Netflix e Israele: un rapporto speciale

Belen Fernandez

24 settembre 2019 – Middle East Eye

Come numerose piattaforme dell’intrattenimento, Netflix si è fatta inglobare nell’industria della hasbara israeliana

Nel 2016 l’ambasciata israeliana negli Stati Uniti ha twittato riguardo all’espansione di Netflix a livello globale: “Per circa 5 giorni all’anno il tempo non è buono…@Netflix, ora in Israele!”

Certo, che fortuna che Israele sia riuscito a fondarsi su terra rubata con un clima così favorevole. E, parlando di fortuna, Netflix si è dimostrato un vero dono del cielo per lo Stato ebraico per molto più di cinque giorni all’anno. Come numerose piattaforme di intrattenimento, Netflix si è fatta inglobare nell’industria della hasbara [propaganda, ndtr.] israeliana.

Onorare il Mossad

L’ultimo prodotto filo-israeliano per abbellire gli schermi degli utenti a pagamento è la serie in sei parti “La Spia” di Netflix, con Sacha Baron Cohen che interpreta l’agente del Mossad [servizio segreto per l’estero, ndtr.] israeliano Eli Cohen, giustiziato a Damasco nel 1965.

Prevedibilmente la serie umanizza Cohen in quanto umile, amorevole e zelante patriota impegnato in un nobile inganno a favore degli innocenti israeliani sotto attacco da parte dell’ignobile Siria. Non si fa alcun riferimento al ruolo prevalente di Israele come aggressore-provocatore, mentre la sua storia di stragi di massa al servizio di disegni predatori a livello regionale è – come al solito – sparita sotto il mantra dell’“autodifesa”.

Ma “La Spia” è solo l’inizio. Cercate “Israele” su Netflix e sarete bombardati da ogni sorta di offerte, da “Dentro al Mossad” a “Fauda”, una serie su “un importante agente (che) ritorna in servizio dalla pensione per dare la caccia a un combattente palestinese che pensava di aver ucciso”. Nel trailer, apprendiamo che “Abu Ahmad ha sulle mani il sangue di 116 israeliani” e che “nessun altro terrorista ne ha uccisi così tanti: uomini, donne, bambini, anziani, soldati.”

Non importano, allora, gli episodi della vita reale come quella volta in cui nel 2014 l’esercito israeliano ha avuto sulle sue mani il sangue di 2.251 palestinesi, compresi 299 donne e 551 minorenni. Quello che interessa alla propaganda israeliana è invertire il rapporto tra carnefice e vittima, cosicché il terrorismo istituzionalizzato di Israele a danno dei palestinesi sarebbe in qualche modo per sua natura una reazione, mentre le vittime di più di settant’anni di aggressioni israeliane si ritrovano nel ruolo degli aggressori.

La morale della storia

La lista di Netflix continua. Vi sono ospitati anche due film intitolati “L’angelo” e “La spia caduta sulla terra”, usciti rispettivamente nel 2018 e nel 2019, e riguardanti lo stesso personaggio: l’egiziano Ashraf Marwan, genero del defunto presidente Gamal Abdel Nasser.

Nel loro libro “Spies Against Armageddon: Inside Israel’s Secret Wars” [Spie contro l’Armageddon: dentro le guerre segrete di Israele] Dan Raviv e Yossi Melman notano che nel 1973 Marwan è stato il coordinatore del complotto libico-egiziano-palestinese per abbattere un aereo della linea aerea israeliana El Al in Italia, in risposta all’abbattimento da parte di Israele di un velivolo libico che aveva ucciso le 105 persone a bordo.

Marwan consegnò personalmente i missili richiesti a incaricati palestinesi a Roma, ma “il piano fallì…Quello che i cospiratori libici, egiziani e palestinesi non hanno mai saputo è il segreto riguardante Marwan: era un agente al soldo del Mossad, uno dei migliori che Israele abbia mai avuto.”

Mentre per gli arabi la morale della storia è forse che fare la spia per Israele è un buon modo per raggiungere una fama postuma su Netflix, questo specifico aneddoto dovrebbe anche annullare concretamente le affermazioni israeliane di avere a cuore il benessere e la sicurezza dei propri cittadini.

Poi c’è “When Heroes Fly” [Quando volano gli eroi], la serie del 2018 su quattro veterani dell’esercito israeliano traumatizzati dalla guerra del 2006 in Libano; solo per il fatto che Israele fece la grande maggioranza delle uccisioni ed altri danni non significa che il ruolo di vittima dovrebbe essere tolto ai suoi soldati.

Un articolo di Haaretz ci assicura che “il nuovo thriller israeliano di Netflix ‘When Heroes Fly’ è divertente quasi quanto ‘Fauda’” e la serie è “abbastanza avvincente da soddisfare chiunque abbia perso ‘Fauda’ nella propria vita.” Di certo è difficile pensare a qualcosa di più divertente di una guerra e di un trauma.

Ultimo ma non per importanza, c’è il film di Netflix “Il Centro Immersioni del Mar Rosso”, sui tentativi da salvatore bianco del Mossad negli anni ’80 di evacuare gli ebrei etiopi attraverso il Sudan verso la Terra Promessa (ovviamente per molti la terra in questione non sarebbe risultata così promessa, come possono probabilmente testimoniare gli etiopi a cui sono stati somministrati a forza farmaci contraccettivi o a cui la polizia israeliana ha sparato).

Il film è diretto da Gideon Raff, che ha ideato anche “La Spia” e “Hatufim”, che ha ispirato la serie razzista considerata da tutti la preferita, “Homeland” [Patria] – alla quale Raff ha contribuito. Discussione su come trovare il proprio posto.

Spettacolo vergognoso

Evidentemente non c’è niente di contraddittorio riguardo agli israeliani che compiangono la morte e l’espulsione in Etiopia – e all’imperativo morale di salvare le vittime – quando tutta l’impresa israeliana è costruita su, proprio così, morte ed espulsione.

Nel 1948 la Nakba vide centinaia di villaggi palestinesi distrutti, l’uccisione di 15.000 palestinesi ed altri 750.000 costretti a fuggire dalle loro case. Da allora il modello della pulizia etnica è solo continuato, punteggiato da veri e propri picchi di massacri.

In quello che non può che essere descritto come un’esibizione di totale spudoratezza, “The Red Sea Diving Resort” include battute come questa, detta da una bionda agente israeliana: “Non siamo tutti solo dei rifugiati?”

Il film finisce ricordando che “attualmente ci sono più di 65 milioni di rifugiati in tutto il mondo”; al diavolo il fatto che, grazie a Israele, di palestinesi rifugiati ce ne sono oltre sette milioni.

E mentre nel film un agente sostiene che c’è “un altro sanguinoso genocidio” che sta avvenendo in Etiopia, ma che “a nessuno gliene fotte niente perché avviene in Africa”, il tentativo di genocidio di Israele per spazzare via l’identità palestinese non merita evidentemente la stessa preoccupazione.

A conti fatti la mia ricerca di “Palestina” su Netflix – e lo stesso vale per “Libano” e “Siria” – ha prodotto in buona misura la stessa ampia scelta di thriller con spie israeliane e altre “piacevolezze”. Quando ho tentato di cercare “Nakba”, il principale risultato è stato “Bad Boys II” [Cattivi ragazzi 2, serie poliziesca USA, ndtr.], interpretato da Martin Lawrence e Will Smith; un po’ più in basso si trova “The Red Sea Diving Resort”.

Sparizione

Recentemente ho contattato Netflix per avere risposte alle critiche sul fatto che funge da mezzo per la propaganda israeliana, ed ho ricevuto la seguente dichiarazione da un portavoce: “Ci occupiamo dell’industria dell’intrattenimento, non dei media o della politica.

Comprendiamo che non tutti gli spettatori apprezzano tutta la programmazione che offriamo. È per questo che abbiamo una vasta gamma di contenuti da tutto il mondo – perché crediamo che le grandi storie arrivino da qualunque parte. Tutti gli spettacoli di Netflix mostrano la classificazione e l’informazione per aiutare gli utenti a prendere le proprie decisioni su quello che va bene per loro e per le loro famiglie.”

La mia attenzione era rivolta anche ad alcuni esempi dei “diversi contenuti arabi che si trovano nel servizio e in via di sviluppo”, di cui il primo è “comici del mondo”, uno spettacolo che ospita 47 comici internazionali – quattro dei quali mediorientali.

Ma i comici del Medio Oriente sono molto lontani dagli apprezzamenti per “The Spy” – che, come ogni spettacolo di intrattenimento centrato su Israele, è intrinsecamente politico – e il solo fatto che su Netflix ci sia un “contenuto arabo” non significa che faccia qualcosa per umanizzare o contestualizzare la lotta dei palestinesi.

Il rapporto speciale di Netflix con Israele potrebbe essere redditizio per chi ne è coinvolto, ma, contribuendo ad alzare gli indici di gradimento di Israele in un’esibizione di brutalità che è già durata per settant’anni di troppo, la compagnia è totalmente complice nella sparizione dei palestinesi operata da Israele.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Belen Fernandez  è autrice di Exile: Rejecting America and Finding the World [Esilio: rifiutare l’America e trovare il mondo”] e di “The Imperial Messenger: Thomas Friedman at Work” [“Il messaggero dell’impero: Thomas Friedman [giornalista del NYT noto per le sue posizioni filoisraeliane] al lavoro]. È una collaboratrice della rivista “Jacobin” [“Giacobino”, rivista della sinistra radicale USA, ndt.].

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Confermato il ruolo del Mossad nella guerra di Israele contro il BDS

Asa Winstanley

14 giugno 2019 – Electronic Intifada

Questa settimana il giornale israeliano “Haaretz” ha confermano una cosa su cui “The Electronic Intifada” ha informato da anni.

Il Mossad, secondo l’opinione generale la più spietata e violenta agenzia di spionaggio israeliana, è coinvolto nella guerra contro il BDS, il movimento non violento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni per i diritti dei palestinesi.

Il rapporto ufficiale per il 2018 di Erdan [ministro israeliano per la Sicurezza Pubblica del governo uscente, ndtr.], ottenuto attraverso una richiesta per la libertà di informazione, secondo quanto rivelato dal giornale mostra che si è incontrato con il capo del Mossad Yossi Cohen per discutere della “lotta contro il boicottaggio”.

Come ha informato lo scorso anno “The Electronic Intifada”, un incontro tra Erdan e il capo del Mossad era già stato confermato in almeno un’altra occasione – nel 2016 – insieme ad incontri con i capi di altre agenzie di spionaggio.

Dal 2015 il ministero degli Affari Strategici è stato in realtà il ministero israeliano contro il BDS. È in gran parte formato da veterani delle agenzie di spionaggio, soprattutto dell’intelligence militare.

Sima Vaknin-Gil, la funzionaria responsabile di condurre le attività quotidiane del ministero, ha lavorato per 20 anni nell’intelligence dell’aviazioni militare israeliana e conserva ancora il suo grado come riservista.

Questo ministero è coinvolto in una campagna globale di quelle che un giornalista israeliano ha chiamato “operazioni segrete” contro militanti palestinesi, difensori dei diritti umani e attivisti solidali [con i palestinesi].

Pur avendo investito decine di milioni di dollari in questa guerra contro gli attivisti della società civile che lavorano per la giustizia e l’uguaglianza, in privato le forze israeliane contro il BDS ammettono che la loro campagna non sta funzionando.

Un rapporto segreto del 2017 di una commissione legata al ministero ammette candidamente l’incapacità da parte di Israele di arginare l’“impressionante crescita” e i “significativi successi” del BDS. Ottenuto da “The Electronic Intifada”, il rapporto afferma che, nonostante la crescente spesa contro il BDS, incrementata di 20 volte, “i risultati rimangono fantomatici.”

La lotta contro il boicottaggio”

L’articolo di Haaretz conferma in modo autonomo le precedenti informazioni di “The Electronic Intifada” e aggiorna il quadro generale.

Il giornale ha ottenuto il rapporto ufficiale grazie ad una richiesta sulla libertà di informazione da parte di “Hatzlaha”, la stessa organizzazione israeliana per la trasparenza che ha ottenuto il rapporto di Erdan del 2016.

Il nuovo articolo di “Haaretz” conferma anche che l’incontro di Erdan con il Mossad riguardava esplicitamente la lotta contro il BDS.

Il rapporto del 2016 non elencava l’argomento di discussione tra Erdan e il capo del Mossad – benchè, data la sintesi di Erdan, difficilmente si è trattato di qualcosa di diverso dal BDS.

Il ministero di Erdan mette in atto quella che chiama la “battaglia” contro il BDS attraverso gruppi d’assalto e di sostegno in tutto il mondo, soprattutto negli USA, in Gran Bretagna e altri Paesi occidentali.

Il ministro, stretto alleato del primo ministro Benjamin Netanyahu, ha ammesso di lavorare attraverso “enti in tutto il mondo che non vogliono evidenziare il proprio rapporto con lo Stato.”

Menzogne e assassinii

Nel 2017 “The Electronic Intifada” ha rivelato che il rapporto di Erdan del 2016 ha anche enumerato una serie di incontri con parlamentari britannici e importanti personalità della lobby filo-israeliana, compresi Eric Pickles e Stuart Polak – entrambi membri non eletti della camera alta britannica, la Camera dei Lord, e leader di “Amici Conservatori di Israele”.

A causa del coinvolgimento del Mossad in molti brutali assassinii e rapimenti nel corso degli anni, gli attivisti del BDS devono essere molto preoccupati di questi sviluppi.

I bersagli del Mossad hanno incluso combattenti della resistenza palestinese, poeti, scrittori e attivisti disarmati.

Il leggendario scrittore comunista palestinese Ghassan Kanafani è stato ucciso insieme alla sua nipote Lamis da un’auto bomba del Mossad in Libano nel 1972.

Pare anche che un agente infiltrato del Mossad fosse dietro la morte non chiarita del famoso vignettista palestinese Naji al-Ali a Londra nel 1987.

Questo specifico assassinio e il rifiuto da parte di Israele di collaborare con l’inchiesta della polizia portò il governo conservatore di Margaret Thatcher ad espellere tre diplomatici israeliani e a chiudere per breve tempo la sede del Mossad a Londra.

La lista dei crimini del Mossad è lunga, ma in ultima analisi non sono riusciti a spegnere la fiamma della resistenza palestinese.Le sue prospettive di estirpare il movimento BDS non sono molto più promettenti.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Come il Mossad compie i suoi omicidi

Ali Younes

22 aprile 2018, Al Jazeera

La sparatoria mortale in Malaysia rivela la politica dei servizi segreti israeliani di omicidi mirati degli attivisti palestinesi.

L’omicidio dello scienziato palestinese trentacinquenne Fadi al-Batsh nella capitale malese Kuala Lumpur ha rivelato il programma riservato di uccisioni mirate di palestinesi considerati da Israele una minaccia.

Al-Batsh studiava ingegneria elettrica a Gaza prima di iniziare il Dottorato di Ricerca nella stessa disciplina in Malaysia.

Era specializzato in sistemi elettrici e risparmio energetico, e aveva già pubblicato numerosi articoli scientifici sull’argomento.

Hamas, il partito leader a Gaza, ha affermato che al-Batsh era un membro importante del partito e ha accusato l’agenzia di intelligence Mossad di essere responsabile di quanto accaduto sabato.

Chiamandolo membro “leale”, Hamas ha definito al-Batsh uno degli “scienziati della gioventù palestinese” che ha offerto “importanti contributi” e partecipato a convegni internazionali nel campo dell’energia.

Parlando ad al Jazeera, il padre di al-Batsh ha concentrato i suoi sospetti sul Mossad come responsabile dell’uccisione di suo figlio e si è appellato alle autorità malesi affinché portassero quanto prima a termine le indagini sull’assassinio.

Secondo il giornalista investigativo israeliano Ronen Bergman, uno dei principali esperti di intelligence israeliano e autore del libro Rise and Kill First, [Muoviti e uccidi per primo]l’uccisione di al-Batsh presenta tutti i tratti di un’operazione del Mossad.

Il fatto che gli assassini abbiano usato una motocicletta per colpire il loro obiettivo, già usata in molte operazioni del Mossad, e il fatto che sia stato un colpo preciso e fuori da Israele, fa sospettare il coinvolgimento del Mossad”, ha detto Bergman ad al Jazeera in un’intervista telefonica.

Identificazione dell’obiettivo

All’interno del Mossad, la più vasta società di intelligence israeliana L’identificazione di un obiettivo da eliminare in genere coinvolge diversi elementi a livello istituzionale e organizzativo, e la leadership politica.

A volte l’obiettivo è identificato da altri servizi militari o degli interni israeliani.

Per esempio, al-Batsh potrebbe essere stato identificato come obiettivo da diverse agenzie di intelligence per mezzo di unità all’interno di organizzazioni israeliane militari e di spionaggio che controllano Hamas.

Al-Batsh potrebbe anche esser stato identificato attraverso altre operazioni di spionaggio israeliano o tramite la rete di spie israeliane in tutto il mondo.

Alcune fonti hanno confermato ad al Jazeera che i contatti tra Gaza, Istanbul (Turchia), e Beirut (Libano), sono strettamente monitorati dalla rete di spionaggio israeliana. Dunque, una prima “selezione” di al-Batsh potrebbe essere stata fatta attraverso questi canali.

Gli amici di al-Batsh che hanno parlato con al Jazeera in forma anonima hanno affermato che il dottorando non aveva mai nascosto i suoi legami con Hamas.

Era conosciuto nella comunità palestinese per i suoi legami con Hamas”, ha detto un amico.

La procedura dell’omicidio

Una volta che al-Batsh fosse identificato come obiettivo, il Mossad avrebbe valutato se fosse necessario ucciderlo, quali ne fossero i benefici, e il modo migliore per farlo.

Quando l’unità specializzata del Mossad ha terminato la sua ricerca sull’obiettivo, porta i suoi risultati alla dirigenza della Commissione per i Servizi di Intelligence, che comprende i direttori delle organizzazioni di spionaggio israeliani e sono conosciute con l’acronimo ebraico VARASH, Vaadan Rashei Ha-sherutim.

VARASH discute dell’operazione e apporta suggerimenti.

Tuttavia, non ha l’autorità legale per approvare un’operazione.

Solo il primo ministro israeliano ha l’autorità di prendere tale decisione.

Bergman ha affermato che i premier israeliani solitamente preferiscono non prendere da soli tali decisioni per ragioni politiche.

Spesso il primo ministro coinvolge uno o due ministri per approvare un’operazione del genere, e sovente comprende il ministro della difesa,”.

Una volta ottenuto il via libera, l’operazione torna al Mossad per la pianificazione ed esecuzione, che potrebbe richiedere settimane, mesi o addirittura anni, a seconda dell’obiettivo.

L’unità Cesarea

La Cesarea è un’unità sotto copertura del Mossad che si occupa di addestrare e gestire spie principalmente nei paesi arabi e in tutto il mondo.

L’unità fu fondata nei primi anni Settanta, e uno dei suoi creatori fu la famosa spia israeliana Mike Harari.

Cesarea utilizza la sua vasta rete di spie negli Stati arabi, e più diffusamente in Medio Oriente, per raccogliere informazioni e sorvegliare attuali e futuri obiettivi.

Harari ha poi fondato l’unità più spietata di Cesarea, nota in ebraico come Kidon (“la baionetta”), composta da killer professionisti specializzati in omicidi e sabotaggi.

I membri di Kidon spesso provengono da settori dell’esercito israeliano, comprese le forze speciali.

Probabilmente sono stati proprio membri di Kidon a uccidere al-Batsh a Kuala Lumpur, secondo alcune fonti di al Jazeera.

Il Mossad non punta solamente a leader e attivisti palestinesi, ma anche a siriani, libanesi, iraniani ed europei.

Gli omicidi mirati

Cesarea è l’equivalente del Centro di Attività Speciali (CAS), della CIA, che veniva definito Divisione Attività Speciali prima della sua riorganizzazione e cambio di nome nel 2016.

La CIA conduce le sue missioni paramilitari top-secret, compresi omicidi mirati, attraverso il Gruppo per le Operazioni Speciali, che è parte del CAS e ha alcune somiglianze con il Kidon.

Bergman scrive che, fino al 2000, anno della seconda Intifada nei Territori Occupati, Israele ha commesso più di 500 operazioni omicide, causandola morte di più di un migliaio di persone, compresi gli obiettivi e i passanti.

Durante la seconda Intifada, Israele ha condotto più di 1000 operazioni, di cui 168 con successo, ha scritto Ronen Bergman nel suo libro.

Da allora, Israele ha condotto almeno altre 800 operazioni con lo scopo di uccidere civili appartenenti ad Hamas e leader militari nella Striscia di Gaza e all’estero.

La cooperazione araba con il Mossad

Il Mossad mantiene collegamenti formali di tipo organizzativo e storico con un certo numero di servizi segreti arabi, in particolare con agenzie di spionaggio giordane e marocchine.

In tempi più recenti, in seguito a un mutamento nelle alleanze nella regione e alla crescente minaccia di attori non statali, il Mossad ha allargato i suoi legami con le agenzie di intelligence arabe, includendo un certo numero di Stati del Golfo arabo e l’Egitto.

Il Mossad ha la sua principale struttura organizzativa per le operazioni mediorientali nella capitale giordana Amman.

Quando il Mossad tentò di assassinare il leader di Hamas Khaled Meshaal ad Amman nel 1997, spruzzandogli una dose letale di veleno nell’orecchio, l’episodio ha rischiato di far revocare all’anziano re Hussein l’accordo di pace con Israele, e di far chiudere la sede dell’agenzia di spionaggio ad Amman, oltre che di interrompere i collegamenti tra il Mossad e la Giordania al punto che Israele fornì l’antidoto che salvò la vita di Meshaal.

Nel suo libro, Bergman cita fonti del Mossad per affermare che il Generale Samih Batikhi, il capo dello spionaggio giordano dell’epoca, si arrabbiò con il Mossad che non l’aveva tenuto informato sul tentato omicidio poiché voleva organizzare congiuntamente l’operazione.

Un altro paese arabo che ha forti legami con il Mossad fin dagli anni Sessanta è il Marocco, secondo le ricerche di Bergman.

Il Marocco ha ricevuto notevole assistenza di intelligence e tecnica da Israele, e in cambio, l’anziano re Hassan ha permesso agli ebrei marocchini di emigrare in Israele, e il Mossad ha avuto il diritto di stabilire un’agenzia permanente nella capitale Rabat, da cui spiare i paesi arabi”, scrive Bergman.

L’operazione raggiunse il suo apice quando il Marocco permise al Mossad di spiare le sale di riunioni e le camere private dei capi di stato arabi e dei loro comandanti militari durante il summit della Lega Araba nel 1965.

Il summit era stato convocato per organizzare il comando militare unificato.

I metodi della CIA e del Mossad

Diversamente dal Mossad e da altre organizzazioni di intelligence israeliane che hanno un certo margine di decisione nel decidere chi uccidere, la CIA americana utilizza uno strenuo processo legale a più livelli, coinvolgendo l’ufficio del consiglio generale della agenzia, il ministero di giustizia statunitense, e l’ufficio del consiglio legale della Casa Bianca.

L’esecuzione di un’operazione concernente un omicidio mirato da parte della CIA dipende dall’autorizzazione presidenziale, rilasciata con un documento legale spesso redatto dall’ufficio del consiglio generale della CIA e dal dipartimento di giustizia.

L’autorizzazione presidenziale fornisce autorità legale con cui la CIA può eseguire la sua missione di omicidio mirato.

Un processo di revisione che coinvolge diverse agenzie, condotto principalmente da giuristi del dipartimento di giustizia, dalla Casa Bianca e dalla CIA, deve aver luogo prima che il presidente firmi l’autorizzazione.

Si stima che Barack Obama, in qualità di presidente degli Stati Uniti, autorizzò circa 353 operazioni di omicidi mirati, soprattutto per mano di droni.

Il suo predecessore George W Bush ne autorizzò circa 48.

Il processo legale

Un ex ufficiale della CIA ha detto ad al Jazeera, in modo anonimo, che “la CIA non decide chi uccidere”.

Il processo legale rende davvero difficile alla CIA l’uccisione di qualcuno solo perché la CIA pensa che sia un nemico”, ha affermato.

La maggior parte degli omicidi mirati della CIA coinvolgono l’uso di droni e sono attuate su autorizzazione presidenziale.

Parlando con al Jazeera, Robert Baer, un ex funzionario operativo della CIA, ha detto: “la Casa Bianca deve firmare per ogni omicidio mirato, soprattutto se è un obiettivo molto pericoloso”.

È un caso diverso, tuttavia, se l’operazione è condotta sul campo di battaglia o durante un conflitto, come in Afghanistan o in Iraq, caso in cui gli ufficiali sul campo hanno più potere legale per portare a compimento i loro omicidi mirati”.

Per il Mossad, la legittimità dell’omicidio di unqualunque obiettivo è più larga e non coinvolge elementi legali simili a quelli della CIA, secondo fonti a conoscenza del procedimento.

Fa parte della politica nazionale”, ha concluso Baer, riferendosi alla politica israeliana degli omicidi mirati.

( Traduzione di Veronica Garbarini)