La nomina di Itamar Ben-Gvir a ministro per la sicurezza nazionale è una cattiva notizia per i Palestinesi

Miko Peled

29 novembre – Mintpress News

Il criminale razzista Itamar Ben-Gvir non è stato ancora investito del suo nuovo incarico di Ministro della Sicurezza Nazionale, ma gli effetti della sua ascesa al potere si sono già fatti sentire in tutta la Palestina. Mentre scrivo l’attivista palestinese per i diritti umani Issa Amro è stato arrestato dall’esercito israeliano. Recentemente ha pubblicato un video che mostra un soldato dell’esercito che aggredisce e picchia un attivista israeliano nella città di Al-Khalil (nota anche come Hebron). Il comportamento del soldato e l’improvviso arresto ingiustificato di Issa sono dei segnali di quanto accadrà.

Da Al-Khalil Issa dirige Youth Against Settlements [Gioventù contro le colonie, ndt.], una delle più importanti ed efficienti organizzazioni della società civile in Palestina. Più volte è stato minacciato di morte dai soldati e dai coloni israeliani, e ora la pressione su di lui è più forte che mai. Non è il solo e come recentemente è stato detto molte volte la sicurezza e l’incolumità dei palestinesi è più che mai in grave pericolo.

Dobbiamo chiederci quanti altri segnali di allarme ci vorranno prima che il mondo intervenga per proteggere i palestinesi. Fonti israeliane confermano che Itamar Ben-Gvir,è un seguace del razzista anti-arabo Meir Kahane: un uomo che ha dichiarato pubblicamente la sua ammirazione per l’omicida di massa Baruch Goldstein che ha massacrato i fedeli palestinesi nella Moschea Ibrahimi ad Al-Khalil [nel 1994 il medico israeliano aprì il fuoco contro i fedeli in preghiera nella moschea uccidendone 29 e ferendone più di 100, ndt.], sarà il ministro della sicurezza nazionale di Israele. Benny Gantz, il ministro della difesa israeliano uscente, ha commentato così la notizia: “Netanyahu concede a Ben-Gvir di creare in Cisgiordania un suo esercito personale”.

La carica di ministro della sicurezza nazionale è un nuovo incarico creato appositamente per Ben-Gvir. È una nomina che gli darà un potere senza precedenti; avrà il controllo sulla vita dei cittadini palestinesi di Israele, così come di quelli che vivono a Gerusalemme e in Cisgiordania. Questa posizione include il controllo della polizia di frontiera, che si occupa principalmente dei palestinesi. Avrà il controllo della cosiddetta Brigata Verdee della Polizia Verde, due organi militari che si occupano esplicitamente delle violazioni ambientalipalestinesi, una parola in codice usata per descrivere le azioni intraprese da cittadini palestinesi di Israele, da palestinesi che detengono la cittadinanza di Gerusalemme o da abitanti palestinesi dei distretti designati da Israele come Area C” [sotto il controllo amministrativo e di sicurezza israeliano, ndt.].

La polizia di frontiera ha diverse brigate che operano in Cisgiordania, con un personale stimato di 2.000 persone. Altri 4.000-5.000 sono riservisti. Attualmente è finanziata dall’esercito e sotto il suo comando. Il motivo per cui Ben-Gvir vuole che questa ingente forza sia sotto il suo controllo è perché parte del suo mandato è l’evacuazione degli avamposti coloniali. Questi avamposti sono infatti insediamenti coloniali che devono ancora essere ufficialmente riconosciuti o autorizzati dal governo, e di tanto in tanto l’esercito deve effettivamente valutarli.

La polizia di frontiera è particolarmente violenta. E mentre non importa a nessuno che eserciti la propria violenza contro i palestinesi ci sono stati casi in cui persino coloni israeliani si sono lamentati dell’uso eccessivo della forza. Questi coloni sono i soldati di fanteria di Ben-Givr. Egli quindi vuole tenere sotto controllo la polizia di frontiera nei suoi interventi rivolti a far rispettare la legge quando loro [i coloni] la infrangono.

BEN GVIR RISOLVERÀ TUTTO

Issa Amro ha recentemente pubblicato il video di un incontro che ha avuto con un soldato a un posto di blocco di Al-Khalil. “Ecco fatto, sei fottuto, tu e le tue attività, il bordello che gestisci qui, ora siete finiti”, dice il soldato. Quali attività?Issa chiede: “Sto infrangendo qualche legge?” “Sì, sei tu. Stai infrangendo tutte le leggi, io faccio le leggi qui”, dice questo caporale ventenne, aggiungendo: “Ora vattene da qui”.

Dobbiamo preoccuparci fortemente per il fatto che circa il 30% dei soldati abbia votato per il partito razzista anti-arabo di Ben-Gvir.

Mentre questo video veniva diffuso sui social media, un altro video mostrava un soldato di Al-Khalil che picchiava un attivista israeliano. Questo soldato, con cui mi sono confrontato in passato, ha gettato a terra un attivista israeliano e gli ha dato un pugno in faccia. Tutto questo davanti alle telecamere e mentre altri attivisti e soldati osservavano. Tutti i giornali israeliani hanno riportato la storia e pubblicato il video.

MORTE AGLI ARABI

Sebbene lo stesso Ben-Gvir stia attento a non permettere questo slogan in sua presenza, i suoi seguaci non mostrano tale ritegno. Ben-Gvir insiste invece che gridino “Morte ai terroristi”, ma nella sua cerchia “terrorista” è spesso una parola in codice per “arabi”.

Lo denuncia chiaramente una marcia nella Città Vecchia di Gerusalemme all’inizio di questo mese. Il video mostra giovani coloni che marciano attraverso quartieri a maggioranza musulmana gridando “Morte agli arabi, morte ai nemici” e “Niente arabi, niente terrorismo”.

Quanto segue costituisce un breve elenco di eventi preoccupanti che hanno avuto luogo dopo le elezioni israeliane:

    • I coloni confinanti con Issa Amro nella città vecchia di Al-Khalil lo terrorizzano lanciando sassi contro la sua casa e contro gli uffici di Youth Against Settlements. Non è una novità, ma incidenti come questi sono in aumento.
    • Dei palestinesi che hanno lasciato la loro casa per alcune ore per partecipare a un funerale hanno scoperto che dei coloni avevano preso possesso della loro casa trasferendosi all’interno.
    • Hamdallah Badir, un medico palestinese nella città israeliana di Kiryat Malachi, è stato aggredito perché arabo.
    • Nelle cittadine di Abu Ghosh e Ein Nakuba, alla periferia di Gerusalemme, molto frequentate da israeliani che vengono a cenare nei loro ristoranti e a fare acquisti nei loro negozi, ci sono stati attacchi incendiari e graffiti che chiedevano l’espulsione degli arabi.

GLI ISRAELIANI REAGIRANNO?

L’ex comandante generale dell’esercito Dan Halutz ha avvertito in una recente intervista che la nomina di Ben-Gvir a ministro della sicurezza nazionale porterebbe ad una guerra civile tra israeliani. Questo non è uno scenario probabile per due motivi: il primo è che troppi israeliani in realtà sono d’accordo con Ben-Gvir, anche se non lo hanno votato direttamente. La seconda ragione è che gli israeliani che non sono d’accordo con lui non hanno la convinzione necessaria per combattere una tale persona.

Il generale Halutz ha anche affermato che “Ben Gvir, che l’esercito israeliano rifiutò di arruolare a causa delle sue attività di estrema destra anche da adolescente, ha registrato un aumento di popolarità“. Quando Benjamin Netanyahu era il leader dell’opposizione ha detto che Ben Gvir avrebbe potuto far parte della sua coalizione ma che “non era adatto” per una carica ministeriale. Ora è stato confermato che sarà ministro della sicurezza nazionale, carica creata apposta per lui.

Non ci è voluto molto perché i palestinesi avvertissero le ripercussioni dei risultati elettorali. Quanti ancora saranno minacciati, detenuti, torturati e uccisi, nessuno lo sa. Quanti ancora perderanno le loro case e proprietà e quanto feroci diventeranno i giovani e i soldati israeliani ora che si riterranno più autorizzati, nessuno lo sa. Quello che è certo è che i palestinesi ne pagheranno il prezzo, e finora nessuno si è fatto avanti per proteggerli.

Miko Peled è un giornalista collaboratore di MintPress News, autore di libri e attivista per i diritti umani nato a Gerusalemme. I suoi ultimi libri sono The Generals Son. Journey of an Israeli in Palestine,” e Injustice, the Story of the Holy Land Foundation Five”.

Le opinioni espresse in questo articolo sono specificamente dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di MintPress News.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Perché opporsi al sionismo non è antisemita: le radici cristiane del sionismo

Miko Peled

21 luglio 2021 – MPN NEWS

Quando Naftali Bennett, il primo leader israeliano ad indossare lo yarmulke [o kippah, copricapo circolare usato dagli ebrei maschi, ndtr.], fa riferimento alla Bibbia per giustificare le sue pretese sulla Terra d’Israele non si riferisce alle scritture ebraiche ma alla dottrina religiosa protestante.

GERUSALEMME Una volta Naftali Bennett ha dichiarato in un’intervista a Mehdi Hassan [giornalista politico, televisivo e scrittore britannico-americano, ndtr.] che, secondo la Bibbia, la Palestina o, come la chiama lui, Israele appartiene al popolo ebraico. Da alcuni la Palestina viene definita “La Terra di Israele” e in questa intervista del 2017 Bennett insiste che se Hassan vuole affermare che “la Terra non ci appartiene, dovrebbe modificare la Bibbia”.

In seguito Bennett è diventato primo ministro di Israele (un incarico che probabilmente non ricoprirà per molto tempo) e, per quanto molti siano in sintonia con questa affermazione, uno sguardo più attento a ciò che le scritture ebraiche effettivamente dicono mostra molto chiaramente che ciò che ha detto non è vero.

Secondo la Torah (le scritture ebraiche) e i discorsi di generazioni di saggi ebrei, la Terra Santa appartiene all’Onnipotente che le conferisce la grazia della santità. Al popolo ebraico fu concesso di risiedere nella Terra Santa e di godere della sua grazia purché si comportasse con rettitudine e osservasse le leggi che l’Onnipotente prescrisse nella Torah. Quando il popolo ebraico si allontanò dal sentiero della Torah, incorse nell’ira dell’Onnipotente e fu espulso dalla Terra Santa, con il divieto di tornare fino al momento della venuta del Messia e del ritorno di re David sul trono.

La Terra di Israele non ha valore in sé e per sé, ma solo come tramite per servire l’Onnipotente e seguire la Torah. Inoltre neanche la venuta del Messia ha a che fare con la sovranità ebraica sulla Terra d’Israele; è un concetto che racchiude molti significati. Soprattutto, però, si riferisce ad una trasformazione del mondo in un luogo pacifico in cui agli ebrei sarà ancora una volta permesso di risiedere pacificamente nella Terra Santa, con l’intento di seguire le leggi dell’Onnipotente in quella terra che ha ricevuto la grazia della santità. È un’idea religiosa che non ha nulla a che fare con le nozioni di conquista, nazionalità o sovranità.

Si potrebbe pensare che ciò che la Bibbia afferma riguardo alla Palestina non sia importante, ma dobbiamo riconoscere che molte persone ritengono importanti le parole delle scritture ebraiche e le riconoscono come vere parole di Dio. Pertanto, vale la pena dare un’occhiata da vicino a ciò che effettivamente sostengono la Torah e gli antichi saggi.

Dovremmo anche ricordare che il sionismo è un’ideologia laica e razzista e ai fondatori del sionismo importava poco della Bibbia o dell’ebraismo. Israele la mostruosa creazione del movimento sionista – è un regime di apartheid che sta commettendo crimini orrendi. Israele afferma di parlare e agire in nome e per il bene del popolo ebraico. Tuttavia sarebbe bene dimostrare che Israele e le rivendicazioni sioniste sulla Palestina non hanno nulla a che fare con l’ebraismo; infatti l’affermazione che la legittimità del sionismo possa essere trovata nella Bibbia è completamente falsa.

Il sionismo come idolatria

Secondo le scritture ebraiche gli ebrei furono trasformati in un popolo, il popolo ebraico, quando fu loro consegnata la Torah sul monte Sinai, una montagna nel deserto del Sinai lontana dalla Terra Santa. La trasformazione degli ebrei in una nazione non aveva nulla a che fare con l’acquisizione di terra o sovranità, né con nessuno degli altri simboli associati all’idea moderna di nazionalità. Fu realizzata attraverso un impegno religioso verso l’Onnipotente.

Nella sua dettagliata opera The Empty Wagon: Zionisms journey from identity crisis to identity theft [Il carro vuoto: il viaggio del sionismo dalla crisi di identità al furto di identità] il rabbino Yaakov Shapiro discute a lungo di questo problema. Cita il venerato rabbino Shlomo Ephraim ben Aaron Luntschitz del XVII secolo, noto come Kli Yakar (o Vaso Prezioso) per il suo commento alla Torah. Il rabbino Luntschitz ha scritto nel suo commento ai cinque libri della Torah che il popolo ebraico è semplicemente inquilino della Terra d’Israele e che l’Onnipotente è l’unico proprietario della Terra Santa. Rabbi Shapiro continua con una citazione dal Libro del Levitico [il terzo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana, ndtr.] 25:23, dove l’Onnipotente dice al popolo ebraico: “La terra non deve essere venduta perché la terra è mia e voi risiedete nella mia terra come stranieri e forestieri”.

C’è una storia ancora antecedente nel Libro della Genesi, capitolo 23, dove viene chiarito che anche il patriarca Abramo si considerava uno straniero nella Terra d’Israele. Abramo vuole seppellire sua moglie Sarah nella città di Hebron e si avvicina a un uomo del posto chiedendo di poter acquistare un appezzamento di terreno da utilizzare per la sepoltura. L’uomo è d’accordo e Abramo acquista il fondo. Se la terra fosse stata sua in virtù della promessa divina non avrebbe avuto bisogno di acquistarla. In questa storia Abramo si definiva in quella terra come uno “straniero”.

Rabbi Shapiro prosegue spiegando che la sola devozione alla terra d’Israele, senza l’osservanza delle leggi della Torah e la devozione all’Onnipotente, è idolatria. Non c’è alcun valore nella Terra di per sé, dice. “L’amore per Eretz Yisroel [terra d’Israele in ebraico, ndtr.] dovrebbe essere parte dell’amore per Hashem (l’Onnipotente) e la Torah”.

Come quasi tutti sanno i Dieci Comandamenti, che fanno parte della Torah, proibiscono l’omicidio, il furto e il desiderio della casa di qualcun altro. Ciò significa che i sionisti – anche quelli come Naftali Bennett, che indossa un yarmulke – commettono idolatria, poiché il loro desiderio per la Terra deriva dalla brama, e fanno uso dell’omicidio e del furto come mezzo per ottenere quella terra. Sono ben lontani da un’onesta osservanza della Torah.

Ammonizioni, avvertimenti e proibizioni

Nelle preghiere quotidiane c’è una riga che gli ebrei ripetono regolarmente che dice “Siamo stati esiliati a causa dei nostri peccati”. Nei ventiquattro libri dell’Antico Testamento sono innumerevoli gli avvertimenti e gli ammonimenti dati dall’Onnipotente al popolo di Israele. Questo è messo ripetutamente sull’avviso che se si allontanerà dal sentiero assegnatogli dalle leggi della Torah verrà bandito dalla Terra. Ci sono numerosi passaggi in cui l’Onnipotente avverte gli ebrei che se gli voltano le spalle la Terra stessa li “vomiterà” proprio come aveva vomitato altre nazioni che vi erano vissute prima di loro. Forse il passaggio più noto proviene dal Libro del Levitico, capitolo 18, versetto 28: “Che non ti vomiti il Paese per averlo contaminato, come ha vomitato le nazioni che sono venute prima di te”.

Dopo che il popolo d’Israele fu esiliato per aver voltato le spalle alla Torah e alle sue leggi, gli fu proibito di tornare. Il grande rabbino Yoel Teitelbaum – noto come il rabbino di Satmar [movimento di ebrei principalmente ungheresi e rumeni sopravvissuti alla Seconda guerra mondiale, ndtr.], che ha ottenuto un seguito senza precedenti negli Stati Uniti e in tutto il mondo – cita questo divieto nel suo libro Vayoel Moshe. Rabbi Teitelbaum parla dei tre giuramenti che furono fatti dal popolo ebraico davanti all’Onnipotente. Questi giuramenti comprendono: non tentare mai di affrettare la fine dell’esilio (devono aspettare il Messia prima di poter tornare in Terra Santa); non tornare mai con l’uso della forza; e non ribellarsi alle altre nazioni, nazioni dove il popolo ebraico vive in esilio.

Un’interpretazione cristiana

L’idea che le scritture ebraiche promettano la Terra d’Israele agli ebrei come “patria” è una nozione cristiana che i sionisti hanno adottato. Secondo le scritture ebraiche, la Terra d’Israele non è la patria del popolo ebraico. L’Onnipotente fece degli ebrei una nazione sul monte Sinai quando impartì loro la Torah. Ciò non avvenne nella Terra d’Israele ma, come già detto, molto, molto lontano da essa. La nozione di connessione di un popolo con una patria è un’idea moderna, che coinvolge il nazionalismo e non è in alcun modo un’idea ebraica.

Il rabbino Shapiro scrive: “Il concetto sionista di Eretz Yisroel non deriva dalla Torah”. Questa idea, secondo le innumerevoli fonti che cita in The Empty Wagon, è “un’idea cristiana”. Egli continua col sottolineare che “la percezione di Eretz Yisroel come il ‘diritto di nascita’ o la ‘patria della nazione’ del popolo ebraico appare per la prima volta nelle fonti del restaurazionismo protestante cristiano”. Questa idea è nata con l’avvento del movimento protestante nella seconda metà del passato millennio; si è diffusa in tutto il mondo protestante e continua oggi con Cristiani Uniti per Israele, o CUFI, che è uno dei più significativi [movimenti] sostenitori di Israele nel mondo.

Il concetto che l’Onnipotente abbia dato tutta la Terra d’Israele al popolo ebraico in modo permanente e incondizionato e che gli ebrei alla fine vi torneranno è un concetto protestante, non ebraico. Questa è in gran parte la ragione che sta dietro il sostegno che i sionisti sono stati in grado di ottenere da Paesi per lo più protestanti come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, dove il sionismo cristiano ha prosperato per diversi secoli.

Dalla fine del XVI secolo a Napoleone, dalla London Society for Promoting Protestant Christianity among Jews [Società londinese per la promozione del protestantesimo cristiano tra gli ebrei] (una missione cristiana sionista che fa parte della Chiesa d’Inghilterra conosciuta oggi come Churchs Ministry Among Jewish People [Ministero della Chiesa tra gli ebrei]), a John Quincy Adams e persino ad Abraham Lincoln, l’idea del ritorno degli ebrei nella loro “patria” è stata molto diffusa tra i protestanti nel mondo.

Anche lo slogan “una terra senza popolo per un popolo senza terra” non è di origine sionista. Sebbene di solito si presume fosse uno slogan sionista, la frase fu usata già nel 1843 da un pastore restauratore cristiano, il reverendo Dr. Alexander Keith, Dottore della Chiesa di Scozia. La frase continuò ad essere usata per quasi un secolo dai restaurazionisti cristiani prima che i sionisti la adottassero. Allo stesso modo, l’idea di trasformare la lingua ebraica nella lingua “nazionale” del popolo ebraico nella loro “patria” era anch’essa un’idea protestante che fu poi adottata dai sionisti.

Quindi quando l’attuale primo ministro israeliano Naftali Bennett, che è anche il primo leader israeliano ad indossare lo yarmulke, fa riferimento alla Bibbia per giustificare le sue pretese sulla Terra d’Israele, non si riferisce alle scritture ebraiche ma alla dottrina religiosa protestante. Quando lui e altri politici israeliani come l’ex primo ministro Benjamin Netanyahu fanno queste affermazioni, non si rivolgono agli ebrei, ma ai sionisti cristiani. Gli alleati più importanti che lo Stato di Israele e i sionisti hanno sono i sionisti cristiani evangelici.

Dichiarazioni come quelle di Bennett sono fatte per assicurarsi che i sionisti cristiani continuino a lavorare per Israele e per il movimento sionista facendo pressioni sui governi e raccogliendo fondi. Questa dottrina protestante, tra l’altro, invita il popolo ebraico a tornare nella Terra d’Israele non per il beneficio del popolo ebraico. Il fine di questo ritorno è che gli ebrei possano convertirsi al cristianesimo e affrettare la seconda venuta di Gesù Cristo.

L’antisionismo non può essere antisemita

Poiché le idee espresse dai sionisti non sono chiaramente idee ebraiche, opporsi al sionismo non può essere antisemita. Una volta chiarito che le rivendicazioni sioniste sulla Terra di Israele, o Palestina, non solo non sono ebraiche, ma provengono dalla teologia protestante cristiana, comprendiamo perché opporsi al sionismo non può essere antisemita. Essere un antisionista non è affatto essere antisemita perché i principi fondamentali del sionismo in realtà non sono affatto ebrei. Sono cristiani.

Miko Peled è uno scrittore che contribuisce con MintPress News [sito di notizie online americano di sinistra, ndtr.] autore di numerose pubblicazioni e attivista per i diritti umani nato a Gerusalemme.

I suoi ultimi libri sono The General’s Son. Journey of an Israeli in Palestine [ Il figlio del generale. Viaggio di un israeliano in Palestina] e Injustice, the Story of the Holy Land Foundation Five [Ingiustizia. Storia dei cinque nella fondazione della Terra Santa].

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di MintPress News.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Perché i leader arabi si inchinano improvvisamente all’opportunità di normalizzare i rapporti con Israele

Miko Peled

17 settembre 2020MintPress News

I leader arabi capiscono che i rapporti con Israele forniscono l’accesso all’impero USA e a tutto ciò che ne deriva, compresi gli agognati armamenti statunitensi ed altri vantaggi come la cooperazione economica e per la sicurezza.

Mentre scrivo queste parole i Ministri degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein sono a Washington per firmare accordi di normalizzazione dei rapporti tra i loro Paesi e lo Stato di Israele. Mentre gli Stati Uniti ed Israele sono rappresentati dal Presidente Donald Trump e dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu, gli Stati arabi hanno inviato alla cerimonia per la firma i loro ministri degli esteri in rappresentanza dei loro Paesi. Ciò potrebbe avere a che fare meno con il protocollo quanto piuttosto con il fatto che sia Trump che Netanyahu stanno lottando per la propria vita politica e per loro questa è stata un’esibizione di pubbliche relazioni estremamente necessaria.

Lo spettacolo odierno appare ben lontano dalla posizione risoluta, di principio e coraggiosa presentata dai leader arabi a Kartoum quasi esattamente 53 anni fa. Appena dopo l’attacco israeliano alle terre arabe nel 1967, mentre le canne dei fucili erano ancora fumanti, nella capitale sudanese Kartoum fu convocata una riunione dei capi degli Stati arabi. Questo incontro produsse una coraggiosa risoluzione che affermava il rifiuto del riconoscimento, di negoziati e della pace con Israele. Gli eserciti arabi dell’Egitto, il più grande degli Stati arabi, della Siria e della Giordania vennero completamente distrutti, circa 18.000 soldati arabi uccisi e centinaia di migliaia di civili restarono senza casa, eppure i leader degli Stati arabi furono fermi nel dire “no” al potente aggressore, Israele.

La risoluzione degli Stati arabi di respingere il brutale regime di apartheid israeliano fu accettata nell’agosto 1967 al summit della Lega Araba, appena due mesi dopo che Israele aveva decimato gli eserciti di tre Stati arabi ed aveva occupato con la violenza le alture del Golan siriano, la penisola del Sinai egiziana ed aveva completato la conquista della Palestina occupando la Cisgiordania, Gerusalemme est e la Striscia di Gaza.

La risoluzione, che in seguito venne conosciuta come quella dei “tre no”, viene tuttora usata dalla propaganda sionista per dimostrare la mancanza di volontà degli Stati arabi di fare la pace con Israele e riconoscere il cosiddetto Stato ebraico. Tuttavia, alla luce del mortale attacco israeliano a questi Paesi, il loro rifiuto di capitolare fu eroico. Ciò che invece è deplorevole è il successo del movimento sionista nel ribaltare l’impegno arabo per la Palestina. Passo dopo passo, a partire dallo Stato più grande, l’Egitto, e poi la Giordania, ed ora gli Stati del Golfo e persino il Sudan, i regimi arabi sono andati “normalizzando” i rapporti con Israele.

 

Accesso all’impero

Se si potesse solo per un momento mettersi nei panni del capo di uno Stato arabo, cosa si proverebbe? Si vedrebbe che i Paesi arabi che erano determinati nell’appoggiare la causa palestinese sono ora distrutti. A partire dall’Iraq, lo Yemen, la Libia e la Siria. La punizione di quelli che non hanno voluto arrendersi è stata dura. A parte c’è l’Iran, che mentre per ora è al riparo da un attacco militare totale, soprattutto perché gli USA ed Israele non sono in grado di affrontare di petto le forze iraniane, sta soffrendo molto a causa di dure sanzioni.

I rapporti con Israele danno accesso agli agognati armamenti di fabbricazione USA e ad altri vantaggi, come la cooperazione economica e per la sicurezza. Che scelta potrebbe essere fatta nei panni di leader di uno Stato Arabo? I commentatori della CNN hanno ripetutamente affermato che i leader degli EAU e del Bahrein, e forse di altri Stati arabi che presto normalizzeranno i rapporti con Israele, hanno deciso di abbandonare la causa palestinese e di concentrarsi su altre questioni come la cooperazione economica e il turismo, e porre le necessità e sicuramente il futuro dei propri Paesi al di sopra della questione palestinese.

E’ facile criticare gli Stati arabi per aver voltato le spalle ai loro fratelli e sorelle palestinesi. Tuttavia Paesi più grandi ed influenti non si comportano diversamente. Russia, Unione Europea, Cina e India fanno una quantità di affari con Israele e si sono da tempo scordati dei palestinesi. Israele è riuscito a cancellare la causa palestinese dalla scena mondiale. A prescindere da quanto frequenti siano gli attacchi israeliani contro Gaza, o da quanto siano feroci, a prescindere da quanti palestinesi siano detenuti nelle carceri israeliane e da quanto drammatiche siano le condizioni di vita dei palestinesi, Israele è riuscito a far voltare il mondo dall’altra parte.

L’opposizione

Ci sono state informazioni circa una resistenza popolare in Bahrein da parte di gruppi che si oppongono alla normalizzazione dei rapporti con Israele e giustamente la considerano un tradimento del popolo palestinese. E’ probabile che queste voci verranno velocemente messe a tacere dal governo del Bahrein.

Inoltre fonti del governo del Kuwait hanno informato che “la posizione del Kuwait nei confronti di Israele non è cambiata dopo il suo accordo con gli Emirati Arabi Uniti”. Dirigenti del Kuwait hanno anche negato ad aerei israeliani il diritto di volo nello spazio aereo del Paese.

Il Sudan

I tentativi di Israele di costruire alleanze vanno oltre la penisola arabica e si spingono anche in Africa. Il Primo Ministro sudanese Abdalla Hamdokmet ha recentemente incontrato il Segretario di Stato USA Mike Pompeo, che ha visitato il Sudan dopo un viaggio per incontrare dirigenti israeliani a Gerusalemme. Israele è stata la prima tappa di Pompeo in un tour ideato per convincere ulteriori Paesi arabi a normalizzare i legami con lo Stato sionista. Inoltre ci sono conferme che la visita a Kartoum del Segretario di Stato USA era finalizzata a discutere i rapporti tra Sudan ed Israele.

Il Primo Ministro sudanese ha detto a Pompeo che il suo governo “non aveva mandato per normalizzare i rapporti con Israele” ed ha aggiunto che la cancellazione del Sudan dall’elenco degli Stati che sponsorizzano il terrorismo non dovrebbe essere correlata alla normalizzazione dei rapporti con Israele. Chiaramente la cancellazione da quell’elenco è la carota che Pompeo sta offrendo al Sudan.

Dopo l’incontro il Dipartimento di Stato USA ha affermato in una dichiarazione che Pompeo e Hamdok hanno discusso di “positivi sviluppi nei rapporti tra Sudan ed Israele”, cosa che non dovrebbe sorprendere. E’ difficile immaginare che la leadership sudanese possa osare rifiutare un’offerta degli USA, sicuramente non una attraente come la cancellazione dell’etichetta di Stato sponsor del terrorismo, che aprirebbe le porte e consentirebbe la crescita economica della Nazione africana.

Ora torniamo un attimo indietro e presumiamo di essere il capo di una Nazione africana o araba. La scelta è tra capitolare e accettare rapporti con il regime di apartheid israeliano, il che aprirebbe nuove possibilità economiche, e mantenere una posizione ferma e di principio, e subire devastazioni per una guerra o soffocare lentamente a causa di sanzioni.

Miko Peled è uno scrittore e attivista per i diritti umani, nato a Gerusalemme. E’ autore di “Il figlio del generale. Viaggio di un israeliano in Palestina”, e “Ingiustizia, la storia dei cinque della Fondazione Terra Santa.”

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di MintPress News.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)