Giustiziati nel sonno: come le forze israeliane hanno assassinato tre palestinesi durante un’incursione in un ospedale della Cisgiordania

SHATHA HANAYSHA

30 gennaio 2024 – Mondoweiss

Le forze israeliane travestite da operatori ospedalieri e civili sono entrate nell’ospedale Ibn Sina di Jenin e hanno assassinato tre palestinesi mentre dormivano. Questo sfrontato omicidio segna un’escalation senza precedenti nella guerra di Israele contro i palestinesi in Cisgiordania.

Abeer Al-Ghazawi è andata a dormire la scorsa notte sentendosi rassicurata, sapendo che suo figlio, Basel, era in un letto dell’ospedale Ibn Sina di Jenin, accompagnato da suo fratello Mohammed. Per lei l’ospedale rappresentava il posto più sicuro nella loro città natale, Jenin. Per mesi, l’esercito israeliano ha intensificato le sue operazioni nella città settentrionale della Cisgiordania e nel suo campo profughi, conducendo violenti raid e attacchi di droni che hanno ucciso decine di persone.

Basel, 19 anni, era in cura per un grave infortunio subito lo scorso ottobre quando un attacco di droni israeliani lo ha reso paraplegico, costretto su una sedia a rotelle. Ad accompagnarlo in ospedale c’erano il fratello maggiore Mohammed, 24 anni, e il loro amico Mohammed Jalamneh, 28 anni. Secondo testimoni, nelle prime ore del mattino di martedì 30 gennaio, i tre giovani dormivano nella stanza d’ospedale di Basel quando un’unità sotto copertura delle forze speciali israeliane è entrata nella loro stanza al terzo piano dell’ospedale e li ha giustiziati a bruciapelo, con armi da fuoco silenziate.

Una decina di membri delle forze speciali israeliane travestiti da operatori ospedalieri e civili palestinesi – tra cui soldati vestiti da donne palestinesi velate, uno con un marsupio per infanti e lavoratori dell’ospedale, e un altro travestito da paziente su sedia a rotelle – si sono infiltrati nell’unità di terapia intensiva dell’ospedale, aggredendo l’infermiera di turno.

Ripresi dalle telecamere a circuito chiuso, i soldati israeliani travestiti possono essere visti muoversi nel reparto ospedaliero con i fucili d’assalto spianati. Mentre alcuni soldati depongono i loro marsupi e altri travestimenti, si può vedere almeno un soldato che tiene sotto tiro un civile. Il civile è in ginocchio con le mani dietro la testa. Il soldato israeliano toglie la giacca all’uomo e poi gliela mette in testa.

Fuori dall’inquadratura delle riprese della telecamera di sorveglianza diffuse dall’ospedale Ibn Sina le forze speciali si sono fatte strada verso la stanza di Basel. Lì sono entrate nella stanza dove dormivano i tre giovani. I soldati hanno sparato cinque colpi, uccidendo Basel, suo fratello Mohammed e il loro amico Mohammed mentre dormivano. Nel giro di 10 minuti le forze si sono ritirate dalla scena.

Un testimone oculare e paziente dell’ospedale, che ha chiesto l’anonimato, ha informato Mondoweiss di aver sentito delle urla nel corridoio, di essere uscito e di aver visto tre persone armate davanti a lui. Uno dei soldati, ha raccontato il testimone, tratteneva l’infermiera di turno e “la picchiava continuamente sulla testa”.

I soldati hanno urlato all’uomo di tornare nella sua stanza. Ha detto a Mondoweiss che quando ha tentato di uscire di nuovo dalla sua stanza per vedere cosa stava succedendo i soldati hanno sparato verso la sua stanza.

Ha continuato affermando che, dopo che i soldati si erano ritirati, si è precipitato nella stanza in cui erano entrati solo per trovare i tre martiri “che giacevano nei loro letti, con il sangue che scorreva dalle loro teste”. Ha detto che l’operazione all’interno della stanza non è durata più di tre minuti e che si è reso conto, quando li ha sentiti parlare ebraico, che le persone che ha visto erano “musta’ribeen”, il termine arabo per le unità speciali delle forze israeliane che si travestono da palestinesi per effettuare rapimenti e omicidi nei territori palestinesi occupati.

Il testimone ha descritto quello che ha visto come “la scena più straziante” a cui aveva assistito in vita sua. Quando ha cercato di sdraiarsi e riposare dopo l’attacco ha detto che non riusciva a dormire, perché la scena orribile dei letti d’ospedale insanguinati gli scorreva nella mente.

Mondoweiss ha visitato la scena dell’assassinio poche ore dopo che ha avuto luogo. Il letto accessibile ai disabili dove dormiva Basel era macchiato di sangue. Il cuscino su cui giaceva era insanguinato e coperto di frammenti di cervello e cranio.

Accanto al letto di Basel c’erano i resti del suo ultimo pasto.

Inoltre il sangue di suo fratello e del loro amico era schizzato sulle pareti e sul pavimento della stanza dove dormivano.

Lo Shin Bet (Shabak), l’agenzia di intelligence interna israeliana, e l’esercito israeliano hanno riconosciuto in una dichiarazione congiunta di essere coinvolti nell’operazione all’interno dell’ospedale. Hanno dichiarato di aver “bloccato un gruppo di militanti di Hamas che si nascondevano nell’ospedale Ibn Sina nella città di Jenin mentre pianificavano di lanciare un attacco a breve”.

Mohammed Jalamneh è stato rivendicato da Hamas come un suo membro e i due fratelli, Basel e Mohammed, sono stati rivendicati come membri dal gruppo palestinese della Jihad islamica. Si dice che tutti e tre i giovani fossero combattenti della Brigata Jenin, un gruppo di resistenza palestinese all’interno di Jenin e nel campo profughi di Jenin che comprende più fazioni della resistenza.

Mentre Basel era effettivamente disabile e relegato su una sedia a rotelle, né lui né suo fratello o l’amico erano attivamente impegnati in un combattimento armato quando sono stati colpiti alla testa. Secondo l’ospedale quando sono stati assassinati i tre stavano dormendo.

Tuttavia, nonostante le gravi accuse secondo cui l’assassinio costituisce un crimine di guerra, i responsabili israeliani hanno festeggiato l’operazione.

“Mi congratulo vivamente con i commando della marina della polizia israeliana per la loro impressionante operazione di ieri sera in collaborazione con l’IDF e lo Shin Bet nel campo profughi di Jenin che ha portato all’eliminazione di tre terroristi”, ha dichiarato il Ministro della Sicurezza Nazionale israeliano Itamar Ben Gvir nel corso del video su X (ex Twitter).

Walid Jalamneh, padre del martire Mohammed, ha respinto e denunciato la dichiarazione ufficiale dell’esercito israeliano esprimendo il suo sgomento per l’intrusione nell’ospedale e la violazione della sacralità delle strutture mediche. Ha affermato che l’attacco è stato un “crimine evidente e una violazione delle leggi internazionali”.

Ha detto: “Sì, è vero che mio figlio è ricercato dagli occupanti [israeliani], ma l’irruzione nell’ospedale in questo modo mentre era in compagnia del suo amico e il suo fratello malato è un crimine

La Brigata Jenin, l’ala militare del Movimento della Jihad islamica, ha denunciato in un comunicato l’assassinio dei tre martiri all’interno dell’ospedale.

Il gruppo ha promesso di rispondere e ha affermato il proprio impegno a “continuare il cammino aperto dai martiri con il loro sangue puro”, sostenendo che questi omicidi non indeboliranno la loro determinazione.

Il Ministero della Sanità palestinese ha rilasciato una dichiarazione in cui invita urgentemente l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, le istituzioni internazionali e le organizzazioni per i diritti umani a porre tempestivamente fine alla “serie quotidiana di crimini commessi dall’occupazione contro le persone e i centri sanitari nella Striscia di Gaza” e in Cisgiordania” e ad offrire la “protezione necessaria alle strutture e al personale medico”.

La dichiarazione sottolinea inoltre che questo crimine è “parte di una serie di decine di crimini commessi dalle forze di occupazione contro strutture e personale medico” e ricorda che il diritto internazionale prevede una protezione generale e specifica per i luoghi civili, compresi gli ospedali, come stipulato nella Quarta Convenzione di Ginevra e Primo e Secondo Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1977, nonché dalla Convenzione dell’Aja del 1954.

Wesam Sbeihat, direttore del Ministero della Salute a Jenin, ha dichiarato a Mondoweiss: “L’intrusione nei reparti e nelle stanze dell’ospedale, così come l’esecuzione e l’assassinio all’interno dell’ospedale di un paziente e dei suoi compagni è un crimine che viene documentato e aggiunto all’elenco dei crimini dell’occupazione contro le équipe mediche e gli ospedali. L’occupazione deve essere ritenuta responsabile dei suoi crimini”.

Sbeihat ha proseguito: “Abbiamo anche il referto medico del paziente assassinato oggi; è stato sottoposto a riabilitazione medica per mesi contrariamente a quanto affermato dagli occupanti secondo cui si nascondeva all’interno dell’ospedale”.

Dal 2022 Israele tenta di eliminare la resistenza nel campo e nella città di Jenin attraverso vari mezzi, tra cui bombardamenti aerei, omicidi ed esecuzioni di militanti. Tuttavia questa è la prima volta che gli occupanti hanno invaso un ospedale ed effettuato un’operazione di assassinio al suo interno.

Questo fatto è anche successo pochi giorni dopo che la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che l’accusa di genocidio avanzata dal Sudafrica contro Israele era “plausibile”, ordinando a Israele di “prevenire atti di genocidio” a Gaza.

Dall’inizio della campagna militare israeliana nella Striscia di Gaza il 7 ottobre l’esercito e il governo israeliani hanno continuato a perpetuare la narrazione secondo cui i gruppi militanti palestinesi utilizzano gli ospedali per le loro operazioni. Nonostante la mancanza di prove concrete dell’esistenza di “centri di comando” di Hamas all’interno o sotto gli ospedali di Gaza, Israele ha continuato ad attaccare gli ospedali di Gaza mentre le sue forze di terra si facevano strada attraverso la Striscia.

Il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Herzi Halevi, ha commentato l’assassinio avvenuto in ospedale, sostenendo che i tre giovani erano “coinvolti in una cellula terroristica che pianificava un grave attacco contro civili israeliani”. Halevi ha affermato che l’esercito israeliano “non permetterà che gli ospedali diventino una copertura per il terrorismo”.

Ha continuato: “Non vogliamo trasformare gli ospedali in campi di battaglia. Ma siamo ancora più determinati a non permettere che gli ospedali a Gaza, in Giudea e Samaria [così chiamano la Cisgiordania, ndtr.], in Libano, in superficie o nei cunicoli dei tunnel e nei tunnel sotto gli ospedali, diventino un luogo che funge da copertura per il terrorismo e che consente ai terroristi di nascondere armi, riposarsi, uscire per sferrare un attacco”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




‘Ottantunesimo giorno dell’operazione “Inondazione Al-Aqsa”: l’OMS afferma che il sistema sanitario di Gaza è stato “decimato” dai bombardamenti israeliani

Mustafa Abu Sneineh  

 26 dicembre 2023 – Mondoweiss

Vittime

  • Oltre 20.674 uccisi* e almeno 54.536 feriti nella Striscia di Gaza.

  • 305 palestinesi uccisi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est.

  • Israele ha rivisto al ribasso da 1.400 a 1.147 la stima del numero di morti del 7 ottobre.

  • 491 soldati israeliani uccisi e almeno 1.952 feriti dal 7 ottobre.

* Questo dato è stato confermato dal ministero della Sanità di Gaza il 25 dicembre. A causa delle interruzioni della rete di comunicazione all’interno della Striscia di Gaza da metà novembre il ministero della Sanità di Gaza non è in grado di aggiornare regolarmente e in modo accurato i propri dati. Tenendo conto dei dispersi, alcune associazioni per i diritti umani portano la stima del numero di morti a circa 28.000.

Avvenimenti principali

  • Il leader di Hamas Yahya Sinwar afferma che i combattenti hanno inflitto perdite e danni alle forze israeliane colpendo dal 7 ottobre non meno di 5.000 soldati e attaccando 750 veicoli militari.L’esercito israeliano sostiene che l’aviazione ha lanciato più di 100 attacchi in 24 ore contro Gaza.

  • La Mezzaluna Rossa palestinese afferma che i suoi uffici di Khan Younis sono stati bombardati dall’artiglieria israeliana, che ha distrutto il piano superiore e ha ferito parecchi palestinesi che vi si erano rifugiati.

  • Il personale dell’OMS ha sentito racconti strazianti di sopravvissuti palestinesi del bombardamento israeliano contro il campo profughi di Al-Maghazi, che ha ucciso 70 persone.

  • Le forze israeliane hanno pesantemente bombardato quartieri di Khan Younis e i dintorni dell’ospedale Nasser, cercando di conquistare un avamposto nel sud di Gaza.

  • Forze israeliane hanno ucciso due palestinesi nel campo profughi di Al-Fawwar a Hebron, nel sud della Cisgiordania.

  • Dopo aver fatto irruzione nella sua casa a Ramallah, le forze israeliane hanno arrestato la nota attivista politica Khalida Jarrar,.

  • Forze israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi di Nur Shams a Tulkarem per circa otto ore, hanno fatto saltare in aria tre proprietà e arrestato parecchi palestinesi.

Il leader di Hamas loda la tenacia dei palestinesi contro l’aggressione israeliana

In una lettera pubblicata dal sito in arabo di Al-Jazeera, nel suo primo messaggio pubblico dal 7 ottobre il leader di Hamas Yahya Sinwar ha affermato che le brigate Izz al-Din Al-Qassam stanno conducendo una feroce battaglia senza precedenti contro le forze dell’occupazione israeliana nella Striscia di Gaza.

La lettera di Sinwar era indirizzata ai membri dell’ufficio politico di Hamas durante il dialogo per i tentativi di mediazione egiziani e qatarini per raggiungere un accordo di cessate il fuoco e uno scambio di ostaggi con Israele. Tuttavia più tardi, lunedì, Al-Jazeera ha tolto dal sito la lettera.

Sinwar ha affermato che i combattenti della resistenza hanno inflitto perdite significative alle forze israeliane, colpendo almeno 5.000 soldati e uccidendone un terzo. Il leader di Hamas ha aggiunto che i combattenti della resistenza hanno attaccato un totale di 750 veicoli militari, determinandone a quanto ha affermato la distruzione totale o parziale.

Ha aggiunto che i palestinesi della Striscia di Gaza “hanno fornito un esempio di sacrificio, eroismo, lealtà, solidarietà e interdipendenza senza precedenti” durante la guerra, in cui le forze israeliane hanno ucciso più di 20.000 palestinesi e ne hanno feriti circa 55.000.

I dati ufficiali israeliani indicano che fino a lunedì nei combattimenti sono stati uccisi 156 soldati israeliani. Tuttavia questi numeri potrebbero essere più alti, in quanto in base a fonti indipendenti l’esercito israeliano avrebbe imposto un ordine di riservatezza che impedisce ai media israeliani di dare informazioni sulle vittime israeliane nella Striscia di Gaza.

Forze israeliane bombardano gli uffici della Mezzaluna Rossa palestinese a Gaza

Martedì mattina l’esercito israeliano ha affermato che nelle ultime 24 ore l’aviazione ha lanciato nella Striscia di Gaza più di 100 attacchi.

Martedì la Mezzaluna Rossa palestinese (PRCS) ha detto che i suoi uffici a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, sono stati attaccati da un bombardamento dell’artiglieria israeliana che ha distrutto il piano superiore. Vari sfollati palestinesi che vi si erano rifugiati sono rimasti feriti.

La PRCS ha affermato che l’equipaggio di un’ambulanza è sopravvissuto “miracolosamente” al bombardamento israeliano di lunedì mentre stava trasportando i corpi di palestinesi uccisi nel quartiere di Al-Katiba a Khan Younis. Forze israeliane la scorsa settimana hanno anche arrestato parecchi dipendenti della PRCS nel centro ambulanze di Jabalia, nel nord di Gaza, dopo avervi fatto irruzione.

Dal 7 ottobre la PRCS, che nella Striscia di Gaza gestisce vari ambulatori medici e ospedali convenzionati, opera in condizioni durissime e con carenza di rifornimenti sufficienti di medicine e carburante. Dal 7 ottobre sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani almeno 284 membri del personale, molti dei quali mentre stavano fornendo interventi di pronto soccorso e assistenza medica.

Lunedì pomeriggio il ministero della Sanità di Gaza ha detto che da ottobre 20.674 persone sono state uccise come martiri e 54.536 ferite nei bombardamenti israeliani.

Il personale dell’OMS ha sentito storie orribili dai sopravvissuti palestinesi del massacro di Al-Maghazi

Domenica notte almeno 70 palestinesi sono stati uccisi nel bombardamento israeliano di case nel campo profughi di Al-Maghazi, nella zona centrale di Gaza. Il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) Tedros Adhanom Ghebreyesus ha scritto su X che nell’ospedale Al-Aqsa il personale dell’OMS ha sentito “storie terribili” da vittime del brutale bombardamento di Al-Maghazi.

“Il personale dell’OMS ha ascoltato resoconti strazianti, che sono condivisi sia da lavoratori sanitari che dalle vittime, delle sofferenze causate dalle esplosioni. Un bambino ha perso tutta la sua famiglia nell’attacco contro il campo. Un infermiere dell’ospedale ha sofferto la stessa perdita, in quanto tutta la sua famiglia è stata uccisa,” ha scritto Ghebreyesus.

Ha aggiunto che il personale sanitario dell’ospedale Al-Aqsa ha cercato di salvare la vita di Ahmad, un bambino di 9 anni, che aveva subito una ferita alla testa dovuta a schegge e detriti provocati da un’esplosione israeliana mentre stava attraversando una strada ad Al-Maghazi.

“I medici ci hanno detto che le sue ferite erano talmente serie che non sarebbe sopravvissuto,” ha scritto lunedì.

“L’ospedale (Al-Aqsa) sta assistendo molti più pazienti di quanti la sua capienza e il suo personale possano gestire. Molti non sopravviveranno all’attesa. Al momento l’ospedale ha in funzione cinque sale operatorie e altre due sono gestite da (Medici senza Frontiere), ma non è ancora sufficiente,” ha aggiunto.

Ghebreyesus ha chiesto un cessate il fuoco e ha affermato che il personale dell’OMS sta assistendo alla distruzione del sistema sanitario di Gaza, che è stato “messo in ginocchio” dalla prosecuzione dei bombardamenti israeliani.

Gemma Connell, dell’agenzia umanitaria dell’ONU (OCHA), martedì ha detto alla BBC che lunedì le condizioni dell’ospedale Al-Aqsa erano “una totale carneficina”.

Connell ha affermato che durante la sua visita all’ospedale “ci sono stati nuovi attacchi aerei che hanno colpito aree limitrofe all’ospedale nella zona centrale [della Striscia] e vi venivano portate nuove vittime.”

“Tragicamente ho visto spirare un bambino di nove anni con una terribile ferita alla testa,” ha aggiunto. “Quando dico che ci sono stati di nuovo attacchi oggi e che sono arrivate vittime, alcuni di questi attacchi sono avvenuti in zone in cui era stato detto alla gente di spostarsi, il che, penso, riprende ancora una volta il ritornello che sono così stanca di dire: a Gaza non ci sono posti sicuri.”

Le forze israeliane concentrano la potenza di fuoco contro Khan Younis, nel tentativo di conquistare un avamposto nel sud di Gaza

Nelle ultime 24 ore le forze israeliane hanno intensificato la campagna di bombardamenti nella Striscia di Gaza concentrando la loro potenza di fuoco contro Khan Younis e nelle zone meridionali [della Striscia di Gaza], mentre le forze di terra cercano di conquistare un avamposto nella seconda città più grande dell’enclave costiera.

Almeno dieci palestinesi sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano nella città di Khan Younis. L’agenzia di stampa Wafa informa che le forze israeliane hanno bombardato anche i dintorni dell’ospedale Nasser, le case della famiglia Al-Najjar a sud dell’area di Kaizan Al-Najjar a Khan Younis e della famiglia Abu Rizqa nel quartiere olandese della città.

Lunedì pomeriggio gli attacchi aerei israeliani hanno ucciso cinque palestinesi nel quartiere di Al-Amal di Khan Younis. Il ministero della Sanità di Gaza ha affermato che da domenica pomeriggio le forze israeliane hanno commesso 25 massacri, uccidendo almeno 250 palestinesi e ferendone altri 500.

Ad est e a nord di Khan Younis le forze israeliane hanno colpito con bombardamenti di artiglieria e attacchi aerei le cittadine di Bani Suheila, Al-Bureij e i campi profughi di Al-Maghazi.

Anche Juhr Al-Dik, una zona a sud-est di Gaza City, è stata bombardata. Juhr Al-Dik è diventata il luogo di molti attacchi dei combattenti palestinesi contro le forze israeliane schierate nella zona da fine ottobre.

Nella città meridionale di Rafah molti palestinesi feriti dagli attacchi israeliani sono stati ricoverati nell’ospedale Kuwaitiano. Forze israeliane hanno bombardato la casa della famiglia Al-Amsi in piazza Al-Najmeh a Rafah e un’altra casa nel campo profughi di Al-Shaboura. Lunedì pomeriggio forze israeliane hanno bombardato anche la città di Deir Al-Balah.

Forze israeliane hanno assaltato il campo profughi di Nour Shams, uccidendo due palestinesi a Hebron

Martedì mattina forze israeliane hanno ucciso due palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Il ministero della Sanità ha affermato che Ibrahim Majid Abdel Majeed al-Titi, 31 anni, e Ahmad Muhammad Yousef Yaghi, 17, sono stati uccisi da fuoco israeliano nel campo profughi di Al-Fawwar a Hebron, nel sud della Cisgiordania.

Martedì mattina forze israeliane hanno attaccato Al-Fawwar e hanno sparato proiettili veri contro palestinesi, uccidendo Yaghi e al-Titi. Il numero totale di palestinesi uccisi dalle forze israeliane e dai coloni nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme dal 7 ottobre è salito a 305.

La Wafa ha informato che durante la notte forze israeliane hanno arrestato 55 palestinesi. Gli arrestati più famosi sono l’attivista politica Khalida Jarrar, 60 anni, e Rashad Karaja, capo del consiglio comunale del villaggio di Safa, nei pressi di Ramallah. Sia Jarrar che Karaja sono importanti attivisti di sinistra.

Le forze israeliane hanno fatto irruzione nella casa di Jarrar nella città di al-Bireh, nei pressi di Ramallah, ed hanno perquisito i suoi effetti personali. Jarrar è stata arrestata molte volte nel corso degli anni ed ha scontato varie sentenze consecutive di detenzione amministrativa, l’ultima nel 2021, dopo di che è stata rilasciata dalla prigione israeliana. La figlia minore di Jarrar, Suha, è morta durante l’ultimo periodo di detenzione di sua madre, e Jarrar, nonostante fosse in prigione senza accuse né processo, non ha potuto partecipare al funerale della figlia.

A Hebron forze israeliane hanno arrestato anche 17 palestinesi delle famiglie Abu Hadid e Al-Atrash, mentre al check point militare di Barta’a, a sud della città di Jenin, sono stati arrestati anche altri 17 operai e commercianti prima di essere trasferiti nei centri di detenzione di Salem e Huwwara.

La Wafa ha informato che durante la notte a Betlemme sono stati arrestati 15 palestinesi, tra cui due donne e un giornalista.

Secondo il Club dei Prigionieri Palestinesi da ottobre le forze israeliane hanno arrestato un totale di 4.785 palestinesi dalle loro case o ai posti di controllo militari. Dopo un’incursione di circa otto ore nel campo profughi di Nour Shams, a est della città di Tulkarem, martedì mattina le forze israeliane si sono ritirate dalla zona.

Forze israeliane hanno fatto saltare in aria tre case a Nour Shams, tra cui quella di Odeh Khalil Arif Hassan, 38 anni, nel quartiere di Al-Maslakh. Hassan era stato arrestato durante l’incursione.

La Wafa ha informato che l’esplosione ha provocato danni alle case vicine, tra cui quella di Abdul Hadi Arif e Muhammad Al-Azab.

La seconda casa che le forze israeliane hanno fatto saltare in aria è stata quella di Yousef al-Zindeeq, situata all’ingresso di Nour Shams. Il secondo piano della casa di Musa Al-Azb è stato in seguito fatto esplodere, provocando un incendio.

La Wafa ha riportato che durante il raid forze israeliane hanno vandalizzato case palestinesi e hanno requisito telefonini, arrestando Abdel Karim Omar Nasrallah, 27 anni, e Ahmad Muhammad Abu Zahra, 26.

Bulldozer israeliani hanno sfasciato vari veicoli palestinesi, distrutto muri e danneggiato strade a Nour Shams. Un edificio in costruzione nella zona di Aktaba è stato colpito con bombe anticarro Energa.

Secondo la Wafa forze israeliane hanno fatto irruzione anche nella città di Tulkarem, e Nour Shams è diventato una “zona militare” chiusa, il che impedisce l’ingresso e l’uscita di palestinesi del campo, mentre un aereo da ricognizione israeliano ha sorvolato a bassa quota la zona.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Vergogna a Israele che sfrutta l’Olocausto per giustificare il genocidio

Sig Giordano 

18 dicembre 2023, Mondoweiss

La storia dei miei nonni sopravvissuti all’Olocausto mi ha insegnato cos’è un genocidio, ed è così che posso condannare ciò che Israele sta facendo a Gaza in questo momento. Come osa Israele sfruttare la sofferenza della mia famiglia per cercare di giustificare il suo genocidio a Gaza?

Se i miei nonni fossero ancora vivi, in questo ottobre si sarebbe celebrato l’ottantesimo anniversario del loro incontro. Nel 1943 i miei nonni, Isidor e Marianne, si incontrarono a Theresienstadt, un campo di concentramento nella Cecoslovacchia occupata dai nazisti. Ero molto legato a mio nonno Isi, che sopravvisse alla nonna. Tra le sue cose mi affidò la stella “ebraica” di stoffa gialla con sopra la parola “Jude” che gli avevano fatto indossare nel campo.

Durante un incontro alle Nazioni Unite (ONU) il 31 ottobre, Gilad Erdan, ambasciatore israeliano all’ONU, ha indossato una stella ebraica simile a quella di mio nonno. Rivolgendosi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha dichiarato che indossava la stella per denunciare il silenzio del Consiglio riguardo all’attacco del 7 ottobre contro Israele. Erdan ha paragonato questo silenzio al silenzio che permise che si verificasse l’Olocausto. In risposta Dani Dayan, il direttore dello Yad Vashem, il museo israeliano memoriale dell’Olocausto, ha subito denunciato quell’uso improprio della stella, sostenendo che Erdan stava “disonorando le vittime dell’Olocausto, così come lo Stato di Israele”.

Dayan aveva assolutamente ragione nel richiamare l’attenzione su quanto fosse offensivo che Erdan indossasse la stella gialla. Le ragioni di Dayan, tuttavia, sono completamente sbagliate. Per sostenere il suo argomento, Dayan ha sostenuto che la stella gialla simboleggia la debolezza del popolo ebraico durante l’Olocausto, ribadendo una narrazione storica inquietante e falsa.

I sionisti hanno a lungo cercato di raffigurare le vittime dell’Olocausto come deboli per sostenere la fondazione e poi il mantenimento dello Stato di Israele. Questa mossa iniziò anche prima dell’Olocausto, quando alcuni sionisti si allinearono con la scienza razziale eugenetica dell’epoca sostenendo che gli ebrei dovevano purificare la propria razza e creare una propria razza forte. Arthur Ruppin, eminente scienziato sociale e capo dell’ufficio palestinese dell’Organizzazione sionista mondiale all’inizio del XX secolo, promosse l’insediamento in Palestina come risposta ai pericolosi risultati della “mescolanza razziale” degli ebrei europei. Non era il solo, poiché molti intellettuali ebrei sostenevano che la formazione dello Stato sionista avrebbe consentito agli ebrei di “rigenerare i propri corpi” degenerati nelle condizioni di assimilazione nell’Europa occidentale e di oppressione in quella orientale.

Una volta fondato Israele, le vittime dell’Olocausto furono regolarmente trattate come deboli e come esempi all’opposto di ciò che rappresentava lo Stato sionista, il che portò al pessimo trattamento per i sopravvissuti che divennero cittadini israeliani. Come Dayan stesso ha ribadito, l’Olocausto rappresenterebbe un monito sul contrapporre la debolezza degli ebrei nella diaspora alla forza degli ebrei nello Stato di Israele.

Nonostante la distanza delle loro opinioni, leader israeliani come Erdan e Dayan fanno regolarmente uso dell’Olocausto per difendere la violenza di Stato contro i palestinesi. A differenza di Erdan e Dayan, conoscere il genocidio contro i miei antenati mi ha permesso di capire che ciò che sta accadendo oggi in Palestina è un genocidio. Sapere che si sta perpetrando un genocidio è doloroso di per sé. Sapere che un genocidio viene compiuto presumibilmente a mio nome (in quanto ebreo) è estremamente doloroso. Ma sapere che un genocidio viene giustificato con l’appropriazione della sofferenza della mia famiglia mi fa infuriare. Sono furioso. Come osa lo Stato di Israele insultare la storia della mia famiglia?

Gli orrori che la mia famiglia ha dovuto sopportare sono inimmaginabili per la maggior parte delle persone. Mia nonna e mio nonno, adolescenti quando si incontrarono al campo, sono gli unici membri sopravvissuti delle loro famiglie. Mio nonno faceva parte della resistenza nel campo, e nascondeva le persone che erano sulle liste per essere deportate ad Auschwitz. Mio nonno ha letteralmente salvato la vita a mia nonna. Questa non è una storia di debolezza. Tuttavia, è una storia dalla quale ho imparato molte lezioni sulle condizioni che consentono il genocidio.

Ricordo che avevo 8 o 9 anni e sedevo al tavolo di cucina a fare colazione mentre mia madre cucinava. La radio era accesa come ogni mattina e trasmetteva le notizie di 1010 WINS [radio privata di New York, ndt.]: “Dacci 22 minuti, ti daremo il mondo”. Nei titoli un gruppo di resistenza rivendicava la responsabilità di un attentato da qualche parte fuori dagli Stati Uniti. Ho chiesto a mia madre: “Cos’è un gruppo di resistenza?” Lei mi ha spiegato l’idea di resistenza parlando dell’Olocausto e della lotta di suo padre per reagire.

Anche se non tutte le persone che affermano di resistere sono automaticamente nel giusto, quando sono cresciuto mi sono reso conto che il modo in cui si vede la resistenza in una determinata situazione dipende dal proprio punto di vista. Ciò può sembrare ovvio, ma nei media occidentali, nella politica e nei contesti educativi vediamo regolarmente un’associazione tra gruppi di resistenza e terrorismo che crea un lato giusto e uno sbagliato dati per scontati.

Nei giorni successivi all’11 settembre 2001, come cittadino americano che vive negli Stati Uniti mi sono ricordato che quando mi opponevo all’idea di invadere l’Afghanistan ero “con noi” o “contro di noi”. Il nazionalismo forzato mi ha ricordato gli studi sull’Olocausto che avevo intrapreso durante il college. La creazione della mentalità “Noi contro loro” per proteggere la Germania era stata una parte fondamentale nel coinvolgere ampi segmenti di tedeschi non ebrei nella lotta contro il popolo ebraico.

La resistenza si muove contro coloro che detengono il potere. Inoltre essere oppressi, per definizione, significa essere dalla parte dei perdenti in una dinamica di potere. Allora, com’è possibile che Israele, un paese con uno degli eserciti più potenti del mondo, sostenuto dalla più potente potenza militare ed economica del mondo, gli Stati Uniti, abbia cercato di dipingersi come il campione di un popolo oppresso che deve lottare contro i movimenti di resistenza palestinesi?

Jonathan Greenblatt, direttore dell’Anti-Defamation League (ADL) [organizzazione non governativa ebraica internazionale con sede a New York in difesa dei diritti civili e contro l’antisemitismo, ndt.] ha pubblicato un articolo sulla rivista Time dopo l’attacco del 7 ottobre sostenendo che non c’è modo di interpretare l’attacco di Hamas se non come “odio” e “intolleranza tossica nella sua forma più pura”. E se invece di rendere eccezionale l’esperienza ebraica in modo che l’Olocausto diventi un esempio di migliaia di anni di odio per gli ebrei prestassimo attenzione alle reali lezioni che possiamo imparare dagli orrori dell’Olocausto? La lezione di cui abbiamo bisogno non è che gli ebrei sono sempre stati e sempre saranno odiati. La lezione dell’Olocausto è che coloro che detenevano il potere economico e politico usarono il nazionalismo e l’idea a giustificazione del genocidio che i tipi di persone cosidette inferiori costituissero una minaccia per lo Stato-nazione.

Molti ebrei e non ebrei resistettero per quanto poterono. Il problema non era una resistenza debole, il problema era la forza delle narrazioni nazionaliste ed eugenetiche.

La buona notizia è che milioni di persone e di ebrei stanno prendendo posizioni critiche della situazione e opponendosi ai messaggi che ci vengono porti dai più potenti leader israeliani e statunitensi. Siamo solidali con i palestinesi che lottano per il loro diritto all’esistenza e all’autodeterminazione. Vediamo cambiamenti nei sondaggi d’opinione pubblica, e il numero di azioni guidate e sostenute dagli ebrei contro l’attuale genocidio è più grande che mai. Molti parlano apertamente e dicono ad alta voce che “Mai più” significa “Mai più per nessuno”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Come Israele ha sabotato lo scambio di prigionieri ampliando la definizione di “prigionieri di sicurezza”

YOAV HAIFAWI

7 DICEMBRE 2023 – Mondoweiss

Israele ha sabotato lo scambio di prigionieri con Hamas ampliando la definizione di “prigionieri di sicurezza” per includere quelli detenuti per poco più che post sui social media.

Venerdì primo dicembre Israele ha ripreso il massiccio bombardamento di Gaza in una campagna che è già stata giudicata da esperti internazionali e organizzazioni per i diritti umani una delle peggiori e mortali della storia moderna. Israele ha accusato Hamas di aver violato i termini dello scambio di prigionieri. Eppure ho visto da vicino, seguendo i processi politici presso il tribunale di Haifa, come sia invece Israele che ha minato le basi stesse di ciò che significa uno scambio di prigionieri. Lo ha fatto attraverso arresti di massa di palestinesi prima dello scambio di prigionieri, trattenendoli come “prigionieri di sicurezza” secondo una definizione che è stata ampliata dopo il 7 ottobre, e poi rilasciandoli come parte dello scambio di prigionieri – anche se fin dall’inizio Israele non aveva motivo di trattenerli in prigione. Questo è stato un periodo in cui i palestinesi all’interno della Linea Verde [il confine tra Israele e la Cisgiordania, ndt.] sono diventati improvvisamente una parte significativa del conflitto più ampio.

Sono stati tempi frenetici per noi nella Palestina del ’48 [cioè in Israele, ndt.] e la gente qui è terrorizzata. A partire dal 7 ottobre, quando lo shock provocato dagli attacchi si è trasformato rapidamente in una rabbia indiscriminata, molti ebrei si sono attivati contro i loro colleghi e compagni di classe palestinesi per scoprire segni di slealtà e denunciarli alle autorità. Centinaia sono stati interrogati e arrestati per poco più che dei post sui social media. Quando ho chiesto a un amico apolitico del mio quartiere come stava, ha risposto: “Non vedo, non sento, non parlo!” Ciò è continuato fino ad oggi. Proprio di recente sono andato al supermercato all’angolo e la gente discuteva se saresti stato arrestato per un “mi piace” o solo per aver condiviso un post. Come ho detto, c’è paura ovunque.

I prigionieri politici sono una parte importante della vita palestinese, anche nella cultura popolare. Negli ultimi decenni si è verificato un cambiamento significativo nella terminologia relativa ai detenuti. Negli anni ’70 e ’80, gli attivisti politici nella Palestina del ’48 parlavano di “prigionieri” usando lo stesso termine usato per i criminali e le vittime innocenti del sistema capitalista. Anche la prima associazione che difese i palestinesi nelle carceri dell’occupazione si chiamava “Gli amici del prigioniero”. Negli anni Novanta la parola araba asir (plurale asra, femminile asirah), che indica i prigionieri di guerra, è diventata il termine comune per chiunque fosse stato arrestato nel contesto della lotta per la liberazione.

Alcuni degli asra erano feda’iyeen – guerriglieri che avevano deciso di portare armi e lottare contro l’espropriazione della popolazione palestinese. Altri erano asra siyasiyun, militanti politici irriducibili che il regime aveva deciso di mettere a tacere, come la leadership di Al-Ard [organizzazione che si occupa di aiutare i contadini palestinesi, ndt.], Abna’ al-Balad [movimento nazionalista degli arabo-israeliani, ndt.] e il movimento islamico. Essere un asir, nonostante tutte le sofferenze, significava in un certo senso far parte dell’élite politica. Quando parliamo dell’asra palestinese, includiamo tutti coloro che sono stati arrestati come parte della lotta, non importa se provengono dalla Cisgiordania, da Gaza, dalla Palestina del ’48 o dalla diaspora. Inoltre non distinguiamo se fossero affiliati all’OLP, ad altri movimenti di resistenza, a un’organizzazione locale o se non lo fossero affatto. Inoltre, il termine non distingue di cosa siano stati accusati quegli asra, poiché ciò significherebbe dare legittimità ai tribunali dell’occupazione, dove i palestinesi non si aspettano mai giustizia.

Ma il senso di essere prigioniero politico è cambiato dopo il 7 ottobre.

Prendiamo, ad esempio, il caso di Mariam (nome di fantasia), una studentessa di una famiglia palestinese conservatrice. Il 7 ottobre, alcuni studenti ebrei hanno trovato su una pagina Facebook un post politico moderato che portava il suo nome. L’hanno denunciata all’Università di Haifa. Mariam ha affermato che non era il suo account e ha mostrato un altro account Facebook con il suo nome, dove ha pubblicato le foto della sua famiglia e dei suoi parenti. La direzione dell’università, oltre ad adottare misure amministrative contro Mariam, ha denunciato il suo caso alla polizia.

La polizia ha arrestato Mariam e ha avviato un’indagine approfondita. La loro teoria era che avesse due pagine Facebook, una per la sua famiglia conservatrice e l’altra per i suoi amici universitari. Quando Mariam ha negato le accuse, hanno convocato i suoi amici e conoscenti per un interrogatorio. Anche se altri studenti che avevano postato cose simili sono stati rilasciati, la detenzione di Mariam è stata prolungata con la motivazione che, se fosse stata rilasciata, avrebbe potuto compromettere le indagini. Mentre era ancora in prigione come “prigioniera di sicurezza”, è stata rilasciata durante lo scambio di donne tra Israele e Hamas.

Secondo Yousef Taha, responsabile del Joint Body of Arab Student Blocs in Universities and Colleges, il fronte unito delle organizzazioni studentesche palestinesi del ’48, c’erano sette o otto studentesse che all’epoca erano detenute e rilasciate come parte dello scambio di prigionieri. Ognuna di loro è stata accusato per un singolo post sui social media; i loro casi non erano significativamente diversi da quelli di una dozzina di studenti rilasciati dai tribunali nello stesso periodo. Fino ad ora lo Stato non ha nemmeno annullato le accuse contro di loro, e in alcune udienze a cui ho assistito la pubblica accusa ha dichiarato che stava“studiando la situazione”, chiedendo che le udienze fossero rinviate.

Per fare un altro esempio, il caso di due giovani donne palestinesi di Haifa che sono state arrestate e incriminate per “minacce” e “disturbo dell’ordine pubblico” dimostra come accuse ridicole siano state sufficienti per trattare gli arrestati come “prigionieri di sicurezza”. Secondo l’accusa il 12 ottobre le due donne avrebbero insultato una poliziotta con un messaggio volgare su WhatsApp e, più tardi lo stesso giorno, avrebbero chiamato il numero per le emergenze della polizia di Haifa e avrebbero detto: “Vengo da Gaza, dalla Palestina, sono Hamas. Sono ad Haifa per uccidere subito tutti gli ebrei “. Quando sono state arrestate hanno detto che stavano solo scherzando, ma sono state trattenute in detenzione e successivamente incriminate.

Queste due giovani donne sono state classificate dalle autorità carcerarie israeliane come “prigioniere di sicurezza” e sono state incarcerate in dure condizioni nella prigione di Damon. Una di loro è stata rilasciata nell’ambito dello scambio di prigionieri. L’altra è stata condannata il 4 dicembre dal tribunale di Haifa e resterà in una prigione di sicurezza per il terzo mese fino alla sentenza formale.

Qui devo chiarire che nel sistema carcerario israeliano esiste un regime completamente diverso per gli oltre 7.000 “prigionieri di sicurezza” palestinesi, che sono privati della maggior parte dei diritti fondamentali dei prigionieri normali. Molti di loro provengono dalla Cisgiordania e da Gaza, ma ci sono anche molti palestinesi con cittadinanza israeliana.

Molti temono che i prigionieri rilasciati nello scambio saranno ora oggetto di vendetta, anche se la decisione di rilasciarli è stata del governo. Adalah e altre organizzazioni per i diritti umani hanno avvertito che Israele potrebbe provare a etichettarli tutti come “sostenitori di Hamas” e persino applicare nuove leggi per revocare loro la cittadinanza e i diritti sociali fondamentali.

Lunedì si è saputo che il comune sionista di Gerusalemme sta impedendo agli studenti delle scuole superiori rilasciati di frequentare la scuola. Il Technion ha annunciato che a una studentessa palestinese detenuta anche lei per un post su Facebook e successivamente rilasciata durante lo scambio di prigionieri “non” verrà “mai più” consentito di riprendere gli studi. L’università ha annunciato questa misura estrema ovviamente senza avviare alcun procedimento “disciplinare” rilevante, che renderebbe necessario verificare i fatti del caso.

Più in generale la detenzione arbitraria di palestinesi dei territori del ’48 per infrazioni minori e definirli “prigionieri di sicurezza” – molti dei quali sono poi stati rilasciati durante lo scambio di prigionieri – ha consentito a Israele di evitare il rilascio di altre donne palestinesi “vere” prigioniere di sicurezza che stanno scontando condanne molto più lunghe.

Mentre lo scambio di prigionieri andava avanti sotto la pressione della minaccia di una ripresa delle mortali operazioni militari, con nuovi elenchi di persone da rilasciare pubblicati ogni mattina, Israele ha sabotato il processo. A differenza di Hamas, che doveva riunire dai nascondigli con gravi rischi i prigionieri, Israele poteva facilmente preparare elenchi ordinati. Ma quello che ha fatto invece è stato pubblicare un elenco con centinaia di nomi, sostenendo che queste erano le persone che avrebbero potuto essere rilasciate. All’ultimo momento, dopo che Hamas aveva pubblicato l’elenco esatto della giornata, ha puntato a selezionare i prigionieri a cui rimaneva meno tempo da trascorrere in prigione o che non erano nemmeno stati condannati per alcun reato.

Resta da chiedersi se questo modo deliberatamente subdolo di gestire lo scambio di prigionieri sia uno dei motivi per cui l’intero processo è fallito.

(traduzione dall’’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




“Hanno sparato a suo figlio in braccio e l’hanno costretta a gettare il suo corpo”: testimonianze dalla marcia mortale in via Salah al-Din

Tareq S. Hajjaj

30 Novembre 2023 – Mondoweiss

Molteplici testimonianze raccolte da palestinesi sfollati dal nord di Gaza rivelano gli orrori in via Salah al-Din, indicata dall’esercito israeliano come passaggio sicuro”.

Durante il cessate il fuoco temporaneo ho potuto visitare diversi rifugi che ospitano gli sfollati arrivati dal nord di Gaza, principalmente l’Ospedale Europeo e una scuola gestita dall’UNRWA a Khan Younis. Anche ora, dopo tutto quello che abbiamo visto, è difficile credere alle storie che ho sentito raccontare in vari rifugi. La maggior parte dei racconti verte su come [i rifugiati] hanno evacuato la parte nord essendo stati espulsi verso sud, compreso lo straziante viaggio lungo via Salah al-Din, indicata dallesercito israeliano come un passaggio sicuro”. Dalle testimonianze che ho ascoltato è emerso chiaramente che quella strada è stata designata non per facilitare la fuga dei civili ma per umiliarli, degradarli e, in alcuni casi, ucciderli sistematicamente. Non tutti sono sopravvissuti al viaggio verso sud, e anche adesso la via Salah al-Din è disseminata di decine di cadaveri – di uomini, donne e bambini – in diversi stati di decomposizione.

Il quadro che emerge non è quello di un percorso umanitario” ma di una marcia della morte. Queste sono alcune delle testimonianze che ho raccolto da decine di testimoni oculari.

Il soldato mi ha ordinato di attraversare il posto di blocco strisciando

In una piccola stanza larga poco più di due metri due giovani sono sdraiati su dei materassi. Sono arrivati insieme all’ospedale, ma uno di loro, Ayman, ha raccontato una storia che sembra uscita da un romanzo di guerra.

La sua casa nel nord di Gaza è stata bombardata con all’interno la sua famiglia di 21 persone. Quattro di loro, suo padre e tre dei suoi fratelli, sono rimasti uccisi e adesso lui è il membro più giovane della famiglia. Ayman è stato ferito e trasferito in ospedale, il piede destro sorretto da poco più di un fascio di muscoli e pelle, poiché la tibia destra è stata completamente distrutta. In ospedale l’intero piede e la gamba sono stati rinforzati con delle placche fino al ginocchio. Suo cugino Mahmoud è rimasto con lui in ospedale. Quando la scorsa settimana l’esercito israeliano ha fatto irruzione nell’ospedale indonesiano anche Mahmoud è stato colpito a un piede e i medici hanno applicato anche a lui delle placche di metallo.

Eppure, quando è arrivato il momento dellevacuazione dallospedale lesercito ha costretto tutti i presenti a marciare a piedi verso sud. È stato allora che è cominciato lincubo di Ayman.

“Camminavo con le stampelle e due paramedici in fuga con noi verso sud mi aiutavano lungo la strada”, ha detto a Mondoweiss. “A volte mi trasportavano o mi offrivano un appoggio per procedere.”

Quando hanno raggiunto il posto di blocco militare israeliano eretto in via Salah al-Din un soldato lo ha chiamato da lontano e gli ha ordinato di camminare da solo e di gettare via le stampelle prima di arrivare al posto di controllo per la perquisizione.

“Non ero ancora in grado di mettere il piede a terra né di esercitarvi alcuna pressione”, racconta Ayman. “Ma il soldato continuava a ordinarmi di camminare senza stampelle.”

“Nel momento in cui ho messo il piede a terra sono caduto, incapace di sopportare il dolore”, continua. Ma il soldato insisteva dicendomi di alzarmi”.

Ayman afferma che non poteva sopportare l’umiliazione che il soldato gli stava imponendo. Per la seconda volta ha cercato di alzarsi e di fare un altro passo.

La placca della sua gamba si è rotta. È crollato a terra, urlando di dolore. Il soldato non ha fatto nulla, ordinandogli semplicemente di superare il posto di blocco strisciando e di proseguire per la sua strada. Ayman non ha avuto altra scelta che fare come gli era stato ordinato, trascinandosi fino ad arrivare dall’altra parte, dove la gente lo ha raccolto e assistito.

Ayman è ora ricoverato all’ospedale europeo di Khan Younis e necessita di due interventi chirurgici. Il primo per riparare la lussazione del ginocchio derivante dalla rottura della placca – a guardarlo ha la gamba piegata a U in modo innaturale – e il secondo intervento per dotarlo di una nuova placca metallica. Il problema è che a causa delle traversie incorse e del conseguente duplice trauma i medici dellospedale europeo non sono stati in grado di eseguire lintervento chirurgico, e lui ha bisogno per guarire di un trasferimento in un ospedale fuori Gaza.

Non c’era niente di sbagliato in me”, dice Ayman. Se solo il soldato mi avesse permesso di camminare con le stampelle o di farmi trasportare dai paramedici niente di tutto questo sarebbe ora necessario”.

Insiste sul fatto che i soldati ci tenevano a umiliare i rifugiati, per aggiungere un ulteriore carico di sofferenza al loro viaggio. Sembravano trarre piacere dalla punizione [inflitta], dice.

Testimonianze di cecchini che sparano contro bambini” a distanza e costringono i genitori ad abbandonare i loro cadaveri

Alcune storie hanno una diffusione così ampia da essere raccontate nello stesso modo da disparate persone. In alcuni casi la persona che ha subito il calvario non ha intrapreso il viaggio verso sud, ma la sua storia è stata testimoniata da molte altre persone che lo hanno fatto. Mondoweiss non ha potuto verificare in modo indipendente questi racconti.

Un episodio che ho sentito da più persone incontrate in una scuola dellUNRWA racconta la storia di una donna che portava in braccio il suo bambino e camminava lungo Salah al-Din. Suo figlio piangeva forte mentre lo trasportava, mi hanno detto più persone, ripetendo tutti gli stessi dettagli e riportando la stessa sequenza di eventi che sarebbero seguiti: un soldato, infastidito dagli strilli del bambino “gli ha sparato” da lontano colpendolo alla testa mentre era in braccio alla madre. A quel punto il soldato ha preso il megafono ordinandole di gettarlo sul ciglio della strada e di continuare a camminare.

Del tutto sotto shock, la donna ha iniziato a piangere e urlare, ma alla fine è stata costretta a obbedire agli ordini dei soldati che circondandola dai lati, alcuni anche appollaiati su un carro armato, la minacciavano con le armi. Tutti mi hanno detto la stessa cosa: che la donna è stata costretta a deporre il suo bambino senza vita e riprendere il cammino continuando a urlare e piangere per tutto il percorso.

Questa non è lunica storia del genere che ho sentito. Muhammad al-Ashqar, un rifugiato presso una scuola dell’UNRWA a Khan Younis, mi ha detto che uno dei suoi parenti portava sua figlia di 4 anni sulle spalle e un cecchino l’ha colpita da lontano uccidendola. E anche in questo caso gli hanno ordinato col megafono di metterla da parte e di continuare a marciare verso sud. Neanche lui ha avuto scelta, altrimenti sarebbe stato fucilato con il resto della famiglia.

Queste storie sono confermate dalle ondate di rifugiati che continuano ad arrivare dal nord, che riferiscono di aver visto decine di cadaveri ingombrare il passaggio sicuro” indicato da Israele, sia di vecchi che di giovani, mentre marcivano sul lato della strada. Nuovi rifugiati arrivati l’altro ieri hanno riferito che alcuni dei corpi avevano cominciato a essere divorati da animali randagi.

Ci sono ulteriori dettagli. L’esercito israeliano ha dato rigide istruzioni ai profughi in fuga: non raccogliere nulla che dovesse cadere in terra, non voltarti e non guardare altrove se non a sud, non parlare con nessuno, non disobbedire agli ordini dei soldati. Se infrangi queste regole sarai ucciso.

Molti sfollati affermano che i soldati hanno costretto le persone a compiere azioni degradanti sottoponendole ad ulteriori umiliazioni. Una donna anziana mi ha detto che c’era una fossa profonda scavata nel terreno in cui erano ammucchiati cadaveri di uomini, donne e bambini, e quando un soldato voleva terrorizzare una persona la costringeva a togliersi i vestiti e scendere nella fossa. I soldati ne uccidevano alcuni, aggiungendo i loro cadaveri al mucchio, lasciando gli altri vivi ma dopo averli costretti a rimanere seduti nudi tra i cadaveri fino a quando non erano soddisfatti. Quindi i soldati ordinavano loro di alzarsi e continuare a camminare verso sud.

I prossimi giorni riveleranno ancora più orrori perché, come mi ha detto una donna alla scuola dellUNRWA, questa non è una guerra qualunque: racchiude in sé molti tipi di guerra che vengono condotti contro la popolazione di Gaza. Una delle forme di guerra più depravate e degradanti che Israele ha impiegato contro di loro è il viaggio verso sud e il passaggio attraverso il checkpoint di Salah al-Din, un presunto passaggio sicuro” che è, in realtà, una marcia della morte.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Un influente capo della sicurezza nazionale israeliana propone il genocidio a Gaza

Jonathan Ofir

 20 novembre 2023 – Mondoweiss

In un editoriale intitolato “Non lasciamoci intimorire dal mondo”, il generale israeliano in congedo Giora Eiland sostiene che ogni palestinese di Gaza è un bersaglio legittimo e che persino una “grave epidemia” a Gaza “avvicinerà la vittoria”.

Dal 7 ottobre non sono certo mancati gli appelli al genocidio da parte di dirigenti israeliani, né chiari progetti, anche a livello ministeriale, di pulizia etnica totale a Gaza. E mentre il ricorso a eufemismi biblici, come il riferimento ad “Amalek” [irriducibile nemico degli ebrei nella Bibbia, ndt.] da parte del primo ministro israeliano Netanyahu potrebbe sembrare ad alcuni troppo vago, anche se la vicenda suggerisce l’uccisione di neonati, domenica il generale di divisione in congedo Giora Eiland, ex-capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale e attuale consigliere del ministero della Difesa, ha deciso di parlare in modo più esplicito di genocidio.

In un articolo in ebraico sull’edizione cartacea del [giornale] di centro Yedioth Ahronoth intitolato “Non facciamoci intimorire dal mondo”, Eiland ha chiarito che tutta la popolazione civile di Gaza è un bersaglio legittimo e che persino “una grave epidemia nel sud della Striscia di Gaza avvicinerà la vittoria.” Le conclusioni non lasciano dubbi sulle sue opinioni:

Non sono solo i combattenti armati di Hamas ma anche tutti i funzionari ‘civili’, compresi gli impiegati degli ospedali e delle scuole, e anche tutta la popolazione di Gaza che hanno sostenuto entusiasticamente Hamas ed hanno acclamato le atrocità del 7 ottobre.”

Eiland si pronuncia contro le preoccupazioni umanitarie e ogni principio di distinzione:

Israele non sta combattendo un’organizzazione terroristica, ma lo Stato di Gaza.”

Di conseguenza per Eiland “Israele non deve fornire all’altra parte alcuna possibilità che ne prolunghi la vita.”

Eiland si fa beffe dell’idea delle “povere donne” come rappresentazione di civili non coinvolti:

Chi sono le ‘povere’ donne di Gaza? Sono tutte madri, sorelle o mogli degli assassini di Hamas.”

La definizione riprende quella dell’ex ministra della Giustizia di estrema destra Ayelet Shaked che, durante il massacro del 2014 [operazione militare “Margine protettivo” contro Gaza, ndt.], affermò che il nemico di Israele era tutto il popolo palestinese:

Dietro ogni terrorista ci sono decine di uomini e donne, senza i quali non potrebbe impegnarsi nel terrorismo. Ora ciò include anche le madri dei martiri, che li mandano all’inferno con fiori e baci. Dovrebbero seguire i loro figli, niente sarebbe più giusto. Dovrebbero andarsene, come le dimore fisiche in cui hanno allevato i serpenti. Altrimenti là verranno cresciuti altri piccoli serpenti.”

Eiland si oppone ad arrendersi alla sensibilità americana. Egli sostiene che le pressioni umanitarie (cioè, bloccare ogni necessità fondamentale per la sopravvivenza) è un mezzo legittimo di guerra:

Il governo israeliano deve assumere una linea più dura con gli americani e avere almeno la capacità di dire quanto segue: finché tutti gli ostaggi non saranno tornati in Israele, non parlateci degli aspetti umanitari.”

Bisogna resistere anche al resto della comunità internazionale, con le sue preoccupazioni umanitarie. Persino la diffusione di una grave epidemia è un legittimo mezzo di guerra:

La comunità internazionale ci mette in guardia da un disastro umanitario a Gaza e da una grave epidemia. Non dobbiamo evitarlo, per quanto possa essere difficile. Dopotutto, una grave epidemia nel sud della Striscia di Gaza avvicinerà la vittoria e ridurrà le vittime tra i soldati dell’IDF [l’esercito israeliano, ndt.].”

Ma no, Eiland non è un sadico né un genocida, tutto ciò non è altro che un mezzo per raggiungere un presunto lieto fine:

E no, qui non si parla di una crudeltà fine a se stessa, dato che non sosteniamo la sofferenza dell’altra parte come fine, ma come mezzo.”

L’editoriale vergognosamente genocidario di Eiland è stato appoggiato dal ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che ha twittato l’articolo integrale e affermato di “essere d’accordo con ogni parola”. Smotrich è noto, tra le altre cose, per aver chiesto di “annientare Huwwara” [citttadina palestinese in cui c’è stato un pogrom antipalestinese ad opera di coloni, ndt.] in Cisgiordania, quindi non dovrebbe sorprendere che ora appoggi l’appello di Eiland a fare lo stesso a Gaza.

Un campo di concentramento

Eiland ha una lunga storia nel manifestare in modo sorprendentemente esplicito le sue opinioni sulle condizioni della Striscia di Gaza. Nel 2004, quando era capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale vedeva la Striscia di Gaza come “un grande campo di concentramento” mentre faceva pressione sugli USA perché espellessero i palestinesi nel deserto del Sinai come parte di una “soluzione a due Stati”.

Secondo il cablogramma di un diplomatico statunitense fatto filtrare a Wikileaks:

Ripetendo un’opinione personale che aveva in precedenza esposto a un altro funzionario del governo americano in visita, il direttore del CSN Eiland ha prospettato all’ambasciatore [USA in Israele, ndt.] Djerejian una soluzione finale diversa da quella comunemente concepita come con due Stati. La visione di Eiland, ha detto, è introdotta dall’immaginare l’assunto secondo cui la demografia e altre considerazioni rendono impraticabile la prospettiva della soluzione a due Stati tra il Giordano e il Mediterraneo. Attualmente, ha detto, ci sono 11 milioni di persone in Israele, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, e questo numero arriverà in cinquant’anni a 36 milioni. L’area tra Beer Sheva e la punta settentrionale di Israele (compresa la Cisgiordania e Gaza) ha la maggior densità di popolazione al mondo. Gaza da sola, ha detto, è già un ‘grande campo di concentramento’ con 1.3 milioni di palestinesi. Oltretutto la terra è circondata su tre lati da deserti. I palestinesi hanno bisogno di più terra e Israele non può permettersi di cederla. La soluzione, ha affermato, si trova nel deserto del Sinai.”

È interessante vedere Eiland ammettere una simile situazione persino prima del “disimpegno” da Gaza del 2005, prima della vittoria elettorale di Hamas nel 2006 e dell’assedio genocida dal 2007, che è stato superato per gravità solo a partire dal 7 ottobre. A questo punto, vedere Gaza come un campo di concentramento sembra forse un termine troppo debole – è diventato un campo di sterminio.

Ecco la traduzione completa dell’articolo di Eiland:

Non lasciamoci intimorire dal mondo

Giora Eiland, Yedioth Ahronoth, 19 novembre 2023

Direttamente verso il crollo di Hamas

La discussione relativa all’ottemperanza da parte di Israele delle richieste internazionali per consentire l’ingresso di carburante a Gaza riflette il conflitto fondamentale tra Israele e gli USA riguardo la narrazione corretta.

Secondo quella americana a Gaza ci sono due gruppi di persone. Uno sarebbe costituito dai combattenti di Hamas, che sono terroristi brutali e devono di conseguenza morire. La grande maggioranza delle persone a Gaza fa parte di un secondo gruppo, civili innocenti che soffrono senza avere colpe. Di conseguenza Israele non solo deve evitare il più possibile di colpirle, ma anche agire per migliorarne la vita.

L’altra, e più corretta narrazione è la seguente: Israele non sta combattendo contro un’organizzazione terroristica, ma contro lo Stato di Gaza. Lo Stato di Gaza è in effetti sotto la guida di Hamas e questa organizzazione è riuscita a mobilitare tutte le risorse del suo Stato, l’appoggio della maggioranza dei suoi cittadini e l’assoluta lealtà della sua amministrazione civile attorno alla dirigenza di Sinwar [capo di Hamas a Gaza, ndt.] appoggiando pienamente la sua ideologia. In questo senso Gaza è molto simile alla Germania nazista, dove avvenne un processo simile. Dato che questa è la descrizione corretta della situazione, lo è anche il fatto di condurre la guerra di conseguenza.

Una guerra tra Stati non si vince solo sul piano militare, ma anche con la capacità di una parte di spezzare il regime dell’avversario ed è della massima importanza la sua capacità dal punto di vista economico e in primo luogo quella di fornire energia. Il collasso della Germania all’inizio del 1945 fu dovuto principalmente alla perdita dei campi di petrolio in Romania, e una volta che la Germania non ebbe abbastanza carburante per i suoi aerei e carri armati la guerra venne vinta.

Quindi Israele non deve fornire all’altra parte alcuna possibilità che ne prolunghi la vita. Oltretutto ci diciamo che Sinwar è talmente malvagio che non gli importa se tutti gli abitanti di Gaza muoiono. Una simile rappresentazione non è corretta, perché chi sono le ‘povere’ donne di Gaza? Sono tutte madri, sorelle o mogli di assassini di Hamas. Per un verso sono parte dell’infrastruttura che appoggia l’organizzazione e dall’altro, se essi fanno l’esperienza di un disastro umanitario, allora si può supporre che alcuni dei combattenti di Hamas e i comandanti più giovani inizino a comprendere che la guerra è inutile e che è meglio impedire danni irreversibili alle proprie famiglie.

Il modo per vincere la guerra più in fretta e a un costo minore per noi richiede un collasso del regime dell’avversario e non la semplice uccisione di più combattenti di Hamas. La comunità internazionale ci avverte del disastro umanitario a Gaza e di una grave epidemia. Non dobbiamo evitarlo, per quanto possa essere difficile. Dopotutto, una grave epidemia nel sud della Striscia di Gaza avvicinerà la vittoria e ridurrà le vittime tra i soldati dell’IDF. E no, qui non si parla di una crudeltà fine a se stessa, dato che non sosteniamo la sofferenza dell’altra parte come fine, ma come mezzo.

All’altra parte è concessa la possibilità di porre fine alle sofferenze se si arrende. Sinwar non si arrenderà, ma non c’è ragione per cui i comandanti della milizia di Hamas nel sud della Striscia di Gaza non si arrendano dato che non hanno né carburante né acqua, e quando l’epidemia colpirà anche loro e il pericolo per le vite delle loro donne aumenterà. Il governo israeliano deve assumere una linea più dura con gli americani e avere almeno la possibilità di dire quanto segue: finché tutti gli ostaggi non saranno tornati in Israele, non parlateci degli aspetti umanitari.

E sì, crediamo che anche la pressione umanitaria sia un mezzo legittimo per aumentare la possibilità di salvare gli ostaggi. Ma non dobbiamo, assolutamente, adottare la narrazione americana che ci “permette” di combattere solo contro i miliziani di Hamas invece di fare la cosa giusta: combattere contro l’intero regime nemico, perché è esattamente il crollo dei civili che avvicinerà la fine della guerra. Quando importanti personalità israeliane dicono ai media “Si tratta di noi o di loro”, dovremmo chiarire la questione di chi sono “loro”. “Loro” non sono solo i combattenti di Hamas con le armi, ma anche tutti i funzionari “civili”, compresi gli impiegati degli ospedali e delle scuole, e anche tutta la popolazione di Gaza che ha sostenuto entusiasticamente Hamas ed ha acclamato le atrocità del 7 ottobre.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Studenti dell’Università di Haifa finiscono davanti a un tribunale israeliano per i loro post sui social media

Yoav Haifawi  

16 novembre 2023Mondoweiss

Questa settimana cinque studenti dell’Università di Haifa sono stati fermati per i loro post sui social media relativi al 7 ottobre. Yoav Haifawi era presente alla loro udienza per vedere come sarebbe stata difesa la “sicurezza di Stato”.

I casi più tragici nell’ultima ondata di arresti politici tra i palestinesi nella Palestina del ’48 [cioè in Israele, ndt.] raccontano tutti una storia quasi identica. Si sono svegliati presto sabato mattina, il 7 ottobre, e hanno trovato nei feed sui loro social media alcune immagini innocenti di civili palestinesi che valicavano gli odiati muri lungo la Striscia di Gaza o gioiose immagini di festeggiamenti su veicoli militari israeliani abbandonati. Senza la minima idea di cosa sarebbe successo in seguito, hanno condiviso queste immagini su Facebook o Instagram. La didascalia più comune che accompagnava queste immagini era, con alcune variazioni, “Buongiorno!”. Poi, quando hanno sentito i notiziari e si sono resi conto del sanguinoso conflitto che stava per iniziare, si sono affrettati a rimuovere questi post.

La seconda caratteristica comune che questi sfortunati prigionieri condividono è di aver avuto amici sionisti che seguivano i loro social media, che hanno fatto degli screenshot dei post e li hanno denunciati alle autorità.

Centinaia di queste persone sono quindi cadute vittima del sistema “giudiziario” israeliano furiosamente vendicativo e sono state successivamente arrestate, più di un mese dopo a decine sono ancor detenute in dure condizioni nelle prigioni di “sicurezza” in Israele. Io ho preso visione dei loro capi d’accusa che descrivono in dettaglio tutte le atrocità che Israele attribuisce ad Hamas, con alcune esagerazioni che non appaiono neppure nella propaganda ufficiale israeliana. Ma poi arriva il colmo: postando questa o quella immagine sulla loro pagina sui social media gli accusati/le accusate hanno appoggiato queste organizzazioni terroristiche, lodato questi atti terroristici e incoraggiato altre persone a commettere attività terroristiche. Secondo l’accusa in considerazione dei terribili tempi presenti gli imputati costituiscono un concreto pericolo alla sicurezza di Stato e non dovrebbero essere rilasciati su cauzione.

Naturalmente, dopo la prima ondata di arresti causati dai post sui social media, le cose hanno cominciato a calmarsi. La nostra illusione di vivere in un Paese democratico con la libertà di parola è rapidamente evaporata. Molti hanno smesso di postare o hanno chiuso del tutto i loro profili. 

L’Università di Haifa provoca l’arresto di studenti arabi

Questa settimana abbiamo assistito a un’altra ondata di arresti per i post sui social relativi al 7 ottobre. Come avevo precedentemente riferito, organizzazioni di studenti sionisti hanno organizzato campagne per monitorare gli studenti arabi sui social media e denunciarli all’amministrazione dell’università. Sabato e lunedì di questa settimana, circa una settimana dopo che l’Università di Haifa ha finito di tenere audizioni disciplinari, la polizia ha incarcerato 5 dei suoi studenti.

Dopo la detenzione degli studenti, Yousef Taha, il direttore dell’Organismo Congiunto del Blocco degli Studenti Arabi nelle università e college (nella Palestina del ‘48), ha riferito al sito web di informazioni “Arabs 48“: 

Quello che è successo con gli studenti dell’’Università di Haifa è veramente strano, visto che settimane fa gli studenti sono stati convocati dalle commissioni disciplinari che hanno imposto loro sanzioni. Ma l’università non si è accontentata. Ha quindi inoltrato alla polizia le foto di quanto pubblicato dagli studenti, comportandosi come un ‘informatore’ che denuncia i propri studenti alla polizia. A sua volta la polizia li ha arrestati. Durante le sessioni del tribunale che si sono tenute quando è stato esteso il periodo di detenzione degli studenti, i poliziotti hanno ammesso il ruolo dell’università.”

Taha aggiunge: “Quello che l’Università di Haifa sta facendo verso gli studenti arabi è assolutamente inaccettabile, specialmente perché un’ampia percentuale dei suoi studenti proviene dalla comunità araba. Un’università non deve giocare il ruolo di informatore e causare l’incarcerazione dei propri studenti, ma dovrebbe proteggerli.”

Per quanto riguarda il numero degli studenti che sono stati perseguitati per i loro post, Taha afferma che “i casi che ci sono arrivati e di cui ci siamo occupati sono oltre 130, studenti e studentesse che hanno ricevuto convocazioni alle commissioni disciplinari o che sono stati sottoposti/e ad altre misure. Dato che alcuni studenti non ci hanno contattato ma hanno consultato avvocati privati, stimiamo che il numero totale sia oltre i 160 studenti dall’inizio della guerra.”

Dopo la loro incarcerazione i cinque studenti sono stati condotti al tribunale di Acri per la custodia cautelare. Oggi, giovedì 16 novembre, i cinque studenti e altri due detenuti per [post su] Facebook sono stati convocati per la loro seconda udienza di custodia. Ho accompagnato all’udienza la legale della difesa Afnan Khalifa.

Occupazione fai da te

Akka (il nome arabo, in Occidente conosciuta come “San Giovanni d’Acri”) è un’antica città con una storia di oltre 5 mila anni. È situata a circa 20 chilometri a nord di Haifa, sull’altra sponda dell’omonima baia. La “Nuova Haifa” è stata fondata nel 1761 da Daher al-Omar, il governatore palestinese che si era ribellato contro l’Impero Ottomano, la cui capitale era Acri. Egli iniziò la costruzione delle massicce mura, che poi permisero ai difensori locali di sconfiggere l’invasione dell’armata napoleonica. Da allora Haifa ha rubato ad Acri il ruolo di centro amministrativo ed economico della Palestina settentrionale, e Acri è diventata la sorella povera di Haifa. Nel 1948 ciò ha fatto la sua fortuna, poiché qui la pulizia etnica della popolazione arabo palestinese è stata meno vasta. Dei 50.000 abitanti di Acri circa un terzo sono arabi, ma nei dintorni dell’hinterland della Galilea c’è una chiara maggioranza araba.

Il tribunale di Acri rispecchia la composizione demografica locale. NelI’aula del giudice Ziad Salih, che ha tenuto le udienze per la custodia cautelare, erano quasi tutti arabi: la pubblica accusa, i detenuti, le loro famiglie e i loro avvocati, le guardie del tribunale. Per quanto ho potuto vedere, solo la dattilografa che ha battuto a macchina il verbale non era di madrelingua araba. Questa composizione in un tribunale israeliano che gestisce la “sicurezza di Stato” è uno spettacolo strano a vedersi. Tutti gli attori ufficiali recitano in ebraico i testi previsti da mettere a verbale. Quando vogliono veramente parlare uno con l’altro passano all’arabo e il loro tono diventa più umano e amichevole.

Sembrava che il giudice Salih non fosse a suo agio nel suo ruolo e fosse rattristato dal destino degli studenti (la maggior parte studentesse) che spediva a passare altro tempo in dure condizioni in carcere, nonostante le scarse prove contro di loro. Ma era impossibilitato a rifiutare la consuetudine dominante nel Paese secondo cui tutte le dichiarazioni di solidarietà a favore dei palestinesi sono estremamente pericolose. Mi sono chiesto quanto sarebbe importato a coloro che venivano rimandati in custodia se il giudice li avesse allegramente umiliati come fanno alcuni giudici ebrei, o compianto il loro destino.

A coronare questa strana esperienza di occupazione fai da te, mentre stavo aspettando che cominciasse l’udienza ho avuto uno strano incontro. Un ufficiale di polizia in uniforme mi si è avvicinato, cercando di concentrarsi mentre mi fissava e mi ha chiesto: “Dove l’ho già vista prima?” 

Dato che alcuni fascisti locali hanno pubblicato la mia foto su internet in seguito alla mia ultima incarcerazione, ho sviluppato un’estrema attenzione verso gli sconosciuti che sembrano riconoscermi. Ma lui ha continuato: “Lei è dell’Abna al-Balad, vero?” riferendosi al movimento palestinese di sinistra a cui appartengo. 

Lei chi è e perché mi sta facendo queste domande?” ho replicato. 

Mi ricordo di lei e apprezzo molto le sue posizioni,” ha risposto. “Anch’io ero nell’Abna al-Balad quando ero studente e prima di indossare questa uniforme.”

Tutti in custodia cautelare, eccetto una

Delle sette udienze a cui ho assistito oggi ad Acri, tutte erano relative a singoli post sui social media della mattina del 7 ottobre, in seguito volontariamente rimossi. Per sei dei sette detenuti è stata confermata la custodia cautelare, salvo una studentessa che la polizia ha deciso di mandare agli arresti domiciliari. Non era chiara la differenza, visto che aveva condiviso la stessa immagine degli altri studenti, ma ha offerto un momento di allegria per tutti noi e le lacrime di angoscia sono state temporaneamente sostituite da lacrime di gioia.

I detenuti sono apparsi in video su Skype, che oggi funzionava. La maggior parte erano studentesse e assistevano all’udienza dal carcere di Damon, dove sono detenuti molti prigionieri politici palestinesi.

Quando è apparsa in video la studentessa che stava per essere rilasciata, il giudice ha lasciato l’aula. L’avvocata Khalifa ha colto l’opportunità di chiederle delle sue condizioni in carcere. La studentessa ha detto di essere stata picchiata in prigione da due guardie, ma di non saperne i nomi. Quando le ha chiesto se avesse visto altre prigioniere picchiate, lei ha spiegato che le guardie portano le prigioniere nelle docce e lì le picchiano, così gli altri sentono i rumori ma non vedono le percosse. Poi Khalifa ha chiesto se c’erano state anche minacce. La studentessa ha detto di sì. Khalifa ha chiesto se era stata minacciata di stupro (ieri abbiamo sentito un’altra prigioniera che lo denunciava) – e lei ha detto di no. Quali minacce erano state fatte contro di lei? Ha replicato che le avevano detto (non sono sicuro se durante gli interrogatori o le guardie carcerarie) che sapevano il suo indirizzo e che anche se fosse stata rilasciata dal tribunale sarebbero andati a casa sua per vendicarsi.

È solo l’esempio più recente di come nell’Israele di oggi il confine fra “forze dell’ordine” e gang di fascisti sia labile e tutto diventi un continuum repressivo.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Il prestigioso festival del documentario di Amsterdam deve affrontare boicottaggi e proteste a seguito delle dichiarazioni anti-palestinesi

Niloufar Nematollahi

16 novembre 2023 – Mondoweiss

Oltre 20 registi si sono ritirati dallInternational Documentary Film Festival di Amsterdam in seguito alla condanna del discorso sulla liberazione della Palestina e al rifiuto di prendere posizione contro lattacco genocida di Israele contro Gaza. 

I registi stanno adottando delle iniziative contro lInternational Documentary Film Festival di Amsterdam (IDFA) in seguito alla ingannevoli dichiarazioni nel corso della presentazione del festival, allattacco allo slogan From the River to the Sea Palestine Will be Free” [Dal fiume al mare la Palestina sarà libera, ndt.] e al rifiuto di solidarizzare con i palestinesi di fronte allattacco genocida di Israele contro Gaza.

LIDFA, il più grande festival internazionale del documentario al mondo, ha una tradizione di valorizzazione dei registi palestinesi. Ma le ultime dichiarazioni ed eventi del festival sono stati visti come un doloroso tradimento.

Come ha spiegato il regista di Gaza Mohammed Almughanni

durante uno dei suoi discorsi allIDFA: Se mi riconoscete come regista che mette sulla scena il dolore dei palestinesi ma non riconoscete che i palestinesi debbano avere una vita dignitosa la vostra attenzione per i miei film non significa nulla per me. “I film non significano nulla per me se non avete a cuore una Palestina libera per i personaggi dei miei film”. In un altro discorso Almughanni ha reagito allattacco dellIDFA contro lo slogan From the River to the Sea Palestine Will be Free” dicendo: Se non volete che cantiamo per la libertà dal fiume al mare, allora da dove a dove? Da questo muro di ferro a quell’altro? Da questo filo spinato al successivo?”

Finora 21 registi hanno ritirato i loro film, e gli interventi di solidarietà con la Palestina continuano a dominare il festival.

Dichiarazioni dell’IDFA

Il 10 novembre l’IDFA ha rilasciato una dichiarazione in cui si scusava per l’esposizione di uno striscione con lo slogan From the River to the Sea Palestine Will be Free” durante un evento organizzato in occasione dell’apertura del festival dall’organizzazione attivista Lavoratori per la Palestina (WFP), con sede nei Paesi Bassi. Nella dichiarazione lIDFA manifestava gratitudine verso coloro che avevano espresso il dolore provatoa cospetto dello slogan e dellazione di protesta contro il silenzio iniziale del festival sul genocidio a Gaza. Nella dichiarazione viene citato il direttore artistico del festival Orwa Nyrabia, che definisce lo slogan offensivoe afferma che non rappresenta lIDFA e non ha avuto ne avrà la sua approvazione”.

All’inizio della giornata era stata resa nota una petizione a nome della comunità cinematografica e documentaristica israeliana che criticava gli applausi calorosiverso i manifestanti da parte di Nyrabia l8 novembre, serata di apertura del festival. Anche se, secondo la legge olandese, lo sloganFrom the River to the Sea Palestine Will be Free” non è considerato antisemita rientrando nelle libertà di espressione, la petizione fonde lidea di liberazione palestinese con lantisemitismo, sostenendo che permettere e applaudire una dichiarazione significativa come Dal fiume al mare la Palestina sarà liberasarebbe un appello a favore dello sradicamento di Israele, della patria ebraica e degli ebrei in generale”.

In seguito alla dichiarazione dellIDFA del 10 novembre i registi hanno iniziato a ritirare i loro documentari dal festival e a rilasciare dichiarazioni con la richiesta di un cessate il fuoco, condividendo il vero significato dello slogan criminalizzato ed esprimendo il loro sostegno allazione di protesta condotta la sera dellinaugurazione del festival. Anche i moderatori, gli artisti, i membri della giuria e lo staff del festival hanno presto iniziato a dimettersi e a criticare lapproccio del festival nei confronti del genocidio in Palestina e il modo in cui le voci dei manifestanti sono state messe a tacere. In una lettera condivisa con Mondoweiss, scritta da un gruppo di dipendenti del festival e rivolta ai direttori dell’IDFA, viene criticato l’uso da parte dell’IDFA nella sua dichiarazione del pronome “noi”, che sembrerebbe voler esprimere “la posizione dell’organizzazione nel suo insieme, mentre molti membri dello staff del festival sono solidali con la Palestina e non riconoscono le proprie convinzioni riflesse nelle dichiarazioni dell’IDFA.

La regista palestinese Basma al-Sharif è stata una delle prime a ritirare il suo film e la sua partecipazione come membro della giuria dell’IDFA, criticando il festival per aver condannato lo slogan invece di “denunciare il genocidio che sta avendo luogo proprio adesso a Gaza”.

“Dal fiume al mare è la terra della Palestina storica che si estende dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo”, ha condiviso in una dichiarazione collettiva scritta da un gruppo di registi dell’IDFA allarmati dalla risposta del festival al suddetto slogan. Dal fiume al mare i palestinesi sono soggetti alle condizioni delloccupazione e dellapartheid. Dal fiume al mare I palestinesi dovrebbero unirsi nella lotta per la libertà, la giustizia e l’autodeterminazione. Dal fiume al mare vogliamo che palestinesi ed ebrei, lavoratori stranieri e rifugiati, siano uguali e liberi, aggiunge questo gruppo di documentaristi.

Maryam Tafakory, unaltra regista che si è ritirata dal festival, ha rilasciato in seguito una dichiarazione, affermando di sentirsi tradita e indignata dalla dannosa calunniacontro lo slogan da parte dellIDFA e dallenfasi della sua dichiarazione sul sogno universale di un mondo pacifico”. Per pace intendono solo il ritorno alloccupazione, al furto silenzioso della terra e allomicidioha scritto. Non esiste una via di mezzo in uno Stato di apartheid. Non c’è via di mezzo quando una parte ammette la pulizia etnica dellaltra, ha aggiunto.

Tafakory ha anche preso di mira una seconda dichiarazione rilasciata dall’IDFA il 10 novembre, poche ore dopo la prima che condannava la dichiarazione sulla libertà della Palestina. Nella seconda dichiarazione lIDFA ha chiesto un cessate il fuoco immediato, ma molti registi filo-palestinesi e palestinesi hanno ritenuto che il tono di scusa della seconda dichiarazione non riuscisse a esprimere una solidarietà con la lotta palestinese per la liberazione. La velleità dellIDFA di presentare dei film di palestinesi rifiutandosi di fare una chiara dichiarazione di solidarietà con loro è una forma di sfruttamento commerciale della lotta palestinese e una manifestazione di un modello che non è esclusivo dellIDFA ma una pratica endemica delle istituzioni artistiche occidentali che sfruttano lotte di emancipazione e popoli espropriandoli del loro pieno significato a scopo di profitto.

Protesta contro il silenzio del festival

Riflettendo sui discorsi, dichiarazioni e ritiri seguiti alla protesta durante la serata di apertura dell’IDFA, la produttrice e curatrice cinematografica Yara Yuri Safadi, che ha lavorato con il festival come moderatrice ma quest’anno ha deciso di dimettersi in seguito alla dichiarazione dell’IDFA, ha spiegato a Mondoweiss che nelle settimane precedenti il festival aveva aspettato che l’IDFA facesse un appello per un cessate il fuoco. Ma è arrivato il primo giorno del festival e l’IDFA ha mantenuto il silenzio.

Ho deciso comunque di andare alla serata inaugurale”, afferma Safadi, e ho aspettato che Orwa dicesse quelle poche parole: Gaza, Palestina, cessate il fuoco, liberazione”. Dal momento che il direttore artistico del festival non ha condiviso questi sentimenti durante il suo discorso di apertura Safadi, insieme ad altri manifestanti, ha tirato fuori due striscioni, uno con lo slogan From the River to the Sea, Palestine will be Free” e un altro con la scritta: Institutional silence is violence” [Il silenzio istituzionale è violenza, ndt.]. Safadi ha gridato cessate il fuoco adessomentre altri hanno portato uno degli striscioni sul palco, appendendo laltro alla balconata accanto a una bandiera palestinese e interrompendo il business as usual” dellevento. Safadi afferma che lappello dei manifestanti per un cessate il fuoco è stato accolto con fischi dal consiglio dellIDFA. Chi può fischiare contro una richiesta di cessate il fuoco? Chi può vietarmi di chiedere di fermare un genocidio?ha chiesto nel rievocare i fatti durante un discorso tenuto il 13 novembre.

Tuttavia durante l’azione gli altri partecipanti e lo staff dell’IDFA si sono alzati in piedi e hanno applaudito i manifestanti. Dopo aver diffuso il filmato di questo atto di protesta, Workers For Palestine, un gruppo di attivisti di recente costituzione che sostiene la liberazione della Palestina occupata allinterno delle istituzioni artistiche, sociali, accademiche e civiche dei Paesi Bassi, ha scritto: Sembra che lIDFA apprezzi i palestinesi solo quando servono come foglia di fico progressista per il loro istituto, contrapponendo allammissione al festival di opere di registi palestinesi il doloroso silenzio dell’IDFA su Gaza e il suo attacco alle voci filo-palestinesi di fronte al colonialismo di insediamento israeliano e al genocidio in corso.

Ritiro del Palestine Film Institute

Dopo una prima ondata di ritiri il numero di registi che rifiutano di presentare i propri film all’IDFA continua a crescere. Il 12 novembre, il Palestine Film Institute (PFI) ha pubblicato una petizione in cui annunciava la propria solidarietà ai manifestanti che avevano interrotto linaugurazione del festival e il suo ritiro dallIDFA. Il PFI, un istituto indipendente creato con lo scopo di sviluppare, promuovere e preservare il cinema palestinese, collabora con l’IDFA da sette anni, inclusa la creazione del Palestine Documentary Hub: un evento annuale di un giorno in cui i registi di documentari palestinesi presentano i loro progetti in corso per creare rapporti con lindustria cinematografica internazionale.

Il giorno prima del Documentary Hub di questanno, con tutto ciò che sta accadendo allIDFA, ci siamo chiesti: cosa significa presentare progetti sulla Palestina allIDFA oggi?Lo ha spiegato a Mondoweiss Mohanad Yaqubi, consulente e ideatore del programma pubblico del PFI. Alla fine il PFI ha deciso di procedere con le presentazioni da parte delle registe palestinesi Dalia Al-Kury, Elettra Bisogno e Noora Said come mezzo per rivendicare lo spazio del festival, rilasciando tuttavia la dichiarazione di ritiro dell’istituto da tutte le attività organizzate nello spazio di mercato all’IDFA. Hanno fatto le loro presentazioni, ed è stato sorprendente perché il loro contenuto mostra le profonde connessioni tra ciò che sta accadendo oggi e la narrazione palestinese, il film documentario palestinese, aggiunge Yaqubi.

Dopo il ritiro dal festival il PFI ha anche lanciato una petizione e ha invitato i registi a continuare ad agire in solidarietà con la Palestina. Il PFI ha esortato i registi a firmare la loro petizione, a ritirare i loro film dal festival e a criticare direttamente la risposta dellIDFA alle proteste filo-palestinesi o a utilizzare domande e risposte, discorsi e sezioni d’incontro per concentrarsi sulla Palestina. I registi che si sono ritirati dal festival hanno anche chiesto allIDFA di riconoscere la criminalizzazione dei contenuti delle voci e delle narrazioni palestinesi e di annunciare pubblicamente il motivo per cui le proiezioni sono state cancellate, cosa che il consiglio del festival si è fino ad ora rifiutato di fare.

Nonostante il tradizionale risalto concesso dallIDFA ai registi palestinesi Yaqubi afferma che oggi si sente tradito dal tardivo appello del festival per un cessate il fuoco e dalla sua incapacità di mostrare solidarietà ai registi palestinesi. I cineasti palestinesi hanno dovuto rivelare le loro emozioni, il che è un carico gravoso, davanti a persone e in spazi in cui confidavano per far capire allIDFA che si tratta di 75 anni di occupazione, ha detto a Mondoweiss. “Questo tradimento della fiducia è la parte più difficile.”

Il 13 novembre, il giorno dopo aver reso pubblico il proprio ritiro, il Palestine Film Institute ha annunciato una protesta davanti a una delle sedi principali del festival, il Teatro Internazionale di Amsterdam. Non possiamo continuare a fare affari come al solito, hanno scritto, invitando i registi e i membri del pubblico dellIDFA a unirsi alla loro richiesta per un cessate il fuoco immediato, la fine del genocidio e la fine delloccupazione della Palestina”.

La solidarietà continua

Più di 50 manifestanti si sono radunati davanti alla sede dell’IDFA, dove sono state lette le dichiarazioni di ritiro scritte dai registi e dagli artisti, come Tafakory e Geo Wyex. Come ha spiegato Safadi a Mondoweiss, voglio sottolineare che la maggior parte dei registi e dello staff IDFA che ci hanno sostenuto aderendo al ritiro o leggendo dichiarazioni prima e dopo le loro proiezioni e dedicando domande e risposte alla Palestina, provengono dal Sud del mondo, dal Sud Africa, Iran, o appartengono a popolazioni indigene e/o persone che si identificano come queer. Tutto il sostegno è arrivato da queste persone e dalle reti di solidarietà già esistenti che ci collegano”.

Le reti di solidarietà evidenziate da Safadi sono state verbalizzate anche in un discorso tenuto durante la protesta dal noto documentarista e membro del movimento di solidarietà con la Palestina in India, Anand Patwardhan. Dopo il suo discorso Patwardhan ha detto a Mondoweiss che, nonostante la scelta di alcuni registi di ritirarsi dall’IDFA, dovrebbe essere chiaro che diversi palestinesi e loro sostenitori come me hanno deciso di non ritirare i loro film ma di utilizzare la piattaforma IDFA per amplificare la nostra opposizione al massacro in corso a Gaza. Mi congratulo con coloro che si sono ritirati dal festival e hanno acceso un dibattito internazionale. Mi congratulo con coloro che sono rimasti per innescare il dibattito dall’interno. Mi congratulo con coloro che ci hanno concesso lo spazio per farlo. Come ha spiegato a Mondoweiss la regista palestinese Noora Said, Il PFI ha suggerito diverse azioni, non solo il ritiro. E molti registi e artisti hanno reagito scegliendo una delle diverse azioni suggerite. A volte potrebbe essere più utile per i palestinesi e i loro sostenitori protestare in modi diversi dal ritiro”.

Uno dei gruppi che hanno espresso la loro solidarietà è stato il Queer Choir Amsterdam, che durante uno degli eventi dellIDFA ha scanditoFrom the River to the Sea, Palestine will be Free”. Questo gruppo ha anche rilasciato una dichiarazione in cui sostiene che lIDFA trae costantemente profitto dalla programmazione di film sulloppressione, la violenza e la decolonizzazione, ma non ha ancora avuto il coraggio di riconoscere e denunciare un genocidio in corso”.

Solidarietà alla causa palestinese è stata espressa anche durante il raduno organizzato dal PFI il 13 novembre dopo la manifestazione. Il suono dei manifestanti che gridavano “cessate il fuoco adesso” ha riempito i corridoi del Teatro Internazionale di Amsterdam mentre si dirigevano verso l’evento di solidarietà, tenutosi in uno degli spazi all’interno dell’edificio. Durante questo evento registi come Rehad Desai, Sky Hopinka e Niles Atallah hanno espresso solidarietà alla lotta palestinese per la liberazione.

Come ha spiegato Desai a Mondoweiss, Sky, un regista nativo americano, e io, un regista sudafricano, abbiamo discusso su ciò a cui stiamo assistendo in Palestina, ovvero una riproduzione della storia coloniale, del palese sterminio dei nostri rispettivi popoli e della violenza di uno Stato illegittimo che viene equiparato a coloro che reagiscono o rispondono”.

Inoltre, in questo evento di solidarietà anche i registi palestinesi Mohammed Almughanni, Dalia Al-Kury, Mohammad Jabaly e Noora Said sono saliti sul palco per parlare delle loro esperienze come documentaristi in Palestina e dei loro sentimenti nei confronti dell’IDFA. Parlando della sua esperienza nella gestione della società di produzione video indipendente Sirdab Studio di Ramallah, dove vive, Noora Said ha parlato di come le sia vietato entrare a Gaza e di come la regista e giornalista di Gaza Roshdi Sarraj che gestiva la società sorella di Sirdab Studio, Ain Media, sia stata recentemente uccisa il 22 ottobre dagli attacchi aerei israeliani.

Durante un discorso sui suoi sentimenti nei confronti dellIDFA Al-Kury si è rivolta alle persone che stanno pagando per queste creazioni fantastiche, dicendo: Voi finanziate i nostri documentari, ma dubito che li guardiate davvero. Vi consiglio di guardare i nostri film perché se lo faceste, conoscereste la situazione della Palestina”. Lincontro si è concluso con le parole di Mohanad Yaqubi, che ha affermato: Qui facciamo documentari, non affari. E che senso hanno i documentari se non cambiano il mondo?

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Le azioni efferate di Israele in nome degli ebrei li rendono insicuri

A lungo intellettuali ebrei hanno messo in guardia che la dipendenza di Israele dall’appoggio politico degli ebrei dell’Occidente per garantirsi l’impunità per le violazioni dei diritti umani potrebbero contribuire all’antisemitismo negli Stati Uniti.

Philip Weiss 

10 novembre 2023 – Mondoweiss

La scorsa settimana il direttore dell’FBI ha affermato che le ostilità in Medio Oriente potrebbero estendersi agli Stati Uniti con attacchi contro musulmani ed ebrei, e la senatrice del Nevada Jacky Rosen, che ha subito minacce di morte di natura antisemita, ha detto: “Sto provando quello che provano gli ebrei in ogni parte del mondo, sotto attacco e minacciati.”

Anche se dovremmo essere scettici riguardo alle organizzazioni e agli individui filoisraeliani che confondono manifestazioni di antisemitismo con l’antisionismo, riconosco che il direttore dell’FBI ha ragione e che alcuni di questi episodi sono effettivamente antisemiti.

Il professore della Columbia [University] Rashid Khalidi [di origine palestinese, ndt.] “ha prontamente riconosciuto l’esistenza di un’ondata di recenti episodi di antisemitismo nei campus universitari,” ha scritto Michelle Goldberg sul Times. In un caso uno studente della Cornell [importante università statunitense, ndt.] è stato accusato di aver minacciato di attaccare una mensa kosher [cioè che offre cibi che rispettano le norme alimentari ebraiche, ndt.]. E vedo in rete e altrove molti ebrei che manifestano timore e vulnerabilità, e non metterei mai in dubbio tali affermazioni.

È tuttavia necessario affermare una questione, come ho già fatto molte volte in precedenza: a lungo intellettuali ebrei hanno avvertito che la dipendenza di Israele dall’appoggio politico degli ebrei statunitensi per garantirsi l’impunità per le violazioni dei diritti umani che molti nel mondo condannano – pulizia etnica, massacri e ora azioni genocide a Gaza – rappresentano un pericolo per quelle comunità. Quando le organizzazioni ebraiche statunitensi esibiscono un sostegno incondizionato a tali azioni e inoltre insistono sul fatto che essere ebrei significa appoggiare Israele in quanto “Stato ebraico” mentre uccide civili, questa dichiarazione di unanimità è di fatto pericolosa per gli ebrei.

E quindi rischia di fomentare l’antisemitismo, quando i leader ebraici come Ted Deutch, dell’American Jewish Committee [Commissione Ebraica Americana, storica organizzazione ebraica, ndt.] pubblica una lunga difesa delle azioni di Israele a Gaza in cui cita ripetutamente l’attacco di Hamas del 7 ottobre e non fa alcun cenno ai morti palestinesi. È così, non menziona neppure quelli che allora erano 9.000 morti, più di 3.000 dei quali minorenni. Tale indifferenza da parte di un leader ebraico ufficiale di fronte ai massacri da parte dello “Stato ebraico” provocherà risentimento verso gli ebrei.

“L’uccisione di migliaia di palestinesi a Gaza mette in pericolo gli ebrei sia in Israele che altrove,” ha scritto questa settimana lo studioso antisionista Yakov Rabkin. “Quando Israele afferma di essere lo Stato di tutti gli ebrei li trasforma in ostaggi delle sue azioni e politiche. Quando le organizzazioni della comunità ebraica dichiarano ‘Stiamo dalla parte di Israele!’ agiscono come rappresentanti di Israele invece che degli ebrei.”

All’inizio dell’anno ho citato vari intellettuali ebrei che hanno sostenuto posizioni simili. Ecco alcuni estratti di quelle affermazioni.

  • Ken Roth, ex-direttore di Human Right Watch, nel luglio 2021, dopo un massacro israeliano a Gaza:

“L’antisemitismo è sempre sbagliato e precede di molto la creazione di Israele, ma l’ondata di episodi antisemiti nel Regno Unito durante il recente conflitto a Gaza smentisce quanti sostengono che la condotta del governo israeliano non incide sull’antisemitismo.”

Roth ha spiegato che è vietato sostenere questo discorso perché suggerisce che il governo israeliano, che afferma di proteggere il popolo ebraico, stia in realtà danneggiando la sicurezza degli ebrei.

  • Nel 1944 Hannah Arendt, anticipando la creazione di Israele con l’appoggio degli ebrei americani, avvertì dei rischi di tale appoggio:

“Se nel prossimo futuro verrà costituita una Nazione ebraica, con o senza partizione [della Palestina], ciò sarà grazie all’influenza politica degli ebrei americani … Se la Nazione ebraica verrà proclamata contro la volontà degli arabi e senza l’appoggio dei popoli del Mediterraneo, per molto tempo saranno necessari non solo un aiuto finanziario, ma anche un sostegno politico. E ciò potrebbe rivelarsi veramente molto problematico per gli ebrei di questo Paese.”

  • Il sociologo di Harvard Nathan Glazer nel 1976 mise in guardia che gli americani sarebberopotuti diventare “ostili” agli ebrei americani per le loro pressioni a favore di Israele.

“Gli ebrei americani hanno potere solo perché i loro concittadini sono disponibili nei confronti del fatto che esercitano questo potere. Potrebbero diventarlo meno. Potrebbero anzi diventare ostili ad esso… Gli ebrei americani fanno spudoratamente pressione sul Congresso per misure a favore di Israele, e rendono politicamente scomodo essere contro Israele e persino prendere una posizione ‘imparziale’. Il personaggio politico che lo fa viene sottoposto a maggiori pressioni ed epiteti, alcuni dei quali decisamente ingiustificati. Ma, come ho detto, il potere deve essere visto nel contesto. Il contesto è che è stato consentito agli ebrei americani di fare quello che fanno.”

Il consiglio di Glazer era che la comunità ebraica statunitense dovesse fare pressione per la creazione di uno Stato palestinese, un consiglio che la comunità rifiutò.

  • Lo scrittore Eric Alterman ha avvertito ripetutamente che l’appoggio a Israele ha “svuotato” la vita ebraica negli USA. E ha affermato che ciò ha contribuito all’antisemitismo. Nel novembre 2022 ha detto ad Americans for Peace Now [organizzazione statunitense impegnata a favorire la soluzione del conflitto israelo-palestinese, ndt.]:

“Ad essere onesti, mentre è in corso un’impennata di antisemitismo negli Stati Uniti, di cui per inciso sono in gran parte responsabili persone adirate con Israele, non c’è davvero nessun problema ad essere ebreo in America come era una volta.”

  • Nel 2015, in un discorso a J Street [organizzazione statunitense moderatamente contraria all’occupazione della Cisgiordania, ndt.], l’ebreo britannico esperto di Medio Oriente Tony Klug affermò che la dipendenza di Israele dagli ebrei statunitensi per difendere l’indifendibile avrebbe contribuito a esiti “sinistri”, e a un’”ondata di antisemitismo”, rendendo forse “precaria” la vita degli ebrei.

“Se Israele non pone drasticamente fine all’occupazione e se la posizione delle organizzazioni ebraiche in altri Paesi sembra appoggiarla apertamente, ci sarà sicuramente  un’ondata di sentimenti antiebraici, scatenando potenzialmente impulsi più sinistri… Ovviamente non lo dico per giustificare tali tetri sviluppi futuri… Temo… che l’occupazione israeliana senza fine della terra e delle vite di un altro popolo non sia solo seriamente dannosa per Israele, per non parlare dell’aggravamento della disperazione dei palestinesi, ma che stia rendendo sempre più precaria anche la situazione degli ebrei in tutto il mondo.”

Questo problema è intrinseco nel sionismo. I suoi coloni ebrei erano dipendenti dal sostegno occidentale, soprattutto delle principali potenze (prima la Gran Bretagna e poi gli USA), e così le comunità ebraiche di quei Paesi vennero chiamate ad esercitare la loro influenza sui governi occidentali in appoggio a Israele. Di fatto nel 1900 molti ebrei inglesi si allontanarono da Herzl [il fondatore del sionismo politico, ndt.] perché si resero conto che l’appoggio a uno Stato ebraico stava minacciando la loro posizione in Gran Bretagna.

Una delle sorgenti storiche di antisionismo ebraico era la scelta di vivere in società diversificate, in cui i diritti di tutti venivano rispettati. Il sionismo ha corrotto questi principi. Ha fondato un’etnocrazia dipendente dall’influenza politica degli ebrei in Occidente.

Oggi ci sono molte buone ragioni per essere antisionisti. Ti preoccupi della vita dei palestinesi tanto quanto di quella degli altri. Ti opponi all’apartheid, alla pulizia etnica e al bombardamento di ospedali e campi di rifugiati. Ma un’altra ragione è che, quando la brutalità di Israele viene esibita al mondo come lo è oggi, il sionismo è un pericolo per gli ebrei in Occidente.

Sono preoccupato del futuro della vita degli ebrei. Non vedo come l’ebraismo che appoggia il genocidio possa sopravvivere spiritualmente. C’è bisogno di una crisi all’interno di quella comunità riguardo a quell’atteggiamento.

Oggi la “presa emotiva” del sionismo sulla comunità ebraica si sta spezzando, afferma Rabkin, in quanto in tutto il mondo giovani ebrei condannano il sionismo.

Oggi è più che mai importante che fiorisca l’antisionismo ebraico. Cosa ancor più importante, per il bene del popolo che viene massacrato da Israele una notte dopo l’altra, e anche per il bene della sicurezza degli ebrei qui.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




‘Israeliani Contro l’Apartheid’ chiede alla CPI di agire per proteggere i palestinesi dal genocidio

Israeliani Contro l’Apartheid

6 novembre 2023 – Mondoweiss

Noi, Israeliani Contro l’Apartheid, associazione di ebrei israeliani per la decolonizzazione, che rappresenta oltre 1.500 cittadini preoccupati, chiediamo alla CPI (Corte Penale Internazionale) di agire prontamente contro i crescenti crimini di guerra israeliani e il genocidio del popolo palestinese.

Nota dell’Editore: I membri dell’associazione Israeliani Contro l’Apartheid, che raggruppa 1500 persone, il 2 novembre 2023 hanno inviato la seguente lettera a Karim A.A. Khan, Procuratore della Corte Penale Internazionale, chiedendo un immediato intervento internazionale per fermare il massacro a Gaza.

2.11.2023

A Karim A.A. Khan, Procuratore della Corte Penale Internazionale,

Noi, ‘Israeliani Contro l’Apartheid’, associazione di ebrei israeliani per la decolonizzazione, che rappresenta oltre 1.500 cittadini preoccupati, chiediamo alla CPI (Corte Penale Internazionale) di agire prontamente contro i crescenti crimini di guerra israeliani e il genocidio del popolo palestinese. Per la sicurezza e il futuro della regione devono essere applicati tutti gli elementi del diritto internazionale e devono essere indagati i crimini di guerra. Apprezziamo la vostra profonda preoccupazione per le vite dei palestinesi, degli israeliani e di altri, e traiamo coraggio dalla vostra determinazione a svolgere un’indagine approfondita sulle perduranti violazioni del diritto internazionale.

Come attivisti israeliani anticolonialisti abbiamo unito le nostre voci a quelle dei palestinesi che da decenni mettono in guardia sulla pericolosa deriva perseguita dallo Stato israeliano e hanno ripetutamente chiesto l’intervento internazionale.

La persistente impunità ha creato le condizioni per il consolidamento del regime di apartheid israeliano, che intende perpetrare la pulizia etnica e il genocidio della popolazione indigena palestinese. Il grave deterioramento delle imprescindibili condizioni di vita a cui ora stiamo assistendo avrebbe potuto essere evitato se Israele non avesse costantemente goduto dell’impunità per i suoi continui crimini.

Siamo riconoscenti per le vostre dichiarazioni del 29 ottobre che hanno sottolineato che impedire gli aiuti umanitari a Gaza potrebbe costituire un crimine che ricade sotto la giurisdizione della CPI e che Israele deve fare “manifesti sforzi, senza ulteriore ritardo, per garantire che i civili ricevano essenziale cibo, acqua e farmaci”. La fornitura immediata di aiuti agli abitanti di Gaza è essenziale per impedire le atrocità della fame e della sete per cause umane tra la popolazione palestinese occupata.

Ad aprile 2018, in seguito alla sistematica uccisione di manifestanti disarmati durante la Grande Marcia del Ritorno, la sua predecessora, Fatou Bensouda, avvertì: “La violenza contro i civili in una situazione come quella di Gaza potrebbe configurare crimini ai sensi dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale.” Vi scongiuriamo di assumervi la vostra responsabilità di emettere mandati di arresto e di chiamare a rispondere coloro che commettono questi atti criminali.

L’attuale escalation, dopo l’attacco di Hamas a Israele e l’incursione di gruppi armati palestinesi il 7 ottobre 2023, in cui sono stati uccisi più di mille israeliani e presi in ostaggio più di 200, ha condotto ad un’ondata di violenza e a crimini di guerra compiuti dallo Stato di Israele. Riteniamo cruciale che i tempi dell’inchiesta siano pertanto accelerati. Apprezziamo la vostra dichiarazione che le istituzioni preposte a proteggere la popolazione civile debbano indagare questi possibili crimini e ci aspettiamo che voi agiate con la stessa rapidità messa in atto nel caso dell’Ucraina, per garantire che venga fatta giustizia e vengano salvate vite innocenti.

Siamo estremamente preoccupati dagli inviti istituzionali da parte di Israele al genocidio, che vengono espressi a gran voce in ebraico e crediamo che dovrebbero essere seriamente presi in considerazione in quanto sono in gioco migliaia, se non milioni, di vite umane. Il 29 ottobre 2023 Benjamin Netanyahu ha fatto una dichiarazione pubblica riferendosi al popolo palestinese come “Amalek” [nipote di Esaù, è stato secondo la Bibbia il primo nemico ad attaccare gli Israeliti, subito dopo che questi avevano attraversato il Mar Rosso. Ha finito per rappresentare il male assoluto, il Demonio, ndt.] e citando la Bibbia: “distruggere completamente tutto quanto Amalek possiede e non risparmiare nessuno; bensì uccidere sia uomini che donne e bambini…”

Il personale militare e i giornalisti israeliani ora si appellano apertamente alla pulizia etnica e al genocidio. E’ evidente che Israele disprezza le vite dei civili a Gaza, ordinando loro di evacuare vaste aree anche se a Gaza non esiste un luogo sicuro dove la gente possa fuggire. E non dovrebbero neanche essere costretti a lasciare le proprie case: al contrario, la Risoluzione 194 dell’ONU promette loro il diritto al ritorno alle originarie abitazioni in quello che ora è lo Stato di Israele.

Ci dispiace moltissimo che, nonostante l’avvio di un’inchiesta, seguita dalla decisione del 2021 della Prima Camera Preliminare, secondo cui la Corte può esercitare la sua giurisdizione penale sulla situazione in Palestina, voi finora non abbiate intrapreso azioni concrete per fermare la tragica parabola di eventi nella nostra regione, accertando rendendo Israele responsabile.

Organizzazioni palestinesi, internazionali ed israeliane hanno fatto più volte appello al vostro ufficio perché intraprendiate azioni contro le sistematiche violazioni del diritto internazionale, i continui crimini di guerra e l’immane disprezzo dei più basilari diritti umani del popolo palestinese.

I crimini di guerra israeliani sono sistematici e continui e stanno aumentando. Le chiare e ben documentate prove di essi sono state sottoposte al vostro ufficio per anni. Vi invitiamo pressantemente a intraprendere azioni concrete e immediate.

Considerando l’intensificarsi della violenza e con l’obiettivo di salvare quante più vite possibile, vi esortiamo di:

  1. Emettere immediati mandati di arresto contro i dirigenti israeliani politici e della sicurezza militare che stanno commettendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità;

  2. Accelerare la vostra inchiesta sui continui crimini perpetrati in questo momento dallo Stato di Israele, dalle sue forze militari e da cittadini israeliani armati sotto protezione dell’esercito; e

  3. Essere una tribuna valida ed equilibrata per presunti crimini che derivano dall’attuale situazione, piuttosto che fare riferimento ad accuse non convalidate e non verificate.

Allegato: Inviti al genocidio / Giustificazione del genocidio

Alcuni esempi di prove di dirigenti israeliani che invitano al genocidio:

  • Venerdì 13 ottobre il Presidente israeliano Isaac Herzog ha detto che tutti i cittadini di Gaza sono responsabili per gli attacchi che Hamas ha compiuto in Israele e che non ci sono civili innocenti a Gaza. Un elenco di simili inviti da parte di personaggi pubblici israeliani si può trovare qui.

  • Mercoledì 25 ottobre il sindaco di Sderot, ex deputato (n.3 del partito di Naftali Bennet) Alon Davidi ha detto: “Ogni abitante di Gaza è ISIS. Devono essere colpiti tutti…Non ho pietà per loro. Coloro che vivono là, due milioni di persone, sono nazisti. E’ una zona di nazisti e di ISIS che fornisce totale appoggio a Hamas e alla Jihad e, per quanto mi riguarda, ogni abitante di Gaza è di Hamas e dell’ISIS e dobbiamo ritenerli responsabili.” Davidi sottolinea che questo è il sentimento condiviso da tutti gli abitanti del sud (di Israele) con cui lui parla: “La gente vuole dirlo chiaramente: o noi o loro.” 

  • L’ex deputato Moshe Feiglin ha esortato alla completa distruzione di Gaza, come Hiroshima (senza armi nucleari)  

  • L’ex ambasciatore israeliano all’ONU Dan Gillerman ha definito i palestinesi “orribili animali disumani”

  • Un gruppo di esperti del governo israeliano ha recentemente delineato un piano per la completa pulizia etnica di Gaza.

Personaggi o organizzazioni pubbliche:

  • Eyal Golan, un popolare cantante israeliano, ha ribadito alla televisione israeliana la connotazione della popolazione di Gaza come “animali umani”, aggiungendo: “Dobbiamo cancellare Gaza e non lasciarvi nessuno vivo.”

  • Una propaganda distribuita sui social media da un movimento di destra dal titolo “Questa volta vinceremo – Eliminare Gaza” esplicita i suoi obbiettivi per la Striscia di Gaza: “Radere al suolo, Occupare, Colonizzare.”

Un opuscolo con “Codice Etico” fatto circolare ampiamente tra civili e soldati dalla “organizzazione per i diritti umani” di destra israeliana “Btsalmo” auspica il genocidio:

Codice etico per l’esercito di Israele”:

. Desidero offrire la mia anima per salvare il popolo ebraico.

. Il nemico deve essere eliminato piuttosto che neutralizzato.

. Una popolazione che appoggia il terrore è il nemico

. Un ordine di mettere a rischio le vite di civili o soldati allo scopo di

proteggere il nemico è manifestamente illegale.

. Lo sradicamento del male è un precetto morale ed è per il bene

dell’Umanità. Perseguiterò i miei nemici, li raggiungerò e non tornerò

prima della loro morte.

Firmato: Israeliani Contro l’Apartheid.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)