I ragazzi della famiglia Bakr e la cupola di ferro dell’impunità di Israele.

Jonathan Ofir

26 Aprile 2022 – Mondoweiss

La sentenza nel caso dei ragazzi della famiglia Bakr è un’ulteriore prova che Israele non è in grado e non vuole indagare e perseguire soldati e comandanti per crimini di guerra contro i palestinesi.

Il massacro dei quattro ragazzi della famiglia Bakr (di età compresa tra 10 e 11 anni) che stavano giocando a calcio sulla spiaggia di Gaza nel 2014 è uno dei singoli eventi più noti dei 51 giorni di attacco israeliano all’enclave assediata di Gaza.

Due giorni fa un’altra bomba è caduta sulla loro memoria: la bomba dell’impunità, spedita dalla Corte Suprema israeliana.

Domenica un’istanza presentata nel 2020 da tre organizzazioni palestinesi per i diritti umani (Adalah – The Legal Center for Arab Minority Rights in Israel, Al Mezan Center for Human Rights e Palestine Center for Human Rights) per riaprire l’indagine sull’incidente è stata respinta dal tribunale.

La corte ha accolto integralmente le motivazioni del Procuratore Generale (PG), che ha accettato integralmente quelle dell’Avvocato Generale Militare (AGM), secondo cui si trattò solo di un “tragico” errore che non richiedeva l’accertamento di ulteriori responsabilità.

Nella sua sentenza, la Corte Suprema ha concluso che l’uccisione dei ragazzi “non si discostava da quanto consentito dalla legge o dagli ordini dell’esercito” fu messa in atto secondo i principi della “differenziazione” e della “proporzionalità”. Purtroppo non era stato possibile compiere con alcuna accuratezza l’atto di “differenziazione “: “non era stato possibile intraprendere ulteriori atti al fine di verificare i bersagli identificati come sospetti”. Perché sospetti? Perché quella zona della spiaggia era considerata una specie di area militare di Hamas.

La corte ha dimostrato un’estrema comprensione e perdono nei confronti dell’esercito:

Questa corte ha più volte sottolineato l’eccezionalità dell’operazione di combattimento, caratterizzata da un’elevata intensità, che richiede alle forze militari di prendere decisioni rapide sul campo e di correre rischi in condizioni di incertezza.

In base all’unicità di tali circostanze, il tribunale non ha nemmeno ritenuto necessario affrontare le lacune dell’indagine che sono stati segnalate dai ricorrenti, che osservano:

I ricorrenti hanno presentato prove che mostrano ampie lacune nell’indagine condotta dalle autorità investigative israeliane e molte contraddizioni nelle testimonianze e nelle indagini. La Corte, tuttavia, ha stabilito di non vedere alcun motivo per intervenire nella decisione del PG e non ha affrontato la sostanza di nessuno degli argomenti dei ricorrenti in merito alle lacune dell’indagine.

Inoltre vi è un sistematico conflitto di interessi:

La Corte ha anche respinto le argomentazioni di conflitto di interessi dei ricorrenti inerenti al duplice ruolo dell’AGM: l’AGM fornisce consulenza legale all’esercito prima e durante le operazioni militari e, al termine dei combattimenti, decide anche se aprire un’indagine penale e come condurla.

La più totale impunità”

I ricorrenti hanno sostenuto che “in questa sentenza la Corte Suprema concede sostanzialmente la piena licenza all’esercito israeliano di uccidere i civili nella più totale impunità. Piuttosto che valutare le decisioni dei militari durante il combattimento, la Corte ha fornito dichiarazioni generali sull’ampio margine di discrezionalità dell’ AGM e del PG”.

Questo astuto meccanismo di copertura è la ragione addotta da Israele contro [l’apertura di qualsiasi, ndt] procedimento da parte della Corte penale internazionale (CPI). Il mandato della CPI si basa sull’idea di agire quando lo Stato indagato non è in grado o non vuole indagare sulle proprie presunte gravi violazioni. Ma Israele afferma di avere un sistema giudiziario pienamente funzionante.

I ricorrenti:

La sentenza della Corte Suprema israeliana nel caso dei ragazzi della famiglia Bakr è un’ulteriore prova che Israele non è in grado e non vuole indagare e perseguire soldati e comandanti per crimini di guerra contro civili palestinesi. Questo fatto mette in evidenza la pressante necessità di indagini indipendenti ed efficaci per chiamare a rispondere dei propri atti tutti i responsabili. Questo caso illustra chiaramente gli attacchi indiscriminati e letali dell’esercito israeliano contro i civili palestinesi durante la guerra di Gaza del 2014, in cui sono stati uccisi oltre 550 minorenni, e come il sistema legale israeliano si sia adoperato per difendere l’aggressione israeliana e garantire la totale impunità e discrezionalità all’esercito israeliano. Questo caso è un’ulteriore prova della necessità che gli attori internazionali, inclusa la Corte penale internazionale, chiamino a risponderne i leader israeliani.

Sappiamo che Israele non è l’unico a godere di questa impunità. Gli Stati Uniti agiscono più o meno allo stesso modo e hanno un atteggiamento simile nei confronti della CPI, sostenendo che possono occuparsene da soli, quindi la CPI dovrebbe tenersi alla larga. Pertanto si concedono l’impunità per gravi crimini di guerra come nel caso della guerra in Iraq. Ma ora che la Russia ha invaso l’Ucraina, Putin viene rapidamente dichiarato criminale di guerra da Joe Biden (lo stesso che ha votato per l’invasione illegale dell’Iraq). Israele conta sugli Stati Uniti per sostenere la sua impunità. È un grande club di impunità, e finché c’è la Russia da condannare, questa storia, nonostante tutto, non dovrebbe fare troppo rumore.

Raji Sourani, Direttore Generale del Centro palestinese per i diritti umani, ha commentato:

Di recente molti Stati, compresi gli Stati Uniti e i Paesi europei, hanno intrapreso un’azione immediata contro gli attacchi delle forze russe contro i civili ucraini, esprimendo la loro condanna e imponendo sanzioni. Tuttavia, quando le forze israeliane uccidono i palestinesi, quei Paesi continuano a sostenere Israele. Abbiamo l’obbligo di garantire che i figli della famiglia Bakr e tutti i minori, donne, anziani e civili presi di mira e uccisi dalle forze israeliane non vengano dimenticati.

Personalmente non dimenticherò mai le foto di quei bambini nella sabbia con gli arti contorti. Le parole “differenziazione” e “proporzionalità” lacerano quella memoria con un insopportabile stridore di indifferenza, cinismo e insensibilità. È lo stesso per le molte decine di famiglie annientate. Proprio in quell’estate, 142 famiglie di Gaza persero tre o più membri. La giornalista israeliana Amira Hass scrive in “Famiglie annientate”:

La cancellazione di intere famiglie è stata una delle caratteristiche spaventose dell’assalto del 2014. Non si trattava di errori o scelte personali sbagliate da parte di un pilota o di un operatore di droni o di un comandante di brigata. Questa fu una scelta politica.

Anche quando si trattava di combattenti, “alcuni dei combattenti uccisi – vale a dire miliziani delle organizzazioni armate – non sono stati uccisi in battaglia ma nelle stesse circostanze “civili” in cui sono stati uccisi anche i loro parenti: nei loro letti, nelle loro case, durante il pasto dell’interruzione del digiuno, nei loro quartieri residenziali”, riferisce Hass. “Le azioni sistematiche e il silenzio mostrano entrambi che Israele trova ‘legittimo’ e ‘proporzionale’ uccidere intere famiglie: se uno dei loro membri è un combattente di Hamas, se un deposito di armi è tenuto nelle vicinanze o nella loro casa, o per qualsiasi altro motivo simile”.

Dunque i ragazzi Bakr sono stati annientati perché giocavano a calcio sulla spiaggia di Gaza e sono usciti da un container che si pensava fosse un centro di comando e controllo di Hamas, o un deposito di armi, o qualcosa del genere. E per quanto “tragico” sia, l’esercito di Israele [che di autodefinisce il più morale del mondo, ndr.] non può essere rimproverato per errori di giudizio “legittimi e proporzionati”. Queste sono la logica e la realtà che prevarranno finché Israele non sarà tenuto a rispondere. Più minori palestinesi soccomberanno a morti “proporzionate” mentre i piloti – i migliori e i più morali – torneranno alle loro famiglie legittime e dormiranno stretti nella loro cupola di ferro [riferimento ironico al sistema antimissilistico israeliano Iron Dome, ndt.] della negazione, convinti che non ci sarà mai un prezzo da pagare, dal momento che il sangue palestinese non vale niente, e lo dice persino la Corte Suprema.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Sei mesi fa Israele ha etichettato come terroriste alcune associazioni palestinesi per i diritti umani. L’amministrazione Biden afferma di stare ancora esaminando le “prove”

Michael Arria

19 aprile 2022 – Mondoweiss

Sei mesi dopo l’amministrazione Biden non ha contestato in alcun modo la definizione israeliana di “istituzioni terroristiche” contro sei organizzazioni della società civile palestinese.

Sono passati sei mesi da quando il governo israeliano ha etichettato come “organizzazioni terroristiche” alcune associazioni della società civile palestinese ma, nonostante ripetute richieste di intervenire, il governo USA non ha ancora controbattuto in alcun modo a questa definizione.

Nell’ottobre 2021 il ministro della Difesa Benny Gantz ha annunciato che sei associazioni per i diritti umani (Addameer, Al-Haq, Defense for Children International – Palestine [Difesa Internazionale dei Minori-Palestina), il Bisan Centre for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo], l’Union of Palestinian Women’s Committees [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi], e l’ Union of Agricultural Work Committees [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo]) hanno avuto rapporti con terroristi. Gantz ha affermato che queste organizzazioni “sono affiliate” al Fronte Popolare [per la Liberazione della Palestina] e che le loro “principali attività… sono la liberazione della Palestina e la distruzione di Israele.” Il governo israeliano non ha ancora fornito alcuna prova che metta in relazione queste associazioni con il terrorismo.

Israele non ha ancora fornito alcuna prova pubblica che metta in rapporto queste associazioni con il terrorismo e documenti riservati ottenuti da +972, Local Call [versione in ebraico di +972, ndtr.] e The Intercept [sito di controinformazione] rivelano che le accuse sono probabilmente discutibili.

L’iniziativa israeliana è stata ampiamente criticata. “Questa definizione è un attacco frontale contro il movimento palestinese per i diritti umani e contro i diritti umani ovunque,” ha dichiarato l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. “Far tacere queste voci non è ciò che dovrebbe fare una democrazia che rispetti i diritti umani e gli standard umanitari. Chiediamo alla comunità internazionale di difendere i difensori [dei diritti umani, ndtr.].”

“Questa decisione terribile e ingiusta è un attacco da parte del governo israeliano contro il movimento internazionale per i diritti umani,” afferma una dichiarazione comune di Human Rights Watch e Amnesty International.

“Da decenni le autorità israeliane hanno sistematicamente cercato di imbavagliare il monitoraggio dei diritti umani e di punire quanti criticano il suo dominio repressivo sui palestinesi. Mentre i membri del personale delle nostre organizzazioni hanno dovuto affrontare deportazioni e divieti di viaggio, i difensori palestinesi dei diritti umani hanno sempre sopportato il peso maggiore della repressione.”

Israele ha inviato una delegazione alla Casa Bianca per fornire all’amministrazione Biden quelle che sostengono siano prove “inequivocabili” contro le associazioni dei diritti umani. “Riceviamo dettagliate informazioni dal governo israeliano. Apprezziamo la collaborazione,” ha detto all’epoca ai giornalisti il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price. “Stiamo controllando le informazioni che loro (Israele) ci hanno fornito.”

Vari parlamentari hanno chiesto un’azione rapida da parte del presidente. La deputata Betty McCollum ha presentato una risoluzione che condanna la definizione. Chiede all’amministrazione Biden di denunciare l’iniziativa, di fare pressione sui politici israeliani perché revochino la decisione e di riconoscere pubblicamente l’importante lavoro delle associazioni palestinesi della società civile. Undici membri della Camera hanno promosso la proposta di legge, comprese le parlamentari Ilhan Omar, Rashida Tlaib, Alexandria Ocasio-Cortez e Cori Bush. Mondoweiss si è rivolto a vari co-firmatari della legge perché chiedano conto della mancanza di progressi di Biden, ma fino alla pubblicazione [di questo articolo] nessuno ha fatto commenti.

Nel novembre 2021 il parlamentare Jim McGovern ha inviato una lettera al segretario di Stato Tony Blinken perché chiedesse a Biden di prendere l’iniziativa. “Signor segretario di Stato, non è sufficiente aver manifestato inizialmente diffidenza riguardo alla decisione di Israele di definire terroriste queste sei organizzazioni,” vi si legge. “Ora è tempo di denunciare in modo fermo e senza ambiguità le azioni intraprese e di sollecitare il governo israeliano a revocare le sue decisioni.”

Sei mesi dopo Biden non ha ancora preso alcuna iniziativa. In effetti l’amministrazione sostiene di stare ancora verificando le prove che Israele ha presentato lo scorso anno. “Abbiamo ricevuto informazioni dettagliate su questa stessa questione dai nostri partner israeliani e c’è qualcosa che stiamo continuando a verificare,” ha affermato la scorsa settimana Ned Price durante una conferenza stampa del Dipartimento di Stato. “Noi stessi ce ne stiamo occupando in modo molto accurato.”

All’inizio del mese le sei associazioni palestinesi hanno rilasciato una dichiarazione comune chiedendo agli Stati Uniti, all’Unione Europea e a organizzazioni intergovernative di “prendere iniziative concrete contro la continua persecuzione da parte delle autorità dell’occupazione israeliana” e chiedere una “un annullamento totale della definizione.”

“La criminalizzazione da parte dell’occupazione israeliana delle sei organizzazioni palestinesi è esplicitamente intesa a ottenere conseguenze di secondo e terzo livello sulle possibilità da parte delle associazioni per i diritti umani e della società civile di continuare a fare il proprio lavoro fondamentale, soprattutto l’impegno per chiamare Israele a rendere conto dei suoi crimini e violazioni delle leggi internazionali commesse contro il popolo palestinese,” si legge nella dichiarazione.

Le organizzazioni notano che queste conseguenze si sono già fatte sentire. Nel gennaio 2022 il governo olandese ha tagliato i finanziamenti alla Union of Agricultural Work Committees (UAWC), la Commissione Europea ha sospeso un progetto di Al-Haq e un altro dell’UAWC e un tribunale militare nella Cisgiordania occupata ha condannato a 16 mesi di prigione la presidentessa di Union of Palestinian Women’s Committees, Khitam Sa’afin.

“La definizione da parte del governo israeliano del DCIP come organizzazione terroristica è un palese tentativo di mettere fuorilegge ed eliminare il nostro lavoro di documentazione delle violazioni dei diritti umani contro i minori palestinesi,” ha detto a Mondoweiss Miranda Cleland, di Defense for Children International – Palestine. “Proprio questa settimana il nostro gruppo di lavoro ha documentato tre casi in cui forze israeliane hanno sparato e ucciso minori palestinesi con proiettili veri. Lo scorso anno è stato il più letale dal 2014 per i minori palestinesi, e, nonostante il governo israeliano abbia preso di mira il nostro legittimo lavoro per i diritti umani, siamo impegnati a proteggere e difendere i diritti dei minori palestinesi indipendentemente da quanto ci metteranno gli USA a verificare le infondate accuse del governo israeliano che sono già state smentite da altri Stati e da esperti ONU.”

Ahmed Abofoul, responsabile per la ricerca e la difesa legale di Al-Haq, ha affrontato su Twitter la ricorrenza dei sei mesi. “Oggi sono sei mesi da quando in modo impudente e calunnioso il regime di apartheid israeliano, senza presentare agli Stati, per non dire alle organizzazioni, uno straccio di prova, ha definito ‘organizzazioni terroristiche’ sei associazioni palestinesi della società civile e per i diritti umani,” ha twittato Abofoul. “Questa definizione avrà un effetto dannoso durevole sulle associazioni e sul loro personale. Gli Stati dell’Occidente stanno ancora cercando ‘informazioni’, e Israele rifiuta di presentarle. Questi Stati non hanno ancora condannato questa iniziativa e continuano ad attendere indefinitamente!”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La polizia israeliana ferisce e arresta decine di palestinesi a Gerusalemme dopo la settimana di attentati letali in Israele e Cisgiordania

Yumna Patel

4 aprile 2022 – Mondoweiss

Lo scorso anno la violenza della polizia israeliana contro i palestinesi a Gerusalemme durante il Ramadan è stata il principale innesco delle proteste palestinesi che sono sfociate nella rivolta di maggio 2021.

Durante il weekend le forze israeliane hanno ferito e arrestato decine di palestinesi nella Gerusalemme est occupata, quando i musulmani davano inizio al mese sacro del Ramadan.

Secondo fonti di informazione palestinesi, domenica le forze israeliane hanno arrestato almeno 13 palestinesi e ne hanno ferito una ventina fuori dalla Porta di Damasco della Città Vecchia a Gerusalemme est. 

La polizia israeliana ha disperso con la forza assembramenti di palestinesi nell’area, colpendo parecchie persone con bastoni e facendo uso di proiettili d’acciaio ricoperti di gomma e granate assordanti contro i manifestanti.


La Mezzaluna Rossa palestinese ha riferito che sono stati feriti 19 palestinesi, quattro dei quali sono stati ricoverati in ospedale.

Sui social media sono circolati dei video di poliziotti israeliani, sia in uniforme che in borghese, che picchiano violentemente ed arrestano giovani palestinesi. Pare che un video mostrasse la polizia che aggrediva un vecchio palestinese mentre si opponeva all’arresto del figlio.

Alcune ore prima che scoppiassero i disordini il Ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha fatto il giro della Città Vecchia accompagnato da una nutrita scorta di poliziotti, cosa che le fazioni palestinesi hanno denunciato come una “visita provocatoria”.

Middle East Eye ha riferito che sabato le forze israeliane hanno arrestato almeno altri quattro palestinesi con l’accusa di “sommossa e aggressione a poliziotti.”

E’ probabile che le tensioni dentro e attorno alla Città Vecchia continuino a salire nelle prossime settimane, mentre ci si aspetta che gruppi di coloni israeliani conducano visite con la scorta della polizia alla spianata della Moschea di Al-Aqsa in occasione delle imminenti festività ebraiche.

La Porta di Damasco è l’ingresso principale al quartiere musulmano della Città Vecchia ed è un luogo consueto di raduno per i palestinesi della città, soprattutto durante il mese del Ramadan. La zona è spesso teatro di violenze della polizia israeliana contro i palestinesi, in quanto le forze israeliane hanno una postazione di sicurezza permanente vicino alla Porta.

L’anno scorso le violenze della polizia contro i palestinesi alla Porta di Damasco durante il Ramadan e i successivi attacchi alla spianata di Al-Aqsa hanno costituito il principale innesco delle proteste palestinesi che sono sfociate nei disordini del maggio 2021.

L’offensiva del weekend giunge al culmine di una settimana di violente tensioni in Israele e nella Cisgiordania occupata.

Sabato prima dell’alba le forze israeliane hanno sparato, uccidendoli, a tre palestinesi nel corso di quella che gli abitanti del luogo hanno definito un’ “imboscata” nella città di Jenin, nel nord della Cisgiordania. Alcuni giorni prima, giovedì, le forze israeliane hanno sparato ed ucciso due palestinesi, compreso un adolescente, e ne hanno ferito altri 14 durante un’incursione nel campo profughi di Jenin.

I recenti raid letali hanno fatto seguito a diversi attacchi in Israele, nel corso dei quali sono rimasti uccisi 11 israeliani e quattro palestinesi.

Il 29 marzo un giovane palestinese della Cisgiordania è stato ucciso dopo aver aperto il fuoco nella città israeliana di Bnei Brak, uccidendo cinque israeliani. Nello stesso giorno un altro palestinese è stato ucciso su un autobus in Cisgiordania, dopo aver presumibilmente accoltellato e ferito un colono israeliano, secondo il quotidiano Haaretz.

Il 27 marzo due palestinesi sono stati uccisi dopo aver aperto il fuoco ed ucciso due poliziotti israeliani nella città israeliana di Hadera. Un altro palestinese è stato colpito a morte il 22 marzo dopo aver ferito a coltellate quattro persone nella città di Beer al-Sabe (Be’er Sheba) nella regione del Naqab (Negev) nel sud di Israele.

(Traduzione dall’inglese di CristianaCavagna)




50 membri del Congresso [USA] si oppongono ai piani israeliani di demolire 38 case palestinesi.

Philip Weiss

28 marzo 2022 – Mondoweiss

Con un atto di insolita opposizione all’infinita occupazione israeliana, 50 membri del Congresso hanno firmato una lettera al Segretario di Stato Antony Blinken esortandolo a cercare di fermare la demolizione israeliana di 38 case palestinesi ad al-Walaja, un villaggio nella Cisgiordania occupata perché le demolizioni minano la “dignità palestinese” e “a lungo termine, la sicurezza israeliana”.

Come parte dei piani per la grande Gerusalemme, Israele prevede di mettere sulla strada 360 palestinesi per fare spazio agli insediamenti ebraici.

La Corte Suprema israeliana deciderà su un appello dei palestinesi il 30 marzo. (I palestinesi hanno costruito le case senza permessi; ma Israele nega comunque quasi tutte le richieste di costruzione nell’Area C dell’occupazione. [l’area sotto diretto controllo di Israele, ndt])

Alla domanda specifica su al-Walaja, un alto assistente del Dipartimento di Stato ha suggerito la scorsa settimana che Blinken avrebbe sconsigliato le demolizioni in quanto “passi unilaterali” che minano la cosiddetta soluzione dei due Stati.

Tra i firmatari della lettera del Congresso su al-Walaja figurano molti [democratici] progressisti, come Betty McCollum, Marie Newman, Ilhan Omar e Jamaal Bowman, così come i deputati liberal di J Street [una organizzazione ebraica statunitense favorevole alla soluzione dei “due Stati”, ndt], Jared Huffman, Jennifer Wexton e Andy Levin. E diversi ebrei, tra cui Jan Schakowsky, Jamie Raskin, Steve Cohen, John Yarmuth e Levin.

contro le demolizioni di al-Walaja. Americans for Peace Now le definisce “moralmente sbagliate”, nonché un ostacolo alla possibilità che i palestinesi ottengano mai una capitale per uno Stato palestinese a Gerusalemme. Ameinu [Ameinu, che in ebraico significa “il nostro popolo”, è una comunità di ebrei progressisti in Canada, Stati Uniti, Australia e Brasile, ndt] ha descritto la secolare coltivazione di ulivi, frutta e verdura sui terrazzamenti del villaggio di cui gli insediamenti ebraici illegali desiderano impadronirsi. J Street ha postato contro le demolizioni antecedenti.

Il problema di questo villaggio è emerso durante un dibattito congressuale per le primarie nel Michigan lo scorso giovedì. Due membri democratici del Congresso competono per un distretto suburbano di Detroit recentemente formato con l’unione di due distretti. Una delle principali tematiche in questa competizione è: quanto ti è permesso criticare Israele. La rappresentante Haley Stevens è stata appoggiata dall’AIPAC [American Israel Public Affairs Committee], la lobby israeliana di destra; lei non critica mai Israele. Il rappresentante Andy Levin fa parte di J Street. Si definisce un “audace progressista” e talvolta critica Israele, ed è stato attaccato come “corrosivo” da un ex leader dell’AIPAC.

Si dice che Levin e Stevens siano vicini nei sondaggi. Le primarie sono il 2 agosto e gli ebrei sono elettori chiave nel distretto.

Nel forum condotto dal gruppo filo-israeliano Jewish Democratic Council of America Levin ha criticato le demolizioni di Walaja definendole “ingiuste”. Ha chiesto condizioni sull’impiego dei 4 miliardi di dollari di aiuti ad Israele, ma non proponendo nessun taglio degli aiuti.

È importante garantire che i nostri aiuti militari a Israele siano utilizzati per legittimi scopi di sicurezza. Questo è qualcosa che facciamo anche con il nostro aiuto a tutte le altre nazioni. Non vogliamo che i nostri aiuti vengano utilizzati per perpetuare o estendere l’occupazione, o per eseguire azioni ingiuste come demolizioni di case, sfollamenti forzati o violenze contro i civili. Incidenti come la potenziale demolizione delle case di 300 persone nel villaggio di al-Walaja che potrebbe accadere proprio ora danneggiano famiglie innocenti e allontanano le prospettive di pace.

Stevens non è d’accordo. E’contraria a qualsiasi vincolo sugli aiuti a Israele, considera lo status di Gaza e della Cisgiordania “di lunga contesa”, considera l’Iran il “vero problema” nella regione e non vuole fare pressione su Israele “perché faccia tutte le concessioni”. Stevens ha sollevato un drappo rosso per gli elettori pro-Israele: la convinzione del direttore di Amnesty International che Israele non dovrebbe essere uno Stato ebraico.

In questo momento ci troviamo in una situazione in cui il capo di Amnesty International ha messo in discussione il diritto di Israele di esistere come Stato ebraico. Trovo ciò del tutto inaccettabile e offensivo per le mie convinzioni e per come penso che dobbiamo fare come paese e come mondo, e non ho paura di denunciarlo.

Levin ha giocato ripetutamente la carta ebraica.

Non vedo un modo per avere un futuro pacifico e sicuro per una patria democratica per il mio popolo a meno che non teniamo conto dei diritti politici e umani dei palestinesi. So che è difficile, so che è controverso. Non mi sono candidato per un lavoro facile. Mi collocherò in questa frattura e lavorerò con israeliani e palestinesi per riunire le parti e lavorare per la soluzione dei due Stati in modo che finalmente potremo avere pace e sicurezza nella regione.

La mozione [presentata al Congresso, ndt] per sostenere la soluzione dei due Stati di Levin è il credo di J Street. (Chiunque sia stato in Palestina sa che due Stati non esisteranno mai e sostenere la fede in questa soluzione senza esercitare alcuna pressione su Israele è una forma di crudeltà verso i palestinesi.)

Ma sarà interessante da osservare questa contesa in quanto mette a confronto una democratica intransigente sostenitrice di Israele con uno più progressista.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




So che Israele pratica l’apartheid perché ho contribuito ad imporla

Rafael Silver

28 Marzo 2022Mondoweiss

Rafael Silver ha lasciato Israele perché non poteva più far parte di un sistema che pratica l’apartheid contro il popolo palestinese. “L’ho vista esercitare sotto i miei occhi”, scrive. “L’ho applicata durante il mio servizio militare in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e l’ho sostenuta in quanto contribuente israeliano”.

Sono un ebreo. Sono un cittadino israeliano. Sono un veterano di un’unità di combattimento dell’esercito israeliano. Ho lasciato Israele nel 2001 e sono immigrato in Canada dove sono diventato cittadino canadese perché sentivo che non potevo più far parte di un sistema che pratica l’apartheid contro il popolo palestinese. Non uso la parola apartheid alla leggera, ma con riluttanza. Scelgo di usare questa parola per descrivere la realtà che il popolo palestinese sta sopportando da generazioni perché l’ho vista praticare con i miei occhi. L’ho applicata durante il mio servizio militare in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e l’ho sostenuta in quanto contribuente israeliano.

Le strade riservate agli ebrei che i palestinesi in Cisgiordania non possono utilizzare. L’intera gamma di leggi e protezioni concesse dallo Stato israeliano ai coloni ebrei in Cisgiordania, ma negate ai palestinesi che vivono letteralmente proprio accanto a loro. In Cisgiordania la sottomissione ai regolamenti militari riguarda solo i palestinesi. Ciò significa che le restrizioni ai viaggi, l’accesso limitato all’acqua, l’arresto e la detenzione arbitraria di civili, la confisca di terreni, la demolizione di case e l’applicazione di punizioni collettive si applicano solo ai palestinesi e non agli ebrei. L’uso frequente della forza letale da parte delle forze di sicurezza israeliane esclusivamente contro i civili palestinesi è un evento abituale. Anche un diritto umano fondamentale riconosciuto in tutto il mondo, quello del ricongiungimento familiare, è negato solo ai palestinesi.

Anche all’interno dello stesso Israele il sistema dell’apartheid fa parte della struttura dello Stato e riguarda quasi tutti gli aspetti della vita. Lo so perché ho beneficiato di un tale sistema di apartheid all’interno di Israele come cittadino ebreo che godeva di diritti che non erano concessi ai cittadini palestinesi dello stesso Paese. Essendo un ebreo nato al di fuori di Israele mi è stata concessa la cittadinanza il giorno del mio arrivo nel Paese in base alla Legge del Ritorno che si applica esclusivamente agli ebrei. I palestinesi che sono stati cacciati dalle loro terre durante le guerre del 1948 e del 1967 non hanno tale diritto al ritorno. Persino i cittadini palestinesi di Israele non possono tornare nei loro villaggi che sono stati distrutti a causa di quelle guerre, ma devono invece trovare un alloggio altrove. In quanto ebreo, anche se non cittadino, ho il diritto di acquistare un alloggio ovunque all’interno dello Stato; tuttavia, a un cittadino palestinese di Israele non è consentito acquistare immobili se si trovano su un terreno sotto il controllo del Fondo Nazionale Ebraico [ente non profit dell’Organizzazione sionista mondiale nato per comprare e sviluppare terra nella Palestina per l’insediamento degli ebrei, ndtr.]. In quanto cittadino ebreo di Israele, sono protetto grazie alla legge contro la discriminazione, che si tratti di alloggi, lavoro o opportunità educative. I cittadini palestinesi di Israele non hanno tali protezioni. In quanto facente parte del popolo ebraico, ho alle spalle il peso giuridico dello Stato per consentirmi di esprimere i miei diritti e bisogni all’interno della collettività e della nazione. I cittadini palestinesi di Israele non hanno tale riconoscimento nazionale o collettivo. Anche la mia lingua ancestrale, l’ebraico, è riconosciuta come l’unica lingua ufficiale in Israele. L’arabo, la lingua del popolo palestinese, non lo è.

Un sistema che riserva leggi e pratiche ad un gruppo di persone ma le nega a un altro gruppo definito esclusivamente su basi etniche è per definizione apartheid. E’ stato il caso del Sud Africa in passato ed è il caso di Israele oggi. Il primo passo per correggere un torto storico è riconoscere la realtà di fronte a noi. Nessuna società, nessuno Stato in cui la giustizia è negata ad alcuni mentre ad altri è concessa può pretendere di sostenere la democrazia e i diritti umani universali. Israele non fa eccezione a questa regola.

Independent Jewish Voices of Canada [Voci ebraiche indipendenti, organizzazione per i diritti umani che si batte per una giusta soluzione del conflitto israelo-palestinese, ndtr.] ha recentemente avviato una campagna di sensibilizzazione pubblica chiamata Together Against Apartheid [Insieme contro l’apartheid, ndtr.] per informare ed educare il pubblico canadese sulla realtà che milioni di palestinesi devono affrontare. Solo attraverso una maggiore consapevolezza e una più ampia conoscenza delle iniquità e delle ingiustizie sistematiche che i palestinesi devono affrontare i canadesi possono iniziare a influenzare le politiche e le azioni del nostro governo. Vi esorto a unirvi a questa campagna come ho fatto io, a qualsiasi titolo possiate. Rimanere in silenzio è complice e consente il protrarsi di discriminazione, oppressione e ingiustizia. Alzate la voce e fate la differenza.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Una dipendente di Google dice che la compagnia ha cercato di trasferirla in Brasile dopo che ha criticato un contratto con Israele

Michael Arria

18 marzo 2022 – Mondoweiss

Una dipendente di Google in California dice di aver subito una ritorsione dopo aver criticato il Progetto Nimbus

Una dipendente di Google dice di essere stata trasferita in Brasile per aver chiesto alla compagnia di interrompere il suo contratto con il governo di Israele

Questa settimana il Los Angeles Times ha riportato il caso di Ariel Koren, una responsabile commerciale di Google per l’Educazione. Koren, che lavorava alla direzione generale di Mountain View del gigante della tecnologia, in California, ha ripetutamente criticato il suo datore di lavoro riguardo al Progetto Nimbus, un contratto da 1,2 miliardi di dollari che coinvolge Google, i servizi internet di Amazon e Israele. Il progetto contribuisce a fornire servizi cloud per l’esercito e il governo del Paese.

Nell’ottobre 2021 Koren ha contribuito alla stesura di una lettera aperta di condanna di tale collaborazione firmata da centinaia di dipendenti di Google e di Amazon. “Non possiamo fare finta di niente quando i prodotti che fabbrichiamo vengono usati per negare ai palestinesi i loro diritti fondamentali, per scacciarli dalle loro case ed attaccarli nella Striscia di Gaza – azioni che hanno provocato indagini per crimini di guerra da parte della Corte Penale Internazionale”, vi è scritto. Noi immaginiamo un futuro in cui la tecnologia unisca le persone e renda migliore la vita per tutti. Per costruire un tale più luminoso futuro le compagnie per cui lavoriamo devono smettere di stipulare contratti con qualunque organizzazione militarizzata, negli USA e altrove.”

Koren ha citato il documento che la compagnia le ha recapitato a novembre con un ultimatum: avrebbe dovuto trasferirsi nell’ufficio di Google a San Paolo, Brasile, o essere licenziata. Secondo Koren, in seguito il suo dirigente ha ammesso che non prevedeva che lei si sarebbe trasferita in Brasile, cosa che indica che Google stava cercando con questa offerta di estrometterla dalla compagnia. “È stato semplicemente assurdo. Tutta la vicenda è stata del tutto incredibile.”

Koren ha sporto denuncia al dipartimento risorse umane di Google e una denuncia di pratica aziendale sleale presso il National Labor Relations Board (NLRB) [Agenzia governativa USA per il rispetto del diritto del lavoro, ndtr.]. Google sostiene di aver già esaminato la situazione e di non aver riscontrato prove di ritorsione. Koren attualmente lavora ancora in California e non è chiaro se verrà costretta ad andarsene.

Una petizione di sostegno a Koren è già stata firmata da oltre 12.000 persone. “I lavoratori hanno il diritto di esprimersi riguardo a come viene utilizzato il proprio lavoro, senza il timore di perdere il loro impiego – soprattutto quando si opera all’interno di contratti poco etici che violano i diritti umani”, vi si legge. “Sosteniamo le centinaia di lavoratori di Google che hanno già firmato una petizione in appoggio ad Ariel e chiediamo che Google rispetti i lavoratori che si impegnano per i diritti umani – a cominciare dalla garanzia che Ariel rimanga al suo posto.”

Un’altra petizione, scritta da colleghi di Koren, è stata firmata da oltre 500 dipendenti di Google. “Purtroppo il caso di Ariel è in linea con i pericolosi precedenti di ritorsioni di Google nei confronti di lavoratori che negli scorsi anni hanno riempito i titoli dei principali giornali – e in particolare riguardo a quei dipendenti che si sono espressi contro contratti che permettono violenze di Stato contro persone discriminate”, vi è scritto.

Lo scorso autunno, dopo che i dipendenti hanno diffuso la lettera di condanna del Progetto Nimbus, un gruppo di organizzazioni legali (compresi ‘Palestine Legal’, ‘National Lawyers Guild’ e il Centro per i Diritti Costituzionali) ha inviato una lettera di ammonimento alla compagnia relativamente ad illecite ritorsioni contro i lavoratori. “Le sottoscritte organizzazioni per i diritti civili vi chiedono di rispettare le espressioni politiche e nazionali dei vostri dipendenti e di evitare di intraprendere azioni ostili nei loro confronti”, vi si legge. “Le organizzazioni della società civile, le associazioni giuridiche progressiste e anche i mezzi di comunicazione stanno monitorando da vicino la situazione nell’ambiente di lavoro nella vostra azienda per garantire che vengano rispettati i diritti dei vostri dipendenti, dei palestinesi o di altri.”

Michael Arria

Michael Arria è il corrispondente per gli Stati Uniti di Mondoweiss. I suoi articoli sono stati pubblicati su ‘In These Times’, ‘The Appeal’ e ‘Truthout. È autore di ‘Medium Blue: The politics of MSNBC’.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




L’interdizione di Israele verso i coniugi palestinesi diventa legge definitiva: un trionfo per lo “Stato ebraico”

Jonathan Ofir

11 marzo 2022 – Mondoweiss

Come riportato da Reuters, ieri il parlamento israeliano ha approvato una legge che nega la cittadinanza per naturalizzazione ai palestinesi della Cisgiordania occupata o di Gaza sposati con cittadini israeliani, costringendo migliaia di famiglie palestinesi a emigrare o vivere separate.

La legge definitiva, che vieta l’acquisizione della nazionalità, è stata approvata con 45 voti a favore e 15 contrari, una maggioranza di tre quarti dei voti, trasversale alle componenti della coalizione (solo la metà dell’intero parlamento ha votato sulla legge). Due partiti che fanno parte della coalizione di governo hanno votato contro la legge: il partito sionista di sinistra Meretz e il partito islamista di destra Ra’am. Il resto della coalizione di governo, compresi i laburisti, ha votato a favore della legge razzista, unendo le forze con i politici di estrema destra del parlamento israeliano.

Il parlamentare del partito sionista religioso di destra Simcha Rothman, che ha contribuito a portare il partito kahanista Jewish Power [partito estremista di destra, fondato su un fondamentalismo religioso, ndtr.] in parlamento (con Itamar Ben Gvir, l’ammiratore del terrorista ebreo Baruch Goldstein, in qualità di membro della Knesset), è stato uno dei principali apripista per tale approvazione. Rothman ha esultato già prima del voto di ieri, quando è risultato chiaro che la legge sarebbe stata approvata:

Lo Stato di Israele è ebraico e tale rimarrà… Oggi, se Dio vuole, lo scudo difensivo di Israele risulterà notevolmente rafforzato,

L’altra principale portabandiera di questo provvedimento è un membro di spicco del governo, la ministra dell’Interno Ayelet Shaked, del partito Yamina (di destra) di Naftali Bennett. Con le sue parole di ieri al plenum è stata molto chiara sul suo successo:

Simcha Rothman ha subito compreso il danno che sarebbe derivato in seguito allo scadere della legge e ha lavorato con me per redigere una versione accettabile per entrambe le parti. Dimostrando grande responsabilità, l’opposizione ha contribuito a far approvare la legge.

Lo scorso luglio era scaduta una legge temporanea che vietava l’acquisizione della nazionalità da parte dei coniugi palestinesi, ma da allora Shaked ha incaricato l’amministrazione di continuare ad agire come se fosse in vigore. Poi, a gennaio, in seguito ad una petizione di organizzazioni per i diritti civili, l’Alta Corte le ha ordinato di porre fine al divieto:

Le regole di base del diritto amministrativo non consentono l’applicazione di una legge che non è più in vigore”, ha scritto la giudice Dafna Barak-Erez. Tuttavia, è stata solo questione di poco tempo perché questo problema” legale potesse essere ancora una volta risolto. Come un funzionario vicino a Shaked, citato da The Times of Israel, ha dichiarato:

La ministra intende riesaminare la legge nelle prossime settimane. Si spera che l’opposizione che in precedenza ha fatto decadere la legge non agisca contro lo Stato”.

Ecco cosa è successo ieri. E cosa ne pensano i centristi del governo, parlamentari che per i sionisti progressisti degli Stati Uniti sono degli eroi? Il parlamentare Ram Ben Barak, del partito Yesh Atid (C’è un futuro) [partito centrista e laico, ndtr.] di Yair Lapid, che guida la commissione per gli affari esteri e la difesa, ha approvato la legge “a malincuore”:

Approvo la legge a malincuore e senza gioia. Vorrei che arrivasse un momento in cui non avremo bisogno di questa legge… ma nell’attuale realtà riguardo la sicurezza non possiamo fare altro che difenderci.

Questa legge non è affatto nuova. La novità è che è stata consolidata come legge definitiva. Ha seguito un iter storico di ordinamento temporaneo, di emergenza, che doveva essere rinnovato ogni anno.

Ed è una legge di apartheid. Human Rights Watch [organizzazione non governativa internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, ndtr.], nel suo rapporto di 213 pagine dello scorso anno su apartheid e oppressione israeliane, ha dedicato una sezione a questo problema:

«La legge sulla cittadinanza del 1952 autorizza anche la concessione della cittadinanza per naturalizzazione. Tuttavia, nel 2003 la Knesset ha approvato la legge sulla cittadinanza e l’ingresso in Israele (ordinamento temporaneo), che vieta la concessione della cittadinanza israeliana o dello status legale a lungo termine ai palestinesi della Cisgiordania e di Gaza che sposino cittadini o residenti israeliani. Con poche eccezioni questa legge, rinnovata da allora ogni anno e confermata dalla Corte Suprema israeliana, nega ai cittadini ebrei e palestinesi e agli abitanti di Israele che scelgono di sposare palestinesi il diritto di vivere con il loro partner in Israele. Questa restrizione, basata esclusivamente sull’identità del coniuge come palestinese della Cisgiordania o di Gaza, evidentemente non si applica quando gli israeliani sposano coniugi non ebrei della maggior parte delle altre nazionalità straniere. Questi possono ricevere lo status immediato e, dopo diversi anni, richiedere la cittadinanza.

Nel 2005, nel commentare un rinnovo della legge, il primo ministro dell’epoca, Ariel Sharon, disse: Non c’è bisogno di nascondersi dietro argomenti sulla sicurezza. C’è la necessità dell’esistenza di uno Stato ebraico”. Benjamin Netanyahu, che era allora il ministro delle finanze, disse in quella circostanza nel corso delle discussioni: “Invece di rendere le cose più facili per i palestinesi che vogliono ottenere la cittadinanza, dovremmo rendere le procedure molto più difficili, al fine di garantire la sicurezza di Israele e la presenza in esso di una maggioranza ebraica. “Nel marzo 2019, questa volta come primo ministro, Netanyahu ha dichiarato: “Israele non è uno Stato di tutti i suoi cittadini”, ma piuttosto “lo Stato-nazione del popolo ebraico e solo il loro”.

La legge è simile al famigerato Muslim ban” di Trump [Il bando sui viaggi da paesi a maggioranza musulmana emesso da Donald Trump nel 2017 con il presunto pretesto di prevenire il terrorismo, ndtr.]

E che dire della situazione di sicurezza” che ha spinto Ben Barak a votare tanto a malincuore a favore della legge?

Il Times of Israel [quotidiano online principalmente in lingua inglese, con sede in Israele, ndtr.] riferisce che lunedì lo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano, ha consegnato un rapporto al parlamento in cui si afferma che tra il 1993 e il 2003 130.000 palestinesi hanno ricevuto la cittadinanza o la residenza attraverso il ricongiungimento familiare e che tra il 2001 e il 2021 48 di questi sono stati coinvolti in attività terroristiche”.

Il Times of Israel non analizza né si interroga su queste cifre, ma penso che ci siano buone ragioni per esaminarle. 48 su 130.000 costituisce uno su 2.708, ovvero lo 0,03%. Consideriamo ora ciò che Israele definisce terrorismo”. L’anno scorso abbiamo appreso che queste persone potrebbero essere membri di importanti organizzazioni per i diritti umani, come Al Haq [organizzazione palestinese indipendente per i diritti umani con sede nella città di Ramallah, ndtr.], o chissà, forse loro segreti sostenitori o simpatizzanti (come me).

Possono essere persone che hanno condiviso qualche generico messaggio sui social media che “si adatta al profilo” di un possibile “sostenitore del terrorismo”, o qualcuno che condivide poesie sulla resistenza, come Dareen Tatour [poetessa, fotografa e attivista palestinese,ndtr.] o la componente del Consiglio legislativo palestinese Khalida Jarrar, ripetutamente incarcerate senza accusa (detenzione amministrativa).

Attenzione, non sto nemmeno parlando di persone che lanciano bottiglie molotov, qualcosa per cui al giorno d’oggi l'”Occidente” sembra avere una grande comprensione quando si tratta della resistenza ucraina all’occupazione russa. Quindi il punto è che la definizione israeliana di “attività terroristiche” è una definizione molto, molto ampia. Lo Shin Bet comunque controlla chiunque entri o si muova attraverso Israele e tra i territori che occupa ecc. Non c’è bisogno di emanare punizioni collettive anche a livello di unificazione familiare solo per rendere le cose più difficili per i palestinesi e più facili per lo Shin Bet, a discapito di un diritto umano fondamentale come il diritto alla vita familiare.

E così il centrista Ram Ben Barak dice che semplicemente non ha altra scelta che difendersi” da questi terroristi. Siede in parlamento con Itamar Ben Gvir [del partito sionista religioso di estrema destra Otzma Yehudit, ndtr.] che idolatra l’autore del massacro di Hebron, Baruch Goldstein, che nel 1994 uccise 29 fedeli musulmani nella moschea di Al-Ibrahimi, e deve difendersi dai terroristi con questa legge. Se il parlamentare israelo-palestinese Ahmad Tibi, o Ayman Odeh [ambedue membri della Lista Comune arabo israeliana, ndtr.] possedessero dei poster di palestinesi che avessero perpetrato massacri simili di ebrei (come Ben Gvir aveva un poster di Goldstein), non sappiamo come andrebbe a finire.

il quadro inverso è impossibile da immaginare. Possiamo pensare che qualcuno suggerisca di vietare agli ebrei il ricongiungimento familiare in quanto sembrerebbe che molti di loro compiano azioni terroristiche contro i palestinesi? Magari di limitare l’unificazione familiare dei coloni della Cisgiordania, dal momento che sembrano avere un ruolo più prominente in quello che può solo essere descritto come terrorismo ebraico, cresciuto negli ultimi anni? E Ayelet Shaked, ministra dell’Interno e porta bandiera di questa legge che mette al bando i coniugi palestinesi, è mai stata incarcerata per il post del 2014 con cui sosteneva un vero e proprio genocidio dei palestinesi, comprese donne e bambini? Le ha forse ciò precluso l’investitura di parlamentare e addirittura di ministra della giustizia (2015-19)?

Dopo l’approvazione della legge, Shaked si è vantata in un tweet:

Uno Stato democratico ebraico – 1

Uno Stato di tutti i suoi cittadini – 0

E quest’ultimo tweet rappresenta l’intera faccenda in poche parole. Quello che Shaked chiama uno “Stato democratico ebraico” non è democratico, è uno Stato di supremazia ebraica dal fiume al mare, proprio come lo chiama l’israeliana B’Tselem [ONG israeliana per i diritti umani nei territori occupati, ndtr.] nel suo rapporto sull’Apartheid dello scorso anno.

Quello che Shaked chiama “uno Stato di tutti i suoi cittadini” è in realtà quello che normalmente chiameremmo uno Stato democratico, in cui sono assicurati i diritti fondamentali come il ricongiungimento familiare. Chiunque sia ingannato dalle argomentazioni da parte di Israele sulla sicurezza e sul “terrore”, dovrebbe leggere di nuovo il testo dell’ultimo tweet di Shaked. Se si vuole riassumerlo ulteriormente, in realtà dice proprio “Uno Stato democratico – 0”.

H/t Ofer Neiman

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Un premier espansionista, violento e razzista si reca in Russia per verificare se Putin è sano di mente

Jonathan Ofir

9 marzo 2022, Mondoweiss

Il primo ministro israeliano Naftali Bennett si è recato a Mosca sabato scorso e dopo un incontro di tre ore con Vladimir Putin ha dato questo responso:

[Putin] non sta teorizzando il complotto e non è fuori di senno, né soffre di attacchi di collera…”

È abbastanza comico. Mi chiedo cosa avrebbe detto Bennett se Putin avesse affermato “Ho ucciso molti ucraini nella mia vita, e non c’è nessun problema”.

Questa è ovviamente la frase sugli “arabi” che Bennett ha pronunciato nel 2013, e che da allora ha cercato di ammorbidire (con l’aiuto di gruppi di apologeti israeliani) quando è diventata scomoda.

Immaginate se Putin durante l’incontro avesse detto: “Quando ancora gli ucraini si arrampicavano sugli alberi, noi qui avevamo già uno Stato”.

Avrebbe potuto cambiare il giudizio di Bennett: sarebbe stato evidente che chiamava subumani gli ucraini. Eppure questa è semplicemente la battuta di Bennett sui palestinesi, indirizzata al deputato israelo-palestinese Ahmad TIbi nel 2010.

Se Putin avesse detto che gli ucraini sono come “schegge nel sedere” (come ha detto Bennett a proposito dei palestinesi), allora Bennett avrebbe potuto concludere che Putin ha seri problemi di collera e dopo tutto potrebbe non essere così equilibrato. 

Bennett e Putin condividono una quantità inquietante di teorie complottiste e, in fondo, sono molto simili nel negare che i loro presunti nemici – rispettivamente palestinesi e ucraini – siano persone vere che meritano un vero Stato. Come ha scritto ieri Peter Beinart nel suo ottimo articolo su Jewish Currents “Giustificazioni alla distruzione di un popolo”: “Gli argomenti utilizzati dal governo russo per disumanizzare gli ucraini sono sorprendentemente simili a quelli che il governo israeliano usa per disumanizzare i palestinesi.”

Detto questo, c’è una differenza cruciale tra il pensiero israeliano e russo rispettivamente ai palestinesi e agli ucraini. Beinart: “Il discorso ufficiale russo e quello israeliano differiscono in almeno un aspetto importante. Putin sostiene che gli ucraini sono in realtà russi, che devono essere sottomessi e integrati. [Golda] Meir e [Benjamin] Netanyahu non hanno mai sostenuto che i palestinesi siano veramente israeliani o ebrei. Sostenevano invece che i palestinesi siano genericamente arabi, che Israele potrebbe quindi incoraggiarli a reinsediarsi altrove nel mondo arabo. Nonostante questa differenza, i leader israeliani definiscono l’identità palestinese non solo come falsa, ma manipolata dai nemici di Israele, che è ciò che Putin dice dell’identità ucraina.”

Quindi, cosa ha fatto Bennett con Putin per tre ore, oltre a valutare se lo stato mentale di Putin sia o no equilibrato? A quanto pare, non molto. Il Times of Israel riferisce: “Una fonte diplomatica citata nel rapporto ha affermato che Bennett è stato prudente con Putin, visto che il leader russo ‘non è interessato a un cessate il fuoco o ai corridoi umanitari’ “.

Certo, non si vorrà fare pressione su una persona perché accetti una soluzione così radicale come i corridoi umanitari …

In un altro articolo, The Times of Israel cita due esperti russi che si mostrano preoccupati di come Putin stia usando persone come Bennett per guadagnare tempo per riorganizzarsi. Uriel Epshtein della Renew Democracy Initiative di Gary Kasparov afferma semplicemente che “non c’è nessuno spazio, assolutamente nessuno per un contributo di Israele a por fine alla guerra, e che “l’idea che Israele sarà il fulcro del processo decisionale di Putin per arrivare in qualche modo a un accordo tra Russia e Ucraina, o Russia e Occidente, è un’illusione”.

In questo articolo viene citata anche Anna Borshchevskaya, esperta russa del Washington Institute for Near East Policy (uno spin-off del gruppo di lobby israeliano AIPAC [Comitato Americano per gli Affari Pubblici Israeliani, che sostiene le politiche filo-israeliane al Congresso, ndtr.]) Putin “non considera l’Ucraina un vero paese”, ha detto Borshchevskaya. “È abbastanza chiaro che Putin è davvero convinto della sua guerra in Ucraina. In effetti, nonostante gli annunciati corridoi di cessate il fuoco, la Russia continua a bombardare i civili… È difficile per me vedere come funzionerà concretamente la mediazione israeliana in questo momento, in questa fase”.

I due esperti concordano sulle due ragioni del gioco diplomatico di Putin, come riassume Times of Israel: “prendere tempo per riorganizzare la strategia e acquistare legittimità presso i leader mondiali”. Quanto alla legittimità: “Uno degli obiettivi finali di Putin è la legittimità. Vuole essere percepito come legittimo. Sembra essere una delle sue insicurezze più profonde”, ha detto Epshtein.

E questo ci porta in Israele, perché anche Israele vuole legittimità, e questa è anche una delle sue insicurezze di fondo.

Anche Israele cerca legittimità

Bennett è concentrato sulla negazione di uno Stato palestinese, su cui è veramente esplicito. La sua dichiarazione sulle “schegge nel sedere” risale al 2013 quando era ministro dell’Economia e del Commercio nel governo di Netanyahu, . Parlando al consiglio dei coloni di Giudea e Samaria si espresse così: “Vi racconterò una breve storia. Ho un amico che si chiama Yoav. Ha prestato servizio nella Brigata Golani dell’IDF [Forze di difesa israeliane], e in uno scontro una scheggia gli è rimasta conficcata nel sedere. Sono andato a trovarlo in ospedale e lui mi ha detto: ‘Guarda, ho questa scheggia. … Secondo i medici ho due possibilità: o farmi operare per rimuovere la scheggia, correndo il rischio di restare handicappato o paralizzato a vita, oppure lasciarla lì, anche se di tanto in tanto, al cambio di stagione, potrebbe farmi un po’ male.’… Così, decise di continuare a conviverci. … Ci sono situazioni in cui la ricerca ingannevole della perfezione rischia di causare un disastro.”

E se la morale non fosse stata chiara, ha aggiunto: “Il tentativo di istituire uno Stato palestinese nella nostra patria è finito; è arrivato a un punto morto.”

La rozza valutazione di Bennett è una chiara ammissione della sua irremovibile posizione; ora come Primo Ministro Bennett “rifiuta fermamente” la creazione di uno Stato palestinese. I satelliti di sinistra che adornano la coalizione di Bennett non si fanno illusioni, non esiste una tale prospettiva con Bennett.

Ma Bennett è anche un convinto sionista, quindi vuole a tutti i costi uno Stato ebraico. E qual è il risultato di governare le persone negando loro il diritto a una nazione? Avete indovinato, apartheid. Fa parte della logica che ha portato una ampia schiera di organizzazioni per i diritti umani – palestinesi, israeliane e internazionali – a giudicare Israele uno Stato di apartheid.

E gli Stati di apartheid vogliono legittimità per il loro apartheid. Al giorno d’oggi l’apartheid non è considerato legale, poiché è un crimine contro l’umanità secondo solo al genocidio, quindi Israele cerca principalmente di negare il suo apartheid, anche se il cammino intrapreso e i suoi discorsi sono esattamente questo.

Il doppio gioco

Così ora Israele cerca di fare il doppio gioco: essere uno Stato di aggressivo apartheid, e tuttavia presentarsi come un agente di civiltà e pace. Così, il ministro degli Esteri israeliano “progressista” di centro Yair Lapid, che in passato aveva sostenuto l’esecuzione senza processo di palestinesi anche se si limitavano a tenere in mano “un cacciavite” e sostenuto il “massimo numero di ebrei sulla massima estensione di terra in massima sicurezza e con un minimo di palestinesi”, ora si erge a condannare l’invasione russa: “L’attacco della Russia all’Ucraina è un massiccio attacco all’ordine mondiale… Le guerre non sono il modo giusto per risolvere i conflitti. Possiamo fermarlo (l’attacco) e tornare al tavolo dei negoziati per una soluzione pacifica.”

Nel suo articolo su Haaretz “Il bollitore israeliano e la pentola russa” il giornalista israeliano Gideon Levy l’ha definito “sostegno comico”, chiedendosi anche: “Può essere che l’autocoscienza [di Lapid] sia così bassa, o forse il cinismo, l’ipocrisia e il doppio standard hanno raggiunto nuove vette?”

Secondo quanto riferito, Lapid ha incaricato il vice ambasciatore alle Nazioni Unite Noa Furman di trasmettere il suo messaggio, al fine di evitare che lo pronunciasse l’attuale ambasciatore Gilad Erdan, un sostenitore del Likud di Netanyahu noto per essere un falco. Furman ha fatto eco a Lapid sulla “grave violazione dell’ordine internazionale” e ha esortato la Russia “a prestare ascolto agli appelli della comunità internazionale di fermare l’attacco e rispettare l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina”.

Israele ha fatto il doppio gioco anche all’ONU, cosa che ha seriamente infastidito i funzionari statunitensi. Israele ha rifiutato di sostenere una risoluzione degli Stati Uniti contro l’invasione della Russia al Consiglio di sicurezza dell’ONU (con il pretesto che la Russia avrebbe comunque posto il veto), ma in seguito ha approvato la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che condannava l’invasione, per mostrare di non stare dalla parte della Russia (141 paesi hanno votato a favore, 5 contrari e 35 si sono astenuti). Le risoluzioni dell’Assemblea generale hanno un significato più simbolico delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU, che sono considerate più come leggi.

L’alleanza strategica di Israele con la Russia ha in gran parte a che fare con il beneplacito russo ai bombardamenti israeliani di obiettivi affiliati all’Iran in Siria.

Ma può darsi che Israele non potrà reggere ancora a lungo questo doppio gioco, dal momento che il suo maggior patron dopo tutto sono gli Stati Uniti, i cui funzionari si stanno seriamente irritando. L’ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti William Cohen (repubblicano) ha dichiarato:Ora si tratta di: sei con i russi o sei con gli Stati Uniti e l’Occidente? Devono prendere una decisione in merito.”

Israele non solo ha un’alleanza strategica con la Russia sulla Siria, ha anche fornito alla Siria armi informatiche con cui effettuare attacchi contro oppositori politici, come riferito ieri da Eitay Mack su Haaretz, in un articolo intitolato “Guerra in Ucraina: come Israele sta aiutando Putin a reprimere le proteste in Russia contro la guerra”. C’è voluta un’enorme pressione da parte degli attivisti israeliani per i diritti umani per fermare le vendite, ma i prodotti continuano a fare il loro lavoro. Dice Mack: “Dopo che 80 attivisti israeliani per i diritti umani hanno presentato una petizione contro sia al Ministero della Difesa israeliano che a Cellebrite per revocare la licenza di esportazione di Cellebrite in Russia, la società ha annunciato nel marzo dello scorso anno che avrebbe smesso di fornire servizi alla Russia, ma si è rifiutata di impegnarsi a disabilitare tutte le apparecchiature già consegnate al Comitato Investigativo (russo).”

Israele ha sempre fatto questo doppio gioco: la sua natura di Stato di apartheid colonialista e ebreo-suprematista lo colloca naturalmente tra i regimi più regressivi del pianeta. Purtroppo, cerca di presentarsi come un “avamposto di civiltà contro la barbarie”, come scrisse il fondatore sionista Theodor Herzl nel suo libro Der Judenstaadt (Lo Stato ebraico, 1896). Il modo in cui questa presunta “barbarie” dev’essere respinta è sempre scusato come forse infelice ma necessariamente violento, per preservare l’occidente illuminato di cui Israele sarebbe un “avamposto”.

Questi trucchi propagandistici vengono ora alla superficie con Putin e le sue intenzioni di “denazificazione” come pretesto per l’invasione dell’Ucraina. L'”Occidente” non se la beve.

E questo porta a un’altra preoccupazione per Israele: che la hasbara, la propaganda israeliana progettata per respingere le critiche e ogni condanna allo Stato possa essere vista come simile a quella russa. Se ciò accadesse, c’è anche il pericolo per Israele che la campagna BDS di boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni, intesa a far pagare a Israele un prezzo per le sue sistematiche violazioni, possa essere legittimata dal caso ucraino. Con l’Ucraina vediamo che l’Occidente non solo mostra approvazione per una politica totale di boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni, ma anche comprensione per la resistenza armata civile ucraina con bombe molotov e tutto il resto, e si parla direttamente di armare l’Ucraina.

Anche quello che Israele ha proclamato “il primo fan di Israele”, il senatore della Carolina del Sud Lindsey Graham sta criticando Israele per non aver partecipato alla campagna di invio di armi: “Hanno chiesto a Israele – nessun fan di Israele più convinto di Lindsey Graham – degli Stinger [armi antiaeree] e a quanto pare Israele ha detto di no. Quindi parlerò al telefono con Israele – sai, sosteniamo Israele sulll’Iron Dome, e Putin è un delinquente, è un criminale di guerra, sta distruggendo una nazione sovrana… E se non facciamo bene con l’Ucraina i cinesi occuperanno Taiwan e gli iraniani verranno fuori con una bomba e dunque è nell’interesse di tutti.”

Graham, nella sua presunta grandiosa percezione delle possibili ramificazioni internazionali, semplicemente non vede che c’è un ovvio parallelo tra Ucraina e Palestina visto che l’Ucraina è invasa, occupata e soggetta all’aggressione imperialista espansionistica. Ma molti altri lo vedono. Israele sta ora camminando sul filo del rasoio su acque davvero imprevedibili per quanto concerne l’opinione pubblica occidentale, perché questa ondata di opposizione all’aggressione russa ha colto molti di sorpresa, me compreso. Se Israele viene considerato troppo favorevole alla Russia, la cosa potrebbe costargli in modi difficili da immaginare, misurare e prevedere. Israele è ora in una posizione molto difficile.

Ma il primo ministro Bennett ora interpreta il ruolo del dottor Freud, valutando lo stato mentale di Putin, per poi riferire in occidente. Il primo ministro israeliano squilibrato, espansionista e razzista Bennett sta verificando se Putin è in sé. E pensa che lo sia, quindi cerchiamo di essere misurati e razionali. Cerchiamo di essere calmi e civili, non c’è bisogno di chiamare le persone scimmie o schegge nel sedere o sparare a molte di loro, anche se non è un problema. Il dottor Bennett sta cercando di difendere la pace nel mondo. E sapete una cosa, sono sicuro che anche Putin sta ridendo.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Un messaggio da una persona “non civilizzata”

Ghada Hania

7 marzo 2022- Mondoweiss

Ghada Hania risponde all’inviato della CBS Charlie D’Agata che ha messo a confronto la vita nella “civilizzata” Ucraina a luoghi come Iraq, Afghanistan, o forse Palestina, che hanno visto “infuriare conflitti per decenni”.

Sono Ghada. Non sono civilizzata. Mi sono laureate presso il dipartimento di Letteratura inglese. Sto per terminare un master in Linguistica applicata. Sono ricercatrice, traduttrice, scrittrice di contenuti [in rete] e blogger con 4 anni di esperienza sia in arabo che in inglese.

Non sono civilizzata: faccio parte dell’Associazione degli Scrittori Palestinesi. Ho pubblicato un libro con una nota casa editrice giordana ed ho scritto un blog di ottimo livello nei blog di Al Jazeera.

Mio padre non civilizzato è docente di matematica che ha insegnato a generazioni di alunni ed ha ispirato la mia sorella maggiore non civilizzata, docente di matematica. Il mio incivile fratello minore si è recentemente laureato in fisica presso la facoltà di scienze. La mia incivile madre ha una piccola biblioteca con molti libri di vario genere, legge e scrive riassunti su carta filigranata di alta qualità.

Il mio zio non civilizzato ha conseguito un dottorato in chimica ed è docente universitario. La mia zia non civilizzata è infermiera pediatrica all’ospedale. Si prende cura dei pazienti. La mia cugina non civilizzata è ingegnera informatica, sviluppatrice di siti in rete e programmatrice di computer.

Alla mia non civilizzata nipotina piace comprare pupazzi di astronauti e spera di diventare astronauta da grande. La mia non civilizzata nipotina ha un piccolo pianoforte e sta imparando le note musicali grazie a un’applicazione sul telefono di sua madre.

La mia non civilizzata famiglia ha insegnato a me e ai miei fratelli ad amare gli altri, rispettare gli anziani ed essere gentili con i bambini. La mia non civilizzata famiglia ci ha insegnato onore, dignità, giustizia, generosità e onestà. Ci hanno insegnato anche a diffondere amore e armonia.

Il nostro non civilizzato vicino è responsabile operativo all’ospedale al-Shifa. Passa la maggior parte della giornata al lavoro. Può a malapena vedere la sua famiglia. Tuttavia è contento in quanto fornisce servizi umanitari a persone indifese.

La mia amica non civilizzata è un’artista. Disegna personaggi a carboncino e i suoi quadri sono stati esposti in molte mostre d’arte.

Il mio non civilizzato insegnante ha vinto un premio per l’editoria internazionale, e ricordo che ha pubblicato con una prestigiosa casa editrice britannica un libro sulla traduzione giuridica.

La mia non civilizzata compagna di classe ha pubblicato il suo primo romanzo nel 2017. È una scrittrice ed ha ricevuto molti premi letterari. Il suo piccolo figlio non civilizzato è ossessionato dalla raccolta di libri di fumetti per bambini.

Sono iscritta a un corso di formazione sull’imprenditorialità nella produzione letteraria. Ho incontrato una ragazza non civilizzata affetta da una malattia nell’infanzia, eppure ha resistito e non si è arresa. Con il passare del tempo è guarita. È diventata un’artista poliedrica: disegna, scrive e ha un’impresa di piccoli mobili in legno.

La responsabile di questo corso di formazione è una donna non civilizzata che ha un master in chimica medica e ha brevettato una cura per una malattia della pelle.

Sono state aperte due librerie di proprietà di persone non civilizzate che vivono nel quartiere. Lì puoi trovare tutto quello che puoi immaginare.

La nostra società non civilizzata dimostra collaborazione e unità durante le aggressioni da parte dell’occupazione israeliana. Nella nostra casa diamo rifugio a chiunque ne abbia disperatamente bisogno. Li nutriamo e ci prendiamo cura di loro.

Inoltre la nostra società non civilizzata promuove campagne di finanziamento per aiutare persone bisognose. E, cosa più importante, un grande numero di persone non civilizzate risponde alle campagne per la donazione del sangue nei centri sanitari.

I nostri combattenti per la libertà non civilizzati difendono coraggiosamente la loro patria dal vero nemico. Si preparano e si equipaggiano molto bene giorno e notte per la libertà, la dignità e l’onore del loro popolo. Sacrificano le loro anime, anelando alla libertà.

I nostri lavoratori edili non civilizzati ricostruiscono dalle rovine edifici, grattacieli, case, istituzioni, centri educativi. L’occupazione israeliana distrugge ogni cosa e loro continuano a ricostruire, ancora e ancora.

Il nostro popolo non civilizzato ha nel cuore la fervida speranza che un giorno sarà indipendente e libero dall’occupazione.

Siamo non civilizzati e non abbiamo occhi azzurri né capelli biondi.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il New York Times continua a tacere sul rapporto sull'”apartheid” di Amnesty

James North

18 Febbraio 2022-Mondoweiss

Il rapporto sull’apartheid di Amnesty viene oscurato perché il New York Times rifiuta di darne notizia.

Bret Stephens, l’editorialista filo-israeliano del New York Times, è in un dilemma lacerante. Stephens, che ha vissuto in Israele e diretto il quotidiano di destra Jerusalem Post, non perde occasione di correre in difesa di questo paese. Quindi quando Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto del 1° febbraio che accusa Israele di essere caratterizzato da “apartheid” Stephens deve aver acceso il suo computer per rispondere.

Ma poi deve essersi fermato e aver pensato che, in realtà, il modo migliore in cui il Times poteva parare il colpo di Amnesty era fingere che il rapporto di Amnesty con le prove dell’apartheid non fosse mai comparso. Quindi, sebbene dal 1° febbraio abbia pubblicato due editoriali, non ha detto nulla. Probabilmente stringe i denti per la frustrazione.

Ma Stephens non è solo. Il New York Times non ha ancora pubblicato una sola parola sul fondamentale rapporto di Amnesty. Sono passati 18 giorni e ancora non è apparso nulla sul giornale di un rapporto che politici, il Dipartimento di Stato e molti gruppi ebraici hanno fatto il possibile e l’impossibile per condannare.

La cosa stupefacente è che il New York Times continua a fare affidamento su Amnesty International per informazioni sulle violazioni dei diritti umani in altri paesi, purché non siano Israele/Palestina.

Fino ad ora in questo mese i giornalisti del Times hanno citato Amnesty in tre diversi articoli, dopo aver fatto affidamento sulle notizie fornite dall’organizzazione sette volte a gennaio. I giornalisti del Times hanno citato Amnesty nove volte a dicembre. Ciò significa quasi una volta ogni tre giorni.

Thomas Friedman è un altro editorialista del Times, supposto esperto del Medio Oriente, che ha tenuto la bocca ben tappata sul verdetto di apartheid di Amnesty, ma il suo silenzio lascia meno sorpresi. Questo sito ha già notato come Friedman abbia l’abitudine di nascondersi quando le notizie da Israele/Palestina non sono buone.

La cancellazione delle notizie da parte del New York Times è ancora più importante di quanto non sarebbe stato un paio di decenni fa. All’epoca, un certo numero di giornali regionali statunitensi gestiva uffici esteri, che fornivano canali alternativi di informazione. Oggi la maggior parte di essi ha chiuso. La copertura televisiva delle notizie dall’estero, sia in rete che via cavo, è ridicolmente inadeguata o inesistente. (La National Public Radio, che vanta all’infinito la qualità dei suoi programmi di notizie, ha pubblicato un solo pezzo sull’apartheid di Israele sul suo sito web. Nelle trasmissioni radiotelevisive i suoi annunciatori non hanno detto una parola.)

Il Times stabilisce la programmazione, almeno negli Stati Uniti. Se il giornale avesse pubblicato anche un solo articolo di cronaca o di opinione, il rapporto di Amnesty non sarebbe stato oscurato.

A quanto pare un giornalista del Times ha cercato di accennare alle notizie di Amnesty. Patrick Kingsley, il capo dell’ufficio di Gerusalemme, ha fatto un valido rapporto sulla violenza dei “coloni” israeliani in Cisgiordania. Entrambi gli schieramenti gli richiedevano di includere anche resoconti di attacchi palestinesi ai coloni, ma infine ha aggiunto questa frase straordinaria:

I coloni beneficiano di un sistema legale a due livelli in cui i coloni che commettono violenza sono raramente puniti, mentre i sospetti palestinesi sono spesso arrestati e perseguiti dai tribunali militari.

Questo era il luogo ideale per presentare il rapporto di Amnesty. Quello che Kingsley ha descritto – “un sistema legale a due livelli” – è un esempio da manuale di “apartheid”. Ma non è venuto fuori nulla. Kingsley è come un membro dell’Unione degli scrittori sovietici dopo il mite disgelo dei primi anni ’60. Gli è permesso accennare alla verità, purché rimanga vago e indiretto.

Intanto possiamo simpatizzare con Bret Stephens. È seduto su uno dei filoni di notizie più preziosi al mondo, ma non può dire una parola sul suo argomento prediletto.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)