gli USA. Neppure il genocidio. Anzi, tali macabre rassicurazioni esprimono l’autorizzazione statunitense del genocidio israeliano.

È persino peggio il fatto che Lew non stia minimizzando il blocco alla consegna delle armi da parte di Biden, ma che la realtà che sta dietro all’immagine patinata aggiunta per il consumo dei media e dell’opinione pubblica rimanga la stessa. Ciò nonostante il fatto che molta della pretesa inconcludenza del rapporto del Dipartimento di Stato, che è stato pubblicato dopo il simbolico e irrilevante gesto di Biden, abbia chiaramente denunciato una mancanza di cooperazione da parte delle autorità israeliane riguardo al fatto che siano state commesse o meno violazioni delle leggi internazionali. Dato che agli occhi degli americani le azioni di Israele non parlano da sé, nonostante la quantità di prove, e che come sempre Israele rifiuta di collaborare, gli USA non vedono alcuna ragione di sospendere permanentemente l’invio di armi allo Stato di apartheid.

Non si dimentichi che gli USA hanno invaso Paesi e creato Stati falliti in base a prove false. “Portare la democrazia” era una giustificazione sufficiente. Quando si tratta di Israele, tuttavia, le prove non sono mai sufficienti, benché continuino ad accumularsi corpi di palestinesi uccisi e l’esercito israeliano si vanti apertamente dei bombardamenti e derida i palestinesi perché non sono capaci di vivere in mezzo alla devastazione creata dall’entità israeliana colonialista di insediamento. Solo l’assoluto potere politico consente a Israele di commettere apertamente un genocidio a Gaza, mentre gli USA dicono che non ci sono prove sufficienti.

Ovviamente Rafah non porterà alcun disaccordo tra Israele e gli USA. Proprio come Israele vuole portare a termine il suo piano genocida, lo stesso fanno gli USA. Allo stesso modo l’ONU non è mai tornato sui suoi passi dopo il piano di partizione del 1947. Perché invece non creare un giorno di solidarietà per i palestinesi, in cambio del fatto di averli obbligati a diventare rifugiati, vittime di pulizia etnica e ora ad affrontare per mesi un genocidio? L’ONU ha sostenuto Israele attraverso risoluzioni che gli chiedevano di tenerne conto. Gli USA appoggiano Israele con armi e sostegno diplomatico. Sempre lo stesso, giorno dopo giorno. Si tratterebbe di uno squallido intrigo, se non fosse per il fatto che questa ripetizione significa più palestinesi uccisi da Israele solo in nome della protezione di un progetto colonialista che in primo luogo non avrebbe mai dovuto nascere.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il capo delle Nazioni Unite condanna l’attacco contro il personale ONU e chiede una ‘indagine completa’

Redazione di Middle East Monitor

13 maggio 2024 – Middle East Monitor

L’agenzia Anadolu riferisce che lunedì il segretario generale ONU Antonio Guterres ha condannato tutti gli attacchi contro il personale delle Nazioni Unite e ha chiesto un’indagine completa sull’uccisione di un membro dello staff nella Striscia di Gaza.

Il vice portavoce delle Nazioni Unite Farhan Haq ha affermato durante una conferenza stampa che “il segretario generale è stato profondamente rattristato per aver appreso della morte di un membro dello staff del dipartimento di sicurezza delle Nazioni Unite e del ferimento di un altro membro quando il loro veicolo ONU è stato colpito questa mattina mentre viaggiavano verso l’Ospedale Europeo a Rafah.”

Secondo Haq Guterres condanna tutti gli attacchi contro il personale ONU e ha chiesto un’indagine completa sull’incidente.

Osservando che la situazione [di guerra] a Gaza colpisce non solo i civili ma anche gli operatori umanitari, Haq ha affermato che il segretario ONU ha reiterato le richieste per un cessate il fuoco umanitario urgente e il rilascio degli ostaggi trattenuti a Gaza.

Haq ha inoltre affermato che l’ONU continua a raccogliere informazioni sull’incidente e ha aggiunto che dal 7 ottobre ad oggi a Gaza sono stati uccisi 196 dipendenti ONU.

Ha sottolineato che le Nazioni Unite stanno mantenendo i contatti con i funzionari per assicurare che dopo la fine del conflitto i colpevoli rendano conto [del proprio operato].

Alla domanda se il veicolo recasse il logo delle Nazioni Unite, Haq ha risposto che tutti i veicoli dell’organizzazione internazionale sono contrassegnati.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Israele vuole distruggere Gaza e annettere la Cisgiordania, ma i palestinesi cosa vogliono?

Ramzy Baroud

7 maggio 2024 – Middle East Monitor

Ciò che sta succedendo nella Palestina occupata non è un conflitto fra, più o meno, uguali, ma un inequivocabile caso di occupazione militare illegale, apartheid, pulizia etnica e un vero e proprio genocidio di una parte pesantemente armata, Israele, contro un’altra largamente disarmata, i palestinesi. Coloro che insistono nell’usare un linguaggio “neutrale” per descrivere la crisi in Palestina stanno danneggiando il popolo palestinese ben oltre le loro parole apparentemente innocue.

Questo linguaggio moderato ed eticamente evasivo è quanto sta avvenendo ora a Gaza. È là che si sente di più il danno di questa “imparzialità”. “Se sei neutrale in situazioni di ingiustizia, hai scelto il lato dell’oppressore,” disse il defunto arcivescovo Desmond Tutu, attivista anti apartheid sudafricano. La sua saggezza è eterna.

Se in tutto il mondo la maggioranza dei Paesi e delle persone non sta di certo prendendo le parti dell’oppressore israeliano, alcuni, intenzionalmente o meno, lo fanno. Ci sono quelli che stanno prendendo le parti di Israele alimentando e finanziando direttamente la macchina omicida israeliana nella Striscia di Gaza, mentre danno la colpa ai palestinesi per la guerra e il suo devastante impatto, come se la storia fosse cominciata solo il 7 ottobre: non è così.

Tuttavia sostenere Israele non implica solo la fornitura di armi,  i legami commerciali o proteggerlo da dover dar conto delle sue azioni ai sensi del diritto internazionale. Ignorare le priorità palestinesi e mettere in evidenza il dibattito politico e le aspettative israeliane sono anche un modo di sostenere Israele denigrando la Palestina e il suo popolo.

Fin dal 7 ottobre ci si è chiesti cosa Israele voglia a Gaza. Il 7 novembre mentre prometteva di distruggere Hamas, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che Israele doveva mantenere “la responsabilità in materia di sicurezza” sulla Striscia di Gaza per “un periodo indefinito”.

Gli americani sono d’accordo. “Non si può tornare allo status quo,” ha detto il presidente USA Joe Biden il 26 ottobre, il che “significa garantire che Hamas non possa più terrorizzare Israele e usare i civili palestinesi come scudi umani.”

Gli europei, che si sono spesso presentati come partner equidistanti tra Israele e l’Autorità Palestinese, hanno adottato un atteggiamento simile. Per esempio Josep Borrell, capo della politica estera dell’UE, ha esposto una proposta per Gaza, includendo una versione “rinforzata” dell’attuale AP, “con una legittimità da definire e decidere da parte del Consiglio di Sicurezza [ONU]” invece che del popolo palestinese.

Appena è diventato ovvio che la resistenza palestinese era troppo forte per permettere a Israele di ottenere qualcuno dei suoi nobili obiettivi, funzionari governativi, esperti e analisti dei media hanno cominciato a mettere in guardia lo Stato di occupazione che nella Striscia non era possibile nessuna vittoria militare. Essi hanno sostenuto che Israele deve anche sviluppare una strategia “realistica” per governare Gaza dopo la distruzione della resistenza. Alcune di queste affermazioni sono state applaudite persino dai media filopalestinesi, arabi e mediorientali, come un esempio del cambiamento della narrazione occidentale sulla Palestina.

In realtà, però, la narrazione è rimasta la stessa. Quello che è cambiato è il livello senza precedenti della resilienza palestinese, sumud, che ha ispirato il mondo e spaventato gli alleati di Israele sul drammatico scenario che attende Tel Aviv se le sue forze di occupazione subissero una sconfitta totale a Gaza.

Anche se molti fra gli alleati occidentali di Israele possono essere sembrati critici verso Netanyahu, essi si stanno ancora comportandosi prima di tutto perché preoccupati per Tel Aviv, senza amore né rispetto per i palestinesi. Non c’è nulla di nuovo in tutto ciò.

Dalla distruzione della patria palestinese, la Nakba avvenuta nel 1948, sono emerse due narrazioni. Quella israeliana è stata abbracciata in toto dai principali media, politici e accademici occidentali che si sono impegnati a travisare il “conflitto”. Hanno descritto Israele come uno “Stato ebraico” che lotta per sopravvivere in un mondo arabo ostile e fra interessi arabi in competizione fra loro, e i palestinesi come faziosi e disuniti che si trovano d’accordo su una cosa sola: vogliono distruggere Israele.

La narrazione palestinese è che la giustizia è indivisibile e che la pietra angolare di ogni pace durevole in Palestina è la restituzione della loro patria ai rifugiati palestinesi spossessati, tramite il loro legittimo Diritto al Ritorno, che è stato sempre negato da Israele.

Quando nel 1967 Israele ha occupato il resto della Palestina storica ed esteso il suo sistema di apartheid ai territori recentemente occupati è stato solo naturale che la fine all’occupazione militare israeliana e lo smantellamento del sistema razzista diventasse una richiesta palestinese fondamentale. Tuttavia questo è avvenuto senza ignorare l’ingiustizia originaria che ha colpito tutti i palestinesi nel 1948.

Gli alleati di Israele in occidente hanno usato l’occupazione israeliana come un’opportunità per distogliere l’attenzione dalle cause alla radice del “conflitto”. Con il tempo hanno ridotto il dibattito sulla Palestina a quello delle colonie illegali che Israele ha cominciato a costruire, violando il diritto internazionale, dopo averne completato l’occupazione militare nel 1967.

Ogni palestinese che sostenga che il problema non è per niente un “conflitto” e che la causa prima è la creazione dello Stato di Israele in Palestina, era, e continua ad essere, definito un radicale o peggio. Questo pensiero riduzionista è ora applicato a Gaza, dove ogni riferimento storico è intenzionalmente accantonato e dove il discorso politico palestinese è evitato a favore del linguaggio menzognero di Israele.

Comunque, non importa quanto spesso i media occidentali continuino a parlare del “terrorismo palestinese” e della necessità di rilasciare gli ostaggi israeliani e di dare la priorità alla sicurezza israeliana, mentre ignorando il terrorismo israeliano, i detenuti e le aspirazioni politiche palestinesi non ci sarà una soluzione di questo problema, ora o in futuro, se i diritti palestinesi non sono accettati, rispettati e soddisfatti.

Né il suo passato né il suo futuro possono essere capiti o immaginati senza comprendere la lotta palestinese in tutta la Palestina, inclusa quella dei palestinesi autoctoni dell’odierno Israele, il 20% della sua popolazione.

Questa non è un’opinione, ma la vera essenza del dibattito politico proveniente da tutti i gruppi politici di Gaza. La stessa asserzione può essere fatta circa il dibattito politico dei palestinesi in Cisgiordania, nella Palestina storica, e di quelli della diaspora, shatat.

Israele e gli USA possono provare a immaginare tutti i futuri che vogliono per Gaza, e possono anche cercare di ottenere un futuro con missili, bombe stupide [a caduta libera] e missili anti bunker. Però nessuna potenza militare o dispiegamento di armamenti può alterare la storia o ridefinire la giustizia.

In definitiva quello che Gaza vuole è il riconoscimento dell’ingiustizia storica, il rispetto del diritto internazionale, la libertà per tutti i palestinesi e che Israele venga chiamato a rispondere giuridicamente dei suoi crimini. Queste non sono affatto posizioni estreme, specialmente quando paragonate alla molto evidente politica israeliana di distruggere Gaza, annettere la Cisgiordania e portare a termine la pulizia etnica del popolo palestinese. Washington e i suoi alleati occidentali capiranno e riconosceranno mai questo fatto?

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Ventisei Stati membri dell’Unione Europea chiedono a Netanyahu un cessate il fuoco

Redazione di MEM

7 maggio 2024 – Middle East Monitor

Nella giornata di oggi i ministri degli Esteri di ventisei Stati membri dell’Unione Europea hanno emesso una dichiarazione congiunta come risposta all’ordine di evacuazione della città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

I ministri degli Esteri hanno chiesto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di non proseguire nell’attacco.

L’alto rappresentante per gli Affari Esteri e le Politiche di Sicurezza dell’Unione Europea Josep Borrell ha affermato che Israele dovrebbe rinunciare al suo attacco di terra a Rafah e ha sottolineato che l’Unione Europea e la comunità internazionale dovrebbero agire per prevenire un simile scenario.

Borrell ha affermato che Israele dovrebbe porre fine al suo attacco di terra a Rafah, aggiungendo che l’Unione Europea e la comunità internazionale potrebbero e dovrebbero agire per prevenire un simile scenario.

Borrell ha condiviso un post sulla rete sociale X: “L’ordine di evacuazione dei civili da Rafah preannuncia il peggio: più guerra e carestia.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Secondo i media locali le dimissioni del responsabile militare israeliano possono provocare un ‘effetto domino’

Redazione di Middle East Monitor

24 aprile 2024 – Middle East Monitor

Secondo l’agenzia Anadolu ieri un quotidiano locale ha affermato che le dimissioni del capo dell’intelligence militare israeliana di questa settimana potrebbero portare ad un “effetto domino”, in cui il capo di stato maggiore [dell’esercito israeliano] Herzi Halevi e altri alti ufficiali potrebbero fare un passo indietro.

Il generale di divisione Aharon Haliva, il capo del dipartimento dell’intelligence militare israeliana, si è dimesso in anticipo lunedì riconoscendo le proprie responsabilità per gli errori che hanno permesso l’operazione del 7 ottobre della resistenza palestinese attraverso il confine.

Il quotidiano Yedioth Ahronoth ha riferito che “presto si potrebbe verificare un effetto domino dei capi dell’intelligence militare, incluse le dimissioni del capo di stato maggiore.”

Ha osservato che Haliva è “il primo membro dello stato maggiore a ritirarsi a causa del fallimento dell’intelligence il 7 ottobre, ma sembra che non sarà l’ultimo tra gli alti ufficiali”, aggiungendo che “altri responsabili di alto livello, inclusi almeno quattro generali di brigata tra i comandanti dell’unità operative hanno informato i loro stretti collaboratori della loro intenzione di dimettersi.”

Il quotidiano ha sottolineato che il generale di brigata comandante della divisione Gaza Avi Rosenfeld potrebbe dimettersi presto.

Il problema con gli ufficiali che intenderebbero dimettersi è la tempistica, ma la fine delle operazioni militari a Gaza nelle settimane scorse, con il ritiro della maggior parte delle forze dalla Striscia, e il congedo di Haliva potrebbero rendere la decisione più vicina.

Il quotidiano ha aggiunto che “tuttavia ci si aspetta che l’esercito porti avanti una operazione di terra a Rafah nella parte meridionale della Striscia di Gaza o a Deir Al-Balah e Nuseirat, nella zona centrale.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Netanyahu, cedendo alla pressione dell’ultra-destra, afferma che l’invasione di terra a Rafah è imminente

Redazione di Middle East Monitor

9 aprile 2024 – Middle East Monitor

Ieri il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato che Israele ha fissato una data per l’assalto di terra a Rafah. La decisione arriva mentre sta montando la pressione dagli alleati della estrema destra che hanno avvertito che la carica di Netanyahu come primo ministro sarebbe a rischio se non lanciasse un attacco contro la città meridionale di Gaza che sta proteggendo 1,5 milioni di palestinesi.

La vittoria richiede l’ingresso a Rafah e l’eliminazione dei battaglioni di terroristi laggiù. Questo accadrà, c’è una data,” ha affermato Netanyahu in una dichiarazione, sfidando i suoi alleati occidentali che sono fortemente contrari alla invasione di Rafah sulla scorta dell’uccisione di 33.000 palestinesi, la maggior parte dei quali donne e minori.

L’impegno del primo ministro per una data specifica per l’offensiva a Rafah fa seguito alle critiche da parte suoi partner della coalizione di estrema destra, che si sono scagliati contro il ritiro domenica da parte dell’esercito israeliano di alcune truppe da Gaza. Israele ha ritirato le sue truppe da Khan Yunis, la più grande città del sud di Gaza.

L’ultranazionalista ministro della Sicurezza Itamar Ben-Gvir ha ammonito: “Se il primo ministro decide di terminare la guerra senza una offensiva di grandi dimensioni a Rafah per sconfiggere Hamas, non avrà un mandato per continuare.”

Gli Stati Uniti hanno recentemente incrementato la pressione pubblica su Netanyahu perché rinunci a lanciare una importante operazione a Rafah, che è diventata un rifugio per più di un milione di persone sfollate a causa dell’operazione militare israeliana. Più del 70% delle infrastrutture di Gaza sono state distrutte e si teme che un’altra invasione di terra sarebbe catastrofica.

La popolarità di Netanyahu è stata significativamente danneggiata dopo sei mesi di guerra e, mentre sia all’interno del Paese che a livello internazionale cresce il malcontento per la gestione del conflitto da parte del suo governo, egli deve affrontare le richieste dei leader dell’estrema destra di intensificare le azioni militari contro Hamas.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




138 giornalisti uccisi a Gaza

Redazione di Middle East Monitor

2 aprile 2024 – Middle East Monitor

Ieri l’ufficio stampa del governo ha annunciato che 138 giornalisti sono stati uccisi a Gaza dal 7 ottobre 2023.

L’ufficio stampa ha affermato che “il numero di giornalisti martiri è aumentato dopo l’uccisione del giornalista Mohammad Abu Sakhil durante la criminale incursione nel complesso ospedaliero Al-Shifa a Gaza.”

Il ministero della Sanità a Gaza ha riferito che ieri le forze di occupazione hanno abbandonato la struttura dell’Al-Shifa e le aree circostanti nella Striscia di Gaza assediata, due settimane dopo aver lanciato una operazione militare su larga scala contro il sito, lasciandosi dietro numerosi corpi in decomposizione, che sono stati schiacciati dai veicoli militari, dilaniati da cani randagi o di persone che sono state uccise in esecuzioni sommarie con le mani legate dietro la schiena, molti dei quali non sono identificabili.

Decine di corpi sono stati trovati dentro e attorno alla struttura sanitaria,” ha affermato il ministero.

Dal 7 ottobre 2023 Israele ha ucciso 32.845 palestinesi e ne ha feriti 75.392.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Gli USA minacciano di tagliare i fondi all’Autorità Palestinese se ottiene il riconoscimento da parte dell’ONU e se appoggia la causa contro Israele presso la CPI

Redazione di Middle East Monitor

25 marzo 2024 – Middle East Monitor

Il governo degli Stati Uniti ha approvato una legge che minaccia di limitare il finanziamento all’ Autorità Nazionale Palestinese (ANP) se ottiene il riconoscimento come Stato presso le Nazioni Unite e se cerca di agire contro Israele alla Corte Penale Internazionale (CPI), insieme ad una miriade di altre restrizioni su aiuti e finanziamenti ai palestinesi sotto occupazione.

Nella risoluzione votata sabato dal Senato statunitense e firmato dal presidente Joe Biden, si afferma che “nessuno dei fondi stanziato sotto la voce ‘Fondo di supporto economico’ in questa legge può essere disponibile per assistenza all’Autorità Nazionale Palestinese se dopo la data di adozione di questa legge …i palestinesi otterranno lo stesso riconoscimento degli Stati membri oppure la piena affiliazione come Stato presso le Nazioni Unite o ogni singola agenzia [ONU] fuori da un accordo negoziato tra Israele ed i palestinesi.”

Un’altra ragione per tagliare il supporto economico per l’ANP sarebbe se “i palestinesi iniziassero un’indagine autorizzata per via giudiziaria presso la Corte Penale Internazionale (CPI), o la supportassero attivamente, che sottoponga cittadini israeliani ad una inchiesta per presunti crimini contro i palestinesi.”

Nel documento si afferma comunque che “il Segretario di Stato” degli Stati Uniti “può revocare la restrizione” riguardo al riconoscimento ONU della sovranità palestinese “se il segretario certifica alle Commissioni sugli Stanziamenti [del parlamento USA] che farlo è nell’interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti.” Lo stessa autorizzazione per una revoca a quanto pare non si applica alla seconda restrizione sui procedimenti legali contro Israele presso la CPI.

Un’altra parte rilevante della legge di finanziamento da 1.200 miliardi di dollari – che è rivolta a prevenire il blocco del governo statunitense e chiudere il bilancio annuale – è la prosecuzione del divieto di finanziamento per il United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees [Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, ndt.] (UNRWA) fino al 2025, nonostante il fatto che sia la principale agenzia sul terreno nella Striscia di Gaza nel pieno della crescente carestia e la crisi umanitaria laggiù.

Allo stesso tempo, la legge alloca 3,8 miliardi di dollari aggiuntivi per aiuti militari ad Israele dal budget di 886 miliardi di dollari per il Dipartimento della Difesa statunitense, consentendo all’occupazione [isreliana] di continuare la sua offensiva contro il territorio palestinese assediato e di commettere crimini di guerra contro la popolazione, di cui sono già state uccise oltre 32.000 persone.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Il leader palestinese imprigionato Marwan Barghouti è stato picchiato dalle guardie

Redazione di Middle East Monitor

19 marzo 2024 – Middle East Monitor

Il famoso prigioniero politico palestinese Marwan Barghouti è stato aggredito con manganelli dalle guardie carcerarie israeliane e ha subito una emorragia a un occhio, hanno affermato la Commissione palestinese per gli affari dei detenuti e gli ex prigionieri e la famiglia di Barghouti, come riferito da Al-Arabi Al-Jadeed.

Barghouti, sessantaquattrenne, che è membro del comitato centrale di Fatah [storico partito politico palestinese che governa l’Autorità Palestinese, ndt.] è soggetto ad isolamento, torture ed umiliazioni, ha affermato sua moglie Fadwa Barghouti.

Fadwa ha spiegato che la vita di suo marito e di altri noti prigionieri sono in grave pericolo, aggiungendo che l’amministrazione carceraria israeliana “li brutalizza deliberatamente al fine di fiaccare il loro morale.”

Marwan è soggetto a continui attacchi, di cui abbiamo saputo [attraverso gli avvocati] il 6 e il 12 marzo e che gli hanno causato una emorragia in un occhio, mentre le forze repressive della prigione lo hanno costantemente minacciato,” ha aggiunto lei, spiegando che Marwan è stato spostato cinque volte durante gli ultimi tre mesi, ed ogni volta è stato aggredito e le sue condizioni carcerarie sono state rese più difficili.

In quattro prigioni è stato messo in isolamento, ha affermato, avvertendo che è stata scatenata una “vera e propria guerra” contro i prigionieri palestinesi e i loro leader, cosa che danneggia il loro morale.

Da parte sua, la campagna “Marwan Barghouti e tutti i prigionieri politici palestinesi liberi” ha affermato in una dichiarazione che i legali che hanno visitato la prigione di Megiddo hanno appreso del brutale attacco a Barghouti e ad altri importanti prigionieri da parte delle unità speciali di repressione della prigione, aggiungendo che molti di loro sono stati messi in isolamento.

La campagna ha affermato che è stata contattata da molte figure internazionali, inclusi diplomatici, parlamentari e istituzioni per i diritti umani, ed anche dai leader del movimento Fatah e delle fazioni Azione Nazionale e Islamica, che chiedono di fornire protezione al popolo palestinese, inclusi i prigionieri politici nelle carceri israeliane.

Barghouti è stato arrestato nel 2002 e in seguito è stato condannato a cinque ergastoli per le accuse di “uccisione e ferimento di israeliani.”

In parallelo con il massacro contro la Striscia di Gaza che ha ucciso più di 31.000 palestinesi, Israele ha incrementato le incursioni e gli arresti nella Cisgiordania occupata, arrestando più di 7.000 persone, contemporaneamente alla campagna di persecuzione dei prigionieri nelle carceri israeliane che dal 7 ottobre 2023 ha provocato la morte di almeno 13 prigionieri.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Sicurezza e dilemma demografico di Israele

Nabil Al-Sahli

19 marzo 2024 – Middle East Monitor

Ci sono state gravi ripercussioni in Israele dall’Operazione Diluvio Al-Aqsa il 7 ottobre incluse delle perdite economiche. Lo Stato di occupazione ha assistito a gravi divisioni nella società e nei partiti politici. Inoltre è quasi certo che l’operazione continuerà una tendenza di inversione della migrazione ebraica dalla Palestina occupata in un momento in cui la demografia dello Stato è una questione fondamentale per i governi israeliani e gli strateghi sionisti.

Questa tendenza è cominciata prima di Diluvio Al-Aqsa, con ebrei israeliani che emigravano negli USA e in Europa per una stabilità economica e una sicurezza maggiori. Questa è l’alternativa più popolare che migliaia di giovani ebrei israeliani devono affrontare trovandosi davanti Benjamin Netanyahu alla guida del governo più a destra della storia dello Stato canaglia con una combinazione di partiti ultraortodossi, movimenti religiosi ed estrema destra.

L’immigrazione ebraica è sempre stata importante per Israele e il progetto sionista. I fattori che attraggono gli ebrei a trasferirsi nella Palestina occupata includono sicurezza, benessere economico e i falsi slogan sionisti che all’inizio hanno avuto successo, ma col tempo hanno fallito. Con la contrazione dell’economia israeliana, la sicurezza è diventata la ragione più importante per potenziali immigrati ebrei da tutto il mondo. Questo è il motivo per cui l’ebraicità di Israele è stata popolarizzata e sancita nella costituzione israeliana nel serio tentativo per attrarre più ebrei a “fare aliyah” [emigrare, ndt.] nello “Stato ebraico”. Sia il movimento sionista che il suo Stato canaglia considerano tutti gli ebrei potenziali risorse umane per i loro obiettivi espansionisti e un pilastro della continuazione dell’intero progetto nella regione araba a spese del popolo palestinese.

Nonostante siano passati circa 76 anni dall’istituzione di Israele nella Palestina occupata, solo il 41% della popolazione ebraica globale è stata tentata dal trasferirsi nello Stato di occupazione. I leader israeliani hanno cercato di approfittare di ogni possibile opportunità per convincere altri ebrei a trasferirsi.

In cooperazione e coordinamento con l’Agenzia Ebraica per Israele si prevede di finanziare grandi campagne per convincere 200.000 ebrei a trasferirsi dall’Argentina, parecchie migliaia dall’Etiopia e circa 80.000 da India e Sudafrica. Per attrarre immigrati si offrono incentivi finanziari e lavorativi. Nel complesso l’immigrazione ebraica da Europa e Nord America ha toccato il suo livello più basso, mancando fattori che espellano gli ebrei dai loro Paesi di origine e il colpo che l’immagine e la reputazione di Israele hanno subito a causa del genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza. Nonostante le affermazioni di Israele che ci sia stato un “interesse crescente nell’immigrazione” da parte di ebrei in Occidente, i numeri veri sono stati molto ridotti.

La strategia sionista di sostituire la popolazione palestinese ed ebraizzare la terra è sempre dipesa da quattro elementi: attrarre gli ebrei del mondo a trasferirsi nella Palestina occupata; ebraizzare la terra araba impadronendosene o espropriandola in qualche modo e poi insediandoci gli immigrati; creare le giuste condizioni politiche per espellere quanti più arabi palestinesi possibile e costruendo colonie illegali per cambiare la geografia e la demografia a favore del progetto sionista violando il diritto internazionale. L’attenzione si è concentrata sulla creazione di un’economia vivace per attrarre più ebrei grazie all’alto livello di vita e ai tassi di crescita.

L’ebraizzazione della terra palestinese ne ha richiesto il controllo con vari mezzi. La terra è stata svuotata della sua popolazione palestinese grazie a massacri ed espulsioni forzate, e il pretesto di tematiche di sviluppo e sicurezza è stato usato per mandare via i palestinesi dalle loro terre. Istituzioni sioniste come il Jewish National Fund [Fondo Nazionale Ebraico] (JNF) e la Jewish Agency [Agenzia Ebraica], così come l’occupazione del Mandato britannico hanno giocato un ruolo importante nel trasferire la proprietà di terre arabo palestinesi anche prima della fondazione dello Stato di apartheid nel 1948.

Tuttavia è un fatto che quando Israele dichiarò la propria “indipendenza” in quell’anno fatale, gli ebrei sionisti possedevano appena il 9,1 % della Palestina.

Oggi Israele controlla il 100% della Palestina storica indipendentemente da quanto detto dai famigerati accordi di Oslo su quello che sarebbe dovuto succedere dopo e lo Stato, oltre ai territori occupati presi per coloni e colonie, occupa il 78% della terra.

L’operazione Diluvio Al-Aqsa è considerata una delle operazioni di guerriglia di maggior successo nella storia della lotta palestinese dal 1948, poiché ha rivelato la fragilità di Israele a ogni livello e posto fine al mito dell’invincibilità dell’“esercito più morale al mondo”. Motiverà la resistenza palestinese in tutte le forme nella Palestina storica quale risposta legittima all’occupazione israeliana.

Data l’importanza di sicurezza e stabilità economica per attirare e trattenere gli immigrati ebrei in Israele, probabilmente vedremo un incremento dei numeri di ebrei israeliani che lasciano il Paese. I dati dell’immigrazione netta sono probabilmente negativi per lo Stato. Ciò accadde durante la Seconda (Al-Aqsa) Intinfada (settembre 2000-febbraio 2005), sebbene i dati ufficiali cercano di mascherare la realtà.

Ciò non scoraggerà i sionisti dal continuare a cacciare i palestinesi in tutti i modi possibili e cercare di attirare nuovi immigrati ebrei. Questa resterà come un’importante strategia in un momento in cui lo Stato sta vivendo un dilemma demografico rappresentato dalla crescita della popolazione palestinese nella Palestina storica, la sua dedizione alle proprie terre e il suo rifiuto al trasferimento, combinati con il declino dell’immigrazione ebraica, cosa che renderebbe possibile che gli ebrei diventino una minoranza nel cosiddetto Stato ebraico. Questa è la più grande paura del progetto sionista.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)