Gli Stati del movimento dei non allineati criticano l’aggressione israeliana e chiedono il cessate il fuoco a Gaza

Redazione di Middle East Monitor

21 gennaio 2024 – Middle East Monitor

L’agenzia di notizie Anadolu riferisce che il diciannovesimo vertice degli Stati membri del movimento dei non allineati [Non-Aligned Movement] (NAM)] è terminato sabato notte e ha rilasciato la dichiarazione di Kampala, in cui critica l’aggressione militare israeliana e chiede l’implementazione della risoluzione del consiglio di sicurezza dell’ONU per permettere l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza assediata.

La dichiarazione di 47 articoli “condanna fortemente l’illegale aggressione militare israeliana contro la Striscia di Gaza, gli attacchi indiscriminati contro i civili palestinesi e obiettivi civili, la deportazione forzata della popolazione palestinese e inoltre chiede un immediato e durevole cessate il fuoco umanitario.”

Il vertice ha ribadito la necessità di un sostanziale e urgente progresso che deve essere compiuto verso la fine dell’occupazione israeliana, incluso il raggiungimento dell’indipendenza e sovranità dello Stato di Palestina con Gerusalemme Est come sua capitale per ottenere una soluzione a due Stati sulla base dei confini precedenti al 1967 e ha ribadito il [suo] supporto affinché lo Stato di Palestina sia ammesso come Stato membro delle Nazioni Unite per ottenere il giusto posto nella comunità delle Nazioni.

La dichiarazione di Kampala “condanna tutte le misure prese da Israele, il potere occupante, per modificare lo stato legale, fisico e demografico delle Alture del Golan siriano occupate, e chiede ancora una volta che Israele ottemperi alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU attinenti alla questione e si ritiri completamente dal Golan siriano entro i confini del 4 giugno 1967.”

La dichiarazione inoltre “condanna la storica ingiustizia contro l’Africa e esprime il supporto per una maggiore presenza dell’Africa in un Consiglio di Sicurezza riformato, supportando il tal modo la Posizione Comune Africana che si rispecchia nell’Ezulwini Consensus e nella Sirte Declaration.”

Il diciannovesimo vertice NAM si è tenuto in Uganda, dove il presidente Yoweri Museveni ha ufficialmente assunto la presidenza di tale vertice e del movimento per i prossimi tre anni.

Il vertice si è inoltre impegnato a sostenere e promuovere il rispetto della carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, specialmente riguardo ai principi di sovranità, parità nel diritto alla sovranità, integrità territoriale, non-interferenza e composizione pacifica dei conflitti.

La dichiarazione condanna inoltre il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Saranno la legge o le considerazioni politiche a influenzare i giudici della Corte Internazionale di Giustizia?

Muhammad Jamil

16 gennaio 2024, Middle East Monitor

Nessuna sentenza però, per quanto giusta, potrà mai ripristinare lo status quo precedente al 1948.

Nessuna causa legale potrà mai abbracciare tutti i dettagli del genocidio al quale il popolo palestinese è sottoposto da più di cento anni. Tutto ebbe inizio con la famigerata Dichiarazione Balfour del 1917, seguita dalla tristemente nota era del mandato britannico, fino alla Nakba del 1948 e alla Naksa del 1967 [letteralmente “la ricaduta”, la seconda diaspora palestinese successiva alla guerra del 1967, ndt.]. Continua ancora oggi con gli eventi nella Striscia di Gaza assediata e bombardata, nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme. Tuttavia, la comparizione di Israele, figlio coloniale e viziato dell’Occidente, per la prima volta davanti al più alto organo giudiziario internazionale come responsabile di almeno alcuni dei suoi crimini, è una vittoria contro l’impunità con cui gli è permesso di agire.

Le migliaia di palestinesi uccisi da Israele nel corso di molti decenni non torneranno mai più in vita; chi è stato reso disabile dovrà conviverci per il resto dei suoi giorni e la Striscia di Gaza avrà bisogno di molti anni, e di miliardi di dollari, per essere di nuovo abitabile.

La causa intentata dal Sudafrica il 29 dicembre presso la Corte Internazionale di Giustizia (CIG), pur rappresentando un’anteprima storica, si è concentrata su quello che viene descritto da molti come il genocidio commesso da Israele contro il popolo palestinese nella Striscia di Gaza a partire dal 7 ottobre. Il team legale sudafricano ha fornito una sintesi degli atti criminali di Israele punibili ai sensi della Convenzione sul Genocidio del 1948.

La CIG ha aperto il dibattito l’11 gennaio per decidere se imporre o meno le misure provvisorie richieste dal Sudafrica prima di decidere sul genocidio vero e proprio. Il Sudafrica ha chiesto nove misure provvisorie, sostanzialmente la sospensione delle operazioni militari e la protezione dei civili dalle continue uccisioni, dagli abusi fisici e psicologici e dalle torture e il rifornimento di forniture mediche, cibo e carburante. Le questioni urgenti non possono essere rinviate fino a quando il caso non sarà concluso poiché potrebbero volerci anni, durante i quali Israele avrà completato la sua missione di espellere ogni palestinese dalla Striscia di Gaza.

L’approccio della CIG non richiede una decisione sulla giurisdizione della Corte in merito al contenuto della richiesta. È sufficiente che il Tribunale si assicuri di avere una giurisdizione apparentemente ragionevole, che i requisiti dell’articolo 9 della Convenzione sul Genocidio [che prevede che le controversie siano sottoposte alla Corte su richiesta di una delle parti, ndt.] siano applicati ad entrambe le parti in causa, e che esista una relazione tra le misure provvisorie e il diritto ad essere protetti.

Il primo requisito è soddisfatto poiché il Sud Africa e Israele hanno sottoscritto la Convenzione sul Genocidio e nessuno dei due ha una riserva valida sull’articolo 9, il quale prevede che la Corte Internazionale di Giustizia sia l’autorità che dirime qualsiasi controversia derivante dall’interpretazione, applicazione, o attuazione delle sue disposizioni.

Quanto al secondo requisito, l’articolo 9 prevede che affinché possa essere stabilita la giurisdizione deve esserci una chiara controversia tra le due parti in causa riguardo all’interpretazione, applicazione o attuazione dell’accordo. La controversia deve essere risolta entro la data di registrazione della causa presso la cancelleria del tribunale.

Malcolm Shaw, membro della difesa israeliana, ha cercato di dimostrare che non esisterebbe una controversia tra lo Stato del Sud Africa e Israele, sostenendo che il Sud Africa non ha avviato una corrispondenza bilaterale con Israele esprimendo le sue preoccupazioni per gli atti commessi da Israele ottemperando così alle disposizioni della Convenzione sul Genocidio.

L’argomentazione di Shaw è debole e priva di fondamento, poiché lo Stato del Sud Africa ha svolto un ruolo pionieristico in testa a tutti i Paesi rivelando il profondo conflitto tra Sud Africa e Israele. Oltre alla corrispondenza bilaterale sugli atti di genocidio, ha rilasciato dichiarazioni in cui denunciava i crimini di Israele e ha ritirato i suoi diplomatici da Tel Aviv, dichiarando che non può essere consentito un genocidio sotto il naso della comunità internazionale.

Inoltre, il Sudafrica, insieme a molti altri paesi, ha deferito i crimini commessi alla Corte Penale Internazionale e si è unito ai molti tentativi del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per fermare i crimini che Israele sta commettendo. Le risultanti risoluzioni delle Nazioni Unite sono state criticate da Israele che ha sostenuto che sarebbero piene di odio e antisemite.

Dunque la controversia tra le due parti in causa è stata stabilita sulla base del riferimento della Corte Internazionale di Giustizia alla sua decisione sulle misure provvisorie nel caso Ucraina-Russia e nel caso Gambia-Myanmar. La Corte non si è basata solo sulla corrispondenza bilaterale, ma anche su dati giornalistici e sull’azione dello Stato a tutti i livelli, individualmente o con altri paesi, che hanno evidenziato la violazione delle disposizioni della Convenzione sul Genocidio.

Nella causa sul genocidio dei Rohingya, intentata dal Gambia contro il Myanmar, l’attenzione della Corte si è concentrata sul valore morale che ha spinto gli Stati a ratificare la Convenzione sul Genocidio e sull’impegno collettivo degli Stati a prevenire il genocidio. Pertanto, non è necessario che lo Stato che intenta la causa sia direttamente interessato dai presunti atti di genocidio. A questo proposito, la Corte ha affermato che le pertinenti disposizioni della Convenzione sul Genocidio sono definite come obblighi erga omnes, nel senso che qualsiasi Stato sottoscrittore della Convenzione sul genocidio, non solo lo Stato particolarmente colpito, può invocare la responsabilità di un altro Stato sottoscrittore allo scopo di verificare la presunta inadempienza dei suoi obblighi nei confronti di tutti e di porre fine a tale inadempienza.

La Corte ha debitamente concluso che il Gambia aveva prima facie la legittimazione a denunciare il conflitto con il Myanmar sulla base di presunte violazioni degli obblighi previsti dalla Convenzione sul Genocidio.

Per quanto riguarda l’ultimo requisito, cioè il collegamento tra le nove misure provvisorie richieste dal Sudafrica con i diritti da tutelare, la Corte ha potuto riscontrare che la maggior parte di questi diritti, per la loro natura, sono strettamente legati alle misure provvisorie, in particolare la sospensione delle operazioni di combattimento e il contrasto a qualsiasi atto di genocidio. Logicamente ciò significa che per fermare le uccisioni, la distruzione, gli abusi fisici o psicologici dei membri del gruppo e gli sfollamenti, e consentire il flusso di tutti i tipi di aiuti, è necessario fermare l’azione militare.

Per quanto riguarda l’elemento intenzionale che costituisce il reato di genocidio, quando viene commesso uno qualsiasi degli atti criminalizzati dalla Convenzione sul genocidio “deve esserci una provata intenzione da parte degli autori di distruggere fisicamente un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso” in tutto o in parte – clausola nota come “intento speciale” che è solitamente difficile da dimostrare. Nei reati ordinari il pubblico ministero deve scavare nella mente del criminale e nelle circostanze del reato per indagare su di esso e dimostrare l’intento previsto dall’accusa.

Sebbene l’intento non sia un elemento importante da dimostrare in questa fase, il Sudafrica ha presentato decine di dichiarazioni di personale militare, ministri e primo ministro israeliani dimostrando la loro tenacia e determinazione nel commettere il crimine di genocidio, rafforzato dalla massiccia quantità di omicidi e distruzione.

Shaw ha cercato piuttosto banalmente di dare poca importanza a queste affermazioni e ne ha data una diversa interpretazione. Tuttavia le azioni, le parole che le hanno supportate e le loro conseguenze dimostrano l’intenzione di Israele di commettere il genocidio.

In generale, quando la Corte considera i fatti e le prove supportati da schiaccianti statistiche, immagini, video e resoconti internazionali, si sentirà titolata rispetto all’esistenza di una sua giurisdizione di principio che le consenta di imporre misure preventive, e la Corte ne garantirà l’attuazione attraverso le misure che impone. Ciò include l’obbligo per Israele di presentare un rapporto entro una settimana dalla data della sentenza in cui spieghi quali azioni ha intrapreso per attuare quelle misure, e poi di presentare rapporti periodici entro un periodo specificato (ad esempio ogni tre mesi) per tutta la durata dell’udienza della causa originale.

Gli argomenti presentati dalla difesa israeliana ignorano e negano i fatti sul campo. Si è trattato semplicemente di una ripetizione delle falsità che abbiamo sentito durante gli oltre 100 giorni di offensiva militare israeliana contro i palestinesi a Gaza. I civili palestinesi e le infrastrutture civili sarebbero tutti militarizzati, compresi ospedali, luoghi di culto, scuole dell’UNRWA e giornalisti. Questo incolpare le vittime dell’aggressione israeliana sostanzialmente contraddice il fatto che la maggior parte dei palestinesi uccisi e feriti da Israele sono bambini e donne. Anche solo questo suggerisce con forza l’esistenza di un piano di sterminio in cui i civili vengono presi di mira deliberatamente.

Sarebbe sufficiente che i giudici valutassero i fatti a loro presentati e verificassero la presenza dei tre requisiti necessari per respingere le richieste di Israele di cancellare il caso dagli atti pubblici e per sostenere l’imposizione di tutte o della maggior parte delle misure provvisorie. Ciò accadrebbe solo se le misure dell’intesa fossero in teoria implementate e se i giudici agissero in modo indipendente senza alcuna influenza da parte dei rispettivi governi – che nominano i giudici della Corte Internazionale di Giustizia – qualunque sia la loro posizione. In altre parole, saranno la legge o le considerazioni politiche a influenzare i giudici?

Resta anche la questione se Israele attuerà la decisione dei giudici se andasse contro gli interessi percepiti dello Stato sionista. Che Israele sia comparso davanti alla Corte e abbia presentato la sua difesa significa che ha riconosciuto l’autorità della Corte Internazionale di Giustizia ed espresso la propria volontà di attenersi alla sua decisione. Per esperienza, però, sappiamo che Israele è abile nell’eludere e manipolare tali decisioni. Non ha remore a violare il diritto internazionale e a trattarlo con disprezzo.

Sembra che coloro che hanno sostenuto Israele nella sua offensiva genocida continueranno a farlo. Sia gli Stati Uniti che la Gran Bretagna hanno criticato la denuncia del Sudafrica alla Corte Internazionale di Giustizia. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che nella causa la Germania starà dalla parte di Israele. Non sarebbe sorprendente se gli Stati Uniti e il Regno Unito si unissero alla difesa di Israele. Un simile passo aumenterebbe il numero degli imputati responsabili di aver commesso il genocidio, poiché se il genocidio fosse dimostrato questi paesi sarebbero considerati complici.

Altri paesi potrebbero ora essere spinti ad unirsi al Sudafrica e presentare richieste che obblighino gli alleati di Israele a cessare il loro sostegno al genocidio. La Namibia lo ha già fatto, vittima del primo genocidio del XX secolo commesso dalla Germania nel 1904.

La storia verrebbe riscritta per far luce sull’eredità coloniale degli Stati Uniti e dell’Europa, in cui il genocidio delle popolazioni indigene ha avuto un ruolo di rilievo e le cui prove sono schiaccianti e non possono essere negate.

Vorrei esortare tutti i paesi a capire che hanno il dovere di sostenere la causa del Sudafrica con tutti i mezzi possibili. Gli Stati sottoscrittori della Convenzione sulla Prevenzione del Genocidio che non hanno una riserva sull’articolo 9 devono unirsi alla causa per ampliarne la portata e includere tutti i territori palestinesi occupati, poiché anche i crimini commessi dall’occupazione israeliana in Cisgiordania e Gerusalemme devono essere affrontati in base alla Convenzione sul Genocidio.

La priorità, tuttavia, resta quella di fermare con ogni mezzo la barbara aggressione di Israele. Dopo più di 100 giorni, non è più accettabile che 152 paesi dell’ONU siano incapaci di fare qualcosa per affrontare e fermare Israele e i suoi alleati. I Paesi arabi e islamici possono guidare questi tentativi e esserne referenti per salvare ciò che resta della Striscia di Gaza, ma devono smettere di temerne le conseguenze e abbandonare la propria debolezza. Solo allora ci riusciranno.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Da Gaza al Congo: il sionismo e la storia dimenticata del genocidio

Ramzy Baroud

9 gennaio 2024 – Middle East Monitor

Migliaia di chilometri separano l’Uganda e il Congo dalla Striscia di Gaza, ma questi luoghi sono connessi alla Palestina in modi che le tradizionali analisi geopolitiche probabilmente non riuscirebbero a spiegare. Eppure il 3 gennaio è stato rivelato che il governo israeliano di estrema destra di Benjamin Netanyahu sta attivamente discutendo proposte per espellere milioni di palestinesi verso Paesi africani in cambio di un prezzo definito.

Apparentemente la discussione sull’espulsione di milioni di palestinesi da Gaza è entrata nel pensiero mainstream israeliano il 7 ottobre, tuttavia il fatto che questo dibattito continui a oltre tre mesi dall’inizio della guerra di Israele contro Gaza indica che le proposte israeliane non sono l’esito di uno specifico momento storico come l’Operazione Diluvio Al-Aqsa, per esempio.

Anche a una rapida disamina le testimonianze storiche israeliane puntano al fatto che l’espulsione di massa dei palestinesi, nota in Israele come “trasferimento”, era, e resta, una rilevante strategia sionista che mira a risolvere il cosiddetto “problema demografico” dello Stato di apartheid.

Molto prima che il 7 ottobre i combattenti delle Brigate Al-Qassam e altri movimenti palestinesi assaltassero la recinzione che separa l’assediata Gaza da Israele, i politici israeliani avevano discusso in varie occasioni come ridurre la popolazione palestinese complessiva per mantenere una maggioranza ebraica nella Palestina storica. L’idea non era solo limitata agli estremisti oggi al governo in Israele, ma era anche dibattuta da personaggi come l’ex ministro della difesa israeliana Avigdor Lieberman che, nel 2014, suggerì un progetto per un “piano di scambio della popolazione”.

Persino intellettuali e storici ritenuti progressisti hanno sostenuto questa idea, sia in teoria che in pratica. In un’intervista con il giornale israeliano progressista Haaretz nel gennaio 2004 uno dei più influenti storici israeliani, Benny Morris, si rammaricava che il primo ministro israeliano, David Ben-Gurion, non fosse riuscito ad espellere tutti i palestinesi durante la Nakba, il catastrofico evento di massacri e pulizia etnica che portò alla costruzione dello Stato di Israele sopra città e villaggi palestinesi.

Essi includono una memoria ufficiale pubblicata il 17 ottobre della think tank Misgav Institute for National Security and Zionist Strategy e un rapporto diffuso tre giorni dopo dalla testata israeliana Calcalist, [il principale quotidiano finanziario israeliano, ndt.] che riportava un documento che proponeva la stessa strategia.

Che Egitto, Giordania e altri Paesi arabi abbiano apertamente e immediatamente dichiarato la loro totale opposizione all’espulsione dei palestinesi è un’indicazione del grado di serierà di queste proposte ufficiali israeliane.

Il nostro problema è [trovare] un Paese che voglia accogliere i gazawi,” ha detto il 2 gennaio Netanyahu, “e noi ci stiamo lavorando.” I suoi commenti non sono i soli. Il ministro delle Finanze di estrema destra Bezalel Smotrich ha detto che “la cosa da fare nella Striscia di Gaza è incoraggiare l’emigrazione.”

È stato allora che il dibattito ufficiale israeliano ha adottato il termine “migrazione volontaria”. Non c’è niente di “volontario” in 2.2 milioni di palestinesi ridotti alla fame che devono affrontare il genocidio mentre vengono spinti sistematicamente verso la zona di confine fra Gaza ed Egitto.

Nella causa presentata alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), il governo del Sudafrica ha incluso la pulizia etnica di Gaza pianificata da Tel Aviv come uno degli argomenti principali elencati da Pretoria, che accusa Israele di genocidio.

A causa del mancato entusiasmo da parte dei Paesi occidentali filoisraeliani, i diplomatici israeliani stanno facendo il giro del mondo alla ricerca di governi che vogliano accettare palestinesi vittime di pulizia etnica. Immaginate se questo comportamento provenisse da un qualsiasi altro Paese, un Paese che ammazza civili, minori, donne e uomini e poi fa shopping per trovare altri Stati che accettino i sopravvissuti in cambio di denaro.

Israele non solo si fa beffe del diritto internazionale, ma ha anche raggiunto un livello ancora più basso nel comportamento spregevole di qualunque altro Stato, ovunque nel mondo, in qualsiasi momento della storia, antica o moderna. Nonostante ciò il mondo continua a rimanere a guardare, sostenere, come nel caso degli USA e del Regno Unito, o a protestare timidamente o energicamente, ma senza fare neanche un passo significativo per fermare il bagno di sangue a Gaza, o per bloccare la possibilità di scenari veramente terrificanti che potrebbero seguire se la guerra non finisce, e presto.

Tuttavia c’è una cosa che molti forse non sanno: il movimento sionista, l’istituzione ideologica che fondò Israele, prese in considerazione il suggerimento di spostare gli ebrei del mondo in Africa e stabilire là il loro Stato, prima di scegliere la Palestina quale “focolare ebraico”. Il cosiddetto “Schema Uganda” del 1903 fu formulato da Theodor Herzl, il giornalista ateo che fondò il sionismo politico, al sesto congresso sionista. Era basato su una proposta avanza da Joseph Chamberlain, ministro britannico per le Colonie. Alla fine il progetto venne abbandonato, ma i sionisti prima continuarono a cercare altri posti, per poi decidere per la Palestina e stabilirsi là, sfortunatamente per i palestinesi.

Se paragoniamo il linguaggio genocidiario dei leader israeliani di oggi e studiamo i loro punti di riferimento razzisti riguardo ai palestinesi, possiamo vedere una significativa coincidenza con il modo in cui le comunità ebraiche sono state percepite dagli europei per centinaia di anni. L’improvviso interesse sionista per il Congo come “patria” potenziale per i palestinesi illustra ulteriormente il fatto che il movimento sionista continua a vivere all’ombra della sua storia, proiettando il razzismo europeo contro gli ebrei attraverso il razzismo di Israele contro i palestinesi.

Il 5 gennaio Amihai Eliyahu ministro israeliano per il Patrimonio [di Gerusalemme], ha suggerito che gli israeliani “devono trovare delle soluzioni per i gazawi che siano più dolorose della morte.” Non dobbiamo affannarci per trovare un simile linguaggio usato dai nazisti tedeschi contro gli ebrei nella prima metà del Ventesimo Secolo. Se la storia si ripete, lo fa in modo grottesco e crudele.

Ci è stato detto che il mondo ha imparato dalle uccisioni di massa delle guerre precedenti, incluso l’Olocausto e altre atrocità della Seconda Guerra Mondiale. Eppure sembra che le lezioni siano state ampiamente dimenticate. Non solo Israele sta ora assumendo il ruolo di assassino di massa, ma anche il mondo occidentale continua a giocare il ruolo assegnatogli in questa storica tragedia. I leader occidentali o applaudono Israele, o protestano garbatamente, o non fanno assolutamente nulla.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Trasferimento forzato, ‘imperativo morale’ e disprezzo coloniale

Ramona Wadi

26 dicembre 2023 Middle East Monitor

Due editoriali usciti il giorno di Natale, uno del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu pubblicato sul Wall Street Journal e l’altro di Joel Roskin, geologo e geografo all’Università Bar-Ilan, apparso sul Jerusalem Post, puntano entrambi verso la pulizia etnica dei palestinesi di Gaza. Solo che la retorica di Netanyahu, non i suoi ordini, lo fa in modo leggermente meno indelicato, per compiacere l’Occidente della cui approvazione ha bisogno per distruggere completamente Gaza.

Netanyahu elenca tre prerequisiti per la “pace” e non cita gli ostaggi israeliani che restano a Gaza sotto la minaccia di essere uccisi dai bombardamenti dell’IDF. “Hamas deve essere distrutto, Gaza deve essere demilitarizzata e la società palestinese deve essere deradicalizzata.” Naturalmente Netanyahu ha bisogno della complicità internazionale e insiste che la comunità internazionale “dovrebbe incolpare Hamas per le massicce perdite civili della guerra in corso”. No, non deve. Israele sta bombardando Gaza con il pretesto di eliminare Hamas per effettuare una campagna di pulizia etnica totale contro il popolo palestinese.

Tuttavia la comunità internazionale non ha fatto altro che mercanteggiare sulle pause umanitarie e gli aiuti umanitari. Nel frattempo, a porte chiuse, il piano di Netanyahu per i palestinesi di Gaza è la “migrazione volontaria” – l’eufemismo di Israele per il trasferimento forzato, vietato dal diritto internazionale, che la comunità internazionale ha normalizzato a favore di Israele nel corso della Nakba del 1948.

Queste notizie non sorprendono, dato che il ministero israeliana dell’Intelligence ritiene che il trasferimento forzato sia l’opzione preferita, e che lo scorso novembre il parlamentare del Likud Danny Danon ha promosso la violazione del diritto internazionale a “imperativo morale” per i Paesi occidentali. Se l’Occidente probabilmente non solleverà che poche obiezioni o nessuna ai piani israeliani di trasferimento forzato, non esiste alcun imperativo morale nell’assecondare la pulizia etnica. Il problema è che la comunità internazionale non ha l’imperativo morale per fermare permanentemente la violenza coloniale israeliana perché la sua complicità è a mala pena distinguibile dalle attuali azioni di Israele.

L’editoriale di Roskin gronda odio, arroganza e ricatto, e ignora completamente la realtà politica di Gaza, incluso il rifiuto della comunità internazionale di accettare i risultati elettorali del 2006 e di avviare un dialogo con Hamas. L’Egitto, scrive Roskin, sarebbe “accolto dalla comunità internazionale quale salvatore della disperata situazione dei gazawi” se accettasse di essere complice dei piani israeliani di pulizia etnica. Roskin considera la Penisola del Sinai il luogo ideale per il “reinsediamento” dei palestinesi cacciati da Gaza dalla campagna di bombardamenti israeliani. Chiamare i trasferimenti forzati “sinceri programmi di reinserimento”, afferma Roskin, “L’obliterazione di Hamas in corso, che terrorizza i funzionari dell’Autorità Palestinese e molti abitanti di Gaza, potrebbe spianare la strada comparsa della soluzione del Sinai prospettata, se presentata in modo accorto e discreto che sia conforme alla mentalità mediorientale.”

Tutte queste parole ostili non rivelano altro che disprezzo coloniale per la popolazione indigena palestinese. I palestinesi non sarebbero forse abbastanza maturi da formare il proprio percorso politico se avessero la possibilità di farlo, invece di diventare rifugiati perpetui secondo il paradigma umanitario, tutto a beneficio di Israele? Se i palestinesi di Gaza non possono ritornare alle proprie terre e sono trasferiti a forza con la completa benedizione della comunità internazionale, Gaza potrebbe essere persa, ma non si vedrà la fine della lotta anticolonialista palestinese.

Un popolo che ricorda non può perdersi, non se sa che il colonialismo è reversibile.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




Meta accusata di ‘censura sistematica’ di contenuti filo-palestinesi

Redazione di Middle East Monitor

21 dicembre 2023 – Middle East Monitor

Martedì l’organismo di vigilanza di Meta ha dichiarato che il gigante dei social media, precedentemente noto come Facebook, ha commesso un errore nel rimuovere due video raffiguranti ostaggi e vittime provocati dal massacro militare israeliano contro i palestinesi di Gaza. La decisione è conseguente al fatto che Meta è accusata da Human Right Watch di “censura sistematica di contenuti palestinesi.”

Uno dei casi vede coinvolto un video Instagram che raffigura le conseguenze di un attacco aereo vicino all’ospedale Al-Shifa di Gaza, mostrando minori feriti e uccisi. Un altro video che si dice sia circolato è un filmato Facebook dell’attacco del 7 ottobre, che rappresenta una donna israeliana che implora i suoi rapitori di non farle del male mentre viene presa come ostaggio. L’organismo di vigilanza ha ritenuto che questi video fossero cruciali per “informare il mondo riguardo la sofferenza umana da entrambe le parti.” Tuttavia i sistemi di moderazione automatica di Meta inizialmente hanno rimosso i contenuti.

Sulla base della selezione della revisione dell’organismo di vigilanza, Meta è tornata sui suoi passi in entrambi i casi, ripristinando i video con un avviso prima della visualizzazione. Mentre l’organismo di controllo ha approvato il ripristino dei contenuti, ha espresso disaccordo sulla decisione di Meta di evitare che i video siano raccomandati agli utenti. In una dichiarazione l’organismo di controllo ha sollecitato Meta a rispondere più tempestivamente al cambiamento di circostanze sul terreno, sottolineando il delicato equilibrio tra l’importanza di dare voce alle persone e della sicurezza.

Mentre i due casi sono relativi ad entrambe le parti, le misure restrittive di Meta sui contenuti filo-palestinesi sono su su un livello diverso, dato che sono assoggettati ad una “censura sistematica”, secondo un nuovo rapporto rilasciato oggi da Human Right Watch.

L’organizzazione per i diritti umani documenta come il gigante dei social media Meta ha progressivamente ristretto il discorso in rete relativo alla Palestina sulle piattaforme come Facebook e Instagram. Nell’analisi si trovano più di 1.050 casi in cui il contenuto è stato rimosso, gli account sospesi, ha avuto luogo l’oscuramento e hanno avuto luogo altre forme di censura, tutte contro voci filo-palestinesi.

Secondo Debora Brown, la direttrice associata per la tecnologia e i diritti umani di Human Right Watch, queste restrizioni significano aggiungere “danno alla beffa in un periodo di indicibili atrocità e di una repressione che sta già soffocando l’espressione dei palestinesi.” Il rapporto sostiene che in mezzo ad attacchi devastanti a Gaza, in cui gli israeliani hanno ucciso oltre 20.000 civili, molti dei quali minori e donne, le misure restrittive di Meta servono ad “appoggiare la cancellazione della sofferenza dei palestinesi.”

Human Right Watch ha documentato quello che chiama un modello di cancellazione indebita e soppressione di un discorso protetto, che include espressioni di pace a supporto della Palestina e un dibattito pubblico riguardo ai diritti umani dei palestinesi. Il rapporto indica che il problema deriva da erronee politiche di Meta e dalla loro contraddittoria e sbagliata implementazione, da dipendenza eccessiva da strumenti automatici per moderare i contenuti e da una indebita influenza governativa sulla rimozione di contenuti.

Meta dovrebbe consentire di esprimere sulle sue piattaforme discorsi protetti, anche sulle violazioni dei diritti umani e dei movimenti politici, ha affermato Human Right Watch. L’azienda dovrebbe cominciare a rivedere le sue politiche riguardo a “organizzazioni e individui pericolosi” per adeguarle agli standard internazionali per i diritti umani.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Medici Senza Frontiere afferma che la situazione umanitaria nella Cisgiordania occupata è ‘estremamente critica’

Redazione di Middle East Monitor

19 dicembre 2023 – Middle East Monitor

Medici Senza Frontiere (Médicins Sans Frontières) ha descritto la situazione umanitaria nella Cisgiordania occupata da Israele come ‘estremamente critica’, in particolare a Jenin, data l’aggressione in corso contro i palestinesi da parte dello Stato di occupazione.

Oggi la situazione nella Cisgiordania, e particolarmente a Jenin, è estrema”, ha spiegato la coordinatrice a Jenin dell’organizzazione, Luz Saavedra. “Vediamo una significativa ripresa della violenza contro i civili, ed è andata crescendo rapidamente dal 7 ottobre.” Attacchi contro il sistema sanitario sono drammaticamente aumentati e sono diventati sistematici, ha sottolineato. Strade e infrastrutture, come anche acquedotti e fognature, sono stati distrutti.

Nelle scorse settimane,” ha aggiunto Saavedra, “le forze israeliane hanno assediato molti ospedali a Jenin, provocando un diretto impedimento alle cure sanitarie e hanno anche colpito e ucciso un ragazzo nella struttura dell’ospedale Khalil Suleiman. Il blocco delle cure sanitarie è sfortunatamente diventato una pratica comune. Durante ogni incursione diversi ospedali, incluso quello pubblico, sono stati circondati dalle forze israeliane.”

La mancanza di rispetto per gli ospedali è sconcertante, afferma un funzionario di Medici Senza Frontiere. “Da ottobre, siamo stati testimoni di un ragazzo di 14 anni colpito e ucciso nella struttura dell’ospedale, con i soldati che hanno sparato molte volte fuoco vivo e lacrimogeni contro l’ospedale, e infermieri sono stati costretti a spogliarsi e ad inginocchiarsi per strada. A fianco della violenza diretta, il costante blocco all’accesso alle cure sta anche mettendo a rischio le vite degli abitanti del campo e sembra che sia diventato una procedura operativa standard delle forze militari durante e dopo le incursioni militari a Jenin.”

In conclusione, ha sottolineato che l’organizzazione non può fornire le cure ai pazienti che non vanno in ospedale. “Le persone in stato di necessità devono poter avere un accesso sicuro al servizio sanitario e le strutture sanitarie devono essere protette.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Israele ammette di possedere munizioni al fosforo bianco

Redazione di MEMO

12 dicembre 2023 – Middle East Monitor

Ieri l’esercito di occupazione israeliano ha ammesso di possedere munizioni contenenti fosforo bianco dopo che la Casa Bianca ha espresso preoccupazione sull’uso di tali materiali incendiari in attacchi contro il Libano del sud.

La radio ufficiale dell’esercito israeliano ha affermato: “Abbiamo proiettili fumogeni contenenti fosforo bianco destinati alla mimetizzazione e non con lo scopo di attaccare o provocare incendi.”

Come molti eserciti occidentali, l’esercito israeliano possiede anche ordigni fumogeni contenenti fosforo bianco.”

In precedenza ieri il portavoce del Consiglio Nazionale di Sicurezza statunitense alla Casa Bianca, John Kirby, ha affermato che gli Stati Uniti sono preoccupati per i resoconti secondo cui a ottobre Israele avrebbe usato munizioni al fosforo bianco fornite dagli Stati Uniti in un attacco contro il Libano del sud, aggiungendo: “Abbiamo visto le informazioni. Certamente siamo preoccupati di questo. Faremo domande per provare a capire un po’ di più.”

A fine ottobre, Amnesty International ha reso noto prove secondo cui l’esercito israeliano ha usato fosforo bianco nei suoi attacchi in Libano.

All’epoca l’organizzazione aveva affermato in una dichiarazione: “Un attacco alla città di Dhayra il 16 ottobre deve essere indagato come crimine di guerra, perché è stato un attacco indiscriminato che ha ferito almeno nove civili e danneggiato obiettivi civili ed è stato perciò illegittimo.”

Il Laboratorio delle Prove di Crisi di Amnesty International ha verificato video e foto che mostrano l’uso di granate fumogene al fosforo bianco a Dhayra il 16 ottobre.”

[L’organizzazione] ha spiegato che il fosforo bianco è un’arma incendiaria “’progettata principalmente’ per provocare incendi e bruciare le persone, escludendo l’uso delle armi incendiarie per altri scopi, come le cortine fumogene.”

Ha aggiunto che “il fosforo bianco può incendiarsi nuovamente quando esposto all’ossigeno anche settimane dopo che è stato impiegato.”

Le bombe al fosforo sono armi internazionalmente proibite secondo la convenzione di Ginevra del 1980, che stabilisce la proibizione dell’uso del fosforo bianco come arma incendiaria contro gli esseri umani e l’ambiente.

Si è scoperto che Israele ha usato il fosforo bianco anche contro la popolazione civile a Gaza assediata, dove l’occupazione ha ucciso oltre 18.200 palestinesi e ne ha feriti circa 50.000.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Israele rastrella centinaia di ragazzi palestinesi e li fa scomparire

Redazione di MEMO

7 dicembre 2023 – Middle East Monitor

Immagini e riprese video scioccanti che circolano online mostrano ragazzi e uomini senza i loro indumenti intimi e seduti per terra con le gelide temperature invernali di Gaza.

Centinaia di ragazzi e uomini sopra i 15 anni sono stati radunati dalle forze di occupazione nella parte nord di Gaza, privati dei loro vestiti e portati via.

Immagini e riprese video scioccanti che circolano online mostrano ragazzi e uomini senza i loro indumenti intimi e seduti per terra con le gelide temperature invernali di Gaza.

Li si vede circondati da soldati dell’occupazione israeliana pesantemente armati che stanno urlando loro degli ordini.

Altre immagini mostrano un furgone militare per il trasporto di persone pieno di uomini che vengono portati via.

Non è chiaro quanti ragazzi e uomini siano stati fatti scomparire, ma alcuni rapporti indicano la cifra di 700. Si dice che siano stati presi dalle scuole [usate come] rifugio nella parte nord di Gaza, dove migliaia di civili sfollati sono stati obbligati a rifugiarsi in seguito ai bombardamenti e alla distruzione dei loro quartieri e delle loro case.

Ci sono informazioni secondo cui tra coloro che sono stati presi ci sarebbe Diaa Al-Kahlot, capo redazione del giornale Al-Arabi Al-Jadeed a Gaza. Utenti dei social media affermano di averlo riconosciuto nelle immagini diffuse con una giacca e con i suoi indumenti intimi tra le fila degli uomini.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Israele: un alto funzionario responsabile del rilascio del porto d’armi si dimette per le politiche sconsiderate di Ben-Gvir

Redazione di MEMO

5 dicembre 2023 – Middle East Monitor

Domenica il direttore del dipartimento per il rilascio del porto d’armi presso il ministero israeliano della Sicurezza Nazionale, Yisrael Avisar, ha rassegnato le dimissioni come segno di protesta per gli sconsiderati regolamenti delle licenze applicati su indicazione del ministro estremista Itamar Ben-Gvir, che ha accelerato [il rilascio di] migliaia di permessi per armi ai civili dichiarando che ciò rafforza la sicurezza pubblica.

Avisar, che ha lavorato in quell’incarico per sei anni, ha affermato che Ben-Gvir ha attribuito a 82 dei suoi collaboratori più stretti l’“autorità temporanea” di approvare le richieste di porto d’armi, anche ai suoi collaboratori personali impiegati della Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] e giovani donne che stanno effettuando il servizio civile nazionale volontario. Avisar ha spiegato che in condizioni normali un collaboratore deve effettuare un addestramento di un mese prima di ottenere un permesso per il porto d’armi, ma con la politica di Ben-Gvir il periodo è solo di un giorno.

La scorsa settimana Avisar ha distrutto la “sconsiderata” politica di Ben-Gvir di rilascio del porto d’armi durante due sessioni tenutesi alla Knesset.

Ha spiegato che i collaboratori del ministro di estrema destra hanno creato una “stanza operativa” negli uffici del ministero e ha avvertito che le licenze sono state concesse a richiedenti che non rispettavano i criteri del ministero. “I funzionari addetti al rilascio del porto d’armi devono esaminare le capacità mentali e fisiche dei candidati di portare un’arma, in aggiunta ad altre caratteristiche”, ha aggiunto.

Avisar ha anche espresso il timore che alcuni postulanti abbiamo avuto un trattamento di favore.

Il quotidiano israeliano Haaretz ha riportato le dichiarazioni di un funzionario della sicurezza secondo cui questa è “una ricetta per il disastro.”

Stanno distribuendo armi come se fossero caramelle, ma un porto d’armi non è un giocattolo per bambini. La supervisione è quasi nulla nel ministero” ha affermato la fonte.

Da quando si è insediato, Ben-Gvir ha lavorato senza sosta per facilitare le condizioni per il rilascio del porto d’armi, situazione che è drammaticamente peggiorata dal 7 ottobre.

Da allora, il numero delle richieste per ottenere un’arma ha raggiunto il numero di 255.000 e circa 20.000 sono state accolte.

In risposta alle dimissioni di Avisar, ieri il ministro della Sicurezza Nazionale ha affermato che “un’arma salva le vite e la politica del ministero verrà estesa e non ridotta.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Almeno 101 minori sono stati uccisi quest’anno in Cisgiordania

Redazione di MEMO

1 dicembre 2023 – Middle East Monitor

Un minore di otto anni colpito a morte in strada è una delle più recenti vittime delle continue incursioni e dei continui attacchi israeliani nella Cisgiordania occupata che quest’anno secondo Save the Children hanno ucciso finora 101 minori.

Secondo le Nazioni Unite dal 7 ottobre le forze di occupazione israeliane o i coloni illegali hanno ucciso almeno 63 minori nella Cisgiordania occupata, in media più di un minore al giorno – significativamente più uccisioni che nei primi nove mesi di un anno che è già stato il più letale. Durante lo stesso periodo le Nazioni Unite hanno riferito che circa 143 famiglie, inclusi 388 minori, sono state cacciate dalle loro case nella Cisgiordania a causa della violenza dei coloni e di restrizioni all’accesso.

Il numero di minori palestinesi uccisi in Cisgiordania da soldati israeliani o da coloni quest’anno è ora tre volte il numero di uccisi nel 2022 – già precedentemente l’anno più letale ufficialmente dal 2005 – quando 36 minori sono stati uccisi. Secondo quanto riferito quest’anno sono stati uccisi almeno 39 minori israeliani.

Save the Children è gravemente preoccupata che, senza una fine permanente della violenza, le vittime minorenni e più in generale civili continueranno a crescere in tutto il territorio occupato palestinese” ha affermato l’organizzazione per i diritti umani in un comunicato stampa. “La recrudescenza della violenza a Gaza si è riflessa sulle accresciute misure di controllo e violenza in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, con continui disordini che impediscono ai minori di andare a scuola e restringono il loro accesso a servizi fondamentali, inclusi quelli sanitari.”

Si è data notizia anche che ai minori che tentano di attraversare i posti di blocco in tutta la Cisgiordana vengono sequestrati i telefoni e che sono trattenuti nel sistema di detenzione militare “sulla base della loro attività sui social media, sollevando serie preoccupazioni sui diritti umani relativamente alla libertà di espressione, privacy e privazione della libertà.”

Mentre tutti gli occhi sono concentrati sul conflitto a Gaza, non c’è stata pausa nelle uccisioni di minori in Cisgiordania, dove la situazione continua a deteriorarsi,” ha affermato Jason Lee, il direttore di Save the Children per i territori palestinesi occupati.

Più a lungo continuano le uccisioni di civili a Gaza, maggiore è la probabilità che ciò si estenda alla Cisgiordania, dove i minori stanno già vedendo i loro diritti fatti a pezzi.”

Noi chiediamo un’indagine immediata e indipendente sulla – e l’obbligo di risponderne– uccisione di tutti i minori. Fin quando la cultura dell’impunità persisterà, è probabile che i cicli di violenza continuino.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)