Cinque vittorie del BDS del 2022 che potreste esservi perse

Michael Arria  

22 dicembre 2022 – Mondoweiss

Il 2022 è stato un altro anno memorabile per la crescita del movimento BDS guidato dai palestinesi. Ecco alcune vittorie dell’anno appena trascorso che potreste esservi perse.

A ottobre l’inviato dell’ONU per il Medio Oriente ha annunciato che il 2022 è destinato a diventare l’anno più luttuoso per i palestinesi della Cisgiordania occupata da quando, nel 2005, l’organizzazione ha iniziato a registrare le vittime.

Non c’è da sorprendersi che questo tipo di violenza abbia suscitato un ulteriore appoggio per il BDS, il movimento non violento guidato dai palestinesi che intende fare pressione su Israele perché rispetti i suoi obblighi internazionali. Ecco alcuni eventi BDS del 2022 negli Stati Uniti che potreste esservi persi.

Oakland Roots lascia la Puma

Durante la Coppa del Mondo [di calcio] la Palestina è diventata una questione importante, in quanto tifosi e giocatori hanno manifestato la propria solidarietà con il Paese. Poco prima che il campionato iniziasse, in California gli attivisti hanno ottenuto una grande vittoria legata al calcio.

Gli Oakland Roots (che giocano nella USL Championship league [uno dei principali tornei calcistici degli USA, ndt.]) sono diventati la prima squadra sportiva degli USA a lasciare la Puma come sponsor. La squadra ha subito pressioni da parte dell’Arab Resource & Organizing Center [organizzazione che promuove i diritti degli arabi in California, ndt.] (AROC) insieme alle associazioni di sostegno La Brigada del Pueblo e Oakland Roots Radicals [gruppo di tifosi della squadra, ndt.].

La Puma è stata presa di mira dai sostenitori del BDS fin dal 2018, quando l’industria produttrice di abbigliamento sportivo ha firmato un accordo per sponsorizzare l’Israel Football Association [Federazione Calcistica Israeliana, ndt.] (IFA). Varie squadre con sede nelle colonie illegali della Cisgiordania fanno parte dell’IFA.

Puma è il principale sponsor dell’Israele Football Association, che include squadre delle colonie israeliane illegali,” hanno detto gli Oakland Roots Radicals a SFGATE [sito web di notizie con sede a San Francisco, California, ndt.]. “L’ingiustizia che il popolo palestinese subisce in quanto viene espulso dalle colonie illegali è in conflitto diretto con i valori della comunità di Oakland e con quelli sposati dai Roots, che ci rendono così orgogliosi di sostenerli. Chiediamo ai Roots di prendere posizione e opporsi all’ingiustizia interrompendo i rapporti con Puma finché non porrà fine al suo sostegno al regime israeliano di apartheid e occupazione militare.”

Come avviene in genere, il club ha affermato che si è trattato di una decisione puramente casuale che non ha niente a che fare con la politica, e siti filo-israeliani hanno accolto questa versione. Tuttavia i sostenitori del BDS l’hanno ovviamente vista come una vittoria.

Questa è una vittoria per il popolo palestinese, la gente di Oakland e della Bay Area [zona della baia di San Francisco, ndt.] e per tutte le persone che lottano per un mondo senza oppressione,” ha sostenuto in un comunicato Lara Kiswani di AROC. “AROC festeggia l’iniziativa senza precedenti presa dagli Oakland Roots. Questo è un esempio di ciò che si può ottenere quando istituzioni della comunità (attività economiche, squadre sportive, università) lavorano con, e prestano ascolto a, le voci della loro comunità chiedendo giustizia razziale e prendono iniziative concrete e tangibili per accoglierne le richieste.”

I Big Thief annullano i concerti a Tel Aviv

A giugno il complesso di rock indipendente Big Thief ha annullato due concerti che avrebbero dovuto tenersi in Israele. Dopo aver subito le reazioni negative riguardo alle date, all’inizio la band ha emesso un comunicato in cui difendeva la sua decisione di suonare a Tel Aviv.

Siamo ben consapevoli degli aspetti culturali del movimento BDS e della disperata situazione del popolo palestinese,” vi si legge. “Per quanto riguarda la nostra adesione al boicottaggio, non sosteniamo di sapere dove si collocano gli alti valori morali e vogliamo rimanere aperti alle prospettive di altre persone e all’amore al di là del dissenso. Comprendiamo la natura intrinsecamente politica di suonare là e le sue implicazioni. La nostra intenzione non è screditare i valori di quanti sostengono il boicottaggio o ignorare quanti soffrono. Cerchiamo di essere disponibili ad apprendere.”

Meno di una settimana dopo il gruppo ha cambiato totalmente la sua decisione. “Da quando abbiamo annunciato questi concerti in Israele abbiamo dialogato costantemente con amici, familiari, sostenitori del BDS, alleati, palestinesi e israeliani impegnati nella lotta per la giustizia per i palestinesi,” hanno spiegato nel loro nuovo comunicato. “È stata l’unica cosa che abbiamo avuto in mente e nei nostri cuori.”

Barby, il locale israeliano in cui il gruppo avrebbe dovuto suonare, ha denunciato i Big Thief come “un branco di miserabili musicisti smidollati” e ha definito il movimento BDS come un “boicottaggio da terrore nazista.” Tuttavia i musicisti non hanno fatto marcia indietro. “Salutiamo il coraggio dei Big Thief e la loro volontà di dare ascolto agli oppressi,” ha affermato la Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele (PACBI). “Riconosciamo anche la chiara posizione della maggioranza dei fan del gruppo in appoggio con saldi principi al BDS.”

L’Harvard Crimson sostiene il BDS

In aprile il comitato di redazione dell’Harvard Crimson (giornale studentesco dell’università di Harvard dal 1873) ha pubblicato un editoriale di adesione al movimento BDS e chiede libertà per la Palestina.

Come comitato di redazione siamo profondamente consapevoli del privilegio di cui godiamo per il fatto di disporre di una firma istituzionale e in pratica anonima,” vi si legge. “Persino in questo campus molti dei nostri coraggiosi coetanei che sostengono la liberazione della Palestina si possono trovare in liste nere che implicitamente e vergognosamente li mettono in relazione con il terrorismo.”

Questi due fattori — gli incredibili soprusi e la nostra possibilità privilegiata di parlare per loro e di affrontare un’ingiustificata ritorsione comparativamente minore — ci impone di prendere una posizione. In base all’opinione del nostro comitato, i palestinesi meritano dignità e libertà,” continua. “Appoggiamo il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni come mezzo per raggiungere questo obiettivo.”

In passato il nostro comitato è stato scettico riguardo al movimento (quando non, più in generale, dei suoi obiettivi) sostenendo che il BDS nel suo complesso ‘non comprende le sfumature e le particolarità del conflitto Israele-Palestina.’ Deploriamo e rigettiamo questa opinione. È un nostro imperativo categorico schierarci e aiutare i vulnerabili e gli oppressi. Non possiamo sminuire la violenta situazione dei palestinesi, né lasciare che il nostro desiderio di uno strumento perfetto e immaginario danneggi un movimento così promettente, vitale e ispirato.”

Come prevedibile l’editoriale ha scatenato una tempesta di critiche, e il corpo accademico ed ex-studenti hanno pubblicato comunicati in cui hanno manifestato la propria indignazione. Tuttavia molte persone legate all’università hanno accolto positivamente questa posizione.

L’ Harvard College Palestine Solidarity Committee [Comitato del College di Harvard in Solidarietà con la Palestina] (PSC) ha affermato che questo editoriale (e le reazioni che ha suscitato) dimostrano che l’attivismo del BDS sta avendo un impatto concreto.

L’opposizione istituzionale è estenuante e frustrante, ma come studenti attivisti siamo giunti alla conclusione che il nostro potere sta nel suscitare attenzione per la nostra causa tra i nostri coetanei,” afferma un articolo dell’associazione. “Piuttosto che pensare a come rispondere agli ex-studenti sionisti con nomi importanti e posizioni di potere, cerchiamo la nostra forza nel suscitare l’appoggio studentesco per la liberazione dei palestinesi. Cerchiamo di costruire solidarietà con altre cause di difesa sociale, spingendo gli studenti che si nascondono dietro alla ‘neutralità’ a impegnarsi su questioni delicate di oppressione e diseguaglianza e a portare il dibattito sulla giustizia nella nostra rete di amici, negli spazi culturali e nelle aule.

Il recente editoriale del Crimson dimostra che il nostro approccio sta funzionando. Studenti in genere non impegnati nel lavoro del PSC stanno cominciando ad ascoltare, e sono loro il pubblico che conta. Membri del corpo docente stanno intervenendo per esprimere il proprio appoggio. Rimaniamo saldi nel nostro appello per la liberazione dei palestinesi, ispirato per decenni da studenti che ci hanno preceduti, da membri del PSC e da attivisti che chiedevano il disinvestimento contro il regime dell’apartheid sudafricano. Questo è solo l’inizio e il nostro movimento non farà che crescere.”

Alcuni sondaggi mostrano che l’appoggio al BDS sta crescendo tra gli elettori democratici e i giovani

Negli ultimi anni un sondaggio dopo l’altro indica che l’appoggio nei confronti di Israele sta scemando tra gli elettori democratici e i giovani degli USA, mentre quello per i palestinesi continua ad aumentare.

Il 2022 non è stato diverso. In agosto una ricerca sugli elettori democratici condotta da Brookings e dall’università del Maryland ha mostrato che la stragrande maggioranza degli elettori democratici che hanno sentito parlare del movimento BDS lo appoggia, con una differenza di 33 a 10.

In maggio un sondaggio degli stessi istituti di ricerca ha mostrato che una larga maggioranza di elettori democratici pensa che Biden e il Congresso non li rappresentino nei rapporti con Israele. Tra i democratici informati riguardo alla posizione della Casa Bianca sulla questione, il 26% afferma che la Casa Bianca si è collocata più vicino a Israele di loro, mentre solo il 3% ha sostenuto che si è schierata più a favore della Palestina di quanto avrebbero voluto loro. I numeri sono ancora più clamorosi riguardo al Congresso. Tra i democratici che hanno un’opinione in merito il 33% dice che i propri rappresentanti sono schierati più a favore di Israele di quanto lo siano loro, mentre solo il 3% pensa il contrario.

Questi studi sono in linea con un sondaggio del Pew [noto centro studi statunitense, ndt.] a maggio, che ha scoperto che i democratici hanno opinioni più favorevoli sui palestinesi che sugli israeliani con un margine del 64% contro il 60%. La differenza è maggiore tra le persone con meno di 30 anni: 61% contro 56%.

Il sondaggio del Pew indica che la grande maggioranza degli elettori democratici non conosce il movimento BDS (l’85% ha affermato di non averne mai sentito parlare), ma un numero sorprendente ha affermato di appoggiare una soluzione con uno Stato unico nella regione. Il 36% dei democratici ha sostenuto di volere una soluzione a due Stati e il 19% di volere uno Stato democratico.

Pillsbury disinveste da Israele

In maggio General Mills [multinazionale statunitense del settore alimentare, ndt.] ha annunciato di aver disinvestito la sua quota del 60% in una consociata israeliana. Il comunicato dell’impresa non fa menzione del movimento BDS e sostiene che l’iniziativa ha riguardato solo “scelte strategiche su dove indirizzare prioritariamente le nostre risorse per ottenere maggiori profitti.” Tuttavia negli ultimi due anni General Mills è stata presa di mira dall’American Friends Service Committee [organizzazione legata alla chiesa quacchera, ndt.] (AFSC) in quanto alcuni dei prodotti della Pillsbury [industria dolciaria di proprietà della General Mills, ndt.] venivano confezionati in una colonia illegale israeliana.

Il disinvestimento da parte di General Mills dimostra che la pressione dell’opinione pubblica funziona anche con le multinazionali più importanti,” ha affermato in un comunicato Noam Perry dell’AFSC. “Con questa mossa, General Mills si aggiunge a molte altre imprese americane ed europee che hanno disinvestito dall’illegale occupazione israeliana, comprese, solo negli ultimi due anni, Microsoft e Unilever. Chiediamo a tutte le industrie di disinvestire dall’illegale e brutale occupazione israeliana in Palestina e dal sistema di apartheid di cui è parte. Ci congratuliamo con General Mills per la sua decisione e speriamo che sia il primo passo per interrompere tutti i suoi rapporti con l’apartheid israeliano nel rispetto dei diritti umani universali.”

Dal 2002 General Mills ha gestito una fabbrica di prodotti della Pillsbury nella zona industriale di Atarot, una colonia illegalmente annessa da Israele durante la guerra del 1967 [la guerra dei Sei Giorni, ndt.]. Nel 2020 le Nazioni Unite hanno identificato la General Mills come una delle 112 imprese che violano le leggi internazionali gestendo un’attività economica all’interno dei territori occupati.

La campagna No Dough For the Occupation [Niente soldi all’occupazione] dell’AFSC è stata appoggiata da organizzazioni come l’American Muslims for Palestine [Musulmani Americani per la Palestina] e Jewish Voice for Peace [Voce Ebraica per la Pace, principale organizzazione ebraica americana contro l’occupazione e l’apartheid israeliani, ndt.], così come dalla  Ainsworth United Church of Christ [Chiesa Unita di Cristo Ainsworth] di Portland, in Oregon. È stata sostenuta anche da cinque membri della famiglia Pillsbury, che lo scorso anno hanno pubblicato un editoriale sulla Star Tribune [il più diffuso quotidiano del Minnesota] in cui hanno chiesto alla gente di boicottare la General Mills.

Siamo fieri che il nostro cognome venga associato a prodotti venduti in tutto il mondo,” vi si legge. “Ma in questo momento non possiamo avere la coscienza pulita comprando prodotti che portano il nostro cognome.

Finché la General Mills continuerà a trarre profitto dalla spoliazione e dalla sofferenza del popolo palestinese, non compreremo alcun prodotto di Pillsbury. Chiediamo alla General Mills di smettere di fare affari su terra occupata e chiediamo a tutte le persone di coscienza e a tutte le organizzazioni socialmente responsabili in tutto il mondo di unirsi al boicottaggio dei prodotti della Pillsbury finché la General Mills smetterà questo comportamento illegale e immorale.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




‘Separazione con solida maggioranza ebraica’: alla conferenza di J Street appello per una versione israeliana delle leggi ‘Jim Crow’

Philip Weiss

10 dicembre 2022 – Mondoweiss

È sicuramente scioccante sentire pubblicizzata la separazione razziale in uno contesto progressista americano, ma, lo scorso fine settimana, alla conferenza di J Street [associazione  ebraica sionista americana che promuove la soluzione a due Stati, N.d.T.] un politico israeliano, Yair Golan, ha promosso come l’unica soluzione alla questione palestinese una esplicita visione di un Israele con leggi ‘Jim Crow’ [norme in vigore nel sud degli USA fra il 1877 e il 1964 per mantenere la segregazione razziale dei servizi pubblici, N.d.T.]. 

L’unica possibilità per Israele è scegliere l’opzione della separazione… Dobbiamo ammetterlo: la realizzazione della visione sionista è quella di una patria per il popolo ebraico con una solida maggioranza ebraica. Questo è l’unico percorso per uno Stato libero, egalitario e democratico.”

Golan, un generale in pensione, è all’estrema sinistra dello spettro politico ebraico in Israele, ex parlamentare del partito Meretz [storico partito della sinistra sionista, N.d.T.] che, nelle ultime elezioni israeliane, non ha neppure superato la soglia di sbarramento. 

Così questa è la vostra tesi proveniente dalla sinistra sionista in Israele. Ospitata dai sostenitori sionisti in America ed è l’idea della segregazione.

Domenica, nel suo discorso dal palco della conferenza, Golan ha descritto la questione palestinese come una “minaccia esistenziale” per Israele: La questione palestinese minaccia di lacerare la società israeliana dall’interno. Non c’è una questione più controversa del futuro dei territori. Nessun’altra ha causato tale violenza politica in Israele, e nessun’altra esige di prendere decisioni così difficili come quelle richieste dal problema palestinese. 

Di fatto Israele ha due opzioni, una devastante e la seconda molto difficile. Israele deve scegliere, e quanto prima, tanto meglio: annessione o separazione. 

Ribadisco: annessione o separazione. Guardando al futuro queste sono le uniche due alternative. L’annessione distruggerà il sogno sionista. In Giudea e Samaria (termini biblici per Cisgiordania) vivono tra i 2,6 e i 3,2 milioni di palestinesi, nella striscia di Gaza 2,1 milioni. In Israele la destra messianica mira ad annettere la Giudea e la Samaria, rioccupare Gaza e ricostruire Gush Khatif (le colonie a Gaza). È folle. 

Questa visione messianica è una completa pazzia. L’unica possibilità di Israele è scegliere l’opzione della separazione. Non la spiegherò ora, ma la separazione può essere attuata nella pratica…

Dobbiamo ammetterlo: la realizzazione della visione sionista è quella di una patria per il popolo ebraico con una solida maggioranza ebraica. Questo è l’unico percorso per uno Stato libero, egalitario e democratico. Tutti gli altri tentativi di costringere a vivere insieme due popoli differenti, all’incirca delle stesse dimensioni, con una lunga storia di ostilità e guerre, sono destinati a fallire. La sfida di creare una collaborazione vera ed egalitaria con una numerosa minoranza araba, i cittadini arabi di Israele, è piuttosto ardua e difficile. 

Neppure la separazione sarà facile da realizzare, ma è l’unica possibilità per un futuro di sicurezza e pace per Israele. Il processo per realizzare la separazione potrebbe significare azioni unilaterali, bilaterali e multilaterali, e Israele, potenza originaria, deve prendere l’iniziativa. 

Signore e signori, è tutta una questione di iniziativa e, mi vergogno nel dire che abbiamo perso questa abilità di prendere l’iniziativa.

Meretz è sceso sotto la soglia del 3,25% per l’elezione in parlamento dopo una campagna politica in cui la questione palestinese non è mai stata neppure discussa dai partiti israeliani.

L’appello per la segregazione di Golan è coerente con altre tesi simili presentate a J Street, come la ricetta per la separazione delle comunità palestinesi ed ebree del defunto Amos Oz.

Gli oratori sionisti progressisti mettono spesso in relazione le loro paure delle violenze che ne seguirebbero nel caso di uno Stato con ebrei e palestinesi in lotta per il potere. Tali timori sono comprensibili, ma in questo momento esiste già una realtà con uno Stato unico e ai palestinesi è inflitta molta violenza che non è contrastata dai sionisti progressisti. E forse dovrebbero smettere di parlare del “sogno” del sionismo come qualcosa da preservare, dato che il sionismo è sicuramente responsabile di “un regime di supremazia ebraica” dal fiume al mare [cioè sia in Cisgiordania che in Israele, N.d.T.] (che la più importante organizzazione per i diritti umani del Paese definisce come una situazione di apartheid). 

Golan ha riconosciuto il potere degli ebrei americani su queste questioni: 

Israele è la patria di tutti gli ebrei. Quale devoto servitore e vero patriota di Israele vi chiedo di continuare a intraprendere tutte le azioni possibili. Noi in Israele abbiamo bisogno della vostra saggezza, della vostra perspicacia, della vostra cultura ebraica senza pari, delle vostre capacità organizzative, della vostra competenza politica e di tutti gli altri mezzi che vogliate impiegare e condividere. Vi ringrazio per l’incredibile lavoro già svolto da voi. 

Mi sembra che gli ebrei americani progressisti e di sinistra debbano farsi valere e smettere di delegare agli israeliani, essere onesti riguardo all’apartheid e presentare il movimento dei diritti civili in America, non il segregazionismo del Sud, come un modello per il cambiamento. Il politico palestinese Ayman Odeh ha fatto proprio questo alla conferenza di J Street, chiedendo agli americani di aiutare Israele e la Palestina a provare una grande trasformazione simile all’opera incompleta per i diritti civili negli Stati Uniti.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Studente a Jenin ucciso dall’esercito israeliano mentre andava a scuola

Mariam Barghuti

22 Novembre 2022 – Mondoweiss

Mahmoud Al-Saadi era all’ultimo anno di liceo e suo padre ha lavorato tutta la vita per garantire un’istruzione a suo figlio. Israele ha ucciso la luce degli occhi di suo padre.

Lunedì 21 novembre le forze israeliane hanno ucciso uno studente liceale palestinese del campo profughi di Jenin e ne hanno feriti altri tre durante un’operazione militare nella città di Jenin, 98 km a nord-ovest di Gerusalemme.

Mahmoud Al-Saadi, 17 anni, si stava recando alla Farhat Shihad Boys’ School di Jenin quando le forze israeliane gli hanno sparato all’addome. Quasi un’ora dopo, Al-Saadi è morto per le ferite riportate all’ospedale pubblico Ibn Sina. Suo padre lo ha identificato in ospedale prima di seppellirlo.

La morte viene a bussare

Poco prima delle 8:00, una forza composta da militari israeliani, polizia di frontiera e Shin Bet (intelligence interna) ha invaso Jenin e si è diretta verso l’abitazione di Rateb Al-Bali, ricercato per presunto coinvolgimento in scontri armati contro obiettivi militari israeliani.

Arrenditi, sappiamo che sei qui. È meglio che tu ti arrenda, prima che ti rovesci la casa sulla testa e su tutti quelli che ci sono dentro”, si è sentito un soldato israeliano minacciare attraverso un altoparlante. “Ti avverto! Esci!”

“Sappiamo che sei a casa e tutti sono a casa con te”, la voce del soldato poteva essere ascoltata da tutti nel quartiere. “Vieni fuori e arrenditi prima che ti abbattiamo la casa addosso.”

Ferito e preoccupato per l’incolumità della sua famiglia, Al-Bali si è arreso.

La casa di Rateb è vicino alla scuola di Al-Saadi. L’operazione di ricerca e arresto, pianificata da alcune delle unità operative speciali più di élite di Israele, è stata programmata durante l’orario scolastico di un giorno di scuola, mentre c’erano i ragazzi.

Uccidere la luce degli occhi un padre

Riguardo all’assassinio di Mahmoud Al-Saadi, XX ha dichiarato, chiedendo l’anonimato, a Mondoweiss: “I suoi amici pensavano che stesse scherzando quando ha urlato che gli avevano sparato”. I compagni di classe di Al-Saadi, che hanno scambiato la supplica dell’amico per una ferita leggera, hanno dovuto schivare i proiettili dell’esercito israeliano e garantire l’evacuazione del loro coetaneo ferito.

I giornalisti locali hanno confermato a Mondoweiss che Al-Saadi è stato trasferito, mentre sanguinava dall’addome, in un’auto privata poiché era improbabile che le ambulanze lo raggiungessero in tempo.

Poco dopo la sua sepoltura, un parente di Al-Saadi ha dichiarato in un’intervista che il padre di Mahmoud aveva lavorato tutta la vita “per fornire [a Mahmoud] un futuro dignitoso e un’istruzione”.

“L’occupazione ha ucciso questo sogno”, ha detto prima di scoppiare in lacrime.

Un cuore abbastanza grande da abbracciare tutto il campo

Secondo il Ministero della Salute palestinese più di 202 palestinesi sono stati uccisi dall’inizio dell’anno. Molti dei martiri sono stati uccisi durante le incursioni offensive dei militari israeliane nelle città e nei paesi palestinesi intese a reprimere la resistenza armata palestinese contro la continua invasione dei coloni.

Agli scolari e ai giovani palestinesi non sono state risparmiate le violenze della continua offensiva militare di Israele. Molte delle uccisioni di quest’anno sono state di minori, molti dei quali uccisi nel corso delle frequenti incursioni di ricerca e arresto dell’esercito israeliano.

Ben 33 bambini sono stati uccisi durante l’offensiva militare israeliana di quest’anno, l’Operazione Break the Wave (spezzare l’onda). Proprio la scorsa settimana i soldati israeliani hanno crivellato di proiettili un’auto quando questa si è avvicinata inconsapevolmente a un’operazione di ricerca e arresto simile a Betunia, uccidendo la quattordicenne Fulla Masalma all’interno dell’auto.

Al-Saadi faceva parte del Jenin Freedom Theatre, che ha rilasciato una dichiarazione per piangere la morte di Al-Saadi.

“Un formatore esperto e appassionato del nostro programma per bambini e giovani, ha portato il suo carattere unico in questo lavoro”, si legge nella dichiarazione. “Mahmoud aveva un futuro promettente davanti a sé, ed eravamo entusiasti di vedere dove lo avrebbe portato il suo lavoro in teatro”.

Anche Ranin Odeh, che aveva formato Al-Saadi al Freedom Theatre, ha scritto una commemorazione del giovane ucciso.

“Il tuo cuore era abbastanza grande da abbracciare l’intero campo, le sue strade e le sue case”, si legge nella lettera. “Penso a te che sali sul palco e ti unisci ai workshop per divertirti e recitare. Questo è ciò che mi fa più male, che il ragazzo dal cuore d’oro se ne sia andato. Credimi, la notizia del tuo martirio ferisce il mio corpo e mi fa piangere».

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Le restrizioni israeliane sugli ingressi degli stranieri nella Cisgiordania occupata entrano in vigore nonostante le critiche

Yumna Patel e Michael Arria

20 ottobre 2022 – Mondoweiss

Nonostante mesi di condanne da parte di associazioni per i diritti umani e di tentativi giudiziari di bloccarle, una serie di restrizioni draconiane degli ingressi di stranieri nella Cisgiordania occupata da parte di Israele entra in vigore oggi.

Nonostante mesi di condanne da parte di associazioni per i diritti umani e tentativi giudiziari di bloccare l’applicazione delle restrizioni, è previsto che oggi entri in vigore una serie di norme e restrizioni draconiane sull’ingresso di stranieri nella Cisgiordania occupata.

Denominate “Procedura per l’ingresso e la residenza di stranieri nella zona di Giudea e Samaria”, le 90 pagine di restrizioni progettate dall’Israel’s Coordinator of Government Activities in the Territories [Coordinatore di Israele delle Attività di Governo nei Territori] (COGAT) intendono limitare seriamente la possibilità per gli stranieri, anche quelli di origine palestinese che vivono all’estero, di entrare in Cisgiordania per ragioni di attività economiche, istruzione, lavoro umanitario e persino per far visita alla famiglia.

Le nuove regole sono state pubblicate all’inizio di quest’anno, suscitando una condanna generalizzata e all’inizio era previsto che sarebbero entrate in vigore a maggio, ma sono state rinviate varie volte a causa dei ricorsi legali.

Le autorità israeliane non hanno fornito alcuna spiegazione riguardo alle nuove procedure, che chiaramente vanno molto al di là della loro competenza come potere occupante di prendere misure per la propria sicurezza o per il benessere della popolazione palestinese,” afferma in un comunicato Jessica Montell, direttrice esecutiva di Hamoked, l’associazione israeliana per i diritti umani che ha contrastato questa normativa nei tribunali israeliani.

La maggior parte dell’opposizione ha riguardato alcuni degli aspetti più insensati delle norme, come una clausola in base alla quale stranieri che iniziano una relazione con un palestinese dovrebbero dichiararlo al governo israeliano entro i 30 giorni dall’inizio di suddetta relazione.

In precedenza, a settembre, in seguito alle dure reazioni da parte delle associazioni per i diritti e di fonti ufficiali europee e statunitensi, il COGAT ha reso pubblica una versione rivista del documento che ha fatto marcia indietro su alcune delle norme più ampiamente criticate, compresa la summenzionata sequenza temporale per riferire di rapporti sentimentali con palestinesi.

Ma l’essenza delle regole e molte delle restrizioni originarie sono rimaste in vigore.

In base a queste norme, il COGAT e il governo israeliano hanno ancora il potere assoluto di approvare o negare il visto a chiunque cerchi di entrare o rimanere in Cisgiordania. Ciò include i coniugi stranieri di palestinesi, studenti, docenti universitari, volontari e operatori umanitari stranieri e persino palestinesi con passaporto straniero che intendano far visita alla propria famiglia in Cisgiordania.

Yotam Ben Hillel, avvocato israeliano che si è opposto alle norme del COGAT in tribunale insieme ad Hamoked, afferma che, in base agli Accordi di Oslo, decisioni di questo tipo dovrebbero essere sottoposte alla supervisione dell’Autorità Palestinese.

Ma in questo provvedimento (del COGAT) tutto dipende da Israele, che decide se le persone hanno la residenza, il visto, ecc.,” dice Ben Hillel a Mondoweiss. “È parte dei molti altri ostacoli che gli israeliani hanno messo in atto per rendere più difficile vivere insieme come famiglia in Palestina o per venirci per altre ragioni.”

Ciò ovviamente deriva da considerazioni di carattere demografico,” continua. “Queste nuove restrizioni isoleranno totalmente la società palestinese.”

Implicazioni immediate

A settembre, quando il COGAT ha reso noto le restrizioni modificate, l’ambasciatore USA in Israele Tom Nides ha emesso un comunicato in cui esprimeva alcune “preoccupazioni” riguardo alle procedure pubblicate. La dichiarazione di Nides è giunta dopo mesi di relativo silenzio da parte dell’amministrazione Biden su questa iniziativa politica.

All’epoca Nides aveva menzionato un “periodo di prova” delle nuove norme di due anni, durante i quali aveva detto di aspettarsi che il governo israeliano “faccia i necessari aggiustamenti” per “garantire trasparenza e un trattamento corretto ed equo di tutti i cittadini USA e di altri stranieri che si rechino in Cisgiordania.”

Ma secondo Ben Hillel si tratta di un periodo lungo, durante il quale migliaia di vite sarebbero colpite e molte famiglie palestinesi potrebbero essere danneggiate prima che venga fatto un qualche, o forse nessun, aggiustamento.

Da quello che abbiamo già visto ci sono persone a cui in quei due anni diverrebbe molto difficile continuare la propria vita come hanno fatto finora,” dice, evidenziando che molti coniugi stranieri di palestinesi si troverebbero con i visti sottoposti a un maggiore controllo, che potrebbe dare come risultato che loro e le rispettive famiglie debbano lasciare i territori palestinesi occupati se non rispondono ai nuovi criteri definiti dal COGAT.

In base alle nuove norme, a persone con un passaporto straniero di alcuni Paesi, compresi Stati come Giordania ed Egitto, che hanno rapporti diplomatici con Israele, sarà vietato del tutto l’ingresso in Cisgiordania, persino se hanno cittadinanza statunitense, canadese o altre.

Non possono andarci come turisti, non possono lavorare, non possono studiare. Il solo fatto di essere nati in Giordania o di avere un passaporto giordano implica che non possano andarci,” afferma Ben Hillel, aggiungendo che dovrebbero far domanda per un permesso per visite temporanee che devono essere approvate da Israele e che viene rilasciato molto di rado.

Ben Hillel afferma di essere preoccupato soprattutto per le implicazioni che le nuove norme hanno sulle famiglie palestinesi. Montell è d’accordo.

La categoria che verrà più danneggiata saranno le famiglie palestinesi in cui un coniuge ha la cittadinanza straniera. Ci sono decine di migliaia di famiglie come queste in Cisgiordania, e in base alla nuova procedura semplicemente non potranno più vivere insieme in Cisgiordania,” dice Montell a Mondoweiss.

Le richieste di riunificazione familiare potranno essere respinte solo perché il governo israeliano potrebbe non approvarle,” afferma Ben Hillel, aggiungendo che Israele ha ancora il potere di decidere se un rapporto di coppia è “reale” e se rilasciare al titolare di un passaporto straniero un visto in base al suo rapporto con un palestinese.

Stiamo parlando di molte persone che vivono, per esempio, a Ramallah, Nablus ed Hebron. Come faranno gli israeliani a controllare (se un rapporto è reale?),” chiede incredulo. “Manderanno l’esercito nel mezzo della notte e faranno irruzione nelle case della gente per vedere se una coppia vive insieme? È ridicolo,” afferma.

Ciò che gli USA stanno facendo, o non stanno facendo, a questo riguardo

Martedì 18 ottobre, due giorni prima che le norme entrassero in vigore, il vice portavoce del Dipartimento di Stato USA Vedant Patel ha risposto a una domanda relativa alla normativa: “Ovviamente noi continuiamo ad essere preoccupati riguardo al potenziale impatto negativo che alcune di queste procedure potrebbero avere sulla società civile, sul turismo, sulle strutture sanitarie, sulle istituzioni accademiche.”

Ha aggiunto che sulla questione l’amministrazione Biden continua ad “impegnarsi” con il governo israeliano.

Ma la presunta preoccupazione dell’amministrazione Biden sugli effetti negativi delle restrizioni sembra indifferente di fronte all’ondata di critiche sulle nuove norme e regolamenti durata mesi da parte degli esperti di diritti umani e giuridici, che hanno evidenziato che gli effetti negativi di cui si preoccupa l’amministrazione sono pressoché inevitabili.

Tutta questa iniziativa politica fa parte del controllo da parte di Israele dell’anagrafe palestinese,” sostiene Ben-Hillel. “Oltre a controllare la frontiera, c’è dietro uno scopo: isolare la società palestinese dal mondo esterno, e ovviamente in questo modo ciò renderà molto difficile per i palestinesi affrontare l’apartheid sotto il quale vivono.”

Aggiunge che questa politica inevitabilmente renderà molto difficile per alcune famiglie vivere insieme nella propria casa in Cisgiordania, il che porterà alcune di esse, tutte o in parte, a lasciare i territori occupati.

Montell esprime le stesse critiche, affermando che “questa operazione può essere intesa solo come motivata dal desiderio di isolare la società palestinese e di riprogettare ulteriormente la situazione demografica (è molto significativo il fatto che “il timore che uno si stabilisca in Cisgiordania” può essere motivo per negare un visto).”

Montell aggiunge che Hamoked ha inviato una lettera dettagliata all’esercito israeliano evidenziando tutte le proprie obiezioni alla legge. È il primo passo dei molti che Hamoked intende prendere per continuare a contrastare queste norme, afferma.

Nei prossimi mesi presenteremo un ricorso alla Corte Suprema israeliana a favore di persone o istituzioni che sono state danneggiate dalla nuova procedura. Spero che questi ricorsi, insieme alla pressione internazionale, diano come risultato dei cambiamenti molto significativi delle norme in modo che le famiglie possano vivere insieme e le istituzioni palestinesi possano beneficiare della cooperazione internazionale,” afferma.

Pressioni per l’esenzione dal visto

Le modifiche da parte di Israele alle norme del COGAT sono state un chiaro tentativo di partecipare all’United States’s Visa Waiver Program [Programma degli Stati Uniti per l’Esenzione dal Visto] (VWP). In base al VWP i cittadini di un piccolo numero di Paesi possono rimanere negli USA per tre mesi senza visto.

Da metà degli anni 2000 Israele ha fatto pubblicamente pressione sul governo degli Stati Uniti per partecipare al VWP. Negli ultimi anni ci sono stati vari tentativi del Congresso di inserire Israele nel programma e nel settembre 2021 Biden ha assicurato il governo israeliano che avrebbe lavorato per questo obiettivo. Quando a luglio Biden ha visitato Israele, ha diramato un comunicato congiunto con il primo ministro Yair Lapid in cui si sosteneva che entrambi i Paesi “continueranno nei propri sforzi condivisi e accelerati per consentire ai detentori di passaporto israeliano di essere inclusi nell’ United States’s Visa Waiver Program.

Tuttavia nessuno di questi sviluppi sembra aver portato Israele più vicino a ottenere l’esenzione. Questa settimana il depurato Don Beyer (D-VA) [deputato democratico della Virginia, ndt.] ha iniziato a far circolare nel Congresso una lettera per il segretario di stato Antony Blinken in cui si afferma che Israele non rispetta i requisiti minimi richiesti per entrare nel programma. La lettera si riferisce direttamente alle “pesanti e discriminatorie” restrizioni del COGAT. “Spetta a Israele, alleato chiave degli USA e beneficiario di aiuti significativi, trattare i cittadini statunitensi con dignità e rispetto indipendentemente da razza, religione ed etnia, e ciò è particolarmente rilevante in questo momento perché attualmente Israele viene preso in considerazione per l’ingresso nell’United States’s Visa Waiver Program,” scrive Beyer.

La codificazione del trattamento discriminatorio dei viaggiatori USA stabilisce ancora che queste norme si applicano specificamente a Paesi che hanno “accettato un programma per l’esenzione dal visto con Israele,” continua. “Di conseguenza la loro decisione di accentuare la discriminazione attraverso una normativa è particolarmente sconcertante, dato il desiderio di Stati Uniti e Israele di ammettere quest’ultimo al VWP.”

A settembre il Dipartimento della Sicurezza Interna ha inviato a Beyer una lettera in cui afferma che Israele non soddisfa ancora i requisiti necessari per il VWP.

Le ultime restrizioni discriminatorie israeliane all’ingresso di palestinesi-americani entrate in vigore questa settimana sono draconiane e intendono rendere difficile, se non impossibile, ai palestinesi di questo Paese rimanere fisicamente legati alla loro patria e alla loro famiglia là,” dice a Mondoweiss il direttore delle relazioni con il governo dell’ Institute for Middle East Understanding [Istituto per la Comprensione del Medio Oriente] (IMEU) Josh Ruebner. “È parte del pervasivo sistema di apartheid e di controllo israeliano sui palestinesi. Il deputato Don Beyer e tutti i membri del Congresso che hanno firmato la sua lettera sono da lodare per aver sollevato tali preoccupazioni al Segretario di Stato Tony Blinken ed essersi aggiunti alla già significativa pressione congressuale per escludere Israele dal Visa Waiver Program.”

Durante la conferenza stampa del Dipartimento di Stato, alla domanda riguardo allo status di Israele e del VWP, Vedant Patel ha detto ai giornalisti che non intende avviare negoziati specifici, ma che l’amministrazione continua “a lavorare con Israele perché risponda a tutte le esigenze del Visa Waiver Program in modo da estendere i reciproci privilegi a tutti i cittadini e connazionali statunitensi, compresi i palestinesi americani.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Cosa sta succedendo adesso in Cisgiordania: un’analisi dettagliata

Mariam Barghouti e Yumna Patel

17 ottobre 2022 – Mondoweiss

La ripresa degli scontri armati palestinesi contro le autorità coloniali israeliane si preparava da anni e Israele ha lanciato una campagna militare che dura da mesi per annientarla.

La Cisgiordania e Gerusalemme sono “in fiamme.” 

È un termine che abbiamo visto usare sempre di più sui social, nei notiziari e dagli opinionisti parlando degli eventi in corso nel territorio palestinese occupato. Non è neanche un’espressione nuova utilizzata per descrivere ondate di repressione e resistenza in Palestina, la più recente è stata l’Intifada dell’Unità nel 2021 che ha investito la Palestina storica. 

Allora cosa sta accadendo esattamente nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme proprio ora, e perché? Cosa la rende diversa da quello che abbiamo visto nella storia recente e cosa significa per il futuro della resistenza palestinese all’occupazione e al colonialismo israeliani?

Nelle ultime settimane in Cisgiordania abbiamo assistito a un’evidente intensificarsi del giro di vite degli israeliani contro i palestinesi che ha preso di mira sia civili nelle proprie case e villaggi che combattenti e gruppi armati della resistenza. 

Simultaneamente i coloni armati hanno terrorizzato comunità palestinesi in Cisgiordania, spesso in presenza e con la protezione dell’esercito israeliano. 

La repressione in corso, e la resistenza ad essa, sono parte di una più ampia campagna durata mesi per sedare una crescente resistenza palestinese, particolarmente quella armata, che ha visto una rinascita in alcune aree della Cisgiordania.

L’ascesa della resistenza palestinese dinanzi a una repressione brutale

Dall’inizio di ottobre le forze israeliane hanno ucciso 15 palestinesi, tra cui quattro adolescenti e bambini, principalmente durante raid notturni e operazioni di arresto. 

Solo nell’ultima settimana sono stati uccisi quattro palestinesi: Mujahed Daoud, 31 anni, di Salfit morto domenica in seguito alle ferite riportate durante scontri con le forze israeliane la settimana prima. Mateen Dabaya, 20 anni, e Abdullah Abu al-Teen, 43 anni, medico e padre di tre figli, entrambi uccisi venerdì mattina presto in un raid contro il campo profughi di Jenin. Venerdì notte le forze israeliane hanno ucciso Qais Imad Shujaiya, 23 anni, coinvolto in una sparatoria vicino alla colonia illegale di Beit El durante la quale era stato ferito un colono israeliano. 

Mercoledì 12 ottobre è stato ucciso il diciassettenne Osama Mahmoud Adawi quando le forze israeliane gli hanno sparato all’addome all’esterno del campo profughi di Arroub, a sud di Betlemme, in Cisgiordania. 

Mentre esercito, polizia e intelligence israeliani, su richiesta del primo ministro Yair Lapid, intensificano la loro ultima campagna, è cresciuta la resistenza palestinese alle tattiche dell’occupazione insieme al terrore dinanzi alla violenza israeliana. 

Nelle ultime due settimane sono stati uccisi in attacchi con armi da fuoco separati due soldati israeliani: uno a un checkpoint dell’esercito fuori dal campo profughi di Shuafat a Gerusalemme e un altro presso una postazione dell’esercito nella zona di Nablus, nella Cisgiordania settentrionale. 

Da notare che entrambi i tiratori ne sono usciti vivi [in realtà uno dei due è stato ucciso il 19 ottobre, ndt.], un evento poco comune alla luce della politica dell’esercito israeliano nei territori occupati di sparare per uccidere, che le autorità israeliane si rifiutano attivamente di cambiare nonostante la pressione internazionale. Agli inizi di settembre Yair Lapid, primo ministro israeliano, aveva fatto notare che nessun soldato sarà perseguito “solo per ricevere gli applausi dall’estero”.

Nella caccia all’uomo per trovare gli attentatori le forze israeliane hanno messo in atto una quantità di misure di punizione collettiva, incluse vaste chiusure di strade che hanno colpito l’intero distretto di Nablus, e il blocco di interi quartieri come Shuafat e il vicino Anata. Il blocco di Shuafat e dei quartieri circostanti ha scatenato un’ampia campagna di disobbedienza civile in tutti i quartieri di Gerusalemme. 

Proteste a sostegno della campagna di disobbedienza civile a Gerusalemme sono aumentate nella Striscia di Gaza assediata, dove i palestinesi si sono uniti alla chiamata a continuare gli scontri contro gli apparati militari israeliani. 

Allo stesso tempo, nel mezzo della stagione delle festività ebraiche, i coloni israeliani, con la supervisione e protezione delle forze israeliane, hanno intensificato i loro attacchi contro i palestinesi e le loro proprietà in Cisgiordania. 

I raid quasi ogni notte, la repressione letale di proteste, la politica di punizioni collettive e l’aumento della violenza dei coloni non hanno certo spento la resistenza palestinese. Continuano i resoconti di proteste e scontri quotidiani contro le forze israeliane a Gerusalemme e in Cisgiordania, mentre tra l’opinione pubblica cresce il favore per il gruppo della resistenza palestinese Areen Al-Usud (Tana del Leone) con base a Nablus, che sta rivendicando la responsabilità del crescente numero di operazioni armate contro le posizioni militari israeliane in Cisgiordania. 

In memoria di due palestinesi uccisi dall’esercito israeliano a Nablus . Foto: SHADI JARAR’AH/APA IMAGES

Cosa significa per i palestinesi l’operazione ‘Break the Wave’ (Spezza l’ondata)?

La campagna su larga scala coordinata dall’esercito e dall’intelligence israeliani si concentra contro i palestinesi di Nablus e Jenin in Cisgiordania e nella città di Gerusalemme. I palestinesi non sono sorpresi da questa recente intensificazione degli assalti da parte di Israele, che si fonda sulle azioni di anni precedenti.

La [Città vecchia] è come è sempre stata” dice Basil Kittaneh, ricercatore e abitante della Città Vecchia di Nablus, dove fioriscono gruppi armati di resistenza, guidati principalmente da giovani senza affiliazioni con alcun partito politico. 

Ogni giorno gli abitanti si preparano a sperare in qualcosa. Ogni notte i droni ronzano e non fanno dormire la gente che è terrorizzata,” afferma.

Dopo il picco dell’Intifada dell’Unità della scorsa estate un cambiamento imprevisto è scaturito dall’unificazione dei palestinesi da una parte e dall’altra dei confini, i cui effetti continuano tuttora a vedersi.

Quando l’anno scorso i palestinesi si si sono ribellati collettivamente, sono stati anche puniti collettivamente, anche quelli con cittadinanza israeliana. Nel maggio 2021 la polizia israeliana ha lanciato l’operazione “Legge e ordine” che ha preso di mira i palestinesi con cittadinanza israeliana che avevano partecipato alle attività dell’Intifada dell’Unità, particolarmente quelli che avevano sparato sulle folle israeliane inferocite che avevano invaso i quartieri palestinesi attaccandone gli abitanti. Da un giorno all’altro migliaia di palestinesi con cittadinanza israeliana sono stati arrestati come punizione collettiva e in nome di quella che gli apparati di sicurezza israeliani definiscono “deterrenza.” 

Guidata dal capo di stato maggiore dell’esercito israeliano Aviv Kochavi, insieme al premier israeliano, la campagna Break the Wave durata mesi è il punto cruciale di quello a cui stiamo assistendo oggi nella Palestina occupata. Kochavi ha impiegato soldati israeliani non solo in Cisgiordania, ma ha anche esteso la giurisdizione militare della polizia israeliana in città oltre la Linea Verde [cioè in Israele. n.d.t.]. I palestinesi con cittadinanza israeliana furono sottoposti a un regime militare de facto fino agli anni ‘70.

Le implicazioni dell’attuale escalation di Israele fanno parte del più ampio progetto coloniale israeliano guidato da un’ideologia sionista di destra. Secondo il capo militare israeliano le forze israeliane hanno arrestato più di 1.500 palestinesi in raid quotidiani contro città e paesi.

A settembre Kochavi ha detto: “A questo scopo raggiungeremo ogni città, quartiere, vicolo, casa o cantina.” Tuttavia i numeri sono molto più alti di quelli riportati da Kochavi, il che ha portato a un attacco sistematico al senso di stabilità e sicurezza dei palestinesi, poiché implica che le forze israeliane non siano confinate a un singolo spazio geografico, ma che invece prendono di mira tutti, non solo coloro che resistono, ma anche quelli che mostrano segni potenziali di resistenza.

La gente [della Città Vecchia] è in stato di allerta tutta la notte,” ha spiegato Kittaneh a Mondoweiss. “Complessivamente sono favorevoli alla resistenza, ma la punizione collettiva è imposta su tutta Nablus.” 

Resistenza senza coordinamento

Proprio come l’esercito israeliano non è limitato dalla geografia, non lo è neppure la conflittualità palestinese. Ad agosto abbiamo assistito a una nuova dinamica fra Gaza e la Cisgiordania in cui, a differenza del decennio passato, Gaza è diventata una forza mediatrice per il ridimensionamento della resistenza in Cisgiordania.

Ogni persona degna e libera del mondo starà dalla nostra parte,” ha detto a settembre a Mondoweiss S., combattente per la resistenza, mentre si sentiva in lontananza il rumore delle sparatorie da parte delle forze dell’ANP impegnate a soffocare simultaneamente i crescenti gruppi di resistenza a Nablus. 

Foto: SHADI JARAR’AH/APA IMAGES

Sebbene alcuni paesi e città palestinesi siano diventati obiettivi primari nell’ultima campagna israeliana, l’attacco dell’esercito e dell’intelligence israeliani è generalizzato. Secondo l’Associazione dei prigionieri palestinesi da gennaio sono stati arrestati più di 5.292 palestinesi. Su 100 arresti, 14 sono bambini e minori, 766 di loro sono stati imprigionati da gennaio.

Si va dalla resistenza armata a quella popolare disarmata, che si è allargata con il coinvolgimento dei palestinesi della diaspora e in esilio. In questo modo la frammentazione dell’identità dei palestinesi da parte di Israele continua a essere sfidata e interrotta.

Poiché dal 2005 questo è stato uno degli anni più letali per i palestinesi in termini di violenza dei coloni, essi si trovano ora davanti a una repressione molto variegata.

Contemporaneamente all’intensificazione di arresti, l’esercito israeliano sta intenzionalmente inasprendo gli omicidi mirati extragiudiziali di palestinesi, principalmente di combattenti della resistenza. Questo è risultato nell’uccisione di oltre 160 palestinesi solo in Cisgiordania (altri 49 sono stati uccisi a Gaza durante il violento attacco di agosto). 

Il ruolo dell’Autorità Palestinese nel reprimere la resistenza

Mentre Israele continua la sua campagna contro i gruppi della resistenza palestinese, il governo israeliano e le forze armate hanno trovato un partner affidabile nella loro repressione: l’Autorità Nazionale Palestinese.

Il 19 settembre le forze di sicurezza dell’ANP, che continua nella controversa politica di coordinamento per la sicurezza con gli israeliani, hanno attaccato la città di Nablus e arrestato due palestinesi combattenti della resistenza, Musaab Shtayyeh, 30 anni, e Ameed Tbeileh, 21 anni, il primo diventato il successore ufficioso di Ibrahim al-Nabulsi, il “Leone di Nablus”, dopo il suo assassinio all’inizio di questa estate. 

Durante i raid che hanno scatenato pesanti scontri a Nablus e proteste contro l’ANP in Cisgiordania le forze di sicurezza dell’ANP hanno ucciso Firas Yaish, 55 anni. Per gran parte dell’opinione pubblica palestinese l’attacco dell’ANP contro i combattenti a Nablus è stato un’aggressione contro la resistenza palestinese, solo un altro esempio del fatto che l’ANP fa il lavoro sporco per Israele. 

Gli attacchi mirati contro la resistenza a Nablus sono arrivati quasi una settimana dopo che Lapid e Kochavi avevano parlato dell’intensificazione delle comunicazioni tra l’esercito israeliano e le forze di sicurezza dell’ANP contro la resistenza palestinese. La morsa israeliana sulla Cisgiordania dipende in larga misura dal sostegno dell’ANP per sorvegliare, prendere di mira, arrestare gli attivisti e allontanare il coinvolgimento politico palestinese dal discorso relativo alla liberazione.

Negli ultimi mesi del 2021 e nei primi mesi di quest’anno l’Autorità Nazionale Palestinese ha intrapreso una campagna su larga scala contro l’opposizione politica, inclusi gli studenti universitari e i giovani che criticano o contestano la legittimità dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Appena l’anno scorso, il 24 giugno 2021, le forze di sicurezza dell’ANP hanno attaccato la casa di Nizar Banat, candidato del Consiglio Legislativo Palestinese, ammazzandolo di botte davanti alla moglie, Jihan e ai loro quattro figli. Nessuno si è assunto la responsabilità di questo crimine di omicidio extragiudiziale che la moglie ha descritto a Mondoweiss come “più vicino alla tortura.”

Mentre Kochavi prometteva l’escalation, il premier Yair Lapid parlava alle Nazioni Unite suggerendo la ripresa della soluzione a due Stati, rivolgendo il proprio discorso al popolo palestinese dicendo: “Noi possiamo costruire il vostro futuro insieme, sia a Gaza che in Cisgiordania,” ma solo se i palestinesi sono disarmati e “dimostrano che Hamas e il Jihad islamico non prenderanno il controllo dello Stato palestinese che (l’ANP) vuole creare.”

A luglio di quest’anno, prima che il presidente USA Joe Biden visitasse la regione, alti diplomatici del Dipartimento di Stato hanno frequentemente visitato la regione. Tuttavia la maggior parte degli incontri con i rappresentanti palestinesi era incentrata su Majed Faraj e Hussein Al-Sheikh. Entrambi sono comandanti della sicurezza preventiva palestinese e degli affari dell’amministrazione civile e, sebbene estremamente impopolari fra il pubblico palestinese, sono stati identificati come i potenziali successori dell’anziano presidente, Mahmoud Abbas.

A vent’anni S. ha conosciuto solo la brutalità della seconda rivolta o il fallimento dell’ANP nell’offrire ai palestinesi servizi e protezione. “Qui viviamo sotto due occupazioni,” ha detto risentito. 

Indicazioni su quello che sta per succedere

L’attuale discussione fra israeliani segnala la possibilità non solo di un’escalation della violenza contro i palestinesi in modi simili all’Operazione Scudo Difensivo agli inizi degli anni 2000, ma anche il paternalismo della percezione israeliana verso i palestinesi. 

Lapid ha specificato che Israele aiuterà i palestinesi a costruire il loro futuro. La dichiarazione è improntata al paternalistico mancato riconoscimento coloniale del diritto palestinese all’autodeterminazione e alla sovranità, mentre enfatizza la necessità di disarmare i palestinesi.

In effetti la Cisgiordania è stata disarmata sotto l’ANP fin dalla fine della Seconda Intifada, eppure ora sembra che fosse solo una situazione temporanea. Mentre gruppi come Areen al-Usud continuano a guadagnare popolarità e influenza fra la gente, l’ANP preferirebbe rafforzare il coordinamento per la sicurezza con Israele per essere certa che le armi usate contro l’occupazione israeliana non vengano un domani rivolte contro l’ANP. 

Resta da vedere se l’opinione pubblica palestinese nel suo complesso sceglierà di unirsi a questi gruppi emergenti di resistenza armata per trasformare il presente movimento in una vera e propria rivolta. Ma gli effetti che questi gruppi stanno avendo si faranno sicuramente sentire, sui social e nelle strade.

Senza cambiamenti in vista riguardo all’espansione dei coloni e al furto di vite, terre e risorse palestinesi, la presente situazione della Palestina ha per forza di cose fatto sorgere nuovi modi di pensare ed agire. 

Fintanto che i palestinesi resteranno sotto lo stivale del colonialismo israeliano continueranno a resistere e a ritagliarsi nuovi spazi che permettano loro di gridare insieme “basta.”

Mariam Barghouti

Mariam Barghouti è la principale corrispondente di Mondoweiss per la Palestina.

Yumna Patel

Yumna Patel è la caporedattrice di Mondoweiss per la Palestina.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Il governo degli Stati Uniti fa retromarcia riguardo alla richiesta di indagine sulla morte di un palestinese di 7 anni

Philip Weiss

7 ottobre 2022 – Mondoweiss

Ancora una volta il Dipartimento di Stato americano crede ad Israele quando esso spiega e giustifica la morte di un bambino palestinese durante un raid israeliano nei territori occupati.

La scorsa settimana un bambino palestinese di sette anni di nome Rayan Suleiman è morto in un villaggio della Cisgiordania occupata poco dopo l’incursione nella sua casa di soldati israeliani alla ricerca di chi aveva lanciato delle pietre. Fonti palestinesi hanno rivelato che il bambino è morto di paura. Il cugino di Rayan, Mohammed, ha riferito a Yumna Patel [giornalista freelance palestinese, ndr.] che i soldati hanno bussato violentemente alla porta e la famiglia ha cercato di impedire loro di portare via i due fratelli di Rayan, che era terrorizzato ed è crollato al suolo.

Quel giorno, il 29 settembre, Rashida Tlaib [statunitense di origine palestinese e deputata della Camera dei Rappresentanti statunitense, ndt.] ha chiesto la cessazione degli aiuti militari statunitensi a causa della morte di Rayan, ed pareva che il portavoce del Dipartimento di Stato Vedant Patel stesse chiedendo un’indagine, affermando che “siamo a favore di un’inchiesta approfondita e immediata sulle circostanze della morte del bambino, e credo che anche le stesse IDF [forze di difesa israeliane, ndt.] abbiano annunciato che indagheranno sull’accaduto”.

Così quel giorno l’Associated Press [agenzia di stampa USA, ndt.] e la popolare rubrica di Barak Ravid su Axios [quotidiano statunitense online, ndt.] hanno riferito che gli Stati Uniti avevano chiesto un’indagine sull’omicidio.

Il governo israeliano è rimasto sicuramente irritato dai titoli internazionali secondo cui “gli USA chiedono un’indagine a Israele”. Possiamo esserne certi, perché il governo centrista israeliano ha ripetutamente espresso rabbia per le molto blande richieste americane rivolte ad effettuare un’indagine dopo che il maggio scorso Israele ha ucciso la giornalista palestinese americana Shireen Abu Akleh, concludendo che l’omicidio sarebbe stata una disgrazia.

Quindi due giorni fa il Dipartimento di Stato ha fatto marcia indietro sull’appello. Patel Vedant [ha detto]:

Voglio fare un piccolo passo indietro e chiarire le mie dichiarazioni nel corso del briefing telefonico della scorsa settimana perché penso che lei [Said Arikat di Al Quds] e alcuni altri mi abbiate frainteso. Non abbiamo chiesto che venga eseguita un’indagine. Ciò che abbiamo detto è che abbiamo accolto con favore la comunicazione delle IDF che un’indagine era già in corso. Ho appreso dall’ultimo rapporto che il bambino è tragicamente morto di attacco cardiaco, il che ovviamente non rende la cosa – non la rende meno straziante. Ma le dichiarazioni delle IDF in merito hanno chiarito che un’indagine iniziale non ha mostrato alcun collegamento e che questa questione continua a essere oggetto di analisi. Quindi vi rimando a loro, ma volevo chiarire le mie dichiarazioni.

I giornalisti sono rimasti alquanto increduli, e hanno chiesto a Patel che differenza ci sia tra accogliere favorevolmente [la notizia su] un’indagine e il sostenerla. O che differenza faccia che il bambino sia a quanto pare morto di attacco cardiaco.

Ieri gli israeliani sono puntualmente giunti alla conclusione che il raid israeliano in casa di Rayan Suleiman non ha nulla a che fare con la morte del bambino.

Giovedì le IDF hanno pubblicato le conclusioni della loro indagine sulla morte di un bambino palestinese di 7 anni durante un raid dell’esercito, secondo cui non è stato trovato alcun collegamento con le azioni dei soldati… L’indagine ha rilevato che un ufficiale ha interrogato il padre di Suleiman sulla porta di casa in presenza di due dei suoi figli.

Gli Stati Uniti hanno chiaramente concertato le loro valutazioni su decesso in base alle risultanze israeliane.

Confrontiamo questo caso con [quello di] Mahsa Amini, la donna iraniana morta il mese scorso mentre si trovava sotto la custodia della polizia morale dopo essere stata arrestata con l’accusa di essere vestita in modo indecente. Gli iraniani hanno dichiarato (penosamente) che il caso sarebbe stato un tragico incidente e che Amini sarebbe morta per un infarto. Tuttavia gli Stati Uniti si sono adoperati per imporre sanzioni finanziarie come misura contro i poliziotti iraniani coinvolti.

In questo caso gli Stati Uniti hanno accettato la versione israeliana secondo cui si sarebbe trattato di un tragico incidente e non chiederanno un’indagine, per non parlare di un’inchiesta su se stessi, nonostante il fatto che noi [stunitensi] forniamo a Israele miliardi in aiuti militari che stanno finanziando gravi violazioni dei diritti umani.

Israele quest’anno ha ucciso a colpi di arma da fuoco 23 minori palestinesi nella Cisgiordania occupata nell’impunità totale, e ad agosto ha ucciso 17 minori a Gaza, il tutto in attacchi deliberati condotti per lo più con armi statunitensi.

I sedici minori uccisi a Gaza nell’attacco di questa estate

Il Dipartimento di Stato ovviamente non vuole fare nulla perché Israele risponda delle sue azioni. Proprio come è successo per l’omicidio di Shireen Abu Akleh. “Riteniamo che a palestinesi e israeliani spettino in egual misura sicurezza, prosperità e libertà”, ha detto l’altro giorno ripetendo la solita formula il suo portavoce Patel, e Said Arikat di Al Quds [quotidiano palestinese di Gerusalemme, ndt.] ha accusato il governo di ipocrisia.

Insomma, con tutto il dovuto rispetto, quando afferma questo e quello, come abbiamo visto la scorsa settimana gli israeliani dare la caccia ad un bambino di 7 anni che poi si accascia al suolo morto – beh, con tutto il dovuto rispetto, queste dichiarazioni suonano vuote, come d’altronde per tutto il resto – i palestinesi non tengono gli israeliani in condizioni di detenzione amministrativa. Non distruggono le loro case; non li fanno saltare in aria; non li eliminano e così via. Non c’è equità. Non c’è affatto equità. Quindi questa è la domanda che le pongo: gli Stati Uniti prenderanno posizione sulla detenzione amministrativa? Penso che se questo succedesse altrove probabilmente lo fareste. Insomma, questa è una domanda che nel corso degli anni ho probabilmente sollevato tante, tante volte in questa stanza.

Patel ha semplicemente risposto che gli Stati Uniti “auspicano il pieno rispetto dei diritti umani in Israele, in Cisgiordania e a Gaza”.

Post scriptum: in seguito alla morte di Rayyan, oggi la Federazione americana di Ramallah, Palestina [ong americana che si occupa di questioni relative alla Palestina, ndt.],ha reso pubblica una richiesta per un’indagine del governo degli Stati Uniti su come vengono utilizzati gli aiuti statunitensi:

La tragica morte di Rayyan dimostra le devastanti conseguenze del contesto iper- militarizzato in cui vivono i bambini palestinesi e le ripercussioni della presenza dei soldati israeliani nelle comunità palestinesi…

L’amministrazione Biden e i membri del Congresso devono garantire che gli aiuti a Israele aderiscano alla legge statunitense in vigore, che stabilisce che i Paesi che ricevono aiuti statunitensi debbano soddisfare gli standard sui diritti umani o altrimenti affrontare sanzioni o essere ritenuti non idonei a ricevere aiuti…

Inoltre, la Federazione chiede ai nostri membri del Congresso di intraprendere un’azione immediata per difendere la vita dei minori e delle famiglie palestinesi e perché venga approvata la HR2590: The Defending Human Rights of Palestine Children and Families Living Under Israeli Occupation Act [Legge per la difesa dei diritti umani dei minori e delle famiglie palestinesi che vivono sotto l’occupazione israeliana], [proposta di legge] presentata dalla deputata Betty McCollum, che cerca di garantire che i fondi dei contribuenti statunitensi non vengano utilizzati dal governo israeliano per la detenzione militare di minori palestinesi, la demolizione di case e proprietà palestinesi o per annettere ulteriori territori palestinesi in violazione del diritto internazionale.

È ormai tempo che Israele sia ritenuto responsabile dei suoi crimini contro i palestinesi, compresi i minori…

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Gli Stati Uniti chiedono un’indagine sulla morte nella Cisgiordania occupata di un bambino palestinese di 7 anni

YUMNA PATEL – 30 settembre 2022 

Mondoweiss

La famiglia di Rayan Suleiman afferma che il cuore del bambino di sette anni si è fermato e che è crollato a terra mentre scappava terrorizzato dai soldati israeliani che avevano fatto irruzione nella sua casa alla ricerca di presunti “lanciatori di pietre”.

Un bambino palestinese di sette anni è morto giovedì; il suo cuore si è fermato, verosimilmente per essere stato inseguito e terrorizzato dai soldati israeliani che facevano irruzione nella sua casa.

Rayan Yasser Suleiman, 7 anni, è stato dichiarato morto giovedì pomeriggio all’ospedale governativo di Beit Jala, poco dopo aver perso i sensi vicino alla sua casa nella città di Tuqu’, nella parte meridionale della Cisgiordania occupata.

La famiglia di Rayan afferma che il suo cuore si è fermato e che è crollato a terra mentre scappava per la paura dai soldati dell’esercito israeliano che stavano facendo irruzione nella sua casa alla ricerca di presunti “lanciatori di pietre” in città.

“Ieri i soldati israeliani hanno detto che nel villaggio alcuni bambini hanno lanciato pietre contro di loro”, ha riferito a Mondoweiss Muhammad Adel Suleiman, 27 anni, cugino di Rayan, poche ore dopo che il piccolo è stato sepolto nel villaggio.

Muhammad dice che non stava succedendo nulla nel villaggio in quel momento, “nessuno scontro, niente”, quando i soldati israeliani hanno fatto irruzione nelle case della città, sostenendo che fossero stati lanciati sassi contro di loro da alcuni ragazzi del posto.

“Hanno fatto irruzione nel villaggio e hanno iniziato a cercare i bambini nelle case”, ha raccontato Muhammad. “Hanno perquisito alcune case prima di venire a ispezionare quella di Rayan, dopo averlo visto con i fratelli vicino a casa. Rayan era il più giovane di tre: Ali di 8 e Khalid di 10.

“I soldati si sono avvicinati alla casa e hanno iniziato a bussare con violenza alla porta”, ha detto Mohammad sottolineando che in quel momento tutti e tre i ragazzi erano all’interno della casa. I soldati avrebbero voluto arrestare Ali e Khalid, sostenendo che avessero lanciato pietre contro i soldati.

“Mio zio ha cercato in tutti i modi di impedire ai soldati di prendere i bambini, e si sono sentite urla in tutta la casa”, dice Mohammad. “Rayan è uscito dalla sua stanza per vedere cosa stava succedendo, e quando i soldati lo hanno visto hanno iniziato a urlare anche contro di lui”.

Mohammad racconta che Rayan si è spaventato e ha iniziato a correre per la casa mentre i soldati lo inseguivano nel tentativo di catturarlo. Terrorizzato, Rayan è corso in strada, dove è crollato a terra.

“Ho sentito alcune persone urlare, quindi sono uscito per vedere cosa stava succedendo”, ha detto Muhammad, che vive alla porta accanto.

Qualcuno diceva che un bambino era caduto da casa mentre l’esercito lo inseguiva. Quando ho visto Rayan sdraiato per strada, l’ho preso in braccio e poi gli ho tolto i vestiti per controllare se era ferito, ma non ho visto né sangue né ferite”, ha detto Muhammad, trascurando le prime voci secondo cui Rayan era caduto e morto per la caduta.

“Era privo di sensi, ho cercato di svegliarlo versandogli dell’acqua in faccia”, ha detto Mohammad. “Ho provato a muovergli il viso e poi le mani, ma il corpo era inerte e non si muoveva”.

La famiglia ha portato d’urgenza Rayan all’Ospedale Governativo di Beit Jala, dove poco dopo è stato dichiarato morto. I medici hanno detto alla famiglia che era morto a causa di un infarto.

“Ora nel villaggio, dopo il martirio di Rayan, in tutti aleggia un sentimento di tristezza, rabbia e odio”, dice Mohammad, aggiungendo che la madre di Rayan è stata portata in ospedale diverse volte da quando suo figlio è morto, e il padre di Rayan è sotto shock e rifiuta di parlare con chiunque.

Il mio messaggio al mondo è che vogliamo solo vivere in sicurezza e pace. Pace e sicurezza per i bambini”.

Richieste indagini

A seguito della notizia della morte di Rayan l’esercito israeliano ha rilasciato una dichiarazione secondo cui “l’indagine iniziale non mostra alcun collegamento tra le ricerche delle Forze israeliane nell’area e la tragica morte del bambino”, ha riferito Reuters.

Gli articoli sui media israeliani, sia su Haaretz che The Times of Israel, hanno citato fonti dell’esercito e della sicurezza israeliane che sostengono che i soldati avrebbero interrogato i genitori dei ragazzi “senza che i bambini fossero presenti”. Le fonti affermano anche che non avrebbero inseguito Rayan.

Giovedì durante una conferenza stampa il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha affermato di “auspicare un’indagine approfondita e immediata sulle circostanze intorno alla morte del bambino” e che “si spezza il cuore nell’apprendere della morte di un bambino palestinese innocente”.

“Come il presidente Biden e il segretario Blinken hanno ripetuto numerose volte, palestinesi e israeliani meritano entrambi di vivere in modo sicuro e di godere di uguali misure di libertà e prosperità”, ha affermato il portavoce.

Anche il rappresentante della UE in Cisgiordania, striscia di Gaza e UNRWA ha rilasciato dichiarazioni simile, affermando di essere rimasto “scioccato dalla tragica morte” di Rayan. “Secondo il diritto internazionale, i bambini godono di una protezione speciale. Le circostanze di questo incidente devono essere rapidamente e completamente indagate dalle autorità israeliane al fine di assicurare i colpevoli alla giustizia”.

Anche il Consolato Generale del Regno Unito a Gerusalemme ha fatto eco alla richiesta di un’indagine sulla morte di Rayan.

Brad Parker, Avvocato Senior e Consulente Politico di Defense for Children International Palestine (DCIP) [ONG internazionale impegnata nella difesa e promozione dei diritti del fanciullo, ndr.], ha dichiarato a Mondoweiss che “i bambini palestinesi nella Cisgiordania occupata vivono in un contesto iper-militarizzato in cui le forze israeliane uccidono, detengono illegalmente e torturano impunemente i bambini”.

Le forze israeliane non conoscono limiti nel tentativo di controllare una popolazione palestinese sotto occupazione estremamente giovane attraverso intimidazioni, minacce, incursioni notturne, punizioni collettive e instillando paura. Le norme internazionali sui diritti dell’infanzia e le stesse leggi israeliane vietano l’arresto e il perseguimento di un bambino di sette anni, ma i soldati israeliani pesantemente armati ignorano palesemente questo fatto, inseguendo e trattenendo regolarmente i bambini palestinesi, incutendo loro paura e assicurandosi che non abbiano spazi sicuri per crescere bene e in salute”, ha affermato Parker.

Secondo DCIP, dall’inizio dell’anno 22 minori palestinesi sono stati uccisi da soldati e coloni israeliani nella Cisgiordania occupata.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




In vista delle elezioni italiane Israele non si tocca

Elisa Brunelli 

23 settembre 2022 –  Mondoweiss

In nome di interessi energetici e militari, i partiti politici italiani sia di destra che di sinistra censurano la solidarietà con la Palestina.

“Credi di più nell’esistenza di Israele o degli alieni?”

Era solo un tweet di Raffaele La Regina, giovane candidato del Partito Democratico italiano.

Il tweet è stato pubblicato la prima volta nel 2020, passato in gran parte inosservato, fino a quando Il Giornale, il quotidiano di destra di proprietà della famiglia Berlusconi, lo ha ripescato il mese scorso. Ha innescato una tempesta di polemiche nel discorso politico italiano in vista delle imminenti elezioni generali, previste per il 25 settembre.

Proprio dalle fazioni italiane di destra sono nate le maggiori reazioni di condanna, persino dalle fila di Fratelli d’Italia, che solo pochi giorni dopo è stato coinvolto in una polemica quando uno dei suoi candidati, già su posizioni neofasciste, ha fatto una battuta sull’Olocausto.

Anche il Partito Democratico ha incolpato il suo candidato per il tweet. Il 20 agosto La Regina, 29 anni, è stato costretto a scusarsi in una conferenza stampa per aver scritto anni prima dei tweet in cui denunciava l’occupazione illegale e violenta di Gerusalemme durante la Guerra dei Sei Giorni ed esprimeva solidarietà al popolo palestinese.

«Erano parole sbagliate. Non ho mai messo in discussione Israele come Stato e il suo diritto ad esistere”, ha detto sotto lo sguardo severo di Enrico Letta, ex presidente del Consiglio e segretario nazionale.

Nonostante le scuse, gli attacchi della destra non sono cessati e il Pd ha preferito chiedere a La Regina di abbandonare la corsa alle elezioni.

L’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini è andato oltre, dimostrando di seguire ancora le orme di Donald Trump: “Quando sarò al governo, riconoscerò Gerusalemme come capitale e vi sposterò l’ambasciata da Tel Aviv”, ha promesso in un’ intervista con Israel HaYom.

Il segretario della Lega, insieme a Silvio Berlusconi, fa parte della coalizione di destra, data fin dall’inizio come vincitrice di queste elezioni e ora guidata da Giorgia Meloni. Tuttavia la leader di Fratelli d’Italia mostra più cautela e ambiguità nelle sue dichiarazioni, soprattutto per quanto riguarda un possibile trasferimento dell’ambasciata italiana a Gerusalemme.

Giorgia Meloni ormai da molti mesi compie un’operazione di pulizia e prende le distanze dagli elementi più compromettenti del suo partito, nato dalle ceneri del Movimento Sociale Italiano, partito fondato da un ufficiale fascista e collaboratore dei nazisti, Giorgio Almirante.

Da un lato Meloni non può permettersi di scontentare il suo tradizionale elettorato razzista e nostalgico del nazismo, ma dall’altro, dopo diversi anni trascorsi all’opposizione, ha bisogno ora di affermarsi come interlocutrice credibile a livello nazionale e internazionale — e cambiare il suo atteggiamento nei confronti di Israele e della sua politica sarà un passaggio importante per raggiungere quello scopo.

Sulla posizione di Meloni basti vedere come è cambiata la sua reazione ai massacri di civili nella Striscia di Gaza. Nel 2014, durante l’Operazione Margine di Protezione, Meloni pubblicava sui canali social: “Un’altra strage di bambini a Gaza. Nessuna causa è giusta quando versa il sangue di innocenti”.

Il tono utilizzato nelle dichiarazioni pubbliche durante l’aggressione del 2021 è stato significativamente diverso. Fu allora che per la Meloni si prospettò la possibilità di governare, essa stessa prodotto dell’ennesima crisi del precedente esecutivo. “Il lancio dei razzi di Hamas contro Gerusalemme, Ashkelon e altre città è un attacco alla sicurezza di Israele che deve essere condannato senza se e senza ma”, scrisse Meloni, cambiando tono.

Dopo aver ignorato l’ultimo massacro di agosto, ha finalmente dichiarato in una dettagliata intervista su Israel HaYom: “Israele rappresenta l’unica democrazia a tutti gli effetti nell’intero Medio Oriente e difendiamo senza riserve il suo diritto di esistere e vivere in sicurezza. Credo che l’esistenza dello Stato di Israele sia vitale e Fratelli d’Italia farà ogni sforzo per investire in una maggiore cooperazione tra i nostri Paesi”.

La benedizione di Israele

L’aggressione della Russia contro l’Ucraina e la necessità dei paesi europei di ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas da Mosca sono solo gli ultimi motivi per cui chi governa, o si prepara a governare in Italia, ha tanto bisogno di compiacere Israele, facendo di qualsiasi forma di solidarietà con i palestinesi un tabù.

Nel tentativo di sostituire le forniture di gas russe, Bruxelles ha trovato nuovi alleati in Israele ed Egitto con la firma dell’ultimo memorandum d’intesa. Anche la missione di giugno del premier Mario Draghi aveva questo obiettivo. All’ordine del giorno c’è anche l’ipotesi di completare il gasdotto EastMed, progetto da sei miliardi di euro annunciato nel 2020 con un accordo firmato tra Cipro, Grecia e Israele per la realizzazione di un gasdotto di 1.900 chilometri che potrebbe arrivare in Italia tramite il gasdotto Poseidon [il tratto Grecia-Italia di EastMed, ndt.]

L’Italia ha bisogno di diversificare le proprie fonti energetiche e, nello stesso tempo, Israele ha bisogno di accreditarsi sui mercati internazionali. Questo è quanto mi ha fatto notare il giornalista e scrittore Antonio Mazzeo quando l’ho intervistato per questo articolo: “In questo momento, Italia ed Europa guardano a Israele non solo perché fiutano buoni affari, ma soprattutto per il ruolo di gendarme che ha nel Mediterraneo orientale, fondamentale per il controllo degli approvvigionamenti energetici”.

Gli interessi reciproci da entrambe le sponde del Mediterraneo non si limitano alla crisi energetica, ma hanno origine molto prima.

L’Italia, in particolare, ha seguito Israele da vicino sin dalla sua creazione, e nel mercato delle armi sono state costruite le basi di un partenariato grondante sangue e denaro.

Il primo carico di armi italiano risale al 1947, e ha contribuito alla guerra che diede inizio all’occupazione dei territori palestinesi: “Da allora, più Israele bombarda, più affari fa l’Italia”, ha detto Mazzeo. “Nessun governo ha mai fatto problema per accordi da milioni di dollari con uno Stato belligerante: non solo tra Gaza e la Cisgiordania, ma in vere e proprie operazioni di guerra in Libano, Siria e Iran”.

Nonostante una legge italiana del 1990 vieti la vendita di armi a Stati responsabili di violazioni dei diritti umani, Leonardo e Fincantieri, i due colossi nazionali della produzione militare, continuano a firmare accordi multimiliardari con paesi colpevoli di crimini di sangue: in questo corso, Israele ha il privilegio di una propria corsia preferenziale.

Ignorando le decine di condanne ONU contro Israele, tutti i governi italiani uno dopo l’altro hanno continuato a rafforzare questa fatale collaborazione.

Il 23 luglio, pochi giorni prima dell’ultima aggressione a Gaza, quattro cacciabombardieri F-35 dell’Aeronautica Militare Italiana sono stati inviati nel deserto del Negev per prendere parte all’esercitazione “Lightning Shield” con il 122° Squadrone Nachshon, una delle unità più avanzate e specializzate di guerra elettronica nel mondo e già impiegate da Israele durante gli attacchi in Siria.

Anche i caccia M-346, con i quali sono attualmente addestrati i piloti dell’Aeronautica Militare israeliana, sono prodotti da Leonardo Spa, che fornisce anche le forze armate turche dei micidiali elicotteri T129 Atak utilizzati per le stragi nei villaggi del Kurdistan e per gli attacchi alle postazioni delle milizie YPG e YPJ [sigle di Unità di Protezione Popolare maschile e femminile, presenti nelle regioni a maggioranza curda nel nord della Siria, ndt.]

Non bisogna dimenticare che gli F35 venduti a Israele da Leonardo possono trasportare testate nucleari: solo pochi mesi fa Israele ha simulato un attacco nucleare in Iran con i nostri F35”, ricorda Mazzeo.

E poi l’Italia investe ingenti risorse nelle tecnologie satellitari prodotte da Israele. “Prima di formalizzare le sue dimissioni, il governo Draghi ha anche concluso un accordo con le industrie militari israeliane”, ha rilevato Mazzeo. “L’accordo prevedeva l’acquisto di due sofisticati aerei da guerra in un quadro di intelligence per un valore di circa 550 milioni di dollari, gravando le generazioni future con debiti di guerra”.  

Le importazioni e le esportazioni di armi, tuttavia, non sono solo affari, ma autentiche scelte politiche: nel 2021 l’Unione Europea ha registrato un record storico di esportazioni effettive di quasi 4,8 miliardi di euro e il più alto numero di missioni internazionali mai raggiunto, pari a 44 (5 in più rispetto all’anno precedente), tutte in posizioni strategiche di interesse energetico o militare.

Non solo cliente

Israele, oltre ad essere un cliente importante, rappresenta un modello da seguire. Già nel 2011 potenti radar a microonde prodotti negli stabilimenti dell’occupazione sono stati installati all’interno di parchi e riserve naturali del sud Italia per contrastare gli sbarchi di migranti. La direzione è la stessa delle agenzie europee FRONTEX ed European Maritime Safety Agency. Il Comitato Nazionale BDS ha riferito come i droni militari utilizzati durante i massacri di Gaza vengano ora utilizzati per rilevare e attaccare i migranti.

Un ulteriore passo è stato fatto lo scorso giugno. Leonardo ha acquisito RADA Electronic Industries Ltd, la società israeliana leader nella fornitura di software e radar militari ad alta tecnologia. La società italiana ha annunciato che la sua controllata statunitense, Leonardo DRS [Drug Reduction System, sistema di riduzione della resistenza aerodinamica per aumentare la velocità, ndt.] e RADA hanno stipulato un accordo definitivo per creare una società per azioni di nuova fusione, in cambio dell’assegnazione agli attuali proprietari di RADA di circa il 19,5% di Leonardo DRS.

Si direbbe quindi che la macchina da guerra israeliana sia penetrata con successo in un apparato militare e politico straniero. Allo stesso tempo l’Italia mantiene importanti relazioni con Stati come Iran, Qatar, Turchia e Pakistan.

Il pretesto finale è isolare Putin per la sua condotta criminale, ma in questo modo l’Italia continua a rafforzare le relazioni con Paesi con enormi contraddizioni sul rispetto dei diritti umani.

Allo stesso tempo, la stessa Italia continua a perseguire politiche estrattive controverse nel continente africano attraverso la sua società per azioni Eni, che ha devastato il delta del Niger, o attraverso la sua recente missione militare in Mozambico a difesa degli interessi energetici, solo per citarne alcuni.

L’Italia fa affari anche con i propri nemici. Ma dopotutto, anche questo fa parte del modello israeliano.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Nuove prove emergono della deliberata intenzione di Israele di uccidere Shireen Abu Akleh, e la famiglia presenta una denuncia alla Corte Penale Internazionale

DAVID KATTENBURG

  20 settembre 2022 ,Mondoweiss

Una nuova analisi forense dimostra che Shireen Abu Akleh è stata “deliberatamente e ripetutamente presa di mira” da un cecchino militare israeliano che prendeva “la mira con precisione e cura”.

Shireen Abu Akleh è stata “deliberatamente e ripetutamente presa di mira” da un cecchino militare israeliano lo scorso maggio mentre effettuava un reportage su un raid dell’esercito israeliano all’ingresso del campo profughi di Jenin, un cecchino che prendeva una”mira precisa e accurata”.

Questo è uno dei risultati inediti di un’indagine congiunta della britannica Forensic Architecture [gruppo di ricerca multidisciplinare che utilizza tecniche e tecnologie architettoniche per indagare su casi di violenza di Stato e violazioni dei diritti umani, guidato dall’arch. Eyal Weizman, ndt.] e del Dipartimento di Monitoraggio e Documentazione dell’organizzazione palestinese per i diritti umani Al Haq, presentata questa mattina alla Corte penale internazionale nella capitale olandese L’Aia.

Questi risultati, basati in parte su filmati inediti girati sulla scena da un cameraman di Al Jazeera, sono stati esposti a un piccolo gruppo di giornalisti a seguito della presentazione di una denuncia alla CPI da parte degli avvocati della famiglia di Abu Akleh e di due giornalisti palestinesi che erano accanto a lei quel giorno.

L’attacco dei cecchini israeliani ha comportato tre distinte sequenze di spari, per un totale di sedici colpi destinati a Shireen, ai suoi colleghi e a un civile che cercava di fornire assistenza medica”, ha rivelato l’Unità Investigativa Forensic Architecture-Al Haq (FAI).

“Tutti i colpi sono stati sparati col fucile a spalla ed erano destinati a uccidere”.

Forensic Architecture, con sede presso la Goldsmiths University di Londra, è specializzata nella “ricostruzione spaziale di siti e scene di violenza di Stato”. La sua analisi della morte di Abu Akleh – descritta come un “omicidio mirato” – si basa su più video registrati da palestinesi insieme ad altre prove.

Secondo il rapporto FAI, letto da un documento scritto, “non c’erano altre persone presenti lì tra [Abu Akleh e i suoi colleghi] e il convoglio di veicoli militari al momento dell’incidente”, “nessun colpo … proveniva dalle vicinanze dei giornalisti” e “gli unici colpi sparati nei tre minuti precedenti la sparatoria di Shireen provenivano dalla posizione delle forze di occupazione israeliana”.

Il rapporto FAI di questa mattina rivela anche che, mentre tentava di fornire aiuto alla veterana giornalista di Al Jazeera, “un civile sulla scena veniva colpito da colpi di arma da fuoco ogni volta che tentava di avvicinarlesi” e “di conseguenza [le forze di occupazione israeliane] hanno deliberatamente negato assistenza medica a Shireen dopo averle sparato”.

L’analisi del campo visivo che simula ciò che il cecchino dell’IDF avrebbe visto “mostra che i giornalisti erano chiaramente identificabili come tali”, conclude la FAI.

“I colpi sono stati sparati solo quando i giornalisti e poi un civile sono entrati nel campo visivo dell’assassino delle forze di occupazione israeliane”.

Appello alla Corte Penale Internazionale

Nessuno di questi dettagli forensi è contenuto nella denuncia consegnata alla Corte Penale Internazionale questa mattina. Invece il testo di oggi, presentato da una coppia di avvocati della società britannica Doughty Chambers [gruppo di avvocati di fama internazionale con una reputazione di eccellenza, ndt.], riassume i resoconti dei testimoni oculari e fornisce argomenti legali per intraprendere un’indagine completa sull’omicidio di Abu Akleh.

“Esistono motivi ragionevoli per sospettare che siano stati commessi crimini di guerra”, nel contesto di un più ampio “attacco sistematico” ai giornalisti palestinesi da parte delle forze di occupazione israeliane, affermano le dichiarazioni depositate oggi alla CPI.

La denuncia di 25 pagine è stata consegnata a un membro dello staff della CPI che non si è identificato al team legale, gli avvocati di Doughty Chambers Jennifer Robinson e Tatyana Eatwell. Non erano presenti né il procuratore capo Karim Khan né il vice procuratore Nazhat Shameen Khan (che non sono parenti).

La denuncia di oggi è stata presentata a nome del fratello di Shireen Abu Akleh, il cinquantanovenne Anton Abu Akleh, e di due colleghi di Shireen: il giornalista palestinese Ali Samoudi, colpito alla spalla quel giorno mentre si trovava vicino ad Abu Akleh, e Shatha Hanaysha, una reporter ventinovenne per il sito web di notizie Ultra Palestine e collaboratrice di Mondoweiss, anch’ella vicino ad Abu Akleh quando il cecchino israeliano l’ha uccisa sparandole.

Samoudi, Hanaysha e la famiglia di Abu Akleh sono sostenuti dal Sindacato dei Giornalisti Palestinesi, dal Centro Internazionale di Giustizia per i Palestinesi e dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti.

Tatyana Eatwell ha detto a Mondoweiss che gli avvocati sperano di essere ricevuti presso l’Ufficio del procuratore della CPI nelle “prossime settimane” per presentare prove forensi e testimonianze che portino al perseguimento dei responsabili della morte di Shireen Abu Akleh e di altri giornalisti palestinesi,.

“Stiamo offrendo loro la nostra collaborazione, al fine di assisterli in questa indagine”.

“Questo caso, e gli altri casi di giornalisti uccisi o mutilati dalle forze israeliane, rientrano esattamente nella giurisdizione della Corte e richiedono un’indagine da parte della Corte Penale Internazionale”, ha detto Tatyana Eatwell ai giornalisti riuniti alla CPI questa mattina.

“Non c’è quasi nessuna prospettiva di una qualche indagine penale su questi fatti da parte delle autorità nazionali”.

Una denuncia più ampia redatta dal team di Doughty Street Chambers, consegnata alla CPI il 16 aprile – tre settimane prima dell’uccisione di Abu Akleh – chiedeva alla CPI di indagare sul “prendere sistematicamente di mira, mutilare e uccidere giornalisti e distruggere le infrastrutture dei media in Palestina”.

Nella denuncia di aprile erano citati quattro giornalisti palestinesi. Yaser Murtaja e Ahmed Abu Hussein sono stati colpiti da cecchini israeliani nell’aprile 2018 mentre seguivano le proteste della Grande Marcia del Ritorno a Gaza. Entrambi sono morti per le ferite riportate. Nedal Eshtayeh e Muath Amarneh hanno perso la vista mentre documentavano le proteste rispettivamente nel 2015 e alla fine del 2019. Tutti e quattro quando sono stati colpiti indossavano giubbotti stampa.

La denuncia di aprile e quella odierna sono state depositate ai sensi dell’articolo 15 dello Statuto di Roma, che incarica il procuratore capo della CPI di avviare indagini di propria iniziativa (motu proprio) se esiste una base ragionevole per farlo. In teoria, il permesso ufficiale a procedere deve poi essere concesso dalla Camera Istruttoria della Corte.

L’ufficio del procuratore capo Karim Khan ha ammesso di aver ricevuto la denuncia di aprile, ma non ha specificato se la denuncia sarà o meno seguita da indagine, ha detto a Mondoweiss Tatyana Eatwell.

Ciò detto, entrambe le denunce sono attinenti alla più ampia indagine sulla Palestina annunciata all’inizio di marzo 2021 dall’allora procuratore capo Fatou Bensouda.

Nelle parole di Bensouda, l’indagine sulla Palestina – una delle diciassette “situazioni” attualmente oggetto di indagine da parte della CPI – interessa “tutti i fatti e le prove rilevanti per valutare se vi sia responsabilità penale individuale ai sensi dello Statuto [di Roma]”.

“L’accusa potrà ampliare o modificare l’indagine”, aveva scritto Bensouda, “solo se i casi individuati per l’accusa sono sufficientemente collegati alla situazione. In particolare, la situazione in Palestina è tale che si suppone continuino a essere commessi crimini”.

Le indagini della CPI mirano a identificare “i presunti colpevoli più efferati o quelli che si presume siano i maggiori responsabili dell’esecuzione dei crimini”.

Una cultura dell’impunità

Israele non ha identificato il cecchino israeliano che ha sparato a Shireen Abu Akleh e ferito Ali Samoudi l’11 maggio, né la loro unità o il comandante.

In seguito all’annuncio da parte del governo degli Stati Uniti dell’esame del proiettile che ha ucciso Shireen Abu Akleh, il team legale di Doughty Street ha chiesto di poter accedere a questi e ad altri risultati. Richieste simili sono state presentate al governo di Israele e all’Autorità Nazionale Palestinese. Nessuna informazione è stata fornita.

Nel suo rapporto del febbraio 2019 al Consiglio per i Diritti Umani, la Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta sulle proteste nei Territori Palestinesi Occupati ha concluso che ci siano “ragionevoli motivi per ritenere che i cecchini israeliani avessero sparato intenzionalmente ai giornalisti, nonostante avessero chiaramente visto che erano contrassegnati come tali”.

“C’è tutta una cultura di impunità per questi atti all’interno delle forze di sicurezza israeliane. Ed è proprio per questo che è molto importante che la Corte Penale Internazionale, in quanto autorità internazionale indipendente, indaghi su questi casi”, ha detto Tatyana Eatwell a Mondoweiss poco dopo la denunzia di aprile alla CPI sua e del collega avvocato Jennifer Robinson.

Le vittime hanno diritto a questo; è ciò che stanno chiedendo, un’indagine”.

Anton Abu Akleh, il fratello maggiore di Shireen, ha parlato questa mattina con i giornalisti davanti alla sede della CPI.

“L’amministrazione Biden non è finora riuscita ad avviare un’indagine, nonostante le richieste di oltre ottanta membri del Congresso degli Stati Uniti”, ha detto Abu Akleh.

Oltre ad essere cittadina statunitense, Shireen era anche fiera di essere palestinese ed è stata uccisa a sangue freddo da un soldato israeliano. Sembra che il motivo per cui il suo caso non è diventato una priorità per il governo degli Stati Uniti è per via di chi era e da chi è stata uccisa. Non c’è mistero su cosa sia successo a Shireen. Fatta eccezione per il nome e l’identità del suo assassino… Abbiamo bisogno di un’indagine degli Stati Uniti e della CPI per far sì che Israele ne risponda… la nostra famiglia non dovrebbe dover aspettare nemmeno un giorno in più per avere giustizia”.

David Kattenburg è insegnante universitario di scienze e giornalista radiofonico/web e vive a Breda, nel Brabante settentrionale, Paesi Bassi.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Pur migliorate, le restrizioni israeliane sui viaggi in Cisgiordania impongono ancora ai visitatori di segnalare relazioni con i palestinesi

Yumna Patel

5 settembre 2022 – Mondoweiss

Sottoposto a pressioni, Israele ha rivisto un elenco di restrizioni draconiane nei confronti degli stranieri in Cisgiordania, ma sempre con la stessa finalità: l’isolamento della società palestinese.

In seguito a pressioni da parte delle autorità politiche statunitensi e europee il governo israeliano ha sottoposto a revisione un elenco di restrizioni draconiane all’ingresso di stranieri nella Cisgiordania occupata, sebbene le organizzazioni per i diritti umani affermino che i regolamenti continuano ad avere la stessa finalità: ingegneria demografica e isolamento nei riguardi della società palestinese

Le restrizioni emendate sono state rese pubbliche domenica sera dal COGAT – l’organismo militare israeliano responsabile dell’attuazione della legge israeliana nei Territori palestinesi occupati – con un documento di 90 pagine dal titolo “Procedure per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nell’area di Giudea e Samaria”, riferendosi al nome biblico usato da Israele per la Cisgiordania.

Le nuove “procedure” del COGAT erano state pubblicate all’inizio di quest’anno, dando luogo ad un’estesa condanna, e inizialmente avrebbero dovuto entrare in vigore a maggio, ma sono state rinviate più volte a causa del ricorso legale dell’organizzazione israeliana per i diritti umani Hamoked.

Le restrizioni emendate pubblicate domenica hanno fatto retromarcia su alcune delle norme più ampiamente criticate, come una precedente disposizione in base alla quale gli stranieri che intrattengano rapporti sentimentali con palestinesi debbano informare le autorità israeliane entro 30 giorni dall’inizio di tale relazione.

Nel nuovo documento è stata anche rimossa una clausola iniziale secondo cui i coniugi stranieri di palestinesi sposati da 27 mesi devono lasciare la Cisgiordania, abbandonando il coniuge e i figli, e trascorrere sei mesi fuori dal territorio per unafase di riflessione”.

È stato inoltre eliminato un limite precedentemente stabilito al numero di studenti e insegnanti stranieri che possono iscriversi alle istituzioni accademiche palestinesi, sebbene siano rimaste le pesanti restrizioni all’ingresso in Cisgiordania nei confronti di studenti e insegnanti stranieri, nonché uomini d’affari stranieri e palestinesi con doppia cittadinanza provenienti dall’estero e in visita nel territorio.

Le nuove regole entreranno in vigore il 20 ottobre e, pare in seguito a pressioni da parte di funzionari statunitensi, saranno sottoposte ad un “periodo di prova” di due anni durante il quale sarà ancora possibile apportare modifiche al regolamento.

Hamoked, l’organizzazione israeliana che ha presentato un ricorso in tribunale contro la normativa, ha affermato che le attuali modifiche costituiscono per lo più dei “cambiamenti estetici”.

“Sono state rimossi dal regolamento alcuni degli aspetti più scandalosi, ma il problema di fondo rimane”, ha sostenuto Hamoked su Twitter.

Israele impedirà a migliaia di famiglie di vivere insieme per ragioni palesemente politiche; l‘esercito israeliano si prende il diritto di gestire anche nei dettagli la società palestinese, interferendo anche con la libertà accademica delle università palestinesi”, afferma l’organizzazione, aggiungendo che continuerà la sua sfida giudiziaria contro il regolamento.

Il significato della revision

Sebbene dal nuovo documento siano state eliminate alcune clausole, come il termine di 30 giorni per notificare al governo una relazione intima con un palestinese, molte delle restrizioni sono rimaste in vigore.

Nella sua nuova versione la normativa ribadisce che se uno straniero inizia una relazione con un palestinese, “il funzionario del COGAT incaricato deve ottenere tale informazione nell’ambito della richiesta di rinnovo o prolungamento del permesso di soggiorno preesistente“.

Inoltre i coniugi dei palestinesi hanno ancora diritto solo a permessi di breve durata che vengono rinnovati – o negati – a discrezione del funzionario COGAT incaricato. Il COGAT si riserva inoltre il diritto di richiedere un deposito fino a 70.000 shekel (~20.000 euro) per garantire che il coniuge straniero lasci il territorio nel caso o nel momento in cui il permesso venga a scadere o venga negato.

In linea con la prassi preesistente, le nuove regole stabiliscono che anche i coniugi stranieri di palestinesi titolari di un documento d’identità della Cisgiordania saranno relegati in Cisgiordania, saranno tenuti a viaggiare attraverso il ponte King Hussein (Allenby) attraverso la Giordania e non potranno viaggiare utilizzando l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, a meno che non ricevano un permesso speciale.

Le stesse regole si applicano ai titolari di passaporto straniero che desiderano visitare la famiglia in Cisgiordania.

Come in base alle disposizioni iniziali, i palestinesi-americani e gli altri palestinesi di nazionalità straniera che desiderino recarsi nella Cisgiordania occupata per visitare la famiglia dovranno comunque richiedere al COGAT un’autorizzazione anticipata e saranno tenuti a rivelare le informazioni personali sui parenti che hanno in programma di visitare, insieme ai dati su qualsiasi terreno di cui siano in possesso o che stiano per ereditare all’interno della regione.

Le nuove normative sembrano offrire una misura positiva per i coniugi stranieri, a cui sarebbe concesso di richiedere permessi a lungo termine rinnovabili (27 mesi), che includono più visite dentro e fuori il territorio, cosa attualmente proibita.

Ma anche queste nuove opzioni richiederanno lunghe procedure per le richieste che, coinvolgendo l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), saranno comunque soggette all’approvazione finale da parte di Israele.

Nel complesso, le norme conferiscono ancora al COGAT il potere discrezionale di determinare chi sarà autorizzato a entrare e soggiornare in Cisgiordania, inclusi lavoratori stranieri, volontari, uomini d’affari, amici e familiari di palestinesi, studenti e insegnanti.

Nessuno dei regolamenti COGAT si applica agli stranieri che visitano gli insediamenti illegali ebraico-israeliani in Cisgiordania per motivi di viaggio, studio, lavoro o per avere una relazione intima con un ebreo israeliano.

A giugno Ahmed Abofoul, un avvocato dell’organizzazione palestinese per i diritti umani Al-Haq, ha discusso con Mondoweiss della normativa, descrivendola come “apartheid in atto”.

È una forma di dominazione molto pericolosa e palese“, afferma Abofoul, aggiungendo che “Israele si rende conto che le visite di stranieri nei territori occupati mettono in evidenza [davanti al mondo] le politiche di apartheid di Israele, questa solidarietà con i palestinesi sta danneggiando Israele sul palcoscenico internazionale, e gli israeliani non vogliono che ciò accada”.

L’ambasciatore degli Stati Uniti esprime “preoccupazione”

Dopo mesi di relativo silenzio da parte dell’amministrazione Biden sulla nuova normativa, domenica l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele Tom Nides ha rilasciato una dichiarazione in cui ha espresso alcune sue “preoccupazioni” sui protocolli resi pubblici.

“Da febbraio l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, l’Ufficio per gli affari palestinesi degli Stati Uniti e io ci siamo decisamente confrontati con il governo di Israele su questi progetti normativi – e continueremo a farlo nei 45 giorni precedenti l’attuazione e durante il periodo di due anni di prova”, ha dichiarato Nides.

Continuo a nutrire preoccupazioni per i protocolli resi pubblici, in particolare per quanto riguarda il ruolo del COGAT nel determinare se le persone invitate dalle istituzioni accademiche palestinesi siano qualificate per entrare in Cisgiordania e il potenziale impatto negativo sull’unità familiare.

È importante garantire che tutta questa normativa sia progettata in coordinamento con le principali parti interessate, inclusa l’Autorità Nazionale Palestinese. Mi aspetto che durante il periodo di prova il governo di Israele apporti gli adeguamenti necessari per garantire la trasparenza e il trattamento giusto ed equo di tutti i cittadini statunitensi e degli altri cittadini stranieri che viaggiano in Cisgiordania”, afferma Nides.

Nides non ha rilevato che Israele non ha potere sovrano sulla Cisgiordania e sui suoi abitanti, poiché il territorio è sotto l’occupazione militare israeliana, un’occupazione ampiamente considerata illegale dalla comunità internazionale.

Il governo israeliano ha perseguito per lungo tempo un programma di esenzione dal visto con gli Stati Uniti, che consentirebbe ai cittadini israeliani di recarsi negli Stati Uniti per soggiorni di breve durata senza dover richiedere un visto in ingresso.

Nell’ambito di un programma di esenzione dal visto Israele dovrebbe garantire che i cittadini americani, compresi i palestinesi-americani, ricevano ai confini israeliani un trattamento giusto e paritario, regola che le autorità israeliane sono state a lungo accusate di violare apertamente.

Il Times of Israel [quotidiano israeliano online in lingua inglese, ndt.] ha citato in forma anonima un alto funzionario dell’ambasciata statunitense che avrebbe affermato che i colloqui in corso con Israele su un programma di esenzione dal visto sono due “percorsi paralleli ma separati” rispetto alle restrizioni COGAT.

Queste norme che il COGAT si accinge a promulgare avranno un effetto sui cittadini americani, così come di altri Paesi. Li esamineremo da vicino e continueremo il confronto con il COGAT e altri settori del governo israeliano mentre ci muoviamo lungo il sentiero verso la reciprocità dei visti”, afferma il funzionario.

Il Times of Israel continua citando le parole del funzionario: “I requisiti di reciprocità dell’esenzione dal visto, quando arriveremo a quel punto, sostituiranno alcune di queste norme COGAT che abbiamo qui elencato”, mentre i funzionari statunitensi sarebbero [impegnati] “in una discussione complessa e delicata” con il governo israeliano, anche sulla questione dell'”estensione dei privilegi reciproci a tutti i cittadini statunitensi, compresi i palestinesi-americani”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)