Guerra tra Israele e Palestina: minori palestinesi liberati affermano che compagni di prigionia sono stati “torturati a morte”

Mosab Shawer a Hebron, Palestina occupata

27 novembre 2023 – Middle East Eye

Secondo le testimonianze di adolescenti liberati, almeno cinque detenuti palestinesi sarebbero morti nelle prigioni israeliane in seguito a violenze subite.

Minorenni palestinesi liberati dalle carceri israeliane come parte dello scambio di prigionieri tra Hamas e Israele hanno affermato di essere stati sottoposti a torture durante la detenzione e che altri detenuti sono stati percossi a morte.

Gli adolescenti sono tra i 39 palestinesi liberati dalle prigioni israeliane domenica nel corso del terzo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas, mentre quest’ultimo ha rilasciato 13 israeliani trattenuti a Gaza.

Lo scambio ha avuto luogo nel terzo giorno di fila di una tregua temporanea di quattro giorni a Gaza, la prima interruzione di questo genere nei combattimenti da quando sono iniziate le ostilità il 7 ottobre.

Tra quelli che sono stati rilasciati c’era Khalil Mohamed Badr al-Zamaira, 18 anni, che ne aveva 16 quando è stato arrestato dalle forze israeliane.

Ha affermato che i prigionieri palestinesi sono stati maltrattati e picchiati in prigione e che non c’è un trattamento differenziato per i minorenni.

“Non fanno distinzioni tra vecchi e giovani,” ha detto a Middle East Eye.

“Due adolescenti sono stati trasferiti dalla prigione di Ofer con le costole rotte, non riuscivano più a muoversi.”

Anche Omar al-Atshan, un adolescente liberato, ha affermato di essere stato maltrattato e torturato nella prigione del Naqab [Negev in ebraico, ndt.], dove è stato tenuto prima del rilascio.

“I maltrattamenti erano indescrivibili,” ha detto ad Al Jazeera durante un reportage dal vivo dell’arrivo di prigionieri rilasciati domenica nella Cisgiordania occupata.

Ha detto che in prigione sono stati metodicamente picchiati e umiliati e che acqua e cibo erano scarsi.

Durante il rilascio i soldati israeliani hanno ordinato loro di abbassare la testa e poi li hanno percossi, ha affermato.

“Non siamo del tutto contenti perché ci sono altri prigionieri ancora detenuti,” ha detto, aggiungendo che un carcerato, che ha identificato come Thaer Abu Assab, è stato picchiato a morte in prigione.

“Ha subito troppe percosse. Abbiamo chiesto aiuto, ma i medici sono arrivati un’ora e mezza dopo che era morto per le torture.

È stato torturato per aver fatto una domanda, ha chiesto al secondino se c’era una tregua. Allora è stato pestato a morte e colpito in testa.”

Quattro detenuti torturati a morte a Megiddo

Anche un altro minore liberato, Osama Marmash, ha rilasciato ad Al Jazeera una testimonianza simile.

Il sedicenne è stato tenuto nella prigione di Megiddo prima del rilascio. Ha raccontato ad Al Jazeera che lì quattro detenuti palestinesi sono stati torturati a morte.

Marmash ha detto di aver subito lesioni a un piede e alla schiena a causa delle percosse.

“La mia divisa di recluso era bianca ma è diventata rossa per le macchie di sangue,” ha detto.

Il cibo era molto scarso, ha affermato, e spesso “immangiabile”.

Ha detto che sono stati maltrattati durante il viaggio verso la Cisgiordania.

“Il percorso è stato difficile. Hanno spento l’aria condizionata dell’autobus. Stavamo soffocando,” ha raccontato.

La tregua tra Hamas e Israele dovrebbe vedere il rilascio di 150 donne e minori palestinesi e 50 israeliani tenuti a Gaza in quattro giorni.

Da parte sua Hamas ha rilasciato 13 prigionieri israeliani, tra cui nove minorenni, così come quattro cittadini stranieri: tre thailandesi e un russo-israeliano.

Il presidente USA Joe Biden ha detto che è stata liberata anche una bambina israelo-americana di quattro anni i cui genitori sono stati uccisi il 7 ottobre.

In un comunicato Hamas ha affermato che il russo-israeliano con doppia cittadinanza è stato rilasciato “come risposta ai tentativi del presidente russo Vladimir Putin e come riconoscimento dell’appoggio russo alla Palestina.”

Il russo è il primo prigioniero di sesso maschile ad essere rilasciato da Hamas durante la tregua.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele infligge ai minori palestinesi violenze fisiche e psicologiche

Anjuman Rahman

29 ottobre 2020 – Middle East Monitor

Israele è l’unico Paese al mondo che processa regolarmente dei minori in tribunali militari, che non garantiscono minimamente un processo equo

Hanno sfondato la porta d’ingresso, sono entrati nella mia stanza, mi hanno coperto la faccia con un sacco e mi hanno portato via,” spiega Abdullah. “Hanno detto a mio padre che sarei ritornato il giorno dopo.” Ma non è tornato dalla sua famiglia fino all’anno seguente ed è stato arrestato altre sei volte.

Questo non è insolito nella Palestina occupata, dove i minori prigionieri sono una parte rilevante della narrazione palestinese. Ogni anno centinaia di minori, alcuni di 12 anni, sono detenuti e processati nel sistema giudiziario militare.

L’accusa più comune è il lancio di pietre, che l’esercito israeliano considera un “attacco alla sicurezza”. Chi è giudicato colpevole può subire fino a 20 anni di carcere, a seconda dell’età del minore.

Israele è l’unico Paese al mondo che processa abitualmente i minori in tribunali militari, che non garantiscono minimamente un processo equo. Inoltre i minori palestinesi detenuti da Israele subiscono violenze e torture sistematiche, che sono state legittimate dal potere giudiziario e dal governo.

La terribile situazione di questi ragazzi è ben documentata. La portata del problema è stata delineata dall’ONG Save the Children [associazione internazionale che si occupa di bambini e adolescenti in tutto il mondo, con sede a Londra, ndtr.] in un nuovo rapporto.

Attualmente ci sono almeno 200 minori palestinesi detenuti nelle carceri israeliane di Ofer, Damon e Megiddo. Ci sono anche minori disabili e con problemi di salute mentale. Damon e Megiddo sono sovraffollate e i minori prigionieri sono tenuti a stretto contatto tra loro in condizioni di squallore e mancanza di igiene. C’è scarsa attenzione all’aspetto sanitario.

Gli attivisti dicono che le conclusioni di Save the Children dimostrano che i minori in custodia sono trattati peggio degli animali e descrivono il loro trattamento come “spaventoso”, avvertendo che “i minori vengono torturati”. La realtà è che se degli animali fossero trattati così scoppierebbe uno scandalo nazionale e persino internazionale.

Anche le ragazze detenute subiscono un trattamento terribile. Interviste condotte da Save the Children con ex detenute rivelano che le ragazze hanno riferito di essere state arrestate prevalentemente ai posti di blocco, mentre la maggioranza dei ragazzi sono stati arrestati a casa loro. È normale per i giovani palestinesi essere presi di mira quando si trovano vicino alle colonie illegali israeliane.

Mentre la maggior parte delle punizioni sono perpetrate all’interno delle prigioni israeliane, il rapporto documenta anche che più della metà dei minori intervistati ha affermato che le violenze normalmente iniziano prima di una qualunque indagine, nel corso della quale vengono umiliati e torturati ancor di più. Nelle testimonianze raccolte dalla ONG i ragazzi hanno riferito l’uso di manette e bende per gli occhi e di violenze fisiche e verbali durante il loro arresto e trasferimento [in carcere]. Inoltre molti sono stati arrestati di notte e non gli è stato permesso di dormire prima dell’interrogatorio.

Issa* aveva 15 anni quando è stato arrestato. “Mentre venivo interrogato”, ha spiegato, “mi urlavano contro e hanno messo un fucile sul tavolo di fronte a me per spaventarmi. Hanno detto parole brutte, brutte. Non voglio pensare a quelle parole. La prigione era un posto orribile. Mettevano la sveglia a mezzanotte, alle 3 e alle 6 del mattino in modo che non potessimo mai dormire a lungo. Se non eri sveglio in quei momenti ti picchiavano. Io sono stato picchiato alcune volte con bastoni di legno. Ho ancora adesso male alla schiena a causa di un pestaggio particolarmente duro.”

Un’altra vittima è stata arrestata quando aveva 14 anni. La testimonianza di Fatima racconta come è stata aggredita dalle forze di sicurezza israeliane quando è stata arrestata ad un checkpoint militare mentre stava andando a scuola. “Hanno perquisito la mia borsa e mi hanno parlato in ebraico, una lingua che io non capisco. Mi hanno ammanettata, gettata a terra e presa a calci nella schiena.”

Quelli che non hanno avuto danni fisici permanenti sono spesso feriti psicologicamente. Quasi la metà dei minori intervistati concorda di non riuscire a tornare pienamente ad una vita normale. L’85% ha detto di essere cambiato a causa delle esperienze vissute. L’impatto della detenzione viene avvertito soprattutto quando cercano di tornare alla vita normale con i familiari.

Questi minori vulnerabili sono palesemente stressati e spezzati. Non si tratta solo del trauma per quello che gli è successo in prigione, ma anche di ciò che hanno dovuto subire prima di essere incarcerati. La brutale occupazione israeliana della Cisgiordania, l’assedio della Striscia di Gaza e la sistematica negazione dei legittimi diritti dei palestinesi hanno provocato una grave crisi molto complessa, che ha compromesso la salute psichica e fisica del popolo palestinese. I problemi emotivi sono molto diffusi.

Inoltre dal momento del loro arresto – che avviene spesso in piena notte – fino al processo in tribunale, i minori subiscono molte violazioni dei diritti, incluse violenze fisiche e verbali, coercizione e negazione della presenza di genitori o avvocati durante il loro interrogatorio. In più, quando infine vengono scarcerati, l’occupazione israeliana continua a costituire una parte brutale e costante della loro vita.

Le violazioni dei diritti umani e le dure condizioni di detenzione hanno significative conseguenze psicologiche sui minori e sulle loro famiglie. Il disordine da stress post-traumatico è frequente. “Come persona, io sono cambiato”, dice Mahmoud, arrestato quando aveva 17 anni. “La mia rabbia è aumentata e non riesco a sopportare niente.”

Minori ex detenuti riferiscono di non riuscire a fidarsi di nessuno né a costruire rapporti significativi nella “vita dopo il carcere”. Infatti mostrano scarsa attitudine relazionale e tendono ad isolarsi dal mondo esterno a causa delle proprie insicurezze e della paura “degli altri”. Gli effetti dell’incarcerazione si riscontrano anche nel continuo senso di insicurezza e molti ragazzi lasciano la scuola o faticano ad avere rapporti con i familiari a casa.

L’Autorità Nazionale Palestinese è stata più volte criticata per non aver agito per facilitare il ritorno a casa dei minori quando vengono scarcerati da Israele. Nel suo rapporto Save the Children suggerisce che l’ANP potrebbe agevolare il reinserimento degli ex detenuti nelle rispettive comunità e nel sistema educativo, per esempio modificando la prassi che non consente ai minori di proseguire l’anno scolastico dopo un certo numero di assenze. L’ONG chiede anche all’ANP di appoggiare un programma di presa di coscienza per aiutare i ragazzi a comprendere i loro diritti in ogni fase del loro percorso detentivo, compreso il diritto al silenzio, all’assistenza legale e all’educazione. Save the Children sostiene che ciò dovrebbe costituire parte integrante del curriculum scolastico.

La comunità internazionale deve intervenire e fare pressione su Israele per porre fine alle sue violazioni nei confronti dei minori palestinesi. Il diritto internazionale è esplicito riguardo a ciò che si può fare e che non si può fare rispetto ai minori che vengono arrestati. Tuttavia, come in molti altri ambiti, Israele disprezza le leggi.

La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989 afferma che l’incarcerazione di minori deve essere “una misura estrema e per un periodo di tempo il più breve possibile”. Israele ha ratificato la Convenzione nel 1991, ma ha ricevuto le critiche dell’ONU per la sua applicazione o per non averlo fatto. È giunto certamente il momento che lo Stato si dimostri capace di agire perché l’impunità abbia immediatamente fine.

*Tutti i nomi citati sono stati modificati per proteggere l’identità delle vittime.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Proseguono gli scioperi della fame dei prigionieri

Alessandra Mincone

20 giugno 2019, Nena News

Dalla prigione di Ashqelon a quella di Damon i detenuti palestinesi, uomini e donne, portano avanti questa forma di protesta che riesce a frenare abusi e restrizioni attuate dalle autorità carcerarie israeliane

Dopo sabato 15 giugno, quando le celle della prigione centrale di Ashqelon, “Shikma”, sono state prese d’assalto dalle guardie carcerarie, più di quaranta detenuti hanno minacciato uno sciopero della fame ottenendo che numerose rivendicazioni venissero poste all’attenzione delle autorità israeliane. Tra queste, si chiede di mettere fine alle aggressioni da parte delle guardie; l’accesso all’acqua calda; il recupero di beni fondamentali per i prigionieri come cibo, indumenti, carta, penne e libri; il diritto a ricevere visite di legali e familiari; la possibilità di usufruire di cabine telefoniche, di poter godere di tempi e spazi d’aria adeguati alla luce del sole e di eliminare i ripetitori delle frequenze per i telefoni cellulari (usati dalle guardie) dannosi per la salute. Inoltre di mettere fine alla pratica dei trasferimenti eseguite in veicoli militari chiamati “bosta”, una sorta di “bara” in cui i prigionieri viaggiano piegati in strette gabbie di metallo e incatenati  braccia e gambe, persino quelli in precarie condizioni di salute, per tragitti che durano anche tre giorni.

La Società Palestinese dei Detenuti ha riscontrato un primo esito positivo dalla discussione con l’amministrazione carceraria, tanto da affermare che con lo sciopero ad Ashqelon è stato ottenuto un trattamento sanitario per quattro prigionieri gravemente malati e, inoltre, si consentirà il ritorno di un altro prigioniero a Shikma entro il 1 luglio.

Lo scorso aprile, circa 400 prigionieri avevano aderito ad uno sciopero della fame a tempo indeterminato al grido della parola “dignità”. Una protesta che nonostante abbia fallito nella trattativa con le istituzioni carcerarie, è comunque riuscita ad allargarsi ai centri di detenzione di massima sicurezza di Gilboa, Megiddo, Eshel, Ofer, Nafha e Ramon; questi ultimi due edifici formano un’unica prigione che si trova nell’area desertica a sud-est della Palestina. Nafha, denunciato come uno dei carceri più duri e severi attivo dagli anni ottanta, fu progettato per imprigionare i leader delle proteste palestinesi al fine di isolarli. I palestinesi affermano che vi vengono praticate “forme di tortura” con le quali i reclusi sono gradualmente “spinti verso la morte”. Mentre il complesso di Ramon, edificio più recente, proprio lo scorso 17 giugno è stato teatro di tensioni a causa di agguati e saccheggi da parte delle guardie penitenziarie.

Nelle prigioni israeliane la pratica dello sciopero della fame rappresenta storicamente un modello di lotta con cui i palestinesi hanno provato a contrastare l’abuso di potere esercitato quotidianamente dalle guardie. È l’esempio della prigione di Ramleh, dove nel 1953 furono imprigionati i primi palestinesi, e nel 1968 si assisté ai due primi scioperi della fame a causa degli abusi fisici, dell’esposizione costante alla pioggia e per ottenere quaderni, penne e libri nelle celle. Riguardo invece la prigione Shikma di Ashqelon, essa è conosciuta come una delle più dure sin dagli anni Settanta. Se inizialmente una parte dell’edificio di Ashqelon fu strutturato solo come centro per gli interrogatori ai detenuti (tutt’ora in vigore), in seguito fu furono costruite aree murate per imprigionare chi si opponeva all’occupazione israeliana delle terre palestinesi.

Proprio ad Ashqelon alcune indagini portate avanti da gruppi israeliani per i diritti umani – quali B’Tselem e HaMoked – dimostrano che le dinamiche di umiliazione così come i trattamenti degradanti hanno inizio proprio dalla fase dell’interrogatorio dei prigionieri: deprivazione del sonno e dei servizi igienici, isolamento ed esposizione a temperature estreme, minacce, violenze di vario genere, negazione a consultare degli assistenti legali. Tecniche che secondo Noga Kadman di B’Tslem sono orchestrate dall’intelligence israeliana, dagli uffici delle Procure e dall’intero apparato statale, con il beneplacito consenso addirittura dell’Autorità Nazionale Palestinese, al fine di estorcere delle dichiarazioni dall’interrogato completamente manovrate e distorte. Le due organizzazioni hanno congiuntamente scritto che: “hanno tutti contribuito a diversi aspetti di trattamenti abusivi, crudeli, disumani e degradanti subiti dai detenuti palestinesi a Shikma e in altri centri di detenzione”.

L’associazione per i diritti umani e il supporto ai prigionieri palestinesi, mostra sul proprio sito alcuni dati aggiornati fino a Maggio 2019. Sono 5350 i prigionieri politici nelle carceri israeliane, di cui 480 in “detenzione amministrativa” – ossia, reclusi senza processo e quindi formalmente senza aver commesso alcun reato e senza il diritto all’assistenza legale; mentre 210 sono i minori, di cui 26 al di sotto dei 16 anni.

Dal 1967 le forze israeliane hanno arrestato più di 50.000 bambini e giovanissimi. Dallo scoppio della Seconda Intifada, nell’anno 2000, sono stati imprigionati circa 16.500 bambini con un aumento vertiginoso degli arresti nel 2011. Le accuse di provocazione per il lancio di pietre contro i militari e i più recenti aquiloni incendiari (da Gaza verso il territorio meridionale israeliano), hanno prodotto pesanti abusi delle autorità israeliane contro i diritti di ragazzi e giovani a cui viene negata la libertà e possibilità a livello scolastico e sanitario.

Dal malcontento dei prigionieri e delle prigioniere, sottolinea la Rete di Solidarietà dei detenuti politici palestinesi Samidoun, si può sperare nel successo delle lotte avviate. In un comunicato dove si congratula per le proteste di Ashqelon, la Rete coglie l’occasione per lanciare un appello delle prigioniere palestinesi in vista del prossimo sciopero della fame collettivo, proclamato per il 1 luglio nel carcere di Damon. Nena News

“Canterò nella cella della mia prigione

nella stalla

sotto la sferza

tra i ceppi

nello spasimo delle catene.

Ho dentro di me milioni di usignoli

per cantare la mia canzone di lotta.”

Mahmoud Darwish