L’inviato dell’ONU non ha niente da dire mentre Israele respinge i suoi colleghi

Maureen Clare Murphy

16 ottobre 2020 – The Electronic Intifada

Giovedì Middle East Eye ha riferito che Israele, con una nuova aggressione contro ogni forma di controllo, ha sospeso la concessione dei visti ai dipendenti dell’ OHCHR, Agenzia per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.

Israele a febbraio ha annunciato l’interruzione dei rapporti con l’ONU dopo che questa ha creato una lista di aziende coinvolte nelle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme est.

La pubblicazione della lista è stata rinviata per anni, creando il sospetto che l’ONU stesse cedendo alla pressione politica affinché cancellasse l’informazione.

Ora che la notizia è stata resa pubblica, Israele sembra voler dar seguito alla sua promessa di punire l’agenzia ONU.

Secondo Middle East Eye “a partire da giugno nessuna delle richieste di nuovi visti ha ricevuto risposta, e i passaporti inviati per il rinnovo [del visto] sono tornati indietro vuoti”.

Nove dei 12 dipendenti stranieri dell’organizzazione hanno ora lasciato Israele e i territori palestinesi per timore di trovarsi là privi di documenti”, ha aggiunto Middle East Eye. “Tra loro vi è il direttore [della missione ONU] nel Paese, James Heenan.”

Divieto di ingresso

Da lungo tempo Israele, che controlla i movimenti verso e dalla Cisgiordania e Gaza, ha espulso e negato l’ingresso a cittadini stranieri legati ad associazioni per i diritti umani o di solidarietà con i palestinesi.

Da molto tempo ha negato l’ingresso a Michael Lynk, incaricato dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU di monitorare la situazione dei diritti umani in Cisgiordania e a Gaza.

Tuttavia altri responsabili dell’ONU, come Nickolay Mladenov, inviato di pace per il Medio Oriente del Segretario Generale dell’ONU, continuano a godere dei favori di Israele e dei suoi sostenitori – anche quando attaccano le agenzie per i diritti umani dell’ONU e le loro indagini.

Il contrastante trattamento di questi due rappresentanti dell’ONU è in linea con i loro sforzi – o con l’assenza di essi – di rendere Israele responsabile per le sue violazioni dei diritti dei palestinesi. Rispecchia anche le loro divergenti vedute riguardo ai diritti dei palestinesi come qualcosa da proteggere o come moneta di scambio da negoziare in colloqui con Israele.

Lynk ha approvato la pubblicazione della lista delle attività economiche con le colonie, dicendo che “la continua violazione da parte di una potenza occupante non rimarrà senza risposta.”

Ha aggiunto che, in assenza delle colonie, sostenute dall’attività economica di imprese israeliane e straniere, “l’occupazione israeliana che dura da cinquant’anni perderebbe la sua ragion d’essere coloniale.”

Mladenov invia regolari rapporti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU sull’applicazione (o violazione) della Risoluzione 2334, che chiede a Israele di cessare la costruzione di colonie in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est.

Nonostante la rilevanza di ciò per il suo incarico, Mladenov è rimasto vistosamente in silenzio riguardo alla lista delle attività economiche con le colonie – sia prima che dopo la sua pubblicazione. Né ha aperto bocca contro il divieto d’ingresso israeliano nei confronti dei suoi colleghi dell’ONU, come Lynk.

Le richieste di intervento di Mladenov si limitano ad invitare a non specificati passi “verso una soluzione negoziata di due Stati.”

In evidente contrasto, Lynk ha accolto calorosamente la conclusione della procuratrice capo della Corte Penale Internazionale secondo cui vi è un ragionevole fondamento per indagare sui crimini di guerra (israeliani) in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Non così Mladenov.

Lynk ha evidenziato l’uso da parte di Israele di punizioni collettive per sottomettere i palestinesi che vivono sotto il suo governo militare. Ha invitato gli Stati terzi a prendere contromisure, incluse sanzioni “necessarie ad assicurare il rispetto da parte di Israele del suo obbligo di porre fine all’occupazione, conformemente al diritto internazionale.”

Invece Mladenov chiede che venga ripristinato “il dialogo tra tutti i decisori, senza precondizioni.”

Tuttavia il dialogo senza attribuzione di responsabilità non farà che consentire ad Israele di guadagnare altro tempo per colonizzare rapidamente la terra palestinese e reprimere violentemente la resistenza palestinese – come è stato negli ultimi 25 anni, segnati dal paradigma del processo di pace di Oslo.

Spazi ridotti

Nel frattempo le associazioni palestinesi impegnate nella responsabilizzazione [di Israele] stanno lavorando in un ambito sempre più ristretto, in quanto Israele cerca di limitare qualunque accesso alla giustizia.

I deputati del partito Likud del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu hanno proposto di ampliare la definizione statale di agenti stranieri.

Come sottolinea il Consiglio palestinese per i Diritti Umani, la legge israeliana “impone una condanna a 15 anni di carcere nei confronti di chiunque abbia coscientemente contattato un agente straniero senza fornire spiegazioni di ciò”.

Attualmente la legge definisce agente straniero chi agisce “per conto di uno Stato straniero o di un’organizzazione terroristica” in modo che “potrebbe mettere a rischio la sicurezza di Israele”.

Un emendamento proposto a questa legge sostituirebbe “Stato straniero” con “entità politica straniera”. I parlamentari promotori dell’emendamento citano l’Autorità Nazionale Palestinese e l’Unione Europea – che non sono Stati – come la ragione della necessità di modificare il linguaggio.

Il Consiglio palestinese per i Diritti Umani ha affermato che l’emendamento prende di mira “organizzazioni che cooperano con, o ricevono appoggio da, UE e ANP. Esso cerca di limitare ulteriormente il lavoro delle organizzazioni per i diritti umani presentando la nostra attività come contatti con enti stranieri.”

Israele ha già approvato una legge che impone severe sanzioni a coloro che difendono il boicottaggio di Israele o delle sue colonie nella Cisgiordania occupata e sulle alture del Golan.

Le associazioni palestinesi per i diritti umani hanno affermato che il boicottaggio è “il principale strumento di protesta civile…per porre fine all’occupazione.”

La legge israeliana impone anche alle associazioni per i diritti umani con sede nel Paese che ricevono più della metà dei loro finanziamenti da Stati esteri di dichiararlo nelle loro pubblicazioni.

Maureen Clare Murphy è vicedirettrice di The Electronic Intifada e vive a Chicago.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




L’inviato dell’ONU incolpa i palestinesi della morte di un bambino di Gaza

Maureen Clare Murphy

25 Giugno 2020 – Electronic Intifada

Durante il suo discorso al Consiglio di sicurezza di mercoledì l’inviato delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente ha incolpato implicitamente i palestinesi della morte di un bambino di 8 mesi a Gaza.

“I palestinesi di Gaza, avendo vissuto assediati e sotto il controllo di Hamas per più di un decennio, sono particolarmente vulnerabili”, ha dichiarato l’inviato Nickolay Mladenov, omettendo di menzionare Israele in quanto responsabile dell’assedio.

“La fine del coordinamento civile non permetterà loro di ricevere cure salvavita”, ha aggiunto Mladenov, in riferimento al fatto che l’Autorità Nazionale Palestinese sta riducendo i suoi rapporti con Israele in segno di protesta per il piano di quest’ultima di formalizzare l’annessione delle terre occupate della Cisgiordania.

“Un bambino di 8 mesi ha già perso la vita a causa di questa situazione”, ha detto Mladenov.

L’inviato dell’ONU si riferiva al caso di Omar Yaghi, un bambino con problemi cardiaci.

É morto il 18 giugno mentre la sua famiglia attendeva un permesso israeliano per recarsi fuori da Gaza per un intervento chirurgico.

“Ci deve assolutamente essere un limite quando si tratta della vita dei bambini!” ha detto l’indignato Mladenov, aggiungendo che l’ONU non può sostituire l’ANP nel suo ruolo di coordinamento con Israele.

Scaricando le colpe sui palestinesi, Mladenov esime Israele dai suoi obblighi legali.

Il diritto internazionale sostiene che Israele, in quanto potenza occupante, e non l’Autorità Nazionale Palestinese, è in ultima analisi responsabile del diritto alla salute dei palestinesi.

Paradigma fallito

L’errore nell’individuare i colpevoli compiuto da Mladenov non è sorprendente. Il suo ruolo di inviato delle Nazioni Unite è quello di applicare il paradigma fallito di una soluzione negoziata per due Stati invece di sostenere i diritti dei palestinesi.

Le sue osservazioni al Consiglio di sicurezza dell’ONU sull’annessione israeliana sono rivelatrici.

Invece di condannare l’annessione perché violerebbe i diritti dei palestinesi, Mladenov ha sottolineato che essa altererebbe potenzialmente “la natura delle relazioni israelo-palestinesi”. Ha anche detto che metterebbe a repentaglio “più di un quarto di secolo di sforzi internazionali a sostegno della possibilità di un futuro Stato palestinese”.

In altre parole, l’annessione israeliana sarebbe negativa perché minaccerebbe il paradigma dei due Stati, non perché allontanerebbe i palestinesi dalla loro terra e li sottoporrebbe a violazioni ancora più estreme dei loro diritti.

Nel frattempo, Mladenov non ha chiesto in maniera ferma la cessazione dell’assedio israeliano a Gaza.

Al contrario ha trattato i diritti più elementari dei palestinesi come oggetto di scambio all’interno della mediazione dei colloqui indiretti tra Israele e le autorità di Hamas a Gaza.

Invece di difendere i diritti umani dei palestinesi e sostenere il diritto internazionale, Mladenov ha dato la priorità alla conservazione dello status quo e alla ragion d’essere dell’Autorità Nazionale Palestinese, fungendo da braccio esecutivo dell’occupazione israeliana.

Nonostante la formulazione di Mladenov, è del tutto chiaro che quando si tratta di salute a Gaza la responsabilità ricada su Israele.

La scorsa settimana diverse organizzazioni per i diritti umani sono intervenute presso il Ministero della Difesa israeliano, invitandolo a consentire il trasferimento da Gaza “indipendentemente dal coordinamento con l’Autorità Nazionale Palestinese”.

Israele controlla i valichi lungo il suo confine con Gaza, hanno affermato le associazioni, e quindi la libertà di movimento dei palestinesi che vivono nel territorio.

“Quindi – hanno aggiunto – il diritto umanitario internazionale, le leggi sui diritti umani e il diritto israeliano assegnano ad Israele degli obblighi nei confronti di questa popolazione”.

Questa settimana iI Centro Palestinese per i Diritti Umani con sede a Gaza ha sottolineato che Israele è legalmente responsabile della protezione dei malati della Striscia di Gaza.

L’organizzazione ha invitato “la comunità internazionale a fare pressione sulle autorità israeliane … per garantire procedure adeguate e sicure” a favore dei pazienti di Gaza.

Il PCHR ha affermato che almeno 8.300 pazienti affetti da cancro sono danneggiati dalla sospensione del coordinamento sui viaggi.

Altre centinaia di pazienti “hanno bisogno di un intervento chirurgico urgente” che non è disponibile negli ospedali di Gaza, la cui efficacia è stata notevolmente ridotta dai 13 anni di assedio israeliano e dai successivi reati militari.

I medicinali e le forniture mediche sono cronicamente carenti, mentre negli ospedali mancano “le apparecchiature utilizzate per la radioterapia per i malati di cancro che le autorità israeliane hanno smesso di fornire alla Striscia di Gaza”.

“Israele è responsabile per i palestinesi”

Gli esperti sanitari hanno avvertito che il sistema medico di Gaza non sarebbe in grado di far fronte a un focolaio di COVID-19 nel territorio densamente popolato e impoverito.

“Le autorità israeliane [sono responsabili di] questo territorio anche per quanto concerne il diritto internazionale, quindi devono tenerlo sotto osservazione con grande cura”, ha detto recentemente a un giornale israeliano Yves Daccord, ex responsabile del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

“Israele è responsabile dei palestinesi”, ha sottolineato in relazione all’impatto economico delle restrizioni dovute alla pandemia.

Oltre al piccolo Omar a giugno, dopo soli due mesi di vita, è morta Joud al-Najjar mentre la sua famiglia attendeva il permesso da Israele per accedere al trattamento dell’epilessia.

Così come per un altro bambino di Gaza, Anwar Harb, affetto da una malattia cardiaca.

Sono le vittime di un’insistenza miope su un processo di pace inesistente e del voler privilegiare un’ipotetica soluzione dei due Stati rispetto ai diritti delle persone in carne ed ossa, vive e in pericolo di vita.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Come i media occidentali permettono a Israele di farla franca su Gaza

Ramzy Baroud

16 novembre, 2019 Middle East Monitor

Un attacco israeliano a Gaza era imminente e non a causa di qualche provocazione da parte di gruppi palestinesi nella impoverita e assediata striscia di Gaza. L’escalation dell’esercito israeliano era prevedibile perché si colloca perfettamente nel controverso scenario politico israeliano. La guerra non era una questione di “se”, ma di “quando”.

La risposta è arrivata il 12 novembre quando l’esercito israeliano ha lanciato un grave attacco contro Gaza, uccidendo il comandante della Jihad islamica Bahaa Abu al-Ata e la moglie Asma.

Sono seguiti altri attacchi contro quelle che l’esercito israeliano ha descritto come basi della Jihad islamica. Comunque le identità delle vittime, insieme a video incriminanti sui social media, foto e resoconti di testimoni indicano che sono stati bombardati anche civili e distrutte infrastrutture civili.

Quando il 14 novembre è stata annunciata la tregua, durante l’aggressione israeliana erano stati uccisi 32 e feriti oltre 80 palestinesi.

Quello che veramente ostacola ogni seria discussione sull’orrenda situazione a Gaza è la blanda reazione sia delle organizzazioni internazionali, che esistono con il solo scopo di mantenere la pace nel mondo, che dei principali media occidentali, che incessantemente celebrano la propria accuratezza ed imparzialità. Una reazione estremamente deludente alla violenza israeliana è stata quella di Nickolay Mladenov, il coordinatore speciale ONU per il processo di pace in Medio Oriente.

Mladenov, il cui compito da tempo avrebbe dovuto essere considerato inutile dato che non esiste al momento alcun “processo di pace”, ha espresso la sua “preoccupazione” circa la “seria e costante escalation fra la Jihad islamica palestinese e Israele”.

La dichiarazione di Mladenov non solo stabilisce un’equivalenza morale fra una potenza di occupazione, che per prima ha provocato la guerra, e un piccolo gruppo di poche centinaia di uomini armati, ma è anche disonesta.

Il lancio indiscriminato di razzi e colpi di mortaio contro centri abitati è assolutamente inaccettabile e deve cessare immediatamente” ha aggiunto Mladenov, dando grande enfasi al fatto che “non c’è alcuna giustificazione per degli attacchi contro civili”.

Sorprendentemente Mladenov si stava riferendo ai civili israeliani, non a quelli palestinesi. Quando questa dichiarazione è stata rilasciata ai media, c’erano già decine di civili palestinesi feriti e uccisi mentre i reportage dei media israeliani parlavano dei pochi israeliani che erano stati curati per “ansia”.

L’Unione Europea non ha fatto molto di meglio, ripetendo la solita reazione automatica americana di condanna “al fuoco di fila di attacchi di razzi che penetrano profondamente in territorio israeliano”.

Non è possibile che Mladenov e i vertici dei responsabili della politica estera dell’UE non capiscano correttamente il contesto politico dell’ultimo massacro israeliano, cioè che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sotto attacco sta usando l’escalation militare per rafforzare il suo controllo sul potere che si sta sempre più indebolendo.

Tenendo presente questo, cosa si deve pensare della scadente copertura mediatica, delle analisi inadeguate e dell’assenza di servizi equilibrati sui principali media occidentali?

In un servizio diffuso dalla BBC il 13 novembre, l’emittente britannica ha parlato di “violenza alla frontiera fra Israele e i militanti a Gaza”.

Ma Gaza non è un Paese indipendente e, secondo le leggi internazionali, è ancora occupata da Israele. Israele ha dichiarato Gaza un “territorio ostile” nel settembre 2007, stabilendo arbitrariamente un “confine” fra il Paese e il territorio palestinese assediato. Per qualche ragione la BBC pensa che questa definizione sia accettabile.

Dal canto suo, il 13 novembre la CNN ha riportato che “la campagna militare israeliana contro la Jihad islamica” è al suo secondo giorno, enfatizzando la condanna ONU degli attacchi con i razzi.

La CNN, come la maggior parte degli altri principali media americani, riporta le campagne militari israeliane come parte integrante di una immaginaria “guerra al terrorismo”. Perciò analizzare il linguaggio dei principali media USA allo scopo di sottolineare e enfatizzare i suoi errori e pregiudizi è un esercizio inutile. Purtroppo, i pregiudizi USA sulla Palestina si sono estesi ai media principali in quei Paesi europei che erano, in parte, più imparziali, se non più solidali con la situazione dei palestinesi.

Lo spagnolo El Mundo, per esempio, ha parlato di un certo numero di palestinesi, avendo cura di sottolineare che erano “quasi tutti miliziani” che sono “morti” e non che “erano stati uccisi” dall’esercito israeliano.

L’escalation ha fatto seguito alla morte del leader del braccio armato di Gaza” ha riportato El Mundo, omettendo, ancora una volta, di identificare i responsabili di queste morti apparentemente misteriose.

La Repubblica, che in Italia è considerata una testata di “sinistra”, sembrava più un giornale israeliano di destra nella sua descrizione degli eventi che hanno portato alla morte e al ferimento di molti palestinesi. Il quotidiano italiano ha usato una sequenza degli avvenimenti inventata che esiste solo nella mente dell’esercito e dei responsabili politici israeliani.

La violenza continua. Secondo “The Jerusalem Post” (un giornale israeliano di destra) e l’esercito israeliano parecchi razzi sono stati lanciati dai (miliziani) della Jihad islamica di Gaza verso Israele, violando la breve tregua”.

Resta poco chiaro a quale “tregua” si riferisse La Repubblica.

Il francese Le Monde ha fatto lo stesso, riportando le stesse frasi israeliane, fuorvianti e stereotipate e enfatizzando le dichiarazioni dell’esercito e del

governo israeliano. Stranamente la morte e il ferimento di molti palestinesi a Gaza non merita un posto sulla homepage del giornale francese.

Invece si è scelto di dare evidenza a una notizia relativamente poco importante, in cui Israele denunciava la definizione di prodotti delle colonie illegali come “discriminatoria”.

Forse si sarebbero potute scusare queste mancanze giornalistiche e morali ad ampio raggio se non fosse per il fatto che la storia di Gaza è stata una di quelle più ampiamente riportate ovunque nel mondo da oltre un decennio.

È ovvio che i “i quotidiani più importanti” occidentali non hanno volutamente fatto dei reportage onesti su Gaza e hanno intenzionalmente nascosto la verità ai loro lettori per molti anni, per non offendere la sensibilità del governo israeliano e dei suoi potenti alleati e lobby.

Se non si può che deplorare la morte del buon giornalismo in Occidente, è anche importante riconoscere con grande ammirazione il coraggio e i sacrifici dei giovani giornalisti e dei blogger di Gaza che, in più occasioni, sono stati presi di mira e uccisi dall’esercito israeliano per aver trasmesso la verità sulla situazione di emergenza dell’assediata, ma tenace Striscia.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale del Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)